IL “COLPO” DI ZURIGO di Paolo Casolari Ci sono ... - GRIGIOVERDE

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02.06.2013 Views

La Marina convocò pertanto uno tra i suoi miglior ufficiali, già distintosi nella guerra italo turca e poi passato in diplomazia, il capitano di corvetta barone Pompeo Aloisi, e lo spedì in missione a Berna, dove aveva una sede anche l’Ufficio I del Comando Supremo e dove si sospettava si celasse il cervello del controspionaggio nemico. Alosi prese contatto con gli ambienti diplomatici, i locali alla moda, le bettole più infami, fin quando non scoprì che il bandolo della matassa era proprio Mayer e che dalla sua centrale spionistica austroungarica di Zurigo partivano gli ordini per gli attentati e i sabotaggi. Intanto però nel febbraio 1916 si verificarono altri gravissimi episodi: la distruzione del dinamitificio del Cengio, in provincia di Genova, di alcune centrali idroelettriche e delle aviorimesse per dirigibili in Ancona, dei magazzini viveri del porto di Napoli e della zona franca di Genova, il tentativo di distruzione della centrale idroelettrica delle Marmore Alte. Fu arrestato in flagranza Giuseppe Larese, agente di Mayer, che aveva chiesto e ottenuto la cittadinanza austriaca. Larese fu condannato a morte, ma nel corso degli interrogatori rivelò anche il programma ai danni dell'Italia dell'Evidenzbureau. Le distruzioni continuarono e interessarono un carro ferroviario carico di proiettili navali a La Spezia, che causò la morte di 265 persone tra civili e militari, e un vagone contenente 500 granate cariche alla polveriera di Vallegrande, presso La Spezia. Ma il bersaglio grosso fu la corazzata Leonardo da Vinci, all'ancora nel porto di Taranto. I sabotatori introdussero a bordo alcune bombe ad orologeria. La notte del 2 agosto 1916 un'esplosione più forte spezzò la carena della nave e fece capovolgere la corazzata in soli cinque minuti. Nel disastro perirono 21 ufficiali, 42 sottufficiali e 186 marinai. Il comandante morì due giorni dopo. La corazzata era nuova. Psicologicamente le conseguenze del nuovo disastro furono incalcolabili: l’opinione pubblica, stavolta disillusa, attribuì subito la perdita ad un sabotaggio. Mayer fu promosso capitano di vascello, ottenendo, al tempo stesso, il permesso di trasferire i suoi uffici di Zurigo in uno stabile più defilato. In questa nuova sede, gli uomini dell'Evidenzbureau-marina cominciarono a progettare attentati alla Banca d'Italia, alla Camera dei Deputati e alle corazzate Giulio Cesare (per il 5 marzo) e la gemella Conte di Cavour (il 12). Intanto però l'attività di ricerca svolta dall’Aloisi consentì di acquisire concreti elementi di informazione dai quali emerse che nel nostro Paese agiva, dietro lauti compensi, una capillare rete di informatori e sabotatori al servizio degli austriaci: un milione di lire per ogni nave affondata o fatta saltare. Contemporaneamente due volontari di guerra, di origine triestina, il tenente d’artiglieria Ugo Cappelletti e il tenente del genio navale Salvatore Bonnes, entrambi ingegneri e conoscitori del tedesco, si offersero volontari per un’azione di

controspionaggio in Svizzera. Per copertura, lo stato maggiore conferì al Cappelletti la nomina di vice-console a Zurigo col nome di Damiani e a Bonnes la nomina di addetto commerciale alla legazione italiana di Berna. Giunti sul posto, i due ufficiali arruolarono l'avv. Livio Bini di Firenze, doppiogiochista a suo tempo assoldato dal Mayer tra i fuoriusciti italiani, fuggito in Svizzera per evitare una condanna per bancarotta. Bini, che però nel frattempo, facendo la spola con Firenze, era stato arrestato, si era offerto di collaborare. Tramite lui individuarono, con assoluta certezza, l'ubicazione defilata dell'edificio in cui Mayer aveva la sua centrale. Forte di ciò, il servizio di controspionaggio della Marina, nel maggio del 1916, creò per Aloisi una sezione distacca del servizio a Berna, con la copertura di primo consigliere della legazione e col nome di dr. Marino. Il Cappelletti fu destinato a sorvegliare da vicino lo stabile di Mayer. Il piano temerario di Aloisi, che ottenne l'approvazione del capo di stato maggiore della Marina, prevedeva un blitz nei locali del consolato generale austroungarico di Zurigo, l’apertura della cassaforte e l'appropriazione dei documenti segreti, dai quali risalire alla rete di spie operante in Italia. Tramite il questore di Milano, Falcetano, venne reperito uno scassinatore disposto a correre i rischi. La scelta cadde su uno specialista, Natale Papini di Livorno. Accettò con la promessa di tenere per sé tutto quanto si trovasse di valore nella cassaforte. Papini si mise d'accordo con un suo collaboratore e dopo pochi giorni i due vennero forniti documenti falsi, nei quali Papini risultava essere "De Luca" di Milano e il suo compagno "Palazzo," di Firenze. I due, giunti a Zurigo, presa però coscienza diretta dei rischi che correvano, desistettero dall'impresa, rientrando in Italia senza nemmeno avvisare Cappelletti. Questi, allora, autorizzato, prese contatto con l'irredento Remigio Bronzin, un operaio della ditta Stigler, esperto di serrature, disposto a combattere l'Austria con ogni mezzo. Accettò senza chiedere nulla in cambio. Il 19 gennaio Bronzin, munito di passaporto intestato a "Remigio Franzioni", si presentò a Zurigo, dove iniziò a lavorare con il citato Bini. Il fabbro prese le impronte delle serrature e due giorni dopo Bini era già in grado di provare una delle chiavi. L'operazione fu poi ripetuta nei giorni successivi. Bronzin però si accorse progressivamente dell’inaffidabilità dal Bini, il quale spesso si defilava e mancava gli appuntamenti. La situazione divenne insostenibile ed Aloisi fu costretto ad affiancare al Bronzin, nel giro di 24 ore, un più affidabile compagno di lavoro: il sottufficiale di Marina Stenos Tanzini di Lodi, specialista torpediniere transitato nel servizio informazioni: quest’ultimo fornì a Bronzin importanti indicazioni circa le abitudini e gli orari di sorveglianza del guardiano della palazzina obiettivo. Intanto ricomparve a Zurigo lo "scassinatore" livornese Natale Papini, pentitosi della precedente sua fuga dalla Svizzera, che venne riammesso all’impresa, non senza qualche cautela. Il 18 febbraio, Bronzin, Papini e Tanzini ripeterono la prova delle chiavi, senza l'inaffidabile avvocato Bini, e scoprirono che erano necessario aggiustamenti.

controspionaggio in Svizzera. Per copertura, lo stato maggiore conferì al<br />

Cappelletti la nomina <strong>di</strong> vice-console a Zurigo col nome <strong>di</strong> Damiani e a<br />

Bonnes la nomina <strong>di</strong> addetto commerciale alla legazione italiana <strong>di</strong> Berna.<br />

Giunti sul posto, i due ufficiali arruolarono l'avv. Livio Bini <strong>di</strong> Firenze,<br />

doppiogiochista a suo tempo assoldato dal Mayer tra i fuoriusciti italiani,<br />

fuggito in Svizzera per evitare una condanna per bancarotta. Bini, che<br />

però nel frattempo, facendo la spola con Firenze, era stato arrestato, si<br />

era offerto <strong>di</strong> collaborare. Tramite lui in<strong>di</strong>viduarono, con assoluta<br />

certezza, l'ubicazione defilata dell'e<strong>di</strong>ficio in cui Mayer aveva la sua<br />

centrale. Forte <strong>di</strong> ciò, il servizio <strong>di</strong> controspionaggio della Marina, nel<br />

maggio del 1916, creò per Aloisi una sezione <strong>di</strong>stacca del servizio a Berna,<br />

con la copertura <strong>di</strong> primo consigliere della legazione e col nome <strong>di</strong> dr.<br />

Marino. Il Cappelletti fu destinato a sorvegliare da vicino lo stabile <strong>di</strong><br />

Mayer.<br />

Il piano temerario <strong>di</strong> Aloisi, che ottenne l'approvazione del capo <strong>di</strong> stato<br />

maggiore della Marina, prevedeva un blitz nei locali del consolato<br />

generale austroungarico <strong>di</strong> Zurigo, l’apertura della cassaforte e<br />

l'appropriazione dei documenti segreti, dai quali risalire alla rete <strong>di</strong><br />

spie operante in Italia. Tramite il questore <strong>di</strong> Milano, Falcetano, venne<br />

reperito uno scassinatore <strong>di</strong>sposto a correre i rischi. La scelta cadde su<br />

uno specialista, Natale Papini <strong>di</strong> Livorno. Accettò con la promessa <strong>di</strong><br />

tenere per sé tutto quanto si trovasse <strong>di</strong> valore nella cassaforte. Papini<br />

si mise d'accordo con un suo collaboratore e dopo pochi giorni i due<br />

vennero forniti documenti falsi, nei quali Papini risultava essere "De<br />

Luca" <strong>di</strong> Milano e il suo compagno "Palazzo," <strong>di</strong> Firenze. I due, giunti a<br />

Zurigo, presa però coscienza <strong>di</strong>retta dei rischi che correvano,<br />

desistettero dall'impresa, rientrando in Italia senza nemmeno avvisare<br />

Cappelletti. Questi, allora, autorizzato, prese contatto con l'irredento<br />

Remigio Bronzin, un operaio della <strong>di</strong>tta Stigler, esperto <strong>di</strong> serrature,<br />

<strong>di</strong>sposto a combattere l'Austria con ogni mezzo. Accettò senza chiedere<br />

nulla in cambio.<br />

Il 19 gennaio Bronzin, munito <strong>di</strong> passaporto intestato a "Remigio<br />

Franzioni", si presentò a Zurigo, dove iniziò a lavorare con il citato<br />

Bini. Il fabbro prese le impronte delle serrature e due giorni dopo Bini<br />

era già in grado <strong>di</strong> provare una delle chiavi. L'operazione fu poi ripetuta<br />

nei giorni successivi. Bronzin però si accorse progressivamente<br />

dell’inaffidabilità dal Bini, il quale spesso si defilava e mancava gli<br />

appuntamenti. La situazione <strong>di</strong>venne insostenibile ed Aloisi fu costretto<br />

ad affiancare al Bronzin, nel giro <strong>di</strong> 24 ore, un più affidabile compagno<br />

<strong>di</strong> lavoro: il sottufficiale <strong>di</strong> Marina Stenos Tanzini <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong>, specialista<br />

torpe<strong>di</strong>niere transitato nel servizio informazioni: quest’ultimo fornì a<br />

Bronzin importanti in<strong>di</strong>cazioni circa le abitu<strong>di</strong>ni e gli orari <strong>di</strong><br />

sorveglianza del guar<strong>di</strong>ano della palazzina obiettivo. Intanto ricomparve a<br />

Zurigo lo "scassinatore" livornese Natale Papini, pentitosi della<br />

precedente sua fuga dalla Svizzera, che venne riammesso all’impresa, non<br />

senza qualche cautela.<br />

Il 18 febbraio, Bronzin, Papini e Tanzini ripeterono la prova delle chiavi,<br />

senza l'inaffidabile avvocato Bini, e scoprirono che erano necessario<br />

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