IL “COLPO” DI ZURIGO di Paolo Casolari Ci sono ... - GRIGIOVERDE

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Risistemati i calchi, Cappelletti, col placet di Aloisi da Berna, trasmise l'ordine di eseguire il 20 febbraio 1917. Nel frattempo il sottufficiale della Marina, Tanzini, consegnò le armi agli operatori; tenne per sé una pistola, ne dette una scarica a Papini e consegnò un pugnale a Bronzin. Fu ritenuto invece conveniente non armare l’inaffidabile Bini. Poco prima della mezzanotte del 20 febbraio, i quattro (Tanzini, Papini, Bronzin, Bini) si avviarono verso il consolato austroungarico; vennero fermati da due poliziotti che domandarono loro in tedesco dove stessero andando e se la cavarono con la scusa di essere minatori italiani diretti alla stazione. Arrivati alla sede del consolato austroungarico Bronzin si mise subito al lavoro, aprendo con la prima chiave il portone. Saliti all’ingresso dell’appartamento del “console” Mayer, non riuscirono ad aprire la porta. La serratura era scattata, ma il battente non cedeva poiché, contrariamente alle assicurazioni di Bini, il personale usava un secondo chiavistello. Dovettero desistere. I tre giorni seguenti passarono tra nuove prove e modifiche alla chiave (la terza) e solo il 24 febbraio Bronzin riuscì a completare il lavoro. Cappelletti chiese il via a Berna, ma stavolta Aloisi, concordando l’operazione per la notte successiva, chiese di tenerne all’oscuro Bini. Venne usato lo stratagemma di fingere un giorno di riposo per recarsi in treno al carnevale di Ginevra, onde sviare eventuali spie austriache. Bini, colto alla sprovvista dalla scusa del treno perso, dopo molte obiezioni finì per accettare. Gli italiani si misero d'accordo per trovarsi alle ore 21,30 nei dintorni del Consolato austroungarico. Cappelletti, insieme a Bonnes, giunto da Berna, rimasero in strada a fare da palo. Alle 21,30 arrivarono Bronzin e Papini, poi Bini e Tanzini con le attrezzature occorrenti. Bronzin aprì velocemente il portone, facendo passare gli altri tre, proprio nel momento in cui transitava una pattuglia di gendarmi che per fortuna non li fermò. Arrivati davanti alla porta dell'ufficio di Mayer, Bini cominciò a dare segni di panico. Si iniziarono, quindi, a montare gli apparecchi ossidrici, costituiti da una bombola d’ossigeno, una di acetilene e un bruciatore tagliente. Infine, intorno alla cassaforte fu sistemato uno schermo di tela cerata, così da evitare che, attraverso la finestra, filtrassero i bagliori. Papini si mise al lavoro alle ore 21,45 ma, appena forò la lamiera più esterna della cassaforte, si sprigionò un gas che fece scoppiare i tubi di gomma. Gli strati refrattari cuscinetto tra le pareti della cassaforte, a contatto col fuoco, avevano prodotto un gas irrespirabile. Bronzin fece appena in tempo a chiudere le valvole delle bombole, altrimenti si sarebbe verificata un'esplosione. Il gas era però tossico e diede ai quattro problemi di respirazione. Nel frattempo, il guardiano notturno col cane stava svolgendo il giro d'ispezione, ma non si accorse dei quattro che, comunque, avevano sospeso il lavoro. Tornati all'opera, Tanzini reperì acqua da un vaso e alleviò gli operatori. Verso la mezzanotte decisero di aprire uno spiraglio alla finestra per cambiare l'aria e a quel punto Papini, accorgendosi di essere solo a metà del lavoro, tentò di abbandonare l'impresa, ma venne convinto dalla pistola di Bronzin a rimanere sul posto. Finalmente, verso 2.00 del 26 febbraio, la porta della cassaforte cedette, rivelando il suo contenuto: gioie, monete d’oro, valuta, francobolli e i documenti: le
piante dei nostri porti con gli sbarramenti per i sommergibili, i piani per i concentramenti della fanteria italiana, la chiave dei cifrari austriaci, la lista completa delle spie italiane al soldo di Vienna, il lucido delle mine per la protezione della rada di Genova, i progetti particolareggiati per sabotare le corazzate "Giulio Cesare" e "Conte di Cavour" e per fare un colpo a Roma, alla Banca d'Italia e al Parlamento, l'elenco dei partecipanti e lo svolgimento delle operazioni riguardanti lo scoppio del dinamitificio del Cengio, l'incendio dei magazzini al porto di Genova e il sabotaggio della "Benedetto Brin" e della "Leonardo da Vinci. Tutto il materiale venne stivato in 4 valige. Tanzini, per lasciare uno segno beffardo, legò una corda al chiodo di uno specchio e all'altra estremità fece un nodo scorsoio con dentro una saponetta; inoltre coprì il foro della cassaforte con il cilindro da cerimonia di Mayer. Bronzin si curò di spezzare nelle serrature i pettini delle chiavi, in modo da ritardare la scoperta dello scasso. Alle 4,00 abbandonarono gli uffici del consolato e presero quattro treni diversi. Cappelletti comunicò ad Aloisi il successo con la frase convenzionale: "l' ammalato ha superato la crisi, possiamo trasportarlo con il primo treno a Berna". I documenti più importanti vennero consegnati dal comandante Aloisi, a Roma, il 27 febbraio, mentre altri li portarono Bonnes e il corriere diplomatico. Bronzin e Papini rientrarono indisturbati a Milano. Cappelletti rimase invece a Zurigo, a godersi i primi commenti della stampa locale, che inizialmente considerò il fatto come l’impresa di ladri. Solo dopo diversi giorni la stampa ammise che la cassaforte svuotata era quella del vice-console austriaco Mayer. Dopo più di un mese, infine, la polizia elvetica ne attribuì la responsabilità all'avvocato Bini e ai due suoi compagni, De Luca e Palazzo. Analoga fu la versione fornita nel 1930 dal capo dell'Evidenzbureau il quale, sottolineando nelle sue memorie la gravità del colpo. lamentò la sottrazione della documentazione del servizio di spionaggio. Mayer dovette lasciare la Svizzera e rientrare in Austria. Sui dettagli del colpo cadde però l’oblio ufficiale, e solo altri due documenti lo confermano. Il primo è il laconico ordine del giorno del Ministero della marina, che diceva “Per l’alta missione compiuta da questo superiore Ufficio sono salve le navi da battaglia Andrea Doria, Giulio Cesare e Cavour”. Il secondo è la ricevuta l’11 dicembre del 1992 il Mayer vergò da Vienna agli agenti di polizia inviati dal Governo Italiano per restituire i beni personali: "Ricevo da rappresentanti del governo italiano: una cassettina di latta, una spilla d'oro a forma di corona contornata da brillanti, tre braccialetti d'oro con brillantini, due spille d'oro con tre perle; un paio di orecchini con pietre e brillanti; una medaglia con due pietre preziose".
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