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Rivista culturale bimestrale gratuita fondata nel 2004 - pubblicazione dell’associazione “Il Carro”
L’
Atipico N.28 - ANNO V - MARZO APRILE 2009
L’acqua
Diritto umano fondamentale
e risorsa di sviluppo
Gli angeli del fango
Oro blu
I giorni del duca
Effetti collaterali
l’atipico - 1

INTRO
L’acqua: storie di uomini,
di corsi e di ricorsi
l’atipico - 2
Lucia Romizzi
C i perdiamo nei giri di domande senza risposte, nelle nostre ipocrisie private, in quell’egoismo
e in quella smania di apparire che sembrano le nostre uniche ragioni di vita. Soffochiamo ogni
giorno la nostra coscienza, ci accontentiamo del nostro piccolo mondo ‘perfetto’ ed abbiamo paura
di guardare al di là. L’impegno ci spaventa, l’ideale diventa utopia, e spesso ci dimentichiamo che
anche una parola, un’azione, un piccolo progetto che mira a cambiare la triste realtà di questi anni
non è una goccia che si perde nell’oceano ma la goccia che contribuisce a formare l’oceano.
Per secoli abbiamo distrutto le montagne, abbiamo trasformato le foreste in deserti inospitali,
abbiamo deviato i fiumi, abbiamo inquinato, senza alcuna cura né per l’ambiente attorno a noi
né per gli altri uomini che ci avrebbero sostituito nel palcoscenico del mondo. Abbiamo avuto la
pretesa di ingabbiare la natura nel nostro cieco intento di trasformarla secondo i nostri capricci
e i nostri interessi economici. E se in molte regioni del mondo oggi si muore di fame, di sete, di
Aids, se intere popolazioni sono cancellate da morbi di cui esiste il vaccino o sono sterminate dalle
guerre civili, questo a volte non sembra riguardarci. Ci meravigliamo che ci siano tracce di acqua
in altri corpi celesti del Sistema Solare, ma poi distruggiamo e contaminiamo senza ritegno questa
preziosa risorsa di vita, indispensabile alla vita dell’uomo e che c’è sulla nostra Terra. Siamo
consapevoli (la recente crisi lo insegna) che le risorse del pianeta non sono inesauribili, ed è ben
noto che le riserve di acqua, dopo quelle di petrolio, saranno le prossime a scarseggiare. Ma ci si
immagina che tutto scorra via (pànta rèi), come diceva il filosofo Eraclito, che questi problemi non
ci tocchino. Soprattutto non tocchino l’evoluto e raffinato mondo occidentale. Si ha presunzione di
chi pensa di poter impunemente dominare il mondo. Ma la terra si sta ribellando a quel minuscolo
essere che si illude di gestire la ‘stanza dei bottoni’. I ghiacci si stanno sciogliendo, l’innalzamento
del livello del mare nei prossimi decenni eroderà intere coste e renderà inabitabili alcune tra le
più importanti città del mondo. L’acqua imbrigliata si è già ribellata (e l’orrore del Vajont ne è solo
un esempio), la rete idrografica si è rarefatta, la desertificazione avanza inarrestabile e, anche nelle
regioni più ricche di fiumi, le chiare, fresche e dolci acque di petrarchesca memoria sono ormai un
ricordo poetico. Corsi d’acqua, laghi e mari inquinati, interi ecosistemi distrutti, numerose specie
viventi estinte.
E’ come se l’acqua, da sempre connotata della valenza simbolica di purificazione, poiché è oggi spogliata
della sua purezza originaria e vivificante, porti ormai in sé il segno del degrado della nostra
società, assieme agli scarichi delle città e delle industrie, scorie di una civiltà progredita solo nelle
forme. Non è un caso che nei più antichi patrimoni leggendari è il diluvio ad attuare una catarsi ed
una rigenerazione della società umana. Non è un caso che nei racconti sulla fine del mondo siano
i due principali elementi che lo costituiscono, l’acqua ed il fuoco, i mezzi con cui l’uomo è punito.
Ma non aspettiamo le lingue di fuoco o le piogge battenti ed avvelenate dell’Apocalisse, cristiana

o laica che sia. Non attendiamo neppure che
un uomo più folle di tutti gli altri collochi
una bomba al centro della terra, a seguito
della quale il nostro mondo, tornato allo stato
di nebulosa, cominci a vagare nell’universo
privo di malattie e di parassiti, secondo
la profezia di Svevo ne La coscienza di Zeno
(1923). Non chiudiamoci nelle paranoie dei
nostri ‘inferni privati’ o nella tranquillità rassicurante
dei percorsi già noti. Ribelliamoci
invece al disimpegno, alla superficialità e alla
paura, cerchiamo di lasciare una traccia significativa
della nostra vita sottraendola alle
tenebre dell’indifferenza. Partiamo dal nostro
quotidiano ed investiamo il nostro tempo e
la nostra azione, per bloccare questa oscura
corsa alla distruzione della Terra, che vuol
dire anche distruzione di noi stessi. Per fare
questo, affinché i risultati siano concreti, occorre
però una imprescindibile base di partenza:
una coesione reale tra di noi, una comunanza
di intenti, una coscienza civile, una
solidarietà di azione possibili soltanto in un
mondo di uomini liberi, resi liberi dal recupero
dei valori umani e sociali spesso inquinati
o dimenticati, dal rifiuto dei pregiudizi, dalla
lotta a quelle convenzioni ipocrite che sono il
male più atroce del nostro quotidiano. Solo il
rifiuto di una logica individualistica e l’attuazione
di progetti comuni daranno un senso a
quelle gocce gettate nell’oceano. Che oceano
diventeranno.
In questo mese di marzo in cui si è tenuto a
Istanbul un Forum internazionale per discutere
se l’acqua sia un diritto o una necessità, i
collaboratori dell’Atipico si sono cimentati in
un tema di grande complessità come quello
dell’acqua, affrontandolo da una molteplicità
di punti di vista e producendo un puzzle, a
mio avviso, ricco e stimolante sulla questione.
Un grazie particolare va inoltre a Enrico
“Erriquez” Greppi della Bandabardò, il cui assiduo
impegno in progetti per portare l’acqua
nel Terzo Mondo è ben noto e che ci ha
voluto omaggiare di un bellissimo suo articolo.
Casualmente e significativamente, anche i
pezzi non dedicati all’acqua sviluppano o richiamano
temi collaterali agli articoli tematici,
in un mosaico variegato ma omogeneo in
cui ogni tessera è un’unità e al tempo stesso
apre una finestra su un ordito più ampio.
SOMMARIO N. 28
2 - Intro • Lucia Romizzi
L’acqua
4 - Acqua: diritto umano fondamentale...
• Annibale Ferrini
8 - Faccio acqua da tutte le parti • Charlie Del Buono
9 - Il diluvio universale • Stefano Meacci
10 - Gocce di piacere • Lucia Romizzi
12 - L’acqua e l’orgoglio: gli angeli del fango
• Matteo Sordi
14 - Acqua: fonte di vita.... • Alessandro Bonin
15 - La compagna di viaggio • Fabio Cianini
16 - Oro blu • Cristian Gallorini
18 - Catartico Pomonte • Sara Montigiani
20 - L’acqua nell’universo • Alessandro Mazzetti
22 - Se c’è una cosa che mi fa tanto male....
• Enrico “Erriquez” Greppi
Ricerca e territorio
24 - I giorni del duca • Lorenzo Giommarelli
26 - Qualcosa d’importante • Marta Sordi
...
28 - Il futuro è stato scritto • Francesca Dini
30 - Billie The Vision: una piacevole scoperta
• Davide Astolfi
Effetti collaterali
32 - Conto alla rovescia • Alessandro Berrettoni
33 - Per chi viaggia in direzione... • Benedetta Nocentini
Nel mio i-pod
34 - Ho combattuto la legge • Charlie Del Buono
Roba da fasciani
36 - Un bicchiere d’acqua non si nega a nessuno...
• Riccardo Meacci
39 - Appuntamenti e segnalazioni
l’atipico - 3

L’acqua. Diritto umano
fondamentale e risorsa di
sviluppo
Sebbene alcuni passi in avanti siano stati fatti nella definizione di politiche di sviluppo legate all’acqua
e si sia ribadita l’inderogabile urgenza del dibattito anche a seguito dei cambiamenti climatici,
siamo rimasti delusi anche stavolta. O forse no.
La buona notizia arriva dal Forum Alternativo sull’Acqua, in corso negli stessi giorni all’Università
di Bigil ad Istanbul. Al motto “Un’altra gestione dell’acqua è possibile”, il forum organizzato dal
World Water Council to the Peoples ha visto la partecipazione di delegazioni ufficiali di 20 Paesi
e anche di membri delle Nazioni Unite fianco a fianco con i rappresentanti della società civile
globale, contadini, indigeni, attivisti, movimenti sociali, sindacati e ONG che hanno delegittimato
il forum più titolato e sponsorizzato da interessi privati (vedi Aquafed). I partecipanti, tra cui le
delegazioni governative di Bangladesh, Benin, Bolivia, Ciad, Cile, Cuba, Ecuador, Etiopia, Guatemala,
Honduras, Marocco, Namibia, Niger, Panama, Paraguay, Sudafrica, Spagna (si è redenta, era uno
dei Paesi promotori della privatizzazione), Sri Lanka, Uruguay e Venezuela, hanno sottoscritto una
contro-dichiarazione che ricalca la “Dichiarazione Congiunta dei movimenti in difesa dell’acqua”
firmata nel 2006 in Messico. Il documento denuncia il testo ministeriale ufficiale che non riconosce
l’acqua come diritto umano universale e non lo esclude dai trattati del commercio globale. In
più non viene dichiarato il fallimento della privatizzazione per garantire l’accesso all’acqua per
tutti, si promuove la realizzazione di dighe per la produzione di energia idroelettrica e l’aumento
della produzione di biocarburanti da coltivazioni, che portano entrambi a maggiori ineguaglianze
e ingiustizia.
Nel 2002 il Comitato ONU per i Diritti Economici, Sociali e Culturali ha rilasciato il General Comment
15 (GC15) che ha segnato una svolta nell’interpretazione degli obblighi di rispetto dei diritti
umani degli Stati membri. Vi si afferma che “l’acqua è una risorsa naturale limitata ed un bene
pubblico fondamentale per la vita e la salute. Il diritto umano alla salute è indispensabile per condurre
una vita dignitosa ed è un prerequisito per la realizzazione dei diritti umani”. Il G15 ha dato
al diritto all’acqua una base legale fino ad allora inesistente, che ha reso il tema impossible da
ignorare ed ha costretto anche i Paesi promotori della privatizzazione a rivedere la loro posizione.
Certo, i poteri economici e politici in ballo sono enormi e la diplomazia del diritto internazionale
si muove a piccoli passi, ma sempre avanti.
l’atipico - 4
Annibale Ferrini
“L’acqua in tutte le sue forme è un bene comune e l’accesso all’acqua è un diritto
umano fondamentale e inalienabile”. Questa era la dichiarazione che si attende-
va dal V Forum Mondiale sull’acqua (WWForum) tenutosi ad Istanbul dal 15 al 22
marzo 2009 e a cui hanno partecipato rappresentanti da 120 Paesi del mondo e 80
delegazioni ministeriali ufficiali.

Sotto la pressione della crisi economica e del riscaldamento globale, si sta tornando ad una politica
delle grandi dighe non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche in Europa. Nel 1994 duemila ONG
sottoscrissero la dichiarazione di Manibeli per la messa al bando del piano mondiale di costruzione
di dighe promosso dalla Banca Mondiale. Al momento della pubblicazione del Protocollo di
Kyoto, nel 1997, la condanna delle dighe era pressocchè unanime nel mondo. Oggi alcune grandi
organizzazioni ambientaliste, come il WWF in Cina, affiancano le autorità governative per scegliere
i luoghi a minor impatto ambientale dove costruire nuove dighe. Il numero di nuove dighe che
vengono costruite nel mondo è tornato a salire fino a 250 all’anno. Senza nulla togliere agli sforzi
del WWF per promuovere uno sviluppo sostenibile, se nell’Occidente l’opposizione alle dighe si affievolisce,
nei Paesi in via di Sviluppo diventa ancora più facile per i costruttori ignorarne i pericoli
e trovare Paesi finanziatori senza troppi scrupoli (vedi Brasile, India e Cina soprattutto in Africa).
“Negli ultimi 20 anni la Banca Mondiale e le altre banche regionali per lo sviluppo hanno promosso
un modello di privatizzazione dell’acqua nel Sud del mondo che si è dimostrato fallimentare. - ha
dichiarato Maude Barlow, fondatrice di Blue Planet Project, un’organizzazione che si batte per il
diritto all’acqua - Prezzi alti, l’esclusione dei poveri, i servizi ridotti, promesse non mantenute e
l’inquinamento sono state l’eredità della privatizzazione. I nuovi investimenti promessi dal settore
privato non sono mai stati attuati. E anzi le grandi multinazionali dell’acqua influenzano le decisioni
politiche che regolano la fornitura nelle comunità e addirittura in interi Paesi (cfr. Pipe dreams
Report)”.
Definire l’acqua come un diritto umano fondamentale invece che una necessità ha delle implicazioni
economiche, giuridiche, sociali e culturali di importanza globale. Può costituire la base per
l’avvio di una piattaforma legale per un sistema di distribuzione equo, nel rispetto delle risorse
naturali, fornendo uno strumento al cittadino per rendere il proprio governo responsabile. E questo
non piace a molti governi.
L’America Latina si è fatta capofila di una controtendenza. Dopo l’Uruguay nel 2004, anche l’Ecuador
nel settembre 2008 e la Bolivia all’inizio di marzo hanno adottato nuove Costituzioni che tutelano
esplicitamente il diritto fondamentale all’acqua. Nel 1996 il Sudafrica ha adottato una delle pi
moderne Costituzioni al mondo, che garantisce l’accesso a “sufficiente acqua pulita” come diritto
fondamentale. Questo ha portato nel 2006, a seguito di azioni legali da parte di cittadini a cui era
stata bloccata la fornitura d’acqua per ragioni amministrative, a dichiarare la sospensione della
fornitura ‘incostituzionale’. I tribunali sudafricani hanno determinato che ad ogni famiglia devono
essere garantiti almeno 6mila litri di acqua al mese, anche se non possono pagarli.
Ci sono poi ragioni di geopolitica internazionale dietro al rifiuto di alcuni Paesi di riconoscere l’acqua
come diritto fondamentale. Nello specifico la paura di dover dividere le proprie risorse idriche
con Paesi limitrofi. Non per niente le Nazioni Unite hanno dato come tema a quest’edizione del
forum “Costruire ponti sulle divisioni dell’acqua”.
Circa un miliardo di persone attualmente non ha accesso ad acqua potabile ed altri 2 miliardi e
mezzo non dispongono di servizi igienici pubblici. E come spesso accade, sono le donne i soggetti
più colpiti dalla mancanza d’acqua, dato che si fanno carico della maggior parte dei bisogni della
famiglia quali l’igiene, il cucinare, trovare l’acqua, prendersi cura dei bambini e dei malati. Questi
doveri le espongono a molti rischi, malattie, violenze in zone di conflitto, spesso impedendo loro
di andare a scuola o di trovarsi un lavoro. Secondo uno studio dell’UNICEF, nei Paesi in Via di Sviluppo
le donne camminano in media 6 chilometri al giorno portando 20 litri d’acqua.
L’accesso inadeguato all’acqua, ai servizi igienici e la scarsa igiene sono la seconda causa di morte
dei bambini, dopo la malnutrizione (quasi 2 milioni di bambini morti all’anno). Il rapporto Environmental
Outlook 2030 dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE)
ha stimato che nel 2030 quasi il 50% della popolazione mondiale soffrirà di scarsità d’acqua, senza
considerare gli effetti del cambiamento climatico.
Il giro di affari legato all’acqua nel mondo si attesta intorno ai 50 miliardi di dollari. Sarebbero
sufficienti 11.3 miliardi di dollari all’anno per raggiungere uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio
(ONU), che punta a dimezzare entro il 2015 i 2.6 miliardi di persone che vivono oggi senza
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un’adeguata fornitura d’acqua e di servizi igienici (Unicef).
Nel rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente “Water resources accross Europe”, pubblicato
all’inizio di quest’anno, si legge che in Europa la produzione di energia è responsabile dell’utilizzo
del 44% dell’acqua disponibile, principalmente utilizzata come acqua di raffreddamento. Il 24%
utilizzata in agricoltura, il 21% per la fornitura pubblica e l’11% per scopi industriali. Tuttavia il quadro
generale maschera alcune sostanziali differenze regionali. Nell’Europa Meridionale per esempio,
Italia inclusa, l’agricoltura conta per più della metà dei consumi nazionali d’acqua, con punte
fino all’80%. La sostanziale differenza tra l’utilizzo per la produzione di energia e per usi agricoli
che nel primo caso quasi il 100% viene recuperato, mentre nell’altro solo il 30%. Il turismo, sempre
soprattutto nelle aree meridionali, fa la sua parte aumentando vertiginosamente il consumo nel
periodo estivo. Una comunicazione della Commissione Europea del 2007 ha stimato che almeno
l’11% della popolazione europea e il 17% del territorio sono stati affetti da scarsità d’acqua, calcolando
il costo della siccità in Europa negli ultimi 30 anni in circa 100 miliardi di euro.
In Italia al solito si rema controcorrente e si privatizza la fornitura d’acqua. L’art. 23_bis del d.l.
122/08, convertito nella Legge n.133/08 che disciplina i servizi pubblici locali di rilevanza economica,
tra cui la fornitura d’acqua, stabilisce che “il conferimento della gestione dei servizi pubblici
locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite”,
espropriando gli Enti locali di qualunque funzione in merito.
Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, che riunisce cittadini, associazioni ed enti locali lotta
per una legge che porti alla ripubblicizzazione dell’acqua.
Il comune di Parigi nel 2009 ha ripubblicizzato il servizio idrico dopo anni di gestione privata da
parte delle maggiori multinazionali dell’acqua europee (Suez e Veolia) e i disastri prodotti dalla
finanziarizzazione.
C’era anche un pezzo d’Umbria al V Water World Forum di Istanbul. Si, perchè la terza edizione del
“Rapporto mondiale dell’ONU sullo Sviluppo dell’Acqua” dal titolo “Water in a Changing World”
presentato in Turchia, è stata redatta a Perugia, dove si trova il WWAP (Water World Assesment
Program), organismo delle Nazioni Unite coordinato dall’UNESCO, che effettua il monitoraggio
dello stato delle acque dolci del pianeta avvalendosi di 24 agenzie dell’ONU e che ha sede presso
il WARREDOC (WAter Resources REsearch and DOcumentation Centre), Centro di Ricerca e Documentazione
sulle Risorse Idriche dell’Università per Stranieri di Perugia. L’attività più importante
del WWAP proprio la produzione del rapporto triennale sullo stato mondiale dell’acqua.
Ma ho scoperto che il WWAP non era l’unico pezzo d’Umbria presente a Istanbul. Infatti c’era
anche lo stand Living Lakes con tanto di delegazione istituzionale guidata dall’assessore regionale
umbro all’ambiente Lamberto Bottini in compagnia di Fiorello Primi, instancabile globetrotter, per
presentare il Piano d’Azione italiano.
Io ho provato a cercare il tanto incensato Piano di Azione di Living Lakes Italia ma non sono riuscito
a trovarlo, almeno on-line (un’altra occasione persa per usare bene la tecnologia telematica, ndr
numero precedente dell’Atipico). Sorvoliamo sul progetto della “Carta delle attività sportive sostenibili”
presentato in rete sul sito www.livinglakesitalia.it Le tracce più recenti risalgono allo scorso
dicembre, quando la Provincia di Perugia, Legambiente, Uisp e Comunità Montana dei Monti del
Trasimeno si sono incontrati con la presidente di Living Lakes internazionale, Marion Hammerl, per
indicare gli obiettivi di fondo della rete italiana dei laghi nel prossimo futuro. Proprio lei invitava
a mettere a punto rapidamente un Piano d’azione tutto italiano per i prossimi tre anni. Eppure nel
comunicato stampa di Living Lakes del 28 marzo si fa riferimento ad “un Piano elaborato ed approvato
recentemente dai partner italiani dopo alcuni mesi di lavoro” che proprio in Turchia “è stato
presentato durante un incontro organizzato dal WWF e a cui hanno partecipato rappresentanti
di 22 Paesi” (cfr. comunicato stampa Living Lakes Italia). Tra gli intenti dell’associazione figurano
azioni legate alle energie rinnovabili, alla compensazione di CO2, alla gestione delle acque e della
siccità, alla protezione e all’aumento della biodiversità attraverso il recupero di spiagge lacuali e
parti poco profonde del lago, la cura della qualità dell’acqua, il recupero di habitat legati all’acqua,
allo sviluppo sostenibile di aree lacuali e all’uso sostenibile delle risorse naturali attraverso gli
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sport acquatici sostenibili, il turismo e l’agricoltura. Senza tralasciare l’educazione ambientale e
l’adattamento al cambiamento climatico. Un programma ambizioso su cui non do giudizi ma mi
permetto una riflessione. Ho dato una rapida letta alle esperienze negli altri Paesi del mondo che
hanno aderito con loro progetti alla rete internazionale di Living Lakes, una rete che veramente si
distingue per aver promosso progetti di sviluppo sostenibile nelle aree legate a bacini d’acqua dolce.
Quello che accomuna tutti quei progetti è il coinvolgimento diretto e partecipato delle comunità
di riferimento, di tutti i soggetti della società civile, delle imprese private, degli enti finanziatori,
delle organizzazioni no-profit, delle associazioni, dei singoli cittadini, anche e soprattutto nella fase
progettuale, di confronto delle idee e di proposta di soluzioni. Mi è sembrata la solita operazione
dall’alto dell’ente pubblico che sale sul treno dei finanziamenti europei, ottenendo fondi senza un
reale progetto di sviluppo che resista nel tempo e porti reale benessere, proteggendo il patrimonio
naturale e culturale che rappresenta la nostra maggior ricchezza. Forse siamo ancora in tempo per
cambiare rotta. L’acqua è per noi in questo caso non solo un diritto fondamentale ma anche una
risorsa naturale che se ben gestita può rappresentare una risorsa economica.
Sembra che i turchi siano rimasti colpiti dalla nostra lotta ai chironomidi e che verranno a studiarne
le strategie alla fine di aprile. Ma resteranno fino ad agosto?
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Faccio acqua da tutte le parti
Chi come me è nato in un luogo adiacente ad uno specchio d’acqua sa quanto questa presenza
sia importante nello sviluppo della propria esistenza. Un uomo che nasce vicino ad un fiume, un
lago oppure di fronte ad uno sterminato mare dovrebbe aver sempre presente l’importanza che ha
l’acqua come elemento imprescindibile di vita. Di questo elemento se ne capisce l’importanza quando
scarseggia per una improvvisa siccità o molto più comunemente quando manca per qualche ora causa
guasto all’acquedotto. Proviamo ad immaginarci il disagio che proviamo quando non possiamo disporre
dell’acqua a nostro piacimento ed amplifichiamo questo disagio a dismisura, in questa maniera possiamo
capire ciò che prova la popolazione di 3/4 della terra che con la carenza d’acqua deve convivere. Colpito
da questa analisi ho cominciato a controllare i miei consumi d’acqua per valutare se io di questo bene
prezioso ne facessi uso responsabile o meno. Il risultato è stato che secondo me “io faccio acqua da
tutte le parti”. Io non sono molto attento al corretto funzionamento del mio impianto idrico domestico
(mi è andata sempre bene perché non ho mai avuto guasti ma questa fortuna non è dipesa affatto dalla
mia attenzione); io le poche volte che lavo la macchina (se ci penso però lavandola quasi mai l’acqua
la risparmio!) lo faccio con il tubo spruzzando acqua qua e la; io quando lavo i denti o faccio la barba
lascio il rubinetto aperto per sciacquare spazzolino o lametta; io lavo piatti e stoviglie sotto l’acqua
corrente. Io in definitiva faccio un uso sconsiderato di questo bene prezioso, e per fortuna che invece
del bagno preferisco fare la doccia (pare che si risparmi un bel po’ in termini di consumo d’acqua) e
che spesso bevo acqua del rubinetto e non imbottigliata in bottiglie di plastica altrimenti i miei sensi
di colpa sarebbero devastanti. Siccome le rivoluzioni si cominciano sempre dal basso mi sono imposto
qualche piccolo cambiamento di abitudine che consenta di risparmiare la risorsa acqua. Per smettere
di fare “acqua da tutte le parti” io ho deciso di:
-
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Charlie Del Buono
fare attenzione a rubinetti gocciolanti e water che perdono acqua; una corretta manutenzione
oppure una tempestiva riparazione fanno risparmiare acqua e denaro (sempre che l’idraulico
non ti spenni)
- riciclare l’acqua che faccio scorrere in attesa che diventi calda per lavare piatti, stoviglie e
pavimenti (basta avere una bacinella capiente)
- usare l’acqua dove si è cotta la pasta per sgrassare le pentole ( funziona davvero)
- non sciacquare il rasoio sotto l’acqua corrente ma nell’acqua raccolta nel lavandino (la qualità
della rasatura è la stessa; nel mio caso mi taglio ugualmente)
- chiudere il getto d’acqua quando mi lavo denti o le mani e riaprirlo solo per il risciacquo
- usare la doccia invece che la vasca (quella la lascio ad Alex Britti)
- bere quando è possibile l’acqua dell’acquedotto evitando di comprare acqua imbottigliata in
plastica che paghi cara soprattutto a causa del prezzo di plastica e costi di trasporto ( per fare
un kg di plastica per bottiglie servono 2 kg di petrolio e 17 lt di acqua!)
In uno dei suoi tanti scritti Giovanni Paolo II (molto più empatico rispetto a colui che lo ha rimpiazzato)
sosteneva che “l’uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e crescere, consuma
in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e della sua stessa vita”, io nel tentativo di
guadagnarmi un pezzo di cielo ed il rispetto delle prossime generazioni cerco di darmi da fare.

Il diluvio universale
Stefano “Panfilo” Meacci
C hi di voi non conosce a grandi linee la storia (leggi leggenda) del Diluvio Universale?
Noè, l’arca, 40 giorni e 40 notti di piogge torrenziali, l’approdo sul monte Ararat, una coppia di
esseri viventi per ogni specie e così via...
Il mondo cristiano si divide sull’argomento: chi non lascia dubbi a interpretazioni e crede nella collera
divina intenzionata ad un profondo ripulisti generale e chi invece tende più coscientemente a selezionare
dal racconto il messaggio sulla fragilità dell’uomo e sulla necessità di una vita senza peccati e in
continua prostrazione divina. Credere alla prima versione è come essere convinti che esista un presidente
del consiglio capace di creare un milione di posti di lavoro, appoggiare la seconda è quantomeno...riduttivo,
e non aiuta a capire come mai qualche passo biblico vada accettato tout-court e qualche
altro invece vada pazientemente interpretato. Ma questa è un’altra storia...
Oggi chi vuol sapere sa che il racconto su Noè è preso a prestito da più antichi poemi mesopotamici,
ma fare chiarezza sulla veridicità dell’accaduto o, almeno sulla sua genesi letteraria, è ancora cosa
impossibile. Fonti archeologiche non negano alluvioni, anche violente, ripetute e in epoche distinte
nell’area detta “la culla della civiltà”, ne sono un esempio gli strati di argilla di 3 o 4 metri di spessore
rinvenuti a Ur prima ma anche a Kish, Shuruppak, Uruk. Laghash e Ninive poi. Sono nette testimonianze
geologiche di tanta, anzi tantissima acqua precipitata su tali città ma lo scarto temporale (si va dal
quarto millennio avanti Cristo per Ur al 2800 a.C. di Uruk e Laghash) non certifica una distruzione in
contemporanea causata da un’alluvione appunto “Universale”. Affidiamoci allora ai testi...
Quello più antico (18° secolo a.C) è scritto in sumerico, arriva da Nippur, Ziusudra prende il posto di
Noè al timone e An e Enlil prendono il posto del mono-dio ebraico che tutti conosciamo.
Un altro viene scritto in assiro-babilonese e il protagonista è un certo Atra-Khasis. Nel 16° secolo c’è poi
una versione medio-babilonese, un’altra rinvenuta nella biblioteca di re Assurbanipal a Ninive e infine
(la più importante) una parte del poema di Gilgamesh. Quest’ultima versione, che racchiude tutti gli
elementi salienti presenti nelle altre precedenti, è la più completa e quella dalla quale è possibile sintetizzare
a grandi linee la leggenda del diluvio. Si narra che gli Dei abbiano deciso di annichilire l’umanità
causando inaspettatamente tormente e acquazzoni all’insaputa delle popolazioni (il perchè è vario ed
eventuale). Un certo dio Enki o Ea fa la spia, e rivela il piano divino attraverso un sogno al suo eroe prediletto.
Gli ordina di costruire una nave con legno e bitume, di metterci dentro tutte le varie specie di
animali e di “raccontare una balla” ai suoi vicini per non destare sospetti e creare panico. Arriva la pioggia
che imperversa per sette giorni e sette notti (numero che simbolicamente indica il compimento di
un’azione) e inaspettatamente alla fine delle piogge gli Dei si pentono di ciò che hanno fatto. Il nostro
eroe intanto lascia liberi alcuni uccelli fin quando uno, non tornando alla base, lascia intendere che le
acque hanno iniziato a defluire. La nave approda su un monte (situato tra l’Armenia e la terra dei Curdi)
e lì il sopravvissuto offre sacrifici agli dei (il materiale non gli mancava di certo...), che apprezzano a tal
punto da renderlo immortale per alleviare i loro sensi di colpa.
In conclusione, visto che tutti i testi concordano su più punti, è ipotizzabile un archetipo precedente
mai rinvenuto e probabilmente antecedente di parecchie centinaia di anni allo scritto sumerico. Forse
all’epoca dell’ultimo scioglimento dei ghiacci nelle montagne a nord del Tigri e dell’Eufrate, forse
un’epoca che anche gli abitanti del periodo consideravano antica.
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Gocce di piacere.
Le terme e la storia di
un benessere millenario
Già gli Etruschi si erano accorti delle proprietà
terapeutiche di alcune acque, per lo più sulfuree,
che sgorgavano nel loro territorio ad elevate
temperature (fino ai 40 gradi). Un fenomeno
inspiegabile per le conoscenze fisiche dell’epoca.
E così i luoghi di queste sorgenti furono investiti
di un significato magico e religioso, quasi
fossero punti di contatto tra la realtà terrena e
l’oltretomba (non a caso ancora oggi l’apparizione
del demonio è associata a mefitici fumi sulfurei).
Tuttavia, furono i Romani a valorizzare il
potenziale curativo delle acque termali, a canalizzarle
sistematicamente e a costruire santuari
di divinità mediche presso le vasche dove i fedeli,
facendo un’offerta e seguendo un percorso rituale,
potevano bagnarsi. I Romani si resero poi
conto dei vantaggi che derivavano all’organismo
dall’alternanza di bagni freddi e caldi, indipendentemente
dalle qualità specifiche dell’acqua,
ed iniziarono a costruire nelle loro città alcuni
edifici caratteristici, le terme appunto, non soltanto
a scopo igienico (la maggior parte delle
case antiche era priva di bagno) ma anche per
regalare un momento di piacevole relax ai cittadini
di ogni ceto sociale. Nelle terme, che di
solito comprendevano un settore maschile ed
un settore femminile, si potevano prendere bagni
secondo un percorso graduale dalla vasca
di acqua fredda (frigidarium) a quelle di acqua
tiepida (tepidarium) e calda (calidarium), o fare
bagni di sudore in una stanza a cupola (laco-
l’atipico - 10
Lucia Romizzi
L’acqua, che rappresenta la più preziosa ed insostituibile risorsa di vita dell’uomo
sulla terra, ha numerose proprietà salutari che sono state valorizzate da numerose
civiltà.
nicum); era possibile affidarsi a mani esperte
per un massaggio, svolgere esercizi ginnici nella
palestra sotto la benevola protezione di Achille,
oppure assistere a letture poetiche o a discussioni
filosofiche. Anche se gli imperatori ed i ricchi
si facevano costruire terme private nei loro palazzi
e nelle loro ville, l’imponenza delle terme
pubbliche rappresenta uno dei segni distintivi
della civiltà romana (basti pensare alle Terme
di Caracalla a Roma). Ma le sorgenti termali a
cielo aperto delle campagne non furono abbandonate
e continuarono ad essere utilizzate nel
Medioevo e nel Rinascimento; non a caso nella
“La Mandragola” il grande Machiavelli menziona
certe terme della campagna toscana frequentate
dalle dame con problemi di fertilità. Anche
le cronache del Settecento ci raccontano della
passione dei ricchi per le terme, una passione
legata a finalità terapeutiche, ma anche espressione
di quella cultura della villeggiatura la cui
smania affliggeva i nobili e borghesi, come ci
narra con sense of humour Carlo Goldoni nelle
sue commedie. Tra 1800 e 1900 sono poi stati
costruiti numerosi stabilimenti termali dotati di
lussuosi alberghi, dove si sfruttavano le acque
medicamentose che zampillavano naturalmente
dal terreno, recuperando quel connubio tra
aspetto terapeutico e dimensione rilassante tipico
delle terme romane. Alcune località, come
Abano, Fiuggi, Montecatini, Salsomaggiore, per
non parlare delle vicine Chianciano, Montepul-

ciano, Rapolano e S. Casciano, hanno legato così
la loro identità e la loro economia alle strutture
termali, divenendo poi una meta turistica
quasi obbligata ma ormai di matrice borghese
nel boom economico del Dopoguerra. Dopo una
fase di declino, a partire dagli anni Novanta si
è di nuovo promosso il turismo termale, cercando
di svincolare le terme dall’idea di arzilli
vecchietti che lì sorseggiano acque di giovinezza.
Così numerosi impianti termali si sono riqualificati
e hanno arricchito progressivamente
la loro offerta, sia introducendo nuove sale nel
percorso tradizionale (bagno turco, sauna finlandese
e melmarium per i fanghi curativi), sia
dotandosi di raffinate SPA (acronimo del latino
“Salus Per Aquam” = salute attraverso l’acqua),
cioè centri-benessere la cui variegata proposta
di massaggi (ayurvedici, shiatzu, persiani), di terapie
sensoriali (aromaterapia, musicoterapia,
cromoterapia) e di trattamenti (con cioccolato,
mosto, fiori) è concepita come il miracoloso (ma
non sempre a buon mercato) rimedio allo stress
ed ai mali reali e presunti della vita moderna.
Chissà, forse i nostri nonni riderebbero vedendoci
pagare per un’immersione rigenerante in
una vasca di fieno, si, proprio noi che siamo i discendenti
di quella cultura contadina che abbiamo
voluto dimenticare. Pur non condividendo
alcuni aspetti del benessere termale di ultima
generazione, chi scrive è convinta che le terme
siano angoli segreti del paradiso perduto, luoghi
di rigenerazione fisica e interiore, oasi di atmosfere
da riscoprire... Ma qualche volta proviamo
ad allontanarci dalla comodità delle strutture
attrezzate e dei percorsi preconfezionati, ed immergiamoci
in quelle vasche naturali d’acqua
calda, frequentate già dagli Etruschi, quelle vasche
a cielo aperto in cui è piacevole trascorrere
le notti d’inverno sotto un cielo illuminato solo
dalla luce lenta delle stelle.
Tutte le scoperte della medicina si possono ricondurre alla breve
formula : “l’acqua, bevuta moderatamente, non è nociva”
Mark Twain
l’atipico - 11

L’acqua e l’orgoglio: gli
angeli del fango che non
ti aspetti
Ma la storia ci racconta che in realtà ci fu molto
poco da ridere. Lo sa bene Filiberto Perini, un
simpatico giovanotto 81enne che, insieme a Babalini
Terzo, un altro ragazzo oggi 76enne, ambedue
ex-operai del Comune di Castiglione del
Lago, per 10 giorni furono in quell’inferno di acqua
e fango. Mandati dalla Provincia di Perugia
come aiuto nella città del sommo poeta, che era
ormai ridotta ad una brutta copia di Venezia. Filiberto
racconta con simpatia la sua avventura,
stringe il cappello fra le mani, ogni tanto tradisce
un po’ di commozione. La sua presenza nella
l’atipico - 12
Matteo Sordi
Firenze A. D. 1966, tutti conosco l’immane catastrofe che si verificò. Il cantante Riccardo Marasco, con
quella goliardia toscana che gli è tipica, esorcizza il disastro con una canzone che conclude così:
”... e trascinato dall’onda feroce / giungi stremato in Santa Croce /
Dante di marmo poeta divino / mira sdegnato l’immane casino /
O fiorentini mi avete esiliato / prendete la m...... che Dio v’ha mandato...”
Firenze del disastro cominciò un paio di giorni
dopo la piena, quando lui, operaio ruspista di
Castiglione del Lago, durante la pausa pranzo fu
raggiunto da una guardia comunale. La comunicazione
fu molto sbrigativa: “fai in fretta che ti
aspettano per andare a Firenze”. Tempo qualche
ora Filiberto era già nella culla del Rinascimento,
che tetra si presentava nel buio rischiarato
solo dai fari del camion guidato dall’ormai defunto
Renzo Bigi. “L’arrivo fu a Campo di Marte,
poi ci spostammo in piazza Santa Croce. All’arrivo
ci fecero festa, la nostra fu una delle prime
pale meccaniche che arrivarono a Campo
di Marte”, racconta con una punta di orgoglio
Filiberto. Così il nostro fu assegnato alla zona
di Piazza Santa Croce, uno dei punti dove l’Arno
era andato meno per il sottile. Dopo un giorno
Bigi rientrò a casa, il suo posto alla guida del
camion targato C. Lago, che faceva la spola da
Santa Croce all’Arno, pieno di detriti e fango, fu
preso da Terzo Babalini. “Firenze? E chi c’era mai
stato a Firenze! che giorni che furono”, racconta
Terzo, “non toglievamo gli stivali neanche per
dormire”. Rovistando fra i ricordi dei due signori
si trova anche qualche aneddoto simpatico. Filiberto
ricorda ancora l’oro che la pala meccanica
un giorno caricò sul camion, poichè l’onda era
stata molto democratica e non aveva certo risparmiato
le oreficerie del vicino Ponte Vecchio:
Terzo Babalini

Filiberto Perini
“Terzo, copri la targa e scappa, poi ci rivediamo
verso Arezzo... ma aspettami!” disse all’amico,
così per scherzo e per ridere un po’. Ma le risate
in quei giorni non erano molte, il ricordo si strozza
in gola quando l’ex-ruspista e l’ex-camionista
raccontano dei morti, della disperazione, della
devastazione, del fetore e della desolazione della
quale furono testimoni. Con alcune domande ricerco
quelle suggestioni che donano un’aurea di
romanticismo all’alluvione di Firenze, nelle risposte
dei miei due interlocutori cerco quegli angeli
del fango venuti da tutto il mondo, quello spirito
di coesione che animò una generazione, quei ragazzi
che strapparono l’arte alla piena... ma non
trovo nulla di tutto ciò. Dai ricordi di quel fango
emerge solo la puzza che faceva tossire fino a
vomitare, una città così desolata da far perdere
l’orientamento, il coprifuoco, lo sciacallaggio, le
macchine rovesciate, la ruspa come unica amica
fedele... Ad ogni parola mi convinco sempre
più che quella maestosa opera di volontariato
artistico, a cura di centinaia di ragazzi di tutto
il mondo, che è la fotografia principale di quei
giorni poi consegnata alla storia, arrivò dopo la
ruspa ed il camion. La storia della gente come
Filiberto e Terzo è meno fotogenica, così i loro
nomi tendono ad essere presenti solo sui titoli
di coda. Non so quanto spazio è stato dedicato
a queste persone nelle cerimonie di rimembranza;
tuttavia è giusto che noi, nuove generazioni,
conosciamo la storia di questi uomini che, senza
averlo scelto, con in tasca solo la macchinetta
per fare la barba ed il proprio senso del dovere,
senza tante domande ne troppi “perchè proprio
io?”, si sono ritrovati nel fango a curare le ferite
di una città che conoscevano a malapena solo nei
libri di scuola e nei giornali.
l’atipico - 13

L’acqua: fonte di vita
o di sfruttamento?
Può sembrare strano il modo con cui l’uomo in società abbia trasformato nel tempo un dono della
natura purissimo e meraviglioso, fonte perpetua di vita per gli uomini, di riflessione per filosofi e
pensatori, di ispirazione per scrittori e poeti, in un mezzo per lucrare a scapito del prossimo.
E’ capitato però a molti di coloro che viaggiano di trovarsi nel centro storico di qualche grande
città e di rimanere sbalorditi, specialmente in un periodo di crisi economica, per il prezzo esagerato
di una bottiglia d’acqua. I commercianti per questo sono puntualmente accusati di furbizia
verso i turisti e a loro volta ribattono che il sovrapprezzo è un fatto naturale ma, finita l’estate, il
rancore dei turisti-consumatori viene sostituito da altri problemi, dimenticato e rinviato all’estate
successiva. La sensazione di essere stati frodati però resta.
Ciò che tutti non sanno è che, terminata la faccenda, i consumatori tornano a fare ciò che aveva
destato in loro una simile ostilità: pagare di più, spesso molto di più, per ogni genere di articoli
quando sono più necessari e richiesti rispetto a quando non lo sono.
I consumatori da anni stanno già pagando l’elettricità in questo modo. Oggi, qualsiasi cosa sia venduta
su Internet ha un prezzo più oscillante rispetto a quello che ha sempre avuto. In che modo la
gente decide quando l’aumento di prezzo è un fatto naturale e quando una frode?
Ultimamente si sta diffondendo di nuovo la modalità di acquisto in cui la persona in un negozio
di alimentari chiede lo sconto, ed è già un buon inizio perchè lo stesso consumatore esamina il
mercato per avere riduzioni su alcuni articoli pur pagando un sovrapprezzo su altri; quindi, se si
approfitta della domanda, si deve essere in grado di assicurare che esiste anche un vantaggio associato.
Parte del problema può essere un semplice dato di fatto: tutti hanno un’idea di quanto dovrebbe
costare una bottiglia d’acqua, ma determinare il valore dell’elettricità è molto più complicato.
Secondo le teorie più avanzate i clienti sono così contrari agli aumenti su alcuni articoli fondamentali
come l’acqua che i negozi trarrebbero vantaggio dal ridurre il costo di alcuni prodotti
proprio quando la domanda aumenta. In questo modo i commercianti, invece di approfittare della
domanda sfruttando le vendite, si assicurano il grosso dei loro proventi dalla vendita di altri articoli.
Anche se alla fine il conto è identico, i clienti possono andarsene con la bottiglia d’acqua che
volevano insieme ad altri articoli e con la sensazione di essere stati trattati onestamente.
Risulta quindi probabile che anche in ambito economico, se gli uomini agissero nella società su
base di studi scientifici e non trattenendo sull’innata avida furbizia, otterrebbero gli stessi benefici
pratici senza compromettere la propria naturale moralità.
l’atipico - 14
Alessandro Bonin

La compagna di viaggio
Fabio Cianini
La lacrima, una piccolissima goccia d’acqua salata, un fluido, un liquido sterile, il prodotto delle
ghiandole lacrimali. Puo’ essere il vento che ci accarezza troppo la faccia, puo’ essere un raffreddore
che si è affezionato molto a noi, il sole che ci bacia troppo da vicino ed altri innumerevoli agenti
a scatenare una lacrimazione a volte fastidiosa. Una forte emozione puo’ suscitare il pianto che
in questo caso è sicuramente liberatorio. Un’emozione puo’ essere data da una vita, da una morte
ma semplicemente dall’affetto verso un fiore, un animale, un amore finito, un amore impossibile.
La lacrima è sempre lì che aspetta pronta a scendere lungo la via delle emozioni trasmesse da un
contatto improbabile, uno sguardo mai libero un sentore di qualcosa che sta precipitando.”Mi spiace
sua figlia non vuole più lottare, non c’è più niente da fare, aspettiamo............”. La lacrima è lì, si
affaccia alla finestra, un’emozione forte stringe lo stomaco come un sottovuoto, la bocca si asciuga
come se il sole fosse entrato ad essicare l’ultima goccia di saliva, il cuore batte così forte da farmi
saltare le tempie e lei è li che inizia a scendere leggera lungo la guancia. Vorresti rimandarla alla
partenza, ancora non è il momento, se scende vuol dire che il momento è negativo, l’emozione
è sbagliata, è una resa che non voglio fare, non alzero’ bandiera bianca; è da vili, da perdenti. Lei
inesorabilmente scende, indifferente dal tuo pensiero perchè non è solo da lì che prende vita che
assorbe la forza di scendere lungo il viso rigato dal dolore. Un respiro intenso forse l’attirerà di
nuovo indietro, su dentro il canale da dove è arrivata. Non scenderà mai a patti con la debolezza,
mi renderà fragile e troppo sensibile agli occhi di chi mi ha visto sempre come un condottiero. Ti
prego arresta la tua cavalcata non umiliarmi dammi un’altra possibilità, non fondermi con l’insicurezza.
Ti ho gradito quando mi rendevi felice, quando una sensazione o un amore straordinario
ti facevano inumidire i miei occhi, quando alla vista di una vita mi davi la sensazione di essere
un uomo comune in mezzo a gente comune. I pensieri mi travolgono, ormai sono assuefatto da
un’emozione incontrollabile, un’emozione che ha spazzato via la mia forza, che ha cancellato il
mio sorriso in mezzo a questo trambusto, lei continua a scendere ormai senza possibilità di fermata,
le mie labbra stanno assaporandone il gusto un po’ salato un po’ amaro di colei che a volte
amara ti rende la vita, di lei che ti fa tornare con i piedi per terra che non dà spazio ad una seconda
possibilità, di lei che ti sveglia dal sogno cambiando il senso della tua esistenza, lei che ti ricorda
che tu hai dei sentimenti. Quei sentimenti e quelle sensazioni che spesso teniamo chiuse a chiave
nel baule più profondo per paura che le altre persone ci diano dei deboli, dei fragili, ma è grazie
a quell’agro sapore che ci rendiamo conto le amarezze ci faranno gustare meglio il sapore della
VITA.
l’atipico - 15

Cristian Gallorini
Ma cos’è l’acqua per l’uomo contemporaneo?
Allontanandosi da ogni suo valore allegorico e
da ogni sua funzione spirituale è diventata oggi
il più grande affare di gruppi finanziari, uno dei
tanti modi di poter investire il proprio denaro e
attraverso il quale far vedere la propria supremazia
sugli altri stati. Ormai da molto tempo
si parla infatti di ‘oro blu’, e dell’acqua come
fonte di instabilità politica ed economica delle
nazioni che rischia di portare a risvolti simili a
quelli che si sono creati durante gli anni Settanta
con l’altra grande risorsa: il petrolio. Già
nel 1986 l’allora ministro egiziano Boutros Boutros
Ghali durante una conferenza aveva profetizzato
questo tragico risvolto, affermando che
‘Le guerre del XXI secolo non saranno condotte
in nome del petrolio ma dell’acqua’. Parole
che terribilmente, ma non inevitabilmente, si
sono avverate tanto che secondo le stime ONU
trentasette tra i conflitti mondiali sono causati
appunto dalla mancanza di questo bene primario.
Questa situazione si è andata creando in
maniera particolare sia perchè la maggior parte
dei corsi d’acqua mondiali attraversano più
l’atipico - 16
Oro Blu
Le guerre del XXI secolo non saranno condotte in nome del petrolio ...
L’acqua fin dai tempi più remoti è stata sempre interpretata come simbolo di vita
e di purificazione, basti pensare alle prime civiltà che trovarono la loro propria ori-
gine nei grandi corsi d’acqua del Tigri e dell’Eufrate, e ancora ad alcuni riti religiosi
che trovano appunto in questa sostanza motivo di rinascita e perdono dai peccati.
stati e finiscono per diventare appannaggio di
più governi, sia per la capillare privatizzazione
che si è creata soprattutto per mano degli stati
che affidano a compagnie private i diritti sulla
risorsa. A conferma di ciò, possiamo riportare
l’esempio estremo della città boliviana di Cochacabana,
dove l’acquisizione da parte di privati
del monopolio sull’acqua ha condotto fino ad
un legale esproprio di case e di beni privati della
maggior parte della popolazione incapace di
pagare le bollette.
L’acqua, oltre ad essere una risorsa naturale
che può creare conflitti tra le comunità, si
vede protagonista di un’altra grave problematica:
l’inquinamento. Sono sempre maggiori i
corsi fluviali e i mari che a causa degli scarichi
di industrie vedono diventare le proprie acque
inutilizzabili, aumentando così il problema della
sete nel mondo. Solo una ristretta parte della
popolazione mondiale, infatti, può usufruire di
acqua potabile e sono sempre più i bambini che
non possono godere di questo bene. A questo
punto sorge spontanea la domanda di come sia
possibile che in un pianeta ricchissimo di ac-

qua, quale è la terra, ci possa essere così poca
disponibilità di essa. La risposta va nuovamente
ricercata sui motivi finanziari in quanto, potendo
sfruttare solo l’un per cento dell’acqua per
usi idropotabili, si preferisce lottare investendo
sulla privatizzazione di questi pochi corsi, piuttosto
che cercare nuove soluzioni quale quella
di desalinizzare il mare, che ancora oggi risulta
essere troppo costosa e impegnativa rispetto ai
risultati che se ne potrebbero ottenere.
La questione assume note ancora più drammatiche
se prendiamo in considerazione ciò che è
stato deciso durante l’ultima Giornata Mondiale
dell’acqua, in cui alla richiesta di considerare l’acqua
come un diritto, così come quello alla vita
e alla libertà, si è arrivati alla vaga conclusione
che l’accesso all’acqua è un bisogno fondamentale
umano. Analizzando le due parole “diritto”
e “bisogno” in quest’ultima si denota subito un
cambiamento semantico, che riporta immediatamente
alla memoria quelle compagnie multinazionali
che privatizzano l’acqua, e l’hanno resa
nel tempo un bene acquistabile a tal punto che
proprio il “bisogno” ha portato l’uomo, clienteconsumatore,
a comprarsi ciò che dovrebbe essere
suo per “diritto”. Un capo pellerossa nel 1855
in uno dei suoi discorsi, alla proposta di comprare
i territori della sua gente da parte degli Statunitensi,
tra le altre cose proferì che non facendo propria la freschezza dell’acqua era impossibile
poterla comprare da loro. E’ infatti questa la mentalità a cui l’uomo moderno si dovrebbe aprire,
mettendo da parte il suo cinismo e la sua scientificità, ma soprattutto mettendo da parte il suo
egoismo e la sua ambizione di ricchezza. Arrivati a questo punto sembrerebbe che solo un modo
sia rimasto per risolvere la situazione, quello preso in considerazione dal Papa Benedetto XVI: solo
rivalutando tale bene primario, smettendo di considerarlo unicamente come bene materiale e riscoprendo
quei significati dell’acqua simbolo di purificazione, possiamo ottenere “la garanzia e la
condizione per un’adeguata soluzione dei problemi etici, politici ed economici”.
Mettere in pratica tale proposta è sicuramente difficile, vorrebbe dire far cambiare mentalità alla
maggior parte delle persone che abitano il mondo occidentale, quindi non resta che prendere
spunto dalle parole che sono state il simbolo del Forum Mondiale sull’acqua che ha preso luogo
in questi giorni a Istanbul ed iniziare a “condividere l’acqua” perchè solo così potremo realmente
“condividere le opportunità”.
E mentre il tempo corre e l’inquinamento altera le sorgenti mondiali, c’è sempre più bisogno di
prendere provvedimenti urgenti, altrimenti il rischio è di veder sparire il futuro in un piccolo rivolo
d’acqua tra le sabbie di un arido deserto.
Fa prima la ricchezza ad indurire un cuore che l’acqua
bollente un uovo
Ludwig Borne
l’atipico - 17

Catartico Pomonte
l’atipico - 18
Sara Montigiani
A ncora mi ricordo il muro d’acqua che mi sovrastava, un grido di terrore e la mia voce che non
usciva, la manina protesa verso la superficie nella speranza che qualcuno si accorgesse del
dramma che mi stava sfiorando…
Horror movie? Ma che! Il mio primo giorno di corso di nuoto a sei anni nella piscina del Lido Del
Carabiniere, chiaramente una bambina semiannegata è poi cresciuta da autentica idrofobica.
“Mi tuffo perplessa in momenti vissuti di già…”
Vi risparmio la descrizione delle bardature che negli anni mi hanno seguito nelle varie esperienze
per aumentare la mia acquaticità pari a quella di un gatto…dal laghetto nel bosco di Daniela, alla
spiaggia di Follonica o Civitanova, l’acqua possedeva una forza alla quale non riuscivo a resistere,
una calamita che mi attirava seppur con il cuore in gola, piena di rispetto e puro terrore.
L’acqua non è il mio elemento ma quel blu, quel silenzio pieno di vita e quella dimensione di noi
stessi che riusciamo a raggiungere quando siamo immersi letteralmente solo nei nostri pensieri,
mi hanno spinto a lavorare duramente su me stessa. A superare i miei limiti. A sfidare le acque
profonde, superare la paura di non avere appigli. “E io che rimango qui sola a cercare un caffè”.
Isola D’Elba. Luglio di qualche anno fa. Io e la spiaggia di Pomonte. Acqua cristallina. Piccoli passi,
respira, un altro passo, rilassati, abbandonati, resta calma, guarda che acqua, ti vedi anche i piedi,
guarda acqua e cielo quasi sembrano fondersi, adesso tocca a te, prova ad allungare la gamba e
poi prova a sentire col piede, niente oddio non sento niente, però che bello, non sono morta, sono
ancora qui e ce l’ho fatta.
Una delle mie conquiste più grandi. Mi sono abbandonata, affidata, e l’acqua non mi ha deluso, mi
ha sostenuto questa sconosciuta più di quanto abbiano mai fatto altre persone vicine nella mia
vita; in seguito il destino mi ha portato a vivere in un posto di mare, forse un segno? Quell’amicizia
cosi giovane e tenera si è fatta di conseguenza con gli anni sempre più forte, adesso l’acqua è una
mia compagna quotidiana.
Mi sono iscritta da adulta al corso di nuoto e, superati gli iniziali imbarazzi, ci siamo guardati negli
occhi e abbiam pensato che in fondo non è mai troppo tardi per seguire le proprie passioni…
“Il mare d’inverno
è un concetto che il pensiero non considera.
E’ poco moderno,
è qualcosa che nessuno mai desidera”
Adesso sfioro il mare ogni giorno mentre vado al lavoro e alla sera rilasso le vene con il nuoto o
l’acquagym…
Ho imparato che una delle esperienze più dolorose e liberatorie è quella di “lasciare e lasciarsi”
andare. Lasciare andare le persone, anche se soffri e stai male, non trattenerle, non trattenere dei
ricordi o dei rapporti pensando che l’assenza sia più dolorosa, perdonare, ricominciare. Lasciarsi
andare e dirsi alla romagnola “Bona lì”, imparare ad essere dei tramiti, aspirare alla liberazione,

ilassarsi, smetterla di voler avere tutto sotto controllo e fidarsi di se stessi e dei propri piedi e,
perché no…? Rischiare. Io ne sono uscita più forte, in acqua e nella vita.
“Passerà il freddo
e la spiaggia lentamente si colorerà…”
Ancora più l’acqua è diventata per me elemento costituente, rigenerante e necessario;
Mi permetto allora di segnalarvi l’associazione di un mio caro amico di Padova che sa bene quanto
l’acqua sia preziosa soprattutto in paesi come l’Eritrea e che con la sua Onlus “Bashù”, che si occupa
principalmente di Cooperazione e Solidarietà Internazionale, ha da anni a cuore la realizzazione
di progetti di cooperazione, pur sapendo che si tratta di piccole cose rispetto ai bisogni immensi
della popolazione. Al tempo stesso si impegna nel nostro paese a far conoscere l’Africa e l’Eritrea
in particolare i problemi ma soprattutto gli aspetti più belli dell’Eritrea e del suo popolo: i colori,
la forza, la condivisione, l’allegria.
L’Associazione ha già concluso la costruzione di un pozzo nel villaggio di Medrezien ed è attualmente
in corso quella nel villaggio di Adi Tsenaf.
E siccome si parla già di cinque per mille magari vi do uno spunto anche per quello.
Saluti dal mare.
Associazione BASHU’ onlus
Via Scrovegni, 1
35131 Padova
Tel e Fax +39.049.99.00.342
Email mail@bashu.org
Codice Fiscale 92160940281
Conto Corrente Postale 51616878
Adi Tsenaf è un villaggio eritreo di circa 1.200 persone. Si trova nell’altopiano della Regione Centrale a
circa 27 km da Asmara. Il villaggio si trova in posizione parecchio isolata: per arrivarci bisogna percorrere
una lunga strada sterrata di circa 7 km. E’ un villaggio rurale, la cui economia è basata principalmente su
un’agricoltura di sussistenza. Non vi sono servizi (corrente elettrica, acqua potabile, fognature, telefono,
ecc.).
Le condizioni idriche del villaggio sono estremamente degradate: non esiste un pozzo per l’acqua potabile.
La popolazione è costretta a bere l’acqua malsana di alcuni stagni artificiali che si trovano a qualche
chilometro dal villaggio. Tali sorgenti non protette sono la causa principale delle gravi patologie che colpiscono
soprattutto i bambini: malnutrizione, diarrea, tubercolosi, malaria, vermi, epatite, ecc. Analisi
chimico-batteriogiche hanno dimostrato come l’acqua sia contaminata e presenti seri rischi per la salute
umana.
Inoltre il livello d’acqua, durante le stagioni secche, si riduce notevolmente fino a prosciugarsi del tutto
costringendo le donne e i bambini a fare moltissimi chilometri a piedi per raggiungere i pozzi più vicini.
OBIETTIVI
Contribuire allo sviluppo della comunità attraverso un intervento integrato i cui obiettivi specifici
sono:
• migliorare in modo durevole le condizioni igieniche e sanitarie della popolazione rurale di
Adi Tsenaf, principalmente attraverso l’approvvigionamento di acqua potabile
• favorire la tutela dell’ambiente e delle risorse idriche, promuovendo uno sviluppo
sostenibile, favorendo l’autosufficienza alimentare e la diffusione delle energie
rinnovabili (in particolare dell’energia del sole) in Eritrea
Paolo Fara
Responsabile della Cooperazione in Eritrea
Via Euganea Villa, 41
35033 Treponti di Teolo (PD)
Tel 049.99.00.342 - Email: mail@bashu.org
l’atipico - 19

L’acqua nell’Universo
l’atipico - 20
Il satellite di saturno Encelado ripreso dalla sonda Cassini
L’acqua in natura è tra i principali costituenti
degli ecosistemi ed è alla base di tutte le forme
di vita conosciute, uomo compreso; la stessa origine
della vita è dovuta alla presenza di acqua
nel nostro pianeta. Anche nelle nubi interstellari
della nostra galassia, la Via Lattea, è stata riscontrata
la presenza di molecole d’acqua. Si presume
che l’acqua sia abbondante anche in altre
galassie, dato che i suoi componenti elementari,
idrogeno ed ossigeno, sono tra i più abbondanti
elementi dell’universo.
Nel nostro Sistema Solare, l’acqua allo stato liquido
è stata rinvenuta oltre che sulla Terra anche
sulla Luna; ci sono molte possibilità che sia
presente anche al di sotto della luna di Saturno,
Encelado, e della luna di Giove, Europa. Sotto forma
di ghiaccio è stata trovata su Marte (al polo
nord) e su alcuni satelliti di diversi pianeti tra
cui: Titano, Europa, Encelado e Tritone. é molto
probabile che tracce di ghiaccio si trovino sulla
superficie lunare, sul pianeta nano Cerere e sul
satellite di Saturno Teti. Si suppone, inoltre, che
il ghiaccio sia presente anche su Urano, Nettuno
e Plutone, oltre che sulle comete (alcuni suppongono
che la vita nel nostro pianeta sia iniziata
grazie a sciami di comete). Allo stato gassoso
(vapore acqueo), è stata individuata sull’atmosfera
di Mercurio (3,4%), Venere (0,002%), Marte
(0,003%) e sul satellite Encelado (91%). Sulla
base quanto si è detto, le situazioni più interessanti
per la ricerca di “VITA” nel nostro sistema
solare risultano certamente ENCELADO (luna di
Saturno) ed EUROPA (luna di Giove).
Encelado è una delle lune di Saturno, ha un diametro
di appena 500 km e mostra una superfi-
Alessandro Mazzetti
cie molto tormentata e modificata da imponenti
fenomeni geologici. Dalle molte osservazioni si
è potuto constatare che ai poli il pianeta erutta,
dai suoi geyser, vapore acqueo e finissime particelle
di ghiaccio. I geyser di Encelado sarebbero
la fonte che rende persistente l’anello più esterno
di Saturno. Riuscire a capire il meccanismo
che è alla base di questa intensa attività geologica
è per gli scienziati una sfida. La fuoriuscita
di vapore d’acqua implica la presenza allo stato
liquido nel sottosuolo, una condizione che, a
prima analisi, sembra assurda in un corpo così
gelido (temperatura media - 200°C).
Si può comunque dimostrare che in un pianeta
ad alto contenuto di ghiaccio il calore primordiale
è in grado di creare, alla profondità di
qualche decina di chilometri, un guscio di acqua
liquida, che può rimanere tale per miliardi di
anni, grazie allo scudo anti-termico del ghiaccio
stesso. Oltre ai geyser, la superficie di Encelado
è pesantemente rimodellata e, in alcuni punti, i
terreni risultano essere molto ìgiovaniì dal punto
di vista geologico a tal punto da mostrare
assenza di impatti.
Sorprendente è stata la visione allo spettrometro
ad infrarosso che ha individuato al polo sud
una nettissima macchia termica con punte di
temperature che superano i 40°C.
Inoltre analisi più accurate hanno rilevato che
almeno in quella regione Encelado è circondato
da un’atmosfera che è composta per il 65% di
vapore d’acqua, per il 20% da idrogeno molecolare
e per il resto da piccole quantità di ossido
di carbonio, anidride carbonica ed azoto molecolare;
contemporaneamente l’analizzatore di

particelle cosmiche ha evidenziato un picco di
finissime particelle di ghiaccio, che raggiungono
altezze di oltre 400 km.
Altra luna molto interessante è sicuramente Europa,
una delle 60-200 lune (a seconda di chi
le conteggia) del pianeta gigante Giove. Le immagini
fornite dalla sonda Galileo fanno supporre
la presenza di una “probabile quantità di
acqua allo stato liquido”, al di sotto della superficie
ghiacciata. Le linee scure che si osservano
nelle immagini, infatti, fanno ricordare quelle
presenti nel nostro Antartico: sono fratture
del ghiaccio. Questo sta a significare un’intensa
attività geologica su Europa; dalle elaborazioni
si presume che tali zolle di ghiaccio galleggino
su uno strato di ghiaccio semi-fluido o d’acqua,
che si trova tra la superficie e lo strato interno
roccioso. Poiché Europa non risulta butterata a
livello di superficie da crateri di impatto (come
Encelado) e poiché questa luna ha una tenue
atmosfera, non sufficiente a proteggere il suolo,
è presumibile che la superficie sia in continuo
movimento. Gli scienziati sono però molto cauti
nel supporre la vita in un pianeta così freddo,
situato cinque volte la distanza tra la Terra ed
il Sole, e con temperatura media di -145°C. Se la
vita è riuscita a svilupparsi comunque sarebbe
molto diversa da quella che noi immaginiamo:
il quantitativo di ossigeno è sicuramente molto
basso (se compresso, riuscirebbe a malapena
a riempire una dozzina di campi da calcio!), le
temperature esterne estreme, i pericolosissimi
venti solari non schermati da atmosfera fanno
di Europa un posto davvero inospitale. Ma a pochi
chilometri dalla superficie vi è acqua, tantissima
acqua e l’acqua è il motore della vita.
In tutta questa discussione siamo vincolati dal
fatto che conosciamo una sola realizzazione della
vita nell’Universo, per cui, così come la conoscenza
del solo sistema solare non ci garantiva
una comprensione dei sistemi planetari, la conoscenza
di un tipo di vita non ci garantisce di
capire entro quali limiti questa si sviluppa.
Su una cosa vi è consenso generale: l’origine della
vita è molto probabilmente legata alla presenza
di acqua allo stato liquido sulla superficie
di un pianeta.
Il satellite di Giove, Europa, fotografato dalla
sonda Voyager. Si notano le frastagliature che
hanno permesso di stabilire la presenza di acqua
liquida nel sottosuolo.
La prova che nell’universo esistono altre forme di vita intelligente è che
nessuno ha mai tentato di contattarci.
Bill Watterson (autore del fumetto Calvin & Hobbes)
l’atipico - 21

Se c’è una cosa che mi
fa tanto male è l’acqua
minerale
l’atipico - 22
Enrico “Erriquez” Greppi*
*Voce del gruppo musicale Bandabardò
Così scherzava il grande Buscaglione, il Fred dal whiskey facile. Cantava così per manifestare
l’antipatia congenita per l’acqua insita in ogni grande bevitore. Il disprezzo per quel liquido
insapore e oltraggiosamente salutare.
Ma un giorno uguale ad un altro l’acqua fu comprata. Senza schiamazzi giornalistici o disgusti di
piazza, semplicemente in silenzio, l’acqua fu comprata. Divenne un bene privato in tutte, proprio
tutte le sue forme. Non rimase un fiume, una fonte, un torrente né un semplice rigagnolo che
non portassero un cognome umano che ne sanciva l’appartenenza. Le falde deviate in più comode
tubazioni, i laghi recintati e guardati a vista, e il prezzo del semplice bicchiere d’ acqua che saliva
saliva verso l’ oro, verso il diamante.
Allora il popolo si mise a guardare il cielo a bocca aperta aspettando i temporali, migrarono in
tanti verso vette innevate e sbocciarono schiere di abusivi che inventavano presidi volanti accanto
alla pur minima pozzanghera. Grazie al cielo pioveva ormai tanto, ma così tanto che la pioggia fu
comprata. Un giorno uguale ad un altro, senza troppo clamore senza mega concerti protestanti.
La buona e vecchia acqua piovana, quella tediosa, quella scrosciante, quella che viene accolta da
bestemmie e quella per cui si danza, quella d’ alta quota che chiamiamo neve, quella gelata in
stalattiti nonché stalagmiti. C’ è da dire che la calce sciolta in vino marcio dava alle città pregevoli
ebbrezze e l’ acqua dava lavoro, un indotto enorme di milizie armate pagate a bicchieri per tenere
a bada gli assetati e i puzzolenti.
Allora il popolo si adattò. Come i topi che si abituano al veleno si strinse tutto attorno ai suoi mari
riuscendo a sopravvivere di acqua e sale. L’arsura data dal sale provocava il bisogno immediato di
rifarsi una bella bevuta creando uno stuolo devastante di tossicodipendenti da acqua. Igea Marina
raggiunse in breve l’astronomica cifra di 13 milioni di abitanti ma i mari furono comprati. Un giorno
come un altro. Mari morti, oceani e mari rossi, perfino la parola “mare” fu brevettata e offerta
a pagamento. Milioni di canzoni di italica armonia divennero oggetti costosi da cantare obbligando
spesso i cantanti ad omettere o rimpiazzare la preziosa parola. Non venivano molto bene.
Allora il popolo si incazzò tantissimo, si scatenò in una furia incontenibile di veementi proteste
sommergendo i padroni delle acque sotto enormi piramidi di sputazzi, al grido di “chi di acqua
ferisce, di acqua perisce”.
Fred risentì il dolce tintinnio dei cubetti di ghiaccio nel suo drink e ritrovò il sorriso.
L’acqua privata uccide le canzoni, digli di smettere!
Non sapeva, l’ottimo Fred, che di li a poco le sue parole sarebbero diventate pura e triste realtà:
oggi si muore per l’ acqua. Oggi l’ uomo che è acquoso per gran parte del proprio corpo, che abbisogna
di acqua come tutti gli esseri viventi, pretende di comprare, vendere, privatizzare, investire
sull’ acqua come un nuovo petrolio degli anni duemila.
Cronaca dal futuro
Data astrale 2040

Gli amici de L’Atipico
Leonardo e Vania
Parrucchieri
via Cavour - Petrignano
tel. 075.9528224
Locanda La Mercanzia
Ristorante
via del Soccorso - Castiglione del Lago
tel. 075.9659552
Ili’s e Marco
Parrucchieri
Castiglione del Lago
tel. 075.953936
Oleificio cooperativo Il Progresso
via Olmini - Panicale
tel. 075.837289
Madrevite
Azienda agricola
loc. cimbano 36 - Vaiano
tel 075.9527220
email: info@madrevite.com
GoalNet
Web Agency
via della stazione 24i - Castiglione del Lago
tel. 075.951129
email: info@goalnet.it
La Cannuccia
Bar Gelateria
via lungolago 12 - Castiglione del Lago
tel. 075.951141
l’atipico - 23

Ricerca e territorio
I giorni del Duca
Come per ogni borgo italiano anche per Castiglione del Lago è arrivato il momento di confrontarsi
con la sua festa, evento che lo caratterizza ormai da oltre quattro decenni: la Sagra del
Tulipano. Per andare alle origini di questa manifestazione bisogna risalire almeno agli anni ‘50. In
quel periodo un’impresa agro-industriale, la Soc. Bulbitalia dell’olandese De Ruiter, iniziò a coltivare
tulipani sulle rive del Trasimeno, per l’esattezza tra le località di Carraia e Lacaioli, al fine di
inviarne i bulbi in Olanda per la loro commercializzazione. L’eccezionale spettacolo della superba
fioritura dei tulipani sulle rive del lago, che in quei periodi diventavano un patchwork smagliante,
dette l’idea ai castiglionesi di utilizzare i fiori, che venivano presto recisi di modo che la loro
crescita non compromettesse l’integrità del bulbo, per abbellire il centro storico facendo nascere
così la Sagra del Tulipano, quest’anno alla sua XLIII edizione. Dopo alcuni anni però la coltivazione
per produrre i bulbi venne cessata ma la Sagra era già diventata una realtà consolidata nel paese.
Decisi quindi a portare avanti questo evento, nonostante l’abbandono della produzione, gli organizzatori
si prodigarono nella ricerca dei tulipani presso altre località, da Monterotondo a Viareggio,
finanche ad arrivare in Francia nella zona di Bordeaux. Da qualche anno, grazie soprattutto
all’impegno assiduo e costante del presidente della “Pro Castiglione”, il dott. Giuliano Segatori, si è
tentato di reimpiantare in loco una produzione di tulipani cercando così di garantire una prospettiva
di maggior futuro alla Sagra. Nel tempo la manifestazione si è sviluppata e da una semplice
infiorata di paese, come era all’inizio, è diventata una festa carica di eventi distribuiti in cinque
giorni. Fino alla prima metà degli anni ‘80 i carri tematici, addobbati con i tulipani, erano presentati
sia dalle associazioni di volontariato che dalle frazioni del Comune, poi nel 1984 vennero istituite
quattro contrade: il Castello, contrada del centro storico, Fontivegge, situata ai piedi della collina,
il Mulino, comprendente l’agglomerato della stazione, e i Prati che si trova a nord del paese ed è
delimitata dalla ex S.S.71 e dalle acque del lago e confina con queste ultime due contrade fino all’ex
aereoporto militare. In seguito si sono aggiunte altre due contrade, quella di Soccorso e di Piana.
Oltre alla sfilata dei carri e all’infiorata dei balconi, entrambe soggette a premiazione, la prima per
le contrade e la seconda per i privati, altre simpatiche iniziative sviluppatesi negli anni si possono
riscontrare nei giochi in costume. Tra questi il principale è il Palio del Tulipano. È questi una corsa
con le portantine a forma di tulipano contrassegnate dai colori delle contrade; i portantini sono
quattro per contrada e devono correre portando questa sorta di barelle a spalla, regola questa che
mette a dura prova le doti di coordinazione e di equilibrio di tutta la squadra, vince il Palio la contrada
che taglia per prima il traguardo. Infine, punto importante della manifestazione, le taverne
e il corteo storico. In entrambe si concreta e si evidenzia il legame indissolubile della festa col suo
territorio: le prime offrono infatti specialità della tradizione lacustre e l’ultimo ricorda il momento
di maggior splendore per il paese di Castiglione e cioè il XVI secolo del periodo del Duca Ascanio
Della Corgna. Ma arrivati a questo punto è bene andare alle fonti e sentire il sopracitato dott. Giuliano
Segatori motore della manifestazione nonché sua memoria storica.
l’atipico - 24
il Tulipano da sagra locale a festa regionale
Lorenzo Giommarelli

Dottor Segatori di cosa si occupa nella vita?
Sono un quadro direttivo di un importante istituto di credito, sono consigliere della locale Pro
Loco dal 1973 e dal 1989 ne ho assunto la presidenza, dal 1989 al 1991 sono stato Vice Presidente
Regionale delle Pro Loco dell’Umbria e consigliere nazionale delle Pro Loco d’Italia, inoltre dal 2007
sono consigliere nazionale dell’A.R.C.I Caccia carica che ricopro a tutt’oggi.
A che anno risale la prima Sagra del Tulipano?
La prima Sagra è addirittura del 1956 ma non bisogna affatto immaginarsela strutturata come è
oggi, infatti le prime edizioni si limitavano ad addobbare le piazze del centro storico con i tulipani.
In tutti questi anni di organizzazione quale sono state le maggiori difficoltà incontrate nell’allestimento
di questo evento?
Oltre alle problematiche organizzative classiche che riveste una manifestazione del genere, la difficoltà
maggiore si è presentata quando la Società Bulbitalia cessò la sua produzione lasciandoci
senza materia prima: i tulipani. A questo punto bisognava trovare altri canali. Tentammo di acquistarli
presso Gaeta ma erano fiori usati principalmente per fare essenze profumate e quindi dal
costo proibitivo. Quindi tentammo di impiantare una filiera produttiva locale aggiudicandoci, ad
un’asta tenutasi ad Amsterdam, ben 200.000 bulbi di tulipani calibro 12, cioè quelli più grandi, ma
sfortunatamente il tentativo in questione non ebbe un buon esito. Infine, nel 1994, ci rivolgemmo
ad un paese vicino a Bordeaux dove da tempo operava la Eurobulbe S.A. del signor Alain Vojdress
che da allora è il nostro unico fornitore straniero. Inoltre abbiamo anche l’apporto di una piccola
ma tenace produzione locale del nostro compaesano signor Angelo Paterna.
Quale è il tema per l’addobbo dei carri di questa XLIII edizione?
Il tema per questa edizione è la Primavera e mai tema è stato tanto azzeccato visto che la Festa
stà vivendo una sua nuova giovinezza. Controllando i cantieri dei carri ho contato almeno 60 giovani
tra i 18 e i 25 anni che lavorano in maniera strepitosa e con un affiatamento eccezionale. E’
qui oltremodo necessario fare un accenno all’impegno profuso dalla cittadinanza castiglionese per
quella che è la sua festa, infatti ben 700 cittadini di Castiglione del Lago sono impegnati per la buona
riuscita di questo nostro evento; impegno questo che già comincia diverse settimane prima per
l’allestimento dei carri. Del numero sopracitato vanno considerati almeno 300 figuranti tra corteo
storico e giochi in costume, senza poi parlare del duro lavoro delle taverne che sfornano centinaia
e centinaia di coperti ogni giorno. E’ proprio grazie a questo lavoro d’equipe che siamo riusciti a
dare una continuità a questa festa ed arrivare alle soglie del Tulipano d’oro cioè la cinquantesima
edizione.
Ho notato che parla di festa e non più di sagra.
Giusta osservazione, infatti dal 2006 la nostra manifestazione abbandona definitivamente il titolo
di sagra, tipica di un evento localmente circoscritto, per aggiudicarsi quello di festa regionale. E’ la
nostra infatti l’unica festa di primavera del suo genere in Italia ed è stata tutelata, registrandone
il marchio, da eventuali copie di essa che in passato più di un paese mostrò di voler realizzare.
Anche il corteo storico, nel suo piccolo, rappresenta una sua particolarità, e cioè il fatto che non
vi sono armigeri ma solo dignitari di corte, ambasciatori, nobili e artisti dell’epoca. Questa scelta
vuol sottolineare la spiccata sensibilità di questo meraviglioso personaggio che è stato il Duca
Ascanio Della Corgna, non solo condottiero ma anche architetto e fine cultore letterario oltre che
mecenate di artisti.
Ad oggi quali sono i numeri della Festa del Tulipano?
Attualmente abbiamo almeno 18 autobus accreditati per la festa ed un totale superiore ai 10.000
visitatori; come Pro Castiglione sono stato ospite per presentare la festa ad almeno tre trasmissioni
televisive nazionali (“Uno Mattina”, “Sereno Variabile”, “Linea Verde”). Siamo anche comparsi su
Rai International. Possiamo essere veramente soddisfatti per il lavoro fin qui svolto ma non bisogna
adagiarsi sugli allori, rischiando così di abbassare la guardia: il nostro impegno deve rimanere
costante soprattutto nel suscitare interesse nelle nuove generazioni e poter dare così continuità
alla festa
l’atipico - 25

Ricerca e territorio
...Qualcosa d’importante...
E’ una normalissima sera d’inverno e sono a casa in compagnia di mio nonno. Ad un
certo punto, questi, con fare importante e con aria orgogliosa, se ne esce dicendomi
“...Sono nato da 85 anni e da 60 sono sposato con la nonna. Chiama un giornale e
fammi scrivere un articolo.”
La sua richiesta mi ha reso perplessa; gli anni e
maggiormente la malattia non sempre gli consentono
lunghe riflessioni. Sinceramente, dal
canto mio, non sapevo proprio cosa rispondergli;
di fatto, ho detto la prima cosa che mi è
passata per la testa: “nonno, raccontami qualcosa
di importante successoti nella tua lunga
vita.” La risposta è stata sempre la stessa: “Sono
Mauro Sordi. Ho compiuto 85 anni e sono 60
anni che sono sposato con tua nonna!”, unica
differenza con la battuta precedente era il tono:
incredulo e scocciato. Nella mente di mio nonno
un compleanno ed un anniversario di matrimonio
sono un’impresa degna di fare notizia. Nella
mia mente tutto ciò continuavano ad essere
troppo poco.
La storia non è finita lì. Passati alcuni giorni, mio
nonno è tornato nuovamente alla carica con la
storia del suo articolo. A tal punto, ho iniziato
a cercare tra i suoi racconti una storia degna di
particolare interesse. Infatti, la malattia che lo
affligge, l’Alzheimer, lo porta a narrare, spesso
con enfasi, della sua infanzia e della sua gioventù.
Sovente, quasi mi incanto quando dalle sue
parole esce un paese scomparso, una Piana, che
oggi non esiste più. Dai suoi racconti, non sempre
fluidi e logici, emergono paesaggi, persone,
canzoni, storie, emozioni fin troppo chiari per
una mente provata da una triste malattia. Dopo
averci pensato un po’, sono giunta alla conclu-
l’atipico - 26
Marta Sordi
sione che di tutto ciò che racconta ben poco
poteva essere scritto: ci sono cose così personali
che da sole non fanno ‘notizia’, pur essendo per
me importantissime, quanto meno da un punto
di vista affettivo. Quindi sono giunta alla conclusione
di lasciare perdere.
Con questa convinzione ho iniziato a riflettere
su cosa potevo scrivere di interessante sul numero
a venire de “L’ATIPICO”. Il pensiero però è
tornato nuovamente all’idea di mio nonno. Cosa
dire di 85 anni di vita ‘normale’? Dunque, mio
nonno è nato in una frazione di un piccolo comune,
ha visto la II guerra mondiale e, così come
tutti i suoi coetanei, ha visto tutte le bruttezze
di un terribile conflitto, bruttezze che spesso rivivono
ancora nei suoi incubi notturni. Poi si è
sposato con mia nonna ed è nato mio babbo.
Ha lavorato prima come cantoniere, poi come
giardiniere, sempre alle dipendenze del Comune
di Castiglione del Lago, ed ha messo nel suo
operato sempre tanta passione. Ha avuto una
vita sociale ed associativa vivace: è stato sempre
partecipe degli eventi, piccoli e grandi, che si
sono succeduti nella realtà che lo ha circondato.
Oggi è un simpatico vecchietto in pensione,
sostenuto dall’amore di mia nonna e dall’affetto
di noi della famiglia.
Facciamo qualche confronto. La mia generazione
conosce la guerra solo grazie alla televisione
e, forse, è proprio per questo che le osserva con

un certo pacato distacco.
Sono pochi quelli della mia età che per amore si
sposano giovanissimi; nella nostra società fondata
sul ‘precariato’ il matrimonio, per qualcuno,
è quasi un lusso. Una volta sposati sono ancora
di meno quelli che hanno la fortuna di rimanere
tali a lungo. Per cui, se penso che qualche mio
coetaneo possa festeggiare 60 anni di matrimonio,
mi viene tanto da ridere: sposati ben dopo
i 30 anni, bisognerebbe sperare di vivere quasi
100 anni per raggiungere l’obiettivo...e sempre
che non ci si separi medio tempore!! Per finire
sul punto, in tutta onestà, personalmente confesso
che mi sembra un meraviglioso delirio immaginarmi
vecchietta sostenuta dall’uomo che
forse avrà avuto il coraggio di avermi sposata e
condiviso con me una vita!
Ma andiamo oltre. Di questi tempi il lavoro è un
problema: non sempre c’è e, se c’è, nella migliore
delle ipotesi, è estremamente precario. Per di
più, pochissimi hanno la fortuna di dedicarsi ad
un’attività lavorativa che li appaga. Ancora di
meno sono quelli che riescono a vivere tutto ciò
senza un morboso disagio. Per di più, con l’attuale
crisi economica, ancora di meno sono gli
arditi che si imbarcano in un’attività lavorativa
autonoma.
Quanto poi attiene alla vita sociale, ho l’impressione
che molti uomini e donne del mio tempo
vivono il mondo che li circonda sull’onda di un
(usando una celeberrima frase cinematografica)
“francamente me infischio”! Come dire, non
sempre la coscienza sociale è un valore sentito.
Detto ciò, la mia impressione circa la ‘vita normale’
di mio nonno si è praticamente ribaltata;
nella sua normalità, che non è banalità, ci sono
tante originali sfaccettature. Forse i tempi diversi,
forse l’indole, forse il destino, i suoi 85 anni
non sono stati semplicemente una lunga vita.
Infine, come qualcuno che a volte è più saggio
di me mi ha fatto notare, il mio nonno ha visto i
miei ormai 30 anni di vita. In fondo lui (insieme
a tante altre persone) c’era quando ho mosso i
primi passi, quando non volevo andare all’asilo,
quando sono salita la prima volta in bicicletta,
quando ho iniziato ad andare a scuola...ed ancora
oggi assiste alle mie più o meno simpatiche
avventure e disavventure. Come dire: quest’articolo
mi sembra non solo meritato, ma anche
degno!
l’atipico - 27

Il futuro e’
stato scritto
Sono nata nel 1979, anno dell’uscita del terzo album dei Clash, “London Calling”,
eletto dal Rolling Stone “album più importante degli anni Ottanta”. Nonostante
questo evidente segno del destino il gruppo non ha fatto parte della mia formazione
musicale, almeno per i primi venticinque anni.
Poi sono entrati prepotentemente nella mia vita,
nello scaffale dei cd e nel mio Ipod. E non ho potuto
che sottoscrivere la definizione che ne ha
dato Lester Bangs, uno dei più importanti critici
musicali degli anni Settanta: “I Clash? L’unica
band che conta”.
Poco meno di un anno fa è uscito nelle sale cinematografiche
il film-documentario di Julien
Temple, “Il futuro non è scritto”, che ripercorre
la vita di Joe Strummer tramite immagini
dell’epoca, spezzoni di film, bozzetti animati, testimonianze
di persone che l’ hanno conosciuto
o semplicemente che l’hanno amato per le sue
canzoni e per quello che ha significato nelle loro
vite.
Il film, e la vita di Joe, sono divisi esattamente
in due parti. La prima è quella che racconta Joe
Strummer leader dei Clash, gruppo fondatore
del movimento punk-rock inglese, che in dieci
anni ha saputo rivoluzionare il concetto di musica
riuscendo a mescolare note, parole e generi
musicali diversi (rock, reggae, blues, jazz, punk,
folk, ska). Provate ad ascoltare “London Calling”
e quando siete arrivati all’ultima canzone ditemi
se vi siete annoiati. Io, con il mio approccio alla
musica poco tecnico ma molto emozionale, non
ci riesco. E si che tendo facilmente alla noia.
Sulla storia dei Clash e il ruolo di Strummer è stato
scritto molto, probabilmente tutto. Il primo
l’atipico - 28
Francesca Dini
concerto a Sheffield il 4 luglio 1976 come gruppo
spalla dei Sex Pistols, l’impegno politico, il rapporto
viscerale con il pubblico, l’LSD, la tournèe
americana, il successo, le prime tensione tra i
componenti (Mick Jones, Paul Simonon, Topper
Headon), i soldi e il rimpianto per aver commesso
gli stessi errori che tanto condannavano nelle
altre band (gli Stones prima di tutto).
Ma la parte che più emoziona, che tocca corde
profonde dell’anima, sconosciuta forse anche ai
fans più puri, è quella che parla di Joe dopo lo
scioglimento dei Clash e prima della formazione
dei Mescaleros, gruppo musicale con cui suonerà
dal 1999 al 2002, anno della sua scomparsa.
Nei tredici anni che dividono le due esperienze
Strummer vive un periodo di profonda depressione
e solitudine. Cerca di ricostruire se stesso
e nel farlo si trova ad affrontare un passato di
cui non ha mai parlato (il difficile rapporto con i
genitori e la morte del fratello David, suicidatosi
all’età di 19 anni), un presente che si scontra con
le aspettative di tutte le persone che non riescono
a vedere oltre Joe Strummer leader dei Clash,
ed un futuro dal quale non sa cosa aspettarsi. In
quegli anni bui viaggia, scrive colonne sonore e
partecipa come comparsa a vari film.
Uno dei momenti più belli del documentario è
l’intervista ad un signore che ha conosciuto Joe
durante la sua permanenza a Granada. Si trova-

va lì per delle ricerche su Federico Garcìa Lorca;
lui gli si avvicina chiedendo se fosse veramente
il cantante dei Clash e Joe gli offre da bere. Iniziano
a parlare. Si sentiva frustrato, abbandonato,
solo. Non era soddisfatto di quello che faceva,
poi guardando l’Alhambra disse “Mio fratello
dovrebbe essere qui. Se avesse visto Granada
non si sarebbe mai suicidato”, e continuò esclamando
quando fosse meraviglioso essere vivi.
Ricostruire se stessi dopo un’esperienza che
ha segnato la propria vita, nel bene e nel male,
scomporre tasselli del proprio io, esaminarli, rimetterli
insieme e cercare di andare avanti è
un’esperienza devastante. Per chiunque. E quello
che ha provato Strummer credo sia difficile
da immaginare. Perchè quando incontri un ragazzino
per strada che non ha mai sentito parlare
dei Clash o il titolo di una tua canzone (Rock
the Casbah) diventa un simbolo di morte su una
maledetta bomba americana sganciata su Baghdad...beh,
può succedere che, se ti domandi “chi
sono io”, non sai cosa rispondere.
Joe però diceva che non è mai troppo tardi per
cambiare, che bisogna smettere di seguire i propri
miseri binari ed avere la forza di cambiare.
Lui l’ha fatto giusto in tempo, proprio quando
la porta si stava chiudendo. E con i Mescaleros
aveva ritrovato la voglia di vivere facendo ciò
che ha sempre amato. Musica. In maniera onesta
e senza compromessi.
Tutti attraversiamo periodi in cui ci chiediamo
se le cose siano andate esattamente come ci
aspettavamo, o se invece ci siamo arresi ai compromessi
della vita. Ripensiamo con rammarico
a scelte che hanno condizionato la nostra esistenza
in una maniera inaspettata, a persone
ed idee che abbiamo lasciato lungo il cammino.
Quelli più sensibili possono trovare questo
passaggio molto doloroso, tanto che a volte ci
si chiede quale sia il senso, e spesso non lo si
Tutti vogliono comandare il
mondo intero, deve essere una
nostra tara ereditaria, e non impareremo
mai che i satelliti bruceranno
l’universo
(Charlie don’t surf THE CLASH)
trova (se non credi in Dio diventa tutto ancora
più complicato). Ma quello di Joe è un grido di
speranza, perchè “quando sei in giro in città o
sei di cattivo umore puoi pensare: -aspetta un
attimo, sono vivo. Non so cosa succederà tra un
secondo-”.
Il futuro, è vero, non è scritto e anche se vivere
il presente certe volte può essere veramente
faticoso, è sempre meglio impegnarsi per fare
qualcosa ora, migliorare la propria vita o trovare
la forza di cambiarla se non ci piace, piuttosto
che dannarsi l’anima per quello che è accaduto
o potrebbe accadere.
Come amava fare Joe sarebbe bello prendersi una
pausa, ritrovarsi attorno ad un falò con le persone
che amiamo, a parlare delle proprie sconfitte,
della voglia di lasciarsi andare e quella di
riprovarci. Senza smettere mai di interrogarsi e
di pensare (il pensiero era per Strummer l’unica
ragione per cui vale la pena alzarsi la mattina).
Respirando la vita fino in fondo; come la scintilla
di un falò, capace di illuminare la notte prima
di spegnersi ricadendo sulla sabbia bagnata.
Nel novembre 2002, un mese prima della sua
morte, Joe Strummer partecipa ad un concerto
benefico a sostegno dello sciopero dei vigili
del fuoco inglesi. Su quel palco salì anche Mick
Jones. Insieme, dopo quasi vent’anni dallo scioglimento
dei Clash (e nonostante proposte milionarie
per rivederli di nuovo insieme), intonarono
le note di “White Riot”. Ultima scintilla di
una vita straordinaria; finita troppo presto.
l’atipico - 29

Una piacevole
scoperta
melodie immediate, solari ed indimenticabili,
un nitore formale apparentemente naif, ma costruito
sul sapiente incastro, per lo più acustico,
di chitarre, violino, tromba e percussioni, una
strisciante percezione di delicata compattezza
e unità che si dipana tanto in momenti scanzonati
e groovy quanto in momenti malinconici e
riflessivi.
Gli ingredienti appena elencati evocano la ricetta
dei migliori Belle & Sebastian, a cui Billie The
Vision & The Dancers sono accomunati anche da
una poetica vagamente crepuscolare, dei minuti
piccoli oggetti quotidiani attorno a cui ruota un
brulicare di personaggi sperduti e ricorrenti, tra
l’autobiografico e l’universale.
Riduttivo e limitante però catalogare il piccolo
fenomeno Billie The Vision & The Dancers nel
tutt’altro che brillante calderone degli epigoni
di Belle & Sebastian: la band svedese si muove
infatti con spirito da menestrelli e danzatori, lasciando
in bocca all’ascoltatore un retrogusto
solare e arioso, a dispetto dei numi tutelari, che
pur nell’ambiguità di un pastiche che mescola
tinte calde e fredde, risultano invece al netto
sfocatamente lunari e piovosi.
A degustazione terminata, quando si “scopre
l’etichetta” acquisendo informazioni sulla band,
si decripta lo straordinario senso di collettività e
coralità che si è percepito all’ascolto: il progetto
l’atipico - 30
Billie the Vision & The Dancers
I used to wander these streets
Davide Astolfi
Un incontro fortuito ed inconsapevole con il cd degli svedesi Billie The Vision & The
Dancers, quasi una degustazione di un vino ad etichetta coperta, ha rivelato delle
peculiarità scintillanti che, pure ad un ascoltatore disincantato e, ahimè, ormai dif-
ficile allo stupore, sono apparse inusuali e di una freschezza miracolosa:
ruota attorno all’istrionico front man Lars Lindquists,
che ha adottato una piccola rivoluzione
copernicana nell’atto di costruire il gruppo. Piuttosto
infatti che selezionare musicisti professionisti,
per lo più perfetti sconosciuti, Lars ha stilato
una lista di persone con cui amava passare
il proprio tempo e le ha invitate ad unirsi al
progetto, trascurando del tutto il criterio della
qualità tecnica, che confidava sarebbe cresciuta
in maniera naturale e fertile in un ambiente
permeato da buon umore e piacevolezza.
Di tale rivoluzionario approccio “non musicista”
rimangono tracce in un delicato sapore naif, peraltro
gradevole comprimario della freschezza,
immediatezza, coralità tanto delle composizioni
quanto delle trascinanti performances live.
Non meno rivoluzionaria è stata la scelta di permettere
il download gratuito di tutti i brani dei
quattro album pubblicati dal 2004 ad oggi sul
sito www.billiethevision.com (tanto per alimentare
la percezione naive, il conto corrente attraverso
cui i fan possono finanziare con un’offerta
è stato intitolato “Love Will Pay The Bills”): una
piccola comunità di aficionados si è così sviluppata
tanto in Europa, finanche in Italia, quanto
negli Stati Uniti e addirittura in America Latina.
Billie The Vision & The Dancers vantano una discografia
costellata da numerose piccole gemme,
su cui svetta la magnifica “A Man From Ar-

gentina” dall’album “The World According To Pablo” del
2005, impasto morbido, contagioso e saltellante di chitarre
e tromba, scandito da liriche tanto malinconiche quanto
scanzonate e da un refrain irresistibile.
L’ultima prova di studio, “I used to wander these streets”,
è la loro fatica più ambiziosa e completa: dodici bellissime
ed essenziali tracce pop, senza soluzione di continuità e
senza cedimento, con la tavolozza degli umori, dei colori
e dei suoni che si apre a ventaglio come non mai.
Si parte con effervescenza e ritmo (“Lily from the Middleway
Street”), leggerezza su un tappeto di tastiere e
voci (“You’re not giving up on me”), si attraversano poi
momenti di delicata malinconia (“Someday, somehow”)
e pensosa sensualità ai tempi dello “scontro di civiltà” (“I
belong to you”).
Tra irriverente esibizione su ritmi folk (“Swedish sin”) e
ritmi scatenati e danzanti (“Groovy”) si arriva agli ultimi
episodi dell’album, in cui prevalgono tinte riflessive e quasi
silenti (“Hold my hand”) e la malinconia si sublima in
un’attitudine soul nella conclusione corale che ammicca
al gospel (“Relay Race”).
La tavolozza solare e scapestrata degli esordi in definitiva,
pur perpetuandosi in un substrato di spensieratezza e joie
de vivre, lascia il passo ad un’esplorazione più completa
delle corde espressive della musica e dell’animo, che rende
“I used to wander these streets” un album davvero
imprescindibile
L’atipico lo puoi trovare qui
(a distribuzione gratuita)
castiglione del lago:
Biblioteca Comunale
ITC Fratelli Rosselli
Scuola Media Statale G.Mazzini
CSA L’Incontro
La Darsena
Circolo Arci
Bar del Castello
Il Caffè Latino
Pizzeria Mina
Snack Bar Centro Commerciale Agilla
Circolo Libero Spazio
Cartolibreria Materazzi
Studi medici e dentistici
Ili’s e Marco parrucchieri
Ambulatorio Veterinario “La Fenice”
A tipico
gioiella:
Bar Joy 200
panicarola:
Bar La Piazza
Bar Riky
Cartolibreria Snoopy
piana:
Bar Faralli
pozzuolo:
Bar Tattoo
Bar Controvento
Vaiano
Circolo
villastrada:
Bar Sport
vitellino:
Bar Pierini
nei comuni di
Chiusi
Città della Pieve
Cortona
Magione
Paciano
Panicale
Tuoro
L’
perugia:
Sedi Universitarie di
Scienze della Comunicazione
Lettere e Filosofia
Scienze Politiche
l’atipico - 31

Effetti Collaterali
Conto alla rovescia
10. Pensare al futuro, traguardo immaginifico, come un pasto da deglutire, senza remore, senza
per questo lasciar defluire il presente, vera e unica realtà tangibile di un mondo che non riesco a
comprendere.
9. Riflettere su se stessi, non con giudizi soggettivi, ma con l’obbiettività di un occhio lucido, che ti
dice “Fai Schifo”, perchè null’altro è abituato a dire, null’altro è abituato a pensare.
Vissuto in un mondo privo di bellezza, ha solo spazio per calcoli, giochi, comunque stupidaggini.
8. L’aria manca sempre più.
Tutto il resto è letame, i pochi appigli che hai sono una penna, un foglio, un paio di cuffie.
Trovare un motivo, uno spazio vitale è sempre più difficile.
7. Combattere.
Perchè quelli che ti vogliono annientare moriranno soli, e i tuoi sogni spiegheranno le ali e voleranno,
via da qui.
6. Buio.
Profondo, accomodante buio, che mi fai vedere da vicino la fine.
Cecità, apparente, assoluta, che fa ritornare i pensieri ad avere l’importanza che di solito soccombe
agli sguardi, compiuti da occhi non più innocenti, non più puri.
5. Dolore.
Terribile male, che arriva dappertutto, e si diffonde per il tuo corpo indifeso, durante quel countdown
che è la vita, un conto alla rovescia inesorabile, che aspetta, insieme col tempo, la tua carcassa, per
poterne ridere, e per poterla giudicare, finalmente morta, e poter ingenuamente pensare che tu di
loro non abbia capito niente.
4. Senso.
Avere l’impressione di non averlo, e di non trovarlo in niente, eccetto le persone amate, che come
te capiscono.
Vedere un oceano che onda dopo onda erode la spiaggia e ti si fa sempre più vicino, che non perde
mai il coraggio di riprovarci, perchè è te che vuole.
3. Se niente ha senso, io so che posso muovere qualcosa.
So di poter fare ciò che voglio, con chi voglio.
So che il mondo che mi circonda è sempre più malato, ma io sento di non esserlo ancora.
2. Luce.
Intermittenza nei miei occhi ora nuovi, che tornano a
pensare alla verità, che non può esistere in un mondo
insensato. Io ho senso, in quanto sono.
La mia esistenza è la prova che io, qui, forse sono necessario.
1. Sto per partire, senza sapere la destinazione.
Credo che sarà il mondo che sogno ad attirarmi verso se,
senza mappe, ne navigatori.
0. Seguire se stessi, unica sensata azione possibile.
l’atipico - 32
Alessandro Berrettoni

Effetti Collaterali
Per chi viaggia in direzione
ostinata e contraria Benedetta Nocentini
Coltivando tranquilla
l’orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un’anestesia
come un’abitudine
per chi viaggia
in direzione ostinata e contraria
De Andrè
Da sempre sono cantati, da sempre sono citati, da sempre se ne stanno lì, in quell’angolo d’ignoto,
in quella parte ombrosa del mondo.. quella parte che tutti quelli che vedono la luce non riescono
a scorgere.. e soffrono.. e piangono.. e amano. Vite come le altre. Uomini, donne e bambini segnati
in un modo o nell’altro dalla vita, dagli eventi. Eventi passati come vento, vento che accarezza la
loro pelle, vento che accarezza i loro capelli. E se ne va. E loro restano lì, come alberi al vento, e si
piegano e piangono, e scalpitano e gridano, con la voce di un muto.
E vorrebbero essere guardati e non solo visti, vorrebbero essere ascoltati e non solo uditi, vorrebbero
essere capiti e non solo immaginati. E vorrebbero tutto ciò che spetterebbe ad una vita umana,
e vorrebbero non più essere chiamati prostitute, clochards, drogati e non vorrebbero più essere
descritti da altri simili e futili accostamenti di lettere che forse anche la lingua italiana ha dimenticato
di coniare, tra i suoi latini e i suoi volgari. I soli, gli abbandonati, i dimenticati, tormentati da
quel vento che lascia dietro se soltanto un’infinita voglia di pace, combattono, e stringono i denti,
e non reagiscono, e sono schiacciati da un macigno troppo grande che forse non riusciranno ad
alzare mai. Un macigno fatto di buio, di solitudine, di emarginazione. E forse è proprio quella la
loro pace. La fuga. La fuga dal mondo, dalla gente - che qualcuno definiva “ciliegi malati in ogni
stagione” - dalla folla, così imbevuta di pregiudizi e di luoghi comuni, folla di giusti e di improbi,
folla di egoisti e di protervi. Folla che parla di loro, che ragiona di loro e li dimentica, e li nasconde,
celati dietro l’indifferenza, la riluttanza di un presente in cui non c’è più posto per nessuno.
Vite uniche che affrontano la loro unicità guardandola diritta negli occhi, vite che costruiscono il
loro presente dettatogli dalla follia della loro diversità. E
si vedono per le strade, fuori, nel mondo, così occupato e
impegnato nelle sue attività, nel suo eterno sfaccendare,
e non si vedono. Isolati e collocati agli antipodi di una
società di ruffiani, di egoisti, di lacché, di venduti, di manichini
di cartone senza un’anima e senza un cuore, se
ne stanno i diversi. Cullati, circondati, avvolti, soffocati
da una fitta coltre di nebbia che li nasconde dalla verità
di un mondo troppo crudele... sognano il loro mondo.
l’atipico - 33

l’atipico - 34
NEL MIO
I-POD
Ho combattuto la legge
Charlie Del Buono
“I fought the law”: letteralmente “io ho combattuto la legge”; cosa ci si aspetterebbe da una canzone dal
titolo cosi evocativo, se non un pezzo barricadiero, di lotta, magari un po’ rivoluzionario? Ed invece siamo
davanti al classico esempio di come una canzone viene composta in un contesto ed in seguito il suo significato
viene decontestualizzato trasformando il pezzo stesso in qualcosa di totalmente diverso. Originariamente
composta da Sonny Curtis & the Crickets nel 1959 (subito dopo la morte di Buddy Holly, ex leader
del gruppo e padre putativo del r’n’r, in una sciagura aerea) I Fought the law è il classico pezzo di r’n’r americano
con un bel riff di chitarra, dei cori accattivanti ed un testo che narra la storia di un tizio condannato
ai lavori forzati, in una polverosa galera del sud degli States, dove è costretto a spaccar pietre. Il bandito in
questione è imprigionato a seguito di una rapina andata male; lui, povero, emarginato e bisognoso di soldi,
tenta il riscatto sociale con il colpo della vita per poter vivere una vita migliore con la sua splendida ragazza.
La rapina fallisce ed il nostro eroe sotto il sole, spaccando pietre, canta “ho avuto bisogno di soldi perchè
non ne ho mai avuti; ho combattuto la legge e la legge ha vinto; ho lasciato la mia piccola e si è sentita male; lei è
la migliore ragazza che abbia mai avuto; l’ho persa ed ho perso la mia gioia; rapinando gente con una pistola; ho
combattuto la legge e la legge ha vinto”. Nel 1965 Bobby Fuller con il suo gruppo incide una versione un po’
più dura di questa canzone, ma è con la versione tirata e punkeggiante che faranno i Clash nel 1979 che I
fought the law divenne il vero inno di tutti coloro che combattono cercando di prendersi dalla vita e dalla
società ciò che gli è stato negato: felicità e benessere. Con i Clash questo semplice pezzo r’n’r divenne un’arma,
un grido di battaglia degli “ultimi” del mondo. Di questo pezzo si contano miriadi di versioni, perchè
I fought the law appartiene a tutti coloro che cercano rispetto e riscatto. Ecco che quindi nel 1978 i Dead
Kennedys ne incidono una versione furiosa e polemica, che accusa la bigotta e perbenista società americana
come vera mandante dell’omicidio dell’esponente di punta dell’emancipazione del movimento gay Harvey
Milk (recentemente interpretato al cinema dal premio Oscar Sean Penn) da parte di Dan White. In questa
versione i Dead Kennedys cambiano leggermente il testo attribuendo all’assassino la frase “ho combattuto
per la legge, ed ho vinto”. Nel tempo questo inno alla riscossa ha trovato posto nella scaletta dei concerti
dei più disparati artisti, da Bruce Springsteen a Tom Petty, passando dalla Manonegra di Manu Chao, fino
agli Ska-P; esiste la versione rockabilly degli Stray Cats e quella più dura dei Green Day, esiste la versione
irish-folk dei Pogues ed esiste anche una versione colorata da una splendida fisarmonica dei marchigiani
Gang. In definitiva I fought the law è la canzone di tutte le battaglie, di tutte le rivendicazioni, è la canzone
da cantare quando si ha l’impressione che la legge tuteli chi è potente rispetto chi è indifeso. A tal riguardo
nel gennaio del 2008 il gruppo inglese Oystar, a supporto di una campagna di solidarietà verso i clienti
truffati dalla compagnia assicurativa Lloyds, incise una brillante versione del pezzo che fu di Sonny Curtis
titolandolo per l’occasione I fought the Lloyds! Ogni mattina che Dio manda in terra quando do una occhiata
al giornale mi vengono in mente tanti motivi per urlare I fought the law:
lo urlo quando leggo che c’è chi vorrebbe che i medici denunciassero i
clandestini subito dopo averli visitati; lo urlo quando leggo che per le
multinazionali l’acqua non è un diritto di tutti ma un bisogno di tutti
(quindi se ce l’hai bene, se la puoi comprare meglio, se non ce l’hai crepa);
lo urlo quando leggo che se sei una delle quattro cariche più importanti
dello stato puoi essere giudicato solo da nostro Signore che sta nei cieli;
lo urlo quando leggo che il lavoro non va più considerato come risorsa
ma come merce. Molti sono i motivi per gridare, protestare e contestare
cantando questa piccola canzone del 1959 che di bocca in bocca, di generazione
in generazione, insegnata dai fratelli più grandi ai fratelli più
piccoli, di strada ne ha fatta proprio tanta.

Riceviamo,
pubblichiamo
e rispondiamo
Confesso che il fatto che l’Atipico mi abbia
chiesto un piccolo aiuto mi ha riempito d’orgoglio.
Sono un sincero ammiratore di questo progetto
editoriale ed ogni volta che incontro in giro
un nuovo numero mi stupisco della qualità
che si è scelto di perseguire, peraltro con una
diffusione gratuita.
Ammiro il coraggio e la dedizione con cui avete
scelto di fare cultura e la sfrontatezza con
cui spesso osate volare anche molto in alto.
Tenete duro perchè grazie al vostro lavoro
questo mondo è un pochino migliore.
Ciao
Antonio Meoni
Prima di tutto grazie a te, il tuo aiuto è stato
prezioso per la realizzazione di questo numero.
E’ nostro motivo di orgoglio che i lettori dell’Atipico
siano disponibili ad interagire con noi.
Ci piace infatti pensare che il nostro sia un progetto
dove chi scrive e chi legge siano una cosa
sola.
Il nostro intento certamente non è quello di
migliorare il mondo (magari fosse così facile....),
l’obiettivo è solo quello di proporre spunti di
riflessione e discussione.
Atipicamente salutiamo.
La Redazione
L’Atipico per tutti
Hai la passione di scrivere?
Inviaci i tuoi racconti, pensieri, considerazioni,
idee, riflessioni, seri o faceti che siano.......
scrivi e invialo alla redazione dell’Atipico
email: redazione@atipico-online.it
posta: via Marzabotto 14 - 06061 C.Lago (PG)
L’ATIPICO
periodico culturale bimestrale
dell’associazione
Il Carro di Annibale
Anno V - Marzo Aprile 2009 - n°28
Registrazione del Tribunale di Perugia 34/2004 del
06/10/2004
Direttore Responsabile: Luigina Miccio
Redazione:
Charlie Del Buono
Laura Rossi
Marta Sordi
Lucia Romizzi
Impaginazione:
Gianluca Cirotti
Charlie Del Buono
In questo numero:
Matteo Sordi
Sara Montigiani
Lorenzo Giommarelli
Riccardo Meacci
Benedetta Nocentini
Alessandro Berrettoni
Annibale Ferrini
Fabio Cianini
Alessandro Bonin
Davide Astolfi
Stefano Meacci
Francesca Dini
Alessandro Mazzetti
Enrico “Erriquez” Greppi
Cristian Gallorini
Hanno collaborato:
Fausto Ieraci
Marco Mugnai
Stefania Bruni
Valentina Picchio
Stampato in proprio
Per contattare la redazione:
email: redazione@atipico-online.it
posta: via Marzabotto 14 - 06061 C.lago (PG)
Sito internet:
www.atipico-online.it
a cura di Stesio54 (www.stesio54.it)
Foto:
Stefano Spadoni, Andrea Frustini
Dalhila Grova, Gianluca Cirotti
La redazione ringrazia la Zara per averci cortesemente
concesso il permesso di fotografarla durante il sacro momento
dell’aperitivo
l’atipico - 35

Roba da Fasciani
Un bicchiere d’acqua non si nega
a nessuno.... pagando s’intende!
Il tipo di equilibrio sul quale si basa la nostra
civiltà è quello sfruttati/sfruttatori.... In Italia
gli sfruttati poi si possono dividere ancora tra
furbi e coglioni (se siamo coglioni parteggiamo
per i più furbi perchè vorremmo essere
come loro ... come lui).
Io sono uno sfruttatore se considero il mondo
nella sua globalità, sono uno sfruttato se mi
limito a considerare il mondo economico al
quale appartengo, sono meno di un granello
di polvere in un giorno di vento se considero
l’intero universo.
Non è facile spiegare tutto in poche battute
ma ci si può provare.
Fino alla fine degli anni Ottanta il mondo era
diviso in tre grandi tronconi:
Il primo mondo, cioè noi paesi occidentali sviluppati;
Il secondo mondo, i paesi del blocco socialista;
Il terzo mondo, tutto il resto (neanche a dirlo
la parte più grande).
Il mondo era diviso in zone d’influenza politica
che poi tanto politica non era, in quanto
l’importante è sempre, è solo, stato avere
nuovi sbocchi per le economie dei due blocchi
(finto socialista e libero mercatista).
Nelle aree sfera dell’ingerenza politica dei due
blocchi in realtà avveniva, grazie a governi-
l’atipico - 36
Riccardo Meacci
L’universo si basa sull’equilibrio, l’uomo è alla costante ricerca del suo equilibrio.
Se l’equilibrio delle cose viene a mancare si scatenano reazioni violente volte solo a
ripristinare le condizioni di default. Quando si esagera nel caricare il disco rigido del
computer bisogna riformattare e ricominciare da capo. Si perdono, magari dei files
importanti ma è l’unica cosa da fare se si vuole andare avanti, è un fastidio che si
può sopportare per continuare nella nostra normale attività.
fantoccio, che l’intera economia fosse sotto il
controllo delle compagnie multinazionali.
Dall’East India Company alla United fruits, dalla
Monsanto alla Shell, che magari non sono
neanche le peggiori, tutto quello che è successo
di terribile nel Terzo Mondo passa per
questi colossi dell’economia.
Crollato per implosione il blocco socialista è
saltata la copertura politica ed è nata la globalizazione
economica delle multinazionali che
in soldoni potremmo definire così: “Produciamo
dove ci costa meno e rivendiamo come
fosse oro dappertutto” oppure “prendiamo
quello che ci serve dove c’è senza tante rotture
di scatole e poi facciamo affari”.
Il primo, il secondo ed il terzo mondo sono
diventati il Sud ed il Nord del mondo.
E’ cambiato tutto e come sempre succede tutto
è rimasto come prima.
Siamo arrivati al punto che a “difendere” i diritti
dei cittadini ad avere un’esistenza dignitosa
(per quasi metà della popolazione mondiale
parliamo solo di esistenza) sono gli stessi che
hanno il controllo economico del mondo.
Recentemente ad Istanbul si è tenuto il quinto
“World Water Forum”.
Decine di migliaia di congressisti si sono incontrati
per discutere e trovare una soluzione
al problema dell’acqua. “Quale problema?”

può chiedersi qualcuno di voi (spero di no).
Otto milioni di persone muoiono ogni anno
per carenza di acqua e di sistemi igienico sanitari
e la situazione si prevede peggiore negli
anni a venire visto che è previsto per il 2030
che metà della popolazione mondiale rimarrà
senz’acqua.
Che cosa è stato deciso? Dal documento ufficiale
stilato alla fine del forum viene fuori che
l’acqua è una necessità .... Non un diritto ma
una necessità.
Per chi non lo sapesse, la vita umana non conta
più niente.
Ma chi organizza il Forum mondiale sull’acqua?
Il Consiglio Mondiale dell’Acqua, un organismo
che si occupa di analisi delle politi-
che pubbliche strettamente legato alla banca
mondiale, alle multinazionali dell’acqua (come
Suez o Veolia) ed alle politiche dei governi più
potenti del mondo.
Va da se che gli interessi da difendere non
sono i nostri (miseri esseri umani che facciamo
lavori poco stabili).
Tornando all’equilibrio, legge che regola l’andamento
dell’universo, mi pongo una domanda:
”Fra quanto ci accorgeremo di essere sfruttati
e smetteremo di guardare ad i più furbi come
esempi?”
Ho paura che la risposta sia: Troppo tardi
Il che (che sia tardi non che ce ne accorgiamo)
potrebbe essere tra ...3.....2....
l’atipico - 37

Saggio è colui che si contenta dello spettacolo del mondo
l’atipico - 38
Fernando Pessoa

Appuntamenti
e segnalazioni
Per dare un aiuto alle popolazioni colpite dal terremoto
Come ben tutti sanno nella prima mattinata di lunedì 6 aprile 2009 la Regione Abruzzo, in particolare la Provincia de
L’Aquila, è stata colpita da un terremoto di una forza distruttiva mai vista negli ultimi tempi. Ad aggravare questa situazione
si sono aggiunte ripetute scosse, di assestamento e non, che nelle ore successive alla prima, hanno ulteriormente
colpito le stesse zone già raggiunte dai primi soccorsi. Pur non volendosi dilungare tanto sui particolari, già trattati da
altri quotidiani o comunque dai notiziari, preme precisare quanto segue.
La nostra Associazione come “Unità Volontaria di Protezione Civile di Città della Pieve”, insieme ad altre Associazioni
del Territorio riconosciute a Livello Nazionale, sta organizzando la “RACCOLTA DI GENERI ALIMENTARI DI PRIMA NE-
CESSITA’ “, accumulando esclusivamente PASTA e RISO.
La raccolta avverrà presso la SEDE della nostra Associazione, EX ALLOGGIO DEI CARABINIERI, in Piazza Matteotti (Via
Marconi, 1), tutti i giorni nei seguenti ORARI: dalle ore 15:00 alle ore 17:00 e dalle ore 21:00 alle ore 23:00.
Tutto ciò che verrà raccolto sino al giorno Sabato 11 Aprile sarà portato in Abruzzo dal nostro contingente, che partirà
tra i giorni DOMENICA 12 e LUNEDI’ 13 APRILE 2009, e sarà consegnato direttamente alle persone bisognose.
Ovviamente saranno accettate consegne di beni anche nei giorni seguenti a Lunedì 13 Aprile; i suddetti beni saranno
immagazzinati per poi essere trasportati sino alle zone colpite in un secondo momento e, comunque, quando ce ne sarà
necessità e diretta richiesta da parte delle Autorità.
L’Associazione coglie l’occasione per ringraziare vivamente chi già, nei giorni passati, si è mobilitato in favore di tale
iniziative.
Unita’ Volontaria Di Protezione Civile di Citta’ della Pieve
P.zza Matteotti - Ex Alloggio CC
Via Marconi, 1
Presidente U.V.P.C. Fabio Passerini 3935668077
Resp. Simona Santicchi 3498340838
Resp. Nicola Possieri
Sostieni a Castiglione il GAP (Gruppo d’Acquisto Popolare).
Il gruppo si propone di associare singoli e famiglie per abbattere
il costo dei beni di prima necessità. I prodotti saranno
reperiti, per quanto possibile “a chilometri 0”, ossia
presso produttori locali, in maniera da poterne controllare
la qualità e sostenere le piccole imprese del luogo.
L’attività del gruppo si basa sul lavoro volontario degli aderenti
e non ha nessuno scopo di lucro.
Per info e adesioni:
sito internet: www.gaptrasimeno.wordpress.com
email: gap.trasimeno@email.it
tel: 366 53 50 857
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