Paolo Cevasco Przywara in Voegelin: un «flux of ... - PoliticaMente

Paolo Cevasco
Przywara in Voegelin: un «flux of parousìa»?
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Restando ai dati nudi, la relazione tra il pensiero di Erich Przywara e quello di Eric Voegelin si
ridurrebbe ad un fatto isolato: l’esplicita menzione che di Religionsphilosophie katholischer
Theologie viene fatta tra le fonti di Die politischen Religionen.
Il nostro obiettivo è viceversa presentare all’attenzione degli studiosi alcune consonanze e
similitudini terminologiche che nei testi voegeliniani sembrerebbero iniziare ad agire molto prima
che il rapporto tra esperienza religiosa e fondamenti del consenso alla rappresentanza divenga il
punto di ancoraggio della maturità filosofica voegeliniana.
Già nel primo degli articoli pubblicati 1 , il lessico concettuale voegeliniano rivela affinità non
labili con quello che Przywara veniva in quegli anni apprestando per esaminare la fenomenologia e
le filosofie neo- e post-kantiane alla luce di una filosofia della Polarität. Al modello di sociologia
dell’inglese Wallas Voegelin rimprovera la «absence of metaphysical personality» 2 . Appare
particolarmente interessante il tentativo di inquadrare alcune teorie filosofiche della società e del
soggetto, appartenenti tanto all’epoca contemporanea quanto al passato, secondo le
Prävalenzformulierungen 3 che Przywara delinea nel testo citato, facendole scaturire dalle tre
polarità fondamentali: essere-divenire, soggetto-oggetto, persona-mondo. Per inquadrare in una
tipologia trascendentale una qualunque teoria sociologica o filosofica, Voegelin propone inoltre uno
schema concettuale a quattro piani [Ebene]: gestaltende Ich, ethische Ich, metaphysische Ich, Welt,
coronati però da un quinto, dinamicamente onnicomprensivo livello, anzi “dominio delimitato”
(Ebene); questo “dominio” appare connotato essenzialmente dall’oscillazione tra istanza etica,
funzione costituente ed esperienza del mondo; questa produttiva oscillazione è descritta come
«trascendenza immanente» 4 . «Trascendenza immanente» è una formula letteralmente przywariana,
con la quale il teologo cerca di cogliere l’esperienza generativa delle tre polarità essenziali:
trascendenza dell’essere unicamente nell’immanenza del divenire (al livello del mondo, occasione
dell’esperienza); trascendenza dell’io spirituale rivelantesi unicamente nella processuale esperienza
di conoscenza dell’oggetto, fino alla totalità del mondo e all’eschaton del destino (al livello del
soggetto); trascendenza della persona divina unicamente nel processo rivelativo comunicantesi a
partire dall’essenzialità-noeticità dell’oggetto intenzionale della metafisica (al livello di Dio). I poli
costituenti coincidono largamente con quelli che Voegelin impiega come schema classificatorio
delle teorie sociali 5 . Per i futuri sviluppi che la questione ha in Voegelin, ci sembra rilevante la
1 Eric Voegelin, Die gesellschaftliche Bestimmtheit soziologischer Erkenntnis, in «Zeitschrift für Volkswirtschaft und
Sozialpolitik» n.s. 2 (1922), pp. 331-348; non avendo potuto reperire il testo tedesco, cito da The social determination of
sociological knowledge, in The Collected Works of E.V. [d’ora in avanti CW], vol. 7 Published Essays 1922-1928, University of
Missouri Press, Columbia, Missouri 2003, pp. 27-48.
2 Ibidem, p. 39.
3 E. Przywara, Gottgeheimnis der Welt. Drei Vorträge über die geistige Krisis der Gegenwart, Theatiner-Verlag,
München 1923, cit., pp. 61-62.
4 E. Voegelin, The social determination of sociological knowledge, in CW, vo. 7, cit., p. 41, punto 5 dell’elencazione delle
forme trascendentali.
5 E. Voegelin, The social determination…, in CW, vol. 7, cit., pp. 42-43: lo schema universale di classificazione con cui
secondo Voegelin si possono identificare le opzioni metafisiche occultamente operanti dietro i modelli sociologici, è ottenuto
considerando i cinque piani di esperienza dapprima come forme trascendentali, ma poi anche come modi, ossia come forme
dominanti di organizzazione e gerarchizzazione delle forme trascendentali. Così ad esempio la forma ‘mondo’ sotto il modo della
‘trascendenza immanente’ darà luogo alla concezione metafisica di una natura divinizzata; la forma della ‘trascendenza immanente’
nel modo dell’’io costituente’ darà luogo a «something like the Platonic idea». Se tutte le forme trascendentali sono modificate

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genealogia cui Przywara riannoda questa nozione di “trascendenza immanente”, una genealogia
scolastica e ancor più a monte patristico-agostiniana:
«Scotus hat gegenüber Thomas dem Willen zu einer Art Primat verholfen, aber nicht dem
erkenntnisblinden Willen, sondern jenem erkenntnisdurchleuchteten Willen, in dem die
schöpferische Kraft des Individuums sich am deutlichsten kundtut» [cfr. Scoto, Metaph. V c.
6 summar. 5; De anima q. 22; De primo principio c. 4 concl. 8]
«…nun formt sich, unter der aufgeleuchteten Sonne der Offenbarung von der Schöpfung der
Welt „aus Nichts“ und „im Anfang“ und der Offenbarung von der Vorsehung Gottes, jener
wundervolle patristische Gottesbegriff des „Deus exterior et interior“, des überragenden
Gottes der Unbegreiflichkeit zugleich und der unsagbaren Einwohnung in allem Geschöpf:
Gott in uns und über uns. Transzendenz und Immanenz Gottes schwimmen nun nicht
mehr ineinander, sie sind polar zueinander gebunden zu lebensvoller Spannungseinheit» 6
Nella sua seconda opera a stampa, Przywara sottolinea come Scheler non si accorga che le
tradizionali “prove” dell’esistenza di Dio sono solo «forme riflessive» di quella conoscenza per
somiglianza che l’esistenza storico-concreta dell’umanità attualizza nelle forme successive,
essenzialmente omologhe, dell’analogia consentita al proprio esse, quell’analogia entis che
Przywara proprio in questo luogo puntualmente richiama 7 . La successione d’ordine, insieme storica
ed esperienziale, tra intuizione simbolica immediata ed Entfaltung 8 noetica, attualizzerebbe
dettagliandolo il movimento analogante, la tensione unitaria cui come sopra si vedeva Przywara ha
dato il nome di «trascendenza immanente», alias «unità-nella-tensione».
dall’operatore ‘modo’ dell’’Io etico’, il risultato sarà un teismo necessitaristico [ibidem, p. 43]; l’aspetto ‘personale’, non tuttavia
riconosciuto come tale, della scienza e della sociologica britanniche, sarebbe quello di porre nel modo di un mondo considerato come
un super ‘Io metafisico’ addirittura le peculiarità storiche [ibid. p. 46]. Acutamente, l’articolo conclude che solo considerando l’Io
costitutivo sotto il modo suo proprio, si può approdare a una sociologia obiettivamente condivisibile dagli orientamenti filosofici di
diverse nazioni; tuttavia la conoscenza in tal modo ottenuta sarebbe «generale» piuttosto che «oggettiva», proprio perché l’aspetto
fondamentale della stessa conoscenza sociologica è quello di comprendere l’operare ininterrotto della «trascendenza immanente» nel
suo proprio processo. Analoga preoccupazione, di considerare cioè la rilevanza metafisica di questa irriducibile “personalità”
emergente dalla cautela con cui si procede a delimitare trascendentalmente l’ambito di ogni scienza, appare dalle conferenze
przywariane; si confronti E. Przywara, Gott. Fünf Vorträge über das religionsphilosophische Problem, Oratoriums-Verlag, Köln-
München 1926, p. 58: «So ist jene geschöpfliche Lebensform, in der der makrokosmos des vielfältigen All die Einheit eines
Mikrokosmos ist, so ist die Lebensform des Geistes, in dessen Geschlossenheit das All Person ist, das geschöpfhöchste Gleichnis
Dessen, der Unendlichkeit als Ich ist. Gott ist zum mindesten Persönlichkeit. (…) Aber geschöpfliche Person ist wesenhaft Ich
gegenüber Welt, Glied neben Gliedern. So wächst das Bild Gottes über das Persönlichkeits-Gleichnis des Geschöpflichen hinaus: es
ist ein All-haftes in Seinem Person-Wesen, eine geheimnisvolle Unendlichkeit, ein letztes unenträtselbares Urbild dessen, was im
Geschöpflichen Gemeinschaft heißt» [«Così tanto la forma di vita creaturale in cui il macrocosmo del molteplice Tutto è l’unità di un
microcosmo, quanto la forma di vita dello spirito, nella cui chiusura autoreferenziale il tutto è persona, sono al livello della creazione
la somiglianza più alta di un’infinità intesa come io. Dio è qui al minimo persona (…) Ma la persona creaturale è essenzialmente Io
di contro al mondo, membro accanto ad altri membri. Così l’immagine di Dio cresce al di sopra ed oltre la personalità-somiglianza
espressa dalla creazione; [questa immagine di Dio] ha i caratteri di un tutto proprio nella sua essenza di persona, è un’infinità
misteriosa, un’originaria e mai totalmente disvelabile immagine di ciò che nella creazione si chiama comunità.» tr.ns. ]. Pur
mantenendosi entro i confini del problema della delimitazione trascendentale dei domini delle diverse discipline, ci sembra che nel
suo lavoro di classificazione tipologica Voegelin tenga senz’altro presente il rapporto necessario tra coscienza operativa della
trascendenza immanente ed accortezza nel valutare il carattere di opzione metafisica – e di particolare concezione del rapporto tra io
e totalità trascendente – al lavoro dietro ogni concezione che presuma senza ulteriore esame l’oggettività del conosciuto e la mera
funzionalità dell’io e delle sue categorie.
6 E. Przywara, Gottgeheimnis der Welt, cit., pp. 105-106: «di contro a Tommaso, Scoto ha privilegiato il volere, attribuendogli
una sorta di primato; non però il volere del tutto cieco rispetto al conoscere, bensì quel volere illuminato dalla conoscenza, un volere
in cui la forza creatrice dell’individuo si rivela con evidenza massima [cfr. Scoto, Metaph. v c. 6 summar. 5; De anima q. 22; De
primo principio c. 4 concl. 8]». «…ora viene formandosi, sotto il sole ormai sorto della rivelazione della creazione del mondo “dal
Nulla” e “in Principio” e della rivelazione della provvidenza di Dio, quel meraviglioso concetto di Dio patristico, il “Dio exterior et
interior”, il Dio inarrivabile dell’inafferrabilità e nello stesso tempo quello che ineffabilmente inabita dentro tutta la creazione: Dio in
noi e sopra di noi. Trascendenza e Immanenza di Dio non si confondono più nell’indistinzione; sono polarmente connesse in una
unità di tensione» [tr. ns.]
7 E. Przywara, Religionsbegründung. Max Scheler – John Henry Newman, Herder& co., Freiburg im Breisgau 1923, p. 24.
8 Ibidem, p. 25.

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Non siamo forse di fronte alla fisionomia pressoché compiuta di un concetto che in Voegelin
diventerà quello di ordine in quanto Differentiation? 9 Il chiarimento dell’ambivalenza scheleriana
aduna termini che ricorrono con frequenza e densità semantica notevoli nel pensiero voegeliniano
dopo Die politischen Religionen: analogia entis, Re-flexion (si pensi alla formula di actus reflexus
nel Paradoxon di Jean Bodin 10 e al calco che di essa traspare nelle dizioni voegeliniane di
responsive act e paradoxical structure of consciousness) e il concetto di conoscenza per
somiglianza. Siamo forse di fronte ad una probabile fonte mediatrice, se non di tutta la ricezione che
l’antropometafisica scheleriana ha in Voegelin, almeno dello stimolo che ha propiziato l’incontro
con Scheler?
Procediamo. In un passo cruciale delle Autobiographical reflections leggiamo:
«I…got even more fascinated by the not-so Thomistic but rather Augustinian Jesuits like
Hans Urs Von Balthasar and Henri de Lubac» 11 .
Questa fascination l’abbiamo visto, ha verosimili radici in una consapevolezza della teoria
polare della persona trascendente maturata prima di quanto Voegelin voglia dire. Per inciso, Hans
Urs Von Balthasar ha ripetutamente indicato in Analogia entis di E. Przywara una sorgente mai
abbandonata in tutta la propria opera d'indagatore delle motivazioni teologiche della filosofia 12 ; e
tra gli «augustinian Jesuits» come giustificare l’assenza – specie nella coscienza di un lettore
sempre raffinatamente aggiornato e curioso come Voegelin è stato fin da giovanissimo – dell’autore
di Augustinus. Die Gestalt als Gefüge, monografia agostiniana che all’epoca riscosse vasto
interesse? Un capitolo intero di quest’opera posiziona Husserl, Scheler ed Heidegger ai poli opposti
di una Spannung in cui l’unità analogante e l’autotrascendenza della persona metafisica sembrano
sacrificati al primato dell’evidenza:
«da Husserl fino ad Heidegger si dispiega in realtà un’unica forza, quella che governa tutto
questo processo, la forza dell’onnipresente e onnipenetrante «evidenza»: in Husserl ancora
delimitata al domino della logica, in Scheler già erompente nel dominio ben più vasto e
complessivo della «vita», e in Heidegger, al termine ultimo della sua trasformazione, fattasi
ormai identica all’essenza dell’essere stessa, all’inesauribile autocomprendersi dell’essere.
9 E. Voegelin, The New Science of Politics. An Introduction, University of Chicago Press, Chicago 1952, tr.it. La nuova scienza
della politica, Borla, Torino 1968, pp. 129-130: «La scoperta della nuova verità non è un progresso psicologico in senso
immanentistico; si deve piuttosto dire che la psiche stessa è vista come un nuovo centro nell’uomo, grazie al quale egli esperimenta
se stesso come aperto alla realtà trascendente (…) questo centro non è concepito come un oggetto presente da sempre nell’uomo,
della cui presenza egli non si fosse accorto (…) si tratta di una scoperta che produce il suo materiale empirico insieme con la sua
esplicazione (…) Di questo aprirsi, che è insieme azione e passione, noi siamo debitori al genio dei filosofi mistici. Il filosofo (…)
scopre la divinità nella sua trascendenza radicalmente non umana (…) .(…) questa nuova misura per giudicare la società non è affatto
l’uomo in quanto tale, ma l’uomo in quanto è diventato rappresentante della verità divina attraverso la differenziazione della sua
psiche…».
10 È esattamente – almeno ci pare – ciò che con raro acume spirituale il Bodin del Paradoxon, accostando sapientemente, da
autentico scolastico, le convergenti differenze delle maggiori auctoritates, ricostruisce come la duplice direzione, attiva e passiva,
dell’atto contemplativo, che in virtù di questa soggettività compartecipata che lo sorregge viene a svelare un’homonymia feconda e
insaturabile. Cfr. Jean Bodin, Paradoxon, quod nec virtus ulla in mediocritate, nec summum hominis bonum in virtutis actione
consistere possit, Excudebat Dionysius Duvallius, Sub Pegaso in vico Bellovaco, Parisiis, MCLXXXXVI, pp. 31-32: «...homonymia
latet in verbo contemplationis, quae est etiam rerum terrestrium et fluxarum, a quibus ad caelestia provehimur: sed eo usque progredi
oportet, quoad nobilissima pars hominis, ad inspectionem nobilissimae ac praestantissimae rei quasi pernicibus alis abrepta sursum
feratur, nec prius acquiescat quam iucundissima illius consuetudine et copiosissima lucis effusione fruatur, quam optabat divinus ille
vates cum diceret, Satiabor tunc cum apparuerit gloria tua: quibus verbis illam quam quaerimus, aut certe quaerere debemus,
beatitatem verissime expressit, quam patiendo adipiscimur. Mens enim cum inferiora contemplatur agit: cum vero ad superiora,
scilicet ad intellectum actuosum et illustrantem humanae mentis caliginem, vel ad Deum ipsum fertur, tunc pati dicitur: non aliter
quam oculus qui tunc agit cum terrestria et obscura intuetur: cum vero convertitur ad solem aut ad lucem, seipso splendidiorem
dicitur pati».
11 E. Voegelin, CW, vol. 34 Autobiographical reflections, University of Missouri Press, Columbia, Missouri 2006, p. 53.
12 Cfr. H.U. Von Balthasar, ‘Einleitung’ a E. Przywara, Sein Schrifttum 1912-1962, hrsg. von L. Zimny, Einsiedeln 1963.

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Detto fuori dai denti, questa è una strada che sfocia nell’usurpazione dell’intuizione che di
sé e delle cose ha Dio.» 13
Il punto da non lasciarsi sfuggire è che il giudizio przywariano è ricavato, secondo un rigoroso
percorso di deduzioni, dall’equilibrio [Ausgleich] in cui Agostino ha saputo tenere i due poli, fonti
della Spannungseinheit di cui si parlava più sopra, nella condizione insieme orante e ricercante di
un’esistenza creaturale come In-Zwischen 14 : la balance of consciousness e l’In-Between, che pure
Voegelin non attribuisce in nessun luogo a Przywara, si stagliano come le parole-chiave in questo
ritratto di Agostino. In altro luogo dell’opera, per analizzare la ritrazione dell’anima in sé, Przywara
sofferma l’attenzione sul movimento di ritorno ai contenuti dell’esperienza, la Gradation 15 ; per
quella che Voegelin svilupperà come anamnesis, il nome scelto è relazione di retroazione e
riflessione (Rückbezüglichkeit):
«La relazione istituita da Agostino tra la Bellezza in sé e la bellezza intramondana, basata
sulla coincidenza degli opposti, è l’immediato preludio ad Hegel, ove si prescinda dal modo
in cui, presso l’uno e presso l’altro, la dottrina della Trinità assurge a struttura del reale.
Ma anche riguardo a questa seconda opposizione si può parlare per Agostino di un
raggiunto equilibrio. Esso è custodito nel modo formalmente più nitido in quella che si
potrebbe chiamare la gradazione agostiniana. Il ritrarsi dell’anima nel profondo di se stessa,
che considerato isolatamente potrebbe significare un vero e proprio funzionalismo
trascendentale, così come il movimento ascendente e trascendente dell’accesso alla verità,
che considerato isolatamente sembra rimandare del tutto all’antitesi tra mutabilità – del
corpo e dell’anima – e immutabilità, potrebbero considerarsi riunificati nel contrasto per cui
un continuo ascendere-trascendere scavalca “tutti insieme” i gradini già percorsi. (…) Una
sorta di trascendentalismo unitario della gradazione, un «progresso all’infinito», sarebbe il
«sistema» di pensiero corrispondente all’atteggiamento agostiniano, che si esprime nel
«comprendere l’incomprensibile» in ciò che va «all’infinito», o nel «cerchiamolo per
trovarlo, e cerchiamolo ancora dopo averlo trovato» [Comm. al Vang. di Giovanni 63,1sgg.].
Si potrebbe pertanto applicare ad una gradazione così intesa una relazione ad un
tempo di riflessione e di retroazione tra due tendenze, un «recedere da» (nel movimento del
trascendere), poi sfociante in un «volgersi verso» più autentico e puro a partire dal nuovo
grado di volta in volta raggiunto; di questa relazione Agostino ci offre la formula parlando
del rapporto del mundus sensibilis rispetto a Dio (…) L’equilibrio consisterebbe allora in
una gradazione di forma autoriflessiva che inglobi la serie di questi atti, cioè in un sistema
che così sarebbe il correlativo di quell’atteggiamento eminentemente agostiniano che più
sopra ci si rivelò come la bellezza insita nel gioco dei contrari, la tensione armonica del
movimento.» 16
Il medesimo plesso di problemi, espresso in termini pressoché identici, si trova nella Lettera ad
Alfred Schutz che è poi stata inclusa in Anamnesis; qui l’esperienza della trascendenza è posta in
13
E. Przywara, Augustinus. Die Gestalt als Gefüge, Jakob Hegner, Leipzig 1934, tr. it. Agostino informa l’Occidente, Jaca
Book, Milano 2007, pp. 96-97.
14
Cfr. E. Przywara, Agostino informa…, cit., p. 11: «La coppia Parmenide-Platone vive nello slancio della sua inquietudine
(…), sospesa tra il mutevole e l’immutabile [tra i mutabilia e l’incommutabile, tra l’erat et erit e l’Est, tra il facta sunt e il quae
facta sunt in ipso vita erat, “vita” del Verbo].»; pp. 14-15: «…Agostino è per l’Europa il genio peculiare della definitività
escatologica nel senso che egli sta tra Oriente ed Occidente. Il suo allievo più grande, Tommaso d’Aquino, e a pari titolo i suoi
continuatori moderni da Descartes a Hegel, presentano senz’altro un’immagine di grandiosa obbedienza a quest’originaria struttura di
motivi, sebbene Tommaso abbia saputo senz’altro includere nella sua propria sintesi la filosofia occidentale, ed Hegel non a caso sia
emerso nell’epoca romantica, che aspirava all’Oriente. Paragonato a loro, Agostino è veramente un “tra”» [Zwischen nel testo orig.].
15
Non casualmente, nel prelievo che è forse il più significativo tra quelli voegeliniani che hanno ad oggetto Agostino, in
epigrafe all’opus magnum di Eric Voegelin campeggia la parola gradus in un’accezione contemplativa, del tutto aderente al contesto
che stiamo delineando, quale ne dà il De vera religione 29.52 (anche se Voegelin preferirà sempre omettere il riferimento ad locum).
Consapevolezza della gradation, del carattere misterioso-misterico di quel passato che ci spalanca alla libertà della nostra relazione
con la trascendenza, e gloriosa attività del gradus facere, allacciano già da sempre un nodo che il pensiero può ingrandire e
accarezzare, non mai dipanare quasi uscendo dalla storia stessa.
16
E. Przywara, Agostino informa l’Occidente…, cit., pp. 21-22.

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una connessione strettissima con la meditazione quale è intesa da Agostino. Voegelin imputa
all’agostinismo squilibrato di Cartesio (agostinismo sui generis che nell’Augustinus è puntualmente
trattato), e in misura ancor maggiore a quello di Husserl, di avere schiacciato il ritmo tensivo
agostiniano fra trascendimento e retroriflessione in una ritrazione coscienziale ridotta a strumento
per la conferma dell’oggettività del mondo. Voegelin fa, sulle prove dell’esistenza di Dio,
considerazioni che rispecchiano punto per punto quelle przywariane a commento di Scheler 17 :
«Scopo della meditazione è il graduale annullamento della sostanza del mondo, partendo
dal mondo corporeo fino a quello spirituale, per raggiungere il punto di trascendenza in cui
l’anima, per parlare con Agostino, può rivolgersi nell’intentio a Dio. Tale meditazione è, in
primo luogo, un processo nella biografia dell’individuo che lo svolge; e la sosta nel punto di
trascendenza e l’intentio sono un’esperienza di breve durata. (…) Husserl fraintende
completamente questa problematica, perché inciampa nella dimostrazione dell’esistenza di
Dio di Descartes, e non riesce a vedere, al di là della dimostrazione, il contenuto
dell’esperienza trascendentale. È un fatto ben noto nella storia della filosofia, anche se
evidentemente non è noto a Husserl, che le dimostrazioni dell’esistenza di Dio della
scolastica, compresa quella di Descartes, non hanno lo scopo di rassicurare dell’esistenza di
Dio il pensatore che effettua tale dimostrazione. (…) la dimostrazione è la forma stilistica
della filosofia scolastica, e la demonstratio viene estesa in tale stile anche a quei problemi
che non sono idonei a dare una simile dimostrazione e che non ne hanno neanche bisogno.
Quel che Husserl non aveva capito è invece il terzo significato dell’ego, che è la base dei
primi due, l’ego quale anima animi in senso agostiniano, la cui intentio non è rivolta alle
cogitata, ma alla trascendenza. Il processo della meditazione trova il suo significato
primario solo in questo terzo significato, nell’anima animi; nella trascendenza dell’intentio
agostiniana, l’ego è sicuro sia di se stesso che di Dio (non in senso dogmatico, ma in quello
mistico della trascendenza verso l’origine).» 18
L’esperienza emerge come il luogo, non dischiuso né delimitato dal solo atto di ragione umana,
in cui, mediante imprevedibili ma non inintelligibili interventi teofanici, l’io può ascendere all’atto
compartecipato della propria natura trascendente nella propria sovranatura; quest’ultima dà alla
cangiante serie delle forme di evidenza la stabile identità aperta a Dio, l’esistenza storica, la
creaturalità. Era appunto alla costruzione di una filosofia della creaturalità che si dedicavano le tre
importanti opere przywariane tra fine degli anni Venti e inizio degli anni Trenta: il testo delle
conferenze tenute a Monaco nel 1925 ad un’assise dei movimenti giovanili cattolici Gott. Fünf
Vorträge über das religionsphilosophische Problem, lo splendido volume – quasi una secca risposta
al negativismo di Sein und Zeit – Christliche Existenz e il più noto Analogia entis. L’esistere di quel
non-essente-a-partire-da-sé che l’uomo è solo al cospetto di Dio, è decisamente un atto di
partecipazione; ecco come la questione viene espressa in Christliche Existenz:
«Eben weil die Existenz des Geschöpfes in sich selbst »nichts« ist, ist nur möglich ein
Existieren von» über sich «her: vom Ist Gottes her.». Der Mensch in sich «sagt Augustinus,
»ist nicht…, so er nicht teilhat an Ihm, der da Es-Selbst ist [Enarrat. in Psalmos 121; 8]«.
17 E. Przywara, Religionsbegründung, cit. p. 21 [tr.ns.]: «l’atto tipico della sfera religiosa abbraccia (e questa è la sua prima
caratteristica) l’intero mondo e lo 'trascende' e porta in sé (come sua seconda caratteristica) una «essenziale insaturabilità
[Unerfüllbarkeit] da parte di qualsiasi oggetto finito appartenente al mondo o capace di costituirlo… In questa concezione dunque il
luogo della prova metafisica dell’esistenza di Dio, la relazione essenziale tra ciò che è ‘ab alio’ e ciò che è ‘a se’, del finito e
dell’infinito, è direttamente impresso nell’atto il cui ‘immediato’ oggetto è Dio in quanto Dio. (…) Le cosiddette ‘prove
dell’esistenza di Dio’ sono soltanto l’elaborazione riflessa in senso scientifico di questo fondamento conoscitivo dell’‘analogia
entis’.»
18 E. Voegelin, Lettera ad Alfred Schutz, in Anamnesis, Zur Theorie der Geschichte und Politik, R. Riper & co. Verlag,
München, 1966, tr. it. di C. Almirante, Anamnesis. Teoria della storia e della politica, Giuffré, Milano 1972, pp. 27-28.
Cursoriamente noteremo che i tre «significati», uno fra i quali Voegelin si sente in diritto di reintegrare nella memoria fatiscente della
modernità gnostica, si connettono nel tripolo metafisicamente armonico ed esperienzialmente dinamico che sin dal primo articolo lo
scienziato politico aveva dimostrato di porre al centro delle sue riflessioni.

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»Was denn ist, wenn nicht weil Du bist« [Conf. XI 5;7]. Und darum »ist« der Mensch,
indem er, »sich weghebend von sich selbst« [Serm. 169 9;11], mit seinem ganzen Leben in
Gott hinein verschaut ist: »dann ‚ist’ er, wann er Gott schaut« [Enarr. in Ps. 121;8]. So wird
das Nichts seines steten Übergangs von Vergangen zu Künftig ein Übergang vor Gott und
durch Gott» 19
«The center of consciousness I found to be the experience of participation, meaning
thereby the reality of being in contact with reality outside myself. (…) If man were not
consubstantial with the reality that he experiences, he could not experience it. (…) I found
that the same type of analysis had been conducted on a much vaster scale by Plato, resulting
in his concept of the metaxy – the In-Between. The experience is neither in the subject nor
in the world of objects but In-Between, and that means In-Between the two poles of man
and of the reality that he experiences» 20
Ora che l’influenza przywariana prende a delinearsi come una presenza nutritiva nei paraggi di
tutte o quasi le parole chiave che conducono al cuore dell’opera di Voegelin, non può stupirci il
fatto che sempre in Christliche Existenz questa costituzione della persona umana e della comunità di
persone come ricettività rispetto alla grazia, sia posta in palese relazione con la comunità intesa
come organismo e la funzione metafisico-politica della rappresentanza:
«Das je einzelne Geschöpf ist nicht dazu da, entweder das All um sich und in sich zu
zentrieren oder als das Nichts der eigenen Leere dazuliegen. Sondern gerade der
»Mikrokosmos«, den der Mensch in seiner inneren Spanne zwischen Geist und Stoff
darstellt, ist, wie Thomas von Aquin sagt, ein »gleichsam All« nur »gemäß Sinnlichkeit und
Verstand« [S. Th. 1 q. 80 a 1 corp], d.h. in der leidentlichen Weise des Geformtwerdens, die
gerade im Geistesleben des Menschen ihren Höhepunkt hat, das im Vergleich zum reinen
Geist eine restlose Leidentlichkeit ist, nach Art der »materia prima« [S. Th. 1 q. 14 a 2 ad 3],
und in seinem relativ Schöpferischen gerade in die materiellen Dinge gebunden ist, der
Enthüllung ihres reinen Wesens [in der Ab-straktion] zu dienen [S. Th. q. 79 a 4 ad 4]. So
heißt Totalität des Menschen das restlose Hinzu zur Totalität der Gemeinschaft und so zur
Totalität des All. (…)Vor dem Deus Totus steht mithin eigentlichst die Totalität der
Gemeinschaft der Geschöpfe, so sehr, daß »Gott ein jedes Geschöpf machte im Maß
angepaßt dem All, das zu machen Er verfügte« [S. Th. 1 q. 56 a 2 ad 4], daß darum dem
»Gut des All« als dem »Gut der Ordnung« »alle Geschöpfe unterliegen, weil sie von Gott
hervorgebracht sind« [De malo q. 16 a 9 corp.]. »Ordnung zum All« und »Ordnung zu
Gott« sind so eng zu einander, daß nicht nur »die Ordnung der Teile des All zu einander
durch die Ordnung des All-Ganzen zu Gott ist« [De potentia q. 7 a 9 corp.], sondern auch
»Gott…das All der Geschöpfe will seiner selbst willen, wenngleich Er es auch Seiner Selbst
willen wesen will« [De potentia q. 5 a 4 corp.]. Auch noch der in sich-selbst all-hafte Geist
ist zuletzt gliedhaft fremdzwecklich zur Einen Totalität der Gemeinschaft des All. Nur
dieses totale All selber verschwimmt geheimnisvoll mit der Einen Selbstzwecklichkeit des
Deus Totus. Und darum ist nicht das der Sinn des Menschen, negativ ernüchtert zu werden
und sachlich und erdhaft: aus dem angemaßten Bewußtsein souveräner innerer Ganzheit in
die Wahrheit des Stückseins und Leer-seins und Ausgeliefert-seins des »reinen Gliedes«.
19 E. Przywara, Christliche Existenz, Jakob Hegner, Leipzig 1934, p. 24: «Proprio perchè l’esistenza della creatura è in se stessa
«nulla», è possibile unicamente un esistere a partire da «sopra di sé»: a partire da Dio. «L’uomo in se stesso», dice Agostino, «non
è…se non nella misura in cui partecipa di Colui che è colui che è» [«Quia homo in se non est: mutatur enim et vertitur, si non
participet eius qui est idipsum»], Enarr. in Psalmos 121.8». «Che cosa mai esiste, se non perché Tu esisti?» [«Quid enim est, nisi
quia tu es?»], Conf. XI 5.7. E l’uomo è solo in virtù di ciò, ossia per il fatto che «innalzandosi al di sopra di sé» [«Tolle, inquam…te
a te»], Sermo 169, 9.11, con tutta la sua vita si fissa amorosamente nella contemplazione di Dio; «egli è quando vede Dio» [«Tunc
est, quando videt Deum.»], Enarr. in Ps. 121.8. In tal modo il niente del suo continuo trapassare dal passato al futuro diventa un
trascendere attraverso Dio e davanti a Dio.» [tr.ns.] È forse da riguardarsi come semplice coincidenza il fatto che l’Enarratio sul
Salmo 121 applica questa ontologia del vedere mistico e della ricettività rispetto alla grazia non all’esperienza del raccoglimento
individuale, ma all’esistenza dentro la storia sacra dell’Israele storico, comunità sovrana, almeno per un certo tempo, ed
escatologicamente orientata, ma anche – e come può essere diversamente in piena età dell’esegesi figurale? – figura di quel corpo
mistico la cui dapprima fiorente e poi massacrata auctoritas rappresentativa forma il Grundthema di Voegelin da Die politischen
Religionen fino alle ultime righe che scrisse alle soglie della morte?
20 E. Voegelin, Autobiographical reflections, cit., p. 98.

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(…) Es gilt vielmehr das restlose Aufgehen in die Fülle der Totalität, daß alles Sichregen
von Auge, Ohr, Hand, Fuß das jeweilige Jetzt-Hier dieser Totalität sei. In diesem restlosen
Aufgehen in das totale All der Gemeinschaft wird das einzelne Glied dann das repräsentierende
Jetzt-Hier des totalen »Gott alles in allem«.» 21
In questa sintesi tra esistenza storico-analogica della persona, espressa in termini schiettamente
tomistici, ed estensione del concetto di comunità organico-sociale al tutto dell’ente, si coagula forse
in molti dei suoi elementi l’idea, quasi un’insegna di tutto il Voegelin maturo, dell’uomo come
centro dell’ordine cosmologico e poi storico-escatologico, un centro aperto alla trascendenza –
dunque nella forma insieme politico-mistica del corpo e politico-antropologica del microcosmo (di
cui il macroantropo evocato in The New Science of Politics non è per così dire che il rovescio
differenziato) –. L’attenzione di Voegelin per Whitehead è decisamente coerente con la
riconsiderazione della rappresentanza esistenziale quale la Summa theologica l’ha declinata per
bocca di Erich Przywara:
«The epochal occasions are the primary units of the actual community, and the community
is composed of the units. But each unit has in its nature a reference to every other member
of the community, so that each unit is a microcosm representing in itself the entire allinclusive
universe. (…) These epochal occasions are the creatures. The reason for the
temporal character of the actual world can now be given by reference to the creativity and
the creatures. For the creativity is not separable from its creatures. Thus the creatures remain
with the creativity. Accordingly, the creativity for a creature becomes the creativity with the
creature, and thereby passes into another phase of itself. It is now the creativity for a new
creature.» 22
«God and man, world and society form a primordial community of being. The
community with its quaternarian structure is, and is not, a datum of human experience. It is
a datum of experience insofar as it is known to man by virtue of his participation in the
mystery of its being. It is not a datum of experience insofar as it is not given in the manner
of an object of the external world but it is knowable only from the perspective of
participation in it. (…) man is not a self-contained spectator. He is an actor, playing a part in
the drama of being and, through the brute fact of his existence, committed to play it without
knowing what it is. (…) There is no vantage point outside existence from which its meaning
can be viewed and a course of action charted according to a plan, nor is there a blessed
island to which man can withdraw in order to recapture his self. The role of existence must
21 E. Przywara, Christliche Existenz, cit., p. 34 e pp. 36-37: «La creatura in quanto singola non esiste allo scopo di centrare il
Tutto intorno a sé e dentro di sé o di sprofondare come un nulla nel proprio vuoto. Al contrario, proprio il “Microcosmo” che l’uomo
mostra di essere nella sua dis-tensione tra spirito e materia, è, come dice Tommaso d’Aquino, «in certo qual modo un Tutto» solo
«secondo la sensibilità e l’intelletto» [Summa Theol. 1 q. 80 a 1 corp.], e cioè secondo la guisa passiva dell’essere-formato, la quale
ha il suo culmine nella vita spirituale dell’uomo, vita spirituale che rispetto allo spirito puro è un’incessante passività, al modo della
«materia prima» [S. Th. 1 q. 14 a 2 ad 3], e nella sua relativa capacità di creazione è avvinta alle cose materiali proprio per prestare
servizio alla rivelazione della loro essenza pura (nell’astrazione) [S. Th. q. 79 a 4 ad 4]. Così a meritare il nome di totalità dell’uomo
è l’incessante slancio verso la totalità della comunità e quindi del Tutto. (…) Davanti al Deus Totus si leva dunque nella sua essenza
autentica la totalità della comunità delle creature, a tal punto che ‘Dio fece ogni singola creatura ordinata al Tutto che Egli aveva
deciso di creare’ [Summa Theol. 1 q. 56 a 2 ad 4], e che perciò tutte le creature sottostanno al ‘bene del Tutto’ come ‘bene
dell’ordine’, dal momento che le creature sono state ‘tratte all’esistenza per opera di Dio’ [De malo q. 16 ad 9 corp.]. ‘Essere ordinati
al Tutto’ ed ‘essere ordinati a Dio’ sono così strettamente legati, che non solo ‘l’ordine delle parti l’una rispetto all’altra si produce in
virtù dell’ordine della totalità completa a Dio’ [De potentia q. 7 a 9 corp.], ma è non meno vero che ‘Dio…vuole la totalità delle
creature come un fine in se stessa, benché Egli voglia che quella esista anche rispetto a Se stesso come fine ultimo’ [De potentia q. 5
a 4 corp.]. Inoltre, anche lo spirito, che in se stesso è una totalità coerente, è in ultimo ordinato secondo varie parti in vista della sola
totalità, quella della comunità di tutto ciò che esiste. Soltanto questo Tutto totale è destinato a confluire unitivamente nell’unica e sola
autotelìa, quella del Deus totus. È per questo che il significato dell’uomo non è quello di essere sobrio, concreto e coi piedi per terra
in un senso negativo e rinunciatario: di scendere dall’adeguata coscienza della propria totalità interiore sovrana nella verità dell’esser
solo un lacerto, un vuoto, consegnato al ruolo di «membro» e niente più. (…) Ben maggior valore ha l’incessante spalancarsi alla
pienezza della totalità, in modo che ogni sollecitazione dell’occhio, dell’orecchio, della mano, del piede, sia il qui-ed-ora di questa
totalità. In questo incessante spalancarsi verso l’alto, nel Tutto totale della comunità, il singolo membro diviene allora il qui-ed-ora
rappresentativo del totale «Dio che è tutto in tutti» ». [tr.ns.]
22 Alfred North Whitehead, Religion in the making. Lowell Lectures 1926, Cambridge University Press 1926 1 , 1930 4 , p. 79.

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be played in uncertainty of its meaning, as an adventure of decision on the edge of freedom
and necessity.» 23
Il pensiero della creaturalità e della polarità che Przywara costruisce nei testi apparsi tra gli anni
Venti e gli anni Trenta del '900 è con ogni probabilità operante in Voegelin sia molto prima che
molto dopo il pur significativo riconoscimento tributatogli in Die politischen Religionen. Siamo in
grado a questo punto di meglio apprezzare nella sua genesi la rilevanza che i nuclei del pensiero
przywariano assumono in quest’opera di svolta, nella quale il concetto di Religion è messo a fuoco
con queste parole:
«Man experiences his existence as being natural (kreatürlich) and, therefore, questionable.
Somewhere in his innermost self, at the navel of his soul, at the place where his soul is
linked to the cosmos, this question keeps tugging at him. (…) The large number of
fundamental possibilities and the infinitude of historically concrete instances that become
apparent are linked with attempts at self-interpretation, including all the misunderstandings
and misrepresentations arising in the course of this struggle to form an inexhaustible supply
of experiences as well as rationalizations and systematizations of such experiences. For one
the gates of existence stand wide open, granting a view of the levels of being that range
from inanimate nature to God; the world unfolds itself to him, the rational relations between
its contents become apparent, and they form and order of being in which the levels of being
are classified in a hierarchy, and in response to the question as to the reason of being they
form an order of creation. A maximum of absorption of reality is combined with the
maximum of rationality in the order and interrelationship, and it is crowned by the perfect
dogmatic development of the spiritual-religious experience in terms of an idea of God, such
as that developed in the Occident in the analogia entis. For others, only scanty glimpses of
reality are granted, perhaps only one single view: of nature, a great person, one’s people,
mankind – what such a person sees becomes the realissimum, the paramount reality; in fact,
it takes the place of God and, thus, hides all else also, and above all, God.» 24
Le esperienze “chiuse” e parziali del divino coincidono al millimetro con i quattro tipi
dell’esperienza religiosa non equilibrati che Przywara ricavava in Religionsphilosophie katholischer
Theologie dalle rotture della tensione del tripolo creaturale nell’elasticità trascendenza-immanenza.
Questi tipi si producevano travolgendo, per eccesso o per difetto, l’incrocio equilibrato (Kreuzung,
che in Przywara, esegeta di Sant’Ignazio, mai dismette la propria pregnanza di simbolo ascetico) tra
le due polarità dell’Io: trascendenza-immanenza (a livello trascendentale) e io-comunità (a livello
individual-concreto). Queste forme smisurate sono: tipo del sentimento dell’infinito, sfociante nella
divinizzazione della natura; tipo della trascendenza oggettivata, sfociante nella divinizzazione
dell’idealismo culturale; tipo della trascendentalità, sfociante nel culto di un’umanità soggetto di un
progresso assolutizzato; tipo dell'assolutizzazione dell’esperienza individuale, sfociante nel culto
dell’individualità eroica 25 . Anche Voegelin contrappone alle esperienze parziali del divino il
raggiunto equilibrio e la completezza ordinata dell’analogia entis: proprio la formula tommasiana, e
poi scolastica, che Przywara aveva eretto ad insegna della sua filosofia polare.
23
E. Voegelin, in CW, vol. 14 Order and History. I. Israel and the Revelation, University of Missouri Press, Baton Rouge
2001, p. 39.
24
E. Voegelin, The political religions, in CW, vol. 5 Modernity without restraint, University of Missouri Press, Columbia and
London, 2000, p. 30 e pp. 31-32. Segnaliamo soltanto l’involontario ma non per questo meno profondo effetto d’inganno che
scaturisce dalla traduzione del przywariano e patristico kreatürlich con il termine natural, per certi versi opposto, se si pensa alla
nozione di natura nelle scienze dette “naturali”.
25
E. Przywara, Religionsphilosophie katholischer Theologie, in Handbuch der Philosophie, Oldenbourg, München und Berlin
1925. Cito da Id., Schriften, IIes Band Religionsphilosophische Schriften, Johannes Verlag, Einsiedeln 1962, pp. 389-393, in un
paragrafo intitolato significativamente “Religion vom Bewußtsein des konkreten Ich aus” [“Religione a partire dalla coscienza
dell’Io concreto”]. Storicamente è interessante che a questo Handbuch der Philosophie abbiano collaborato anche altre auctoritates
di sicuro influsso su Voegelin, come Alois Dempf, e addirittura il suo influente maestro Othmar Spann.

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Continuando a far perno con lo spirito sulla Kreuzung delle polarità fondamentali, Przywara
giungerà a formulare la personalità individuale, comunitaria ed escatologica che costruisce la storia
della grazia in azione, in termini esplicitamente cristologici:
«Weil Christus weder, theopanistisch…»vermenschlichter Gott ist«…noch,
pantheistisch…» vergöttlichter Mensch «…sondern (wiederum in Weiterbau der
Transzendenz-Immanenz Polarität) Gott-Mensch, d.h. Person-Einheit wesenhafter Gottheit
und wesenhafter Menschheit und damit in weiterer Folge…die» Anakephalaiosis pantôn»,
d.h. Person-Einheit …, also (in Folgerichtigkeit des eben behandelten Verhältnisses von
Ich-Gemeinschaft zu Gott als dem in ihrer unversehrten Spannung sich offenbarenden
Jenseits ihrer) Person Einheit unvermischten Ich-Gemeinschaft-Jenseits Gottes und
unvermischter Ich-Gemeinschaft-Spannung der Schöpfung…- so zeigt sich uns, gegenüber
Ich-vergötzung eines individualen» Christus in mir «wie gegenüber Gemeinschaft-
Vergötzung eines kollektiven» Haupt und Leib Ein Christus «das spannungshafte Sowohlals-auch
als die Lösung. Gott der Seele und Gott der Gemeinschaft.» 26
Proseguendolo in un’eco feconda, in eroica lotta contro il common sense egofanico della
pseudorealtà ostile alla ricerca ed alla grazia che siamo, Eric Voegelin potrà scrivere:
«…a new Christian philosophy of history and of mythical symbols that would make
intelligible, firstly, the new dimension of meaning which has accrued to the historical
existence of Christianity through the fact that the Church has survived two civilizations; and
that would make intelligible, secondly, the myth as an objective language for the expression
of a transcendental irruption, more adequate and exact as an instrument of expression than
any rational system of symbols, not to be misunderstood in a literalism which results from
opacity nor reduced to an experiential level of psychology. Obviously it is a task that would
require a new Thomas rather than a neo-Thomist» 27
«The symbolism of incarnation would express the experience, with a date in history, of
God reaching into man and revealing him as the Presence that is the flow of presence from
the beginning of the world to its end. History is Christ written large.» 28
26
E. Przywara, Gott. Fünf Vorträge über das religionsphilosophische Problem, Oratoriums-Verlag, Köln-München 1926, p.
101: «Poiché Dio non è, teopanisticamente …» Dio umanato «…e non è neppure, panteisticamente…uomo divinizzato…ma è al
contrario (ancora una volta come sviluppo coerente della polarità immanenza-trascendenza) Dio-Uomo, ossia Unità-nella-Persona di
Divinità essenziale e Umanità essenziale, ed è pertanto, secondo logica conclusione…la Anakephalaiosis panton [la ricapitolazione
di tutte le cose – ndr], ossia Unità-nella-Persona…e quindi (in accordo con la relazione del plesso Io-Comunità con Dio, or ora da noi
chiarificata come Oltre che si manifesta nella tensione pienamente dispiegata dei due poli del plesso) Unità personificata di integra
trascendenza di Dio rispetto all’Io e alla Comunità e integra tensione Io-Comunità interna alla creazione,… - ci si mostra dunque che,
di contro all’idolatria dell’io di un» Cristo in me «individuale non meno che di contro all’idolatria della comunità di un» Cristo capo
e corpo «collettivo, la soluzione è l’et-et carico di tutte le sue tensioni. Dio dell’anima e Dio della comunità» [tr.ns.]. Non sfugga la
celebre formula cristocentrica di Ireneo di Lione; si noti che questa sigla cristologica, perno dell’antidocetismo e dell’antiarianesimo
per diversi secoli a venire, punta l’attenzione sul padre della chiesa greco, ma attivo in Occidente, protagonista della polemica
antignostica, il medesimo cui è dedicata la monografia a firma di Hans Urs von Balthasar, Irenäeus. Die Geduld des Reifens, G.
Schwabe, Klosterberg 1943, che ha l’onore di una citazione come fonte essenziale in E. Voegelin, Gnostische Politik, Merkur 6, n. 4
(1952), tr. ingl. in CW, vol. 10 Published Essays 1940-1952, University of Missouri Press, Columbia and London, 2000, p. 223, nota
1.
27
E. Voegelin, From Enlightenment to Revolution, Duke University Press, Durham 1975, p.21.
28
E. Voegelin, Immortality: Experience and Symbol in CW, vol. 12 Published Essays 1966-1985, Louisiana State University
Press, 1990, p. 78.