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coltivazioni erbacee - Di.Pro.Ve - Università degli Studi di Milano

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<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Milano</strong><br />

Facoltà <strong>di</strong> Agraria<br />

Laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie<br />

Anno Accademico 2012-13<br />

Appunti delle lezioni <strong>di</strong><br />

COLTIVAZIONI ERBACEE<br />

Luciano Pecetti


INTRODUZIONE<br />

L’agricoltura si identifica con l’esercizio dell’attività umana destinata alla lavorazione<br />

del terreno e alla coltivazione delle piante, all’allevamento <strong>degli</strong> animali, alla<br />

conservazione dei prodotti e alla loro eventuale trasformazione entro l’azienda.<br />

Attraverso le produzioni vegetali ed animali, l’agricoltura mira a sod<strong>di</strong>sfare tutte le<br />

esigenze della popolazione mon<strong>di</strong>ale fornendo prodotti essenziali per l’alimentazione<br />

dell’uomo e materie prime per l’industria.<br />

L’incremento della popolazione mon<strong>di</strong>ale si è accentuato in maniera<br />

esponenziale a partire da circa 250 anni fa, quale conseguenza della migliore<br />

<strong>di</strong>sponibilità ed accesso al cibo, del miglioramento delle con<strong>di</strong>zioni igienico-sanitarie,<br />

dello sviluppo delle conoscenze in campo me<strong>di</strong>co, e della conseguente <strong>di</strong>minuzione del<br />

tasso <strong>di</strong> mortalità (slide 1/7 1 ). In<strong>di</strong>scutibilmente, l’incremento della popolazione è<br />

andato <strong>di</strong> pari passo con l’incremento della produzione <strong>di</strong> cibo, che è stato determinato<br />

sia dall’aumento della superficie agricola coltivabile che dall’aumento della resa,<br />

ovvero della quantità <strong>di</strong> cibo prodotta per stagione sullo stesso appezzamento agricolo.<br />

La produzione mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> alimenti pro capite è cresciuta <strong>di</strong> quasi il 25% negli ultimi<br />

40 anni, a fronte <strong>di</strong> un aumento del 10% delle superfici coltivate, mentre<br />

contestualmente la popolazione è quasi raddoppiata (+90%).<br />

Su una superficie mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> 50.9 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> ha, la superficie <strong>di</strong>sponibile per<br />

l’agricoltura è <strong>di</strong> soli 1.5 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> ha. Secondo alcune stime, la superficie utilizzabile<br />

per l’agricoltura potrebbe essere <strong>di</strong> 3.2 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> ha, ma bisogna considerare che: i) la<br />

superficie <strong>di</strong>sponibile spesso non si trova dove i consumi sono maggiori (ad esempio, in<br />

Europa ogni persona <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> 0.50 ha, ma sarebbe necessario un ulteriore 0.25 ha per<br />

compensare le attuali importazioni <strong>di</strong> prodotti alimentari); ii) le aree oggi coltivate sono<br />

quelle più idonee all’agricoltura, mentre terreno, clima e topografia limitano le aree<br />

coltivabili; iii) l’incremento della popolazione e la crescente urbanizzazione stanno<br />

determinando una massiccia destinazione ad altri usi dei terreni agricoli. Non vanno poi<br />

<strong>di</strong>menticati gli effetti <strong>di</strong> degrado del terreno agricolo, sino alla desertificazione, causati<br />

dalla sovrautilizzazione del terreno stesso (sotto la crescente spinta demografica) e dai<br />

cambiamenti climatici. La FAO stima una per<strong>di</strong>ta annua <strong>di</strong> 5-7 milioni <strong>di</strong> ha a causa <strong>di</strong><br />

questo degrado.<br />

In questa situazione, il ruolo dell’agricoltura è quello <strong>di</strong> permettere un<br />

incremento delle rese, in modo da poter continuare a sod<strong>di</strong>sfare le esigenze alimentari<br />

della crescente popolazione mon<strong>di</strong>ale (sl. 1/10-11). L’evoluzione delle tecniche colturali<br />

e la <strong>di</strong>fesa delle colture dalle avversità rappresentano attualmente gli unici strumenti<br />

efficaci nel conseguimento <strong>di</strong> una maggiore quantità <strong>di</strong> alimenti.<br />

COLTIVAZIONI ERBACEE<br />

Col termine <strong>di</strong> ‘Coltivazioni <strong>erbacee</strong>’ si in<strong>di</strong>ca la <strong>di</strong>sciplina tecnico-scientifica che si<br />

occupa delle piante a consistenza erbacea. Le colture <strong>erbacee</strong> danno un enorme<br />

contributo alla produzione mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> alimenti energetici, ma anche, e in misura<br />

superiore a quanto saremmo portati a ritenere, alla produzione <strong>di</strong> proteine, sia<br />

<strong>di</strong>rettamente che in<strong>di</strong>rettamente come piante per l’alimentazione del bestiame, dal quale<br />

derivano alimenti proteici come carne, latte e uova. Molte specie vegetali sono inoltre<br />

utilizzate per la produzione <strong>di</strong> materie prime da destinare a industrie <strong>di</strong> trasformazione.<br />

1 Slide (<strong>di</strong> seguito, abbreviato in sl.) si riferisce all’approfon<strong>di</strong>mento iconografico (foto, figura, grafico,<br />

tabella), a corredo dell’argomento trattato, che può essere consultato nei file delle slide proiettate a<br />

lezione. Il primo numero del riferimento (es. 1/) in<strong>di</strong>ca il numero del file corrispondente (da 1 a 27),<br />

mentre il secondo numero (es. 7) in<strong>di</strong>ca il numero progressivo della/e slide all’interno del file.<br />

2


Per lunghissimo tempo, le produzioni agricole hanno costituito la voce principale della<br />

vita economica <strong>di</strong> ogni paese, e solo nello scorso secolo sono state sostituite dal<br />

rapi<strong>di</strong>ssimo sviluppo dei prodotti <strong>di</strong> attività industriali, che partono anche da materie<br />

prime <strong>di</strong> origine extra-agricola.<br />

Le specie vegetali coltivate nel mondo sono oltre 300, ma circa l’85% <strong>degli</strong><br />

alimenti è fornito da sole otto specie (frumento, riso, mais, miglio, patata, cassava,<br />

patata dolce, soia), e tre <strong>di</strong> queste (frumento, riso e mais) provvedono a circa il 50% del<br />

fabbisogno alimentare mon<strong>di</strong>ale (sl. 1/20). Tra i primi 12 prodotti alimentari per valore<br />

commerciale nel mondo, i dati 2009 della FAO (sl. 1/21) in<strong>di</strong>cano sette colture <strong>erbacee</strong><br />

(riso, frumento, soia, pomodoro, canna da zucchero, mais e patata) e cinque prodotti<br />

derivati dall’allevamento <strong>di</strong> animali la cui alimentazione è basata su colture <strong>erbacee</strong><br />

(latte bovino, carne bovina, carne <strong>di</strong> maiale, carne <strong>di</strong> pollame, uova).<br />

Nell’esercizio dell’attività agricola, un obiettivo <strong>di</strong> fondamentale importanza è<br />

quello <strong>di</strong> stabilire quali specie e quali varietà <strong>di</strong> piante agrarie coltivare, quale<br />

estensione si debba attribuire ad esse, e quali rapporti debbano intercorrere tra le <strong>di</strong>verse<br />

<strong>coltivazioni</strong> (successioni colturali). È altresì importante definire, per ogni coltura<br />

agraria, una tecnica colturale (comprendente anche la raccolta e la conservazione dei<br />

prodotti) che consenta la massima produttività e red<strong>di</strong>tività.<br />

Benché l’aspetto delle <strong>coltivazioni</strong> agricole appaia oggi ra<strong>di</strong>calmente mutato<br />

rispetto a quello <strong>di</strong> tempi anche non molto remoti, le caratteristiche essenziali delle<br />

<strong>coltivazioni</strong> sono rimaste praticamente immutate nel corso dei secoli. Come accadeva in<br />

passato, i fattori <strong>di</strong> primaria importanza sono rappresentati da: i) produzione e<br />

conservazione della semente; ii) lavorazione del terreno per la preparazione del letto <strong>di</strong><br />

semina e l’eliminazione della flora infestante; iii) scelta delle con<strong>di</strong>zioni migliori per<br />

l’effettuazione della semina, in relazione alle caratteristiche climatiche e pedologiche;<br />

iv) cure colturali e irrigazione; v) raccolta dei prodotti, loro lavorazione e/o<br />

conservazione. A questo schema fondamentale si sono poi aggiunti altri fattori, quali la<br />

concimazione e la protezione delle colture dalle avversità.<br />

Scopo <strong>di</strong> un corso <strong>di</strong> <strong>coltivazioni</strong> <strong>erbacee</strong> è quello <strong>di</strong> fornire elementi per la<br />

conoscenza delle esigenze ecologico-adattative e delle caratteristiche fisiologiche delle<br />

piante oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, rilevando i possibili ostacoli che limitano la produttività delle<br />

colture trattate e gli interventi sull’ambiente e sulle piante ai quali fare ricorso per<br />

superare tali ostacoli ed avvicinare così le rese reali a quelle teoriche preve<strong>di</strong>bili. La<br />

‘resa’ è infatti l’espressione più <strong>di</strong>retta dell’effetto <strong>degli</strong> interventi tecnici volti a<br />

regolare i fattori naturali nella produzione vegetale. La resa può essere costituita da<br />

prodotti dell’accrescimento vegetativo delle piante (ad esempio, fusti e foglie delle<br />

piante foraggere) o da prodotti della riproduzione (ad esempio, cariossi<strong>di</strong> dei cereali o<br />

semi delle leguminose).<br />

La corretta impostazione e conduzione <strong>di</strong> una coltura erbacea esige che si<br />

conoscano in modo approfon<strong>di</strong>to: l’esatta collocazione della specie nel contesto delle<br />

colture in atto (avvicendamento colturale); i problemi relativi alla scelta e alla<br />

reperibilità <strong>di</strong> varietà idonee, adatte agli scopi produttivi che si sono prestabiliti; le<br />

ragioni e le modalità <strong>di</strong> esecuzione delle lavorazioni del terreno; le ragioni per le quali è<br />

necessario provvedere ad un programma <strong>di</strong> fertilizzazione del terreno; il tipo <strong>di</strong><br />

macchine agricole <strong>di</strong>sponibili e le loro caratteristiche <strong>di</strong> funzionamento; l’epoca più<br />

appropriata <strong>di</strong> esecuzione delle varie operazioni (semina, concimazione, irrigazione,<br />

trattamenti, raccolta, etc.). La tecnica colturale così definita deve poi <strong>di</strong>mostrarsi<br />

adeguata anche da un punto <strong>di</strong> vista economico e ciò potrebbe portare anche alla<br />

rinuncia, per eccessivo costo, ad interventi efficaci sotto il profilo tecnico.<br />

3


L’aumento delle produzioni agricole è <strong>di</strong>peso, e continua a <strong>di</strong>pendere, dalla<br />

<strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> numerosi fattori, come il lavoro (manuale e meccanico), i fertilizzanti, i<br />

fitofarmaci, l’irrigazione e le varietà migliorate. Il conseguimento <strong>di</strong> rese più elevate è<br />

un risultato derivante dai progressi compiuti da numerose scienze, quali la genetica, la<br />

chimica (del terreno, della fertilizzazione, della <strong>di</strong>fesa), la meccanica o l’idraulica, e<br />

l’agricoltura moderna <strong>di</strong>pende dalle acquisizioni esterne determinate da tali scienze (sl.<br />

1/33-35). A partire dal XIX secolo sono comparse macchine agricole che hanno<br />

semplificato e facilitato numerose operazioni. Grazie alla genetica, nel XX secolo sono<br />

state ottenute varietà nuove e migliorate, e circa il 40% dell’aumento delle rese è da<br />

imputare a tale fattore. La chimica ha messo a <strong>di</strong>sposizione fertilizzanti inorganici,<br />

erbici<strong>di</strong> e fitofarmaci. Notevoli progressi sono stati compiuti nella tecnologia<br />

dell’irrigazione, e sebbene solo il 18% dei terreni coltivati sia irrigato, questi producono<br />

il 40% <strong>degli</strong> alimenti. Le frontiere del XXI secolo sono la tecnologia informatica, che<br />

potrà portare ad una <strong>di</strong>ffusione sempre maggiore dell’agricoltura ‘<strong>di</strong> precisione’ e le<br />

biotecnologie. Queste ultime potrebbero contribuire alla continua crescita delle<br />

produzioni agricole me<strong>di</strong>ante la propagazione clonale <strong>di</strong> piante prive <strong>di</strong> malattie e<br />

l’identificazione ed isolamento <strong>di</strong> geni <strong>di</strong> interesse, in particolare l’identificazione <strong>di</strong><br />

regioni cromosomiche che co<strong>di</strong>ficano importanti caratteri multigenici (Quantitative<br />

Trait Loci, QTL). Un contributo all’aumento delle produzioni potrebbe venire inoltre<br />

dall’ingegneria genetica per caratteri <strong>di</strong> interesse agronomico (resistenza a stress biotici<br />

ed abiotici), per composti nutritivi, per la riduzione delle per<strong>di</strong>te dopo la raccolta, o per<br />

l’ottenimento <strong>di</strong> parentali maschiosterili per facilitare la produzione <strong>di</strong> varietà ibride. Su<br />

<strong>di</strong> essa pesa ancora però l’incertezza dovuta ai noti fattori etici e sociali.<br />

Le acquisizioni tecnologiche che hanno così evidentemente migliorato le<br />

produzioni agricole mon<strong>di</strong>ali stanno cominciando a suscitare alcuni timori per i loro<br />

possibili effetti negativi sull’ambiente. Tali effetti possono andare dalla degradazione<br />

del terreno – sia per effetto <strong>di</strong> cambiamenti fisici (erosione), che <strong>di</strong> cambiamenti chimici<br />

(aci<strong>di</strong>ficazione, salinizzazione, impoverimento <strong>di</strong> nutrienti, inquinamento delle falde) –<br />

all’accumulo <strong>di</strong> pericolose molecole contenute in fitofarmaci ed erbici<strong>di</strong>, alla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

bio<strong>di</strong>versità vegetale a causa delle <strong>coltivazioni</strong> sempre più geneticamente uniformi. Gli<br />

effetti dell’agricoltura intensiva sugli ecosistemi stanno suscitando preoccupazioni sulla<br />

sostenibilità dell’agricoltura stessa. Esistono <strong>di</strong>verse definizioni <strong>di</strong> sostenibilità, più o<br />

meno tutte coerenti tra <strong>di</strong> loro nella sostanza. Per esempio, è definito sviluppo<br />

sostenibile lo sviluppo che sod<strong>di</strong>sfa le necessità del presente senza compromettere le<br />

capacità delle generazioni future <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfare le loro. Agricoltura sostenibile è definita<br />

la gestione e utilizzazione dell’ecosistema agricolo in una maniera che mantiene la sua<br />

<strong>di</strong>versità biologica, produttività, vitalità, funzionalità e capacità <strong>di</strong> affrontare avversità<br />

esterne (resilienza), e che non produce danni ad altri ecosistemi. Un’importante<br />

implicazione della sostenibilità sulla tecnica colturale, ed in particolare sulla scelta<br />

varietale, è che deve essere la varietà ad adattarsi all’ambiente e non l’ambiente a<br />

doversi mo<strong>di</strong>ficare in funzione della varietà. Ovvero, cultivars <strong>di</strong>verse devono essere<br />

costituite per rispondere ad ambienti <strong>di</strong>versificati invece <strong>di</strong> alterare l’ambiente (con<br />

input costosi e/o ad alto impatto ambientale) per ospitare cultivars non adatte a<br />

specifiche con<strong>di</strong>zioni.<br />

Un importante aspetto su cui la moderna agricoltura ha appena cominciato ad<br />

interrogarsi è quello relativo al suo impatto sul cambiamento climatico. La maggior<br />

parte <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong> stima il contributo delle emissioni agricole <strong>di</strong> gas ad effetto serra<br />

(GHG) – quelle generate dalla sola attività primaria – tra l’11 e il 15% del totale. La<br />

gran parte <strong>di</strong> queste emissioni è generata da pratiche agricole <strong>di</strong> tipo industriale,<br />

caratterizzate dall’uso <strong>di</strong> fertilizzanti chimici e <strong>di</strong> macchinari agricoli potenti alimentati<br />

4


da energia fossile, e da allevamenti zootecnici altamente concentrati, che liberano<br />

nell’aria gran<strong>di</strong> quantità <strong>di</strong> metano. L’industrializzazione dell’agricoltura era basata sul<br />

presupposto che la fertilità del terreno potesse essere mantenuta attraverso l’uso <strong>di</strong><br />

concimi chimici, mentre un’attenzione marginale era posta sull’importanza della<br />

sostanza organica nel terreno. Numerosi stu<strong>di</strong> in<strong>di</strong>cano che i suoli coltivati hanno<br />

perduto dal 30 al 75% della loro sostanza organica nel corso del XX secolo. Si stima<br />

che tra il 25 e il 40% dell’attuale eccesso <strong>di</strong> CO2 nell’atmosfera provenga dalla<br />

<strong>di</strong>struzione della sostanza organica dei suoli.<br />

L’espansione delle superfici agricole rappresenta circa il 70-90%<br />

dell’eliminazione globale <strong>di</strong> copertura forestale e ciò comporta ulteriori emissioni<br />

comprese tra il 15 e il 18% del totale, dovute al cambiamento nell’uso dei suoli indotto<br />

dall’agricoltura. La maggiore fonte <strong>di</strong> deforestazione è costituita dall’espansione su<br />

enorme scala <strong>di</strong> piantagioni <strong>di</strong> derrate quali soia, canna da zucchero, palma da olio, mais<br />

e colza, destinate alla produzioni <strong>di</strong> mangimi o <strong>di</strong> agrocarburanti. Dal 1990, la superficie<br />

coltivata con queste commo<strong>di</strong>ty è cresciuta del 38%, mentre è <strong>di</strong>minuita l’area destinata<br />

a <strong>coltivazioni</strong> <strong>di</strong> primaria importanza per l’alimentazione globale, quali frumento e riso.<br />

Una quota <strong>di</strong> pari importanza <strong>di</strong> emissioni, equivalente al 15-20% del totale, è da<br />

attribuire alle fasi della filiera agroalimentare che intercorrono tra l’uscita dei prodotti<br />

dall’azienda agricola e l’arrivo sulla tavola dei consumatori. L’agroalimentare<br />

rappresenta il più grande settore economico mon<strong>di</strong>ale, ed è stimato che la sola<br />

movimentazione <strong>degli</strong> alimenti equivalga ad almeno il 6% delle emissioni complessive<br />

<strong>di</strong> GHG. Il resto è prodotto nelle fasi <strong>di</strong> trasformazione, confezionamento,<br />

conservazione e commercializzazione.<br />

SISTEMI COLTURALI E SISTEMI GESTIONALI<br />

Le <strong>di</strong>fferenti combinazioni delle colture nello spazio e nel tempo, associate alle<br />

rispettive tecniche colturali, costituiscono i sistemi colturali. Nello spazio si può avere<br />

una monocoltura, quando una sola specie, o una sola varietà <strong>di</strong> una data specie, è<br />

presente in una unità aziendale o campo, o una consociazione (che può essere<br />

temporanea o permanente) quando più specie o più varietà sono presenti<br />

contemporaneamente in un campo. Nel tempo, si può avere una monosuccessione,<br />

quando la sequenza colturale comprende la stessa specie precedentemente coltivata, o<br />

una rotazione o avvicendamento, quando si ha la sequenza colturale <strong>di</strong> più specie (sl.<br />

1/48-51). In generale, si tende ad alternare colture miglioratrici (che aumentano la<br />

fertilità del terreno) e colture depauperanti (che tendono invece a <strong>di</strong>minuire la fertilità<br />

rispetto a quella presente al momento del loro impianto). In particolare, leguminose<br />

azotofissatrici dovrebbero essere alternate a graminacee che utilizzano molto azoto. Lo<br />

stato fisico del suolo e gli aspetti biologici (legati alla presenza <strong>di</strong> infestanti, insetti e<br />

microrganismi patogeni) sono altri fattori da tenere in considerazione nel definire un<br />

or<strong>di</strong>namento colturale. Rotazione o avvicendamento tendono ad essere usati come<br />

sinonimi, anche se la prima dovrebbe in<strong>di</strong>care una sequenza colturale <strong>di</strong> più specie in un<br />

or<strong>di</strong>ne fisso, e il secondo una sequenza colturale senza un or<strong>di</strong>ne fisso.<br />

Le tecniche colturali, che assumono ruoli <strong>di</strong>versi a seconda delle colture, viste<br />

nell’insieme aziendale costituiscono i sistemi gestionali. I possibili sistemi gestionali<br />

adottabili da un’azienda agraria sono numerosi e molto <strong>di</strong>versificati tra <strong>di</strong> loro. In<br />

riferimento ai sistemi, oggi si tende a parlare <strong>di</strong> agricoltura convenzionale, sostenibile,<br />

integrata, conservativa (o blu), <strong>di</strong> precisione, biologica (e bio<strong>di</strong>namica),<br />

multifunzionale, o biotecnologica. L’agricoltura integrata, conservativa, biologica e <strong>di</strong><br />

5


precisione possono essere tutte considerate sfaccettature <strong>di</strong> un sistema gestionale<br />

sostenibile.<br />

Agricoltura convenzionale<br />

È il tipo <strong>di</strong> agricoltura al quale siamo storicamente più abituati. Sotto il profilo della<br />

<strong>di</strong>mensione, si identifica col comparto produttivo primario, in grado <strong>di</strong> dare il maggior<br />

contributo per assicurare la sicurezza alimentare nel mondo. Ha sempre fatto ricorso a<br />

tutte le tecnologie agronomiche <strong>di</strong>sponibili nelle varie epoche, ma oggi, come detto, il<br />

settore ha preso coscienza della necessità <strong>di</strong> un maggiore rispetto per l’ambiente e, pur<br />

continuando ad usare i comuni mezzi tecnici, fondamentali per garantire elevati<br />

standard produttivi e qualitativi, ha cominciato a considerare un loro più attento<br />

impiego, anche alla luce <strong>di</strong> un atteggiamento più sensibile agli aspetti economici. La<br />

mo<strong>di</strong>fica in corso del sistema <strong>degli</strong> aiuti comunitari sta inoltre generando alcune<br />

incertezze sulle <strong>di</strong>namiche agricole future, con scenari al momento ancora <strong>di</strong>fficili da<br />

ipotizzare. Non è da escludere la possibilità anche <strong>di</strong> alcuni cambiamenti nella<br />

destinazione d’uso dei terreni agrari.<br />

Agricoltura sostenibile<br />

Come già accennato, l’agricoltura sostenibile è quell’agricoltura che persegue: i) un<br />

utilizzo più consapevole dei processi naturali, quali il ciclo dei nutrienti, la fissazione<br />

dell’azoto e la relazione insetti-predatori, nella produzione agricola; ii) un ridotto<br />

utilizzo dei mezzi esterni ad alto rischio per l’ambiente o per la salute <strong>degli</strong> agricoltori e<br />

dei consumatori; iii) un utilizzo ottimale (più produttivo) delle potenzialità biologiche e<br />

genetiche delle specie vegetali e animali; iv) un migliore accordo tra le modalità <strong>di</strong><br />

coltivazione, il potenziale produttivo e le limitazioni fisiche dei terreni agricoli; v) in<br />

definitiva, una produzione proficua ed efficiente, incentrata sul miglioramento della<br />

gestione delle aziende agricole e sulla conservazione dei terreni, delle acque,<br />

dell’energia e delle risorse biochimiche.<br />

L’agricoltura sostenibile si pone l’obiettivo <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfare le esigenze economiche<br />

senza compromettere l’ambiente, patrimonio <strong>di</strong> tutti e risorsa per le future generazioni.<br />

Utilizza il più possibile i processi naturali e le fonti energetiche rinnovabili <strong>di</strong>sponibili<br />

in azienda, riducendo così l’impatto ambientale dovuto all’uso <strong>di</strong> sostanze chimiche <strong>di</strong><br />

sintesi, alle lavorazioni intensive del terreno, alle monocolture e monosuccessioni,<br />

nonché allo smaltimento in<strong>di</strong>scriminato dei rifiuti <strong>di</strong> produzione (es. liquami<br />

zootecnici). Non esiste un unico modello <strong>di</strong> agricoltura sostenibile valido in tutto il<br />

mondo: compito dell’agricoltore è quello <strong>di</strong> adattare i risultati della ricerca alla propria<br />

realtà aziendale. Il passaggio dall’agricoltura convenzionale a quella sostenibile ha dei<br />

costi; a tal fine, il Regolamento CE 2078/92 e il programma <strong>di</strong> azione dell’UE ‘Agenda<br />

2000’ hanno creato un legame <strong>di</strong>retto tra red<strong>di</strong>to e protezione ambientale, grazie al<br />

quale gli agricoltori sono pagati per fornire ‘servizi’ ambientali che vanno oltre la buona<br />

pratica agricola e sono compensati per eventuali costi aggiuntivi e possibili per<strong>di</strong>te <strong>di</strong><br />

produzione. Obiettivo del sostegno comunitario è quello <strong>di</strong> ridurre l’impatto<br />

dell’esercizio agricolo sull’atmosfera, sul suolo, sull’acqua e sulla bio<strong>di</strong>versità.<br />

I sistemi agricoli svolgono funzioni fondamentali a beneficio della collettività, e<br />

un importante compito dei ricercatori e dei tecnici agricoli è fare in modo che cresca la<br />

consapevolezza dell’importanza <strong>di</strong> questi ‘servizi ambientali’ all’interno della società.<br />

Questo può essere perseguito attraverso una maggiore comunicazione ed una corretta<br />

informazione scientifica tra ricercatori, tecnici, politici ed agricoltori. Soltanto se la<br />

società riconoscerà agli agricoltori il ruolo – che certamente compete loro – <strong>di</strong> prestatori<br />

6


<strong>di</strong> servizi agroambientali, la sostenibilità economica potrà coincidere con la sostenibilità<br />

ambientale, e gli agricoltori saranno motivati ad adottare sistemi colturali compatibili<br />

con una corretta gestione dell’ambiente.<br />

Agricoltura integrata<br />

L’agricoltura integrata, o produzione integrata, è un sistema agricolo <strong>di</strong> produzione a<br />

basso impatto ambientale, in quanto prevede l’uso coor<strong>di</strong>nato e razionale <strong>di</strong> tutti i fattori<br />

della produzione allo scopo <strong>di</strong> ridurre al minimo il ricorso a mezzi tecnici che hanno un<br />

impatto sull’ambiente o sulla salute dei consumatori. In particolare, il concetto <strong>di</strong><br />

agricoltura integrata prevede lo sfruttamento delle risorse naturali finché queste sono in<br />

grado <strong>di</strong> surrogare adeguatamente i mezzi tecnici adottati nell’agricoltura<br />

convenzionale, e il ricorso a questi ultimi solo quando si reputano necessari per<br />

ottimizzare il compromesso fra le esigenze ambientali e sanitarie e le esigenze<br />

economiche. In merito alle tecniche <strong>di</strong>sponibili, a parità <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni, la scelta ricade<br />

prioritariamente su quelle <strong>di</strong> minore impatto e, in ogni modo, esclude quelle <strong>di</strong> elevato<br />

impatto.<br />

Gli ambiti <strong>di</strong> applicazione dei principi dell’agricoltura integrata sono<br />

principalmente quattro: fertilizzazione, lavorazioni del terreno, controllo delle infestanti<br />

e <strong>di</strong>fesa dei vegetali.<br />

La fertilizzazione è condotta secondo criteri conservativi della fertilità chimica,<br />

perciò il ricorso alla concimazione minerale è ammesso per mantenere alti i livelli <strong>di</strong><br />

fertilità e <strong>di</strong> produttività delle colture. I criteri dell’agricoltura integrata si applicano, in<br />

generale, sfruttando nei limiti del possibile il ciclo della sostanza organica, ricorrendo a<br />

tecniche che limitano la mineralizzazione e che apportano al terreno materiali organici,<br />

e integrando i fabbisogni delle colture con la concimazione chimica. Per quanto<br />

concerne la concimazione chimica, le dosi, l’epoca e la tecnica <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuzione devono<br />

essere approntate con l’obiettivo <strong>di</strong> prevenire i fenomeni <strong>di</strong> <strong>di</strong>lavamento e il<br />

conseguente inquinamento delle falde acquifere.<br />

Le lavorazioni del terreno devono essere condotte con l’obiettivo <strong>di</strong> prevenire la<br />

degradazione della struttura del terreno e l’erosione. Nonostante non ci siano preclusioni<br />

alle lavorazioni tra<strong>di</strong>zionali, trovano un inserimento ottimale tecniche conservative quali<br />

la lavorazione minima (minimum tillage), la semina su sodo (sod see<strong>di</strong>ng),<br />

l’inerbimento, etc. Tali tecniche sono spesso imposte dai <strong>di</strong>sciplinari <strong>di</strong> produzione<br />

integrata nei terreni declivi oltre certe pendenze, al fine <strong>di</strong> prevenire del tutto l’erosione<br />

e il <strong>di</strong>ssesto idrogeologico.<br />

Il controllo delle piante infestanti va fatto sfruttando tecniche che limitano il<br />

ricorso al <strong>di</strong>serbo chimico. Sono compatibili con questo obiettivo, ad esempio, le false<br />

semine, le rotazioni colturali, il <strong>di</strong>serbo meccanico, etc. Il <strong>di</strong>serbo chimico si adotta<br />

impiegando principi attivi a basso impatto, poco persistenti o con un’azione residuale<br />

limitata, soprattutto per evitare possibili effetti residui nel terreno e l’inquinamento delle<br />

falde.<br />

La <strong>di</strong>fesa dei vegetali è l’ambito in cui la produzione integrata ha trovato una più<br />

larga applicazione. La strategia <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa si basa esclusivamente sulla lotta integrata,<br />

ossia sull’impiego razionale <strong>di</strong> mezzi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa biologici, chimici, biotecnici,<br />

agronomici. La lotta integrata sfrutta nei limiti del possibile la lotta biologica e richiede<br />

il monitoraggio della <strong>di</strong>namica delle popolazioni dei fitofagi e dell’andamento delle<br />

infestazioni al fine <strong>di</strong> intervenire solo al superamento della soglia <strong>di</strong> intervento, secondo<br />

i criteri della lotta guidata. Ricorre inoltre alle biotecnologie (es. tecnica del maschio<br />

sterile, confusione sessuale, etc.) e ai mezzi biotecnici (trappole per monitoraggio e<br />

cattura massale – con impiego dei feromoni o altri attrattivi –, reti antinsetto, etc.).<br />

7


L’uso dei fitofarmaci è improntato all’obiettivo <strong>di</strong> ridurre complessivamente il<br />

quantitativo <strong>di</strong> prodotti chimici liberati nell’ambiente, ridurre al minimo il rischio per la<br />

salute dei consumatori e ridurre al minimo l’impatto sugli organismi ausiliari (predatori,<br />

parassitoi<strong>di</strong>, pronubi, etc.). La scelta dei principi attivi ricade necessariamente su<br />

prodotti a basso spettro d’azione o ad alta selettività, a bassa persistenza e a basso<br />

rischio <strong>di</strong> induzione <strong>di</strong> fenomeni <strong>di</strong> resistenza.<br />

Agricoltura conservativa (blu)<br />

Con il termine <strong>di</strong> agricoltura conservativa sono in<strong>di</strong>cate tecniche agricole tendenti a<br />

conservare per il futuro la fertilità del suolo coltivato. Queste comprendono: i) la<br />

riduzione delle operazioni <strong>di</strong> lavorazione del terreno, fino alla non lavorazione (semina<br />

su sodo), al fine <strong>di</strong> preservare la struttura, la fauna e la sostanza organica del suolo; ii) il<br />

mantenimento della copertura permanente del suolo me<strong>di</strong>ante colture de<strong>di</strong>cate (cover<br />

crops), residui colturali e coltri protettive; iii) una migliore gestione<br />

dell’avvicendamento colturale, per favorire i microrganismi del suolo e combattere le<br />

erbe infestanti, i parassiti e i patogeni delle piante; iv) una più appropriata gestione dei<br />

fertilizzanti e dei fitofarmaci.<br />

Dall’applicazione dell’agricoltura conservativa derivano molti vantaggi, alcuni<br />

dei quali (aumento delle rese e della bio<strong>di</strong>versità) <strong>di</strong>ventano evidenti quando il sistema<br />

si stabilizza. Le riserve <strong>di</strong> carbonio organico, l’attività biologica, la bio<strong>di</strong>versità aerea e<br />

sotterranea e la struttura del suolo riscontrano tutte un miglioramento. Le emissioni <strong>di</strong><br />

CO2 <strong>di</strong>minuiscono a seguito del ridotto utilizzo <strong>di</strong> macchinari e del maggiore accumulo<br />

<strong>di</strong> carbonio organico. Generalmente occorre un periodo <strong>di</strong> transizione <strong>di</strong> 5-7 anni prima<br />

che un sistema <strong>di</strong> agricoltura conservativa raggiunga l’equilibrio, e nei primi anni si può<br />

assistere ad una riduzione delle rese. Gli agricoltori devono inoltre effettuare un<br />

investimento iniziale in macchinari specializzati e devono poter <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> sementi <strong>di</strong><br />

cover crops adatte alle con<strong>di</strong>zioni locali.<br />

Agricoltura <strong>di</strong> precisione<br />

È la gestione agronomica sito-specifica o localizzata dei processi <strong>di</strong> produzione. Essa<br />

consiste nell’applicazione <strong>di</strong> tecnologie, principi e strategie per una gestione spaziale e<br />

temporale della variabilità associata agli aspetti della produzione agricola, ossia<br />

nell’esecuzione <strong>di</strong> interventi colturali in relazione alle reali necessità dell’appezzamento<br />

e alla loro variabilità spaziale e temporale.<br />

La maggior parte dei sistemi opera me<strong>di</strong>ante un ricevitore GPS collegato al<br />

mezzo agricolo (trattore o mietitrebbiatrice), uno specifico software e un cosiddetto<br />

Sistema <strong>di</strong> Supporto delle Decisioni Aziendali (SSDA). Fino ad oggi, con l’esecuzione<br />

<strong>di</strong> un intervento agricolo uniforme, si trascurava la variabilità presente in campo, ossia<br />

l’insieme delle <strong>di</strong>fferenze che possono interessare i singoli appezzamenti. Ridurre i costi<br />

<strong>di</strong> produzione comporta invece eliminare gli sprechi e massimizzare l’efficienza <strong>degli</strong><br />

interventi colturali, intervenendo in campo solamente se è veramente necessario e con<br />

la pratica colturale o la dose <strong>di</strong> mezzo tecnico più adatta alle esigenze delle <strong>di</strong>verse parti<br />

del campo.<br />

Agricoltura biologica<br />

Secondo l’IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements)<br />

l’agricoltura biologica include tutti i sistemi agricoli che promuovono una produzione <strong>di</strong><br />

cibo e fibre sicura dal punto <strong>di</strong> vista ambientale, sociale ed economico. Per questi<br />

8


sistemi la fertilità del suolo è centrale per la riuscita produttiva. L’agricoltura biologica<br />

riduce drasticamente gli input esterni rinunciando all’impiego <strong>di</strong> fertilizzanti, pestici<strong>di</strong> e<br />

farmaci <strong>di</strong> chemosintesi.<br />

Secondo la Commissione Codex Alimentarius <strong>di</strong> FAO/WHO l’agricoltura<br />

biologica è un sistema olistico <strong>di</strong> gestione della produzione che promuove e sviluppa la<br />

salute dell’agro-ecosistema. Essa favorisce l’uso <strong>di</strong> pratiche <strong>di</strong> gestione invece <strong>di</strong><br />

ricorrere ad input esterni. Questo si realizza utilizzando, dove possibile, meto<strong>di</strong><br />

agronomici, biologici o meccanici in sostituzione <strong>di</strong> materiali sintetici per qualunque<br />

specifica funzione entro il sistema.<br />

Agricoltura multifunzionale<br />

La multifunzionalità dell’agricoltura rappresenta una chiave <strong>di</strong> valorizzazione e<br />

sviluppo del settore. All’agricoltura viene infatti assegnato non soltanto il ruolo <strong>di</strong><br />

produttrice <strong>di</strong> beni ed alimenti primari, ma anche <strong>di</strong> servizi a favore dell’ambiente e del<br />

benessere sociale, in una visione multiuso del territorio agricolo. In tal senso, la<br />

multifunzionalità viene vista dal settore agricolo come una opportunità economica per le<br />

aziende: infatti essa cerca <strong>di</strong> tradurre queste funzioni in forme <strong>di</strong> remunerazione che<br />

consentano la sostenibilità economica del settore. L’agricoltura, sotto questa nuova<br />

veste, è in grado <strong>di</strong> svolgere <strong>di</strong>verse funzioni associate al settore primario: funzioni<br />

produttive (sicurezza e salubrità <strong>degli</strong> alimenti, valorizzazione delle risorse naturali e<br />

colturali); funzioni territoriali (cura del paesaggio e del territorio); funzioni sociali<br />

(vitalità delle aree rurali, argine allo spopolamento, recupero delle tra<strong>di</strong>zioni); funzioni<br />

ambientali (bio<strong>di</strong>versità, controllo delle emissioni <strong>di</strong> GHG).<br />

Agricoltura biotecnologica<br />

L’ingegneria genetica, o mo<strong>di</strong>ficazione genetica delle colture, è emersa come una<br />

rilevante tecnologia agraria nell’ultimo decennio, soprattutto in nord America, Cina e<br />

Argentina (sl. 1/92). Soia, mais, cotone e colza rappresentano il 99% della superficie<br />

mon<strong>di</strong>ale a colture geneticamente mo<strong>di</strong>ficate (GM) (sl. 1/93-94). Sebbene i caratteri<br />

oggetto <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficazione genetica siano <strong>di</strong> varia natura (resistenza a insetti e malattie,<br />

tolleranza a stress abiotici, resa, qualità nutrizionale, etc.), la tolleranza agli erbici<strong>di</strong> e la<br />

resistenza ad alcuni insetti dominano il mercato delle colture GM (sl. 1/100).<br />

È in corso un complesso <strong>di</strong>battito globale sul ruolo che la tecnologia GM ha<br />

nell’affrontare i problemi dell’agricoltura, e sul fatto che gli agricoltori abbiano ottenuto<br />

o meno dei benefici dalle colture GM. Le colture GM devono sostenere una miriade <strong>di</strong><br />

sfide derivanti da controversie <strong>di</strong> natura tecnica, politica, ambientale, <strong>di</strong> proprietà<br />

intellettuale, <strong>di</strong> biosicurezza e commerciale. I favorevoli citano gli incrementi <strong>di</strong><br />

potenziale produttivo delle colture, la sostenibilità ottenuta dalla riduzione <strong>di</strong><br />

fitofarmaci, la maggiore adattabilità colturale e il miglioramento nutrizionale dei<br />

prodotti. I critici citano a loro volta i rischi ambientali e l’ampliamento delle <strong>di</strong>sparità<br />

sociali, tecnologiche ed economiche derivanti dall’introduzione delle colture GM. Le<br />

preoccupazioni riguardano, tra l’altro, i flussi genici dalle colture GM, la riduzione della<br />

<strong>di</strong>versità colturale, la resistenza agli erbici<strong>di</strong>, la per<strong>di</strong>tà della sovranità <strong>degli</strong> agricoltori<br />

sulle sementi, e la mancanza <strong>di</strong> accesso alla proprietà intellettuale detenuta dal settore<br />

privato.<br />

Nei paesi occidentali, soprattutto europei, dove l’opinione pubblica è stata<br />

esposta a crisi sulla sicurezza <strong>degli</strong> alimenti, come quella della BSE, gli stu<strong>di</strong><br />

sottolineano i sentimenti contrastanti nei confronti <strong>degli</strong> organismi GM. Più in generale,<br />

i citta<strong>di</strong>ni sembrano preoccupati a proposito dell’integrità e dell’adeguatezza <strong>degli</strong><br />

9


attuali modelli <strong>di</strong> regolamenti governativi e, in particolare, a proposito delle<br />

assicurazioni scientifiche <strong>di</strong> sicurezza. Una migliore ‘scienza’ al riguardo è necessaria,<br />

ma potrebbe non essere sufficiente a risolvere la <strong>di</strong>ffusa incertezza sugli effetti delle<br />

nuove tecnologie.<br />

10


PROSPETTO DEL CORSO<br />

Le piante che verranno esaminate in questo corso sono le principali specie <strong>erbacee</strong> <strong>di</strong><br />

‘grande coltura’, con esclusione, quin<strong>di</strong>, delle specie ortive, floricole e officinali.<br />

Le colture <strong>erbacee</strong> possono essere raggruppate sulla base <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi sistemi <strong>di</strong><br />

classificazione proposti:<br />

- a seconda della famiglia botanica <strong>di</strong> appartenenza (sl. 1/108);<br />

- a seconda della parte della pianta utilizzata (semi, foglie, ra<strong>di</strong>ci) (sl. 1/109);<br />

- a seconda della prevalente destinazione d’uso (piante alimentari, piante<br />

foraggere, piante saccarifere, piante oleoproteaginose, piante da fibra, piante<br />

aromatiche) (sl. 1/110).<br />

Sulla base <strong>di</strong> quest’ultimo sistema <strong>di</strong> classificazione, le specie trattate nel corso<br />

verranno sud<strong>di</strong>vise in:<br />

- cereali (microtermi: frumento tenero, frumento duro, farro, orzo, segale, triticale,<br />

avena; macrotermi: mais, sorgo, riso);<br />

- leguminose da granella (soia, pisello, fava, lupino);<br />

- piante da tubero (patata);<br />

- piante saccarifere (barbabietola);<br />

- piante oleaginose (girasole);<br />

- piante da bio-energia;<br />

- foraggere (erbai, prati avvicendati, prati permanenti e pascoli).<br />

Per ogni coltura, verranno affrontati i seguenti temi:<br />

- cenni sull’importanza economica;<br />

- origini e storia della coltura;<br />

- principali caratteristiche botaniche ed inquadramento tassonomico;<br />

- adattamento ecologico;<br />

- varietà ed obiettivi <strong>di</strong> miglioramento genetico;<br />

- tecnica colturale;<br />

- cenni sull’utilizzazione e la conservazione,<br />

in misura variabile in funzione della rilevanza della coltura e dell’importanza relativa<br />

dei temi per ciascuna coltura.<br />

I dati ISTAT ricavati dal censimento dell’agricoltura 2010 rivelano che 5.7 milioni (M)<br />

<strong>di</strong> ha, pari al 44.4% della SAU italiana <strong>di</strong> 12.8 M ha, è stata destinata a seminativi <strong>di</strong><br />

colture <strong>erbacee</strong> appartenenti ai gruppi <strong>di</strong> specie qui considerati, <strong>di</strong> cui 3.1 M ha a cereali<br />

e 2.1 M ha a foraggere (comprendendo in queste ultime anche le colture <strong>di</strong> mais per<br />

l’insilamento). La percentuale sale al 54.4% della SAU considerando anche le superfici<br />

coltivate a specie orticole e floricole. Se poi si aggiungono anche le superfici a prati<br />

permanenti e pascoli, si raggiungono i 10.4 M ha, pari all’80.9% della SAU nazionale<br />

(sl. 1/112).<br />

11


CEREALI<br />

Col termine ‘cereali’ si in<strong>di</strong>ca un gruppo <strong>di</strong> specie, quasi tutte appartenenti alla famiglia<br />

delle Graminacee, che producono frutti (cariossi<strong>di</strong>) amilacei, farinosi e commestibili e,<br />

come già visto, costituiscono la base energetica della <strong>di</strong>eta <strong>di</strong> gran parte dell’umanità,<br />

occupando circa la metà delle superfici coltivate a livello mon<strong>di</strong>ale.<br />

Una serie <strong>di</strong> positive caratteristiche hanno determinato il successo dei cereali<br />

come specie agrarie e piante alimentari rispetto ad altre specie:<br />

- hanno grande adattabilità a <strong>di</strong>versi ambienti, dai climi temperati e fred<strong>di</strong> ai climi<br />

tropicali, dagli ambienti ari<strong>di</strong> a quelli umi<strong>di</strong>;<br />

- il loro prodotto ha un basso contenuto <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà (13-14%) ed è quin<strong>di</strong><br />

facilmente trasportabile e conservabile;<br />

- hanno l’attitu<strong>di</strong>ne a formare, tramite macinazione, farine che, impastate con sola<br />

acqua, producono importanti alimenti;<br />

- il loro sapore è neutro, quin<strong>di</strong> non stanca e si presta a fornire la base<br />

dell’alimentazione quoti<strong>di</strong>ana;<br />

- la quota energetica <strong>di</strong>geribile è molto alta, intorno al 70%, ed è rappresentata da<br />

carboidrati, in particolare da amido. Al contrario, il contenuto in componenti<br />

in<strong>di</strong>geribili (cellulosa, lignina) è molto basso (sl. 2/7).<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista nutritivo, l’unico limite dei cereali è la scarsa presenza <strong>di</strong> alcuni<br />

amminoaci<strong>di</strong> essenziali quali lisina e triptofano.<br />

Oltre che per l’alimentazione umana, i cereali sono largamente utilizzati anche<br />

per l’alimentazione zootecnica e per alcune produzioni industriali (bevande, amido,<br />

plastica, combustibili). Si stima che circa il 49% della granella <strong>di</strong> cereali<br />

complessivamente prodotta nel mondo sia destinata ad usi alimentari, il 37% ad usi<br />

zootecnici ed il 10% ad usi industriali, mentre il restante 4% è impiegata come semente<br />

in agricoltura (sl. 2/13).<br />

I cereali possono essere <strong>di</strong>stinti in ‘microtermi’ e ‘macrotermi’ sulla base delle<br />

loro esigenze termiche. I primi vengono coltivati in Italia principalmente con ciclo<br />

autunno-vernino, mentre i secon<strong>di</strong> sono coltivati solamente nel periodo primaverileestivo.<br />

I principali cereali microtermi sono il frumento tenero, il frumento duro, l’orzo,<br />

l’avena e la segale, mentre le principali specie macroterme coltivate in Italia sono il riso,<br />

il mais ed il sorgo.<br />

Morfologia<br />

Apparato ra<strong>di</strong>cale<br />

È costituito da una (riso, sorgo) a 3-7 (frumento, mais) ra<strong>di</strong>ci primarie che si originano<br />

dall’embrione del seme e che normalmente arrestano la crescita nelle prime fasi <strong>di</strong><br />

sviluppo e da ra<strong>di</strong>ci avventizie che si sviluppano, dopo l’emergenza, dai no<strong>di</strong> basali del<br />

culmo e svolgono le funzioni <strong>di</strong> assorbimento <strong>di</strong> acqua e nutrienti e ancoraggio al suolo.<br />

In genere l’apparato ra<strong>di</strong>cale è piuttosto superficiale, fascicolato e molto esteso.<br />

12


Culmo<br />

È il tipico fusto delle graminacee, generalmente cilindrico e senza ramificazioni, con<br />

interno cavo oppure ripieno <strong>di</strong> midollo. Comprende una serie <strong>di</strong> no<strong>di</strong> compatti, dai quali<br />

prendono origine le foglie, i quali a loro volta delimitano una serie <strong>di</strong> interno<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

lunghezza generalmente crescente dalla base del culmo verso l’apice (sl. 2/19).<br />

L’accestimento è il processo me<strong>di</strong>ante il quale dai no<strong>di</strong> basali, molto ravvicinati, si<br />

formano nuovi culmi, determinando così la crescita in larghezza della pianta e la<br />

formazione <strong>di</strong> cespi più o meno compatti.<br />

Foglie<br />

Le foglie sono alterne ed opposte, con una foglia per nodo, senza picciolo e composta<br />

da varie parti: guaina, lamina, ligula e auricole. La guaina è la parte a stretto contatto<br />

con il culmo, al quale si può abbracciare anche completamente, ed ha consistenza più o<br />

meno membranosa. La lamina è la parte più appariscente della foglia, in <strong>di</strong>retta<br />

comunicazione con la guaina, <strong>di</strong> forma allungata e con nervature parallele. La ligula è<br />

una piccola membrana che si trova alla congiunzione tra lamina e guaina: può assumere<br />

un <strong>di</strong>verso sviluppo a seconda della specie e può essere anche assente. Le auricole sono<br />

delle piccole appen<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso sviluppo e forma, poste alla base della lamina.<br />

Insieme con la ligula rappresentano <strong>degli</strong> importanti caratteri morfologici per il<br />

riconoscimento delle specie graminacee in fase vegetativa, compresi alcuni cereali. Ad<br />

esempio, in frumento la ligula è corta e le auricole larghe e pelose; in orzo la ligula è<br />

allungata e le auricole sono lunghe e tipicamente amplessicauli; in avena la ligula è<br />

dentata, corta e <strong>di</strong> forma piuttosto ovale mentre le auricole sono assenti; in segale sia la<br />

ligula che le auricole sono corte (sl. 2/23).<br />

Infiorescenza<br />

Nelle graminacee esistono fondamentalmente due tipi <strong>di</strong> infiorescenza: la spiga, con<br />

spighette sessili inserite <strong>di</strong>rettamente sul rachide, e il panicolo o pannocchia, con<br />

spighette inserite sul rachide me<strong>di</strong>ante un peduncolo più o meno sviluppato (sl. 2/25-<br />

30). Le spighette, sessili o peduncolate, possono essere monoflore, ma più spesso<br />

contengono due o più fiori inseriti su una rachilla. Ciascuna spighetta porta alla base<br />

due glume mentre ciascun fiore è avvolto da due glumette, <strong>di</strong> cui quella inferiore è detta<br />

lemma e quella superiore palea (sl. 2/34). La lemma può essere mutica (senza resta) o<br />

aristata (con resta). Glume e glumette possono presentare dorsalmente una carena, la<br />

quale può rappresentare un importante carattere <strong>di</strong> riconoscimento botanico nella<br />

famiglia.<br />

Cariosside<br />

È il tipico frutto secco indeiscente delle graminacee, che porta un solo seme<br />

concresciuto e saldato con il pericarpo. A maturazione, le glumette possono aderire alla<br />

cariosside che, in questo caso, viene detta vestita; se la cariosside matura non risulta<br />

avvolta dalle glumette è definita nuda. La cariosside delle graminacee può presentare<br />

varie <strong>di</strong>mensioni e forme (ovoidale, globosa, appiattita, etc.) ma è spesso caratterizzata<br />

da un solco laterale. La parte non occupata dall’embrione è l’endosperma, composto in<br />

prevalenza da amido. L’embrione è attaccato all’endosperma me<strong>di</strong>ante l’unico<br />

cotiledone, detto scutello. Nell’embrione si <strong>di</strong>stinguono il coleoptile e la coleoriza che<br />

racchiudono, rispettivamente, la piumetta e la ra<strong>di</strong>chetta (sl. 2/35-36). Le proporzioni<br />

13


elative delle varie parti costituenti la cariosside possono variare in funzione delle<br />

specie: ad esempio, le glumette sono assenti in frumento, mais e sorgo (specie a<br />

cariossi<strong>di</strong> nude), ma possono rappresentare sino al 20-25% del peso della cariosside in<br />

riso e avena; l’endosperma varia da circa il 60% della cariosside in avena ad oltre l’80%<br />

in frumento mais e sorgo; l’embrione solitamente non supera il 3% del peso della<br />

cariosside nei cereali vernini ma raggiunge il 10-12% in mais e sorgo. La forma, le<br />

<strong>di</strong>mensioni ed il peso della cariosside variano in funzione della specie (sl. 2/38-39).<br />

I principali cereali coltivati nel mondo sono otto: frumento, riso, mais, orzo,<br />

sorgo, miglio, avena e segale, per un totale <strong>di</strong> oltre 600 M ha e una produzione <strong>di</strong> oltre 2<br />

miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> tonnellate.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista biologico ed agronomico, i cereali possono essere <strong>di</strong>stinti in<br />

tre sottogruppi: il sottogruppo del frumento ed affini (frumento, orzo, avena, segale), il<br />

sottogruppo del mais ed affini (mais, sorgo, miglio, panico) ed il sottogruppo del riso.<br />

14


FRUMENTO<br />

Con circa 180 milioni <strong>di</strong> ettari coltivati nel mondo, il frumento è una delle specie<br />

<strong>erbacee</strong> più <strong>di</strong>ffuse ed importanti. La produzione mon<strong>di</strong>ale stimata nel 2008 è stata pari<br />

a circa 640 milioni <strong>di</strong> tonnellate, a fronte <strong>di</strong> una stima <strong>di</strong> consumo mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> 630<br />

milioni <strong>di</strong> tonnellate nel 2007. Previsioni <strong>di</strong> stima sui prossimi 20 anni in<strong>di</strong>cano in 890<br />

M t il fabbisogno mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> frumento, sottolineando la necessità <strong>di</strong> incrementare le<br />

produzioni per far fronte alle future richieste. L’Asia e l’Africa saranno i gran<strong>di</strong><br />

consumatori <strong>di</strong> domani, ma in questi continenti il fabbisogno è e resterà superiore<br />

all’offerta. Le scorte <strong>di</strong> frumento dei 5 maggiori Paesi esportatori mon<strong>di</strong>ali (Argentina,<br />

Australia, Canada, UE e USA) sono <strong>di</strong>minuite drasticamente negli ultimi anni, sia per<br />

effetto della maggiore domanda che, almeno in alcuni casi, della minore produzione.<br />

Dei 640 M <strong>di</strong> tonnellate raccolti nel mondo, 610 M sono state <strong>di</strong> frumento tenero<br />

(Triticum aestivum) e 30 M <strong>di</strong> frumento duro (T. durum). In Italia, sul totale <strong>di</strong> oltre 2.7<br />

M ha coltivati con cereali autunno-vernini (dati 2008), oltre 1.5 M ha erano destinati a<br />

frumento duro, con una produzione <strong>di</strong> 5.4 M tonnellate, e 700 mila ha a frumento<br />

tenero, con una produzione <strong>di</strong> 3.95 M tonnellate. L’Emilia-Romagna, il <strong>Ve</strong>neto e il<br />

Piemonte sono state le regioni italiane con oltre 100 mila ha coltivati a frumento tenero<br />

(sl. 3/10, 17), la cui superficie in Italia è <strong>di</strong>minuita <strong>di</strong> circa il 40% negli ultimi 20 anni.<br />

Circa i tre quarti del frumento tenero prodotto o importato in Italia vengono<br />

impiegati nella panificazione, <strong>di</strong> cui il 90% è ancora sotto forma <strong>di</strong> produzioni<br />

artigianali (sl. 3/11).<br />

Origine<br />

La tassonomia dei frumenti coltivati, e del genere Triticum più in generale (sl. 3/19), è<br />

stata storicamente oggetto <strong>di</strong> controversie. Una svolta nella classificazione del frumento<br />

avvenne con la determinazione del numero cromosomico <strong>di</strong> base pari a 7 e con<br />

l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> frumenti con numero cromosomico pari a 2n=14, o 2n=28, o 2n=42.<br />

Sulla base del numero cromosomico, le specie furono riunite in <strong>di</strong>ploi<strong>di</strong> (2n=2x=14),<br />

tetraploi<strong>di</strong> (2n=4x=28) ed esaploi<strong>di</strong> (2n=6x=42). Attraverso lo stu<strong>di</strong>o dell’appaiamento<br />

cromosomico alla meiosi è stato possibile stabilire che i frumenti <strong>di</strong>ploi<strong>di</strong> contengono<br />

un genoma (insieme <strong>di</strong> cromosomi) in<strong>di</strong>cato come AA, mentre i tetraploi<strong>di</strong> contengono<br />

due genomi, definiti AABB, e gli esaploi<strong>di</strong> contengono i tre genomi AABBDD (sl.<br />

3/28). I frumenti tetraploi<strong>di</strong> ed esaploi<strong>di</strong> sono quin<strong>di</strong> <strong>degli</strong> allopoliploi<strong>di</strong>. Si ritiene che<br />

il capostipite dei frumenti sia la specie selvatica T. boeoticum (AA), dal quale sarebbe<br />

derivata la specie coltivata T. monococcum (AA) (sl. 3/30). I frumenti tetraploi<strong>di</strong><br />

sarebbero derivati per incrocio (seguito dal raddoppiamento del corredo cromosomico<br />

che rese fertili gli ibri<strong>di</strong>) tra un frumento <strong>di</strong>ploide ed una specie selvatica. Si ritiene che<br />

la specie donatrice del genoma BB possa essere stata una specie affine all’Aegilops<br />

speltoides (sl. 3/32) o una forma ancestrale <strong>di</strong> questa stessa, il cui genoma SS è molto<br />

simile al genoma BB dei frumenti polipoi<strong>di</strong>, non presente in nessuna specie <strong>di</strong> Aegilops<br />

conosciuta. Da frumenti tetraploi<strong>di</strong> sarebbero derivate le specie esaploi<strong>di</strong> a seguito <strong>di</strong><br />

incrocio con una specie <strong>di</strong>ploide selvatica e successivo raddoppiamento del corredo<br />

cromosomico. La specie donatrice del genoma DD è stata identificata in Aegilops<br />

squarrosa (sinonimo, T. tauschii) in cui tale genoma è appunto presente (sl. 3/31). T.<br />

macha sarebbe stata la forma ancestrale dei frumenti esaploi<strong>di</strong>, da cui, per accumulo <strong>di</strong><br />

mutazioni, sarebbe derivato T. spelta, e per ibridazione tra questo e T. macha (oppure<br />

per mutazione da T. spelta) si sarebbero formati i frumenti riferibili a T. aestivum.<br />

15


I cromosomi omeologhi (derivanti da genomi <strong>di</strong>versi), pur possedendo geni con<br />

funzioni simili, non si appaiano tra <strong>di</strong> loro durante la meiosi, come avviene invece per i<br />

cromosomi omologhi (appartenenti allo stesso genoma).<br />

Sulla base del pionieristico lavoro <strong>di</strong> Vavilov sui centri <strong>di</strong> origine delle specie<br />

coltivate, proseguito da Sinskaya e successivamente confermato da Dorofeev e colleghi,<br />

l’origine dei frumenti coltivati è il cosiddetto Antico Me<strong>di</strong>terraneo, comprendente la<br />

regione me<strong>di</strong>terranea e l’Asia sud-occidentale. Più in particolare, l’area <strong>di</strong><br />

domesticazione dei frumenti, coincidente con la regione <strong>di</strong> origine dell’agricoltura, è la<br />

cosiddetta Mezzaluna fertile, compresa tra Palestina, Anatolia meri<strong>di</strong>onale e<br />

Mesopotamia (sl. 3/37). I frumenti sono stati un elemento basilare per l’umanità per<br />

circa 10000 anni e si sono <strong>di</strong>ffusi in tutto il mondo (sl. 3/40). La domesticazione e la<br />

successiva millenaria storia evolutiva del frumento come pianta coltivata hanno<br />

determinato delle profonde mo<strong>di</strong>ficazioni nella morfo-fisiologia della pianta, la quale si<br />

presenta oggi molto <strong>di</strong>versa da quella dei progenitori selvatici (sl. 3/42-46). La gamma<br />

<strong>di</strong> variabilità che è derivata per effetto del tempo e dello spazio <strong>di</strong> coltivazione è<br />

sorprendente e la formazione <strong>di</strong> nuove entità infraspecifiche (varietà botaniche) è stato<br />

un processo continuo durante la <strong>di</strong>ffusione della specie L’allopoliploi<strong>di</strong>a ha avuto<br />

un’enorme importanza nella creazione <strong>di</strong> tale variabilità: è stato <strong>di</strong>mostrato infatti che la<br />

variabilità e la <strong>di</strong>stribuzione geografica dei frumenti <strong>di</strong>ploi<strong>di</strong> sono minori rispetto a<br />

quelle dei tetraploi<strong>di</strong> e <strong>degli</strong> esaploi<strong>di</strong>. Nell’evoluzione delle piante coltivate, la<br />

poliploi<strong>di</strong>a ha sempre svolto un ruolo importante, in quanto ha aumentato le possibilità<br />

<strong>di</strong> adattamento ad un ampio ventaglio <strong>di</strong> ambienti e la sopravvivenza in con<strong>di</strong>zioni<br />

climatiche instabili.<br />

Morfologia<br />

Ra<strong>di</strong>ci<br />

L’apparato ra<strong>di</strong>cale è <strong>di</strong> tipo fascicolato. Nel primo periodo del ciclo vegetativo si<br />

sviluppano 5-7 ra<strong>di</strong>ci embrionali o primarie, che restano vitali per tutto il ciclo anche se<br />

vengono presto sopravanzate in sviluppo ed importanza dalle ra<strong>di</strong>ci secondarie o<br />

avventizie, che si originano dai no<strong>di</strong> basali del culmo principale e, in misura minore, dei<br />

culmi <strong>di</strong> accestimento. La formazione delle ra<strong>di</strong>ci avventizie avviene generalmente dalla<br />

fase <strong>di</strong> terza foglia in poi. In relazione al tipo <strong>di</strong> suolo e alle con<strong>di</strong>zioni ambientali, lo<br />

sviluppo in profon<strong>di</strong>tà dell’apparato ra<strong>di</strong>cale può essere assai vario, raggiungendo anche<br />

1.5 m e oltre. La massima densità ra<strong>di</strong>cale è comunque in genere in corrispondenza<br />

dello strato attivo del terreno (30-40 cm <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà) interessato dalla maggior parte<br />

delle lavorazioni.<br />

Culmo<br />

Il fusto del frumento, detto culmo, può variare notevolmente in altezza in funzione delle<br />

varietà e delle con<strong>di</strong>zioni ambientali <strong>di</strong> crescita. Le vecchie varietà coltivate potevano<br />

anche raggiungere e superare i 180 cm <strong>di</strong> altezza, mentre oggi vengono coltivate per lo<br />

più varietà semi-nane che <strong>di</strong> solito non superano i 70-80 cm <strong>di</strong> altezza. L’altezza del<br />

culmo è un carattere molto importante, perché legato inversamente alla resistenza al<br />

fenomeno dell’allettamento, che è la piegatura dei fusti causata dall’azione del vento e<br />

della pioggia. Il fusto del frumento è eretto, cilindrico, con circa 5-8 interno<strong>di</strong><br />

generalmente cavi. Nella fase giovanile il culmo non è appariscente, in quanto gli<br />

interno<strong>di</strong> non sono ancora sviluppati. Successivamente, il meristema <strong>di</strong> cui è fornito<br />

ogni nodo determina l’allungamento dell’internodo sovrastante. Il germoglio primario<br />

16


non resta unico: sui no<strong>di</strong> basali, all’ascella delle foglie più basse, sono presenti e<br />

possono svilupparsi altri apici vegetativi che danno origine a culmi secondari e terziari,<br />

in numero variabile a seconda delle varietà e delle con<strong>di</strong>zioni ambientali (spazio,<br />

concimazione, umi<strong>di</strong>tà, etc.). Questo fenomeno è detto accestimento ed è descritto più<br />

avanti.<br />

Foglie<br />

L’unico cotiledone è rappresentato dallo scutello, che è uno strato pluricellulare<br />

<strong>di</strong>sposto tra l’endosperma e l’embrione e avente la funzione <strong>di</strong> trasferire a quest’ultimo<br />

le sostanze nutritive (le cellule dello scutello sono infatti ricche <strong>di</strong> enzimi <strong>di</strong>astasici e<br />

proteolitici). Il coleoptile embrionale è la prima foglia, che fuoriesce dal terreno<br />

incappucciando e proteggendo la piumetta, la quale presenta 3-4 foglie già abbozzate.<br />

La prima foglia perfora il coleoptile dopo alcuni giorni ed inizia la fotosintesi. Le foglie<br />

sono inserite sui no<strong>di</strong> del culmo con <strong>di</strong>sposizione alterna, ed ognuna comprende guaina,<br />

lamina, ligula ed auricole.<br />

Infiorescenza<br />

L’infiorescenza dei frumenti è una spiga, che ha l’asse principale, o rachide, sinuoso e<br />

formato da corti interno<strong>di</strong> che, nelle specie coltivate, sono resistenti alla rottura e<br />

<strong>di</strong>sarticolazione. Le spighette sono sessili, <strong>di</strong>sposte alternativamente e ai lati opposti sui<br />

no<strong>di</strong> del rachide. Il numero e la densità delle spighette possono essere molto variabili. In<br />

con<strong>di</strong>zioni normali, il numero me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> spighette per spiga è <strong>di</strong> circa 15-20. Ogni<br />

spighetta è costituita da un breve asse articolato, detto rachilla, con due file <strong>di</strong> fiori<br />

alterni e solitari, ognuno protetto da due brattee dette glumette, <strong>di</strong> cui l’inferiore<br />

(lemma) porta all’ascella il fiore. La lemma ha forma <strong>di</strong> navicella e l’estremità superiore<br />

può essere dentata, a punta o aristata. Frumenti assolutamente mutici sono del tutto<br />

eccezionali: perciò col termine mutico si intende un frumento che ha ariste (o reste)<br />

molto ridotte. Forme mutiche sono frequenti in frumento tenero, in cui si trovano anche<br />

tipi semi-aristati, ovvero con reste non presenti in tutte le spighette. Le spighe mutiche<br />

sono invece rarissime in frumento duro. Le reste possono essere bianche, rossicce o<br />

nere: queste ultime sono frequenti in frumento duro ma molto rare nel tenero. La<br />

glumetta superiore è detta palea. Alla base della spighetta vi sono due brattee opposte,<br />

rigide, <strong>di</strong> forma carenata, dette glume, che in tutti i frumenti eccetto T. polonicum sono<br />

più corte delle glumette. Glume e glumette possono essere variamente pigmentate e/o<br />

pubescenti.<br />

Il numero <strong>di</strong> fiori in ogni spighetta può variare da 3 a 9, ma uno o più tra i fiori<br />

superiori sono <strong>di</strong> norma imperfetti e sterili. Spesso il fiore terminale manca e le<br />

glumette sono poco sviluppate. Il fiore perfetto ha tre stami con antere bilobate ed un<br />

ovario. I filamenti <strong>degli</strong> stami si allungano rapidamente dopo la fioritura. Dall’ovario<br />

sorgono due stili piumosi e ricurvi. All’antesi, due minute squame alla base interna delle<br />

glumette, dette lo<strong>di</strong>cole, si gonfiano rapidamente per breve tempo, <strong>di</strong>varicando le<br />

glumette, esponendo gli stili e permettendo la fuoriuscita delle antere: l’operazione<br />

facilita così l’eventuale impollinazione del fiore nel caso in cui la fecondazione<br />

(cleistogama per circa il 97-99%) non fosse ancora avvenuta (sl. 3/67-68).<br />

Cariosside<br />

Il peso della singola cariosside, <strong>di</strong> morfologia tipica, varia in funzione delle varietà oltre<br />

che delle con<strong>di</strong>zioni ambientali, ed è generalmente compreso tra 30 e 50 mg. La<br />

17


superficie della cariosside è liscia, ma quando la maturazione non avviene regolarmente<br />

per effetto <strong>di</strong> squilibri idrici nella pianta, la cariosside si presenta più o meno striminzita<br />

e grinzosa (il sintomo è definito stretta della cariosside).<br />

La cariosside è costituita dall’embrione (2-4% del peso), dall’endosperma (87-<br />

89%) e dagli involucri (circa 8%). L’endosperma comprende uno strato aleuronico<br />

periferico a contatto col tegumento seminale (testa) e il parenchima con amido e<br />

proteine <strong>di</strong> riserva (glutine) (sl. 3/72-73). La concentrazione <strong>di</strong> sostanza proteica e<br />

minerali (ceneri) cresce dal centro verso la periferia del parenchima, mentre il contrario<br />

avviene per l’amido. Il carattere farinoso della cariosside è dovuto alla formazione <strong>di</strong><br />

pori capillari tra le cellule dell’endosperma durante la maturazione. Tali pori<br />

generalmente mancano nelle cariossi<strong>di</strong> <strong>di</strong> frumento duro, che presentano quin<strong>di</strong> un<br />

aspetto compatto e vitreo. All’estremità della cariosside opposta a quella in cui è<br />

localizzato l’embrione è presente un ciuffo <strong>di</strong> brevi e sottili peli.<br />

Biologia (sl. 3/78)<br />

Germinazione<br />

Con acqua a <strong>di</strong>sposizione per l’assorbimento (fino in ragione del 40% del peso della<br />

cariosside) e in con<strong>di</strong>zioni favorevoli <strong>di</strong> temperatura ed ossigenazione, il seme germina.<br />

La temperatura ottimale <strong>di</strong> germinazione è <strong>di</strong> circa 20 °C, ma la germinazione può<br />

avvenire, seppure lentamente, già a 2-4 °C (temperatura minima <strong>di</strong> germinazione). Per<br />

prima fuoriesce la ra<strong>di</strong>chetta embrionale centrale, poi il coleoptile e infine le altre ra<strong>di</strong>ci<br />

primarie. La profon<strong>di</strong>tà ottimale <strong>di</strong> semina è intorno a 3-4 cm: una semina più profonda<br />

costringerebbe la plantula ad allungare il primo internodo (detto rizoma) per spingere in<br />

alto il coleoptile e farlo emergere, causando un consumo delle riserve embrionali e la<br />

nascita <strong>di</strong> una pianta esile e stentata. Con una semina troppo superficiale, invece, il<br />

seme appena germinato potrebbe <strong>di</strong>sseccarsi od essere predato. Dopo l’uscita del<br />

coleoptile dal terreno, la prima foglia lo rompe ed esce espandendosi fino a raggiungere<br />

la <strong>di</strong>mensione normale.<br />

Accestimento<br />

Allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 3-4 foglie, all’ascella della prima foglia si forma un germoglio, quin<strong>di</strong> ne<br />

compare un altro all’ascella della seconda foglia, e così via, dando vita al fenomeno<br />

dell’accestimento (sl. 3/82-84), che termina quando l’apice vegetativo principale si<br />

<strong>di</strong>fferenzia in organo riproduttivo. Un accestimento estremo è da evitare, poiché questo<br />

comporterebbe una scalarità <strong>di</strong> fioritura protratta nel tempo a causa della dominanza del<br />

germoglio primario sui germogli <strong>di</strong> accestimento primario, e <strong>di</strong> questi sui germogli <strong>di</strong><br />

accestimento secondario. L’accestimento <strong>di</strong>pende da molteplici fattori, tra cui la varietà,<br />

la precocità (effetto positivo), le <strong>di</strong>mensioni del seme (effetto positivo), la profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong><br />

semina (effetto negativo), la densità delle piante (effetto negativo), la dotazione in<br />

elementi nutritivi del terreno, soprattutto in azoto (effetto positivo), la temperatura<br />

(effetto negativo con temperature elevate), l’epoca <strong>di</strong> semina (effetto positivo con<br />

semine precoci). Come detto, tecnicamente è desiderabile un ridotto accestimento unito<br />

ad un’elevata fittezza per avere un raccolto uniforme.<br />

Sotto l’influenza della temperatura e del fotoperiodo, ad un certo punto l’apice<br />

vegetativo non <strong>di</strong>fferenzia più i primor<strong>di</strong> delle foglie ma <strong>di</strong>fferenzia gli abbozzi delle<br />

future spighette. Questo sta<strong>di</strong>o corrisponde al passaggio della pianta dalla fase<br />

vegetativa a quella riproduttiva ed è in<strong>di</strong>cato come viraggio (sl. 3/86-87). È importante<br />

che al momento del viraggio la pianta sia in buone con<strong>di</strong>zioni nutritive per garantire un<br />

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elevato numero <strong>di</strong> spighette future. Per numerose varietà, il viraggio è con<strong>di</strong>zionato<br />

dall’aver subito per qualche tempo lo stimolo delle basse temperature (vernalizzazione).<br />

Si hanno così varietà autunnali (o non alternative) che, esigendo la vernalizzazione,<br />

vanno sempre seminate in autunno, e varietà primaverili (o alternative) in cui la<br />

fioritura è indotta prevalentemente dal fotoperiodo e che possono essere quin<strong>di</strong> seminate<br />

anche in primavera.<br />

Levata<br />

Avvenuto il viraggio, quando la temperatura dell’aria raggiunge circa 12 °C, le piante<br />

iniziano la fase <strong>di</strong> levata, con l’allungamento <strong>degli</strong> interno<strong>di</strong> per proliferazione del<br />

tessuto meristematico alla base <strong>di</strong> ciascun nodo. L’accrescimento è acropeto a partire<br />

dall’internodo più basso. Quando è in corso l’allungamento dell’ultimo internodo, la<br />

spiga, già completamente formata, viene spinta attraverso la guaina dell’ultima foglia,<br />

determinandovi un tipico rigonfiamento: è questo il cosiddetto sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> botticella.<br />

Pochi giorni dopo si ha l’uscita della spiga, o spigatura, e dopo altri 5-6 giorni si ha la<br />

fioritura, sta<strong>di</strong>o a cui la pianta raggiunge la massima altezza (sl. 3/88).<br />

Durante la levata la pianta assorbe gran<strong>di</strong> quantità <strong>di</strong> elementi nutritivi e <strong>di</strong><br />

acqua ed ha una notevole attività fotosintetica. Temperature più basse <strong>di</strong> quelle ottimali<br />

(15-20 °C) e carenza <strong>di</strong> acqua nel terreno riducono l’allungamento <strong>degli</strong> interno<strong>di</strong>. Una<br />

scarsa illuminazione, come si ha nelle semine troppo fitte, stimola invece<br />

l’allungamento <strong>degli</strong> interno<strong>di</strong> più bassi, riducendone però l’ispessimento e la tolleranza<br />

all’allettamento. Durante la levata, la pianta <strong>di</strong>venta molto sensibile alle gelate (a<br />

<strong>di</strong>fferenza della fase <strong>di</strong> accestimento) le quali devitalizzano per congelamento i tessuti<br />

teneri e acquosi <strong>degli</strong> interno<strong>di</strong> in allungamento. Per questo, la fase <strong>di</strong> levata non deve<br />

essere troppo precoce.<br />

Fioritura<br />

Circa 5-6 giorni dopo la spigatura avviene la fecondazione cleistogama del fiore.<br />

Aprendo le glumette in quella fase si osserverebbe che l’ovario è ingrossato e gli stami<br />

sono gialli e maturi. La fioritura e la fecondazione sono ostacolate dall’eccesso <strong>di</strong><br />

umi<strong>di</strong>tà, dalla pioggia e dai ritorni <strong>di</strong> freddo. Temperature inferiori a 15 °C possono già<br />

essere dannose; temperature sotto lo zero possono provocare la devitalizzazione del<br />

polline (castrazione fisiologica). Impropriamente viene definita fioritura il momento in<br />

cui le glumette si aprono e lasciano fuoriuscire le antere: in realtà, in con<strong>di</strong>zioni normali<br />

ciò avviene quando la fecondazione è avvenuta, e si dovrebbe perciò parlare più<br />

propriamente <strong>di</strong> sfioritura.<br />

La fioritura inizia dalle spighette me<strong>di</strong>ane della spiga e procede poi verso quelle<br />

basali e infine verso quelle apicali. In ciascuna spighetta, il primo a fiorire è il fiore più<br />

basso, seguito poi via via dai fiori superiori. La fioritura inizia nella spiga del culmo<br />

principale e prosegue in quelli secondari secondo l’or<strong>di</strong>ne della loro formazione sulla<br />

pianta. La fioritura si completa in circa 3-4 giorni su una spiga, e sono necessari circa 6-<br />

8 giorni per la fioritura completa in una pianta. Non tutti i fiori formati danno origine a<br />

cariossi<strong>di</strong>: in con<strong>di</strong>zioni non troppo ottimali, solo il primo e il secondo fiore <strong>di</strong> ogni<br />

spighetta producono una cariosside, mentre in con<strong>di</strong>zioni ottimali anche il terzo e quarto<br />

fiore possono essere fertili. Molto spesso, le 2-3 spighette basali sono completamente<br />

sterili e non portano alcuna cariosside.<br />

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Maturazione<br />

Subito dopo la fecondazione si ha l’inizio della formazione della cariosside<br />

(granigione). L’ovocellula fecondata si sviluppa rapidamente, ed in 8-12 giorni<br />

l’embrione è già formato. L’endosperma si forma dopo l’embriogenesi, per<br />

moltiplicazione del nucleo secondario del sacco embrionale fecondato dal nucleo<br />

vegetativo del budello pollinico. Nelle cellule dell’endosperma ha luogo il rapido<br />

accumulo <strong>di</strong> granuli <strong>di</strong> amido, i quali sono inizialmente sospesi nel succo cellulare<br />

formando un liquido lattiginoso (maturazione lattea). In questa fase la cariosside<br />

raggiunge il massimo volume, la sua umi<strong>di</strong>tà è alta (70%) e tutta la pianta è ancora<br />

verde. Successivamente, le cariossi<strong>di</strong> iniziano ad ingiallire, così come le lamine fogliari,<br />

e per il progressivo accumulo <strong>di</strong> amido acquistano una consistenza cerosa. È questa la<br />

maturazione cerosa, in cui il contenuto <strong>di</strong> acqua della cariosside scende al 40-45%. Col<br />

procedere della maturazione, i granuli <strong>di</strong> amido finiscono per riempire completamente le<br />

cellule dell’endosperma; la pianta ingiallisce completamente eccetto, per poco tempo<br />

ancora, l’ultimo internodo. La cariosside si lascia appena incidere con l’unghia e la sua<br />

umi<strong>di</strong>tà è del 30-35%. È questa la maturazione fisiologica a cui non segue più alcun<br />

accumulo <strong>di</strong> sostanze <strong>di</strong> riserva. L’accumulo <strong>di</strong> amido nei semi ed il raggiungimento <strong>di</strong><br />

un elevato peso me<strong>di</strong>o delle cariossi<strong>di</strong> sono favoriti se la granigione è lenta,<br />

accompagnata da un andamento climatico favorevole e da una intensa e prolungata<br />

attività fotosintetica. In con<strong>di</strong>zioni avverse, soprattutto per carenza <strong>di</strong> acqua o per<br />

malattie che danneggiano le parti ver<strong>di</strong> della pianta, le <strong>di</strong>mensioni delle cariossi<strong>di</strong> non<br />

sono ottimali e le rese sono ridotte. Le <strong>di</strong>verse parti della pianta contribuiscono in<br />

misura <strong>di</strong>versa con i loro elaborati al riempimento delle cariossi<strong>di</strong>. Oltre il 90% delle<br />

sostanze depositate nelle cariossi<strong>di</strong> sono prodotte dalla pianta dopo la<br />

spigatura/fioritura, ed un contributo fondamentale è fornito dall’ultima foglia espansa<br />

sotto la spiga (foglia ban<strong>di</strong>era), dall’ultimo internodo e dalla spiga stessa (soprattutto<br />

con le glume e le reste), che insieme sintetizzano fino all’85% delle riserve accumulate<br />

nella cariosside. Dopo la maturazione fisiologica, il processo <strong>di</strong> maturazione consiste<br />

solo nella per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> acqua: quando la pianta è completamente ingiallita e l’umi<strong>di</strong>tà della<br />

granella è scesa al 13-14% (maturazione piena) è possibile iniziare la raccolta<br />

(mietitrebbiatura).<br />

Fisiologia della produzione<br />

La resa del frumento <strong>di</strong>pende da molteplici fattori (definiti componenti della resa) che<br />

sono determinati dallo sviluppo <strong>di</strong> un adeguato numero <strong>di</strong> piante in buone con<strong>di</strong>zioni,<br />

da una buona attività ra<strong>di</strong>cale, da una elevata attività fotosintetica, da una buona<br />

fioritura e allegagione e da un ottimale accumulo <strong>di</strong> riserve nel seme. Le varie<br />

componenti della resa (es. piante/m 2 , spighe/m 2 , cariossi<strong>di</strong> per spiga, cariossi<strong>di</strong>/m 2 , peso<br />

<strong>di</strong> una cariosside) possono avere un <strong>di</strong>verso peso relativo sulla produzione finale a<br />

seconda delle con<strong>di</strong>zioni ambientali della coltura. L’architettura ideale <strong>di</strong> caratteri per<br />

ogni determinato ambiente <strong>di</strong> coltivazione porta alla definizione dell’ideotipo varietale<br />

da perseguire per ottimizzare la resa in quelle date con<strong>di</strong>zioni.<br />

Come tutte le piante a ciclo C3 (così dette perché il primo composto stabile che<br />

si forma nel dopo la fissazione della CO2 nella fotosintesi, l’acido 3-fosfoglicerico o<br />

PGA, contiene tre atomi <strong>di</strong> carbonio), il frumento ha una minore efficienza fotosintetica<br />

(CO2 assorbita per unità <strong>di</strong> superficie fogliare) e maggiori per<strong>di</strong>te fotorespiratorie<br />

rispetto alle piante a ciclo C4 (come il mais, così dette perché hanno come primo<br />

prodotto nel processo fotosintetico un composto, l’ossalacetato, con quattro atomi <strong>di</strong><br />

20


carbonio) (sl. 4/10). Conseguentemente, le piante C3 hanno un maggiore consumo <strong>di</strong><br />

acqua per unità <strong>di</strong> C fissato e un minore accumulo <strong>di</strong> sostanza secca.<br />

La coltura è un sistema biologico con due componenti: le strutture che<br />

sintetizzano sostanze utili (source) e gli organi preposti all’accumulo <strong>di</strong> tali sintetati<br />

(sink). Per incrementare la resa si può agire aumentando l’attività del source,<br />

migliorando l’efficienza del trasporto dei sintetati dal source al sink, o aumentando le<br />

<strong>di</strong>mensioni del sink. Il sink (le spighe con le loro componenti) è formato nel periodo che<br />

va dalla levata al termine della fioritura: la durata <strong>di</strong> tale periodo è spesso vincolata<br />

dalla con<strong>di</strong>zioni ambientali prevalenti in ogni areale <strong>di</strong> coltura, ad esempio in termini <strong>di</strong><br />

occorrenza <strong>di</strong> possibili gelate tar<strong>di</strong>ve o dell’insorgenza <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni siccitose<br />

primaverili. Ai fini produttivi devono essere perseguiti un lungo periodo <strong>di</strong> riempimento<br />

della granella ed un’elevata intensità <strong>di</strong> accumulo <strong>di</strong> sostanza secca nella granella stessa,<br />

i quali <strong>di</strong>pendono dalla durata dell’attività fotosintetica della pianta, operata in<br />

particolare, come sopra descritto, da quegli organi come la foglia ban<strong>di</strong>era, l’ultimo<br />

internodo e la spiga che rimangono fotosinteticamente attivi oltre la fase <strong>di</strong> fioritura (sl.<br />

4/14-15).<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista fisiologico, nell’evoluzione del frumento coltivato si sono<br />

determinati: un aumento delle <strong>di</strong>mensioni delle foglie e delle cariossi<strong>di</strong>; un<br />

rallentamento della senescenza fogliare ed un allungamento del periodo <strong>di</strong> granigione;<br />

una <strong>di</strong>minuzione della taglia; una <strong>di</strong>minuzione della competitività tra piante; un<br />

aumento dell’harvest index (rapporto ponderale tra la parte utile raccolta [granella] e la<br />

biomassa totale della parte aerea della pianta).<br />

Adattamento<br />

Le gran<strong>di</strong> zone <strong>di</strong> coltivazione del frumento sono le fasce temperate dell’emisfero nord<br />

(tra 30° e 60° <strong>di</strong> latitu<strong>di</strong>ne) e dell’emisfero sud (tra 25° e 40° <strong>di</strong> latitu<strong>di</strong>ne). L’altitu<strong>di</strong>ne<br />

sposta questi limiti verso l’equatore: sulle Ande si coltiva frumento fino a 4000 m. Il<br />

frumento non è adatto alle basse latitu<strong>di</strong>ni dei tropici, a causa del clima caldo e umido<br />

che provoca la mancanza <strong>di</strong> vernalizzazione e, soprattutto, l’insorgere <strong>di</strong> malattie<br />

crittogamiche e la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> maturazione, raccolta e conservazione.<br />

Il frumento è una specie microterma, con esigenze termiche basse ma crescenti<br />

durante lo sviluppo: 2-3 °C per la germinazione e l’accestimento, 10-12 °C per la levata,<br />

15 °C per la fioritura, 18-20 °C per la maturazione. Quando è in accestimento, il<br />

frumento resiste anche a molti gra<strong>di</strong> sotto lo zero. In assenza <strong>di</strong> neve, le temperature<br />

minime al <strong>di</strong> sotto dei –29 °C sono però letali e la coltura è possibile solo con semina<br />

primaverile, purché vi siano almeno circa 100 giorni esenti da gelate. Nell’Italia<br />

settentrionale grande importanza ha il fatto che i rigori invernali trovino la coltura in<br />

fase <strong>di</strong> accestimento (sl. 4/4). Semine troppo tar<strong>di</strong>ve potrebbero causare l’esposizione<br />

delle piante alle temperature più fredde quando l’accestimento non è ancora iniziato.<br />

Viceversa, con semine troppo anticipate la pianta potrebbe già essere nella fase <strong>di</strong> levata<br />

al momento delle gelate più intense. Nell’Italia peninsulare, i danni peggiori sono<br />

causati da gelate tar<strong>di</strong>ve primaverili, con abbassamenti improvvisi <strong>di</strong> temperature anche<br />

<strong>di</strong> pochi gra<strong>di</strong> sotto lo zero, che sopraggiungono però quando il frumento è in levata<br />

(danni dei tessuti meristematici teneri ed acquosi) o, peggio ancora, in spigatura<br />

(devitalizzazione del polline e sterilità). Gli eccessi <strong>di</strong> temperatura sono soprattutto<br />

dannosi nelle regioni meri<strong>di</strong>onali, in quanto accentuano l’evapotraspirazione e<br />

ostacolano l’assimilazione e il riempimento della granella. Nella fase <strong>di</strong> granigione, le<br />

temperature ottimali sono <strong>di</strong> 22-24 °C. Rialzi termici improvvisi oltre i 30 °C in questa<br />

fase, specialmente con venti cal<strong>di</strong> e secchi, determinano la stretta da caldo con danni<br />

irreversibili alle cariossi<strong>di</strong> e pregiu<strong>di</strong>zio della produzione quanti-qualitativa.<br />

21


L’acqua è l’altro fattore climatico importante ai fini della produttività del<br />

frumento. Il 75% del frumento mon<strong>di</strong>ale è prodotto nelle regioni semi-aride e subumide<br />

caratterizzate da precipitazioni annue comprese tra 350 e 900 mm circa.<br />

L’eccesso <strong>di</strong> piogge rende <strong>di</strong>fficile la preparazione del letto <strong>di</strong> semina, liscivia gli<br />

elementi nutritivi del terreno, crea uno stato asfittico, favorisce malattie e allettamento,<br />

ostacola la maturazione e la raccolta. Regola generale è quella <strong>di</strong> far coincidere il ciclo<br />

colturale con la stagione pluviometricamente più favorevole (semine autunnali nelle<br />

regione me<strong>di</strong>terranee con piovosità concentrata in autunno-inverno). I climi temperatofred<strong>di</strong><br />

sono i più favorevoli a produzioni abbondanti; i climi temperato-cal<strong>di</strong> danno<br />

invece le produzioni qualitativamente migliori, anche se irregolari e me<strong>di</strong>amente non<br />

molto abbondanti.<br />

I terreni che meglio si adattano al frumento sono quelli <strong>di</strong> tessitura da me<strong>di</strong>a a<br />

me<strong>di</strong>o-pesante (da franco ad argilloso), <strong>di</strong> buona struttura e ben sistemati<br />

idraulicamente, poiché il frumento teme molti i ristagni <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà. In terreni troppo<br />

sciolti, il frumento può soffrire <strong>di</strong> deficienze nutritive, <strong>di</strong> eccessiva aerazione e <strong>di</strong> stress<br />

idrico durante la granigione. Poco adatti sono anche i suoli aci<strong>di</strong> e quelli molto ricchi in<br />

sostanza organica indecomposta.<br />

Tecnica colturale<br />

La red<strong>di</strong>tività della coltura <strong>di</strong> frumento può essere garantita solo se si riescono ad<br />

ottenere rese elevate, con buona qualità della granella e a bassi costi <strong>di</strong> produzione. Per<br />

sod<strong>di</strong>sfare tali esigenze, occorre che l’agricoltore <strong>di</strong>sponga <strong>di</strong> conoscenze sulla migliore<br />

tecnica agronomica da adottare. Come per tutte le altre colture, l’evoluzione della<br />

tecnica <strong>di</strong> coltivazione del frumento ha trovato supporto nell’affermarsi della<br />

meccanizzazione agricola, nella maggiore <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> fertilizzanti, nella messa a<br />

punto <strong>di</strong> prodotti <strong>di</strong>serbanti, insettici<strong>di</strong> e anticrittogamici e nel lavoro <strong>di</strong> miglioramento<br />

genetico. Le norme che regolano la coltivazione del frumento, come quella <strong>di</strong> ogni altra<br />

coltura, riguardano: i) il posto nell’avvicendamento colturale, ii) la scelta delle varietà,<br />

iii) la preparazione del terreno per la semina, iv) la semina, v) la concimazione, vi) la<br />

lotta contro le infestanti, vii) la <strong>di</strong>fesa contro i parassiti, viii) le cure colturali, ix) la<br />

raccolta.<br />

Avvicendamento<br />

Il frumento è una coltura che trae notevoli vantaggi dall’avvicendamento con altre<br />

specie. Il ringrano (omosuccessione) può determinare infatti una marcata riduzione delle<br />

rese (sl. 4/24). In genere il frumento viene coltivato in avvicendamento con colture<br />

miglioratrici, ovvero colture che lasciano un residuo <strong>di</strong> fertilità nel terreno superiore a<br />

quella iniziale (a <strong>di</strong>fferenza delle colture sfruttatrici o depauperanti). Tuttavia,<br />

soprattutto nelle zone semi-aride, in mancanza <strong>di</strong> alternative economicamente valide, il<br />

frumento è spesso coltivato in successione a sé stesso o, al massimo, intercalato da un<br />

maggese (sl. 4/22).<br />

Le colture da rinnovo (es. mais, barbabietola, girasole, pomodoro, fava, patata)<br />

sono ottime precessioni colturali per il frumento, perché migliorano il terreno grazie alla<br />

lavorazione profonda e alle abbondanti concimazioni, anche organiche (letame), e<br />

consentono un buon controllo delle erbe infestanti, con positivi effetti sulla produzione<br />

del frumento che segue (sl. 4/25-26). Un possibile fattore da tenere in considerazione è<br />

l’epoca <strong>di</strong> raccolta della coltura da rinnovo, in relazione al tempo <strong>di</strong>sponibile per la<br />

preparazione del terreno per la semina del frumento.<br />

22


Le colture pratensi sono altre ottime precessioni del frumento, grazie all’azione<br />

soffocante sulle infestanti determinata dal prato, al notevole arricchimento in sostanza<br />

organica del terreno apportata dagli abbondanti residui, al miglioramento della struttura<br />

fisica del terreno, e al notevole arricchimento in azoto del terreno nel caso <strong>di</strong> prati <strong>di</strong><br />

leguminose. Se la rottura <strong>di</strong> un prato poliennale, ad esempio <strong>di</strong> erba me<strong>di</strong>ca, dovesse<br />

essere forzatamente tar<strong>di</strong>va, l’elevata presenza <strong>di</strong> residui organici potrebbe però essere<br />

meglio valorizzata da una coltura da rinnovo, alla quale potrebbe seguire più<br />

proficuamente il frumento.<br />

Scelta varietale<br />

La scelta varietale è una tecnica colturale a costo contenuto per l’agricoltore ma che può<br />

incidere enormemente sulla red<strong>di</strong>tività della coltura. La scelta va fatta considerando le<br />

caratteristiche della pianta in funzione delle esigenze imposte dalle con<strong>di</strong>zioni<br />

climatiche, dal terreno, dalle con<strong>di</strong>zioni fitosanitarie, dalla presenza <strong>di</strong> infestanti, dalla<br />

<strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> mezzi tecnici nella coltivazione, e dalla qualità del prodotto che si vuole<br />

ottenere. Le caratteristiche più importanti da conoscere per poter scegliere<br />

adeguatamente le varietà da coltivare sono la sua resistenza al freddo, alle alte<br />

temperature e alla siccità, l’adattamento alle con<strong>di</strong>zioni del terreno, la resistenza<br />

all’allettamento, la resistenza alle malattie, la fertilità della pianta, la stabilità <strong>di</strong><br />

produzione, e la qualità del prodotto.<br />

Un valido aiuto nella scelta delle varietà può essere fornito dai risultati <strong>di</strong> prove<br />

condotte da soggetti imparziali, sulla base delle quali è possibile stilare delle liste <strong>di</strong><br />

raccomandazione varietale per <strong>di</strong>versi areali <strong>di</strong> coltivazione (sl. 4/34-35, 37, 39-40).<br />

Preparazione del terreno<br />

I lavori preparatori hanno lo scopo <strong>di</strong> preparare un appropriato letto <strong>di</strong> semina e creare<br />

le migliori con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> abitabilità per la coltura. Ciò si ottiene me<strong>di</strong>ante l’interramento<br />

delle erbe infestanti, dei residui della coltura precedente e dei concimi, lo sgretolamento<br />

del terreno in modo da renderlo soffice, e un affinamento delle zolle superficiali tale da<br />

assicurare un buon contatto col seme. La principale lavorazione preparatoria è l’aratura<br />

a 30-40 cm <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà, seguita da erpicature con cui ridurre la zollosità (sl. 4/43). In<br />

genere, più è anticipata l’aratura migliore è il letto <strong>di</strong> semina ed il controllo delle<br />

infestanti. La profon<strong>di</strong>tà può essere ridotta a 20-25 cm quando il frumento segue una<br />

coltura da rinnovo per la quale sia stata già eseguita una lavorazione profonda. Le<br />

lavorazioni devono anche prevedere idonee sistemazioni, per evitare fenomeni <strong>di</strong><br />

erosione nei terreni declivi ed evitare ristagni idrici che potrebbero determinare danni<br />

<strong>di</strong>retti (attacco <strong>di</strong> mal del piede, minore ra<strong>di</strong>camento, aumento delle infestanti) e<br />

in<strong>di</strong>retti (<strong>di</strong>fficoltà nelle semine, minore nitrificazione dell’azoto) (sl. 4/44-45). Bisogna<br />

evitare in maniera categorica <strong>di</strong> lavorare quando il terreno è umido in superficie e<br />

asciutto sotto, per evitare il cosiddetto arrabbiaticcio determinato dalla mescolanza dei<br />

<strong>di</strong>versi strati del terreno, per effetto del quale il frumento cresce stentatissimo a causa <strong>di</strong><br />

forti carenze <strong>di</strong> azoto e gravi infestazioni <strong>di</strong> malerbe.<br />

Anche per il frumento sono state proposte tecniche <strong>di</strong> lavorazione minima<br />

(minimum tillage) o <strong>di</strong> non lavorazione (sod see<strong>di</strong>ng) (sl. 4/48-51).<br />

Semina<br />

Requisiti essenziali della semente della varietà scelta per la semina devono essere la<br />

purezza (varietale e da materiali estranei, soprattutto semi <strong>di</strong> infestanti), la<br />

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germinabilità, lo stato fitosanitario e le <strong>di</strong>mensioni delle cariossi<strong>di</strong>. In considerazione<br />

del fatto che le cariossi<strong>di</strong> potrebbero essere contaminate da agenti patogeni, la semente<br />

va conciata con prodotti anticrittogamici (sl. 4/57).<br />

Nelle con<strong>di</strong>zioni italiane, l’epoca <strong>di</strong> semina normale è quella autunnale, a partire<br />

dalla seconda decade <strong>di</strong> ottobre nell’Italia settentrionale, fino alla fine <strong>di</strong> novembre<br />

nell’Italia meri<strong>di</strong>onale. Oltre che con l’aumentare della latitu<strong>di</strong>ne, la semina viene<br />

anticipata anche con l’aumentare dell’altitu<strong>di</strong>ne. Nei climi più fred<strong>di</strong> <strong>di</strong> quello italiano,<br />

la semina primaverile predomina su quella autunnale o la sostituisce completamente:<br />

nella semina primaverile è in<strong>di</strong>spensabile impiegare varietà alternative che spigano e<br />

fioriscono anche in assenza <strong>di</strong> vernalizzazione (sl. 4/59-61).<br />

La quantità <strong>di</strong> seme da impiegare per unità <strong>di</strong> superficie <strong>di</strong>pende dalla densità <strong>di</strong><br />

piante e <strong>di</strong> spighe che si vuole ottenere, dalle con<strong>di</strong>zioni climatiche attese, dal peso<br />

me<strong>di</strong>o delle cariossi<strong>di</strong>, dall’epoca <strong>di</strong> semina e dai fattori che determinano la<br />

germinabilità in campo (es. la preparazione del letto <strong>di</strong> semina). Il frumento è pianta a<br />

‘fittezza elastica’, nel senso che con l’accestimento può compensare ampie <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong><br />

fittezza iniziale. Ciò è utile perché, in caso <strong>di</strong> semine mal riuscite che hanno prodotto<br />

nascite molto scarse, grazie ad un accestimento molto spinto si può avere un’accettabile<br />

densità <strong>di</strong> culmi fertili. In con<strong>di</strong>zioni normali si ritiene però conveniente realizzare<br />

fittezze iniziali piuttosto alte per limitare l’accestimento (evitando maturazioni troppo<br />

scalari). Un obiettivo sensato è quello <strong>di</strong> ottenere 300 piante per m 2 le quali, con un<br />

moderato accestimento, formeranno circa 500-600 spighe per m 2 . In con<strong>di</strong>zioni me<strong>di</strong>e<br />

(buon valore reale della semente, buona preparazione del terreno e tempestiva epoca <strong>di</strong><br />

semina) si può considerare che per avere 300 piante nate a m 2 siano necessarie 400-450<br />

cariossi<strong>di</strong> a m 2 pari a circa 180-200 kg/ha <strong>di</strong> semi aventi un peso me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 40 mg (sl.<br />

4/64). Con semine ritardate rispetto a semine autunnali tempestive, la quantità <strong>di</strong> seme<br />

va aumentata in<strong>di</strong>cativamente <strong>di</strong> 1 kg per ettaro per ogni giorno <strong>di</strong> ritardo. Nel caso <strong>di</strong><br />

semine <strong>di</strong> fine inverno non si può far conto sull’accestimento, per cui le quantità <strong>di</strong><br />

seme vanno fortemente aumentate, fino anche a 300 kg ad ettaro.<br />

La semina ormai universalmente adottata è quella a file con seminatrice, con file<br />

in genere <strong>di</strong>stanti 12-15 cm l’una dall’altra. La profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> semina non dovrebbe<br />

eccedere i 2-3 cm: solo in caso <strong>di</strong> semina su terreni sciolti e molto asciutti è opportuno<br />

seminare un po’ più in profon<strong>di</strong>tà, considerando comunque che una semina troppo<br />

profonda causa dei danni alla plantula in emergenza (sl. 4/68). Nei terreni soffici e<br />

asciutti, una leggera rullatura fa aderire meglio il terreno alle cariossi<strong>di</strong>, facilitando<br />

l’assorbimento dell’acqua e la germinazione.<br />

In passato era <strong>di</strong>ffusa la consociazione (coltura contemporanea <strong>di</strong> due o più<br />

specie sulla stessa unità colturale) del frumento con altre specie (segale, lenticchie, etc.).<br />

Oggi va riprendendo interesse nell’agricoltura biologica la consociazione temporanea<br />

del frumento con specie prative (erba me<strong>di</strong>ca, trifogli, etc.) me<strong>di</strong>ante la trasemina della<br />

foraggera nel frumento con la tecnica detta bulatura.<br />

Concimazione<br />

Scopo della concimazione è fornire al terreno gli elementi nutritivi necessari alle piante<br />

per accrescersi e realizzare la loro produzione. La quantità <strong>di</strong> elementi nutritivi<br />

necessari alla pianta varia in funzione <strong>di</strong> fattori genetici e <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni ambientali.<br />

L’azoto stimola l’assorbimento <strong>degli</strong> altri elementi, la moltiplicazione cellulare,<br />

la crescita, l’accestimento, la fertilità della spiga e lo sviluppo delle cariossi<strong>di</strong>, oltre a<br />

migliorare la qualità (sl. 5/10). Il fosforo equilibra il rapporto tra sviluppo epigeo ed<br />

ipogeo, fortifica i culmi, migliora la qualità del glutine, ed è tra i costituenti delle<br />

nucleoproteine che hanno un ruolo importante nella riproduzione delle cellule. Il<br />

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potassio stimola la produzione dei fotosintetati, aumenta la resistenza al freddo,<br />

all’allettamento e alle malattie, e migliora le caratteristiche del seme.<br />

L’azoto si trova nel terreno in forma nitrica prontamente assimilabile (forza<br />

vecchia) e in forma ammoniacale e organica non prontamente utilizzabili, che per essere<br />

sfruttate devono subire trasformazioni microbiologiche (nitrificazione e<br />

mineralizzazione). In inverno c’è sempre insufficienza <strong>di</strong> azoto nitrico rispetto al<br />

fabbisogno, per l’arresto della nitrificazione a causa delle temperature troppo basse. In<br />

primavera si riscontra quasi sempre insufficienza <strong>di</strong> azoto all’inizio della levata, poiché<br />

il risveglio vegetativo del frumento precede il risveglio dell’attività microbica del<br />

terreno, che è più lento a riscaldarsi dell’aria. Fosforo e potassio sono fissati dal potere<br />

assorbente del terreno e tenuti con continuità a <strong>di</strong>sposizione delle piante. Per questi<br />

elementi si tratterà <strong>di</strong> fare una congrua concimazione <strong>di</strong> fondo per integrare le riserve<br />

del terreno.<br />

La concimazione azotata è un elemento chiave nella coltura del frumento per<br />

aumentarne la produttività (sl. 5/9). Non esiste una forma <strong>di</strong> concimazione adatta a tutte<br />

le situazioni, poiché i principi da seguire per stabilire dosi e mo<strong>di</strong> della concimazione<br />

azotata <strong>di</strong>pendono da <strong>di</strong>versi fattori: caratteristiche varietali; con<strong>di</strong>zioni climatiche e<br />

<strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> acqua; obiettivo produttivo e qualitativo; quantità <strong>di</strong> N presente nel<br />

terreno; intensità <strong>di</strong> mineralizzazione della sostanza organica; costo del concime; aspetti<br />

ambientali. Dati sperimentali italiani in<strong>di</strong>cano in 80-250 kg/ha gli estremi possibili <strong>di</strong><br />

dose per la concimazione azotata, con il valore minimo riferito a con<strong>di</strong>zioni molto<br />

siccitose, ed il massimo a <strong>coltivazioni</strong> in monosuccessione. Generalmente, le dosi<br />

consigliate per le varietà più moderne e produttive vanno da 120 a 220 kg/ha <strong>di</strong> N,<br />

variabili in funzione della fertilità residua della precessione colturale. Un eccesso <strong>di</strong><br />

azoto potrebbe causare una serie <strong>di</strong> effetti negativi sulla coltura: allettamento;<br />

suscettibilità alle malattie fogliari; maggiori esigenze idriche della pianta; allungamento<br />

<strong>di</strong> alcune fasi del ciclo. La concimazione azotata va frazionata in modo da assicurare la<br />

<strong>di</strong>sponibilità dell’elemento al momento della richiesta della pianta. Il deficit fra l’azoto<br />

fornito dal suolo e i bisogni della pianta <strong>di</strong>venta fortissimo a partire dall’inizio della fase<br />

<strong>di</strong> levata (sl. 5/17). Sono raccomandati tre interventi <strong>di</strong> apporto dell’azoto, ed un quarto<br />

è da valutare (sl. 5/18). Il primo apporto (30% circa della quantità totale da <strong>di</strong>stribuire)<br />

interrato alla semina (eseguita con concimi non facilmente <strong>di</strong>lavabili) o entro lo sta<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> terza foglia; il secondo apporto (50% circa), fondamentale, poco prima del viraggio;<br />

il terzo apporto (20% circa) durante la levata all’uscita dell’ultima foglia. Una<br />

concimazione azotata tar<strong>di</strong>va (sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> botticella-inizio spigatura) con concimi fogliari<br />

a base <strong>di</strong> urea può migliorare la qualità del glutine.<br />

Controllo delle infestanti<br />

Le erbe infestanti sono le specie <strong>erbacee</strong> che crescono in mezzo alla coltura, provocando<br />

una più o meno elevata <strong>di</strong>minuzione dei livelli quantitativi e qualitativi della produzione<br />

(sl. 5/27-35). I danni possono essere dovuti a fenomeni <strong>di</strong> parassitismo, <strong>di</strong> competizione<br />

(spaziale o per luce, acqua o elementi nutritivi), <strong>di</strong> allelopatia, <strong>di</strong> avvelenamento dei<br />

prodotti, <strong>di</strong> deprezzamento dei prodotti o <strong>di</strong> intralcio nelle lavorazioni. Le specie<br />

infestanti possono essere a ciclo annuale, biennale o poliennale: queste ultime sono<br />

<strong>di</strong>fficili da controllare poiché mantengono sempre un apparato ra<strong>di</strong>cale vivace. I meto<strong>di</strong><br />

per il controllo delle infestanti possono essere in<strong>di</strong>retti (o preventivi: impe<strong>di</strong>mento della<br />

<strong>di</strong>sseminazione dei semi delle infestanti), agronomici, meccanici o chimici (<strong>di</strong>serbo). I<br />

meto<strong>di</strong> agronomici includono la riduzione della <strong>di</strong>stanza tra le file, la preparazione<br />

anticipata del letto <strong>di</strong> semina (falsa semina), la localizzazione delle concimazioni sulla<br />

fila della coltura. Tutte le pratiche che favoriscono il rapido sviluppo della coltura<br />

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(veloce emergenza, rapido sviluppo precoce, rapida chiusura dell’interfila) vanno a<br />

scapito delle infestanti. L’avvicendamento colturale determina un controllo delle<br />

infestanti, poiché in un regime <strong>di</strong> colture avvicendate la flora rimane in equilibrio e non<br />

si manifestano fenomeni <strong>di</strong> resistenza o <strong>di</strong> prevalenza delle specie più <strong>di</strong>fficili da<br />

controllare (flora <strong>di</strong> sostituzione) (sl. 5/41-42). Le lavorazioni profonde del terreno<br />

hanno un effetto positivo sul controllo delle infestanti, mentre la non lavorazione o la<br />

lavorazione minima hanno effetti minimi o, ad<strong>di</strong>rittura, nulli sulle infestanti.<br />

Gli erbici<strong>di</strong>, o <strong>di</strong>serbanti chimici, sono principi attivi che causano la morte o il<br />

danneggiamento <strong>di</strong> alcune (<strong>di</strong>serbi selettivi) o <strong>di</strong> tutte (<strong>di</strong>serbi totali) le specie vegetali<br />

con cui vengono a contatto. Il <strong>di</strong>serbo esercita sempre una forte pressione <strong>di</strong> selezione<br />

sulle specie infestanti, determinando l’insorgere <strong>di</strong> fenomeni <strong>di</strong> resistenza; per questo<br />

conviene sempre, ove possibile, miscelare <strong>di</strong>versi principi attivi e ruotarli nello spazio e<br />

nel tempo. Un buon erbicida deve possedere un’elevata efficacia in relazione al suo<br />

costo ad ettaro, deve avere il minimo impatto ambientale, deve essere flessibile<br />

nell’utilizzo, deve essere miscibile con altri composti, non deve essere dannoso per la<br />

salute <strong>di</strong> operatori e consumatori e non deve lasciare residui sulla coltura. Esistono<br />

erbici<strong>di</strong> fogliari (assorbiti attraverso le foglie e le parti ver<strong>di</strong>), residuali (assorbiti<br />

attraverso le ra<strong>di</strong>ci, l’ipocotile o il coleoptile) o fogliare e residuali (es. le sulfoniluree).<br />

L’erbicida penetra nella pianta, viene trasferito dal punto <strong>di</strong> penetrazione al sito<br />

d’azione e, lì giunto, interferisce su meccanismi biochimici e su funzioni fisiologiche<br />

della pianta (azione primaria, alterando uno specifico processo metabolico; azione<br />

secondaria, alterando le funzioni correlate e interagenti con quel processo). I processi<br />

metabolici alterati dagli erbici<strong>di</strong> possono essere molteplici: fotosintesi (es. le triazine),<br />

respirazione (es. gli arilossifenossipropionati e i cicloesenoni), crescita (es. gli aci<strong>di</strong> <strong>di</strong>-<br />

e triclorofenossiacetici [ormonici] o i cloroacetanili<strong>di</strong>), biosintesi <strong>di</strong> amminoaci<strong>di</strong> (es. i<br />

fosforganici [glifosate e glufosinate], le sulfoniluree o gli imidazolinoni), biosintesi <strong>di</strong><br />

carotenoi<strong>di</strong> (es. <strong>di</strong>flufenican), biosintesi <strong>di</strong> lipi<strong>di</strong> (es. i bipiri<strong>di</strong>lici). Gli erbici<strong>di</strong> più<br />

importanti <strong>degli</strong> ultimi anni appartengono a <strong>di</strong>verse ‘famiglie’, ma sono tutti<br />

caratterizzati da dosaggi molto contenuti, ampio spettro d’azione per <strong>di</strong>cotiledoni e<br />

graminacee, ampia possibilità <strong>di</strong> miscelazione, attività prevalente in post-emergenza e<br />

ampio periodo d’impiego, offrendo la possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>serbare il frumento con un solo<br />

intervento in post-emergenza (sl. 5/54). La tecnica del <strong>di</strong>serbo post-emergenza<br />

determina una serie <strong>di</strong> vantaggi rispetto al <strong>di</strong>serbo in pre-emergenza, quali la possibilità<br />

della scelta dell’erbicida e del momento <strong>di</strong> intervento, un minore impatto ambientale, la<br />

possibilità <strong>di</strong> controllo <strong>di</strong> infestanti <strong>di</strong>fficili, la maggiore affidabilità nei sistemi con<br />

lavorazioni ridotte o semine su sodo.<br />

<strong>Di</strong>fesa<br />

Il frumento può essere interessato da avversità abiotiche (meteorologiche: ristagno<br />

idrico, allettamento, temperature estreme, gran<strong>di</strong>ne [sl. 6/3-4]; fisiologiche: carenze<br />

nutrizionali, inquinamento <strong>di</strong> suolo e aria, salinità, <strong>di</strong>serbanti) e biotiche (parassiti<br />

vegetali, animali e virus [sl. 6/60]).<br />

Le malattie fungine costituiscono un importante fattore limitante per la<br />

produzione cerealicola, sia sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo (merceologico e<br />

sanitario). L’intensità <strong>di</strong> una malattia è influenzata dall’interazione tra i principali fattori<br />

coinvolti, ovvero il patogeno, l’ospite e l’ambiente (sl. 6/9). Le malattie fungine<br />

possono colpire il ‘piede’ (la base del culmo), le foglie, le spighe o le cariossi<strong>di</strong> (sl.<br />

6/12).<br />

Le spore dei patogeni responsabili delle malattie del piede sono conservate e<br />

<strong>di</strong>sseminate dai residui colturali (sl. 6/13). La rotazione colturale è un efficace mezzo <strong>di</strong><br />

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controllo, soprattutto se associata alla concia delle sementi. Vari fattori possono favorire<br />

l’insorgere delle malattie del piede: una semina troppo anticipata; alcuni precedenti<br />

colturali e, soprattutto, il ringrano; una cattiva preparazione del letto <strong>di</strong> semina; una<br />

elevata densità <strong>di</strong> semina con varietà suscettibili; il clima invernale mite ed umido; una<br />

eccessiva concimazione azotata durante l’accestimento. Tra le malattie del piede, sono<br />

<strong>di</strong>ffuse le fusariosi (Fusarium culmorum, F. graminearum, Microdochium nivale [sl.<br />

6/15]), ma anche altri funghi (es. Gaeumannomyces graminis, Ophiobolus graminis,<br />

Cercosporella herpotricoides, Rhizoctonia cerealis [sl. 6/16-18]) possono essere<br />

responsabili della patologia. Il mal del piede causa l’allettamento della pianta, per i<br />

danni alla base del culmo, e la cattiva utilizzazione della fertilizzazione azotata, per la<br />

<strong>di</strong>struzione dei fasci conduttori. Contro il mal del piede non esistono trattamenti curativi<br />

efficaci o varietà resistenti e la malattia deve essere prevenuta con la concia delle<br />

sementi (es. con protioconazolo, da solo o in miscela con tebuconazolo e fluoxastrobin)<br />

e con mezzi agronomici che riducono le cause pre<strong>di</strong>sponenti: interramento della paglia<br />

del cereale precedente; sistemazione dei terreni che assicuri un adeguato sgrondo delle<br />

acque; avvicendamento con colture <strong>di</strong>verse dai cereali; semine ritardate nei terreni a<br />

rischio.<br />

Le malattie delle foglie e della spiga causano danni crescenti man mano che<br />

l’attacco interessa l’ultima foglia e la spiga, poiché è l’attività fotosintetica della foglia<br />

ban<strong>di</strong>era, dell’ultimo internodo e della spiga che maggiormente concorrono al<br />

riempimento della granella. I danni consistono nella riduzione del peso della cariosside,<br />

nella per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> produzione, nella <strong>di</strong>minuzione del contenuto proteico, nella riduzione<br />

dell’attività panificatoria (e pastificatoria nel caso del frumento duro), nella<br />

contaminazione da micotossine della granella e <strong>di</strong> tutti i derivati (nal caso <strong>di</strong> fusariosi)<br />

(sl. 6/20-21). Le principali malattie fogliari e della spiga sono l’oi<strong>di</strong>o (Blumeria<br />

graminis var. tritici = Erysiphe graminis [sl. 6/22]), la ruggine bruna (Puccinia<br />

recon<strong>di</strong>ta [sl. 6/23]), la ruggine gialla (P. striiformis [sl. 6/24]), la septoriosi<br />

(Mycosphaerella graminicola = Septoria tritici, solo sulle foglie; Stagonospora<br />

nodorum = Septoria nodorum, su foglie e spiga [sl. 6/25]), la fusariosi della spiga (F.<br />

graminearum, F. culmorum, F. poae, F. avenaceum, etc. [sl. 6/26-27]).<br />

La fusariosi della spiga si trasmette me<strong>di</strong>ante sementi infette, ma il patogeno<br />

sopravvive nelle stoppie, per cui il ringrano aumenta il rischio <strong>di</strong> infezione (sl. 6/28).<br />

Questa malattia è particolarmente importante non solo per i danni economici che può<br />

causare alla coltura, ma anche perché produce delle micotossine (soprattutto tricoteceni)<br />

con possibili effetti tossici per l’uomo e gli animali (sl. 6/29-30).<br />

La lotta alle malattie dovrebbe prevedere l’integrazione <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> genetici,<br />

agronomici e chimici. I meto<strong>di</strong> genetici consistono nell’impiego <strong>di</strong> varietà meno<br />

suscettibili, ma la <strong>di</strong>fficoltà consiste nel reperire varietà totalmente resistenti ai<br />

patogeni. La scelta <strong>di</strong> varietà tolleranti resta ad esempio il mezzo più efficace per<br />

limitare l’incidenza delle ruggini; per la ruggine bruna e per quella nera un tipo <strong>di</strong><br />

resistenza efficiente si è <strong>di</strong>mostrato la precocità che consente <strong>di</strong> sfuggire agli attacchi. I<br />

mezzi agronomici consistono nell’adozione <strong>di</strong> pratiche che riducono il potenziale <strong>di</strong><br />

inoculo, come il trattamento dei residui e le ampie rotazioni colturali. I meto<strong>di</strong> chimici<br />

prevedono sia l’impiego <strong>di</strong> concianti efficaci per trattare il seme (sl. 6/37, 64), che<br />

trattamenti fungici<strong>di</strong> sulla parte aerea della pianta (sl. 6/38, 66-67). Il momento<br />

dell’applicazione è fondamentale per l’efficacia del trattamento (sl. 6/39-40). Per<br />

esempio, per la fusariosi della spiga il trattamento deve essere eseguito nei 2-4 giorni<br />

precedenti o 1-2 successivi alla fioritura in presenza <strong>di</strong> rischio <strong>di</strong> infezione (pioggia,<br />

nebbie). La concia delle sementi è un irrinunciabile intervento preventivo. Una serie <strong>di</strong><br />

patogeni del frumento (carie, carbone, elmintosporiosi, septoriosi, fusariosi,<br />

Pyrenophora [sl. 6/43, 44, 46]) sono infatti trasmessi attraverso le sementi, poiché le<br />

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spore sono fissate sulla superficie della cariosside o sull’embrione (sl. 6/41).<br />

Quest’ultimo è il caso del carbone, per il cui controllo sono necessari fungici<strong>di</strong> ad<br />

azione sistemica.<br />

Oltre alle malattie fungine, sono presenti anche <strong>di</strong>verse malattie virali, le quali<br />

possono essere sud<strong>di</strong>vise in due gruppi a seconda del tipo <strong>di</strong> vettore: i virus trasmessi da<br />

vettori presenti nel terreno e quelli trasmessi da vettori animali. Tra i primi, i più<br />

importanti sono il mosaico comune (soilborne wheat mosaic, SBWM [sl. 6/55]) e la<br />

striatura fusiforme (wheat spindle streak mosaic, WSSM [sl. 6/56]). Entrambi sono<br />

trasmessi alle ra<strong>di</strong>ci delle piante dal microrganismo plasmo<strong>di</strong>oforide Polymyxa<br />

graminis, nelle cui spore durevoli i virus si localizzano e possono sopravvivere nel<br />

terreno anche per molti anni. Tra i virus trasmessi da vettori animali sono il mosaico<br />

striato del frumento (wheat streak mosaic, WSM [sl. 6/58]) trasmesso da un acaro<br />

(Aceria tosichella) e il nanismo del frumento (BYD [sl. 6/59]) trasmesso da alcuni afi<strong>di</strong><br />

(Rhopalosiphon pa<strong>di</strong>, Schizaphis graminis, Sitobium avenae).<br />

Il frumento può essere attaccato da <strong>di</strong>versi insetti, che possono colpire la pianta<br />

in <strong>di</strong>verse fasi del ciclo, oppure possono infestare le sementi conservate dopo la<br />

raccolta. Tra i primi sono compresi la cimice del grano (Eurygaster maura e Aelia<br />

rostrata [sl. 6/69-72]), la mosca gialla (Opomyza florum), la lema melanopa (Oulema<br />

melanopa), gli afi<strong>di</strong> (Sitobium avenae, S. granarum, Rhopalosiphon pa<strong>di</strong>, etc. [sl.<br />

6/76]), la tignola (Ochsenheimeria bisontella [sl. 6/77]), la cecidomia (Contarinia tritici<br />

[sl. 6/78]) e lo zabro (Zabrus tenebrioides [sl. 6/79]). Tra gli insetti delle derrate si<br />

ricordano il cappuccino (Rhizoperta dominica), il punteruolo o calandra (Sitophilus<br />

granarius), la tignola vera del grano (Sitotroga cerealella), il tribolio (Tribolium<br />

castaneum) e il silvano (Oryzaephilus surinamensis) (sl. 6/81-85).<br />

Miglioramento genetico<br />

Il miglioramento genetico del frumento tenero ha conseguito in Italia risultati non<br />

realizzati da altre colture (eccetto il mais, ma con ibri<strong>di</strong> costituiti altrove). Grazie alla<br />

costituzione <strong>di</strong> ‘razze elette’ prima, e <strong>di</strong> varietà migliorate poi, la resa è aumentata del<br />

70-80% dai primi del ‘900 in poi, con una stima <strong>di</strong> 66 kg/ha · anno (sl. 7/60-61). Fino ad<br />

allora, il frumento coltivato in Italia era rappresentato da razze locali, o ecotipi, frutto<br />

della selezione naturale e della selezione empirica condotta per secoli dagli agricoltori.<br />

Alcuni ecotipi si erano <strong>di</strong>ffusi in vaste aree, grazie alla maggiore resistenza a malattie<br />

(ad esempio, il Rieti e la Cologna <strong>Ve</strong>neta da esso probabilmente derivata, resistenti alle<br />

ruggini) o maggiore produttività (il Gentilrosso). Gli ecotipi erano popolazioni<br />

geneticamente molto eterogenee, poiché formate da un insieme <strong>di</strong> biotipi che si<br />

<strong>di</strong>fferenziavano per numerosi caratteri. <strong>Di</strong> questa variabilità genetica approfittarono i<br />

primi miglioratori genetici per selezionare all’interno delle popolazioni i genotipi <strong>di</strong><br />

maggiore interesse agrario per precocità, produttività, resistenza alle ruggini e<br />

all’allettamento, etc. Me<strong>di</strong>ante la selezione per linea pura vennero così costituite le<br />

prime razze elette (sl. 7/8-9). Nazareno Strampelli intuì ben presto che con la sola<br />

selezione entro ecotipi non era possibile ottenere ulteriori miglioramenti, in quanto, con<br />

questa tecnica, si isolavano e moltiplicavano soltanto in<strong>di</strong>vidui superiori già presenti. Lo<br />

Strampelli adottò perciò su larga scala l’incrocio intervarietale come metodo <strong>di</strong><br />

miglioramento genetico per incrociare varietà <strong>di</strong>verse, portatrici <strong>di</strong> caratteri utili, al fine<br />

<strong>di</strong> poter reperire nelle generazioni segreganti in<strong>di</strong>vidui che presentassero riuniti i<br />

caratteri favorevoli presenti separatamente nei genitori (sl. 7/12, 56-58, 59, 62). I fattori<br />

<strong>di</strong> successo nell’ibridazione seguita da selezione nelle generazioni segreganti sono<br />

molteplici: scelta dei parentali; schemi e proce<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> selezione adottati; possibilità<br />

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<strong>di</strong> valutare e selezionare rapidamente, fin dalle prime generazioni, un numero elevato <strong>di</strong><br />

genotipi; capacità del miglioratore genetico.<br />

I meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> miglioramento genetico sono quelli tipici delle specie autogame<br />

(pe<strong>di</strong>gree o genealogico [sl. 7/18]; popolazione riunita o bulk [sl. 7/19]; single seed<br />

descent [sl. 7/20]). Con i primi due meto<strong>di</strong>, più <strong>di</strong>ffusi, dopo aver eseguito l’incrocio e<br />

allevato la generazione F1, si procede: i) allevando le singole progenie segreganti sino al<br />

raggiungimento dell’omozigosi e alla valutazione finale delle linee; oppure ii) allevando<br />

le <strong>di</strong>scendenze <strong>di</strong> ciascun incrocio in massa per alcune generazioni, procedendo poi alla<br />

selezione e valutazione finale delle linee. Nelle fasi iniziali della selezione si presta<br />

particolare attenzione a caratteri facilmente identificabili, quali altezza della pianta,<br />

precocità, suscettibilità a malattie e a fattori ambientali, morfologia della spiga,<br />

caratteristiche della granella. Nelle fasi finali si valutano, sulle poche linee conservate,<br />

la produttività (e stabilità produttiva) e la qualità.<br />

Agli schemi classici <strong>di</strong> selezione possono essere applicate delle varianti, quali<br />

l’impiego <strong>di</strong> agenti mutageni (sl. 7/16), o il metodo del reincrocio (sl. 7/22-23). Un<br />

nuovo, e tutt’ora allo stu<strong>di</strong>o, in<strong>di</strong>rizzo nel miglioramento genetico del frumento è quello<br />

che ha per obiettivo la creazione e l’utilizzazione <strong>di</strong> ibri<strong>di</strong> F1 per lo sfruttamento<br />

dell’eterosi, analogamente a quanto avviene in altre specie, Esistono <strong>di</strong>versi meto<strong>di</strong> per<br />

la produzione <strong>di</strong> seme ibrido in specie autogame: i) un sistema genetico, basato sulla<br />

<strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> linee maschiosterili e <strong>di</strong> linee ristoratrici della fertilità; ii) un sistema<br />

gemetoci<strong>di</strong>co (sl. 7/25); iii) un sistema fisiologico, basato su una fotosensibilità che<br />

rende maschiosterile la pianta. L’elevato costo della semente è ancora il maggiore<br />

ostacolo alla <strong>di</strong>ffusione <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> <strong>di</strong> frumento.<br />

Altre nuove tecniche per il miglioramento genetico del frumento sono la<br />

selezione assistita me<strong>di</strong>ante marcatori molecolari, le colture in vitro (<strong>di</strong> embrioni o <strong>di</strong><br />

antere) e l’ingegneria genetica.<br />

La riduzione della taglia della pianta è stato il principale obiettivo del<br />

miglioramento genetico nella prima metà del ‘900, poiché, determinando una migliore<br />

resistenza all’allettamento, ha permesso <strong>di</strong> avere colture più fitte e con maggiore<br />

apporto <strong>di</strong> concimazione azotata (sl. 7/36). L’abbassamento della taglia non ha<br />

sostanzialmente influito sulla quantità <strong>di</strong> sostanza secca che la coltura riesce a produrre<br />

per unità <strong>di</strong> superficie ma, attraverso una significativa riduzione delle strutture<br />

vegetative (interno<strong>di</strong> raccorciati, foglie più piccole ed erette ma con maggiore attività<br />

fotosintetica), ha indotto una maggiore deposizione <strong>di</strong> sostanza secca nella granella,<br />

determinando un incremento dell’harvest index (rapporto tra massa della granella e<br />

massa totale della parte aerea della pianta).<br />

La fioritura è il singolo carattere con la maggior influenza sull’adattamento <strong>di</strong><br />

una varietà al suo ambiente <strong>di</strong> coltivazione. Il controllo genetico dell’epoca <strong>di</strong> spigatura<br />

appare complesso, ma il carattere è <strong>di</strong> facile determinazione ed altamente ere<strong>di</strong>tabile,<br />

così che in ogni ambiente può essere perseguita un’epoca <strong>di</strong> spigatura ‘ottimale’. Negli<br />

ambienti me<strong>di</strong>terranei la precocità <strong>di</strong> spigatura rappresenta la fondamentale<br />

caratteristica per sfuggire alla siccità tardo-primaverile/estiva che si verifica con<br />

frequenza in tali ambienti. Per questo motivo, la precocità ha rappresentato un costante<br />

criterio <strong>di</strong> selezione per il frumento in Italia, compatibilmente con la necessità <strong>di</strong> evitare<br />

che la spigatura avvenga in un periodo in cui sono ancora possibili delle gelate tar<strong>di</strong>ve.<br />

Attuali obiettivi del miglioramento genetico, oltre ovviamente all’incremento<br />

della resa, sono l’incremento della stabilità produttiva (attraverso una migliore<br />

resistenza alle avversità biotiche ed abiotiche), il miglioramento dell’efficienza <strong>di</strong><br />

utilizzazione dell’azoto, il miglioramento della qualità tecnologica, il miglioramento<br />

della qualità nutrizionale (compresa la riduzione delle intolleranze alimentari), le<br />

possibili nuove utilizzazione non alimentari.<br />

29


L’ideotipo è un modello <strong>di</strong> pianta da cui ci si attende che possa produrre una<br />

maggiore quantità <strong>di</strong> granella o <strong>di</strong> altro prodotto utile quando sviluppato in una cultivar.<br />

L’ideotipo non deve essere in<strong>di</strong>pendente dall’ambiente <strong>di</strong> coltivazione per cui si sta<br />

selezionando ma dovrebbe essere anzi ‘progettato’ in funzione <strong>di</strong> tale ambiente. Tra<br />

varietà e ambiente <strong>di</strong> coltivazione si possono instaurare dei rapporti <strong>di</strong> interazione molto<br />

forti (interazione genotipo × ambiente) che possono con<strong>di</strong>zionare pesantemente le<br />

prestazioni <strong>di</strong> una varietà. La risposta della varietà è con<strong>di</strong>zionata dalle situazioni<br />

pedoclimatiche <strong>di</strong> coltura o dalla gestione agronomica. La selezione per ampio<br />

adattamento (cioè per l’adattamento a <strong>di</strong>verse con<strong>di</strong>zioni pedoclimatiche e<br />

agronomiche) può consentire economie <strong>di</strong> scala nella costituzione varietale e nelle<br />

attività <strong>di</strong> produzione e commercializzazione del seme, e può facilitare la promozione e<br />

raccomandazione delle varietà. Tuttavia, la maggior parte delle varietà appare<br />

caratterizzata da adattamento specifico, cioè da risposte adattative generalmente<br />

circoscritte in termini geografico-ambientali. La selezione per l’adattamento specifico<br />

può permettere <strong>di</strong> massimizzare i guadagni selettivi e favorisce una maggiore<br />

<strong>di</strong>versificazione varietale e, dunque, una maggiore bio<strong>di</strong>versità nel territorio. Il<br />

miglioramento genetico, la raccomandazione varietale e la <strong>di</strong>ffusione commerciale<br />

devono tenere conto del possibile verificarsi <strong>di</strong> interazione tra varietà ed ambiente <strong>di</strong><br />

coltivazione.<br />

La produzione mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> cibo è limitata principalmente dagli stress ambientali.<br />

I principali stress abiotici sono: siccità; estremi <strong>di</strong> temperature; salinità; basso pH del<br />

terreno; deficienze o tossicità <strong>di</strong> elementi minerali; ristagno idrico. La selezione <strong>di</strong><br />

varietà capaci <strong>di</strong> sfuggire o tollerare gli stress è l’innovazione tecnologica più<br />

facilmente trasferibile agli agricoltori anche nelle aree marginali, e capace <strong>di</strong> garantire<br />

la sostenibilità dei sistemi agricoli. La resistenza agli stress abiotici, in quanto parte<br />

essenziale dell’adattamento ambientale, è necessariamente legata all’ambiente dato.<br />

Tale resistenza è generalmente associata ad un adattamento specifico.<br />

Le malattie costituiscono un fattore limitante sia per la produzione che per la<br />

qualità della granella. Per mantenere i danni causati dalle malattie entro livelli<br />

economicamente accettabili e con il minimo impatto ambientale occorre fare ricorso ad<br />

una serie <strong>di</strong> interventi che consentano <strong>di</strong> era<strong>di</strong>care o <strong>di</strong> curare la malattia se presente, o<br />

<strong>di</strong> permettere alla coltura <strong>di</strong> sfuggire o <strong>di</strong> resistere ai patogeni. La costituzione <strong>di</strong> varietà<br />

geneticamente resistenti rappresenta il metodo più efficace, più economico e più<br />

‘ecologico’ <strong>di</strong> controllo delle malattie. I meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> miglioramento per la resistenza alle<br />

malattie non sono <strong>di</strong>ssimili da quelli applicati per il miglioramento per altri caratteri,<br />

benché in questo caso si abbia a che fare con due organismi inter<strong>di</strong>pendenti. Le piante<br />

rispondono all’attacco dei patogeni attivando geni <strong>di</strong> varia natura coinvolti nella <strong>di</strong>fesa<br />

(sl. 7/46). Il primo passo nel miglioramento genetico è quello <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare le fonti <strong>di</strong><br />

resistenza <strong>di</strong>sponibili. Gli ecotipi, i frumenti primitivi e i parentali selvatici hanno<br />

rappresentato un punto <strong>di</strong> riferimento nella resistenza alle malattie, essendo popolazioni<br />

geneticamente <strong>di</strong>namiche, in equilibrio sia con l’ambiente che con i patogeni.<br />

Il miglioramento genetico della qualità è un aspetto fondamentale nella<br />

selezione varietale sia in frumento tenero che in quello duro. Tutti i costituenti chimici<br />

della cariosside influiscono sulle caratteristiche del prodotto finito, ma la maggiore<br />

influenza è comunque dovuta alla componente proteica (sl. 7/49), intesa sia in senso<br />

quantitativo (contenuto proteico) che qualitativo (composizione chimica delle <strong>di</strong>verse<br />

sub-unità proteiche: glia<strong>di</strong>ne e glutenine) (sl. 7/47-48, 50, 52). La selezione per il<br />

contenuto proteico può essere attuata sulla granella già nelle prime fasi <strong>di</strong> selezione<br />

(analisi elettroforetiche) ma può essere anche effettuata in<strong>di</strong>rettamente selezionando per<br />

maggiore biomassa alla fioritura, capacità <strong>di</strong> assimilare azoto dal terreno, o per tutte le<br />

caratteristiche che favoriscono la traslocazione delle riserve verso la granella.<br />

30


Qualità<br />

Intesa in senso globale, la qualità <strong>di</strong> una varietà <strong>di</strong> frumento comprende la qualità<br />

merceologica (caratteristiche fisiche della granella), la qualità tecnologica (quantità,<br />

qualità e caratteristiche delle proteine <strong>di</strong> riserva) e la qualità sanitaria (salubrità dei<br />

prodotti alimentari derivati).<br />

La qualità merceologica è definita da: umi<strong>di</strong>tà della granella; purezza fisica;<br />

peso dei 1000 semi; peso ettolitrico; durezza del seme. Quest’ultima è una caratteristica<br />

varietale che determina la maggiore o minore facilità <strong>di</strong> macinazione e la granulometria<br />

dei prodotti della macinazione.<br />

Ai fini delle qualità tecnologica ha grande importanza la forza della farina,<br />

ovvero la capacità <strong>di</strong> trattenere all’interno <strong>di</strong> un impasto elastico e tenace il gas<br />

carbonico che si forma per effetto della fermentazione <strong>degli</strong> zuccheri semplici che<br />

derivano dall’idrolisi dell’amido. Queste proprietà sono conferite dal complesso<br />

proteico esistente nell’endosperma e che va sotto il nome <strong>di</strong> glutine. Il glutine è una<br />

sostanza colloidale, gommosa, <strong>di</strong> limitato valore nutrizionale ma <strong>di</strong> grande importanza<br />

tecnologica, perché in presenza <strong>di</strong> acqua forma un reticolo elastico all’interno del quale<br />

sono trattenute le bolle <strong>di</strong> anidride carbonica. Affinché il reticolo conferisca la<br />

desiderata porosità al pane, occorre che il glutine sia abbondante e <strong>di</strong> buona qualità, cioè<br />

sia dotato <strong>di</strong> estensibilità, elasticità, tenacità e impermeabilità ai gas. Il glutine è<br />

costituito dall’insieme <strong>di</strong> glia<strong>di</strong>ne e glutenine, che rappresentano le proteine <strong>di</strong> riserva<br />

del seme del frumento (sl. 8/13-16). Tra le glutenine si <strong>di</strong>stinguono proteine a basso<br />

peso molecolare (LMW) e ad alto peso molecolare (HMW) (sl. 8/17). Le glia<strong>di</strong>ne<br />

conferiscono all’impasto estensibilità e viscosità (il reticolo si deforma senza rompersi,<br />

consentendo l’aumento <strong>di</strong> volume della massa); le glutenine conferiscono elasticità e<br />

tenacità (il reticolo mantiene la forma del prodotto durante gli stress meccanici delle<br />

lavorazioni). Nel frumento duro, il glutine trattiene i granuli <strong>di</strong> amido durante la cottura<br />

della pasta, riducendo il fenomeno della collosità. Sono stati identificati <strong>di</strong>versi geni<br />

coinvolti nell’espressione della qualità panificatoria e pastificatoria. In frumento tenero<br />

sono coinvolti geni localizzati sui cromosomi 1A, 1B, 4A, 7B e 5D. A tali loci sono<br />

presenti forme alleliche che controllano la sintesi <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse sub-unità glia<strong>di</strong>niche o<br />

gluteniniche che determinano <strong>di</strong>fferenze nelle proprietà viscoelastiche del glutine.<br />

Una volta determinata la quantità <strong>di</strong> glutine presente (ad esempio me<strong>di</strong>ante il<br />

sistema Glutomatic), la valutazione della qualità può avvalersi <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi meto<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

laboratorio (sl. 8/12):<br />

i) test <strong>di</strong> se<strong>di</strong>mentazione del glutine in acido lattico (Zeleny);<br />

ii) farinografo <strong>di</strong> Brabender (misura la resistenza meccanica offerta dal glutine<br />

all’impasto);<br />

iii) alveografo <strong>di</strong> Chopin (simulando la lievitazione, misura la resistenza<br />

dell’impasto alla rottura).<br />

Il farinografo registra la resistenza che l’impasto oppone ad una sollecitazione<br />

meccanica costante in con<strong>di</strong>zioni operative invariate. Il farinogramma che si ottiene<br />

consente <strong>di</strong> valutare <strong>di</strong>versi in<strong>di</strong>ci: l’assorbimento <strong>di</strong> acqua; il tempo <strong>di</strong> sviluppo<br />

dell’impasto; la stabilità dell’impasto; il grado <strong>di</strong> rammollimento dell’impasto (sl. 8/28).<br />

L’assorbimento <strong>di</strong> acqua rappresenta la percentuale <strong>di</strong> acqua da aggiungere alla farina<br />

affinché l’impasto raggiunga la giusta consistenza, avendo come riferimento la linea<br />

arbitraria pari a 500 Unità Brabender (U.B.) sul farinogramma. Farine <strong>di</strong> qualità buona<br />

od elevata avranno poi una stabilità (espressa in minuti) superiore a 7 o 10 minuti,<br />

31


ispettivamente, e un in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> rammollimento (in U.B.) inferiori a 50 o 30,<br />

rispettivamente.<br />

L’alveografo misura la resistenza che l’impasto oppone alla deformazione<br />

provocata insufflando aria dal basso contro un <strong>di</strong>sco <strong>di</strong> pasta (tenacità, P), e<br />

l’estensibilità (L) della bolla <strong>di</strong> pasta che si forma sotto la pressione dell’aria, sino alla<br />

rottura della bolla stessa. L’area W che si determina nel <strong>di</strong>agramma dell’alveografo<br />

(alveogramma) per effetto della tenacità (P) ed estensibilità (L) dell’impasto permette la<br />

classificazione della forza del glutine (sl. 8/33-36). Valori <strong>di</strong> W superiori a 250 in<strong>di</strong>cano<br />

frumenti <strong>di</strong> forza destinati alla produzione <strong>di</strong> pane e prodotti da forno con lunga<br />

lievitazione (sl. 8/37-39).<br />

L’amido è il maggiore costituente della cariosside <strong>di</strong> frumento. Chimicamente è<br />

costituito da due polimeri del glucosio: l’amilosio (non ramificato) e l’amilopectina<br />

(ramificata) (sl. 8/43). Il rapporto amilosio/amilopectina e il tipo <strong>di</strong> granulo influenzano<br />

le caratteristiche qualitative.<br />

Il falling number o in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> caduta (FN) misura (in secon<strong>di</strong>) il potere <strong>di</strong>astasico,<br />

ovvero la quantità <strong>di</strong> amilasi presente nella farina (più è basso il FN più elevata è la<br />

quantità <strong>di</strong> amilasi, e viceversa). Se eccessiva, l’attività amilasica può pregiu<strong>di</strong>care la<br />

panificazione, in quanto determinerà la formazione <strong>di</strong> un impasto molle e appiccicoso.<br />

Un’elevata attività amilasica è in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> farine derivate da frumento pregerminato in<br />

campo, in cui, per effetto <strong>di</strong> un’eccessiva umi<strong>di</strong>tà, le cariossi<strong>di</strong> hanno già avviato i<br />

processi che portano alla germinazione dell’embrione (sl. 8/45). Valori normali <strong>di</strong><br />

attività amilasica all’analisi <strong>di</strong> laboratorio sono compresi tra 220 e 280 secon<strong>di</strong> (sl. 8/46-<br />

47).<br />

La destinazione d’uso dei frumenti viene definita sulla base dell’In<strong>di</strong>ce Sintetico<br />

<strong>di</strong> Qualità (ISQ) che prende in considerazione il contenuto proteico, il Falling Number, i<br />

risultati dell’alveogramma e del farinogramma, ed il test <strong>di</strong> panificazione. In funzione<br />

della destinazione d’uso così determinata, in ambito interprofessionale è stata definita la<br />

seguente classificazione delle varietà <strong>di</strong> frumento tenero: Frumenti <strong>di</strong> Forza (FF);<br />

Frumenti Panificabili Superiori (FPS); Frumenti Panificabili (FP); Frumenti da Biscotti<br />

(FB); Frumenti per Altri Usi (FAU) (sl. 8/50-52).<br />

Il frumento duro è comunemente impiegato per la pastificazione ma può essere<br />

utilizzato anche per la panificazione (sl. 8/53). Il processo <strong>di</strong> pastificazione comprende<br />

varie fasi <strong>di</strong> impasto e formazione del prodotto e una fase <strong>di</strong> essiccazione, la quale<br />

riveste particolare rilevanza nel determinare le caratteristiche qualitative della pasta.<br />

Molti dei requisiti qualitativi e <strong>degli</strong> strumenti impiegati nella valutazione della qualità<br />

del frumento tenero si applicano anche al frumento duro, mentre alcuni parametri<br />

qualitativi, quali l’in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> giallo (contenuto <strong>di</strong> pigmenti carotenoi<strong>di</strong>) e la prova <strong>di</strong><br />

cottura della pasta, si applicano solo al frumento duro (sl. 8/62). Con le tecniche <strong>di</strong><br />

essiccazione a bassa temperatura (< 60 °C per 24-36 ore) la qualità proteica<br />

(composizione glia<strong>di</strong>nica e gluteninica) riveste un’importanza chiave nel determinare la<br />

buona qualità della pasta; con l’essiccazione ad alte temperature (> 80 °C per 4-7 ore;<br />

mai oltre 100 °C) è la quantità proteica ad avere un ruolo preponderante per la qualità<br />

della pasta. I valori del contenuto proteico, <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>ci alveografici W e P/L e<br />

dell’in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> glutine determinano l’attribuzione delle partite <strong>di</strong> frumento duro alle varie<br />

classi <strong>di</strong> qualità sulla base dei requisiti tecnologici (sl. 8/63).<br />

La qualità igienico-sanitaria comporta l’assenza <strong>di</strong> residui <strong>di</strong> fitofarmaci, <strong>di</strong><br />

metalli pesanti (es. cadmio, cromo, piombo) e <strong>di</strong> micotossine.<br />

Le micotossine sono prodotti del metabolismo <strong>di</strong> alcuni funghi dei generi<br />

Aspergillus, Penicillum e Fusarium. Le micotossine causano intossicazioni alimentari e<br />

32


affezioni acute e croniche agli animali (compreso l’uomo) che si nutrono <strong>di</strong> alimenti<br />

contaminati. Le principali micotossine presenti nei cereali sono le aflatossine,<br />

l’ocratossina A, il deossinivalenolo (DON), le tossine T-2 e HT-2, lo zearalenone e le<br />

fumosine (sl. 8/66). Varie organizzazioni internazionali sono impegnate nella<br />

valutazione del rischio per la salute umana ed animale derivante dall’esposizione alle<br />

micotossine, e per ogni tipo <strong>di</strong> micotossina sono stati definiti dei valori massimi<br />

ammissibili nei prodotti alimentari (sl. 8/67-73). I funghi del genere Fusarium sono<br />

particolarmente coinvolti nella contaminazione del frumento con <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong><br />

micotossine: DON, T-2, HT-2, zearalenone e fumosine B1 e B2. I fattori che<br />

determinano la formazione delle micotossine in frumento possono essere molteplici. In<br />

particolare, sono tutti i fattori che favoriscono l’infezione della coltura da parte del<br />

patogeno (suscettibilità varietale, stress biotici ed abiotici, andamento climatico).<br />

Inoltre, la raccolta della granella (granella troppo umida, danni meccanici alla granella<br />

stessa), la conservazione della granella (umi<strong>di</strong>tà eccessiva, miscelazione con partite<br />

umide o infette, sbalzi termici, infestazioni), o le preparazioni alimentari<br />

(contaminazioni <strong>di</strong> magazzino, impiego <strong>di</strong> ingre<strong>di</strong>enti contaminati, umi<strong>di</strong>tà del prodotto<br />

finito, scarsa sterilità del prodotto finito) possono contribuire all’instaurarsi <strong>di</strong> infezioni.<br />

FRUMENTO DURO<br />

Frumento tetraploide (2n=4x=28) ad endosperma vitreo, molto proteico, probabilmente<br />

selezionato in climi caldo-ari<strong>di</strong>. È la più importante specie <strong>di</strong> frumento in Italia per<br />

superficie coltivata, con oltre 1 M ha. La gran parte della produzione, a cui si<br />

aggiungono forti quote <strong>di</strong> importazione, è destinata alla preparazione <strong>di</strong> pasta (oltre 0.9<br />

M t) (sl. 3/16). La legge n. 580 del 4.7.1967 ha infatti proibito in Italia l’impiego <strong>di</strong><br />

frumento tenero nella fabbricazione <strong>di</strong> pasta.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista morfologico, le principali <strong>di</strong>fferenze del frumento duro<br />

rispetto al tenero sono le glume completamente carenate, le spighette praticamente<br />

sempre aristate, le reste lunghe, poco <strong>di</strong>vergenti, spesso pigmentate, il culmo pieno, e le<br />

cariossi<strong>di</strong> allungate, più o meno appuntite, <strong>di</strong> aspetto ambraceo e a frattura vitrea.<br />

Il clima più adatto al frumento duro è quello caldo-arido, soprattutto nella fase <strong>di</strong><br />

maturazione, la quale, per assicurare la migliore qualità, dovrebbe avvenire in assenza<br />

<strong>di</strong> precipitazioni. Per questo, il suo areale <strong>di</strong> coltivazione è limitato quasi<br />

esclusivamente al bacino del Me<strong>di</strong>terraneo e all’Asia minore, anche se esistono<br />

importanti zone <strong>di</strong> coltivazione nelle regioni steppiche <strong>di</strong> Russia, USA o Canada, dove<br />

però il ciclo ha svolgimento primaverile-estivo anziché autunno-primaverile. In Italia il<br />

frumento duro è <strong>di</strong>ffuso estesamente nelle regioni meri<strong>di</strong>onali ed insulari, ma negli<br />

ultimi decenni il miglioramento genetico ha selezionato varietà che hanno consentito <strong>di</strong><br />

estendere la coltura anche all’Italia centro-settentrionale (sl. 3/17). Rispetto al frumento<br />

tenero, il duro è comunque generalmente caratterizzato da minore adattabilità e<br />

produttività.<br />

Rispetto al frumento tenero, problemi più specifici che il miglioramento genetico<br />

del duro ha affrontato sono stati la resistenza all’allettamento (aumento dell’elasticità<br />

del culmo, raccorciamento del culmo, <strong>di</strong>minuzione del numero <strong>di</strong> interno<strong>di</strong>, migliore<br />

struttura dell’apparato ra<strong>di</strong>cale) e la resistenza al freddo (resistenza a forti abbassamenti<br />

termici invernali sotto lo zero e alle gelate tar<strong>di</strong>ve primaverili). Dal punto <strong>di</strong> vista<br />

qualitativo, uno specifico aspetto è stata la selezione per la resistenza alla bianconatura<br />

ovvero alla presenza <strong>di</strong> cariossi<strong>di</strong> che, invece <strong>di</strong> avere l’endosperma completamente<br />

vitreo, presentano settori più o meno estesi a consistenza farinosa che deprezzano il<br />

prodotto. Per gli altri aspetti qualitativi relativi al frumento duro, si veda quanto già<br />

esposto precedentemente nel paragrafo sulla qualità del frumento.<br />

33


La tecnica colturale ricalca da vicino quella del frumento tenero. La semina può<br />

essere eseguita con leggero anticipo rispetto a quella del tenero, per favorire<br />

l’accestimento ed anticipare <strong>di</strong> poco la fioritura e maturazione, purché l’anticipo <strong>di</strong><br />

semina non esponga la varietà al rischio <strong>di</strong> gelate durante la fase riproduttiva.<br />

In passato si seminava il frumento duro a densità molto minori a quelle del<br />

tenero. La tendenza o<strong>di</strong>erna è <strong>di</strong> impiegare quantità <strong>di</strong> seme non molto più basse <strong>di</strong><br />

quelle consigliate per il tenero. La densità ottimale dovrebbe essere <strong>di</strong> circa 350-400<br />

cariossi<strong>di</strong> per m 2 .<br />

34


CEREALI MINORI<br />

Comprendono il farro, l’orzo, la segale, il triticale e l’avena. Sono così definiti perché la<br />

loro importanza colturale è inferiore a quella <strong>di</strong> frumento tenero e duro. Le ragioni della<br />

loro minore <strong>di</strong>ffusione sono molteplici: la grande <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> varietà <strong>di</strong> frumento per<br />

tutti gli ambienti colturali, che ne rendono conveniente la coltura; il minore prezzo<br />

spuntato dalla granella rispetto a quello del frumento; le abitu<strong>di</strong>ni alimentari <strong>degli</strong><br />

italiani, che da sempre favoriscono il consumo <strong>di</strong> pane e pasta. Le attuali superfici <strong>di</strong><br />

orzo e avena da granella (253 mila e 106 mila ha, rispettivamente) forse rendono<br />

inappropriato il termine <strong>di</strong> ‘minore’ per queste specie, considerato anche il loro grande<br />

impiego come erbai per l’alimentazione zootecnica.<br />

FARRO<br />

Farro è la denominazione generica attribuita in<strong>di</strong>fferentemente a tre specie <strong>di</strong>verse del<br />

genere Triticum, comunemente chiamate ‘frumenti vestiti’. Da alcuni anni il farro è<br />

<strong>di</strong>ventato oggetto <strong>di</strong> una forte ripresa <strong>di</strong> interesse, per un insieme <strong>di</strong> fattori legati alla<br />

riscoperta <strong>di</strong> cibi tipici e alternativi, a provve<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> politica agraria volti a<br />

<strong>di</strong>versificare gli in<strong>di</strong>rizzi produttivi e al recupero <strong>di</strong> aree marginali e svantaggiate<br />

attraverso forme <strong>di</strong> agricoltura ecocompatibili, e alla accresciuta sensibilità nei riguar<strong>di</strong><br />

della conservazione <strong>di</strong> specie agrarie a rischio <strong>di</strong> estinzione o <strong>di</strong> erosione genetica.<br />

Le tre specie comprese sotto la voce ‘farro’ sono il farro piccolo (T.<br />

monococcum), il farro me<strong>di</strong>o (T. <strong>di</strong>coccum) e il farro grande (T. spelta) (sl. 9/6). Il farro<br />

piccolo o monococco ha culmo sottile e debole, spiga <strong>di</strong>stica, aristata, compressa<br />

lateralmente. Le spighette hanno glume consistenti, che racchiudono una, molto<br />

raramente due, cariossi<strong>di</strong> schiacciate lateralmente, a frattura semivitrea. È il farro <strong>di</strong> più<br />

antica origine e coltivazione. Come il farro piccolo, il farro me<strong>di</strong>o presenta spiga<br />

compatta e generalmente aristata. Le spighette contengono <strong>di</strong> norma due cariossi<strong>di</strong>,<br />

raramente tre. La domesticazione del T. <strong>di</strong>coccum fu molto più rapida <strong>di</strong> quella del farro<br />

piccolo, fatto questo da collegare alla sua superiore produttività dovuta al fatto <strong>di</strong><br />

formare due cariossi<strong>di</strong> per spighetta invece dell’unica cariosside caratteristica del T.<br />

monococcum. Il farro grande presenta spiga lasca, priva <strong>di</strong> reste o munita <strong>di</strong> reste<br />

brevissime. Come nel farro me<strong>di</strong>o, le spighette contengono due cariossi<strong>di</strong>, raramente<br />

tre. È il farro <strong>di</strong> origine più recente (due millenni più tar<strong>di</strong> <strong>di</strong> farro piccolo e me<strong>di</strong>o).<br />

In Italia la coltivazione del farro può contribuire alla valorizzazione <strong>di</strong> ambienti<br />

marginali, attraverso la tipicità e la qualità della materia prima e dei suoi derivati,<br />

ottenuti da <strong>coltivazioni</strong> e da attività <strong>di</strong> trasformazione realizzate in quelle stesse aree. Le<br />

più importanti aree italiane <strong>di</strong> coltivazione sono la Garfagnana e l’area a cavallo tra<br />

l’Umbria ed il Reatino.<br />

Il farro si adatta bene infatti alle zone marginali dove i terreni sono poco adatti<br />

alle moderne varietà <strong>di</strong> frumento e <strong>di</strong> altri cereali a paglia, grazie alla rusticità, alle<br />

modeste esigenze <strong>di</strong> fertilità e alla resistenza al freddo. Possiede inoltre caratteristiche<br />

morfologiche e fisiologiche che ne favoriscono ulteriormente l’adattabilità a quegli<br />

ambienti, quali l’elevato accestimento che, entro certi limiti, può consentire il recupero<br />

<strong>di</strong> una sufficiente fittezza delle colture nei casi <strong>di</strong> semine mal riuscite o <strong>di</strong> <strong>di</strong>radamenti<br />

dovuti a fred<strong>di</strong> invernali; il ciclo tar<strong>di</strong>vo, non compatibile con profili climatici meno<br />

piovosi e più cal<strong>di</strong> <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> collina e montagna durante le fasi finali del processo<br />

produttivo; la cariosside vestita, valida protezione contro avversità biotiche e possibili<br />

alterazioni della granella causate dalla piovosità che <strong>di</strong> norma accompagna la granigione<br />

e la maturazione negli ambienti alto-collinari. La taglia alta del farro potrebbe<br />

determinare, insieme con la tar<strong>di</strong>vità del ciclo e il forte accestimento, una elevata<br />

35


suscettibilità all’allettamento, ma la scarsa fertilità <strong>degli</strong> ambienti marginali permette <strong>di</strong><br />

contenere questo problema.<br />

Il farro piccolo è il meno produttivo ed è anche il tipo più tar<strong>di</strong>vo (10-20 giorni<br />

rispetto alle comuni varietà <strong>di</strong> frumento), e ciò lo rende inadatto agli ambienti<br />

caratterizzati da precoce innalzamento delle temperature e da scarsità <strong>di</strong> precipitazioni.<br />

Il farro piccolo presenta interesse soprattutto sotto l’aspetto qualitativo: le cariossi<strong>di</strong>, a<br />

frattura semi-vitrea, hanno un elevato contenuto <strong>di</strong> proteine e <strong>di</strong> carotenoi<strong>di</strong> (sl. 9/10-<br />

11).<br />

Il farro me<strong>di</strong>o è il più importante e il più <strong>di</strong>ffuso in Italia, tanto da essere spesso<br />

considerato il farro per antonomasia. Più adattabile a con<strong>di</strong>zioni ambientali <strong>di</strong>fficili, è<br />

specie tipica delle aree tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> coltivazione dell’Italia centro-meri<strong>di</strong>onale.<br />

Nell’ambito <strong>di</strong> tali areali, la coltivazione e la riproduzione in loco da lunghissimo tempo<br />

dei medesimi genotipi hanno <strong>di</strong>fferenziato delle popolazioni autoctone (ecotipi)<br />

caratteristiche <strong>degli</strong> areali medesimi. Ogni ecotipo costituisce un elemento <strong>di</strong> tipicità<br />

della produzione del proprio areale <strong>di</strong> coltivazione, con riferimento al quale viene<br />

generalmente denominato. Le particolarità caratterizzanti i tipi dei vari ambienti<br />

riguardano soprattutto l’habitus <strong>di</strong> sviluppo e la produttività. Sono ad habitus <strong>di</strong><br />

sviluppo nettamente autunnale i farri della Garfagnana e del Molise, che <strong>di</strong>mostrano<br />

elevate esigenze <strong>di</strong> freddo. Sono pertanto tipi non alternativi, non adatti alla semina <strong>di</strong><br />

fine inverno. La popolazione umbro-reatina, viceversa, si caratterizza per elevato grado<br />

<strong>di</strong> primaverilità (tipo alternativo) idoneo a semine <strong>di</strong> fine inverno-inizio primavera,<br />

quali <strong>di</strong> norma sono realizzate in certi ambienti (altopiano <strong>di</strong> Leonessa) del suo areale<br />

tipico <strong>di</strong> coltivazione.<br />

Il farro grande (o spelta) possiede potenzialità produttive superiori al farro<br />

me<strong>di</strong>o, che tuttavia possono esprimersi appieno solo in ambienti non troppo sfavorevoli.<br />

In situazioni pedoclimatiche <strong>di</strong>fficili, lo spelta non risulta competitivo col farro me<strong>di</strong>o,<br />

anche in conseguenza del più lungo ciclo <strong>di</strong> sviluppo. <strong>Di</strong>versamente dal farro me<strong>di</strong>o, lo<br />

spelta non è presente in Italia sotto forma <strong>di</strong> popolazioni autoctone, mentre sono<br />

<strong>di</strong>sponibili numerose varietà commerciali, quasi tutte selezionate in paesi centroeuropei.<br />

La tecnica <strong>di</strong> coltivazione è estremamente semplificata ed in certi casi<br />

ru<strong>di</strong>mentale quanto ai mezzi tecnici impiegati e alla modalità della loro applicazione.<br />

Limitatissimo o assente è l’uso <strong>di</strong> prodotti <strong>di</strong> sintesi, in particolare <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>; anche<br />

l’impiego <strong>di</strong> concimi è inesistente o limitato ad apporti molto ridotti <strong>di</strong> fertilizzanti<br />

azotati. Generalmente non sono adottati regolari schemi <strong>di</strong> successione delle colture. La<br />

preparazione del letto <strong>di</strong> semina non è così accurata come quella <strong>degli</strong> altri cereali<br />

vernini. L’attuale tendenza agronomica alla semplificazione delle lavorazioni, con un<br />

minor numero e intensità <strong>degli</strong> interventi, presenta aspetti <strong>di</strong> grande interesse anche nel<br />

caso della coltura del farro, per i vantaggi derivanti dalla riduzione del costo delle<br />

lavorazioni e dal contenimento dell’impatto ambientale (rischi <strong>di</strong> erosione).<br />

La semina è <strong>di</strong> norma autunnale, salvo in ambienti ad altitu<strong>di</strong>ni elevate dove<br />

viene eseguita a fine inverno per evitare i rischi connessi con le temperature molto basse<br />

<strong>di</strong> tale stagione. La semina post-invernale può cadere da fine febbraio ad aprile<br />

inoltrato, a seconda delle con<strong>di</strong>zioni locali. La quantità <strong>di</strong> seme vestito da impiegare è<br />

molto variabile (da un minimo <strong>di</strong> 70 a un massimo <strong>di</strong> 150 kg/ha), per un investimento<br />

non superiore a 150-200 cariossi<strong>di</strong> a metro quadrato. La semina può essere effettuata a<br />

spaglio o con le comuni seminatrici per cereali. Riguardo alla concimazione, <strong>di</strong> solito è<br />

sufficiente la letamazione o la fertilità lasciata da una precessione come una leguminosa<br />

foraggera. Il farro ha infatti ridotte esigenze in fatto <strong>di</strong> elementi nutritivi. Modesti<br />

apporti <strong>di</strong> azoto possono viceversa rendersi utili su terreni <strong>di</strong> fertilità molto scarsa, con<br />

avvicendamenti in cui prevalgono colture sfruttanti o senza apporti <strong>di</strong> letame. È da tener<br />

presente che questi cereali sono molto suscettibili all’allettamento. Essendo coltivati in<br />

36


zone marginali, dove si fa poco uso <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>, <strong>di</strong>fficilmente si fa ricorso a un controllo<br />

chimico delle infestanti. Inoltre questi cereali presentano una rapida crescita iniziale e<br />

un elevato accestimento, risultando quin<strong>di</strong> molto competitivi nei confronti delle<br />

infestanti.<br />

La raccolta è più tar<strong>di</strong>va rispetto a quella del frumento e viene effettuata a partire<br />

da metà luglio e fino a metà agosto, a seconda delle aree e del tipo <strong>di</strong> farro. Durante la<br />

trebbiatura si deve ridurre la velocità <strong>di</strong> avanzamento della macchina e <strong>di</strong> rotazione<br />

dell’aspo per <strong>di</strong>minuire le per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> prodotto dovute alla rottura delle spighe. Le<br />

produzioni sono molto variabili: da 2.8-3.0 t/ha nei terreni <strong>di</strong> pianura a 1.0-1.8 delle<br />

zone <strong>di</strong> montagna e marginali. La granella, <strong>di</strong> elevato valore alimentare, può essere<br />

impiegata nell’alimentazione zootecnica. Oggi viene impiegata quasi esclusivamente<br />

nell’alimentazione umana. Nel caso dello spelta, può essere impiegata anche nella<br />

panificazione. La coltivazione del farro può contribuire alla valorizzazione delle<br />

produzioni in ambienti piuttosto marginali; ad esempio, il Farro della Garfagnana ha<br />

ottenuto il riconoscimento <strong>di</strong> IGP con Regolamento CE 1263/96.<br />

ORZO<br />

L’orzo (Hordeum vulgare) deriva dalla domesticazione della specie selvatica Hordeum<br />

spontaneum (<strong>di</strong>stico e a rachide fragile) ancora oggi presente allo stato naturale nel<br />

vicino oriente.<br />

È il cereale forse <strong>di</strong> più antica coltivazione e il più versatile. Grazie al suo ciclo<br />

biologico breve è coltivato in zone con breve stagione favorevole, fin quasi al circolo<br />

polare artico. La sua tolleranza alla siccità ne consente la coltivazione in zone subdesertiche<br />

(con piovosità <strong>di</strong> poco superiore a 250 mm annui). È inoltre il cereale con la<br />

maggiore tolleranza alla salinità. La sua sensibilità alle crittogame ne limita la<br />

coltivazione solo nelle zone caldo-umide ed infatti è assente dalle fasce tropicali.<br />

Si coltiva per la granella e anche come pianta da foraggio (da erbaio). La<br />

granella trova largo impiego nell’alimentazione del bestiame e nell’industria della birra.<br />

Altri impieghi secondari sono nell’alimentazione umana, per produrre alcol e per<br />

estrarre amido.<br />

Le forme <strong>di</strong> orzo coltivato vengono <strong>di</strong>stinte in base al numero <strong>di</strong> file <strong>di</strong> cariossi<strong>di</strong><br />

della spiga. Se le tre spighette monoflore presenti su ogni nodo del rachide sono fertili si<br />

hanno gli orzi polistici, in cui la spiga appare a 4 (tipo tetrastico) o a 6 file (tipo<br />

esastico); se invece solo la spighetta centrale è fertile mentre le due laterali sono sterili<br />

si hanno gli orzi <strong>di</strong>stici, in cui la spiga appare a 2 file (sl. 9/20-22).<br />

Il culmo è formato da 5-8 interno<strong>di</strong>, con un’altezza variabile da 30 a 150 cm. Le<br />

auricole sono lunghe e tipicamente amplessicauli, mentre la ligula è allungata (sl. 2/23).<br />

Le glumette sono molto sviluppate e aderenti strettamente alla cariosside (seme vestito):<br />

esistono forme a seme nudo, ma sono poco <strong>di</strong>ffuse. La lemma presenta una nervatura<br />

me<strong>di</strong>ana che termina in una robusta resta, mentre la palea è piccola e avvolta dalla<br />

lemma. Le glume sono molto piccole. Il peso dei 1000 semi è 45-55 g per i <strong>di</strong>stici; 35-<br />

45 g per i polistici. Il peso ettolitrico è 65-75 kg per i <strong>di</strong>stici; 60-70 kg per i polistici.<br />

Rispetto al frumento, l’orzo presenta una minore resistenza alle gelate ed una<br />

maggiore suscettibilità all’allettamento. Nel nord Italia si possono seminare varietà<br />

alternative a fine inverno, ma la selezione ha reso <strong>di</strong>sponibili varietà sufficientemente<br />

resistenti al freddo per la semina autunnale. Nel controllo delle infestanti bisogna fare<br />

attenzione al fatto che alcuni principi attivi usati per il frumento possono essere tossici<br />

per l’orzo (sl. 9/31). Per contrastare l’allettamento si fa ricorso a concimazioni azotate<br />

inferiori a quelle del frumento (in genere 80 kg/ha al massimo) e a minori densità <strong>di</strong><br />

semina (circa 350 spighe/m 2 ). Il ciclo colturale più breve <strong>di</strong> quello del frumento può<br />

37


consentire la semina <strong>di</strong> un secondo raccolto (es. mais) dopo la raccolta dell’orzo (sl.<br />

3/90).<br />

Le principali avversità dell’orzo sono:<br />

• Rinchosporium sp., specialmente sui <strong>di</strong>stici (sl. 9/39-40)<br />

• Ruggini (sl. 9/38)<br />

• Oi<strong>di</strong>o<br />

• Virus del nanismo giallo (sl. 9/34-35)<br />

• Helminthosporium gramineum<br />

• Ustilago sp.<br />

• Fusariosi<br />

• Pythium<br />

• Aspergillus<br />

• Pyrenhophora graminea (Drechslera graminea) e Pyrenophora teres (sl. 9/36-<br />

37)<br />

• Afi<strong>di</strong> (sl. 9/33)<br />

• Allettamento<br />

• Pregerminazione (sl. 9/41)<br />

L’orzo può essere coltivato per la granella, raccolta al 13% circa <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà, ma<br />

può essere anche impiegato per la produzione <strong>di</strong> trinciato dell’intera pianta, con raccolta<br />

a maturazione cerosa (umi<strong>di</strong>tà del 65-75%). La granella può essere utilizzata per<br />

l’alimentazione umana, ma è in gran parte destinata all’alimentazione zootecnica (85%<br />

del prodotto commercializzato), soprattutto i tipi polistici. È il concentrato energetico<br />

tipico dei paesi nor<strong>di</strong>ci, al punto che è stato adottato come riferimento per misurare il<br />

contenuto <strong>di</strong> energia metabolizzabile <strong>degli</strong> alimenti zootecnici: 1 Unità Foraggera (U.F.)<br />

= 1650 kcal fornite da 1 kg <strong>di</strong> granella <strong>di</strong> orzo maturo.<br />

Un restante 12% della produzione è destinata alle malterie, soprattutto i tipi<br />

<strong>di</strong>stici. Per gli orzi da birra si preferiscono infatti varietà <strong>di</strong>stiche perché <strong>di</strong> granella <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mensioni più gran<strong>di</strong> e regolari e <strong>di</strong> più alto peso ettolitrico, oltre ad essere più povere<br />

<strong>di</strong> sostanze proteiche. La granella grande ha la capacità <strong>di</strong> germinare più rapidamente<br />

(in 6-7 giorni) ed è quin<strong>di</strong> maggiormente apprezzata nel processo <strong>di</strong> maltazione. Orzi<br />

ricchi in proteina sono meno ricchi in carboidrati e creano gravi <strong>di</strong>fficoltà nella<br />

preparazione e conservazione della birra per intorbidamento dei mosti. Gli orzi <strong>di</strong>stici<br />

sono più adatti alla semina primaverile che a quella autunnale per la scarsa resistenza al<br />

freddo. Si cerca <strong>di</strong> limitarne l’accestimento eccessivo me<strong>di</strong>ante una dose <strong>di</strong> semina<br />

maggiore, e si riducono le concimazioni azotate del 10-15%. La raccolta deve essere<br />

particolarmente accurata per evitare danni alle cariossi<strong>di</strong>: partite <strong>di</strong> seme con più del 5%<br />

<strong>di</strong> cariossi<strong>di</strong> rotte o lesionate non vengono accettate dalle malterie.<br />

Oltre alle caratteristiche della cariosside (peso, <strong>di</strong>mensioni, uniformità) e al<br />

contenuto proteico, caratteristiche importanti per la qualità <strong>di</strong> un orzo da birra sono<br />

anche il contenuto in β-glucani (che costituiscono i tre quarti delle pareti cellulari<br />

dell’endosperma e prevengono l’accesso <strong>degli</strong> enzimi idrolitici all’amido e alle proteine<br />

e, con le proteine, rallentano la filtrazione del mosto), la viscosità che è inversamente<br />

correlata alla sua filtrabilità e dovrebbe attenersi a valori prossimi a 1.50 cP (centipoise)<br />

e comunque inferiori a 1.60 per evitare problemi nella lavorazione della birra, e la resa<br />

38


in estratto che in<strong>di</strong>ca la sostanza estraibile e quin<strong>di</strong> utilizzabile per la fermentazione<br />

alcolica (sl. 9/46). La resa in birra e il grado alcolico <strong>di</strong>pendono da quanto materiale<br />

utile può essere solubilizzato dall’orzo maltato. Un buon malto ha una resa superiore al<br />

77% (sl. 9/49).<br />

Il processo <strong>di</strong> maltazione prevede tre fasi: l’ammollatura, la germinazione e<br />

l’essiccazione (con due sottofasi: la tostatura leggera e la separazione delle cariossi<strong>di</strong> da<br />

piumette e ra<strong>di</strong>chette emerse durante la fase <strong>di</strong> germinazione). La maltazione, me<strong>di</strong>ante<br />

l’avvio della germinazione del seme, attiva gli enzimi amilasici presenti nella<br />

cariosside, consentendo così l’idrolisi dell’amido presente nell’endosperma in zuccheri<br />

semplici che possono essere fermentati ad opera dei lieviti, con produzione <strong>di</strong> alcol<br />

etilico. La produzione <strong>di</strong> birra, che segue la maltazione, si compone <strong>di</strong> quattro fasi: la<br />

miscelazione del malto con acqua, riscaldando fino ad una temperatura che favorisca la<br />

completa conversione in zuccheri dell’amido contenuto nel cereale; la bollitura del<br />

‘mosto <strong>di</strong> malto’ così ottenuto con conseguente concentrazione, seguita dall’aggiunta <strong>di</strong><br />

luppolo; la fermentazione, provocata con aggiunta <strong>di</strong> lieviti al mosto, che causa la<br />

formazione <strong>di</strong> alcol e anidride carbonica, ambedue prodotti dall’opera dei lieviti sugli<br />

zuccheri; l’invecchiamento, in cui le proteine presenti vengono se<strong>di</strong>mentate oppure<br />

<strong>di</strong>gerite dagli enzimi: tale processo può durare dalle 2 alle 24 settimane. Oggi si<br />

preferisce separare dal mosto l’anidride carbonica che si forma durante la fermentazione<br />

per reintrodurla nella birra durante l’imbottigliamento.<br />

SEGALE<br />

La segale (Secale cereale) è un cereale minore ormai coltivato in Italia su poco più <strong>di</strong><br />

4500 ha, soprattutto in Lombar<strong>di</strong>a ed in Piemonte per la produzione <strong>di</strong> granella<br />

(panificazione) o per foraggio. I principali produttori <strong>di</strong> segale nel mondo sono i paesi<br />

del centro-est Europa e la Cina.<br />

È caratterizzata da un culmo alto e flessuoso, da una ligula piccola e dentata e<br />

da auricole corte, mentre la spiga è lunga, con cariossi<strong>di</strong> ben visibili, poco racchiuse da<br />

corte glume. Le spighette sono riunite in file opposte con una spighetta per ciascun<br />

nodo; ogni spighetta porta tre fiori, <strong>di</strong> cui due fertili ed uno sterile. La spighetta<br />

terminale è sterile. La lemma è molto larga e finemente ciliata con resta terminale<br />

pelosa; la palea è sottile, con 2 carene. La cariosside è più sottile <strong>di</strong> quella del<br />

frumento, <strong>di</strong> colore bruno-oliva o verde-oliva, per pigmentazione dell’aleurone e del<br />

pericarpo (sl. 9/50, 52).<br />

Tra i cereali autunno-vernini è l’unica specie allogama, con fecondazione<br />

anemofila: freddo eccessivo e piogge durante la fase <strong>di</strong> fioritura possono causarne la<br />

sterilità.<br />

La semina è autunno-invernale, in un arco temporale molto più ampio <strong>degli</strong> altri<br />

cereali microtermi, a seconda della località e dell’uso a cui si vuole destinare. Le colture<br />

da erbaio vanno sempre seminate presto, a fine estate. L’accestimento è scarso e la dose<br />

<strong>di</strong> semina è <strong>di</strong> circa 130-150 kg/ha nel caso <strong>di</strong> coltura da granella, e <strong>di</strong> circa il 30%<br />

maggiore nel caso <strong>di</strong> coltura da erbaio. È una pianta rustica e poco esigente, e sono<br />

sufficienti circa 40-60 kg/ha <strong>di</strong> azoto. La raccolta è tar<strong>di</strong>va (fine luglio), con umi<strong>di</strong>tà<br />

della granella ancora elevata, da essiccare, anche per evitare il problema della crodatura<br />

(caduta dei semi capaci <strong>di</strong> germinare), che può rendere la segale un’importante<br />

infestante per la coltura successiva. La principale avversità biotica è la segale cornuta<br />

(Claviceps purpurea) (sl. 9/56).<br />

Data la natura allogama della specie, si stanno <strong>di</strong>ffondendo sempre più in coltura<br />

gli ibri<strong>di</strong> F1, che vanno rimpiazzando le popolazioni tra<strong>di</strong>zionali.<br />

39


La segale viene impiegata principalmente per la panificazione (da sola o in<br />

miscela con frumento), per la preparazione <strong>di</strong> bevande alcoliche (whisky o vodka) o<br />

come erbaio per l’alimentazione zootecnica.<br />

TRITICALE<br />

Il triticale (× Triticosecale) è una nuova specie agraria realizzata dall’uomo attraverso<br />

l’incrocio interspecifico tra il frumento (Triticum) e la segale (Secale), seguito dal<br />

raddoppiamento cromosomico me<strong>di</strong>ante colchicina che ha reso possibile l’ottenimento<br />

<strong>di</strong> ibri<strong>di</strong> fertili (sl. 9/63-64). L’obiettivo principale dell’incrocio era quello <strong>di</strong> combinare<br />

le caratteristiche positive del frumento (produttività, precocità, taglia bassa, contenuto<br />

proteico) con quelle della segale (rusticità, resistenza alle malattie fogliari, resistenza al<br />

freddo).<br />

I primi triticali ottenuti erano ottoploi<strong>di</strong> (2n=8x=56) perché derivanti<br />

dall’incrocio del frumento tenero esaploide con la segale <strong>di</strong>ploide. Questi tipi<br />

mostravano però un’elevata instabilità citologica, sterilità, taglia eccessivamente alta e<br />

granella striminzita. Le varietà oggi maggiormente <strong>di</strong>ffuse sono esaploi<strong>di</strong>, ottenute<br />

dall’incrocio tra frumento duro (genoma AABB) e segale (genoma RR). L’embrione<br />

aploide che si ottiene dall’incrocio (n=21, ABR), viene colturato, fino ad ottenere la<br />

plantula che viene sottoposta a trattamento con colchicina, con raddoppio del numero<br />

cromosomico (2n=6x=42, AABBRR).<br />

Nel mondo il triticale è coltivato su circa 3 M ha, principalmente in USA, Russia<br />

e Polonia. In Italia è <strong>di</strong>ffuso su circa 3000 ha, soprattutto in Lombar<strong>di</strong>a e Piemone. È<br />

utilizzato prevalentemente per l’alimentazione zootecnica sotto forma <strong>di</strong> erbai da<br />

trinciare ed insilare, ma anche come granella, utilizzata come ottima fonte <strong>di</strong> calorie,<br />

proteine ed amminoaci<strong>di</strong> per l’alimentazione <strong>di</strong> animali monogastrici. In piccola parte,<br />

all’estero, è impiegato anche nell’industria dei <strong>di</strong>stillati. Le migliori varietà da granella<br />

sono pure idonee per uso foraggero. La produzione <strong>di</strong> biomassa può raggiungere le 10<br />

t/ha <strong>di</strong> sostanza secca, anche se, solitamente, è <strong>di</strong> circa 6.5 t/ha.<br />

Il triticale è a fecondazione prevalentemente autogama. La pianta è alta,<br />

vigorosa, con culmo flessuoso; la capacità <strong>di</strong> accestimento è relativamente bassa. La<br />

spiga è lunga, più slanciata <strong>di</strong> quella del frumento. La fertilità della spighetta è simile a<br />

quella del frumento, con più <strong>di</strong> due fiori fertili; la spighetta terminale è fertile, a<br />

<strong>di</strong>fferenza della segale. Le glume sono evidenti, gran<strong>di</strong>, come nel frumento, ma pelose e<br />

dentellate sulla nervatura; la lemma è simile a quella della segale, dentellata ma in<br />

misura minore, spesso aristata, con lieve peluria. Le reste hanno portamento più o meno<br />

eretto a seconda che il triticale derivi dall’incrocio con frumento duro o frumento<br />

tenero. Le cariossi<strong>di</strong> sono nude, grinzose, con peso ettolitrico non elevato (68-70 kg/hl),<br />

con tendenza a fuoriuscire dalle spighette a maturità. La granella ha un contenuto in<br />

proteina (20%) ed in lisina superiore a quella del frumento e della segale. Presenta<br />

anche un più elevato contenuto <strong>di</strong> P, Fe, Cu, Zn e Mn.<br />

Rispetto al frumento, il triticale mostra una maggiore resistenza al freddo e ai<br />

terreni aci<strong>di</strong>. La resistenza al freddo è inferiore a quella della segale, ma esistono dei tipi<br />

invernali, sensibili al fotoperiodo e tar<strong>di</strong>vi, che hanno una resistenza simile a quella<br />

della segale. I tipi primaverili, insensibili al fotoperiodo e dotati <strong>di</strong> notevole precocità,<br />

sono particolarmente adatti agli ambienti me<strong>di</strong>terranei. Il triticale ha una buona<br />

resistenza alla salinità, ed un’elevata efficienza <strong>di</strong> utilizzazione dell’acqua che lo rende<br />

idoneo anche ad ambienti piuttosto siccitosi. La dose <strong>di</strong> semina, simile a quella del<br />

frumento, è <strong>di</strong> 150-200 kg/ha.Le asportazioni <strong>di</strong> N, P e K sono elevate, ma la risposta<br />

alla concimazione è scarsa. In genere si apportano da 40 a 180 kg/ha <strong>di</strong> N e da 80 a 150<br />

40


kg/ha <strong>di</strong> P2O5. Compete bene con le infestanti e può quin<strong>di</strong> essere adatto anche<br />

all’agricoltura biologica.<br />

AVENA<br />

Si conoscono specie <strong>di</strong> avena <strong>di</strong>ploi<strong>di</strong>, tetraploi<strong>di</strong> ed esaploi<strong>di</strong>. Le forme coltivate<br />

appartengono soprattutto ad A. sativa e A. byzantina, entrambe esaploi<strong>di</strong> (2n=6x=42), e<br />

derivate dal progenitore comune A. sterilis (sl. 9/71). La <strong>di</strong>ffusa specie infestante A.<br />

fatua dovrebbe essere derivata per mutazione dalla A. byzantina. Le due specie<br />

coltivate, entrambe a seme vestito, vengono anche denominate, sulla base del colore<br />

della cariosside, avena bianca ed avena rossa, rispettivamente. La prima copre circa<br />

l’80% della superficie mon<strong>di</strong>ale coltivata, mentre l’altra è <strong>di</strong>ffusa soprattutto nelle<br />

regioni orientali del bacino me<strong>di</strong>terraneo, troppo calde per la coltivazione dell’A. sativa.<br />

Il culmo ha un’altezza variabile da 60 fino a 150 cm; alcune cultivar presentano<br />

peli ai no<strong>di</strong>. Le foglie hanno una ligula molto sviluppata e sono prive <strong>di</strong> auricole.<br />

L’infiorescenza è una pannocchia composta da numerosi assi secondari più o meno<br />

lunghi e sottili, semplici o ramificati, che si <strong>di</strong>partono dallo stesso nodo; gli assi terziari<br />

portano la spighetta. Le spighette sono poliflore (2-5 fiori) e sono presenti da 20 a 120<br />

spighette per pannocchia. Le glume sono larghe, ovali, debolmente carenate e<br />

acuminate. La lemma è aristata o mutica; la palea è bicarenata. La cariosside è<br />

generalmente vestita, ma esistono anche varietà a seme nudo, particolarmente adatte per<br />

l’alimentazione umana.<br />

L’avena è stata per molto tempo il principale cereale per l’allevamento dei<br />

cavalli (la biada). La riduzione <strong>di</strong> tale tipo <strong>di</strong> allevamento ha provocato una drastica<br />

riduzioni delle superfici coltivate. Nel mondo la coltura è <strong>di</strong>ffusa soprattutto nelle aree a<br />

nord del 44° parallelo <strong>di</strong> latitu<strong>di</strong>ne. In quei paesi, l’avena è molto utilizzata<br />

nell’alimentazione umana (come fiocchi o come farina) e nell’industria della<br />

<strong>di</strong>stillazione. La gran parte della produzione mon<strong>di</strong>ale (75%) è destinata<br />

all’alimentazione zootecnica. In Italia l’avena è soprattutto coltivata nelle regioni<br />

meri<strong>di</strong>onali, dove costituisce un importante componente dei miscugli per erbai autunnoprimaverili<br />

in consociazione con una leguminosa. La tendenza in<strong>di</strong>ca un aumento della<br />

coltivazione, soprattutto al sud ma anche nei sistemi biologici.<br />

L’avena mostra un’elevata tolleranza ai ristagni idrici e all’aci<strong>di</strong>tà del terreno,<br />

caratteristiche che ne fanno una specie adatta alle regioni dell’Europa settentrionale (ad<br />

esempio, la Scozia). È sensibile alle gelate, e quin<strong>di</strong> la semina nelle aree fredde (anche<br />

del nord Italia) deve essere eseguita in primavera. Tollera la monosuccessione meglio<br />

del frumento, in quanto anche poco suscettibile al mal del piede, mentre è suscettibile<br />

all’allettamento, e richiede pertanto concimazioni azotate moderate (60-70 kg/ha). Ha<br />

comunque un’elevata efficienza <strong>di</strong> utilizzazione dei nutrienti. Al pari <strong>di</strong> segale e<br />

triticale, sono relativamente pochi i <strong>di</strong>serbanti specificamente raccomandati per l’avena<br />

(sl. 9/81).<br />

In termini <strong>di</strong> avvicendamento e <strong>di</strong> lavorazioni non è una specie esigente, ed offre<br />

ampie possibilità <strong>di</strong> precessione/successione e <strong>di</strong> semplificazione della preparazione del<br />

terreno. La dose <strong>di</strong> semina è <strong>di</strong> 150-200 kg/ha, da aumentare <strong>di</strong> circa il 25% per le<br />

semine <strong>di</strong> erbai da pascolare. La semina può essere sia autunnale che primaverile, con le<br />

limitazioni prima accennate legate alla sua suscettibilità alle gelate.<br />

Il miglioramento genetico della specie è complicato dalla <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> eseguire<br />

<strong>degli</strong> incroci mirati (a causa della conformazione dell’infiorescenza). Oltre agli obiettivi<br />

tra<strong>di</strong>zionali del miglioramento genetico (produttività, precocità, resistenza al freddo per<br />

i tipi a semina autunnale, riduzione della taglia), è <strong>di</strong> particolare rilievo la selezione <strong>di</strong><br />

tipi a seme nudo per l’alimentazione umana, poiché l’avena ha delle ottime<br />

41


caratteristiche qualitative. La specie si caratterizza infatti per un elevato contenuto<br />

proteico e <strong>di</strong> lisina, metionina e triptofano; un buon contenuto in aci<strong>di</strong> grassi con<br />

favorevole rapporto tra polinsaturi e saturi; carboidrati e fibre con elevata <strong>di</strong>geribilità e<br />

ricchi <strong>di</strong> beta-glucani dalle forti proprietà immunostimolanti. Può essere impiegata per<br />

la panificazione e la biscotteria, in miscela con frumento tenero, per la preparazione <strong>di</strong><br />

alimenti per l’infanzia (base per omogeneizzati) e <strong>di</strong> prodotti multicereali, o come<br />

addensante o antiossidante. Ha inoltre numerosi impieghi industriali non alimentari.<br />

42


MAIS<br />

La comparsa del mais nella storia dell’agricoltura europea coincide con la scoperta<br />

dell’America da parte <strong>di</strong> Cristoforo Colombo, il quale, <strong>di</strong> ritorno dal suo primo viaggio,<br />

fece cenno a questa pianta conosciuta all’interno dell’isola oggi conosciuta come Cuba,<br />

in cui veniva chiamata ‘mahiz’. In seguito, questo cereale fu ritrovato anche in<br />

numerose altre località del continente americano, sempre ed ovunque in posizione <strong>di</strong><br />

primo piano tra le produzioni vegetali <strong>di</strong> tutte le gran<strong>di</strong> civiltà pre-colombiane.<br />

L’archeologia ha datato la presenza del mais in America fin dall’epoca preistorica, con<br />

ritrovamenti stimati tra i 2500 e i 5200 anni a.C. In genere si tende ad in<strong>di</strong>care il<br />

Messico come centro <strong>di</strong> origine del mais, ma non è esclusa anche l’ipotesi <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi<br />

centri <strong>di</strong> domesticazione della specie, che giustificherebbero una sua più vasta zona <strong>di</strong><br />

origine, comprendente anche alcune regioni dell’America meri<strong>di</strong>onale.<br />

Dalla sua introduzione in Spagna nel 1493, il mais si <strong>di</strong>ffuse abbastanza<br />

rapidamente in altri paesi europei come curiosità floristica, mentre l’utilizzazione<br />

agricola iniziò dopo la conquista spagnola del Messico (dal 1519) e del Sudamerica (dal<br />

1539), quando si importarono razze più adatte alle con<strong>di</strong>zioni ambientali del vecchio<br />

mondo. La coltura si <strong>di</strong>ffuse nei Balcani e ben presto anche in Italia, ad opera dei<br />

veneziani. Dal <strong>Ve</strong>neto, ove il mais era giunto nel grande emporio <strong>di</strong> <strong>Ve</strong>nezia prima del<br />

1500 ed era stato coltivato a scopo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o da botanici e curiosi e poi per fini<br />

economici nei campi, la coltura penetrò nel Polesine (1554), in Friuli (1580) e nel<br />

Bergamasco (1632). È soprattutto sotto lo stimolo delle carestie (1667-68) che il mais si<br />

<strong>di</strong>ffuse in tutta la Pianura Padana. Sin dall’inizio il mais venne apprezzato per la sua<br />

capacità <strong>di</strong> dare rese areiche superiori a quelle del frumento e perché adatto ai terreni<br />

ricchi <strong>di</strong> sostanza organica, dove il frumento <strong>di</strong> solito allettava. Il prezzo basso della<br />

granella e la sua alta produttività favorirono la sua <strong>di</strong>ffusione nei ceti popolari. Le<br />

innumerevoli situazioni pedoclimatiche e le <strong>di</strong>stinte modalità <strong>di</strong> coltura dettero luogo ad<br />

un complesso imponente <strong>di</strong> varietà locali, le quali sono oggi quasi completamente<br />

scomparse dopo la rapida <strong>di</strong>ffusione delle varietà ibride.<br />

Se oggi il riso è in assoluto il cereale maggiormente impiegato per<br />

l’alimentazione umana al mondo, e se il frumento è il cereale che occupa la superficie<br />

maggiore, il mais è il cereale con la maggiore produzione ponderale totale, attestatasi<br />

negli ultimi anni vicino ai 700 milioni <strong>di</strong> tonnellate, contro circa 600 milioni sia per il<br />

frumento che per il riso. Il mais rappresenta il 22% delle superfici mon<strong>di</strong>ali a cereali ed<br />

il 32% della produzione mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> cereali. Oltre la metà del mais mon<strong>di</strong>ale è prodotta<br />

tra USA (circa 38%) e Cina (circa 20%) (sl. 10/5). La produzione mon<strong>di</strong>ale è destinata<br />

in gran parte all’alimentazione del bestiame (quasi i due terzi) e per meno <strong>di</strong> un quinto<br />

all’alimentazione <strong>di</strong>retta umana (sl. 10/3). Dagli anni ‘70 si è assistito ad un<br />

contemporaneo aumento delle rese (+40% dal 1990) e delle superfici coltivate (+12%)<br />

(sl. 10/4). La <strong>di</strong>fferenza tra i due <strong>di</strong>versi aumenti è principalmente dovuta al progresso<br />

scientifico e tecnologico <strong>di</strong> cui il mais ha beneficiato, molto più intenso rispetto a quello<br />

<strong>di</strong> altre colture.<br />

L’Unione Europea, nel complesso, rappresenta il terzo produttore mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong><br />

mais, ma è strutturalmente deficitaria nel sod<strong>di</strong>sfare i suoi fabbisogni interni. Tra i paesi<br />

dell’Unione, l’Italia si situa al terzo posto per superfici coltivate dopo Romania e<br />

Francia, con oltre 1.2 M ha, <strong>di</strong> cui 926 mila per la produzione <strong>di</strong> granella e 282 mila<br />

destinati alla produzione <strong>di</strong> mais ceroso da insilato. Il 91% del mais è prodotto in<br />

Piemonte, Lombar<strong>di</strong>a, <strong>Ve</strong>neto, Friuli-<strong>Ve</strong>nezia Giulia ed Emilia-Romagna. La coltura<br />

del mais, in queste aree, contribuisce alla produzione del 70% della carne prodotta in<br />

Italia, del 70% <strong>di</strong> latte e del 60% <strong>di</strong> uova. Nelle 15 province in cui si produce il Grana<br />

Padano viene coltivato il 63% del mais da foraggio (insilato).<br />

43


Il mais in Italia è destinato per la gran parte all’alimentazione zootecnica (oltre<br />

l’80%) (sl. 10/21). Tra le altre utilizzazioni, sta crescendo l’impiego per la produzione<br />

energetica (biogas). Gli usi alimentari del mais nel nostro paese, seppur interessando<br />

una piccola quota della produzione, rappresentano una tra<strong>di</strong>zionale destinazione della<br />

coltura e muovono un notevole giro <strong>di</strong> affari (sl. 10/22).<br />

I punti <strong>di</strong> forza del mais in Italia sono costituiti dalla sua alta resa, dal continuo<br />

afflusso <strong>di</strong> innovazione (soprattutto per effetto della ricerca condotta in altri paesi), dalla<br />

forte integrazione con la zootecnia, e dalle molteplici utilizzazioni possibili. A questi si<br />

contrappongono però delle criticità <strong>di</strong> rilievo: gli alti costi <strong>di</strong> produzione, la grande<br />

necessità <strong>di</strong> acqua per l’irrigazione, gli alti fabbisogni <strong>di</strong> concimazioni azotate (ed i<br />

conseguenti problemi ambientali), alcuni importanti problemi tecnici <strong>di</strong> produzione<br />

(parassiti, micotossine, etc.). Opportunità e minacce si profilano all’orizzonte <strong>di</strong> questa<br />

coltura in Italia. Tra le prime, l’ampliamento dell’utilizzazione energetica della<br />

produzione, nuove destinazioni non-food (chimica, farmaceutica, etc.), o le barriere<br />

all’importazione del prodotto GM da altri paesi. Le minacce riguardano invece la<br />

possibile scarsità e le limitazioni nell’uso dell’acqua per l’irrigazione, la siccità<br />

crescente dovuta ai cambiamenti climatici, la concorrenza del prodotto estero, e le<br />

possibili limitazioni nell’apporto azotato per effetto della <strong>di</strong>rettiva nitrati europea.<br />

Botanica<br />

Il mais appartiene alla tribù Andropogoneae e alla sottofamiglia Panicoideae delle<br />

graminacee. Il parente più prossimo del mais è il teosinte (Euchlaena mexicana), che<br />

vive in Messico, Guatemala e Honduras, ha lo stesso numero cromosomico del mais<br />

(2n=2x=20) e con esso si incrocia facilmente in natura, dando delle progenie del tutto<br />

fertili (sl. 10/27). Sebbene considerato il progenitore selvatico del mais, il teosinte<br />

mostra alcune <strong>di</strong>fferenze anatomiche col primo (es. numero <strong>di</strong> ranghi per spiga, forma<br />

del rachide, forma della cariosside, presenza <strong>di</strong> glume, capacità <strong>di</strong> accestimento, etc.)<br />

che hanno sollevato alcune perplessità sulla derivazione <strong>di</strong>retta del mais dal teosinte, a<br />

favore della possibile <strong>di</strong>scendenza <strong>di</strong> entrambe le specie da un comune progenitore.<br />

Il mais è una specie dotata <strong>di</strong> notevole polimorfismo, soprattutto per la forma e<br />

le caratteristiche della cariosside. Sotto quest’ultimo aspetto, il mais coltivato può essere<br />

sud<strong>di</strong>viso in 7 gruppi, in<strong>di</strong>cati in passato anche come sottospecie o varietà botaniche (sl.<br />

10/31-32): Z. mays indentata (mais dentato, dent corn); Z. mays indurata (mais vitreo o<br />

plata, flint corn), Z. mays amylacea (mais da amido, soft corn), Z. mays saccharata<br />

(mais dolce, sweet corn), Z. mays everta (pop corn), Z. mays ceratina (mais ceroso,<br />

waxy corn), Z. mays tunicata (mais vestito, pod corn). Il tipo dentato è <strong>di</strong> gran lunga il<br />

più coltivato nel mondo, seguito dal tipo vitreo, che viene preferito nell’alimentazione<br />

umana ed in avicoltura. Tutti gli altri gruppi hanno un’importanza molto più limitata e<br />

trovano impiego o nell’industria alimentare (mais dolce e pop corn) o nell’industria<br />

agro-alimentare e chimica (mais da amido e mais ceroso), o come piante ornamentali<br />

(mais vestito).<br />

Nel tipo dentato, la cariosside presenta una depressione alla sommità, che si<br />

forma per il rapido essiccamento dell’amido poco compatto presente all’apice della<br />

stessa, mentre l’amido presente ai lati è più compatto e corneo (sl. 10/38-40). Le<br />

cariossi<strong>di</strong> sono gialle o bianche, ma talvolta possono essere colorate. L’impiego<br />

prevalente del tipo dentato è per l’alimentazione zootecnica. Questa forma <strong>di</strong> mais è<br />

ormai la più <strong>di</strong>ffusa perché è la più produttiva, grazie alla gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni della spiga<br />

e all’elevato numero <strong>di</strong> cariossi<strong>di</strong>.<br />

Il tipo vitreo presenta amido compatto all’esterno e più soffice o farinoso solo in<br />

un piccolo nucleo interno. La cariosside è tondeggiante e più piccola <strong>di</strong> quella del tipo<br />

44


dentato (sl. 10/37, 39-40). Moltissimi mais europei <strong>di</strong> antica introduzione appartengono<br />

a questo tipo. Rispetto agli altri tipi manifesta una maggiore conservabilità e<br />

germinabilità.<br />

Il mais ceroso comprende forme sviluppatesi in Cina e caratterizzate dalla<br />

mutazione waxy, la quale induce la formazione <strong>di</strong> sola amilopectina nell’amido, invece<br />

che <strong>di</strong> un miscuglio <strong>di</strong> amilosio e amilopectina. È largamente impiegato per l’industria<br />

dell’amido, ed è coltivato prevalentemente in Asia orientale.<br />

Il mais da amido contiene una percentuale molto più alta <strong>di</strong> amilosio (dal 50<br />

all’80%) rispetto a quello <strong>degli</strong> altri tipi <strong>di</strong> mais in cui l’amido è composto per circa il<br />

22% da amilosio e per il rimanente da amilopectina (con la citata eccezione del mais<br />

ceroso). Anche questo tipo viene impiegato per l’estrazione <strong>di</strong> amido, ed è coltivato<br />

quasi esclusivamente negli ambienti sub-tropicali.<br />

Il mais dolce <strong>di</strong>fferisce dal dentato solo per un gene recessivo, sugary-1, che<br />

previene la conversione <strong>degli</strong> zuccheri solubili in amido. La ritardata conversione dello<br />

zucchero in amido determina l’aspetto rugoso della cariosside <strong>di</strong> questo tipo. Le spighe<br />

vengono raccolte a maturazione latteo-cerosa ed è usato soprattutto come ortaggio,<br />

anche conservato in scatola.<br />

Il pop corn è tra i tipi più primitivi, con piante prolifiche ed accestite, portanti<br />

numerose piccole spighe. Ha cariossi<strong>di</strong> piccole e rostrate, con elevato contenuto <strong>di</strong><br />

amido compatto all’esterno e un piccolo nucleo interno friabile (sl. 10/41). Se riscaldate,<br />

il vapore generato all’interno del seme aumenta <strong>di</strong> volume, esplode e forma la<br />

caratteristica massa bianca.<br />

Morfologia (sl. 10/42)<br />

L’apparato ra<strong>di</strong>cale comprende delle ra<strong>di</strong>ci seminali (normalmente in numero <strong>di</strong><br />

quattro), che generalmente perdono le loro funzioni dopo l’emissione della quinta-sesta<br />

foglia. Alle ra<strong>di</strong>ci embrionali si aggiungono quin<strong>di</strong> delle ra<strong>di</strong>ci avventizie ipogee che si<br />

sviluppano dai primi no<strong>di</strong> del fusto che sono interrati, al <strong>di</strong> sotto del colletto. Queste<br />

ra<strong>di</strong>ci svolgono la principale azione assorbente nella pianta (sl. 10/44). Dopo l’inizio<br />

della levata, la pianta emette delle ra<strong>di</strong>ci avventizie epigee dai primi 2-3 no<strong>di</strong> sopra la<br />

superficie del terreno. Queste ra<strong>di</strong>ci hanno funzioni <strong>di</strong> ancoraggio e anche <strong>di</strong> nutrizione<br />

(sl. 10/43). Dal punto <strong>di</strong> vista anatomico, le ra<strong>di</strong>ci comprendono all’estremità una<br />

struttura in grado <strong>di</strong> penetrare nel terreno senza ledersi, definita cuffia, seguita da una<br />

zona con accentuata <strong>di</strong>visione cellulare, una zona <strong>di</strong> allungamento cellulare, una zona<br />

ricoperta da peli ra<strong>di</strong>cali con funzione <strong>di</strong> assorbimento dell’acqua e dei nutrienti, e una<br />

zona suberizzata non più in grado <strong>di</strong> assorbire.<br />

Il fusto (o culmo o stocco) è alto (altezza me<strong>di</strong>a 2-3 m, variabile da 50 cm a 6-7<br />

m), robusto e formato da no<strong>di</strong> ed interno<strong>di</strong> che si allungano da zone <strong>di</strong> crescita<br />

(meristemi posti al <strong>di</strong> sopra dei no<strong>di</strong>), a ‘telescopio’ (max 7-8 cm/giorno); all’interno si<br />

trova un midollo spugnoso circondato da uno strato <strong>di</strong> fasci fibrovascolari.<br />

L’accestimento dei fusti è un carattere raro e negativo.<br />

Le foglie hanno <strong>di</strong>sposizione alterna sui no<strong>di</strong> del fusto (una per ogni nodo), sono<br />

parallelinervie, larghe fino a 8 cm e lunghe fino a 70-80 cm e sono dotate <strong>di</strong> guaina<br />

amplessicaule (ben visibile dalla sesta foglia, quando inizia l’allungamento del culmo).<br />

La ligula fascia strettamente lo stocco e regola la posizione della lamina (sl. 10/47). La<br />

lamina è lanceolata, con un’area <strong>di</strong> circa 400-500 cm 2 , pubescente nella pagina<br />

superiore e glabra in quella inferiore dove è presente il maggior numero <strong>di</strong> stomi (5000-<br />

10000 stomi per cm 2 ). Il numero <strong>di</strong> foglie per pianta varia a seconda della precocità<br />

varietale, che influenza il numero <strong>di</strong> no<strong>di</strong>, con un minimo <strong>di</strong> 8-10 foglie ed un massimo<br />

<strong>di</strong> 22-24. La superficie fogliare totale per pianta può raggiungere 1 m 2 .<br />

45


La pianta è monoica con fiori <strong>di</strong>clini (fiori maschili e femminili portati sulla<br />

stessa pianta da infiorescenze separate). Il mais è specie allogama proterandra, con<br />

fioritura maschile che precede <strong>di</strong> alcuni giorni la fioritura femminile. L’infiorescenza<br />

maschile (detta pennacchio) è un panicolo terminale, che porta numerose spighette<br />

contenenti gli stami, che emettono il polline (sl. 10/49-50). Il mais è, tra i cereali,<br />

l’unica specie che possiede un’infiorescenza terminale con sole spighette maschili. Le<br />

spighette sono in coppia a ciascun nodo, una sessile e l’altra peduncolata. Ogni<br />

spighetta porta un fiore fertile (con 3 stami) ed un altro spesso abortito; come detto, la<br />

deiscenza del polline si verifica 2-3 giorni prima dell’emissione <strong>degli</strong> stimmi.<br />

L’emissione del polline può durare per circa 13 giorni. Ogni spighetta ha due glume<br />

membranacee, ciliate, lineari o lanceolate, acute. La palea e la lemma sono lineari o<br />

lanceolate e mutiche.<br />

L’infiorescenza femminile (detta pannocchia) è una spiga ascellare, posta circa a<br />

metà altezza della pianta, in genere al sesto-settimo nodo sotto il pennacchio (sl. 10/49,<br />

52-53). Le forme maggiormente coltivate sono monospiga in or<strong>di</strong>narie con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

fittezza, anche se esistono genotipi che in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> moderata competizione<br />

manifestano una certa prolificità, portando avanti qualche altra spiga al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> quella<br />

principale, che mantiene comunque la sua dominanza. La spiga è portata da un<br />

peduncolo fatto <strong>di</strong> interno<strong>di</strong> brevi e no<strong>di</strong> ravvicinati; ciascun nodo porta una foglia<br />

metamorfosata in brattea o spata. Il complesso delle brattee, che avvolgono la spiga,<br />

forma il cartoccio, con funzione protettiva. La spiga è costituita da un asse ingrossato<br />

detto tutolo sul quale sono inserite le spighette. Il tutolo può essere <strong>di</strong> colore bianco o<br />

rosso, <strong>di</strong> forma cilindrica o conica più o meno tozza. Sul tutolo le spighette sono<br />

<strong>di</strong>sposte in file (ranghi) rettilinee piuttosto regolari, anche se talora sono spiralate e<br />

meno regolari. Il numero <strong>di</strong> ranghi presenti sulla spiga varia moltissimo: nelle forme<br />

locali <strong>di</strong> mais va da 8 a 24, nei moderni ibri<strong>di</strong> da 14 a 20. La lunghezza della spiga può<br />

variare da meno <strong>di</strong> 10 a oltre 20 cm, il numero <strong>di</strong> fiori e <strong>di</strong> potenziali semi per rango<br />

può andare da poche decine a 50, e una spiga può contenere da 200 a 1000 semi. Ogni<br />

spighetta porta due fiori, <strong>di</strong> cui uno abortito. I fiori, racchiusi da glume e glumette,<br />

hanno un ovario monospermo, con lunghissimi stili, morbi<strong>di</strong>, filiformi e ramificati (sete<br />

o barbe). Gli stili fuoriescono scalarmente nel corso <strong>di</strong> una settimana. L’impollinazione<br />

è anemofila con fecondazione quasi totalmente incrociata e solo l’1% circa <strong>di</strong><br />

autofecondazione.<br />

Il frutto è una cariosside (frutto secco indeiscente) costituito da un embrione (12-<br />

14%), un endosperma amilaceo (75-80%) e dagli involucri – pericarpo e perisperma –<br />

(8-10%). L’embrione presenta notevoli analogie con quello, già descritto, del frumento.<br />

È costituito dalla piumetta, che è protetta dal coleoptile e sulla quale sono già<br />

<strong>di</strong>fferenziati gli abbozzi delle prime 4-5 foglie, dalla ra<strong>di</strong>chetta, protetta dalla coleoriza,<br />

e dallo scutello, ricco <strong>di</strong> grassi. L’endosperma è costituito da uno strato aleuronico<br />

esterno e da un parenchima amilaceo, che a sua volta è formato da una parte cornea,<br />

ricca <strong>di</strong> sostanze azotate, e da una parte farinosa, quasi esclusivamente formata <strong>di</strong> amido<br />

e povera <strong>di</strong> sostanze proteiche.<br />

Nella cariosside <strong>di</strong> mais si <strong>di</strong>stinguono: la corona, cioè la parte che nella spiga è<br />

all’esterno ed opposta all’inserzione nel tutolo, due facce, <strong>di</strong> cui la superiore è volta<br />

verso l’apice della spiga e l’inferiore è volta verso la base, e lo scutello, con l’embrione,<br />

alla base del granello, sulla faccia superiore.<br />

Il polimorfismo del granello <strong>di</strong> mais (colore, forma, peso) è assai accentuato. Il<br />

colore può essere bruno, violetto, rosso, giallo, bianco; la forma rotondeggiante,<br />

schiacciata, appuntita, etc.; il peso <strong>di</strong> 1000 cariossi<strong>di</strong> varia da meno <strong>di</strong> 100 grammi a<br />

oltre 1200 grammi; nei tipi più comunemente coltivati 1000 cariossi<strong>di</strong> pesano 250-350 g<br />

circa.<br />

46


La cariosside <strong>di</strong> mais è composta per circa il 72% da amido, il 10% da proteine,<br />

il 5% da olio, il 2% da zuccheri, l’1% da ceneri e per la parte restante da acqua. Il valore<br />

biologico delle proteine del mais (zeina) è basso per la scarsa presenza <strong>degli</strong><br />

amminoaci<strong>di</strong> lisina e triptofano, sebbene siano stati selezionati mais (definiti opaque-2<br />

come descritto più avanti) con un più elevato contenuto <strong>di</strong> questi amminoaci<strong>di</strong> (sl.<br />

10/62).<br />

Biologia<br />

Nel ciclo biologico del mais si <strong>di</strong>stinguono tre fasi: la fase vegetativa (con<br />

germinazione, emergenza, emissione delle ra<strong>di</strong>ci secondarie e levata fino alla comparsa<br />

dell’infiorescenza maschile), la fioritura (con emissione della pannocchia, l’emissione<br />

<strong>degli</strong> stili e la fecondazione) e la maturazione (lattea, cerosa e fisiologica) (sl. 11/2-3).<br />

In con<strong>di</strong>zioni adatte <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà e <strong>di</strong> temperatura, il seme assorbe acqua e inizia la<br />

mobilitazione delle sostanze <strong>di</strong> riserva. Dagli involucri della cariosside fuoriesce la<br />

ra<strong>di</strong>chetta embrionale, cui segue il coleoptile, all’inizio più lento nel crescere <strong>di</strong> quanto<br />

non sia la prima. Si sviluppano poi le ra<strong>di</strong>ci embrionali laterali, meno vigorose <strong>di</strong> quella<br />

primaria, che con quella formano l’apparato ra<strong>di</strong>cale seminale. La temperatura minima<br />

per avere germinazione e nascite accettabilmente rapide e regolari è <strong>di</strong> 12 °C. Quin<strong>di</strong> la<br />

semina può essere fatta non appena si riscontra tale temperatura me<strong>di</strong>a nel terreno alla<br />

profon<strong>di</strong>tà alla quale viene deposto il seme (5 cm circa). Dal coleoptile si svolge la<br />

prima foglia, alla quale corrisponde nel terreno un primo nodo a profon<strong>di</strong>tà variabile<br />

secondo le circostanze, ma sempre prossimo alla superficie.<br />

Dopo l’emissione della terza o quarta foglia, a un mese o un mese e mezzo dalla<br />

semina, inizia con la levata lo sviluppo completo della pianta, che è molto rapido se le<br />

con<strong>di</strong>zioni colturali sono favorevoli. Allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 8-10 foglie, all’interno della pianta<br />

<strong>di</strong>venta evidente l’infiorescenza maschile (fase detta punto vegetativo; sl. 11/8) e dopo<br />

7-8 giorni anche quella femminile. Gli interno<strong>di</strong> si allungano e in 4-6 settimane si arriva<br />

alla fioritura, mentre vengono emesse nuove ra<strong>di</strong>ci avventizie. La durata emergenzafioritura<br />

<strong>di</strong>pende dalla classe <strong>di</strong> precocità del mais: da 45-50 giorni per le varietà<br />

precocissime a 75-80 giorni per quelle più tar<strong>di</strong>ve. In questo periodo aumentano le<br />

necessità <strong>di</strong> acqua, calore e sostanze nutritive: carenze <strong>di</strong> questi fattori influiscono<br />

negativamente sul numero <strong>di</strong> semi per spiga, sulla superficie fogliare e sulla resa.<br />

Dopo la fecondazione, la cariosside ingrossa molto rapidamente; dopo circa tre<br />

settimane raggiunge le <strong>di</strong>mensioni finali e si trova nella fase <strong>di</strong> maturazione lattea.<br />

Dopo altri 25-30 giorni circa si giunge alla maturazione cerosa, e dopo tre settimane<br />

ancora la granella raggiunge l’umi<strong>di</strong>tà del 30-35% ed è allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> maturazione<br />

fisiologica (strato o punto nero; sl. 11/24). Dopo la maturazione fisiologica si verifica<br />

esclusivamente una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> acqua dalla granella. La fase <strong>di</strong> maturazione cerosa<br />

(quando le cariossi<strong>di</strong> <strong>di</strong>vengono consistenti, amilacee e pastose sotto le <strong>di</strong>ta, e nei tipi<br />

dentati comincia a formarsi la fossetta all’apice, mentre le brattee più esterne e le foglie<br />

più basse cominciano ad ingiallire) segna il momento ottimale per la raccolta del mais<br />

destinato all’insilamento. Un riferimento empirico per determinare il momento per la<br />

raccolta dell’insilato è quello della cosiddetta linea lattea, ovvero la linea che separa la<br />

parte apicale della cariosside che ha già raggiunto la maturazione cerosa da quella<br />

ancora a maturazione latteo-cerosa. Per osservare la linea lattea si spezza la spiga a circa<br />

2/3 della lunghezza verso la punta e si esamina la parte <strong>di</strong>stale: se la linea lattea visibile<br />

sulla faccia delle cariossi<strong>di</strong> è circa a metà della lunghezza della cariosside (linea lattea al<br />

50%) si è raggiunto il momento ottimale per la trinciatura (sl. 13/58).<br />

47


Le componenti della resa sono molteplici: il numero <strong>di</strong> piante utili per unità <strong>di</strong><br />

superficie, le <strong>di</strong>mensioni della spiga, il numero <strong>di</strong> ranghi per spiga e la lunghezza del<br />

rango, il numero <strong>di</strong> cariossi<strong>di</strong> per spiga, il peso, la profon<strong>di</strong>tà e la densità della<br />

cariosside. Ai <strong>di</strong>versi fattori della resa corrispondono numerosi sta<strong>di</strong> critici (sl. 11/15-<br />

23), alcuni dei quali sono molto sensibili per la resa finale, come lo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 9-10 foglie<br />

(V9-V10) e il panicolo visibile (Vt), in cui si influenzano la <strong>di</strong>mensione della spiga e la<br />

lunghezza dei ranghi; oppure la fioritura e impollinazione (R1), la formazione della<br />

cariosside (R2), la maturazione lattea (R3), la maturazione cerosa (R4), la formazione del<br />

dente della cariosside (R5) e la maturazione fisiologica (R6), in cui si determinano il<br />

numero <strong>di</strong> cariossi<strong>di</strong>, il peso <strong>di</strong> 1000 semi e il peso ettolitrico. <strong>Di</strong>sponibilità <strong>di</strong> azoto e <strong>di</strong><br />

acqua, allettamento e parassiti possono incidere negativamente su queste fasi del ciclo,<br />

causando una riduzione delle rese.<br />

Fisiologia<br />

Il mais è una specie <strong>di</strong> origine tropicale, che nelle nostre latitu<strong>di</strong>ni può essere coltivata<br />

soltanto nel periodo primaverile-estivo. Nelle zone <strong>di</strong> origine il mais era originariamente<br />

una specie brevi<strong>di</strong>urna, tuttavia la selezione genetica ha portato all’ottenimento <strong>di</strong> ibri<strong>di</strong><br />

neutro<strong>di</strong>urni (fotoin<strong>di</strong>fferenti).<br />

È una pianta <strong>di</strong> tipo C4, con un’elevatissima efficienza rispetto ai fattori<br />

produttivi (energia ra<strong>di</strong>ante, nutrienti ed acqua) tanto da farne un insuperabile<br />

produttore <strong>di</strong> biomassa vegetale. In con<strong>di</strong>zioni non limitanti, la produzione giornaliera<br />

<strong>di</strong> sostanza secca, nel periodo <strong>di</strong> massimo ren<strong>di</strong>mento, può arrivare a 300-350 kg/ha ·<br />

giorno, con punte massime <strong>di</strong> oltre 400 kg. A canopy chiusa (massimo sviluppo della<br />

copertura vegetale) raggiunge un LAI <strong>di</strong> almeno 5. Può raggiungere le 20 t/ha <strong>di</strong><br />

sostanza secca, <strong>di</strong> cui il 50% costituita da granella, e per ottenerla assimila 40 t/ha <strong>di</strong><br />

CO2, consuma 4500-6000 m 3 /ha <strong>di</strong> acqua ed utilizza molta energia solare.<br />

Le con<strong>di</strong>zioni perché la capacità assimilatoria della copertura vegetale sia la più<br />

grande possibile sono <strong>di</strong>verse. L’apparato ra<strong>di</strong>cale deve essere funzionale e ben<br />

sviluppato. Le lavorazioni profonde e tempestive, le sistemazioni idraulico-agrarie e gli<br />

ammendamenti, specialmente quelli organici, migliorano lo stato fisico del suolo<br />

(struttura migliore e più stabile, minore crepacciabilità, maggiore capacità <strong>di</strong> ritenzione<br />

idrica, etc.) e favoriscono l’espansione e l’attività delle ra<strong>di</strong>ci che esplicano pertanto nel<br />

migliore dei mo<strong>di</strong> le loro funzioni <strong>di</strong> sostegno meccanico e <strong>di</strong> assorbimento <strong>di</strong> acqua ed<br />

elementi nutritivi. L’apparato fogliare deve essere <strong>di</strong> appropriata ampiezza: con i tipi<br />

più comuni <strong>di</strong> mais, la migliore copertura del terreno è quella costituita da un LAI <strong>di</strong><br />

almeno 4-5. Questa copertura va assicurata con un appropriato numero <strong>di</strong> piante a m 2 ,<br />

curando che esse siano ben <strong>di</strong>stribuite nello spazio, cioè senza fallanze e senza<br />

affollamenti sulla fila, e con file ravvicinate al massimo consentito dalle macchine per la<br />

raccolta. Un’interessante possibilità <strong>di</strong> aumentare utilmente la superficie assimilante è<br />

offerta da tipi <strong>di</strong> mais con foglie a portamento eretto che danno luogo ad una minore<br />

competizione tra piante e tra foglie nei confronti della luce (sl. 11/35). L’apparato<br />

assimilatore deve essere anche efficiente e longevo. La sua massima efficienza e durata<br />

funzionale vanno assicurate con la scelta dell’ibrido appropriato, le concimazioni,<br />

l’irrigazione e l’eliminazione delle interferenze negative <strong>di</strong> parassiti o <strong>di</strong> erbe infestanti.<br />

Al contempo si deve <strong>di</strong>sporre però anche <strong>di</strong> adeguati sink (organi <strong>di</strong> accumulo: spighe e<br />

cariossi<strong>di</strong>). Un apparato assimilatore, pur se ben sviluppato e funzionale, sarebbe messo<br />

in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> assimilare molto al <strong>di</strong> sotto delle sue possibilità se mancassero adeguati<br />

‘magazzini’ nei quali traslocare i prodotti giornalieri della fotosintesi. La produzione <strong>di</strong><br />

granella è determinata soprattutto dai sintetati che gli organi assimilatori producono<br />

48


dopo la fioritura (60%), mentre è minore (40%) il contributo delle sostanze <strong>di</strong> riserva<br />

sintetizzate prima della fioritura e traslocate successivamente verso i semi.<br />

Da tutto questo deriva che la scelta della precocità dell’ibrido è <strong>di</strong> fondamentale<br />

importanza. Esso deve avere infatti un ciclo che si inserisce nel migliore dei mo<strong>di</strong> nel<br />

periodo favorevole, non essendo né troppo precoce né troppo tar<strong>di</strong>vo. Mais molto<br />

precoci utilizzano incompletamente il periodo <strong>di</strong> accrescimento <strong>di</strong>sponibile, maturando<br />

troppo presto; essi vanno bene per la coltura asciutta o intercalare, ma in coltura<br />

principale irrigata mostrano una decisa limitazione produttiva. Mais troppo tar<strong>di</strong>vi<br />

impiegano invece troppo tempo per giungere alla fioritura, per cui la fase <strong>di</strong> granigione<br />

risulta <strong>di</strong> breve durata e per <strong>di</strong> più ritardata, così da svolgersi quando le con<strong>di</strong>zioni<br />

ambientali sono già <strong>di</strong>venute sub-ottimali per l’assimilazione. L’adozione <strong>di</strong> mais con<br />

ciclo idoneo all’ambiente colturale comporta inoltre un minore contenuto <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà<br />

della granella al momento della raccolta e un più lungo tempo a <strong>di</strong>sposizione per la<br />

preparazione del terreno per la coltura successiva.<br />

Il mais è una coltura termofila che cresce in una vasta gamma <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni<br />

climatiche. In entrambi gli emisferi, la coltivazione si estende in pratica da 30° a 55° <strong>di</strong><br />

latitu<strong>di</strong>ne. Tuttavia, la gran parte delle <strong>coltivazioni</strong> si trovano nell’emisfero boreale tra i<br />

35° e i 45° <strong>di</strong> latitu<strong>di</strong>ne: più a nord la coltura è limitata dalla insufficiente temperatura,<br />

mentre più a sud il problema è costituito dalla <strong>di</strong>sponibilità idrica. I principali areali <strong>di</strong><br />

coltivazione sono caratterizzati da elevati livelli <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azione solare, temperature me<strong>di</strong>e<br />

comprese tra 21 e 27 °C, temperature me<strong>di</strong>e notturne superiori a 15 °C, sommatoria dei<br />

gra<strong>di</strong> giorno (Growing Degree Day, GDD) superiore a 1100 °C, ed un periodo <strong>di</strong><br />

almeno 130-150 giorni esente da gelate.<br />

Il mais richiede temperature elevate per tutto il suo ciclo vitale, durante il quale<br />

manifesta esigenze via via crescenti. Non germina e non si sviluppa (zero <strong>di</strong><br />

vegetazione) se le temperature sono inferiori a 10 °C. Come detto, per avere nascite non<br />

troppo lente e aleatorie si consiglia <strong>di</strong> iniziare a seminare quando la temperatura del<br />

terreno ha raggiunto stabilmente i 12 °C. Abbassamenti <strong>di</strong> temperatura anche solo vicini<br />

a 0 °C (4-5 °C) possono uccidere le piante, o lasciarle irrime<strong>di</strong>abilmente stressate. Le<br />

basse temperature, specie nella parte iniziale del ciclo, possono essere causa <strong>di</strong> carenze<br />

nutritive che si manifestano con l’ingiallimento ed arrossamento delle foglie, sintomi <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> assorbimento <strong>di</strong> azoto e fosforo. Il mais in fase <strong>di</strong> granigione cessa <strong>di</strong><br />

crescere con temperature al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> 17 °C: è questa la soglia termica che segna il<br />

termine della coltura (seconda o terza decade <strong>di</strong> settembre, in Italia).<br />

Anche eccessi termici possono rivelarsi dannosi per la produttività del mais.<br />

Forti riscaldamenti sono particolarmente dannosi durante la fioritura: temperature<br />

superiori a 32-33 °C, accompagnate da bassa umi<strong>di</strong>tà relativa dell’aria e,<br />

conseguentemente, anche da stress idrici per sbilancio evapotraspirativo, possono<br />

provocare cattiva allegagione e gravi fallanze <strong>di</strong> cariossi<strong>di</strong> sulla spiga. Le conseguenze<br />

sono frequentemente visibili come incompleta granigione delle spighe, specialmente<br />

nella parte apicale, che è l’ultima a fiorire. Stagioni ed areali con temperature<br />

particolarmente elevate (oltre 38 °C), associate a bassa umi<strong>di</strong>tà relativa dell’aria, in<br />

corrispondenza della fioritura vanno incontro a danni gravissimi come la sterilità fiorale<br />

e la morte del polline. Temperature superiori a 32 °C, oltre a non essere ottimali per<br />

l’assimilazione della CO2, non sono positive in quanto aumentano la respirazione <strong>di</strong><br />

mantenimento e sono la causa <strong>di</strong> un maggiore consumo <strong>di</strong> sostanza organica. Così pure<br />

le alte temperature notturne estive (temperatura minima oltre 23-25 °C), aumentando la<br />

respirazione <strong>di</strong> mantenimento, si traducono in calo della resa complessiva. In ogni caso,<br />

stagioni con temperature me<strong>di</strong>e elevate riducono la durata del ciclo e non permettono la<br />

realizzazione <strong>di</strong> produzioni unitarie elevate.<br />

49


Le temperature ottimali della coltura sono dunque 22-23 °C alla levata, 24-25 °C<br />

alla fioritura, 23-24 °C durante la granigione.<br />

Il GDD (Growing Degree Day), o somma termica, è un in<strong>di</strong>catore<br />

particolarmente importante per il mais, in quanto rappresenta il cumulo <strong>di</strong> unità<br />

termiche necessarie per raggiungere le varie fasi fenologiche della pianta. Esistono<br />

<strong>di</strong>versi algoritmi per il calcolo delle unità termiche, ma la più comune formula è la<br />

seguente:<br />

GDD = {[ (Tmax + Tmin) / 2] – Tc}<br />

(Tc = temperatura car<strong>di</strong>nale minima, corrispondente allo zero <strong>di</strong> vegetazione).<br />

La conoscenza dei gra<strong>di</strong> giorno, oltre a stimare il raggiungimento delle <strong>di</strong>verse<br />

fasi fenologiche, permette <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare la più idonea classe <strong>di</strong> precocità <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> in<br />

funzione dell’epoca <strong>di</strong> semina e <strong>degli</strong> obiettivi produttivi che si intendono perseguire.<br />

La classificazione <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> viene in<strong>di</strong>cata secondo un criterio internazionalmente<br />

riconosciuto (classi FAO <strong>di</strong> precocità), basato orientativamente sulla lunghezza del<br />

ciclo (emergenza-maturazione fisiologica). La lunghezza del ciclo <strong>di</strong> sviluppo<br />

dell’ibrido misura i gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> calore necessari per raggiungere, attraverso gli sta<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

sviluppo, la maturazione fisiologica. A parità <strong>di</strong> potenziale genetico, la produzione <strong>di</strong> un<br />

ibrido è quin<strong>di</strong> strettamente legata al numero <strong>di</strong> giorni <strong>di</strong> fotosintesi attiva e alla durata<br />

del periodo <strong>di</strong> accumulo.<br />

Classe Precocità Ciclo in giorni GDD (somma termica)<br />

100 ultraprecoci 76-85 fino a 1000<br />

200 precocissimi 86-95 1000-1200<br />

300 precoci 96-105 1200-1350<br />

400 me<strong>di</strong>o- precoci 106-115 1350-1420<br />

500 me<strong>di</strong> 116-120 1420-1550<br />

600 me<strong>di</strong>o- tar<strong>di</strong>vi 121-130 1550-1600<br />

700 tar<strong>di</strong>vi 131-140 1600-1620<br />

Le regioni più adatte al mais (le cosiddette ‘corn belts’) sono quelle in cui le<br />

piogge in estate sono frequenti e regolari. In Italia, solo le regioni nord-orientali hanno<br />

una pluviometria abbastanza favorevole, che a volte può rendere non necessaria<br />

l’irrigazione. Nel resto del paese il regime pluviometrico è spesso <strong>di</strong> tipo me<strong>di</strong>terraneo<br />

(con piogge estive scarse e irregolari, o assenti), per cui il mais fornisce produzioni che,<br />

senza l’ausilio dell’irrigazione, sono basse e aleatorie. Il mais è una specie sensibile alle<br />

carenze idriche anche per brevi perio<strong>di</strong>, con danni che risultano irreversibili. Peraltro,<br />

con l’irrigazione si può supplire alla deficienza delle piogge sotto ogni con<strong>di</strong>zione<br />

climatica, purché l’acqua necessaria sia <strong>di</strong>sponibile a costi convenienti. Come detto, il<br />

consumo idrico me<strong>di</strong>o è <strong>di</strong> 4500-6000 m 3 /ha, ma in pianura padana raggiunge i 6000-<br />

8000 m 3 /ha. In luglio, durante la fioritura, con 25-26 °C il consumo giornaliero è <strong>di</strong> 70-<br />

80 m 3 /ha, mentre quello mensile è <strong>di</strong> 2000 m 3 /ha.<br />

Il mais è un ottimo esempio <strong>di</strong> adattabilità alle più varie con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> suolo.<br />

Con clima favorevole e una buona tecnica colturale, tutti i terreni possono <strong>di</strong>ventare<br />

sede <strong>di</strong> un’eccellente maiscoltura, da quelli sabbiosi a quelli argillosi, da quelli subaci<strong>di</strong><br />

ai sub-alcalini (purché non si verifichino deficienze <strong>di</strong> microelementi), dalle terre<br />

grigie, alle brune, alle rosse, alle torbose. Con<strong>di</strong>zioni in<strong>di</strong>spensabili perché il mais possa<br />

dare i migliori risultati sono l’ampia <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> elementi nutritivi assimilabili e una<br />

50


uona aerazione della rizosfera. Il terreno ideale è quello profondo, franco, ricco <strong>di</strong><br />

sostanza organica, ben drenante, con buona capacità <strong>di</strong> ritenuta idrica, con pH 6.5-7.<br />

Non gra<strong>di</strong>sce terreni poco profon<strong>di</strong>, compatti o molto limosi, umi<strong>di</strong> e fred<strong>di</strong>; è tollerante<br />

verso quelli leggermente salini, quelli leggermente aci<strong>di</strong> (pH 6) o leggermente basici<br />

(pH 8).<br />

Tecnica colturale<br />

Avvicendamento<br />

Il mais è una coltura ‘da rinnovo’ in quanto, come conseguenza delle particolari cure<br />

colturali che riceve (lavorazioni profonde, abbondanti concimazioni ed irrigazioni),<br />

lascia il terreno particolarmente fertile per le colture che lo seguono. Nei sistemi<br />

avvicendati classici veniva inserito tra prato e frumento: in tal modo il frumento si<br />

avvantaggiava della fertilità residua delle concimazioni eseguite al mais, il quale, a sua<br />

volta, era tra i migliori sfruttatori dei miglioramenti del terreno apportati dal prato.<br />

Attualmente la tendenza è a coltivare mais solo dove le con<strong>di</strong>zioni gli sono favorevoli<br />

(clima con estate piovosa o sotto irrigazione), e spesso a coltivarlo in monosuccessione.<br />

In genere, specialmente nei terreni sciolti, non si notano fenomeni <strong>di</strong> ‘stanchezza’;<br />

tuttavia, infestazioni <strong>di</strong> malerbe resistenti ai <strong>di</strong>serbanti possono intensificarsi fino al<br />

punto <strong>di</strong> costringere ad interrompere la monosuccessione. Le conseguenze della<br />

monosuccessione possono infatti includere danni da costipamento del terreno, erosione<br />

del terreno (scoperto) con le piogge autunnali, proliferazione <strong>di</strong> biotipi <strong>di</strong> infestanti<br />

resistenti agli erbici<strong>di</strong> (sorghetta, setaria, <strong>di</strong>gitaria ed alcune <strong>di</strong>cotiledoni; sl. 12/9-11),<br />

incremento dei parassiti specifici della coltura (piralide e <strong>di</strong>abrotica), necessità <strong>di</strong><br />

concimazioni minerali più elevate, e instabilità delle rese (sl. 12/12).<br />

La soia si è rivelata un’ottima pianta da alternare al mais, in quanto gli è molto<br />

affine per esigenze ambientali e agrotecniche (sl. 12/13). Una rotazione assai <strong>di</strong>ffusa in<br />

molte zone mai<strong>di</strong>cole è quella che prevede tre anni <strong>di</strong> mais ed uno <strong>di</strong> soia.<br />

Negli ambienti irrigui e a clima molto favorevole per il mais (es. la Val Padana),<br />

è <strong>di</strong> notevole interesse economico il mais in seconda coltura, dopo il primo taglio <strong>di</strong> un<br />

prato, dopo erbaio (generalmente loiessa o orzo), o dopo colture a raccolta precoce<br />

come pisello da industria o orzo da granella (sl. 12/15). Queste successioni sono rese<br />

facili dalla <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> mezzi rapi<strong>di</strong> per la raccolta e per la preparazione del terreno,<br />

ma è evidente che si rende necessario l’impiego <strong>di</strong> varietà <strong>di</strong> mais adeguatamente<br />

precoci, la cui prevalente destinazione è la produzione <strong>di</strong> insilati.<br />

Nella piccola coltura <strong>di</strong> tipo familiare, <strong>di</strong>ffusa in passato in Italia e tuttora nei<br />

paesi in via <strong>di</strong> sviluppo, è molto frequente la consociazione con altre specie, facilitata<br />

dal sistema <strong>di</strong> semina del mais a righe <strong>di</strong>stanziate. Le piante che più spesso si trovano<br />

consociate al mais sono leguminose da granella (fagiolo, arachide, fagiolo dall’occhio,<br />

soia) o piante ortensi (zucche).<br />

Scelta dell’ibrido<br />

Fino al 1950 circa, prima della <strong>di</strong>ffusione dei mais ibri<strong>di</strong>, le varietà coltivate in Italia<br />

erano rappresentate da ecotipi, ossia da popolazioni selezionate dall’ambiente, oltre che<br />

dagli agricoltori, e perciò caratterizzate da ottimo adattamento, ma anche da estrema<br />

variabilità ed eterogeneità morfologica, fisiologica e produttiva, determinata dalla<br />

struttura genetica delle popolazioni indotta dalla allogamia Una classificazione su base<br />

agronomica <strong>di</strong>stingueva le popolazioni italiane <strong>di</strong> mais nelle seguenti cinque categorie<br />

<strong>di</strong> precocità crescente: maggenghi, agostani, agostanelli, cinquantini e quarantini.<br />

51


Oggi sono iscritte al Registro Nazionale delle varietà moltissime varietà ibride<br />

(circa 1300). La durata me<strong>di</strong>a della vita commerciale <strong>di</strong> un ibrido è <strong>di</strong> 5-7 anni, periodo<br />

<strong>di</strong> tempo nel quale una nuova generazione <strong>di</strong> materiali è resa <strong>di</strong>sponibile per sostituire la<br />

precedente.<br />

I moderni ibri<strong>di</strong> si caratterizzano per:<br />

- ra<strong>di</strong>ci più sviluppate<br />

- stocchi più resistenti<br />

- migliore stay green (durata dell’apparato assimilatore)<br />

- foglie erette<br />

- maggiore tolleranza alla piralide<br />

- più rapida granigione (ibri<strong>di</strong> fast dry down)<br />

Non sono variate l’altezza della pianta e quella <strong>di</strong> inserzione della spiga, l’epoca <strong>di</strong><br />

fioritura, il numero <strong>di</strong> foglie e il LAI.<br />

Il primo (e spesso più <strong>di</strong>fficile) criterio nella scelta dell’ibrido è quello della<br />

giusta precocità (classe). L’ibrido scelto deve garantire un’elevata produttività ed un<br />

elevato grado <strong>di</strong> adattamento (stabilità). Altri criteri sono la destinazione della coltura<br />

(granella, insilato, industria molitoria, amideria), la resistenza all’allettamento, la buona<br />

resistenza alle malattie e agli insetti più dannosi, la buona resistenza al freddo (per<br />

consentire semine anticipate).<br />

Come accennato, secondo la classificazione FAO gli ibri<strong>di</strong> vengono sud<strong>di</strong>visi in<br />

9 classi <strong>di</strong> precocità, contrassegnate con i numeri da 100 a 900 per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> precocità<br />

decrescente. L’attribuzione alle varie classi va fatta con riferimento ad ibri<strong>di</strong> standard,<br />

uno per classe, scelti opportunamente per la <strong>di</strong>versa lunghezza del loro ciclo vegetativo.<br />

È da tener presente che la durata del ciclo in giorni ha un valore puramente<br />

convenzionale e comparativo. Nel caso <strong>di</strong> coltura in asciutta vanno scelti ibri<strong>di</strong><br />

precocissimi (classi 200 e 300). Nel caso <strong>di</strong> coltura irrigua e <strong>di</strong> semina normale (coltura<br />

principale), l’ibrido dovrà essere scelto <strong>di</strong> ciclo tale da sfruttare appieno la stagione<br />

favorevole, raggiungendo la maturazione fisiologica quando le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

temperatura non consentono più una crescita apprezzabile. Nelle regioni italiane<br />

climaticamente favorevoli al mais, i tipi migliori sono gli ibri<strong>di</strong> delle classi 600 e 700.<br />

Nelle regioni centrali, i risultati migliori si ottengono con ibri<strong>di</strong> me<strong>di</strong>o-precoci (classi<br />

400-500). Nel caso <strong>di</strong> coltura intercalare vanno usati ibri<strong>di</strong> tanto più precoci quanto più<br />

ritardata è la semina. Per le colture <strong>di</strong> mais da insilato, nelle quali interessa l’intera<br />

massa della pianta e non solo la granella, e che vengono raccolte prima della<br />

maturazione fisiologica (a maturazione cerosa) si possono seminare ibri<strong>di</strong> più tar<strong>di</strong>vi <strong>di</strong><br />

quelli raccomandabili per la produzione <strong>di</strong> granella.<br />

Lavorazione del terreno<br />

La preparazione del terreno per la semina del mais si basa su un’aratura me<strong>di</strong>amente<br />

profonda (30-35 cm) o profonda (40-50 cm), normalmente eseguita in autunno o a fine<br />

inverno. L’aratura consente una più facile penetrazione dell’acqua nel terreno, una<br />

maggiore esposizione del terreno al sole e al gelo (con miglioramento della struttura), la<br />

<strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> eventuali suole <strong>di</strong> lavorazione, l’incorporazione <strong>di</strong> residui e fertilizzanti<br />

organici. L’aratura profonda è utile soprattutto nel caso <strong>di</strong> terreni argillosi e <strong>di</strong> coltura<br />

non irrigata, per assicurare la costituzione <strong>di</strong> riserve idriche nel terreno e per consentire<br />

un profondo sviluppo dell’apparato ra<strong>di</strong>cale. La lavorazione profonda viene<br />

generalmente fatta con aratro rovesciatore, ma potrebbe essere fatta con il sistema ‘a<br />

due strati’ (aratura-ripuntatura). All’aratura seguono lavori <strong>di</strong> affinamento delle zolle e<br />

52


<strong>di</strong> controllo delle infestanti emerse (estirpature, erpicature) (sl. 12/27). Il mais non<br />

abbisogna <strong>di</strong> un letto <strong>di</strong> semina particolarmente affinato, poiché il seme è grosso e<br />

quin<strong>di</strong> va posto alquanto profondo.<br />

Nel caso <strong>di</strong> mais in seconda coltura, si potrebbe operare una semina <strong>di</strong>retta,<br />

senza nessuna lavorazione, adoperando una seminatrice specialmente attrezzata con<br />

piccoli coltri per tagliare il terreno, ottenendo un risparmio <strong>di</strong> lavoro e un guadagno in<br />

tempestività (sl. 12/26).<br />

Epoca <strong>di</strong> semina<br />

In generale è bene che le semine primaverili siano fatte il prima possibile. La scelta<br />

dell’epoca <strong>di</strong> semina è dettata dalla temperatura del terreno. Nel caso del mais, per avere<br />

nascite non troppo protratte e irregolari bisogna aspettare che la temperatura del terreno<br />

si sia stabilmente attestata su almeno 12 °C. Questo livello termico è raggiunto<br />

me<strong>di</strong>amente in aprile: questa è, pertanto, l’epoca normale <strong>di</strong> semina nel caso <strong>di</strong> mais in<br />

prima coltura. Fino all’inizio <strong>degli</strong> anni ‘90, nelle zone tipiche della coltivazione del<br />

mais sia per produrre granella che trinciato integrale, tra<strong>di</strong>zionalmente erano possibili<br />

tre epoche <strong>di</strong> semina: la prima eseguita tra il 15 e il 30 <strong>di</strong> aprile con ibri<strong>di</strong> <strong>di</strong> classe 600-<br />

700; la seconda, tra il 10 e 20 maggio, dopo la raccolta <strong>di</strong> un erbaio autunno-vernino o<br />

dopo il primo sfalcio <strong>di</strong> un prato avvicendato, utilizzando un ibrido <strong>di</strong> classe 400-500; la<br />

terza, dal 20 giugno al 10 luglio dopo la raccolta della granella <strong>di</strong> un cereale vernino<br />

(orzo o frumento) utilizzando ibri<strong>di</strong> <strong>di</strong> classe 200-300. Attualmente si <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> ibri<strong>di</strong><br />

con resistenza al freddo che consentono <strong>di</strong> anticipare le semine anche alla seconda<br />

decade <strong>di</strong> marzo, sfruttando i vantaggi <strong>di</strong> questa semina precoce. La semina anticipata,<br />

unita al grande vigore <strong>di</strong> partenza <strong>di</strong> questi ibri<strong>di</strong>, permette un anticipo della fase <strong>di</strong><br />

fioritura, in modo che la pianta possa compiere il suo ciclo produttivo in un periodo<br />

fisiologicamente più favorevole rispetto alla semina or<strong>di</strong>naria. Con questa strategia la<br />

coltura raggiunge la fase critica della fioritura entro la fine del mese <strong>di</strong> giugno, con<br />

notevoli vantaggi rispetto ad importanti fattori ambientali. In tale periodo l’energia<br />

ra<strong>di</strong>ante per il processo fotosintetico è massima, la temperatura dell’aria è più<br />

favorevole per la fecondazione della spiga, mentre la <strong>di</strong>sponibilità idrica del terreno e lo<br />

sfasamento tra il ciclo della coltura e quello dei fitofagi (piralide) contribuiscono a<br />

creare un ambiente più favorevole allo sviluppo della pianta. La semina anticipata<br />

determina minori problemi durante la fecondazione causati dallo stress idrico, il quale<br />

può accentuare la naturale proterandria della specie riducendo la quantità <strong>di</strong> polline<br />

<strong>di</strong>sponibile nel momento <strong>di</strong> massima recettività delle sete. Il clima secco accompagnato<br />

da alte temperature può essere anche motivo <strong>di</strong> sterilità fiorale a causa della<br />

<strong>di</strong>sidratazione del polline e delle sete. Come conseguenza dell’anticipo <strong>di</strong> fioritura si ha<br />

inoltre un incremento del periodo <strong>di</strong> accumulo <strong>di</strong> sintetati, che permette <strong>di</strong><br />

immagazzinare più sostanza secca nella granella e ottenere quin<strong>di</strong> una maggiore<br />

produzione complessiva.<br />

Quando il mais segue una coltura a raccolta precoce, assumendo il ruolo <strong>di</strong><br />

coltura intercalare, la temperatura del terreno è favorevole e le nascite avvengono più<br />

velocemente (7-8 giorni). La stagione a <strong>di</strong>sposizione è più corta e la scelta dell’ibrido è<br />

fondamentale per far sì che la coltura giunga a maturazione in tempo utile. Utilizzando<br />

ibri<strong>di</strong> a classe <strong>di</strong> maturazione opportuna, la semina può essere effettuata: nella prima-<br />

seconda decade <strong>di</strong> maggio dopo loiessa o altro erbaio autunno-vernino; nella terza<br />

decade <strong>di</strong> maggio dopo orzo, frumento o triticale da insilamento; nella terza decade <strong>di</strong><br />

giugno dopo orzo da granella.<br />

Si noti che, nel caso dei secon<strong>di</strong> raccolti, la produzione del mais è minore (sl.<br />

13/67), e che maggiore è il ritardo <strong>di</strong> semina maggiore sarà la <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong><br />

53


produzione (si stima che per le semine in maggio la per<strong>di</strong>ta è <strong>di</strong> circa 50 kg/ha <strong>di</strong><br />

granella per giorno <strong>di</strong> ritardo). Tuttavia, la produzione <strong>di</strong> biomassa totale riferita alle<br />

due colture coltivate nell’anno è più elevata rispetto a quella del solo mais in coltura<br />

principale, poiché viene intercettata con maggiore efficienza la ra<strong>di</strong>azione<br />

fotosinteticamente attiva (PAR) incidente nel corso dell’anno.<br />

Densità <strong>di</strong> semina<br />

Con<strong>di</strong>zione importantissima ai fini <strong>di</strong> una buona produzione è che la fittezza sia giusta e<br />

regolare. Il mais non corregge un basso investimento <strong>di</strong> piante a m 2 con l’accestimento,<br />

come altre colture, e quin<strong>di</strong> la fittezza ottimale va perseguita in partenza con il giusto<br />

numero <strong>di</strong> piante a m 2 . Con un numero <strong>di</strong> piante a m 2 inferiore all’ottimale, la<br />

vegetazione non sviluppa un LAI sufficiente (almeno 5) a intercettare appieno la<br />

ra<strong>di</strong>azione luminosa <strong>di</strong>sponibile e quin<strong>di</strong> assimila meno <strong>di</strong> quello che potrebbe; inoltre il<br />

corrispondente basso numero <strong>di</strong> spighe a m 2 limita il sink delle piante.<br />

Una fittezza eccessiva causa invece una riduzione della fertilità delle spighe fino<br />

alla totale sterilità, a causa dell’eccessivo ombreggiamento che subiscono le spighe,<br />

situate a circa metà altezza della pianta.<br />

Per avere l’investimento desiderato, in passato si seminava fitto sulla fila<br />

eliminando poi con il <strong>di</strong>radamento manuale le piante nate in eccesso; oggi per evitare il<br />

<strong>di</strong>radamento si fa la semina con seminatrici <strong>di</strong> precisione, che depositano sulla fila un<br />

seme alla volta a <strong>di</strong>stanza regolare prefissata.<br />

La densità varia in funzione della classe e <strong>di</strong>pende dal numero <strong>di</strong> semi seminati,<br />

dalla percentuale <strong>di</strong> germinazione e dalla percentuale <strong>di</strong> emergenza. Il numero <strong>di</strong> piante<br />

è definitivo alla quarta-quinta foglia, ma può <strong>di</strong>minuire a causa <strong>di</strong> vari parassiti. In<br />

genere si aumenta del 10-15% la quantità <strong>di</strong> seme alla semina rispetto a quello<br />

necessario per ottenere la densità desiderata.<br />

Gli ibri<strong>di</strong> più tar<strong>di</strong>vi assumono maggiori <strong>di</strong>mensioni e quin<strong>di</strong> devono essere<br />

seminati meno fitti rispetto a quelli precoci. L’investimento consigliato per una semina<br />

in coltura principale da granella può variare da 6-6.5 piante/m 2 per un ibrido <strong>di</strong> classe<br />

700 a 8 piante/m 2 per uno <strong>di</strong> classe 400, mentre per una semina <strong>di</strong> secondo raccolto può<br />

variare da 6 per un classe 600 a 7 per un classe 400. Nel mais da trinciato si considerano<br />

me<strong>di</strong>amente 1-2 piante/m 2 in più rispetto a quello da granella (sl. 12/40).<br />

La <strong>di</strong>stribuzione delle piante <strong>di</strong> mais sul terreno è fatta a file, con <strong>di</strong>stanze tali da<br />

rendere possibile l’uso delle macchine necessarie alla maiscoltura meccanizzata. In<br />

particolare, l’impiego delle gran<strong>di</strong> macchine per la raccolta impone <strong>di</strong> lasciare tra le file<br />

70-80 cm (più comunemente 75 cm).<br />

Una volta stabilito il numero <strong>di</strong> semi da seminare per ogni m 2 e fissata la<br />

<strong>di</strong>stanza tra le file, è facile determinare la <strong>di</strong>stanza alla quale i semi dovranno essere<br />

deposti nel terreno. Ad esempio per avere 7 semi a m 2 con file a 75 cm, la <strong>di</strong>stanza sulla<br />

fila sarà: 10000/7 = 1428.6 cm 2 per pianta; 1428.6/75 = 19 cm, <strong>di</strong>stanza che può essere<br />

ottenuta con le seminatrici <strong>di</strong> precisione.<br />

Si sta valutando la possibilità della semina a file <strong>di</strong>stanti 45 cm, che<br />

consentirebbe <strong>di</strong> ridurre la competizione tra le piante sulla fila (aumentandone la<br />

<strong>di</strong>stanza a circa 31.5 cm). La scelta comporterebbe alcuni adattamenti meccanici delle<br />

macchine operatrici che, a breve, non sembrano facilmente attuabili.<br />

La quantità <strong>di</strong> seme necessaria per investire un ettaro <strong>di</strong> coltura <strong>di</strong>pende dalla<br />

fittezza <strong>di</strong> semina e dal peso me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un seme; può variare da 15 a 24 kg/ha, anche se<br />

tale dato ha solo carattere in<strong>di</strong>cativo, in quanto i semi <strong>di</strong> mais si vendono a numero<br />

(dosi).<br />

54


Il consumo italiano è pari a circa 4.3 milioni <strong>di</strong> dosi da 25000 semi (circa 3000 t<br />

<strong>di</strong> seme). Ogni ettaro investito a mais da seme produce circa 350 dosi, sufficienti per<br />

120 ha <strong>di</strong> coltura. L’Italia produce solo il 20% del fabbisogno <strong>di</strong> seme, il resto è<br />

importato soprattutto da USA, Europa orientale, Francia e Turchia.<br />

La fase <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> seme ibrido commerciale certificato (dall’ENSE) da<br />

parte delle <strong>di</strong>tte sementiere e destinato alla commercializzazione è preceduta dalla<br />

produzione <strong>di</strong> seme della ricerca (si tratta della produzione <strong>di</strong> piccole quantità <strong>di</strong> seme<br />

delle linee pure ottenute dai costitutori-genetisti, che rimangono i responsabili del<br />

mantenimento e del rifornimento alle società produttrici <strong>di</strong> ibri<strong>di</strong>) e <strong>di</strong> seme <strong>di</strong><br />

fondazione (è la fase successiva <strong>di</strong> incremento del seme della ricerca effettuata in una o<br />

più generazioni – e certificata dall’ENSE – per produrre le quantità necessarie <strong>di</strong><br />

parentali destinati ai campi <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> seme ibrido).<br />

La raccolta del seme ibrido va fatta con cura, limitatamente alle piante<br />

portaseme e spiga per spiga, quin<strong>di</strong> o a mano o con macchine raccogli-sfogliatrici.<br />

Le spighe raccolte (con non oltre il 35% <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà) vengono finite <strong>di</strong> scartocciare e<br />

inviate allo stabilimento sementiero per la lavorazione. Viene quin<strong>di</strong> eseguita la cernita<br />

delle spighe, a mano, su nastro trasportatore per eliminare spighe fuori tipo,<br />

pregerminate, o danneggiate da parassiti. Le spighe vengono poi essiccate in celle<br />

ventilate riscaldate a non oltre 40-45 °C per non compromettere la germinabilità. Le<br />

spighe vengono sgranate e la granella è fatta passare prima attraverso vagli e ventilatori<br />

per eliminare le impurità, e poi in calibratrici che sud<strong>di</strong>vidono le cariossi<strong>di</strong> in base a<br />

forma e <strong>di</strong>mensione (lungo, grosso, me<strong>di</strong>o) in <strong>di</strong>versi calibri (fino a 21). La calibrazione<br />

ha lo scopo <strong>di</strong> uniformare i semi per poter adoperare la seminatrice <strong>di</strong> precisione. Un<br />

fungicida in forma <strong>di</strong> poltiglia (slurry) viene applicato sui semi in modo che ne siano<br />

completamente coperti. Infine i semi vengono confezionati in sacchi a peso (confezioni<br />

da 5, 10 o 25 kg) o, più comunemente oggi, a numero (confezioni da 25000, 50000 o<br />

75000 semi).<br />

La profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> semina deve essere uniforme ed oculatamente scelta: né<br />

eccessiva, sì da rendere <strong>di</strong>fficile l’emergenza delle plantule, né troppo superficiale, da<br />

esporre i semi in germinazione al rischio <strong>di</strong> <strong>di</strong>sseccamento. In me<strong>di</strong>a si consigliano 4-6<br />

cm <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà: 4 con terreno freddo e umido, 6 con terreno asciutto. Con semine<br />

troppo profonde si hanno ritar<strong>di</strong> <strong>di</strong> emergenza (circa 1 giorno ogni 2.5 cm <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà)<br />

e riduzione della durata del ciclo, oltre a rischi parassitari o danni da formazione <strong>di</strong><br />

croste superficiali (sl. 12/43).<br />

Come detto, i mais ibri<strong>di</strong> sono messi in commercio già conciati con prodotti<br />

fungici<strong>di</strong>. <strong>Di</strong> norma, alla semina si <strong>di</strong>sinfesta anche il terreno dagli insetti terricoli.<br />

Insettici<strong>di</strong> in microgranuli vengono localizzati nelle vicinanze dei semi (dalla<br />

seminatrice) con un’ottima protezione e con minime quantità <strong>di</strong> prodotto. Insettici<strong>di</strong><br />

possono essere anche applicati <strong>di</strong>rettamente sul seme me<strong>di</strong>ante rivestimento dello<br />

stesso. Sono state rivolte accuse agli insettici<strong>di</strong> della classe dei neonicotinoi<strong>di</strong> per i<br />

possibili danni derivanti alle api dalla loro <strong>di</strong>spersione nell’ambiente al momento della<br />

semina. L’effettivo coinvolgimento <strong>di</strong> questi insettici<strong>di</strong> nella sindrome del collasso<br />

della colonia <strong>di</strong> api non è stato ancora confermato in maniera conclusiva, ma al<br />

momento l’uso dei neonicotinoi<strong>di</strong> per i trattamenti al seme è sospeso in Italia.<br />

Concimazione<br />

Il mais è una pianta che svolge il suo ciclo velocemente e le sue esigenze nutrizionali<br />

sono considerevoli. Tuttavia, sono elevate anche le restituzioni al suolo dei<br />

55


macronutrimenti assorbiti; infatti con l’interramento dei residui colturali ritornano al<br />

suolo il 60% dell’azoto, il 56% del fosforo e l’83% del potassio. Quin<strong>di</strong>, l’effettiva<br />

asportazione dei nutrienti sarà in funzione del tipo <strong>di</strong> destinazione della coltura (da<br />

granella, da pastone <strong>di</strong> pannocchia o da trinciato integrale), in quanto <strong>di</strong>verse sono le<br />

quantità <strong>di</strong> residui colturali lasciati sul campo. In pratica, il livello <strong>di</strong> concimazione<br />

minerale <strong>di</strong>pende dalle asportazioni, dalle restituzioni organiche e dalla dotazione del<br />

terreno. Dato che il mais è una pianta estiva, esso è in grado <strong>di</strong> utilizzare efficacemente<br />

le riserve del suolo che vengono mineralizzate nel periodo <strong>di</strong> massima intensità <strong>di</strong><br />

assorbimento, periodo nel quale la temperatura e <strong>di</strong>sponibilità idrica del terreno sono<br />

particolarmente favorevoli ai processi <strong>di</strong> mineralizzazione. Il mais si avvantaggia della<br />

concimazione organica, in quanto la mineralizzazione della sostanza organica procede<br />

<strong>di</strong> pari passo con le esigenze nutritive del mais. La letamazione è stata perciò la<br />

concimazione più classica del mais in passato. In quanto coltura estiva dagli elevati<br />

fabbisogni <strong>di</strong> nutrienti come N e P, il mais si presta egregiamente alla utilizzazione<br />

agronomica dei reflui zootecnici, riuscendo a produrre gran<strong>di</strong> quantità <strong>di</strong> alimenti per il<br />

bestiame ed al contempo assicurare un efficiente riciclo <strong>degli</strong> effluenti zootecnici. Le<br />

aziende che ancora <strong>di</strong>spongono del classico letame lo devono <strong>di</strong>stribuire in pre-aratura<br />

nella quantità <strong>di</strong> 400-500 q/ha. Al giorno d’oggi sono frequenti le aziende che coltivano<br />

il mais senza <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> letame o <strong>di</strong> altri concimi organici, facendo ricorso a<br />

concimazioni minerali e a concimi organici non tra<strong>di</strong>zionali come i liquami.<br />

Quando si raccoglie la granella e i residui colturali vengono interrati, gli apporti<br />

<strong>di</strong> concimi minerali si possono limitare alle sole asportazioni senza considerare le<br />

per<strong>di</strong>te, che vengono in pratica compensate: per l’azoto, dalla quota mineralizzata<br />

proveniente dall’N organico che annualmente viene messa a <strong>di</strong>sposizione delle piante;<br />

per il fosforo e il potassio dalla parziale liberazione delle riserve minerali del suolo <strong>di</strong><br />

questi elementi causata dall’attività biologica del terreno. Per quanta riguarda l’azoto<br />

<strong>di</strong>stribuito, va inoltre ricordato che solo il 50-70% viene effettivamente assorbito dalla<br />

coltura, aspetto che deve essere tenuto presente in fase <strong>di</strong> quantificazione della<br />

concimazione minerale.<br />

L’azoto rappresenta l’elemento più importante per il mais, in quanto influenza in<br />

modo determinante la resa e il contenuto proteico. Nel periodo della fioritura, l’intensità<br />

<strong>di</strong> assorbimento giornaliera è dell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> 5 kg/ha. A maturità, i due terzi dell’azoto<br />

totale della parte epigeica sono nella cariosside. Poiché la maggior parte<br />

dell’assorbimento dell’azoto avviene nel periodo dall’emergenza alla fioritura, la<br />

concimazione azotata dovrà essere effettuata nel periodo compreso tra poco prima della<br />

semina e le prime fasi della levata. La dose <strong>di</strong> azoto da apportare è data dalla <strong>di</strong>fferenza<br />

tra quantità necessaria (asportazioni + per<strong>di</strong>te) e quantità <strong>di</strong>sponibile nel terreno. Fra<br />

l’azoto fornito dal terreno va ricordato quello residuo della coltura precedente, quello<br />

che deriva dalla mineralizzazione dell’N organico del suolo, e la quota <strong>degli</strong> eventuali<br />

reflui utilizzati. La carenza <strong>di</strong> azoto si manifesta con foglie <strong>di</strong> colore verde-giallo e poco<br />

vigorose. In funzione della carenza, già prima della fioritura le foglie ingialliscono e<br />

<strong>di</strong>sseccano.<br />

Il fosforo è presente nel terreno in combinazioni organiche ed inorganiche, ma<br />

per la pianta ne è <strong>di</strong>sponibile solo una piccola parte, in quanto il mais assorbe solamente<br />

fosfati inorganici solubili. È un elemento essenziale per la pianta, svolgendo un ruolo <strong>di</strong><br />

grande importanza nel trasferimento dell’energia nella fotosintesi. La carenza <strong>di</strong> fosforo<br />

si osserva con arrossamenti delle foglie nei primi sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> sviluppo della coltura. Tale<br />

carenza può però essere causata anche dalle basse temperature registrate in tale fase, le<br />

quali ostacolano l’assorbimento dei nutrienti, e in particolare quello del fosforo. Nei<br />

56


terreni fred<strong>di</strong>, per limitare i danni <strong>di</strong> tale inconveniente, può essere consigliato eseguire<br />

una concimazione fosfatica localizzata contestualmente alla semina.<br />

Il potassio si trova nel terreno sotto forma <strong>di</strong> sali inorganici o è assorbito sul<br />

complesso argillo-umico. Nelle piante influenza, come regolatore, tutti i processi<br />

metabolici: assorbimento dell’azoto, <strong>di</strong>visione cellulare, attività fotosintetica, sintesi<br />

delle proteine. Alla raccolta, la maggior parte del potassio si trova nei residui colturali:<br />

pertanto, se si interrano i residui l’elemento ritorna nuovamente al terreno. La maggior<br />

parte del potassio viene assorbita dalla fase <strong>di</strong> levata (quarta-quinta foglia) fino alla<br />

fioritura. La carenza <strong>di</strong> potassio, oltre ad esaltare la respirazione, rallenta l’attività<br />

fotosintetica e ciò comporta un indebolimento della pianta. Forti carenze rendono i<br />

culmi meno resistenti allo stroncamento<br />

In terreni <strong>di</strong> buona fertilità, non letamati, si può prevedere la seguente<br />

concimazione (variabili in funzione del tipo <strong>di</strong> terreno e dell’obiettivo produttivo<br />

prefissato): N 180-250 kg/ha, P2O5 80-120 kg/ha, K2O 50-100 kg/ha. Dosi <strong>di</strong> azoto oltre<br />

quelle in<strong>di</strong>cate non sembrano fornire risposte produttive significative (sl. 12/57-58).<br />

La concimazione minerale con i concimi fosfo-potassici ed almeno metà della<br />

dose <strong>di</strong> quella azotata (a base ureica) vanno interrati in occasione dei lavori preparatori<br />

che precedono la semina. La quota restante della concimazione azotata va somministrata<br />

in copertura al momento della levata, con prodotti come urea o nitrato ammonico. Per<br />

questa operazione è fondamentale utilizzare attrezzature meccaniche che <strong>di</strong>stribuiscano<br />

il concime sotto chioma, per evitare che i granuli <strong>di</strong> concime, cadendo entro l’imbuto<br />

formato dalle foglie del mais, vi determinino ustioni, motivo che sconsiglia l’uso dello<br />

sbrigativo span<strong>di</strong>concime centrifugo. Con la concimazione in copertura è consigliato<br />

riscoprire la pratica della sarchiatura o della rincalzatura, interventi importanti per<br />

interrare il prodotto; l’operazione è da raccomandare nei terreni calcarei, nei quali i<br />

concimi ammoniacali tendono a volatilizzare. La concimazione in copertura può essere<br />

comunque <strong>di</strong> esecuzione precaria, poiché la rapida crescita in altezza durante la levata<br />

potrebbe rendere impossibile l’entrata delle macchine span<strong>di</strong>concime nei campi. Per<br />

non correre il rischio <strong>di</strong> lasciare la coltura senza azoto, oggi si tende ad anticipare tutta<br />

la concimazione alla semina, soprattutto in terreni argillosi con alto potere assorbente<br />

<strong>degli</strong> elementi colloidali. Tuttavia, in ambienti piovosi o in coltura irrigua è<br />

consigliabile <strong>di</strong>stribuire una metà dell’N alla semina e il resto in copertura. Nei terreni<br />

molto sciolti la concimazione andrebbe <strong>di</strong>stribuita per 1/3 alla semina e 2/3 in copertura.<br />

<strong>Di</strong>serbo<br />

Le erbe infestanti possono causare importanti <strong>di</strong>minuzioni delle rese (dal 30 al 70%) sia<br />

<strong>di</strong>rettamente, a causa della competizione con le piante <strong>di</strong> mais per le risorse (luce,<br />

acqua, nutrienti), che in<strong>di</strong>rettamente rendendo più <strong>di</strong>fficile le operazioni <strong>di</strong> raccolta. Le<br />

infestanti possono inoltre provocare un deca<strong>di</strong>mento qualitativo del prodotto, per la<br />

maggiore pre<strong>di</strong>sposizione all’attacco <strong>di</strong> muffe e conseguente contaminazione da<br />

micotossine.<br />

Obiettivo principale del controllo delle infestanti è rendere la coltura priva <strong>di</strong><br />

competizione soprattutto nel periodo critico in cui essa è particolarmente sensibile a tale<br />

competizione. Tale periodo va da circa 15 a circa 40 giorni dopo l’emergenza (fasi<br />

fenologiche da V2-3 a V7) (sl. 13/4). Con semine anticipate, il periodo critico si allunga<br />

<strong>di</strong> 10-20 giorni per effetto della più lenta emergenza e del minor vigore delle piantine <strong>di</strong><br />

mais in presenza <strong>di</strong> temperature più basse <strong>di</strong> quelle ottimali, e della possibile<br />

competizione precoce <strong>di</strong> infestanti tipiche della stagione fredda.<br />

Nella pianura padana, la flora infestante è composta per circa tre quarti da specie<br />

<strong>di</strong>cotiledoni e per un quarto da graminacee. Negli ultimi decenni sono avvenuti<br />

57


significativi cambiamenti nella flora infestante, come conseguenza dei cambiamenti<br />

colturali. Tra le <strong>di</strong>cotiledoni, alcune specie appartenenti ai generi Polygonum,<br />

Amaranthus, Chenopo<strong>di</strong>um e Solanum sono tra le infestanti più temibili (sl. 13/7-13).<br />

Tra le graminacee, importanti infestanti sono il giavone (Echinochloa crus-galli), la<br />

sorghetta (Sorghum halepense), la sanguinella (<strong>Di</strong>gitaria sanguinalis), la setaria<br />

(Setaria glauca) la gramigna (Cynodon dactylon) e il panico (Panicum<br />

<strong>di</strong>chotomiflorum) (sl. 13/14-20).<br />

Con l’evoluzione della tecnica colturale si è assistito ad una mo<strong>di</strong>ficazione del<br />

ventaglio delle specie infestanti. La monosuccessione spinta e l’uso massiccio<br />

dell’atrazina hanno determinato l’instaurarsi <strong>di</strong> specie resistenti a questo <strong>di</strong>serbante, sia<br />

tra le graminacee (sorghetta da rizoma, giavone) che tra le <strong>di</strong>cotiledoni annuali<br />

(Amaranthus, Solanum, Chenopo<strong>di</strong>um) o perenni (Cirsium, Convolvulus, etc.). Con il<br />

bando dell’atrazina si è avuta la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> nuove specie (Abutilon, Bidens, etc.). Il<br />

set-aside e la minima lavorazione hanno favorito la comparsa <strong>di</strong> nuove specie infestanti,<br />

mentre l’anticipo delle semine ha reso più temibili alcune specie infestanti tipiche della<br />

stagione fredda (Polygonum aviculare, Fallopia convolvulus, Picris, Stachys, Anagallis,<br />

Stellaria, <strong>Ve</strong>ronica).<br />

La tecnica <strong>di</strong> lotta alle malerbe può prevedere una gestione agronomica delle<br />

infestanti (corretta e razionale rotazione colturale, che comporta una flora infestante<br />

<strong>di</strong>versificata e meno competitiva; falsa semina); una gestione meccanica (corretta<br />

lavorazione principale del terreno, che determina un contenimento delle infestanti<br />

perenni; buona preparazione del letto <strong>di</strong> semina; sarchiatura, <strong>di</strong> norma a completamento<br />

del <strong>di</strong>serbo chimico) e una gestione chimica (<strong>di</strong>serbo).<br />

Le rotazioni agrarie possono avere un’influenza enorme sulla quantità e qualità<br />

(specie) <strong>di</strong> infestanti presenti in una coltura <strong>di</strong> mais. La monosuccessione determina un<br />

enorme proliferare <strong>di</strong> poche specie estremamente adattate a questa con<strong>di</strong>zione (sl.<br />

13/23-24).<br />

La lotta meccanica alle infestanti in passato era affidata alle sarchiature. Le<br />

sarchiature meccaniche non bastano a risolvere sod<strong>di</strong>sfacentemente il problema delle<br />

infestanti, in quanto gli organi lavoranti della macchina sarchiatrice operano solo<br />

nell’interfila. Inoltre, non sempre si riesce ad entrare nei campi per sarchiare prima che<br />

il mais sia troppo cresciuto in altezza.<br />

La gestione chimica delle malerbe (<strong>di</strong>serbo) comporta la necessità <strong>di</strong> valutare se<br />

occorre effettivamente intervenire, in funzione <strong>di</strong> esperienze storiche o <strong>di</strong> una<br />

determinata presenza <strong>di</strong> malerbe definita soglia <strong>di</strong> intervento, variabile in funzione <strong>di</strong><br />

ogni specie infestante. Occorre poi scegliere quale erbicida impiegare, in funzione delle<br />

caratteristiche del terreno, delle malerbe presenti o del clima, e, soprattutto, decidere se<br />

intervenire in pre- o post-emergenza della coltura. Erbici<strong>di</strong> con <strong>di</strong>versa attività biologica<br />

possono essere impiegati in funzione delle fasi fenologiche del mais e dell’epoca dei<br />

trattamenti erbici<strong>di</strong>. In pre-semina e pre-emergenza si impiegano erbici<strong>di</strong> ad ampio<br />

spettro <strong>di</strong> azione o miscele <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> con spettro complementare. Non sono mirati e<br />

non sono risolutivi, necessitando quin<strong>di</strong> quasi sempre <strong>di</strong> un trattamento in postemergenza.<br />

Sono inoltre poco idonei nei terreni ricchi <strong>di</strong> sostanza organica. Nuovi<br />

principi attivi come la terbutilazina sono caratterizzati da una lunga persistenza.<br />

In post-emergenza si impiegano erbici<strong>di</strong> a penetrazione principalmente fogliare,<br />

scelti in base alla flora presente, che richiedono l’aggiunta <strong>di</strong> coa<strong>di</strong>uvanti, adesivi o<br />

bagnanti. Scelti per colpire obiettivi definiti, richiedono tempestività <strong>di</strong> intervento e<br />

molta professionalità. Possono essere effettuati anche per completare un trattamento <strong>di</strong><br />

pre-emergenza non andato a buon fine. Dati italiani recenti in<strong>di</strong>cano come la maggior<br />

parte <strong>degli</strong> interventi (circa il 60%) preveda solo trattamenti in pre-emergenza, per un<br />

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terzo circa trattamenti sia in pre-emergenza che in post-emergenza, e in meno del 15%<br />

dei casi solo trattamenti in post-emergenza.<br />

La scelta del <strong>di</strong>serbante deve essere fatta anche in funzione delle caratteristiche<br />

dei prodotti e delle con<strong>di</strong>zioni ambientali. Si dovrebbero evitare <strong>di</strong>serbanti molto<br />

solubili in terreni molto sciolti o in ambienti molto piovosi, e <strong>di</strong>serbanti persistenti in<br />

terreni con elevata capacità <strong>di</strong> ritenzione ed in perio<strong>di</strong> con basse temperature.<br />

Negli anni ‘80 il <strong>di</strong>serbo era incentrato sull’utilizzo in pre- e post-emergenza<br />

dell’atrazina, selettiva nei confronti della coltura ed efficace sulla maggioranza delle<br />

infestanti <strong>di</strong>cotiledoni e graminacee. Nel 1990 è stato proibito l’uso <strong>di</strong> tale principio<br />

attivo. In pre-emergenza sono state proposte nuove triazine (terbutilazina), impiegate da<br />

sole o in miscela con principi attivi <strong>di</strong>versi per potenziarne l’attività verso graminacee,<br />

chenopo<strong>di</strong>acee e Solanum. In post-emergenza la sostituzione dell’atrazina fu più<br />

complessa per la minor <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> principi attivi. Negli anni ‘90 la ricerca ha<br />

portato alla sintesi <strong>di</strong> numerose molecole che hanno permesso <strong>di</strong> sostituire l’atrazina, sia<br />

in termini <strong>di</strong> selettività che <strong>di</strong> efficacia, tanto in pre- che post-emergenza: tra queste le<br />

sulfoniluree che sono molto attive sia su <strong>di</strong>cotiledoni che su graminacee (sl. 13/33).<br />

Va ricordato e sottolineato che qualunque trattamento erbicida va eseguito nello<br />

stretto rispetto <strong>degli</strong> esistenti vincoli sanitari e ambientali, per evitare conseguenze agli<br />

operatori e all’ambiente.<br />

Irrigazione<br />

Per sostenere l’altissima produttività potenziale del mais (20 e oltre t/ha <strong>di</strong> sostanza<br />

secca) sono richieste <strong>di</strong>sponibilità d’acqua che solo in poche zone sono assicurate dalle<br />

riserve idriche del terreno e dalle piogge nel periodo <strong>di</strong> crescita. Il mais svolge il suo<br />

ciclo nel periodo dell’anno in cui la piovosità è al suo minimo e la domanda<br />

evapotraspirativa è al suo massimo. Per questo, la maiscoltura in Italia per essere<br />

veramente intensiva non può prescindere dall’ausilio dell'irrigazione.<br />

L’insufficienza d’acqua provoca sempre danni al mais, danni che <strong>di</strong>ventano <strong>di</strong><br />

gravità eccezionale quando lo stress idrico si verifica nel momento estremamente critico<br />

della fioritura. In questa fase, l’appassimento anche temporaneo delle piante ha come<br />

effetto il fallimento dei processi fecondativi, che si traduce nella riduzione talora anche<br />

totale del numero <strong>di</strong> cariossi<strong>di</strong> per spiga. Il mais in coltura asciutta è quasi scomparso<br />

proprio per l’instabilità delle sue produzioni legate alla aleatorietà delle piogge estive, in<br />

particolare nel momento della fioritura.<br />

Il mais ha un elevato fabbisogno idrico, ma in compenso è una delle colture più<br />

efficienti nell’elaborare sostanza secca in rapporto all’acqua assorbita. La sua efficienza<br />

<strong>di</strong> utilizzazione dell’acqua (WUE, water use efficiency) varia da circa 2 a circa 5 kg <strong>di</strong><br />

sostanza secca prodotta per m 3 <strong>di</strong> acqua evapotraspirato. Il consumo me<strong>di</strong>o giornaliero è<br />

<strong>di</strong> circa 40 m 3 /ha pari a 0.6-0.7 l/pianta. Al <strong>di</strong> sotto del 40-50% della capacità <strong>di</strong> campo,<br />

il mais riduce la sua evapotraspirazione e, quin<strong>di</strong>, la produzione <strong>di</strong> sostanza secca.<br />

<strong>Di</strong>venta pertanto necessario intervenire con l’irrigazione. Una produzione <strong>di</strong> 12 t/ha <strong>di</strong><br />

granella comporta una produzione totale <strong>di</strong> biomassa <strong>di</strong> circa 24 t/ha, con una necessità<br />

<strong>di</strong> 6000 m 3 /ha <strong>di</strong> H2O pari a 600 mm. Tale quantitativo <strong>di</strong> acqua deve essere tuttavia<br />

<strong>di</strong>sponibile nei momenti critici del ciclo colturale e, conseguentemente, l’irrigazione<br />

<strong>di</strong>venta una pratica importante per la coltura. Un programma d’irrigazione che voglia<br />

coprire al meglio le esigenze <strong>di</strong> una coltura <strong>di</strong> mais deve prevedere che l’acqua non<br />

manchi nel periodo che va dalla emissione del pennacchio (circa 7-10 giorni prima della<br />

fioritura) fino almeno alla maturazione latteo-cerosa (circa 5-6 settimane dopo la<br />

fioritura) per una stagione irrigua <strong>di</strong> 50-60 giorni al massimo, situata nei mesi centrali<br />

dell’estate (luglio e agosto).<br />

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In generale, il livello evapotraspirativo tende a seguire lo sviluppo del LAI,<br />

raggiungendo i massimi valori tra la piena fioritura e le prime fasi <strong>di</strong> riempimento della<br />

granella. La fase <strong>di</strong> fioritura è caratterizzata da una straor<strong>di</strong>naria sensibilità alla<br />

deficienza idrica e da gravissime conseguenze sulla produzione. È importante che<br />

questa fase, che in un campo <strong>di</strong> mais dura circa una settimana, si svolga in perfette<br />

con<strong>di</strong>zioni idriche, perché uno stress che in questo momento provocasse anche un lieve<br />

e momentaneo appassimento avrebbe come conseguenza l’infertilità <strong>di</strong> una quota<br />

altissima <strong>di</strong> ovuli della spiga, con proporzionale per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> produzione. Prima e dopo la<br />

fioritura la deficienza idrica riduce la capacità <strong>di</strong> assimilazione della coltura, ma non ha<br />

conseguenze così drammatiche come alla fioritura.<br />

La tendenza <strong>di</strong> questi ultimi anni ad anticipare le semine deve portare ad<br />

abbandonare la mentalità del passato quando si era abituati ad irrigare guardando più il<br />

calendario che lo sta<strong>di</strong>o della coltura. Con la nuova tecnica, il mais si trova ad uno<br />

sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sviluppo anticipato ed il periodo <strong>di</strong> maggior consumo cade a metà giugnoinizio<br />

luglio, anziché a luglio inoltrato come con le semine tra<strong>di</strong>zionali. Va comunque<br />

rilevato che le varietà che si prestano per le semine anticipate consentono <strong>di</strong> sfruttare<br />

meglio rispetto alle varietà ‘tra<strong>di</strong>zionali’ la buona piovosità presente in genere nel<br />

periodo tardo-primaverile.<br />

L’irrigazione del mais è generalmente eseguita col sistema per aspersione o con<br />

meto<strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zionali quali lo scorrimento o l’infiltrazione laterale da solchi (sl. 13/40). È<br />

in <strong>di</strong>ffusione l’irrigazione a pioggia con pivot (sl. 13/41). L’irrigazione alla semina può<br />

essere necessaria nel caso <strong>di</strong> coltura intercalare per assicurare le nascite. A seconda dei<br />

sistemi <strong>di</strong> irrigazione, in genere vengono considerati i seguenti quantitativi <strong>di</strong> acqua per<br />

ogni intervento irriguo: 10-30 mm con pivot; 30-40 mm con irrigazione per aspersione;<br />

60-80 mm con altri meto<strong>di</strong> (scorrimento, infiltrazione laterale). Ogni adacquata va fatta<br />

con il massimo <strong>di</strong> razionalità per evitare sprechi, insufficienze e inefficienze, sulla base<br />

<strong>di</strong> elementi tecnici precisi attinenti al terreno e alla coltura, dai quali dedurre il volume<br />

<strong>di</strong> adacquamento. L’irrigazione deve essere fatta per tempo, prima che la coltura<br />

manifesti il benché minimo segno <strong>di</strong> sofferenza, quin<strong>di</strong> molto prima del punto <strong>di</strong><br />

appassimento (foglie arrotolate). Il volume <strong>di</strong> adacquamento deve essere stabilito in<br />

modo da bagnare lo strato superficiale <strong>di</strong> suolo <strong>di</strong> 70 cm circa <strong>di</strong> spessore. Il turno è<br />

l’intervallo <strong>di</strong> tempo che passa tra un’adacquata e l’altra. Una volta stabilito il volume<br />

d’adacquamento, il turno sarà più o meno breve in funzione della evapotraspirazione<br />

della coltura nei giorni successivi all’adacquata, per un totale <strong>di</strong> circa 3-4 interventi al<br />

nord e 6-7 interventi al sud.<br />

Gli elevati consumi <strong>di</strong> acqua per la coltura <strong>di</strong> mais possono essere in qualche<br />

modo <strong>di</strong>minuiti con una oculata scelta dell’ibrido, favorendo una maggiore penetrazione<br />

dell’acqua nel terreno, eseguendo semine precoci, <strong>di</strong>serbando accuratamente, o<br />

riducendo la <strong>di</strong>stanza tra le file. Un’azienda con ridotte <strong>di</strong>sponibilità d’acqua potrebbe<br />

limitarne il consumo abbreviando la lunghezza della stagione irrigua, riducendo il<br />

numero (ma non il volume) <strong>degli</strong> adacquamenti, fino al limite <strong>di</strong> riservare un’unica<br />

irrigazione alla ricarica idrica del terreno all’inizio della fase <strong>di</strong> fioritura.<br />

Un sussi<strong>di</strong>o irriguo limitato nel senso ora in<strong>di</strong>cato può considerarsi una interessante<br />

alternativa economica all’irrigazione totalitaria, che punta alle massime espressioni <strong>di</strong><br />

produttività del mais ma è molto onerosa. La <strong>di</strong>minuzione della produzione in termini<br />

economici può essere compensata dal risparmio <strong>di</strong> acqua, energia e lavoro per<br />

l’irrigazione, e dal risparmio nella concimazione e nell’essiccazione, visto che con<br />

questo tipo <strong>di</strong> gestione le varietà consigliabili sono più precoci, più sane e <strong>di</strong> miglior<br />

qualità (ad esempio, mais vitrei).<br />

60


Altre cure colturali<br />

Nella moderna maiscoltura intensiva, il <strong>di</strong>radamento delle plantule (manuale e molto<br />

oneroso) è reso superfluo dalla semina <strong>di</strong> precisione.<br />

La rincalzatura (consistente nell’addossare terra al piede delle piante <strong>di</strong> mais per<br />

favorirne la ra<strong>di</strong>cazione e, soprattutto, per rendere possibile l’irrigazione col sistema per<br />

infiltrazione laterale da solchi) è un’altra operazione colturale <strong>di</strong>ffusa in passato, ma che<br />

ha perso molta della sua importanza nella maiscoltura moderna.<br />

Anche la sarchiatura era in<strong>di</strong>spensabile in passato per controllare le infestanti.<br />

Un problema ancora oggi non convenientemente definito è quello <strong>di</strong> stabilire se si debba<br />

sarchiare nel caso in cui il <strong>di</strong>serbo abbia sortito piena efficacia nel controllare le<br />

malerbe. La sarchiatura consente infatti <strong>di</strong> conseguire altri benefici effetti oltre al<br />

controllo delle infestanti, quali la riduzione dell’evaporazione e l’arieggiamento della<br />

rizosfera, oltre all’interramento dei concimi. Nelle terre leggere e nelle colture irrigue<br />

dove la maiscoltura è oggi prevalentemente concentrata, questi vantaggi sono poco<br />

importanti, per cui la sarchiatura tende a non essere più praticata, essendo stata sostituita<br />

dal <strong>di</strong>serbo quale mezzo <strong>di</strong> controllo delle erbe infestanti. Con le limitazioni all’uso <strong>di</strong><br />

alcuni <strong>di</strong>serbanti efficaci è preve<strong>di</strong>bile che la sarchiatura del mais dovrà essere ripresa in<br />

considerazione come intervento or<strong>di</strong>nario, in sostituzione o a completamento del<br />

<strong>di</strong>serbo chimico. Si tenga però presente che i campi <strong>di</strong> mais sono agibili per le macchine<br />

finché le piante non superano i 60-70 cm <strong>di</strong> altezza. Data l’alta velocità <strong>di</strong> crescita del<br />

mais nel periodo corrispondente a questa altezza, può capitare spesso <strong>di</strong> non riuscire ad<br />

entrare in tempo nei campi.<br />

Raccolta<br />

Alla maturazione fisiologica (punto nero, sta<strong>di</strong>o R6) inizia la per<strong>di</strong>ta dell’umi<strong>di</strong>tà della<br />

granella. Normalmente questo sta<strong>di</strong>o viene raggiunto nella prima settimana <strong>di</strong><br />

settembre, quando le con<strong>di</strong>zioni climatiche non sempre favoriscono la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

umi<strong>di</strong>tà. Per perdere 5-6 punti percentuali <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà, in con<strong>di</strong>zioni favorevoli,<br />

occorrono 10-12 giorni. Dalla formazione del punto nero alla raccolta (24-26% <strong>di</strong><br />

umi<strong>di</strong>tà) passano circa 15-25 giorni, e ciò costituisce un rischio sia per la produzione<br />

che per la qualità. È opportuno trovare un compromesso tra i maggiori oneri derivanti<br />

dall’uso dell’essiccazione e la garanzia <strong>di</strong> produrre una buona qualità evitando anche<br />

per<strong>di</strong>te o rotture della granella per azione della mietitrebbia. Le mietitrebbiatrici da mais<br />

sono normali mietitrebbiatrici che, per operare sul mais, vengono munite <strong>di</strong> apposita<br />

testata spannocchiatrice. La granella più secca si sgrana con facilità sotto l’azione <strong>degli</strong><br />

organi spannocchiatori e va così incontro a per<strong>di</strong>te. La granella più umida si <strong>di</strong>stacca<br />

con <strong>di</strong>fficoltà dal tutolo e si spacca facilmente (un prodotto <strong>di</strong> buona qualità non deve<br />

presentare più del 10% <strong>di</strong> semi rotti). La comune stagione <strong>di</strong> raccolta del mais da<br />

granella va dalla seconda metà <strong>di</strong> settembre alla fine <strong>di</strong> ottobre (e oltre, se la varietà è<br />

resistente ai marciumi del fusto).<br />

La granella da commerciare secca deve avere non più del 14% d’umi<strong>di</strong>tà per<br />

poter essere immagazzinata senza autoriscaldamento e ammuffimento, anche se<br />

l’umi<strong>di</strong>tà standard commerciale è convenzionalmente del 15.5%. Quasi mai il mais è<br />

raccolto abbastanza secco, e c’è quin<strong>di</strong> sempre bisogno <strong>di</strong> essiccarlo artificialmente in<br />

essiccatoi ad aria calda, aziendali o consortili. Si considera che un impianto aziendale<br />

sia economicamente giustificato solo se lavora almeno 400 t <strong>di</strong> mais secco all’anno.<br />

L’obiettivo dell’essiccazione è <strong>di</strong> portare la granella ad una umi<strong>di</strong>tà non superiore al<br />

14%, che costituisce il limite dell’attività enzimatica. Al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> tale valore i<br />

fenomeni <strong>di</strong> fermentazione e respirazione vengono ridotti al minimo o annullati.<br />

61


L’ammuffimento è un inconveniente comune a tutte le granaglie ma che nel mais<br />

assume una gravità tutta particolare perché l’agente è un fungo (Aspergillus) che<br />

produce micotossine (aflatossine) <strong>di</strong> elevata tossicità.<br />

Attualmente sono <strong>di</strong>sponibili dei processi <strong>di</strong> ventilazione/refrigerazione,<br />

consistenti nell’abbassare la temperatura della massa <strong>di</strong> granella al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong><br />

determinati valori (15 °C), tanto più bassi quanto più elevata è la sua umi<strong>di</strong>tà e più<br />

lungo è il tempo <strong>di</strong> conservazione previsto. La conservazione me<strong>di</strong>ante raffreddamento<br />

offre i vantaggi dell’eliminazione dell’uso <strong>di</strong> antiparassitari, della riduzione della<br />

perio<strong>di</strong>ca movimentazione della massa, con minori rotture rotture della granella, e della<br />

riduzione dell’azione dei parassiti con conseguente <strong>di</strong>minuzione delle per<strong>di</strong>te.<br />

Uso zootecnico del mais<br />

<strong>Di</strong>verse parti della pianta <strong>di</strong> mais si prestano per la preparazione <strong>di</strong> alimenti per la<br />

zootecnia. La pianta intera può essere impiegata come foraggio verde o per la<br />

preparazione <strong>di</strong> insilati; la spiga per la preparazione <strong>di</strong> pastoni integrali; la granella<br />

umida per la preparazione <strong>di</strong> pastoni <strong>di</strong> granella; la granella secca è utilizzata tal quale o<br />

macinata. Anche alcuni sottoprodotti <strong>di</strong> impieghi non zootecnici del mais possono<br />

essere usati nell’alimentazione animale (es. panelli <strong>di</strong> germe o <strong>di</strong>stillers).<br />

Nella tra<strong>di</strong>zione rurale, la granella secca <strong>di</strong> mais ha rappresentato il mangime<br />

tipico dei maiali e dei polli, e solo recentemente è entrata <strong>di</strong>ffusamente nelle razioni<br />

alimentari delle vacche da latte come alimento ricco <strong>di</strong> energia ma povero in proteine.<br />

La granella <strong>di</strong> mais, dopo macinazione, fioccatura o schiacciamento, costituisce la<br />

componente preponderante dei concentrati per le vacche da latte. La farina <strong>di</strong> granella <strong>di</strong><br />

mais è un’importante fonte energetica: infatti 1 kg tal quale fornisce circa 1.15 UF,<br />

mentre 1 kg <strong>di</strong> sostanza secca ha un contenuto del 10% <strong>di</strong> proteine, 81% <strong>di</strong> carboidrati e<br />

4% <strong>di</strong> grassi, e per il 90% è costituito da sostanza organica <strong>di</strong>geribile, con un contenuto<br />

molto basso <strong>di</strong> fibra. Nella proteina specifica (zeina) sono però quasi assenti due<br />

aminoaci<strong>di</strong> fondamentali come lisina e triptofano.<br />

Quando la coltura è in una fase <strong>di</strong> maturazione cerosa avanzata (circa 10-15<br />

giorni in anticipo rispetto alla raccolta della granella da essiccare, e con un’umi<strong>di</strong>tà del<br />

30-35%) è possibile raccogliere, macinare ed insilare la sola pannocchia (con o senza<br />

brattee) oppure la sola granella, per ottener il pastone integrale o il pastone <strong>di</strong> granella,<br />

rispettivamente. Questi pastoni sono alimenti molto <strong>di</strong>geribili e molto utilizzati<br />

nell’alimentazione dei ruminanti e dei monogastrici.<br />

La granella umida insilata è più <strong>di</strong>geribile ed appetita <strong>di</strong> quella secca, ma la sua<br />

maggiore fermentescibilità richiede un impiego competente e prudente. Il pastone <strong>di</strong><br />

granella è particolarmente usato negli allevamenti suinicoli. Negli allevamenti per<br />

bovini da latte esso deve essere inserito nella <strong>di</strong>eta giornaliera in modo bilanciato, in<br />

quanto un suo abuso, pur aumentando la produzione <strong>di</strong> latte, può dare luogo ad un<br />

peggioramento qualitativo (minor tasso lipi<strong>di</strong>co e proteico).<br />

Per entrambi i pastoni si raccomanda <strong>di</strong> seguire scrupolosamente tutte le<br />

operazioni, dalla raccolta, all’insilamento (curandone la compressione e la copertura),<br />

all’utilizzo; in caso contrario si creano le con<strong>di</strong>zioni per fermentazioni anomale<br />

(alcolica e/o butirrica) e possibili produzioni <strong>di</strong> sostanze nocive (ammine piogene e<br />

tossine <strong>di</strong> origine batterica o fungina) che non solo possono compromettere il valore<br />

nutritivo del prodotto, ma possono anche pregiu<strong>di</strong>care pesantemente la produttività e la<br />

salute <strong>degli</strong> animali.<br />

In Italia è molto <strong>di</strong>ffusa la raccolta della pianta intera allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> maturazione<br />

cerosa delle cariossi<strong>di</strong>. In questo sta<strong>di</strong>o il fusto è ricco <strong>di</strong> zuccheri solubili e le foglie<br />

sono completamente ver<strong>di</strong>. La pianta viene finemente trinciata allo scopo <strong>di</strong> favorire la<br />

62


fuoriuscita <strong>degli</strong> zuccheri solubili. La raccolta avviene 40-45 giorni dopo la fioritura<br />

quando la biomassa è al 35-40% <strong>di</strong> sostanza secca e la granella al 50-60% <strong>di</strong> sostanza<br />

secca, la lignificazione della fibra è ridotta e la dentatura della cariosside ben<br />

pronunciata. Come già in<strong>di</strong>cato, un riferimento empirico per determinare il momento<br />

per la raccolta dell’insilato è rappresentato dalla posizione della linea lattea nella<br />

cariosside (sl. 13/58).<br />

Una caratteristica favorevole per l’insilamento è lo ‘stay-green’ ovvero la<br />

tendenza a mantenere le foglie ver<strong>di</strong> e i fusti poco lignificati. Il ritardo <strong>di</strong> raccolta<br />

provoca una riduzione della <strong>di</strong>geribilità ed un maggiore rischio <strong>di</strong> formazione <strong>di</strong><br />

micotossine (le tossine ZEA, DON, T1 e T2 costituiscono una minaccia per il silomais o<br />

il pastone <strong>di</strong> mais, mentre minore è il rischio rappresentato dalle aflatossine). Sarebbe<br />

meglio trinciare con almeno il 30% <strong>di</strong> sostanza secca e non aspettare il raggiungimento<br />

del 35%. Si tende a tagliare corto il trinciato per meglio compattare la trincea, ma<br />

questo può provocare un peggioramento meccanico della fibra. La fibra più lunga<br />

aumenta la <strong>di</strong>geribilità <strong>degli</strong> alimenti, dal momento che trattiene gli alimenti nel rumine<br />

e si oppone al turn over veloce: la lunghezza corretta è <strong>di</strong> 0.8-2.0 cm. È utile usare<br />

anche il rompigranella per aumentare la <strong>di</strong>geribilità (sl. 13/60). La raccolta si effettua<br />

con macchine falcia-trincia-caricatrici. Le rese <strong>di</strong> silomais si aggirano sulle 50-60 fino a<br />

90 t/ha <strong>di</strong> foraggio fresco, equivalenti a 16-18 fino a 27-30 t/ha <strong>di</strong> sostanza secca.<br />

Raccogliendo la pianta a maturazione cerosa, il ciclo della coltura non è terminato e<br />

quin<strong>di</strong> si perde parte della produttività della coltura. Queste per<strong>di</strong>te sono però<br />

compensate dal fatto che si può utilizzare tutta la biomassa aerea della coltura. Il<br />

numero <strong>di</strong> UF conseguibili con il silomais è molto più elevato <strong>di</strong> quelle conseguibili con<br />

la sola granella. L’energia del silomais non deriva solo dall’amido, dagli zuccheri e<br />

dalle pectine (carboidrati non strutturali), ma anche dai carboidrati strutturali (cellulosa,<br />

emicellulose) che costituiscono la fibra totale (NDF). Un insilato <strong>di</strong> mais <strong>di</strong> ottima<br />

qualità presenta le seguenti caratteristiche (per kg <strong>di</strong> sostanza secca): 7.9% <strong>di</strong> proteine,<br />

35.6% <strong>di</strong> amido, 72% <strong>di</strong> sostanza organica <strong>di</strong>geribile, 42% <strong>di</strong> NDF, 23% <strong>di</strong> ADF e pH<br />

inferiore a 4.<br />

I vantaggi dell’utilizzazione del trinciato integrale sono: l’elevata concentrazione<br />

energetica per unità <strong>di</strong> sostanza secca; la buona appetibilità; la costanza del valore<br />

alimentare; la facile conservazione; il facile inserimento nelle razioni (50% della <strong>di</strong>eta<br />

per le vacche da latte, 100% per i bovini da carne); il basso costo dell’unità foraggera.<br />

L’uso me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> silomais è generalmente da 18 a 25 kg/capo.<br />

Non sempre gli ibri<strong>di</strong> da granella più produttivi sono idonei per il silomais. Sono<br />

in<strong>di</strong>cati ibri<strong>di</strong> <strong>di</strong> taglia alta, con buona resistenza alle malattie, buon <strong>di</strong>ametro dello<br />

stocco e foglie larghe. La classe <strong>di</strong> precocità deve essere scelta in funzione dell’epoca <strong>di</strong><br />

semina (sl. 13/66); i più produttivi sono gli ibri<strong>di</strong> tar<strong>di</strong>vi (classe 600-700) dotati <strong>di</strong><br />

elevate rese in granella. L’investimento ottimale è con 1-2 piante in più rispetto alla<br />

coltura da granella. Anche la concimazione deve prevedere 40-50 kg/ha <strong>di</strong> N in più<br />

rispetto alla coltura da granella (sl. 13/68). Va ricordato però che la concimazione<br />

azotata favorisce la produzione, ma l’eccesso può essere dannoso per gli animali per<br />

l’accumulo <strong>di</strong> nitrati nel trinciato.<br />

Il trinciato viene compresso in sili a trincea per favorire l’allontanamento<br />

dell’aria e favorire i processi <strong>di</strong> fermentazione anaerobica. La fermentazione ideale è<br />

operata dai batteri lattici che portano ad un abbassamento del pH fino a valori <strong>di</strong> circa<br />

4.0. A quel punto la fermentazione si ferma e il prodotto finale può essere conservato<br />

per parecchi mesi (sl. 13/70-71). È opportuno che i processi <strong>di</strong> fermentazione<br />

avvengano in breve tempo. Quando il mais viene trinciato, i tessuti vegetali continuano<br />

a respirare, quin<strong>di</strong> ci sono delle per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> zuccheri. Anche la fermentazione comporta<br />

per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> una quota <strong>di</strong> energia contenuta nel foraggio. Per questi motivi, è necessario<br />

63


creare un ambiente asfittico tramite la compressione del trinciato e la sua copertura con<br />

dei teli <strong>di</strong> plastica opportunamente caricati con sabbia o altro, con un peso omogeneo <strong>di</strong><br />

circa 100 kg/m 2 . Dalla fase <strong>di</strong> insilamento all’utilizzo nella razione alimentare del<br />

prodotto conservato devono trascorrere almeno due mesi.<br />

Miglioramento genetico<br />

Per secoli, e fino almeno al 1930, il miglioramento genetico del mais è stato condotto<br />

con il metodo della selezione massale, da sempre praticata sotto forma <strong>di</strong> scelta delle<br />

spighe migliori per la semina (sl. 14/3). I tipi che ne derivavano erano popolazioni <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>vidui eterogenei. La selezione per fila-spiga rappresentò una mo<strong>di</strong>fica della<br />

selezione massale, nel senso che la progenie della singola spiga era allevata<br />

in<strong>di</strong>vidualmente, consentendo una più precisa valutazione del materiale scelto. La<br />

procedura <strong>di</strong>mostrò un’efficacia modesta per l’incremento della produzione, ma attirò<br />

l’attenzione sull’importanza <strong>di</strong> spostare la valutazione dall’in<strong>di</strong>viduo alla sua<br />

<strong>di</strong>scendenza. La selezione tra ed entro linee, specialmente se la <strong>di</strong>scendenza derivava da<br />

autofecondazione, permetteva <strong>di</strong> evidenziare gli eventuali effetti negativi <strong>degli</strong> alleli<br />

recessivi.<br />

Uno spettacolare salto <strong>di</strong> qualità nel miglioramento genetico del mais fu<br />

realizzato con l’introduzione del concetto <strong>di</strong> ibrido. L’era dei mais ibri<strong>di</strong> cominciò nel<br />

1909 con la contemporanea e in<strong>di</strong>pendente pubblicazione dei lavori <strong>di</strong> Shull e East,<br />

genetisti americani, che dettarono i principi generali della costituzione <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

mais: 1) Le piante <strong>di</strong> una popolazione naturale <strong>di</strong> mais sono ibri<strong>di</strong> complessi <strong>di</strong><br />

genealogia ignota: nulla è possibile dedurre sul loro genotipo in base al fenotipo. 2)<br />

Queste piante sottoposte forzatamente ad autofecondazione ripetuta tendono allo stato<br />

omozigote, per cui durante questo processo, detto <strong>di</strong> inbree<strong>di</strong>ng, caratteri recessivi<br />

prima nascosti compaiono e possono essere eliminati con la selezione. 3) Durante<br />

l’inbree<strong>di</strong>ng le <strong>di</strong>scendenze perdono progressivamente vigore e produttività, ma<br />

tendono ad uniformarsi, costituendo linee inbred (impropriamente dette anche linee<br />

pure) praticamente omozigoti. 4) L'incrocio <strong>di</strong> due linee inbred opportunamente scelte<br />

dà luogo a spettacolari manifestazioni del fenomeno dell’eterosi: la generazione ibrida<br />

(F1) è costituita da in<strong>di</strong>vidui eterozigoti, vigorosissimi e tutti uguali. L’eterosi è il<br />

maggior vigore vegetativo e riproduttivo (lussureggiamento) <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> rispetto ai<br />

parentali (sl. 14/9).<br />

Le linee inbred si ottengono dopo 5-10 anni <strong>di</strong> autofecondazione <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui<br />

scelti inizialmente entro una popolazione (ecotipo, varietà sintetica, ibrido da<br />

migliorare). L’autofecondazione si effettua ogni anno a mano, coprendo con buste <strong>di</strong><br />

carta l’infiorescenza femminile prima della sua antesi, per poi impollinarla, sempre a<br />

mano, col polline raccolto sul pennacchio della stessa pianta (sl. 14/8). Dopo ripetute<br />

generazioni <strong>di</strong> autofecondazione, le linee che presentano un sufficiente grado <strong>di</strong><br />

omozigosi per i caratteri desiderati vengono valutate per l’attitu<strong>di</strong>ne combinatoria, ossia<br />

l’attitu<strong>di</strong>ne a produrre buoni ibri<strong>di</strong> quando incrociate con altre linee (sl. 14/12). Gli<br />

ibri<strong>di</strong> ottenuti vengono inseriti in prove pluriennali <strong>di</strong> confronto agronomico con le<br />

migliori cultivars già <strong>di</strong>sponibili. I tempi tecnici per la realizzazione <strong>di</strong> un ibrido <strong>di</strong><br />

mais, che si aggirano me<strong>di</strong>amente sui 10-15 anni, possono essere ridotti a 5-7 qualora si<br />

<strong>di</strong>sponga <strong>di</strong> linee parentali già conosciute. Un ibrido viene definito a formula aperta o a<br />

formula chiusa a seconda che le linee inbred <strong>di</strong> partenza vengano <strong>di</strong>chiarate o tenute<br />

segrete. Gli ibri<strong>di</strong> possono essere a due vie, a tre vie, o a quattro vie, a seconda del<br />

numero <strong>di</strong> linee inbred coinvolte.<br />

Un mais ibrido è quin<strong>di</strong> la prima generazione <strong>di</strong> un incrocio tra linee inbred con<br />

elevata attitu<strong>di</strong>ne combinatoria specifica (sl. 14/13, 15). È evidente che ad ogni<br />

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generazione la combinazione genetica dell’ibrido va ricostituita e che il seme va<br />

rinnovato ogni anno.<br />

Gli ibri<strong>di</strong> semplici, o a due vie, risultano costosi per i seguenti motivi: a) il<br />

rapporto <strong>di</strong> 1:1 tra piante impollinanti e piante portaseme, che porta a raccogliere seme<br />

ibrido solo sulla metà della superficie coltivata; b) la bassissima produttività delle piante<br />

portaseme le quali, essendo inbred, sono estremamente deboli. Questo alto costo <strong>di</strong><br />

produzione <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> semplici ne ha limitato e ne limita tuttora l’impiego, anche se si<br />

è riusciti ad abbassarne il prezzo ricorrendo alla tecnica delle ‘sister lines’, ossia <strong>di</strong><br />

portaseme ottenute dall’incrocio tra due linee geneticamente molto affini (e, quin<strong>di</strong>, più<br />

vigorose <strong>di</strong> una vera linea inbred), e con l’inserimento <strong>di</strong> più efficienti fattori <strong>di</strong><br />

resistenza alle avversità ambientali e parassitarie.<br />

Per abbassare il costo della semente, senza rinunciare ai vantaggi <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong>, si<br />

è ricorsi agli ibri<strong>di</strong> doppi, o a quattro vie, i quali risultano dall’ibridazione <strong>di</strong> due <strong>di</strong>versi<br />

incroci semplici (sl. 14/17). Si deve cioè <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> quattro linee inbred (es. A, B, C e<br />

D) che abbiano tra loro una buona attitu<strong>di</strong>ne combinatoria semplice. Esse vengono<br />

combinate a due a due, a costituire due ibri<strong>di</strong> semplici (A×B) e (C×D). La produzione<br />

dell’ibrido doppio si fa seminando l’ibrido impollinante e quello portaseme in un<br />

rapporto <strong>di</strong> 1:3, dato che le piante impollinanti sono ibride e hanno un’abbondante<br />

produzione <strong>di</strong> polline. Il costo <strong>di</strong> produzione <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> doppi è così inferiore a quello<br />

<strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> semplici, perché il seme ibrido viene raccolto sui 3/4 della superficie<br />

coltivata e su piante portaseme che, essendo ibride, danno un’alta resa. Gli ibri<strong>di</strong> doppi<br />

sono meno uniformi e vigorosi <strong>di</strong> quelli semplici, ma avendo una più larga base<br />

genetica <strong>di</strong>mostrano una maggiore capacità <strong>di</strong> adattarsi alle <strong>di</strong>verse con<strong>di</strong>zioni<br />

ambientali. Una via <strong>di</strong> mezzo tra gli ibri<strong>di</strong> semplici e quelli doppi è rappresentata dagli<br />

ibri<strong>di</strong> a tre vie: [(A×B)×C]. Le caratteristiche <strong>di</strong> plasticità adattativa e il costo <strong>degli</strong><br />

ibri<strong>di</strong> a tre vie sono interme<strong>di</strong> tra quelli <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> a due e a quattro vie. Fatta pari a<br />

100 la potenzialità produttiva <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> a due vie, si considera pari a 90 quella <strong>degli</strong><br />

ibri<strong>di</strong> a tre vie, e 80 quella <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> a quattro vie.<br />

Per la produzione <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong>, prima che inizi la deiscenza del polline si deve<br />

procedere all’asportazione dei pennacchi dalle piante portaseme (castrazione o<br />

emasculazione) (sl. 14/19). Questa operazione deve essere compiuta scrupolosamente<br />

perché è tollerato che non più del 2 per mille delle piante portaseme producano polline<br />

per imperfezione della castrazione, pena l’esclusione del seme dalla certificazione. Per<br />

evitare la castrazione manuale, costosa perché richiede manodopera e grande<br />

tempestività, si ricorse alla maschiosterilità citoplasmatica, dovuta alla presenza <strong>di</strong><br />

fattori sotto controllo genetico extra-nucleare che impe<strong>di</strong>scono la formazione del<br />

polline. Per evitare che la sterilità fosse trasmessa per via materna a tutta la progenie,<br />

rendendo <strong>di</strong> fatto sterile l’ibrido, era necessario che nella linea impollinante fossero<br />

presenti dei geni nucleari <strong>di</strong> restorazione della fertilità (Rf). La prima e più affidabile<br />

linea maschiosterile (denominata CMS-T) fu usata per circa due decenni, finché essa<br />

non si rivelò estremamente suscettibile a Helmintosporium may<strong>di</strong>s. Da allora, altre linee<br />

maschiosterili sono state identificate ed utilizzate, anche se spesso queste hanno<br />

mostrato un’indesiderata restorazione della fertilità dovuta ad effetti ambientali. Questo<br />

fatto e la frequente assenza <strong>di</strong> geni restoratori nucleari ha <strong>di</strong>minuito nel tempo il ricorso<br />

alla maschiosterilità, tornando a produrre ibri<strong>di</strong> col sistema tra<strong>di</strong>zionale della<br />

castrazione, tutt’al più impiegando delle macchine emasculatrici.<br />

La produzione <strong>di</strong> granella è stato ed è l’obiettivo principale <strong>di</strong> ogni programma<br />

<strong>di</strong> miglioramento genetico. Il carattere <strong>di</strong>pende tuttavia da molti altri caratteri<br />

morfologici, fisiologici e <strong>di</strong> adattamento. Per la produzione <strong>di</strong> granella è importante sia<br />

la potenzialità <strong>di</strong> assimilazione (source) che quella <strong>di</strong> immagazzinamento (sink). Il sink<br />

65


è stato potenziato con successo selezionando soprattutto per caratteri morfologici come<br />

la lunghezza e il numero dei ranghi della spiga e la lunghezza delle cariossi<strong>di</strong>. Ulteriori<br />

progressi potrebbero forse essere ottenuti anche con piante potenzialmente polispiga,<br />

anziché monospiga come le attuali. Oggi c’è l’orientamento ad innalzare il limite della<br />

produttività cercando <strong>di</strong> selezionare altri caratteri legati all’attività <strong>di</strong> assimilazione<br />

(source). Il portamento eretto delle lamine fogliari, ad esempio, riduce la competizione<br />

per la luce, perché le foglie superiori ombreggiano <strong>di</strong> meno quelle inferiori rispetto alle<br />

foglie con portamento reclinato. In questo modo si può aumentare utilmente<br />

l’estensione dell’apparato fogliare me<strong>di</strong>ante l’aumento della fittezza <strong>di</strong> allevamento.<br />

Anche la selezione <strong>di</strong> ibri<strong>di</strong> stay green, che mantengono più lungo funzionale l’apparato<br />

fogliare, aumenta l’efficienza dell’apparato assimilatore. Allo stesso scopo agiscono<br />

anche le maggiori resistenze ad avversità biotiche e abiotiche (sl. 14/21-22).<br />

La giusta precocità è un’altra caratteristica <strong>di</strong> adattamento ai fini della<br />

produttività. La lunghezza del suo ciclo, ed in particolare dei sottoperio<strong>di</strong> nei quali il<br />

ciclo può essere <strong>di</strong>viso, è infatti determinante per la produttività <strong>di</strong> un mais. Sembra<br />

conveniente che il mais sia precoce nella fioritura, abbia una lunga fase <strong>di</strong> riempimento<br />

della granella, e una rapida essiccazione <strong>di</strong> questa dopo la maturazione fisiologica. I<br />

nuovi ibri<strong>di</strong> a rapida maturazione (fast dry down) sod<strong>di</strong>sfano quest’ultima con<strong>di</strong>zione.<br />

Altro carattere importante è la resistenza al freddo, per fornire ibri<strong>di</strong> capaci <strong>di</strong><br />

germinare o <strong>di</strong> resistere senza danno a temperature relativamente basse, utili per<br />

consentire <strong>di</strong> anticipare <strong>di</strong> qualche giorno la semina e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> allungare la stagione <strong>di</strong><br />

crescita.<br />

Tra le avversità biotiche, la resistenza alle malattie fogliari (<strong>di</strong> cui la più temibile<br />

in Italia è l’elminosporiosi), ai marciumi e alla piralide sono fondamentali obiettivi del<br />

miglioramento genetico.<br />

Il miglioramento genetico punta anche a migliorare la qualità delle proteine<br />

endospermiche (zeina), mo<strong>di</strong>ficandone la composizione amminoaci<strong>di</strong>ca. La zeina<br />

contiene poca lisina, e ciò ne rende basso il valore biologico per gli animali<br />

monogastrici. Sono stati scoperti dei geni capaci <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare in senso favorevole la<br />

sintesi proteica nell’endosperma, inducendo una maggior quota <strong>di</strong> lisina. Il mutante più<br />

considerato è stato, come già ricordato, l’opaque-2 (O2). Purtroppo ci sono ostacoli alla<br />

<strong>di</strong>ffusione dei mais opaque, quali la bassa produttività, l’elevata umi<strong>di</strong>tà alla raccolta, e<br />

la suscettibilità della spiga alle malattie e delle cariossi<strong>di</strong> ad essere lesionate durante la<br />

raccolta.<br />

Tra le nuove tecnologie, il miglioramento genetico fa sempre più affidamento su<br />

tecniche <strong>di</strong> selezione assistita, me<strong>di</strong>ante marcatori molecolari (RFLP, AFLP, SSR, SNP,<br />

etc.) che rendono possibile seguire la sorte del gene <strong>di</strong> interesse attraverso il<br />

riconoscimento <strong>di</strong> un segmento <strong>di</strong> DNA ad esso associato. Per i caratteri quantitativi più<br />

importanti (es. resa, qualità), l’obiettivo è <strong>di</strong> identificare uno o più QTL (Quantitative<br />

Trait Loci), ossia regioni <strong>di</strong> DNA associate a tali caratteri. Un carattere quantitativo è <strong>di</strong><br />

solito determinato dalla somma dell’azione <strong>di</strong> più geni e <strong>di</strong> conseguenza <strong>di</strong>versi QTL<br />

possono essere associati ad un singolo carattere. Il numero <strong>di</strong> QTL coinvolti fornisce<br />

informazioni sull’architettura genetica <strong>di</strong> un carattere quantitativo.<br />

Il mais è stato recentemente oggetto <strong>di</strong> un intenso lavoro <strong>di</strong> miglioramento con le<br />

tecniche dell’ingegneria genetica, che si è tradotto nella realizzazione <strong>di</strong> ibri<strong>di</strong> GM.<br />

Attualmente due sono i caratteri ingegnerizzati e commercializzati: la resistenza alla<br />

piralide e la resistenza al glifosate. Nel primo caso, la resistenza del mais al fitofago è<br />

stata realizzata introducendo nel genoma del mais un gene (Bt) del Bacillus<br />

thuringensis, parassita delle larve <strong>di</strong> piralide. Con questo inserimento, il mais GM<br />

66


produce nei suoi tessuti la tossina batterica che uccide le larve che lo attaccano (sl.<br />

14/29). Nel secondo caso, l’ingegneria genetica ha inserito nel genoma del mais un gene<br />

che detossifica il <strong>di</strong>serbante totale glifosate. Si è così ottenuto un mais GM sul quale il<br />

<strong>di</strong>serbante è assolutamente innocuo, mentre è letale per qualsiasi pianta infestante.<br />

Uso non zootecnico del mais<br />

Nel mondo, circa il 30% della produzione <strong>di</strong> mais è destinata all’alimentazione umana,<br />

a trasformazione nell’industria agro-alimentare o ad altri usi industriali. Il giro <strong>di</strong> affari<br />

del mais per usi non zootecnici in Italia supera i 500 M <strong>di</strong> euro annui (sl. 15/3). Il mais<br />

per uso non zootecnico è destinato soprattutto alle industrie della fermentazione e<br />

<strong>di</strong>stillazione (per la preparazione <strong>di</strong> whisky, alcol o birra), alle industrie della<br />

macinazione ad umido (per la preparazione <strong>di</strong> amido, olio, sciroppo <strong>di</strong> gluosio,<br />

destrosio, etc.) e ai molini per la macinazione a secco (per la preparazione <strong>di</strong> farine) (sl.<br />

15/4).<br />

Lo scopo della macinazione umida è la produzione <strong>di</strong> amido puro e <strong>di</strong> vari<br />

prodotti derivati dall’amido estratto. Il processo si basa sull’impiego dell’acqua calda<br />

(per 30-36 ore, a temperatura inferiore a 50 °C), integrata da processi chimici o<br />

enzimatici per convertire l’amido in sciroppi e zucchero. I sottoprodotti che ne derivano<br />

sono i germi usati per estrarre olio o, unitamente ai pericarpi (crusca), per<br />

l’alimentazione <strong>degli</strong> animali. L’amido è usato tal quale dopo essiccazione (amido<br />

nativo) o mo<strong>di</strong>ficato con trattamenti chimici, fisici o enzimatici per ottenere i suoi<br />

derivati usati come dolcificanti, fonti <strong>di</strong> zuccheri fermentescibili, etc (sl. 15/10).<br />

L’olio <strong>di</strong> mais è molto apprezzato per l’alto contenuto in aci<strong>di</strong> grassi insaturi<br />

(oltre l’80%) e l’alto contenuto in sostanze antiossidanti (tocoferoli). Il glutine <strong>di</strong> mais,<br />

che rimane come residuo dopo la macinazione umida, e il panello <strong>di</strong> germe, che rimane<br />

dopo l’estrazione dell’olio, sono utilizzati nell’industria mangimistica per il loro alto<br />

contenuto proteico.<br />

Con la macinazione a secco, la granella viene macinata e sottoposta a tre<br />

operazioni <strong>di</strong> setacciatura, dalle quali si ricavano: la bramata o semolino, che è il<br />

prodotto più grossolano, usato per preparare prodotti per la prima colazione a base <strong>di</strong><br />

cereali (corn flakes), per mezzo <strong>di</strong> cottura, rullatura e tostatura; il fioretto o farina <strong>di</strong><br />

me<strong>di</strong>a finezza, cucinato in acqua bollente per preparare la polenta; il fumetto o farina<br />

fine, che è usata per fare frittelle, pane <strong>di</strong> mais, vari altri prodotti da forno (dolci e<br />

biscotti) o per l’industria della birra o del whisky in sostituzione del malto.<br />

Negli ultimi anni si sta assistendo ad una rapida espansione dell’impiego del<br />

mais come fonte <strong>di</strong> energia alternativa, sia per la produzione <strong>di</strong> energia convertibile<br />

(combustibili) che per la combustione <strong>di</strong>retta (della granella o dei residui). I<br />

combustibili ottenibili sono l’etanolo (per fermentazione <strong>degli</strong> zuccheri derivanti<br />

dall’amido contenuto nella granella; in futuro anche dagli stocchi, ricchi <strong>di</strong> cellulosa,<br />

con lo sviluppo dei cosiddetti ‘biocarburanti <strong>di</strong> seconda generazione’) (sl. 15/18) ed il<br />

metano (per fermentazione delle biomasse fornite dalla pianta intera) (sl. 15/20-21).<br />

Per la combustione <strong>di</strong>retta si possono utilizzare i residui (stocchi, foglie, tutoli,<br />

brattee) utilizzati tal quali, o imballati, o addensati in pellet o bricchette <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse<br />

<strong>di</strong>mensioni; la granella, in sostituzione <strong>di</strong> pellet legnosi, in caldaie <strong>di</strong> piccole<br />

<strong>di</strong>mensioni; o i prodotti della lavorazione della granella (es. farine, amido) quali<br />

ingre<strong>di</strong>enti o ad<strong>di</strong>tivi dei pellet.<br />

Come biomassa, il mais raccolto a maturazione cerosa è competitivo nei<br />

confronti <strong>di</strong> altre colture de<strong>di</strong>cate <strong>di</strong> specie <strong>erbacee</strong> annuali (kenaf, sorgo da fibra),<br />

67


specie <strong>erbacee</strong> perenni (canna comune, cardo, etc.) o specie arboree a breve rotazione<br />

(pioppo, salice, robinia).<br />

Avversità<br />

Meteoriche: estremi <strong>di</strong> temperature, siccità, ristagno idrico, vento, gran<strong>di</strong>ne.<br />

Parassiti animali ipogei: elateri<strong>di</strong> (ferretti), agroti<strong>di</strong> (nottue), miriapo<strong>di</strong>, maggiolino,<br />

grillotalpa (sl. 15/25).<br />

Parassiti animali epigei: piralide, <strong>di</strong>abrotica, nottua delle graminacee, tripi<strong>di</strong>, sesamia,<br />

crambide (sl. 15/25).<br />

Parassiti vegetali: carbone, elmintosporiosi, fusariosi, marciumi dello stocco.<br />

La piralide (Ostrinia nubilalis) è un lepidottero le cui larve, scavando il culmo<br />

dall’interno, ne facilitano lo stroncamento (sl. 15/26). Il danno produttivo causato da un<br />

attacco <strong>di</strong> piralide può raggiungere anche il 30%, a cui si aggiungono i danni qualitativi<br />

determinati dallo sviluppo <strong>di</strong> muffe sulle spighe danneggiate e conseguente produzione<br />

<strong>di</strong> micotossine. Le spighe sono attaccate soprattutto dalla seconda generazione<br />

dell’insetto, la quale depone le uova sulle spighe stesse, mentre la prima generazione,<br />

originata dalle larve svernanti nei residui colturali, ovidepone sulla pagine inferiore<br />

delle foglie prima dell’emissione del pennacchio (sl. 15/27). Il livello <strong>di</strong> suscettibilità<br />

cresce con lo sviluppo della pianta e con la conseguente <strong>di</strong>minuzione nelle foglie del<br />

glucoside <strong>di</strong>mboa (sta<strong>di</strong> V7-9). Questo glucoside, a contatto con la saliva delle larve <strong>di</strong><br />

piralide, si idrolizza risultando tossico per le larve stesse. Tra i mezzi <strong>di</strong> lotta si<br />

segnalano la trinciatura e l’interramento <strong>degli</strong> stocchi entro la prima decade <strong>di</strong> aprile per<br />

contrastare la prima generazione e i trattamenti bioinsettici<strong>di</strong> a base <strong>di</strong> Bacillus<br />

thuringensis, o chimici (deltametrina) (sl. 15/31-33). È molto importante l’epoca dei<br />

trattamenti, da eseguire dopo la schiusa delle uova e prima della penetrazione delle larve<br />

<strong>di</strong> seconda generazione nella pianta, <strong>di</strong> solito dopo una settimana dallo sfarfallamento<br />

(all’incirca agli inizi <strong>di</strong> luglio), monitorato con apposite trappole per gli adulti (sl.<br />

15/29-30).<br />

La <strong>di</strong>abrotica (<strong>Di</strong>abrotica virgifera virgifera) rappresenta attualmente la più<br />

grave minaccia per la maiscoltura del nord Italia (sl. 15/34). <strong>Di</strong> origine nordamericana,<br />

dove rappresenta una delle più importanti avversità del mais, in pochi anni è <strong>di</strong>ventato<br />

un serio problema per <strong>di</strong>versi paesi europei. È comparsa in Italia nel 1999, e nel 2002 ha<br />

raggiunto la Lombar<strong>di</strong>a (sl. 15/37-38). La <strong>di</strong>abrotica sverna come uovo deposto nel<br />

terreno ad una profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> circa 15 cm nei mesi <strong>di</strong> luglio-agosto. La profon<strong>di</strong>tà è<br />

influenzata dalla tessitura del terreno, <strong>di</strong>ventando più superficiale nei terreni pesanti. Le<br />

larve sono rinvenute nel nord Italia a partire dal mese <strong>di</strong> maggio, con un picco attorno a<br />

metà giugno, anche se la schiusa può protrarsi fino ad inizio luglio. I primi danni si<br />

manifestano a giugno ma <strong>di</strong>ventano evidenti soltanto verso la prima decade <strong>di</strong> luglio.<br />

La temperatura ottimale per lo sviluppo delle larve è <strong>di</strong> circa 22 °C; a questa<br />

temperatura lo sta<strong>di</strong>o larvale dura circa 30 giorni. La percentuale <strong>di</strong> sopravvivenza è<br />

favorita dall’umi<strong>di</strong>tà del terreno e dalla presenza <strong>di</strong> piante ospiti. Le larve mature si<br />

localizzano vicino alla superficie del terreno dove si impupano. La durata dello sta<strong>di</strong>o<br />

pupale è <strong>di</strong> 1-2 giorni a 22 °C. Negli areali della Pianura Padana gli adulti volano da<br />

giugno sino a ottobre. Il picco <strong>degli</strong> adulti si ha tra la fine <strong>di</strong> giugno e la prima decade<br />

<strong>di</strong> luglio, in corrispondenza della fioritura del mais. Gli adulti sono maggiormente attivi<br />

ad una temperatura compresa tra 23 e 27 °C; mentre nelle ore più calde, quando la<br />

temperatura supera i 30 °C, si aggregano sulle porzioni della pianta meno esposte al<br />

sole, protetti dalle brattee della spiga o dalle guaine fogliari. La durata della vita <strong>degli</strong><br />

adulti è influenzata da fattori quali fotoperiodo e <strong>di</strong>sponibilità alimentare; stu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

68


laboratorio hanno in<strong>di</strong>cato una durata variabile da 50 giorni a circa tre mesi. Entro una<br />

settimana dallo sfarfallamento si hanno i primi accoppiamenti, che proseguiranno per<br />

l’intero periodo <strong>di</strong> vita <strong>degli</strong> adulti; sia i maschi che le femmine possono accoppiarsi più<br />

volte nella loro vita. La fecon<strong>di</strong>tà delle femmine <strong>di</strong>pende principalmente da<br />

temperatura, fotoperiodo e <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> alimento; me<strong>di</strong>amente vengono deposte 400<br />

uova, anche se il loro numero può variare da circa 100 a 1000. Grazie all’azione del<br />

vento, o sfruttando <strong>di</strong>versi vettori tra cui l’uomo, gli adulti possono spostarsi anche <strong>di</strong><br />

25-40 km l’anno. Le femmine depongono le uova in piccoli gruppi e completano la<br />

deposizione in circa 20 giorni, pre<strong>di</strong>ligendo terreni umi<strong>di</strong> e sciolti. Viene effettuata una<br />

sola generazione annua (sl. 15/39-40). I danni sono causati sia dalle larve che dagli<br />

adulti, anche se sono le prime a causare la maggiori per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> resa. Nutrendosi a carico<br />

dell’apparato ra<strong>di</strong>cale, esse causano, in relazione alla gravità dell’attacco, l’allettamento<br />

della pianta e la <strong>di</strong>minuzione della capacità <strong>di</strong> assobimento dell’acqua e <strong>degli</strong> elementi<br />

nutritivi, con conseguente calo <strong>di</strong> produzione. Le piante allettate tendono a risollevarsi<br />

dal suolo assumendo una tipica conformazione che viene definita ‘a collo d’oca’ (sl.<br />

15/35, 41). Le piante colpite possono essere estratte dal terreno con facilità. L’entità dei<br />

danni <strong>di</strong>pende dal numero <strong>di</strong> larve presenti, dal tipo <strong>di</strong> terreno, dalle con<strong>di</strong>zioni<br />

ambientali, dalle pratiche agronomiche ed irrigue, dalla tipologia <strong>di</strong> ibrido e dalle<br />

con<strong>di</strong>zioni della pianta. I cali <strong>di</strong> resa aumentano se l’attacco delle larve coincide con<br />

uno stress per la pianta causato, ad esempio, da siccità. Gli adulti sono polifagi e i danni<br />

causati al mais sono in genere limitati; essi si nutrono delle foglie e delle sete<br />

dell’infiorescenza femminile. In seguito, nelle fasi <strong>di</strong> maturazione lattea e cerosa, si<br />

nutrono a spese delle cariossi<strong>di</strong>, senza però provocare danni ingenti. L’azione trofica<br />

esercitata sugli stimmi fiorali può causare però aborti fiorali, interferendo<br />

negativamente con l’allegagione(sl. 15/42-43). La <strong>di</strong>abrotica si può combattere con<br />

accorgimenti <strong>di</strong> tipo agronomico, oltre che chimico. La lotta agronomica, <strong>di</strong> tipo<br />

preventivo, è fondamentale per evitare gravi infestazioni La <strong>di</strong>abrotica causa danni<br />

economici esclusivamente al mais in monosuccessione, che determina la formazione <strong>di</strong><br />

popolazioni larvali consistenti. L’avvicendamento con altre specie causa la morte delle<br />

larve nel terreno, le quali non trovano piante su cui alimentarsi. In genere le semine<br />

precoci sono da preferirsi poiché consentono alla pianta <strong>di</strong> giungere con le ra<strong>di</strong>ci<br />

maggiormente sviluppate al periodo <strong>di</strong> massima comparsa dell’insetto. Un apparato<br />

ra<strong>di</strong>cale vigoroso permette una migliore resistenza all’allettamento anche in presenza<br />

del danno subito da parte delle larve. Inoltre, le piante che hanno completato la fioritura<br />

risultano meno attrattive nei confronti della <strong>di</strong>abrotica. La scelta dell’ibrido deve<br />

ricadere su varietà con apparato ra<strong>di</strong>cale particolarmente vigoroso e con una buona<br />

resistenza all’allettamento. Al contrario, le semine tar<strong>di</strong>ve (da maggio in avanti)<br />

coincidono con la schiusa delle uova e con la comparsa delle popolazioni larvali quando<br />

le ra<strong>di</strong>ci sono ancora deboli e poco sviluppate. Le operazioni colturali devono creare le<br />

con<strong>di</strong>zioni migliori per la crescita della pianta, in quanto un mais vigoroso, in ottime<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> rifornimento idrico e nutrizionale è nelle migliori con<strong>di</strong>zioni per<br />

contrastare un attacco <strong>di</strong> <strong>di</strong>abrotica. Le lavorazioni pre-semina devono mirare a favorire<br />

lo sgrondo delle acque in eccesso nel terreno, in quanto i terreni umi<strong>di</strong> sono preferiti<br />

dalle femmine per la deposizione delle uova. La rincalzatura favorisce la formazione <strong>di</strong><br />

ra<strong>di</strong>ci avventizie e quin<strong>di</strong> migliora la stabilità della pianta. L’andamento climatico<br />

influenza fortemente le popolazioni dell’insetto. In particolare, primavere piovose<br />

favoriscono il mantenimento <strong>di</strong> popolazioni elevate <strong>di</strong> uova e larve; al contrario, inverni<br />

e primavere miti e siccitose causano un’elevata mortalità delle uova.<br />

Gli elateri<strong>di</strong> (gen. Agriotes) sono dannosi per il mais durante il loro sta<strong>di</strong>o<br />

larvale (ferretti; sl. 15/47). I ferretti sono frequenti nel terreno dopo prato o me<strong>di</strong>caio.<br />

Le larve completano lo sviluppo dopo numerose mute (più <strong>di</strong> 8) superando anche due<br />

69


inverni. Le larve, ma anche gli adulti, prima attaccano i semi in germinazione,<br />

successivamente la parte interrata della pianta e poi l’intera pianta. Striature gialle sulle<br />

foglie <strong>di</strong> piante in accrescimento sono un sintomo specifico del parassita. Le piante<br />

adulte attaccate da elateri<strong>di</strong> presentano fusti esili, altezza ridotta e spighe atrofizzate (sl.<br />

15/48). La lotta viene eseguita con la concia del seme o con geoinsettici<strong>di</strong>.<br />

Le nottue (gen. Agrotis) provocano danni per erosioni sia sulle foglie che al<br />

colletto e sugli organi sotterranei (sl. 15/50). La lotta viene eseguita con trattamenti<br />

insettici<strong>di</strong> a base <strong>di</strong> deltametrina, nel tardo pomeriggio o alla sera.<br />

Afi<strong>di</strong> (Rhopalosiphon mai<strong>di</strong>s, R. pa<strong>di</strong>) e cicaline (Metopolophium <strong>di</strong>rhodum,<br />

Laodelphax striatellus, Peregrinum mai<strong>di</strong>s) attaccano l’apparato aereo del mais (sl.<br />

15/51). Oltre a determinare un danno <strong>di</strong>retto a seguito dell’attività trofica, essi possono<br />

essere vettori <strong>di</strong> virus quali il mosaico del mais (Maize Mosaic Virus, MMV), o il<br />

nanismo ruvido del mais (Maize Rough Dwarf Virus, MRDV) e causare quin<strong>di</strong><br />

consistenti per<strong>di</strong>te produttive e qualitative (sl. 15/52). La lotta si esegue con la concia<br />

del seme o con trattamenti insettici<strong>di</strong>.<br />

Principali malattie fungine<br />

• Carbone (Ustilago may<strong>di</strong>s; sl. 15/56)<br />

• Marciume del seme e delle plantule (Pythium spp., Helmintosporium spp.; sl.<br />

15/57)<br />

• Elmintosporiosi (Helmintosporium turcicum, H. may<strong>di</strong>s; sl. 15/58)<br />

• Peronospora (Sclerospora macrospora; sl. 15/59)<br />

• Marciume dello stocco (Fusarium graminearum; sl. 15/60)<br />

• Fusariosi della spiga (Fusarium verticillioides; sl. 15/61)<br />

• Marciumi da Aspergillus flavus<br />

• Marciumi delle spighe e delle cariossi<strong>di</strong> (Fusarium spp., Gibberella spp.)<br />

Il carbone causa la formazione <strong>di</strong> galle su varie parti della pianta, ma soprattutto<br />

sulla spiga. Le galle sono bianche, ma dopo circa 20 giorni si trasformano in una massa<br />

nera polverulenta. La malattia è favorita da un andamento climatico caldo-asciutto.<br />

Il marciume del seme e delle plantule, causato da funghi dei generi Pythium ed<br />

Helmintosporium presenti nel terreno o sul seme, è spesso causa <strong>di</strong> morte della pianta.<br />

L’infezione prende avvio sulle parti della pianta a contatto con il terreno, causando<br />

imbrunimenti e successivi fenomeni <strong>di</strong> marcescenza. La gravità della malattia è<br />

influenzata dalle caratteristiche del terreno (cattivo drenaggio, eccessiva compattezza,<br />

bassa temperatura ed eccessivo contenuto idrico).<br />

L’elmintosporiosi è una malattia fogliare che causa <strong>di</strong>sseccamenti con<br />

conseguente indebolimento della pianta. La malattia è favorita da con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà<br />

molto alta. La specie H. may<strong>di</strong>s comprende due razze: la razza ‘O’ e la razza ‘T’.<br />

Quest’ultima è la più pericolosa, attaccando le foglie, le guaine ed il culmo, e<br />

determinando il marciume del tutolo. Questi patogeni vengono controllati me<strong>di</strong>ante la<br />

concia del seme.<br />

La peronospora, o cima pazza, causa alterazioni in varie parti della pianta. La<br />

più caratteristica è quella a carico del pennacchio, che si trasforma in una massa <strong>di</strong><br />

strutture fogliari. L’infezione è favorita da con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> sommersione delle giovani<br />

piantine (fino allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 4-5 foglie). Altri sintomi comprendono abbondanti<br />

accestimenti, arricciamenti e arrotolamenti delle foglie superiori, foglie strette e<br />

nastriformi e piante più piccole.<br />

70


Il marciume dello stocco provoca sintomi tipici come il rammollimento del<br />

culmo, soprattutto nella parte basale, e la sua <strong>di</strong>sgregazione. La malattia causa<br />

indebolimento della pianta, fino alla morte nei casi più gravi, allettamenti e stroncature<br />

del culmo, spighe ridotte, cariossi<strong>di</strong> piccole e striminzite e ammuffimenti sulla spiga.<br />

La fusariosi della spiga causa marciumi all’apice o su piccoli gruppi <strong>di</strong> cariossi<strong>di</strong><br />

in altre parti della spiga. Le spore del patogeno sono trasportate dal vento e l’infezione<br />

può avvenire attraverso le sete o attraverso ferite da gran<strong>di</strong>ne o da insetti, oltre che da<br />

seme infetto (sl. 15/62-63).<br />

I marciumi dello stocco, della spiga e delle cariossi<strong>di</strong> possono essere causati da<br />

<strong>di</strong>verse specie dei generi Fusarium e Gibberella (Fusarium graminearum, Gibberella<br />

zeae, F. verticilloides, G. fujikuroi, etc.; sl. 15/64-65), le quali sono responsabili della<br />

produzione <strong>di</strong> numerose micotossine. F. culmorum e F. graminearum producono<br />

tricoteceni e zearalenone; F. sporotrichiodes produce le tossine T2 e HT2; F.<br />

verticilliodes e F. proliferatum producono fumosine.<br />

Anche Aspergillus flavus e A. parasiticus possono provocare marciumi, che si<br />

manifestano con una muffa verde sulle cariossi<strong>di</strong> (sl. 15/67-68), e sono responsabili<br />

della produzione <strong>di</strong> aflatossine, la cui produzione può continuare anche in post-raccolta<br />

(si possono sviluppare anche in magazzino, con umi<strong>di</strong>tà della granella superiore al<br />

15%). L’infezione avviene attraverso le sete o le ferite delle cariossi<strong>di</strong>, specialmente<br />

quando l’umi<strong>di</strong>tà della granella scende sotto il 28%.<br />

Marciumi della spiga e delle cariossi<strong>di</strong> possono essere causati anche da funghi<br />

del genere Penicillium (sl. 15/69). I marciumi delle cariossi<strong>di</strong> si possono sviluppare<br />

soprattutto in magazzino se il seme è stato danneggiato. I funghi del genere Penicillium<br />

sono responsabili della produzione <strong>di</strong> ocratossine.<br />

In sintesi, i funghi del genere Aspergillus pre<strong>di</strong>ligono un clima caldo, in quanto<br />

molto termofili (resistono fino a 42 °C), e resistenti al secco, e sono tipici del postraccolta.<br />

I funghi del genere Penicillum pre<strong>di</strong>ligono invece ambienti freschi ed umi<strong>di</strong>, e<br />

sono anch’essi tipici del post-raccolta. Le specie del genere Fusarium preferiscono<br />

temperature fresche ed elevati livelli <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà, sono <strong>di</strong>ffuse nelle aree settentrionali <strong>di</strong><br />

coltura del mais, e sono tipiche delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> campo.<br />

Le micotossine sono sostanze naturali, prodotte da funghi microscopici, in grado<br />

<strong>di</strong> causare effetti tossici, acuti o cronici, sugli animali e sull’uomo. I funghi tossigeni<br />

sono dei Deuteromiceti e tra essi le specie più pericolose sono comprese nei generi<br />

Aspergillus, Fusarium e Penicillium, oltre ad Alternaria e Claviceps (sl. 15/77-78).<br />

Essendo sostanze stabili, le micotossine si accumulano nell’organismo e causano<br />

tossicità una volta raggiunto un certo livello nei tessuti.<br />

La loro pericolosità è elevata perché esse provocano gravi danni a <strong>di</strong>versi organi<br />

del corpo e riescono ad agire a basse concentrazioni. <strong>Di</strong>verse micotossine sono<br />

implicate nell’insorgenza <strong>di</strong> malattie nell’uomo (compreso un effetto cancerogeno). Il<br />

meccanismo d’azione si esplica a livello <strong>degli</strong> aci<strong>di</strong> nucleici, inibendo la sintesi del<br />

DNA, o alterando la trascrizione e la traduzione dell’informazione genetica e la sintesi<br />

proteica. Nei bovini da latte, suini e pollame, le micotossine provocano danni al fegato o<br />

in altri organi, riducendo l’efficienza della crescita, la conversione del mangime in<br />

carne, il livello <strong>di</strong> fertilità, la resistenza alle malattie, l’efficacia delle vaccinazioni, etc.<br />

Alcune passano attraverso l’apparato <strong>di</strong>gerente e si possono ritrovare, variamente<br />

mo<strong>di</strong>ficate, negli alimenti <strong>di</strong> origine animale. Non esistono meto<strong>di</strong> efficaci per<br />

eliminarle dai prodotti contaminati e permangono anche dopo che è stato eliminato<br />

l’organismo causale. Micotossine possono essere presenti anche in prodotti su cui la<br />

muffa non è visibile.<br />

71


La produzione <strong>di</strong> micotossine è con<strong>di</strong>zionata da fattori ambientali, tra cui i più<br />

importanti sono umi<strong>di</strong>tà e temperatura. I funghi tossigeni sono <strong>di</strong>ffusi in modo quasi<br />

ubiquitario nei nostri ambienti, sono dotati <strong>di</strong> grande capacità saprofitaria e vivono e si<br />

riproducono a spese <strong>di</strong> tutti i tipi <strong>di</strong> sostanza organica. Le micotossine si possono<br />

sviluppare sia nelle piante infette in campo, sia nelle derrate immagazzinate. In campo<br />

si possono sviluppare soprattutto quando le piante sono soggette a stress e su<br />

ibri<strong>di</strong>/varietà suscettibili.<br />

La tecnica colturale può influire sullo sviluppo dei funghi tossigeni. Nella fase <strong>di</strong><br />

raccolta ed essiccazione, i danni meccanici al seme e i tempi lunghi <strong>di</strong> riduzione<br />

dell’umi<strong>di</strong>tà possono favorire lo sviluppo dei funghi. In fase <strong>di</strong> conservazione, con<br />

presenza <strong>di</strong> superfici <strong>di</strong> condensazione e nuclei <strong>di</strong> riscaldamento si può avere un<br />

ulteriore sviluppo dei funghi e delle micotossine.<br />

Alcune micotossine sono labili al calore e il rischio <strong>di</strong> assunzione nell’uomo si<br />

riduce per effetto della cottura <strong>degli</strong> alimenti, mentre il rischio è rilevante nella<br />

formulazione dei mangimi per l’allevamento del bestiame, utilizzati senza trattamenti<br />

termici. La completa sanità è considerata oggi la base per ogni prodotto destinato<br />

all’alimentazione. I limiti <strong>di</strong> contaminazione tollerati <strong>di</strong>vengono sempre più restrittivi,<br />

sia perché la tecnica permette <strong>di</strong> evidenziare quantitativi sempre più bassi <strong>di</strong><br />

contaminanti, sia perché sono sempre più numerose le sostanze che vengono stu<strong>di</strong>ate e<br />

che risultano dannose (sl. 15/80-81).<br />

Le micotossine sono un problema <strong>di</strong> filiera. Punto chiave della strategia <strong>di</strong><br />

contenimento dello sviluppo <strong>di</strong> patogeni tossigeni è la gestione integrata<br />

dell’agrotecnica, dal momento che sullo sviluppo delle malattie fungine incide<br />

largamente l’andamento climatico, ma risultano fattori determinati anche le pratiche<br />

colturali e <strong>di</strong> post-raccolta, le scelte varietali e la protezione fungicida.<br />

Tra gli accorgimento agronomici per il controllo delle contaminazioni dei cereali<br />

da micotossine in fase <strong>di</strong> pre-raccolta si ricordano: i) la vocazionalità dell’ambiente; ii)<br />

gli avvicendamenti e la gestione dei residui colturali; iii) la scelta varietale; iv) le<br />

tecniche colturali più appropriate (in termini <strong>di</strong> epoca e densità <strong>di</strong> semina, concimazione<br />

ed irrigazione, trattamenti fitosanitari ed epoca <strong>di</strong> raccolta). In fase <strong>di</strong> raccolta e postraccolta,<br />

la tempestività della raccolta stessa, la pulizia e integrità della granella (sl.<br />

15/95) e la sua rapida essiccazione sono <strong>di</strong> fondamentale importanza per il controllo<br />

delle contaminazioni.<br />

Per limitare lo sviluppo <strong>di</strong> malattie nel mais, si può agire in modo preventivo<br />

attraverso la scelta <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> e delle tecniche colturali (avvicendamento; sfibramento e<br />

interramento dei residui colturali con l’aratura), o in modo curativo applicando<br />

agrofarmaci ad azione specifica contro i patogeni (sl. 15/91-92). Una corretta scelta del<br />

seme è alla base della prevenzione delle malattie, così come una buona semina. Il<br />

<strong>di</strong>serbo e la concimazione possono svolgere un ruolo importante nel controllo delle<br />

malattie, perché piante vigorose sono in grado <strong>di</strong> affrontare meglio gli attacchi dei<br />

patogeni. La concia del seme garantisce buona protezione delle plantule da insetti e<br />

patogeni presenti nel seme e nel terreno (sl. 15/99-100).<br />

72


SORGO<br />

Il sorgo (Sorghum bicolor) è una graminacea originaria <strong>di</strong> zone tropicali, a ciclo<br />

fotosintetico C4 come il mais, brevi<strong>di</strong>urna e macroterma (con ciclo primaverile-estivo).<br />

È stata una delle prime piante ad essere coltivata, e si ritiene che le forme attuali<br />

abbiano avuto la loro origine nelle aree tropicali dell’Africa centro-orientale (Sudan,<br />

Etiopia) <strong>di</strong>verse migliaia <strong>di</strong> anni fa. Dall’Africa il sorgo si è esteso in tutto il mondo:<br />

anticamente in Asia e in Europa, più recentemente in America e in Australia. È il quarto<br />

cereale per importanza nell’economia agricola mon<strong>di</strong>ale, dopo frumento, riso e mais,<br />

rappresentando il 6% della superficie globale a cereali, e il 3% della loro produzione.<br />

Insieme con il miglio e il panico, il sorgo rappresenta il cereale dei paesi più cal<strong>di</strong> e<br />

siccitosi e, in genere, più poveri. Oltre l’80% della superficie, e il 50% della produzione<br />

mon<strong>di</strong>ale, è localizzata in paesi in via <strong>di</strong> sviluppo, in particolare in Asia e Africa (sl.<br />

16/3), dove la granella viene utilizzata quasi esclusivamente nell’alimentazione umana e<br />

nella preparazione <strong>di</strong> bevande alcoliche. Le rese sono molto basse, dell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> 0.5-1<br />

t/ha, sia per la primitiva tecnica colturale, sia per le con<strong>di</strong>zioni ambientali avverse. Nelle<br />

agricolture dei paesi occidentali, la granella viene invece destinata all’alimentazione<br />

animale, in concorrenza con quella <strong>di</strong> mais, <strong>di</strong> cui ha analogo valore nutritivo. Negli<br />

USA, inoltre, una parte viene destinata alla trasformazione industriale in amido,<br />

zuccheri, sciroppo, alcol etilico, olio, etc. Nell’Unione Europea (dati 2007) sono stati<br />

coltivati 115 mila ha per una produzione <strong>di</strong> 600 mila t, prevalentemente in Francia (45%<br />

della produzione EU), Italia, Svezia, Spagna e Germania. La superficie coltivata in Italia<br />

è <strong>di</strong> 35000-40000 ha, piuttosto stabile nell’ultimo decennio.<br />

Esistono 6 sottogeneri, uno dei quali, l’Eusorghum, comprende i sorghi oggi<br />

coltivati, appartenenti alla specie Sorghum bicolor (L.) Moench [o Sorghum vulgare<br />

(Pers.)], con corredo cromosomico 2n=20 e caratterizzata da ampio polimorfismo.<br />

Le molteplici forme <strong>di</strong> sorgo esistenti possono essere classificate, secondo la loro<br />

destinazione, in sorghi da granella, sorghi da foraggio, sorghi zuccherini, sorghi da<br />

scopa e sorghi da biomassa (sl. 16/9). All’interno dei sorghi da granella vengono<br />

identificati <strong>di</strong>versi sottogruppi a seconda dell’area geografica <strong>di</strong> prevalente <strong>di</strong>ffusione<br />

(sl. 16/10).<br />

Caratteristiche botaniche<br />

Il sorgo coltivato è una pianta erbacea annuale, con ra<strong>di</strong>ci che si originano da una<br />

corona formata da 5-6 no<strong>di</strong> molto ravvicinati, ciascuno con un palco <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci. Queste<br />

sono simili a quelle del mais, ma più robuste, fibrose, più espanse lateralmente e in<br />

profon<strong>di</strong>tà, e con maggiore capacità <strong>di</strong> estrarre acqua.<br />

Il culmo è robusto, con un’altezza variabile da 50 cm fino a 3-4 m, con no<strong>di</strong> e<br />

interno<strong>di</strong> (nel sorgo zuccherino, var. saccharatum, il midollo è succulento e ricco <strong>di</strong><br />

zucchero). Sui no<strong>di</strong> basali sono presenti gemme che, germogliando, danno origine a<br />

culmi <strong>di</strong> accestimento; l’accestimento è maggiore nei sorghi da foraggio che in quelli<br />

da granella. L’ultimo internodo è molto allungato e facilita la raccolta con la<br />

mietitrebbia (carattere ‘combine’, dal termine combine con cui si in<strong>di</strong>ca la mietitrebbia<br />

in inglese; sl. 16/13). Il fusto è più basso per le varietà da granella, più alto per quelle<br />

da foraggio.<br />

Le foglie sono in numero <strong>di</strong> 8-10 nelle varietà precoci e 18-20 in quelle tar<strong>di</strong>ve.<br />

La lamina è lineare e lanceolata con margine lievemente dentellato (riconoscibile da<br />

quello liscio del mais). La presenza <strong>di</strong> pruina sulla lamina, insieme con le minori<br />

<strong>di</strong>mensioni <strong>degli</strong> stomi rispetto a quelli del mais, conferiscono una maggiore resistenza<br />

alla siccità.<br />

73


L’infiorescenza è una pannocchia (racemo composto) più o meno espansa detta<br />

panicolo, eretta o pendente. Il panicolo può esseere compatto, spargolo o semispargolo;<br />

l’asse principale porta numerose ramificazioni laterali con le spighette. Due<br />

giorni dopo la spigatura inizia la fioritura, che si completa in 6-10 giorni. La<br />

fecondazione è prevalentemente autogama (per circa il 95%).<br />

Le spighette sono a coppie, in cui una spighetta è monoflora, sessile e fertile, e<br />

l’altra è peduncolata e sterile. La forma delle spighette è globosa, leggermente<br />

compressa, con glume più o meno lunghe, coriacee, <strong>di</strong> vario colore. I fiori sono<br />

ermafro<strong>di</strong>ti, composti da tre stami, stilo bifido e stimma piumoso, ovario supero e<br />

monovulare. Le glume a maturità <strong>di</strong>ventano lucenti; le glumette sono membranose,<br />

raramente aristate: la lemma è cartacea e la palea è piccolissima.<br />

Il granello è una cariosside nuda o vestita dalle glume, colorata <strong>di</strong> bianco, giallo,<br />

bruno, rossiccio o bruno-violaceo per la presenza <strong>di</strong> pigmenti nelle cellule del pericarpo<br />

o dello spermoderma o <strong>di</strong> entrambi. Il peso <strong>di</strong> 1000 semi varia da 15 a 35-40 g, e il peso<br />

ettolitrico è <strong>di</strong> 65-70 kg/hl.<br />

Esigenze ambientali<br />

Rispetto al mais, il sorgo ha maggiori esigenze termiche: per germinare e nascere con<br />

accettabile prontezza richiede temperature del terreno <strong>di</strong> 14 °C, a fronte dei 12 °C<br />

necessari per il mais. Il sorgo ha però minori esigenze idriche del mais, in quanto è<br />

capace <strong>di</strong> sopportare con danno ridotto le deficienze <strong>di</strong> acqua. Le principali<br />

caratteristiche morfologiche e fisiologiche che conferiscono al sorgo una spiccata<br />

resistenza all’ari<strong>di</strong>tà sono: le ra<strong>di</strong>ci profonde ed espanse, capaci <strong>di</strong> estrarre dal terreno<br />

l’acqua anche quando questa è fortemente trattenuta; le foglie fortemente cutinizzate,<br />

ricoperte <strong>di</strong> pruina, con stomi meno numerosi e più piccoli <strong>di</strong> quelli del mais; il<br />

protoplasma capace <strong>di</strong> sopportare senza danni irreversibili temperature relativamente<br />

alte e <strong>di</strong>sidratazione piuttosto spinta; i consumi idrici unitari tra i più bassi; la capacità<br />

<strong>di</strong> entrare in stasi vegetativa rallentando i processi vitali in caso <strong>di</strong> stress idrico per<br />

riprenderli, con danno limitato, appena si siano ripristinate più favorevoli con<strong>di</strong>zioni<br />

idriche (nel mais, invece, lo stress idrico arresta la crescita irreparabilmente).<br />

È necessario che tra le riserve d’acqua del terreno e gli apporti <strong>di</strong> piogge durante<br />

il ciclo si possa contare su una quantità d’acqua stimabile intorno a 300-350 mm (o<br />

3000-3500 m 3 /ha). In terreni profon<strong>di</strong> e con buona capacità <strong>di</strong> ritenzione idrica (quin<strong>di</strong><br />

con esclusione <strong>di</strong> quelli sciolti) basta che piovano 120-150 mm nei mesi da giugno ad<br />

agosto per assicurare rese, se non altissime, quanto meno adeguate dal punto <strong>di</strong> vista<br />

economico. Queste con<strong>di</strong>zioni possono essere sod<strong>di</strong>sfatte in <strong>di</strong>verse regioni italiane,<br />

soprattutto dell’Italia centrale, anche in zone collinari piuttosto marginali. Nelle regioni<br />

meri<strong>di</strong>onali, troppo aride, il sorgo senza irrigazione non può essere proposto, ma<br />

potrebbe dare eccellenti risposte produttive ad irrigazioni limitate, aventi carattere <strong>di</strong><br />

soccorso.<br />

Per quanto riguarda il terreno, il sorgo si adatta bene anche a quelli argillosi<br />

pesanti e con me<strong>di</strong>ocre struttura; tollera un’ampia gamma <strong>di</strong> aci<strong>di</strong>tà (pH da 5.5 a 8.5) e<br />

un’elevata salinità.<br />

Tecnica colturale<br />

Avvicendamento<br />

Il sorgo da granella potrebbe senza inconvenienti succedere a sé stesso, ma <strong>di</strong> norma è<br />

considerata una pianta da rinnovo che segue e precede un cereale vernino. Dato che<br />

74


negli ambienti semi-ari<strong>di</strong>, dove il sorgo viene coltivato, le colture più sicure e red<strong>di</strong>tizie<br />

sono i cereali vernini, il sorgo viene infatti alternato a questi per evitare gli<br />

inconvenienti del ringrano. Dopo il sorgo, tuttavia, la fertilità del terreno è più bassa che<br />

dopo il mais o altre piante da rinnovo, tanto che il cereale successivo, in genere<br />

frumento, tende a produrre <strong>di</strong> meno. La principale causa del minore potenziale<br />

produttivo del frumento dopo il sorgo è la minore <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> azoto, provocata da<br />

una maggiore immobilizzazione biologica <strong>di</strong> questo elemento.<br />

Scelta dell’ibrido<br />

La giusta durata del ciclo (in<strong>di</strong>cata con lo stesso sistema delle classi FAO utilizzate per<br />

il mais) è fondamentale per la coltura del sorgo, poiché solo con i tipi <strong>di</strong> precocità<br />

appropriata si possono sfruttare completamente le limitate risorse idriche. Negli<br />

ambienti dove si può contare su una certa piovosità estiva, i risultati migliori si<br />

ottengono con gli ibri<strong>di</strong> <strong>di</strong> classe 300-400 (anche 500), i quali entrano in stasi vegetativa<br />

appena si sono esaurite le riserve d’acqua del suolo e vi restano fino alle prime piogge,<br />

quando si verifica la ripresa dell’attività vegetativa. È da evitare <strong>di</strong> coltivare sorghi<br />

me<strong>di</strong>o-tar<strong>di</strong>vi o tar<strong>di</strong>vi, dati i seri rischi che questi corrono <strong>di</strong> non raggiungere la<br />

maturazione della granella.<br />

Tra i caratteri morfologici, assumono particolare importanza nei riguar<strong>di</strong> della<br />

meccanizzazione la taglia bassa e una buona inserzione del panicolo: tutti gli ibri<strong>di</strong> da<br />

granella sono bassi (1.3-1.5 m <strong>di</strong> altezza anziché i 2-3 metri e più dei tipi da foraggio)<br />

(sl. 16/21, 23). Inoltre, per facilitare la mietitrebbiatura è importante che il panicolo sia<br />

sorretto da un lungo peduncolo, in modo da essere ben <strong>di</strong>stanziato dall’ultima foglia:<br />

regolando opportunamente l’altezza <strong>di</strong> taglio della barra falciante, si possono così<br />

raccogliere esclusivamente i panicoli evitando le parti ver<strong>di</strong> della pianta (carattere<br />

‘combine’). Nei tipi da granella è desiderabile un ridotto accestimento, per evitare ritar<strong>di</strong><br />

nella maturazione dei panicoli secondari.<br />

La granella <strong>di</strong> sorgo, per essere commercializzabile nella UE, deve avere un<br />

basso contenuto <strong>di</strong> tannini, la cui presenza abbassa la <strong>di</strong>geribilità della proteina.<br />

Pertanto, gli ibri<strong>di</strong> che erano stati selezionati per alto contenuto <strong>di</strong> tannini, onde renderli<br />

resistenti alla predazione <strong>degli</strong> uccelli (ibri<strong>di</strong> BR: ‘Bird Resistant’), sono in via <strong>di</strong><br />

abbandono (sl. 16/35).<br />

Preparazione del terreno<br />

Essendo il sorgo pianta da coltura asciutta, si deve favorire l’approfon<strong>di</strong>mento ra<strong>di</strong>cale e<br />

la costituzione <strong>di</strong> riserve idriche abbondanti nel terreno, me<strong>di</strong>ante lavorazioni profonde<br />

fatte tempestivamente prima dell’inizio della stagione piovosa, con aratura o, meglio,<br />

con lavorazione a due strati. È da escludere ogni possibile coltura intercalare, in quanto<br />

questa <strong>di</strong>minuirebbe le scorte d’acqua e renderebbe <strong>di</strong>fficile o impossibile preparare il<br />

letto <strong>di</strong> semina con la perfezione che il sorgo richiede. Le <strong>di</strong>mensioni del seme, la<br />

delicatezza delle plantule e la tarda data <strong>di</strong> semina impongono infatti una preparazione<br />

del terreno estremamente accurata. Nei terreni argillosi è necessario che il terreno sia<br />

preparato molto tempestivamente, durante l’autunno e l’inverno, con energiche<br />

erpicature, in modo che alla semina sia già ben livellato ed amminutato, tanto da non<br />

richiedere che l’intervento <strong>di</strong> erpici leggeri che smuovano solo uno strato molto<br />

superficiale. Solo in tal modo, lasciando agli agenti atmosferici il compito <strong>di</strong><br />

perfezionare lo sminuzzamento del terreno superficiale ed evitando <strong>di</strong> rimescolare gli<br />

strati, si può sperare <strong>di</strong> mettere i semi in con<strong>di</strong>zioni propizie alla germinazione e<br />

all’emergenza, con terreno amminutato così da ben aderire ai semi, umido già alla<br />

75


profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> 2-3 cm, e ben strutturato per prevenire la formazione <strong>di</strong> crosta. La perfetta<br />

preparazione del terreno è la fase forse più delicata della coltura.<br />

Semina<br />

L’epoca <strong>di</strong> semina è determinata dalla temperatura minima per la germinazione, che nel<br />

caso del sorgo è più alta <strong>di</strong> quella del mais (14 °C anziché 12 °C). Ciò obbliga a<br />

seminare dopo il mais, all’incirca da fine aprile, al Sud, a metà maggio, al Centro. È<br />

necessario seminare con la massima tempestività, tenendo conto che ogni ritardo nella<br />

semina avrà ripercussioni negative sulla produzione. Con gli ibri<strong>di</strong> me<strong>di</strong>o-precoci, che<br />

sono i più coltivati, la semina è eseguita a file <strong>di</strong>stanti 40-50 cm, impiegando la<br />

seminatrice del frumento o quella <strong>di</strong> precisione regolata in modo da seminare una<br />

quantità <strong>di</strong> seme sufficiente ad assicurare una densità <strong>di</strong> 15-30 piante/m 2 . Prevedendo<br />

una quota <strong>di</strong> fallanze (dell’or<strong>di</strong>ne del 40-50%), va previsto l’impiego <strong>di</strong> 10-15 kg/ha <strong>di</strong><br />

seme. La resa <strong>di</strong>pende dal numero <strong>di</strong> piante a m 2 , grazie alla facoltà che il sorgo ha <strong>di</strong><br />

accestire e <strong>di</strong> autoregolare così la sua fittezza. La profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> semina è molto<br />

importante: se essa è eccessiva rende problematica l’emergenza delle plantule, se è<br />

insufficiente espone i semi a pericoli o <strong>di</strong> <strong>di</strong>sseccamento o <strong>di</strong> predazione da parte <strong>degli</strong><br />

uccelli. La profon<strong>di</strong>tà ideale è <strong>di</strong> 2-3 cm (massimo 4) in terreno possibilmente ben<br />

rassodato da una rullatura pre-semina.<br />

Irrigazione<br />

In ambienti climatici ad ari<strong>di</strong>tà primaverile-estiva molto spinta il sorgo non riesce a<br />

produrre sod<strong>di</strong>sfacentemente in coltura asciutta. In questi casi, la coltivazione è<br />

possibile qualora esistano <strong>di</strong>sponibilità idriche che non hanno un’utilizzazione più<br />

conveniente. Si tratta <strong>di</strong> fornire un limitato sussi<strong>di</strong>o irriguo <strong>di</strong> soccorso quando la<br />

coltura è nella fase più critica, che va dallo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> botticella alla maturazione lattea. In<br />

questo periodo, apporti dell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> 150-200 mm consentono <strong>di</strong> raggiungere<br />

produzioni <strong>di</strong> 7-8 t/ha <strong>di</strong> granella secca e oltre.<br />

L’efficienza dell’uso dell’acqua (sostanza secca prodotta per mm <strong>di</strong> acqua<br />

traspirata) del sorgo è analoga a quella del mais, con 350-450 kg <strong>di</strong> H2O necessari per<br />

kg <strong>di</strong> sostanza secca.<br />

Il sorgo si spinge assai in profon<strong>di</strong>tà per attingere acqua e quin<strong>di</strong> si può irrigare<br />

in modo da bagnare 1 m <strong>di</strong> spessore; inoltre l’esigenza <strong>di</strong> tempestività è assai meno<br />

sentita che nel mais, in quanto il sorgo può entrare in quiescenza. Il vantaggio del sorgo<br />

rispetto al mais è legato infatti alla possibilità <strong>di</strong> arrestare lo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sviluppo in caso <strong>di</strong><br />

stress idrico, per poi riprenderlo senza danno dopo che le piogge, o le irrigazioni,<br />

determinano con<strong>di</strong>zioni nuovamente favorevoli.<br />

Concimazione<br />

Trattandosi <strong>di</strong> coltura asciutta, la concimazione minerale dovrà essere limitata, tanto più<br />

quanto più scarse sono le <strong>di</strong>sponibilità idriche. In assenza <strong>di</strong> letame, le dosi più<br />

consigliabili sono: 40-60 kg/ha <strong>di</strong> P2O5 da dare in pre-semina e 80-100 kg/ha <strong>di</strong> azoto da<br />

dare alla semina come urea. Data la natura argillosa dei terreni sui quali il sorgo viene <strong>di</strong><br />

solito coltivato, non è certa l’utilità della concimazione potassica.<br />

Il sorgo si presta molto bene, come il mais, a ricevere concimazioni con reflui<br />

zootecnici. Nel caso del sorgo, la coltura continua a vivere (e ad emettere nuovi<br />

germogli) dopo la raccolta della granella, fino al sopraggiungere dei fred<strong>di</strong>. <strong>Di</strong><br />

76


conseguenza, la coltura esercita un assorbimento attivo dei nitrati che <strong>di</strong>minuisce il<br />

rischio ambientale <strong>di</strong> lisciviazione.<br />

<strong>Di</strong>serbo<br />

Il <strong>di</strong>serbo chimico del sorgo trova notevoli limitazioni nel ridottissimo numero <strong>di</strong><br />

principi attivi il cui uso è ammesso su questa specie (sl. 16/29). Il controllo delle erbe<br />

infestanti potrebbe utilmente essere fatto con la sarchiatura meccanica che, in una<br />

coltura non irrigata come è il sorgo, farebbe conseguire anche altri vantaggi, oltre al<br />

controllo delle malerbe, come migliore aerazione della rizosfera ed economia d’acqua,<br />

specialmente nelle terre argillose soggette a fessurarsi.<br />

Raccolta<br />

Il sorgo, a <strong>di</strong>fferenza del mais, mantiene completamente ver<strong>di</strong> le foglie e gli steli anche<br />

quando la granella è matura. Quasi mai, data l’epoca <strong>di</strong> raccolta, la granella è<br />

abbastanza secca da non richiedere l’essiccazione. La raccolta della granella viene<br />

eseguita con le stesse mietitrebbiatrici da frumento, regolando l’altezza <strong>di</strong> taglio tanto in<br />

alto da raccogliere, se possibile, solo i panicoli.<br />

Le rese <strong>di</strong> granella conseguibili sono variabili secondo l’andamento stagionale:<br />

in con<strong>di</strong>zioni molto favorevoli <strong>di</strong> terreno e <strong>di</strong> piovosità estiva possono raggiungere 8-9<br />

t/ha <strong>di</strong> granella; rese me<strong>di</strong>e <strong>di</strong> 6 t/ha sono da considerarsi buone.<br />

Avversità<br />

Avversità meteoriche<br />

Il sorgo teme le basse temperature all’inizio della vegetazione, perché possono<br />

accentuare gli attacchi <strong>di</strong> afi<strong>di</strong> sulle giovani piantine.<br />

L’allettamento non è da temere nelle varietà da granella, che sono molto basse e<br />

robuste, mentre costituisce un grave problema per certi sorghi da foraggio <strong>di</strong> grande<br />

sviluppo e per i quali l’allettamento rappresenta un ostacolo alla raccolta meccanica.<br />

Avversità crittogamiche<br />

<strong>Di</strong> solito le malattie fungine non sono molto preoccupanti. Può essere colpito da<br />

marciumi delle plantule (Fusarium, Pythium), che si prevengono con la concia delle<br />

sementi ed evitando semine troppo precoci. Possono essere presenti anche marciumi<br />

dello stelo (Fusarium, Macrophomina phaseoli, Rhizoctonia solani). Tra i virus, può<br />

essere attaccato dal mosaico del nanismo ruvido del mais (MRDV).<br />

Uccelli<br />

Soprattutto i passeracei sono un flagello per il sorgo, almeno quando la coltivazione è<br />

fatta su limitate superfici. Essi si posano sui panicoli asportando i granelli in<br />

formazione, dalla maturazione lattea in poi.<br />

Avversità parassitarie<br />

I parassiti più pericolosi sono insetti terricoli (elateri<strong>di</strong> ed agroti<strong>di</strong>) contro i quali va<br />

fatta una <strong>di</strong>sinfestazione alla semina.<br />

Gli afi<strong>di</strong> (Aphis mai<strong>di</strong>s) possono essere assai dannosi quando attaccano le piante<br />

giovani. La lotta non è facile quando gli insetti sono localizzati sulla pagina inferiore<br />

delle foglie.<br />

77


Nel corso della vegetazione, danni possono essere causati dalle pirali<strong>di</strong> (Ostrinia<br />

nubilalis, Sesamia cretica) che minano lo stelo.<br />

Nelle regioni meri<strong>di</strong>onali, o in caso <strong>di</strong> semine tar<strong>di</strong>ve, danni sono provocati da<br />

due <strong>di</strong>tteri, la cecidomia (Contarinia sorghicola), le cui larve consumano gli ovari o le<br />

cariossi<strong>di</strong> appena formate, e l’aterigona (Atherigona soccata), che provoca la<br />

<strong>di</strong>struzione dell’apice vegetativo <strong>degli</strong> steli in fase <strong>di</strong> levata, provocandone l’arresto<br />

della crescita e stimolando l’emissione <strong>di</strong> germogli <strong>di</strong> accestimento.<br />

Sostanze antinutrizionali nel sorgo<br />

La pianta giovane <strong>di</strong> sorgo contiene un glucoside detto durrina (da durra, che è il nome<br />

della specie in Africa orientale), che è pericoloso in quanto metabolizzato in acido<br />

cianidrico. La durrina è un mezzo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa della pianta contro gli erbivori, poiché,<br />

essendo concentrata negli apici meristematici, essa impe<strong>di</strong>sce il pascolamento. La<br />

durrina è presente in gran quantità nelle foglie della pianta ai primi sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> sviluppo, ma<br />

anche in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> stress idrico o quando il sorgo abbia subito danni da freddo. Il<br />

glucoside <strong>di</strong>minuisce con la crescita della pianta e scompare dopo la fioritura. L’uso<br />

della pianta me<strong>di</strong>ante fienagione (con taglio alla fioritura) o insilamento esclude ogni<br />

pericolo <strong>di</strong> intossicazione per gli animali. Inoltre gli ibri<strong>di</strong> costituiti recentemente ne<br />

possiedono quantità minime.<br />

La granella <strong>di</strong> molte varietà <strong>di</strong> sorgo contiene tannini che riducono la <strong>di</strong>geribilità<br />

delle proteine. Alcune varietà <strong>di</strong> sorgo sono prive <strong>di</strong> tannini, in questo caso tuttavia la<br />

granella viene spesso danneggiata dagli uccelli. Gli ibri<strong>di</strong> con pochi tannini vengono<br />

definiti ibri<strong>di</strong> bianchi e sono oggi i tipi più <strong>di</strong>ffusi in Italia, poiché sono i più pregiati<br />

per la zootecnia (in quanto più <strong>di</strong>geribili) e riescono a spuntare i più alti prezzi <strong>di</strong><br />

ven<strong>di</strong>ta.<br />

Sorgo da foraggio<br />

Oltre ai sorghi da granella, che sono i più <strong>di</strong>ffusi, esistono anche sorghi da foraggio<br />

detti gentili (Sorghum sudanense), adatti alla fienagione, o ibri<strong>di</strong> (S. bicolor × S.<br />

sudanense), adatti all’utilizzazione come foraggio verde o per l’insilamento. I sorghi da<br />

foraggio sono tutti a taglia alta ed hanno una grande capacità <strong>di</strong> accestimento, foglie<br />

strette, panicolo lasso, granella piccola e vestita. Con i 2-3 tagli possibili, si può<br />

raggiungere una produzione complessiva <strong>di</strong> 12-16 t/ha <strong>di</strong> sostanza secca. Il primo taglio<br />

viene generalmente eseguito in pre-fioritura, verso la fine <strong>di</strong> giugno, il secondo taglio<br />

viene eseguito a fine luglio ed il terzo a fine agosto.<br />

La tecnica <strong>di</strong> raccolta del sorgo da foraggio varia in funzione dell’uso per<br />

consumo verde, insilamento o affienamento, ma è comunque opportuno raccoglierlo con<br />

l’avvertenza <strong>di</strong> sfalciare alto: 7-9 cm <strong>di</strong> stocco a terra consentiranno un rapido e<br />

abbondante ricaccio. Per il consumo verde si sfalciano le piante quando hanno raggiunto<br />

un’altezza <strong>di</strong> almeno 80-100 cm (per evitare il rischio della durrina). Si consiglia<br />

comunque <strong>di</strong> effettuare la raccolta non oltre lo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> botticella-spigatura; dopo tale<br />

sta<strong>di</strong>o infatti la qualità del foraggio decresce rapidamente e risulta necessario effettuare<br />

una trinciatura per ridurre gli avanzi in mangiatoia. Molto utile è l’appassimento in<br />

campo che permette <strong>di</strong> ridurre il volume del foraggio, aumentando così la capacità <strong>di</strong><br />

ingestione dell’animale. Per la fienagione si sfalciano le piante quando la loro altezza è<br />

<strong>di</strong> almeno 70-80 cm; anche in questo caso si consiglia <strong>di</strong> raccogliere prima del<br />

raggiungimento <strong>degli</strong> sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> botticella-spigatura. L’eventuale con<strong>di</strong>zionamento<br />

meccanico (schiacciatura me<strong>di</strong>ante rulli <strong>degli</strong> steli durante lo sfalcio) è utile per<br />

abbreviare l’essiccazione e la permanenza del fieno in campo ed è raccomandabile<br />

78


perciò per la fienagione e per l’appassimento parziale. Per l’insilamento si raccoglie<br />

quando le piante hanno raggiunto lo sta<strong>di</strong>o latteo-ceroso della granella, sfalciando ad un<br />

contenuto in sostanza secca pari al 30-35% (sl. 16/42). Se non si riesce a raggiungere<br />

questo grado <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà, è probabile che l’insilato ottenuto sia instabile, con elevate<br />

per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> percolazione ed una quantità eccessiva <strong>di</strong> acido butirrico. Il valore energetico<br />

dell’insilato <strong>di</strong> sorgo è inferiore del 10-20% rispetto a quello del silomais. La qualità<br />

dell’insilato <strong>di</strong> sorgo è inferiore a quella del mais per l’alto contenuto in tannini, la<br />

granella più dura e la scarsa <strong>di</strong>geribilità della quota fibrosa. Per l’insilamento sono<br />

largamente impiegati anche i sorghi da granella oltre a quelli ‘ibri<strong>di</strong>’ da foraggio. Le<br />

rese in trinciato sono <strong>di</strong> 10-12 t/ha <strong>di</strong> sostanza secca. Le dosi <strong>di</strong> insilato da <strong>di</strong>stribuire<br />

per capo al giorno sono pari a circa 20 kg per le vacche in lattazione, 8 kg per le<br />

asciutte. A questa quantità è inoltre utile associare una <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> fieno <strong>di</strong><br />

leguminose o concentrati ad alto valore proteico.<br />

Sorgo zuccherino<br />

Questo tipi <strong>di</strong> sorgo (S. vulgare var. saccharatum) presenta piante molto alte (sl. 16/45),<br />

a culmo grosso, con foglie larghe, steli succosi e zuccherini per la presenza nel midollo<br />

<strong>di</strong> notevoli quantità <strong>di</strong> saccarosio (15-20%). Nel sorgo, il saccarosio è sempre<br />

accompagnato da un’alta concentrazione <strong>di</strong> zucchero invertito che inibisce la<br />

cristallizzazione e questo ne ha impe<strong>di</strong>to l’utilizzazione per la produzione <strong>di</strong> zucchero<br />

alimentare. Pertanto i sorghi zuccherini hanno un’importanza minima e servono per<br />

l’industria dell’alcol (anche come biocarburante), per la preparazione <strong>di</strong> sciroppi o<br />

come coltura foraggera da erbaio.<br />

Sorgo da scope<br />

Il sorgo da scope (S. vulgare var. technicum) ha un cortissimo asse principale del<br />

panicolo, sul quale sono inserite, quasi a formare un’infiorescenza ad ombrella,<br />

ramificazioni lunghissime ed elastiche. Tale infiorescenza, privata della granella, è usata<br />

per la fabbricazione <strong>di</strong> scope e spazzole. La raccolta avviene alla maturazione della<br />

granella, ma per evitare che il peso <strong>di</strong> questa pieghi le ramificazioni del panicolo,<br />

deformandole, è necessario che alla maturazione lattea i culmi siano piegati in modo che<br />

i panicoli pendano verso il basso.<br />

Sorgo da biomassa<br />

È utilizzato per la combustione e per la produzione <strong>di</strong> biogas (sl. 16/47-49). È <strong>di</strong> facile<br />

inserimento negli or<strong>di</strong>namenti aziendali, ma necessita <strong>di</strong> maggiori impegni (attrezzature<br />

meccaniche) nella gestione della raccolta, del trasporto e dello stoccaggio. I red<strong>di</strong>ti non<br />

sono sempre competitivi con le colture tra<strong>di</strong>zionali. C’è la necessità <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare<br />

ibri<strong>di</strong> più produttivi ma anche <strong>di</strong> fornire precise in<strong>di</strong>cazioni su forma e tipologia della<br />

materia prima da avviare agli impianti energetici.<br />

79


RISO<br />

Il riso è uno dei più antichi cereali coltivati, come <strong>di</strong>mostrato dalla scoperta della ‘Spirit<br />

Cave’, nelle montagne della Thailan<strong>di</strong>a settentrionale, in cui furono rinvenuti dei resti <strong>di</strong><br />

riso raccolto circa 10000 anni a.C. Le forme annuali asiatiche comparvero nel Neolitico<br />

nel nord-est ed est dell’In<strong>di</strong>a, nel sud-est asiatico e nelle regioni meri<strong>di</strong>onali della Cina a<br />

causa dell’alternanza <strong>di</strong> perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> secco ed umido, e delle pronunciate variazioni<br />

termiche che favorirono probabilmente lo sviluppo <strong>di</strong> queste forme. I primi tipi coltivati<br />

furono probabilmente della razza eco-geografica in<strong>di</strong>ca, più precoce del progenitore<br />

selvatico. L’accresciuta ari<strong>di</strong>tà spinse correnti migratorie <strong>di</strong> popoli verso le zone più<br />

umide collocate più a nord o più a sud-est della zona originaria: queste migrazioni<br />

determinarono l’ulteriore <strong>di</strong>versificazione eco-geografica della specie (sl. 17/4).<br />

All’interno dell’attuale Cina si <strong>di</strong>versificò una razza definita ‘delle zone temperate’<br />

derivata dalla razza in<strong>di</strong>ca e chiamata sinica. Questa razza venne poi introdotta in<br />

Giappone e ri-definita japonica. Dalle coste del sud e sud-est asiatico, le forme più alte<br />

e a granello grosso vennero portate nell’arcipelago indonesiano, dove si <strong>di</strong>fferenziò la<br />

razza javanica. Dall’Asia meri<strong>di</strong>onale e sud-orientale, la coltura si <strong>di</strong>ffuse, passando per<br />

la Persia e attraverso i fertili bassopiani dell’Eufrate, fino all’Egitto. Con Alessandro<br />

Magno (~300 a.C.), questa pianta raggiunse anche il bacino del Me<strong>di</strong>terraneo. Nel IX<br />

secolo, gli Arabi introdussero il riso in Spagna. Alla fine del XVII secolo, infine, il riso<br />

oltrepassò l’Atlantico e raggiunse il nuovo mondo. In Italia il riso era conosciuto sin<br />

dall’epoca greco-romana ma non si <strong>di</strong>ffuse come importante coltura agraria fino al XVI<br />

secolo, quando fu introdotto dagli Sforza nel Milanese e nel Pavese.<br />

L’Italia è oggi il primo produttore europeo <strong>di</strong> riso (sl. 17/15) e la produzione<br />

italiana è destinata per due terzi all’esportazione, soprattutto verso gli altri paesi dell’UE<br />

(oltre il 50% del totale; sl. 17/18). Piemonte e Lombar<strong>di</strong>a da sole coprono oltre il 90%<br />

della superficie coltivata e della produzione nazionale (sl. 17/19-21). Da alcuni decenni<br />

si assiste ad una tendenza verso una <strong>di</strong>minuzione del numero <strong>di</strong> aziende risicole ed un<br />

aumento della superficie delle stesse.<br />

Il riso è oggi una delle principali piante coltivate della terra e costituisce la<br />

risorsa alimentare essenziale per circa metà della popolazione umana. Per numero <strong>di</strong><br />

persone coinvolte, la risicoltura rappresenta in assoluto la più importante attività<br />

agricola del mondo. L’area coltivata a riso interessa l’11% dell’intera superficie arabile<br />

mon<strong>di</strong>ale ed è <strong>di</strong>stribuita in 122 Paesi <strong>di</strong> tutti i continenti. In Asia, la coltivazione<br />

interessa oltre 250 milioni <strong>di</strong> aziende, la maggior parte con meno <strong>di</strong> 1 ha <strong>di</strong> superficie.<br />

Nel mondo si producono 550 milioni <strong>di</strong> t, su una superficie <strong>di</strong> 150 milioni <strong>di</strong> ha.<br />

L’ampia <strong>di</strong>ffusione è da attribuire alla grande variabilità delle varietà coltivate,<br />

evolute in funzione dell’adattabilità delle piante ai <strong>di</strong>versi ambienti agroecologici, e alle<br />

preferenze dei consumatori. Oggi sono <strong>di</strong>sponibili almeno 140000 varietà, <strong>di</strong>versificate<br />

per adattabilità agroecologica, forma e <strong>di</strong>mensione delle cariossi<strong>di</strong>, caratteristiche<br />

qualitative e organolettiche.<br />

Il riso è in assoluto il cereale maggiormente impiegato per l’alimentazione<br />

umana ed è interessante notare che solo il 4.5% della produzione mon<strong>di</strong>ale (27 milioni<br />

<strong>di</strong> tonnellate) è destinato ad una esportazione rispetto al luogo <strong>di</strong> raccolta. Ciò significa<br />

che quasi l’intera produzione mon<strong>di</strong>ale viene impiegata per il fabbisogno locale.<br />

Il riso viene coltivato soprattutto nelle regioni tropicali, ma anche in alcune zone<br />

sub-tropicali e temperate. Negli ambienti tropicali, la coltivazione viene condotta ad<br />

altitu<strong>di</strong>ni comprese tra il livello del mare e circa 2600 m <strong>di</strong> altezza (rilievi Himalayani<br />

del Nepal)<br />

Esistono <strong>di</strong>versi meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> coltivazione, definiti come ‘pluviale’, ‘inondato’, ‘in<br />

acqua profonda’ e ‘irrigato’ (sl. 17/8).<br />

80


Il riso pluviale (upland rice) occupa circa il 10% dell’area coltivata mon<strong>di</strong>ale (in<br />

In<strong>di</strong>a e Bangladesh, nelle aree collinari e umide dell’Africa Occidentale e aree collinari<br />

del Brasile), fornendo circa il 3% della produzione totale. Viene così coltivato in terreni<br />

da pianeggianti a declivi (fino al 40%), poco fertili, e con forte presenza <strong>di</strong> malattie e<br />

infestanti. Non viene praticata nessuna regimazione delle acque e l’unica acqua<br />

<strong>di</strong>sponibile per la coltura è quella apportata dalle piogge. Si ha un limitato impiego <strong>di</strong><br />

mezzi <strong>di</strong> produzione e la resa me<strong>di</strong>a è <strong>di</strong> 1-4 t/ha.<br />

Il riso inondato (rainfed lowland rice) occupa il 32% dell’area coltivata<br />

mon<strong>di</strong>ale (nel delta dei fiumi, palu<strong>di</strong>, o zone soggette a sommersione in Asia e Africa<br />

sub-sahariana) e fornisce il 19% della produzione totale. Viene coltivato su terreni<br />

pianeggianti o in leggera pendenza, con modeste arginellature. Non si ha nessuna<br />

regimazione delle acque (profonde fino a 50 cm) e si sfrutta l’apporto idrico delle<br />

piogge. L’impiego <strong>di</strong> mezzi <strong>di</strong> produzione è me<strong>di</strong>o-basso e la resa me<strong>di</strong>a è <strong>di</strong> 1-3 t/ha,<br />

con danni causati soprattutto da carenze idriche.<br />

Il riso in acqua profonda (deep-water rice) occupa il 4% dell’area coltivata<br />

mon<strong>di</strong>ale (delta dei fiumi in In<strong>di</strong>a, Bangladesh, Vietnam, Cambogia, Thailan<strong>di</strong>a, Africa<br />

occidentale; zone costiere dell’In<strong>di</strong>a, Bangladesh, Vietnam, Indonesia), fornendo il 2%<br />

della produzione totale. Viene coltivato in terreni pianeggianti o in leggera pendenza,<br />

senza arginellature, senza regimazione delle acque (da 0.5 a 1.5 m <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà:<br />

floating rice o riso galleggiante) apportate dalle piogge. L’impiego <strong>di</strong> mezzi <strong>di</strong><br />

produzione è ridotto e la resa me<strong>di</strong>a è <strong>di</strong> 1-1.5 t/ha, con<strong>di</strong>zionata da forti stress<br />

ambientali.<br />

Il riso irrigato (irrigated rice) occupa il 48% dell’area coltivata mon<strong>di</strong>ale (in<br />

Asia e Sud-America – anche con 2-3 raccolti/anno – oltre che in Nord-America,<br />

Australia, Europa e Nord-Africa), fornendo il 75% della produzione totale. Questo tipo<br />

<strong>di</strong> coltura viene eseguita in terreni pianeggianti e in risaie con arginellature. L’acqua è<br />

apportata dall’irrigazione e dalle piogge ed è presente una regimazione delle acque<br />

(profonde da 5 a 15 cm o più). L’impiego <strong>di</strong> mezzi <strong>di</strong> produzione è elevato e la resa<br />

me<strong>di</strong>a è <strong>di</strong> 4-10 t/ha.<br />

Sistematica e caratteri botanici<br />

Il genere Oryza appartiene alla tribù Oryzeae della sottofamiglia Oryzoideae delle<br />

graminacee e comprende 24 specie a numero cromosomico <strong>di</strong>ploide 2n=2x=24 o<br />

tetraploide 2n=4x=48. <strong>Di</strong> queste, sono coltivate soprattutto O. sativa (con granello a<br />

pericarpo quasi sempre bianco) e, meno <strong>di</strong>ffusamente della prima e con importanza<br />

soltanto in alcune regioni africane, O. glaberrima (con granello a pericarpo rossastro o<br />

marrone). Entrambe hanno numero cromosomico 2n=24 e sembrano derivare da<br />

un’unica specie ancestrale, O. perennis, con centri <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazione originari,<br />

rispettivamente, nel sud-est asiatico e nell’Africa centro-occidentale (delta del Niger)<br />

(sl. 17/26).<br />

Come già in<strong>di</strong>cato, in O. sativa si <strong>di</strong>stinguono le sottospecie in<strong>di</strong>ca, japonica e<br />

javanica. Le varietà del tipo in<strong>di</strong>ca sono poco adattabili alle basse temperature e per<br />

questo sono prevalentemente coltivate negli ambienti soggetti a sommersione naturale a<br />

clima tropicale (Cina meri<strong>di</strong>onale, sud-est asiatico, Africa sub-sahariana, Centro e Sud<br />

America). Sono piuttosto resistenti alla siccità e alle malattie e sono molto sensibili al<br />

fotoperiodo (piante brevi<strong>di</strong>urne). I granelli <strong>di</strong> queste varietà hanno una forma snella e<br />

allungata (rapporto lunghezza/larghezza superiore a 2.5), motivo per il quale sono note<br />

anche come riso a chicco lungo. Durante la cottura assorbono poca acqua, per cui<br />

preservano la propria consistenza, non si appiccicano e sono quin<strong>di</strong> ideali per le<br />

preparazioni a base <strong>di</strong> riso asciutto, per insalate, specialità orientali, etc. Il tipo japonica<br />

81


mostra buona adattabilità alle basse temperature ed è coltivato nelle regioni a clima subtropicale<br />

e temperato (Cina settentrionale, Giappone, Corea, Asia centrale, Europa,<br />

USA, Australia) Le varietà japonica sono poco sensibili al fotoperiodo ed hanno<br />

esigenze termiche minori rispetto ai risi in<strong>di</strong>ca, ma maggiori esigenze nutrizionali. La<br />

paglia è piuttosto corta e robusta e la produttività elevata. Le varietà japonica presentano<br />

chicchi corti, da ovali a tondeggianti, con rapporto lunghezza/larghezza generalmente<br />

minore <strong>di</strong> 2.5. Durante la cottura assorbono molto liquido e si rigonfiano, <strong>di</strong>ventando<br />

leggermente appiccicosi, per cui sono particolarmente adatti per pietanze a base <strong>di</strong> riso<br />

quali minestre, sformati, riso al latte, risotto, dessert, etc. Le varietà del tipo javanica<br />

sono coltivate in ambienti ad elevata altitu<strong>di</strong>ne (Indonesia, Filippine, Madagascar) con<br />

basse temperature durante il ciclo colturale.<br />

Descrizione botanica<br />

Il sistema ra<strong>di</strong>cale è fascicolato, costituito da ra<strong>di</strong>ci seminali e da ra<strong>di</strong>ci avventizie<br />

ramificate, analogamente a quanto visto per i cereali microtermi. Le ra<strong>di</strong>ci seminali<br />

rimangono attive per l’intero ciclo. Alla germinazione compare una ra<strong>di</strong>chetta<br />

embrionale <strong>di</strong> maggiore <strong>di</strong>mensioni rispetto a quelle secondarie. Nelle ra<strong>di</strong>ci avventizie<br />

compaiono dei ‘vasi aeriferi’, che assicurano l’aerazione delle ra<strong>di</strong>ci anche<br />

nell’ambiente sommerso in cui il riso vive (sl. 17/31). L’apparato ra<strong>di</strong>cale è poco<br />

sviluppato in profon<strong>di</strong>tà.<br />

Il culmo ha 10-20 interno<strong>di</strong> cavi e no<strong>di</strong> pieni, raggiungendo un’altezza <strong>di</strong> 80-120<br />

cm. Nella sezione trasversale <strong>di</strong> un internodo si <strong>di</strong>stinguono: l’epidermide, con gli<br />

stomi; la corteccia, che lignifica a maturazione; il parenchima midollare, in cui, con<br />

l’avanzamento del ciclo, alcune cellule degenerano dando luogo alla formazione <strong>di</strong><br />

cavità (lacune aerifere) e il lume, che è la parte cava (sl. 17/32). Nel parenchima<br />

midollare si accumula amido, che permette al culmo <strong>di</strong> ritardare la senescenza rispetto<br />

alle foglie.<br />

Le foglie sono in numero variabile a seconda della varietà, ma <strong>di</strong> solito sono 5-7<br />

per culmo, costituite da una guaina e da una lamina (lunga 30-50 cm, larga 1.5 cm<br />

circa), ruvida per la presenza <strong>di</strong> peli corti e duri. Come il culmo, anche la foglia presenta<br />

cavità aerifere. La ligula è lunga e bifida (circa 5-15 mm) e le auricole sono pelose,<br />

ialine o pigmentate. Allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> plantula, il riso si <strong>di</strong>stingue dal giavone perché<br />

quest’ultimo non presenta ligula e auricole e le foglie sono più trasparenti in controluce.<br />

L’infiorescenza è un panicolo (eretto o pendulo) terminale, ramificato, che porta<br />

spighette uniflore. Le spighette sono dotate <strong>di</strong> glume molto più piccole delle glumette,<br />

mentre queste ultime sono molto sviluppate, sovrapposte ai margini, appiattite e<br />

racchiudenti la cariosside come un astuccio (sl. 17/35). La glumetta inferiore (lemma)<br />

può essere mutica o brevemente aristata. In molte varietà, le glumette a maturazione<br />

presentano delle pigmentazioni tipiche.<br />

Il fiore è ermafro<strong>di</strong>to e comprende un gineceo uniovulare, con stilo bifido e<br />

stimma piumoso, ed un androceo con sei stami (sl. 17/36). La fecondazione è<br />

strettamente autogama (cleistogama).<br />

La cariosside è vestita (risone; sl. 17/37), con endosperma a frattura vitrea, anche<br />

se può presentare una zona centrale, più o meno ampia, a frattura farinosa (perla). In<br />

Asia è anche coltivato il riso glutinoso, a frattura farinosa, dove l’amido è sostituito da<br />

destrine. Il colore è generalmente bianco o bianco-paglierino, tuttavia sono note varietà<br />

con pericarpo giallo, rosso, viola o nero.<br />

Il peso <strong>di</strong> 1000 semi è <strong>di</strong> 25-45 g, il peso ettolitrico <strong>di</strong> 60-65 kg/hl. La cariosside<br />

contiene carboidrati (84-87%), proteine (6-11%), lipi<strong>di</strong> (2-3%), ceneri (2%) e fibra<br />

grezza (1%). L’aleurone e il germe sono ricchi in vitamine del gruppo B. Nell’aleurone<br />

82


sono depositate sostanze <strong>di</strong> riserva, soprattutto proteine e, nelle varietà in<strong>di</strong>ca, anche<br />

lipi<strong>di</strong>. L’endosperma è costituito da amido, il cui rapporto amilosio/amilopectina<br />

conferisce particolari e <strong>di</strong>fferenti caratteristiche <strong>di</strong> tenuta alla cottura del riso. L’elevata<br />

presenza <strong>di</strong> amilopectina rende il riso più colloso. La ridotta o nulla presenza <strong>di</strong><br />

amilosio è tipica delle varietà waxy (ceroso o glutinoso) impiegate in pasticceria o come<br />

ad<strong>di</strong>tivi alimentari.<br />

Sviluppo, crescita e fisiologia<br />

Secondo una classificazione internazionalmente riconosciuta, nel riso vengono<br />

generalmente in<strong>di</strong>cate 10 fasi fenologiche o sta<strong>di</strong> (con <strong>di</strong>versi sottosta<strong>di</strong>) (sl. 17/40):<br />

0 Germinazione<br />

1 Sviluppo foglie<br />

2 Accestimento<br />

3 Levata<br />

4 Botticella<br />

5 Spigatura<br />

6 Fioritura<br />

7 Sviluppo semi<br />

8 Maturazione<br />

9 Senescenza<br />

La temperatura ottimale per la germinazione è <strong>di</strong> 28-30 °C, con un minimo <strong>di</strong><br />

10-12 °C per il tipo japonica e 14-15 °C per l’in<strong>di</strong>ca. L’ambiente deve essere<br />

abbastanza umido, purché ricco <strong>di</strong> ossigeno. Con la semina in asciutto, fuoriesce prima<br />

la ra<strong>di</strong>chetta e poi la piumetta, mentre con la semina in sommersione fuoriesce prima la<br />

piumetta e poi la ra<strong>di</strong>chetta.<br />

L’accestimento inizia con lo sviluppo <strong>di</strong> un germoglio all’ascella della foglia più<br />

bassa e si protrae per 40-70 giorni dopo la germinazione. Lo sviluppo dei germogli si<br />

accompagna a quello delle ra<strong>di</strong>ci avventizie. Il numero <strong>di</strong> culmi fertili per pianta è<br />

normalmente <strong>di</strong> cinque, ma può variare con la varietà e la tecnica colturale.<br />

L’accestimento termina con la <strong>di</strong>fferenziazione dell’apice fiorale, dopo la quale inizia la<br />

fase riproduttiva.<br />

La levata può iniziare quando la pianta è ancora in accestimento, specialmente<br />

nelle varietà tar<strong>di</strong>ve, e dura circa 30 giorni. Durante la levata si ha l’allungamento <strong>degli</strong><br />

interno<strong>di</strong>, l’accrescimento delle foglie ed il progressivo sviluppo dell’infiorescenza. Si<br />

conclude con il raggiungimento della massima altezza, a cui seguono la fase <strong>di</strong><br />

botticella e l’emissione della pannocchia.<br />

La fioritura (sta<strong>di</strong>o 6) comprende i sottosta<strong>di</strong> <strong>di</strong> inizio fioritura (61), con antere<br />

visibili all’apice della pannocchia; piena fioritura (65), con antere visibili nella<br />

maggioranza delle spighette; fine fioritura (69), in cui tutte le spighette hanno<br />

completato la fioritura ed è possibile la presenza <strong>di</strong> antere <strong>di</strong>sseccate. La fioritura è<br />

scalare, partendo dalla parte apicale della pannocchia. La temperatura ottimale per<br />

l’antesi è <strong>di</strong> 30 °C, e l’umi<strong>di</strong>tà relativa dell’aria è del 70-80%.<br />

Nello sta<strong>di</strong>o 7 (sviluppo dei semi) si <strong>di</strong>stinguono alcuni sottosta<strong>di</strong>: maturazione<br />

acquosa (71) quando i primi granelli hanno raggiunto circa metà della loro <strong>di</strong>mensione<br />

finale; maturazione lattea precoce (73); maturazione lattea me<strong>di</strong>a (75) quando il succo<br />

contenuto nella granella è latteo; maturazione lattea piena (77).<br />

Anche lo sta<strong>di</strong>o 8 (maturazione dei semi) passa attraverso <strong>di</strong>versi sottosta<strong>di</strong>:<br />

maturazione cerosa precoce (83); maturazione cerosa piena (85) quando il contenuto<br />

della granella è soffice ma secco, l’incisione dell’unghia sul granello non rimane<br />

83


evidente, e la granella e le glumette sono ancora ver<strong>di</strong>; maturazione cerosa avanzata<br />

(87) quando il contenuto della granella è solido e l’incisione dell’unghia rimane<br />

evidente; maturazione piena o fisiologica (89) quando la granella è dura, <strong>di</strong>fficile da<br />

rompere con l’unghia. La temperatura ideale per la maturazione è <strong>di</strong> 20 °C, e<br />

l’abbassamento termico notturno favorisce il processo. La maturazione è scalare come<br />

la fioritura. Il ciclo dalla semina alla maturazione è <strong>di</strong> 150-180 giorni.<br />

Esigenze ambientali<br />

Il processo evolutivo, realizzatosi nel corso <strong>di</strong> millenni, ha consentito al riso <strong>di</strong> adattarsi<br />

a con<strong>di</strong>zioni ambientali molto <strong>di</strong>versificate. La specie è oggi coltivata in aree tropical,i<br />

dove la me<strong>di</strong>a termica durante la stagione <strong>di</strong> coltivazione è <strong>di</strong> 33 °C, e in regioni<br />

temperate con me<strong>di</strong>e stagionali tra 17 e 19 °C. Anche le precipitazioni delle <strong>di</strong>verse aree<br />

colturali possono variare da circa 100 mm/anno ad oltre 5000 mm/anno, così come<br />

l’altitu<strong>di</strong>ne che può variare dal livello del mare a circa 2500 m.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista fotoperio<strong>di</strong>co, il riso è originariamente brevi<strong>di</strong>urno, ma le<br />

varietà oggi coltivate (ad esempio in Italia) possono avere una sensibilità al fotoperiodo<br />

molto attenuata, tanto da fiorire anche in regime <strong>di</strong> 15 ore giornaliere <strong>di</strong> luce.<br />

Il riso si avvantaggia <strong>di</strong> forti livelli <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azione, i quali determinano un<br />

maggior numero <strong>di</strong> spighette durante la levata, ed un maggior peso della cariosside<br />

durante la maturazione.<br />

Il riso è esigentissimo in fatto <strong>di</strong> calore e <strong>di</strong> acqua, ma la sua più peculiare<br />

caratteristica ecologica è <strong>di</strong> tollerare la saturazione idrica del terreno per cui, pur non<br />

essendo una pianta acquatica, è adattato alle zone umide dei tropici e dei subtropici<br />

soggette anche a sommersione. Si adatta ad essere coltivato in molte situazioni idriche,<br />

ma i migliori risultati si ottengono dove si attua la sommersione continua. Può essere<br />

coltivato senza irrigazione (upland rice) solo dove cadono regolarmente più <strong>di</strong> 200 mm<br />

<strong>di</strong> pioggia al mese per almeno 3-4 mesi. L’acqua, oltre a sod<strong>di</strong>sfare le esigenze<br />

fisiologiche, funge da volano termico, proteggendo la pianta dagli sbalzi <strong>di</strong> temperatura,<br />

particolarmente dannosi nelle fasi critiche della germinazione e della formazione del<br />

polline. Il riso è molto sensibile alle escursioni termiche giornaliere. L’acqua, pertanto,<br />

costituisce un insostituibile soccorso termico per l’apporto <strong>di</strong>retto <strong>di</strong> calore (quando<br />

l’acqua abbia temperatura superiore a quella dell’aria) e per l’azione termoregolatrice,<br />

cedendo <strong>di</strong> notte e nei giorni fred<strong>di</strong> il calore accumulato nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> insolazione<br />

intensa. Con la sommersione, un’escursione termica giornaliera <strong>di</strong> 10-15 °C viene<br />

ridotta a 3-4 °C.<br />

L’acqua mantiene il suolo in stato ridotto, dove l’azoto si conserva allo stato<br />

ammoniacale. Sotto tale forma, esso è <strong>di</strong>sponibile per il riso e si sottrae al <strong>di</strong>lavamento<br />

legandosi al terreno. L’acqua <strong>di</strong> sommersione ha anche effetti favorevoli sulla<br />

assimilabilità del P e del K, oltre che <strong>di</strong> microelementi come Si, Fe e Mn. L’acqua<br />

consente anche <strong>di</strong> controllare tutte le piante infestanti non acquatiche e rallenta lo<br />

sviluppo delle graminacee riproducibili me<strong>di</strong>ante seme (ad eccezione <strong>di</strong> alcuni tipi <strong>di</strong><br />

giavone). Per contro, la sommersione favorisce lo sviluppo <strong>di</strong> infestanti acquatiche.<br />

Essa svolge anche un’azione <strong>di</strong> contenimento della germinazione dei semi <strong>di</strong> riso crodo<br />

interrati in profon<strong>di</strong>tà.<br />

L’acqua <strong>di</strong> sommersione può però avere effetti negativi sull’ambiente, a seguito<br />

<strong>di</strong> processi fermentativi che producono gas (metano in particolare) a ‘effetto serra’, oltre<br />

ad aumentare i rischi <strong>di</strong> contaminazione delle acque <strong>di</strong> falda.<br />

Le esigenze idriche del riso sono <strong>di</strong> circa 500-800 litri per kg <strong>di</strong> sostanza secca<br />

(WUE più bassa <strong>di</strong> quella del mais). Il consumo idrico negli ambienti colturali italiani<br />

varia da circa 13000 m 3 /ha nei terreni meno permeabili (vercellese e alto novarese) a<br />

84


35000 m 3 /ha nei terreni <strong>di</strong> me<strong>di</strong>o impasto (milanese, lo<strong>di</strong>giano), fino a 65000 m 3 /ha nei<br />

terreni sciolti e permeabili (pavese).<br />

Come detto, il riso ha anche elevate esigenze termiche, e nei climi temperati<br />

l’unica stagione <strong>di</strong> coltura possibile è quella primaverile-estiva e con l’ausilio <strong>di</strong><br />

irrigazione fatta con sistemi tali da svolgere anche importanti funzioni termoregolatrici.<br />

Nelle regioni equatoriali, dove la temperatura è costantemente alta, si ottengono anche<br />

2-3 raccolti all’anno.<br />

Per quanto riguarda il terreno, il riso si adatta ad ogni tipo e tessitura, purché<br />

umido. Nella risicoltura sommersa, la limitazione principale in fatto <strong>di</strong> terreno consiste<br />

nelle caratteristiche idrologiche del suolo stesso, che deve essere abbastanza<br />

impermeabile da potervi mantenere la lama d’acqua necessaria <strong>di</strong> circa 15 cm <strong>di</strong><br />

spessore. Il terreno deve essere sistemato in modo da rendere possibile l’uniforme<br />

<strong>di</strong>stribuzione dell’acqua ed un rapido prosciugamento per poter compiere le asciutte<br />

necessarie per determinate operazioni colturali.<br />

Nella risaia sommersa, il profilo del terreno è caratterizzato da un sottile strato<br />

ossidato in corrispondenza dell’interfaccia suolo-acqua, al <strong>di</strong> sotto del quale il terreno si<br />

trova in con<strong>di</strong>zioni fortemente riducenti (sl. 17/66). In poche settimane dalla<br />

sommersione si instaurano con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> anaerobiosi e prevalgono le con<strong>di</strong>zioni<br />

riducenti, con trasformazioni a carico dei <strong>di</strong>versi composti ossidati, evidenti per le<br />

mo<strong>di</strong>fiche <strong>di</strong> colore assunte dal suolo dovute, soprattutto, alle <strong>di</strong>verse forme <strong>di</strong> Fe e Mn.<br />

Per effetto della sommersione, oltre ad una riduzione della percolazione, si hanno infatti<br />

mo<strong>di</strong>fiche della caratteristiche fisiche e chimiche del suolo. Le mo<strong>di</strong>fiche <strong>di</strong> natura<br />

chimica interessano l’azoto, che passa da N nitrico a N ammoniacale, Mn e Fe, che da<br />

forme fortemente ossidate passano a forme ridotte, i solfati che si trasformano in solfiti,<br />

e la CO2 che si trasforma in metano (CH4). Queste con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> riduzione sono però<br />

<strong>di</strong>namiche, perché si invertono con le asciutte, quando si viene a ripristinare<br />

l’ossigenazione. All’interno dello strato riducente è presente la suola <strong>di</strong> aratura,<br />

provocata non solo dai lavori preparatori, ma anche dal costipamento e dal traffico<br />

veicolare.<br />

Tecnica colturale<br />

Avvicendamento<br />

Il riso viene normalmente coltivato in monosuccessione, a causa della specifica e<br />

costosa sistemazione del terreno che esso richiede. Tuttavia, oltre i 4-6 anni la<br />

monosuccessione può mostrare problemi <strong>di</strong> infestanti. Al riso si può far seguire il<br />

frumento, <strong>di</strong> cui costituisce un’ottima precessione a causa del favorevole rinettamento<br />

dalle infestanti terrestri. Tra una semina <strong>di</strong> riso e l’altra, nella monosuccessione può<br />

essere utile inserire una coltura intercalare da sovescio (es. trifoglio incarnato, colza).<br />

Nei terreni molto ricchi <strong>di</strong> sostanza organica il riso dovrebbe rimanere non più <strong>di</strong> 3-4<br />

anni, per evitare l’accumulo <strong>di</strong> sostanze tossiche derivanti dalla trasformazione della<br />

sostanza organica in con<strong>di</strong>zioni anaerobiche.<br />

Sistemazione del terreno<br />

Con la sistemazione del terreno della risaia si intende realizzare l’uniformità <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>stribuzione dell’acqua, in modo da sommergere il terreno fino al livello desiderato ed<br />

assicurare un lento ed uniforme scorrimento delle acque <strong>di</strong> sommersione, e rendere<br />

rapido lo smaltimento dell’acqua ed il prosciugamento della risaia quando è necessario<br />

metterla in asciutta per le operazioni colturali. La sistemazione deve al contempo ridurre<br />

85


al minimo le tare del terreno per arginature ma facilitare altresì l’impiego delle<br />

macchine. Alla base della sistemazione è il perfetto spianamaneto del terreno che deve<br />

essere portato quasi alla orizzontalità, con una impercettibile pendenza (anche<br />

dell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> solo l’1-2‰) per garantire lo scorrimento dell’acqua.<br />

Gli appezzamenti sono delimitati da ripe e sud<strong>di</strong>visi in camere, delimitate da<br />

arginelli e sistemate a prose (10-12 m) separate da solchi acquai (sl. 17/74). La forma e<br />

le <strong>di</strong>mensioni delle camere <strong>di</strong>pendono soprattutto dalla giacitura del terreno, e sono<br />

tanto più gran<strong>di</strong> e regolari quanto più pianeggiante è il terreno. La meccanizzazione e<br />

l’incremento delle <strong>di</strong>mensioni aziendali hanno determinato un aumento dell’estensione<br />

delle camere (3-4 ha, fino anche a 8-10). Questo aumento è stato favorito anche dal<br />

miglior livellamento dei terreni, effettuato con lame a controllo laser. Il buon<br />

livellamento, con giusta pendenza, ha altresì permesso la riduzione del numero dei<br />

solchi acquai e la riduzione delle arginature e, conseguentemente, <strong>di</strong> fonti <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione<br />

delle infestanti e dei costi <strong>di</strong> mantenimento della risaia.<br />

Preparazione del terreno<br />

La preparazione del terreno per il riso consiste in un complesso <strong>di</strong> lavori che, per lo più,<br />

vengono eseguiti nel periodo autunno-primaverile. Questi lavori, tutti volti ad una<br />

adeguata gestione delle acque, possono comprendere aratura, livellamento,<br />

affinamento, arginellatura e intasamento.<br />

L’aratura con rovesciamento completo della fetta è utile per ripristinare la<br />

struttura e, nel caso della risaia stabile o <strong>di</strong> riso dopo riso, per assicurare l’ossigenazione<br />

<strong>degli</strong> strati <strong>di</strong> suolo che la prolungata sommersione fa passare allo stato ridotto. Per<br />

stabilire la profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> aratura va esaminata la permeabilità del sottosuolo: se questa è<br />

elevata, l’aratura dovrà essere superficiale (18-20 cm) per evitare eccessivi<br />

<strong>di</strong>sper<strong>di</strong>menti d’acqua per percolazione; se il sottosuolo è tenace e poco permeabile si<br />

potrà approfon<strong>di</strong>re il solco, ma sempre tenendosi a profon<strong>di</strong>tà modesta, non superando<br />

mai i 30-35 cm. <strong>Di</strong> norma si esegue un’aratura, in autunno nei terreni argillosi e in<br />

quelli umi<strong>di</strong>, a fine inverno in quelli torbosi o sciolti. L’aratura autunnale svolge<br />

un ruolo importante, consentendo una rapida trasformazione dei residui colturali, con<br />

benefici sulla fertilità del terreno, e svolgendo un’azione propizia sulla struttura del<br />

terreno. Essa svolge inoltre un’azione penalizzante sulle infestanti della successiva<br />

stagione. All’aratura profonda si imputa tuttavia <strong>di</strong> favorire la conservazione <strong>di</strong> riserve<br />

<strong>di</strong> semi delle principali infestanti della coltura, e in particolare del riso crodo. Il<br />

posizionamento dei semi a profon<strong>di</strong>tà variabile determina un’emergenza scalare e il<br />

mantenimento del potenziale infestante per <strong>di</strong>versi anni. Le arature leggere stimolano<br />

invece la germinazione precoce delle infestanti, favorendo la loro <strong>di</strong>struzione<br />

successiva.<br />

Il pareggiamento ha lo scopo <strong>di</strong> assicurare il livellamento perfetto della camera.<br />

Si fa immettendo nella risaia acqua che, fungendo da livella, consente <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare<br />

colmi e bassure, e intervenendo con passaggi <strong>di</strong> spianone, a superficie liscia o munita <strong>di</strong><br />

denti o zappette. L’utilizzo della lama a controllo laser ha rivoluzionato la tecnica <strong>di</strong><br />

preparazione della risaia. Con il livellamento si ha uniformità dei livelli <strong>di</strong><br />

sommersione, maggiore velocità nello scarico e carico dell’acqua nelle camere,<br />

risparmio dei consumi irrigui, affrancamento uniforme delle plantule e quin<strong>di</strong> miglior<br />

investimento, e maggiore efficacia <strong>degli</strong> erbici<strong>di</strong>. Bisogna fare attenzione a non<br />

compattare troppo il terreno, poiché il costipamento può creare problemi <strong>di</strong> sviluppo e<br />

<strong>di</strong> declino autunnale precoce. La <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> terreni ben livellati ha pure permesso<br />

l’attuazione della coltivazione con semina in asciutto e sommersione allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 3-4<br />

foglie.<br />

86


L’affinamento viene eseguito con erpici <strong>di</strong> vario tipo (a 3-5 cm). Una volta<br />

serviva per frantumare le zolle dopo l’aratura ed il pareggiamento della superficie, ora<br />

per ripristinare la sofficità dello strato superficiale. In entrambi i casi, il suo ruolo è<br />

quello <strong>di</strong> permettere un buono sviluppo dell’apparato ra<strong>di</strong>cale seminale. La<br />

frantumazione non va troppo spinta, per non favorire lo spostamento del seme per<br />

effetto del moto ondoso dell’acqua e limitare il grado <strong>di</strong> intorbi<strong>di</strong>mento dell’acqua, con<br />

conseguente eccessivo ricoprimento del seme con la terra in sospensione e riduzione<br />

della germinabilità. L’erpicatura serve anche per interrare i fertilizzanti e <strong>di</strong>struggere<br />

alcune infestanti.<br />

L’intasamento dello strato attivo è un’operazione necessaria solo nei terreni<br />

eccessivamente permeabili, per ridurre le per<strong>di</strong>te per percolazione. Si tratta <strong>di</strong> provocare<br />

nella risaia allagata la formazione <strong>di</strong> torbida che, se<strong>di</strong>mentandosi, riduce la bibicità del<br />

terreno. Servono allo scopo appositi strumenti intasatori o anche, ottimamente, ripetuti<br />

passaggi veloci <strong>di</strong> trattrici munite <strong>di</strong> ruote a gabbia.<br />

Variazioni nella preparazione del terreno comprendono la minima lavorazione<br />

(con sola erpicatura) e la semina su sodo (con bruciatura della paglia e poi semina con<br />

apposita seminatrice). Queste tecniche, tuttavia, non hanno dato risultati<br />

incon<strong>di</strong>zionatamente favorevoli. È stata osservata una maggiore <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong><br />

ra<strong>di</strong>camento e <strong>di</strong> penetrazione delle ra<strong>di</strong>ci nel terreno, con riduzione dello sviluppo<br />

vegetativo. In questi casi è consigliato prevedere un aumento della quantità <strong>di</strong> seme.<br />

Concimazione<br />

La concimazione organica, sotto forma <strong>di</strong> letamazione e/o <strong>di</strong> sovescio, è stata in passato<br />

la principale forma <strong>di</strong> fertilizzazione della risaia, soprattutto nei terreni poveri <strong>di</strong><br />

sostanza organica. Oggi la fertilizzazione è basata prevalentemente sull’impiego dei<br />

concimi minerali e sulla reintegrazione nel terreno <strong>di</strong> tutti i residui colturali. La<br />

concimazione minerale è quin<strong>di</strong> la base in<strong>di</strong>spensabile per assicurare le massime rese.<br />

La concimazione deve rispondere alle esigenze della coltura in modo da<br />

garantire elevate caratteristiche quanti-qualitative della produzione, mantenere il terreno<br />

in buone con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> fertilità, ridurre o annullare le per<strong>di</strong>te in modo da migliorare<br />

l’efficienza d’uso <strong>di</strong> fertilizzanti e ridurre i costi, ed eliminare i rischi <strong>di</strong> inquinamento<br />

ambientale.<br />

Azoto. Nelle fasi giovanili della coltura viene assorbito in forma ammoniacale, mentre<br />

dalla fase <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazione della pannocchia è assorbito anche in forma nitrica.<br />

Favorisce l’accestimento, il numero <strong>di</strong> cariossi<strong>di</strong> per pannocchia, l’altezza della pianta,<br />

il peso dei semi ed il contenuto proteico (sl. 18/11). Un eccesso <strong>di</strong> azoto aumenta il<br />

rischio <strong>di</strong> allettamento e <strong>di</strong> sterilità fiorale, e la sensibilità alle basse temperature e ai<br />

patogeni, in particolare al brusone.<br />

Allagando la risaia, vengono indotti processi che portano ad un accumulo <strong>di</strong> N<br />

ammoniacale, all’instabilità della forma nitrica, ad una minore richiesta <strong>di</strong> N per la<br />

decomposizione della sostanza organica e ad una minore efficienza d’uso dell’azoto<br />

minerale apportato. La forma del concime azotato utilizzato per la risaia ha gran<strong>di</strong>ssima<br />

importanza. L’azoto sotto forma nitrica o nitro-ammoniacale è da escludere, perché<br />

troppo solubile, <strong>di</strong>lavabile e soggetto a denitrificarsi negli strati sottosuperficiali del<br />

suolo che si trovano allo stato ridotto. L’urea è il concime azotato ideale per la risaia;<br />

vengono usati anche la calciocianamide o concimi a lento rilascio controllato.<br />

Le dosi <strong>di</strong> azoto variano a seconda della varietà, della natura del terreno e della<br />

coltura precedente. La concimazione azotata può essere omessa nei terreni organici e<br />

torbosi del delta del Po. Normalmente si applicano 100-150 kg/ha <strong>di</strong> N, <strong>di</strong> cui il 60-70%<br />

87


in pre-semina ed il rimanente in copertura, a fine accestimento-inizio levata. In caso <strong>di</strong><br />

scarso investimento si può intervenire allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> quinta foglia per stimolare<br />

l’accestimento. Con la semina in asciutto si può frazionare la concimazione in parti<br />

uguali: alla semina o alla sommersione, a fine accestimento, e alla <strong>di</strong>fferenziazione della<br />

pannocchia.<br />

Fosforo. Favorisce la ra<strong>di</strong>cazione delle plantule, l’allungamento delle ra<strong>di</strong>ci e<br />

l’accestimento. La carenza <strong>di</strong> questo elemento <strong>di</strong>minuisce la resistenza ai fred<strong>di</strong> tar<strong>di</strong>vi<br />

e provoca un anormale ingrossamento delle cariossi<strong>di</strong>. Nel periodo riproduttivo<br />

favorisce la maturazione, specialmente con temperature subottimali. Viene assorbito in<br />

maniera elevata a partire dalla <strong>di</strong>fferenziazione della pannocchia. La concimazione<br />

fosfatica è eseguita solo se necessario (con valori <strong>di</strong> fosforo assimilabile inferiori a 15<br />

ppm) e nei terreni torbosi e organici (70-80 kg/ha da <strong>di</strong>stribuire in pre-semina).<br />

<strong>Ve</strong>ngono utilizzati fosfati naturali, scorie Thomas, fosfato biammonico. Può avere un<br />

effetto favorevole, indesiderato, sullo sviluppo <strong>di</strong> alghe.<br />

Potassio. Favorisce l’accestimento, le <strong>di</strong>mensioni del seme, la resistenza alle malattie, al<br />

freddo e all’allettamento, è importante per la biosintesi ed il trasporto <strong>degli</strong> zuccheri, e<br />

migliora la resa alla lavorazione industriale. La carenza provoca ridotto accrescimento,<br />

decolorazione dei bor<strong>di</strong> fogliari, senescenza precoce, facile allettamento. Il suo<br />

assorbimento è massimo dall’accestimento alla fase <strong>di</strong> botticella. La concimazione<br />

potassica con 40-70 kg/ha è pratica comune. È consigliabile frazionare il 60% in presemina<br />

ed il restante ad inizio levata. Normalmente si usa solfato potassico o cloruro<br />

potassico (meno costoso).<br />

Governo dell’acqua<br />

La conduzione dell’irrigazione in risaia è <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssima importanza per assicurare alla<br />

coltura nelle sue varie fasi le migliori con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> temperatura, <strong>di</strong> <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong><br />

elementi nutritivi, <strong>di</strong> controllo delle alghe e delle erbe infestanti o <strong>di</strong> certi parassiti. <strong>Di</strong><br />

conseguenza, essa richiede grande perizia in chi deve regolare i flussi <strong>di</strong> alimentazione e<br />

<strong>di</strong> scarico delle camere. È importante intervenire con innalzamenti della sommersione<br />

per ridurre danni da abbassamenti termici durante la germinazione e la <strong>di</strong>fferenziazione<br />

del polline (8 giorni prima della fioritura), e con temporanei prosciugamenti (asciutte)<br />

per lo svolgimento <strong>di</strong> pratiche colturali. Un’asciutta finale troppo anticipata può favorire<br />

una ripresa dell’accestimento; tale pratica è tuttavia utile in caso <strong>di</strong> forte allettamento o<br />

forte attacco <strong>di</strong> brusone.<br />

Nel tra<strong>di</strong>zionale ‘sistema vercellese’ (sl. 18/14), la tecnica prevede le seguenti<br />

operazioni: 1) Sommersione con 2-3 cm d’acqua per eseguire il livellamento<br />

(in<strong>di</strong>cativamente ai primi <strong>di</strong> aprile). 2) Aumento della lama d’acqua a 5.5 cm (massimo<br />

7-8) per eseguire la semina, e suo mantenimento per i 15-20 giorni successivi (per<br />

favorire la germinazione); data in<strong>di</strong>cativa: 10-30 aprile. 3) Breve asciutta o<br />

abbassamento del livello, per favorire il ra<strong>di</strong>camento delle plantule. 4) Aumento della<br />

lama d’acqua a 12-13 cm per 10 giorni, in modo da sommergere completamente le<br />

plantule per eseguire il trattamento contro i giavoni (primi <strong>di</strong> maggio). 5) Riduzione<br />

della lama d’acqua a 8-10 cm per 30-35 giorni (cioè fino verso la metà <strong>di</strong> giugno). 6)<br />

Asciutta <strong>di</strong> 2-3 giorni per eseguire il <strong>di</strong>serbo contro ciperacee e altre specie non<br />

graminacee. 7) Sommersione con 8-10 cm d’acqua per circa due settimane. 8) Asciutta<br />

<strong>di</strong> una settimana per eseguire la concimazione in copertura all’inizio della levata (ultimi<br />

giorni <strong>di</strong> giugno); le asciutte in<strong>di</strong>cate ai punti 6 e 8 a volte vengono riunite. 9)<br />

Sommersione con 8-10 cm <strong>di</strong> acqua fin verso la fine <strong>di</strong> agosto, allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

88


maturazione lattea. 10) Sospensione dell’irrigazione in modo che le risaie siano agibili<br />

in settembre per le macchine da raccolta.<br />

Nelle terre torbose del ferrarese il governo dell’acqua <strong>di</strong>fferisce da quanto<br />

esposto (‘sistema ferrarese’; (sl. 18/16). La lama d’acqua è sempre molto più alta (20-25<br />

cm) ed è poi praticata un’asciutta più lunga <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>camento verso la metà <strong>di</strong> giugno per<br />

favorire lo sviluppo dell’apparato ra<strong>di</strong>cale, mentre non sempre si pratica l’asciutta <strong>di</strong><br />

inizio levata, la quale sarebbe controproducente favorendo un eccessivo rilascio <strong>di</strong> azoto<br />

da parte del terreno che è molto ricco <strong>di</strong> sostanza organica.<br />

L’attuale tendenza del governo delle acque prevede l’immissione dell’acqua<br />

nelle camere da qualche giorno ad un mese (nel caso della lotta al riso crodo con<br />

erbici<strong>di</strong> antigerminello) prima della semina. Un intervallo <strong>di</strong> 4-7 giorni tra la<br />

sommersione e la semina favorisce l’azione <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> a base <strong>di</strong> Oxa<strong>di</strong>azon, contro le<br />

piante acquatiche del genere Heteranthera. La riduzione dell’intervallo sommersionesemina<br />

limita al minimo il problema delle alghe, la competizione delle malerbe<br />

acquatiche e gli effetti dell’intorbidamento dell’acqua provocati da vermi e crostacei.<br />

Quando il riso ha sviluppato una piumetta <strong>di</strong> 2-2.5 cm (8-10 giorni dalla semina in<br />

aprile, 5-7 giorni dalla semina in maggio) si procede all’asciutta <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>camento. Oltre<br />

all’effetto <strong>di</strong> affrancamento delle piante, questa asciutta ha un effetto <strong>di</strong> controllo delle<br />

alghe e <strong>di</strong> riduzione <strong>di</strong> eventuali fermentazioni o fenomeni <strong>di</strong> tossicità da erbici<strong>di</strong> <strong>di</strong> presemina.<br />

La durata massima <strong>di</strong> questa asciutta deve essere una settimana, al fine <strong>di</strong> non<br />

favorire la germinazione <strong>di</strong> giavoni e del crodo e non creare indurimento del terreno. In<br />

questa fase <strong>di</strong> asciutta si possono manifestrare fenomeni <strong>di</strong> sensibilità della coltura agli<br />

abbassamenti termici. Nella fase colturale successiva, il livello dell’acqua segue<br />

progressivamente la crescita della coltura sino alla seconda asciutta programmata per<br />

l’esecuzione dei trattamenti erbici<strong>di</strong>, a cui segue, solitamente, la concimazione azotata<br />

<strong>di</strong> copertura. La durata <strong>di</strong> tale asciutta è legata alla strategia <strong>di</strong> <strong>di</strong>serbo, andando da<br />

pochi giorni a due settimane. La concimazione azotata viene eseguita prima della<br />

sommersione, normalmente dopo 5-7 giorni dal <strong>di</strong>serbo. Nella fase <strong>di</strong> accestimento il<br />

livello dell’acqua viene mantenuto sui 5-10 cm. Livelli bassi favoriscono l’accestimento<br />

e l’irrobustimento dei culmi. Con il sopraggiungere del caldo risulta utile fare un riciclo<br />

completo delle acque, allo scopo <strong>di</strong> favorire una maggiore ossigenazione e <strong>di</strong><br />

allontanare composti tossici provenienti dal metabolismo anaerobico della risaia.<br />

All’inizio della fase <strong>di</strong> levata in molte situazioni colturali è vantaggioso ricorrere ad una<br />

terza asciutta. Tale pratica favorisce l’eliminazione <strong>di</strong> composti ridotti, impe<strong>di</strong>sce la<br />

formazione <strong>di</strong> accestimenti tar<strong>di</strong>vi e migliora la resistenza all’allettamento, favorendo<br />

una ripresa della crescita dell’apparato ra<strong>di</strong>cale e la lignificazione dei culmi. La durata<br />

varia dai 10 ai 15 giorni in funzione del clima e del terreno. La nuova sommersione ha<br />

lo scopo <strong>di</strong> prevenire danni da abbassamenti termici durante la fase <strong>di</strong> maturazione del<br />

polline. La gestione si conclude con l’asciutta pre-raccolta, generalmente allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

maturazione cerosa. Asciutte anticipate provocano un calo produttivo e l’abbassamento<br />

della resa in riso lavorato.<br />

Alla tra<strong>di</strong>zionale semina in sommersione si va affiancando la semina in asciutto<br />

a file interrate (sl. 18/20). Questa tecnica può determinare alcuni vantaggi, quali il<br />

minore uso <strong>di</strong> acqua, la riduzione dello sviluppo <strong>di</strong> alghe, la riduzione dell’allettamento,<br />

una minore per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> sostanza organica e una complessiva riduzione dei costi <strong>di</strong><br />

produzione. Il ciclo colturale viene allungato <strong>di</strong> qualche giorno, specialmente per le<br />

semine precoci e si utilizzano quin<strong>di</strong> varietà a ciclo me<strong>di</strong>o o me<strong>di</strong>o-precoce. Si può<br />

avere un maggiore sviluppo <strong>di</strong> riso crodo a causa della nascita anche dei semi interrati<br />

in profon<strong>di</strong>tà. Alla sommersione (circa un mese dopo l’emergenza), almeno un terzo<br />

dell’altezza della pianta deve essere sommerso per favorire il superamento della fase<br />

89


critica <strong>di</strong> transizione dall’asciutto al sommerso. È opportuno <strong>di</strong>stribuire circa il 20% <strong>di</strong><br />

N in più rispetto alla semina in sommersione.<br />

La tra<strong>di</strong>zionale coltivazione per sommersione potrebbe <strong>di</strong>ventare <strong>di</strong>fficilmente<br />

sostenibile in un futuro con sempre meno acqua <strong>di</strong>sponibile. Si sta quin<strong>di</strong><br />

sperimentando la possibilità <strong>di</strong> coltivare il riso con una irrigazione turnata. La tecnica<br />

prevede la semina a file su terreno asciutto ed apporti idrici attraverso sommersione o<br />

aspersione in funzione dell’evapotraspirazione. La fase critica della coltura è quella tra<br />

la formazione dell’abbozzo panicolare e la fioritura. Sarà necessario ricorrere a varietà<br />

resistenti allo stress idrico e al brusone. Sarà altresì necessario adeguare la<br />

somministrazione dei fertilizzanti, utilizzando concimi a lento effetto o <strong>di</strong> matrice<br />

organica, in pre-semina e frazionati durante la coltura (all’accestimento e alla<br />

formazione della pannocchia). Per il contenimento delle infestanti da asciutto, come<br />

giavoni ed alcune <strong>di</strong>cotiledoni, occorrono <strong>di</strong>serbi fin dai primi sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> sviluppo della<br />

coltura. Questa tecnica colturale determina un maggiore accumulo <strong>di</strong> cadmio nella<br />

granella.<br />

Semina<br />

La scelta delle varietà da seminare può contare su tipi <strong>di</strong> riso che <strong>di</strong>fferiscono tra loro<br />

per la durata del ciclo <strong>di</strong> sviluppo, per la tecnica colturale e, soprattutto, per le<br />

caratteristiche mercantili del prodotto (sl. 18/26-27). In base alla precocità, le varietà<br />

italiane sono <strong>di</strong>stinte in: molto precoci (140 giorni <strong>di</strong> durata del ciclo); precoci (141-150<br />

gg); me<strong>di</strong>e (151-160 gg); <strong>di</strong> stagione (161-170 gg) e tar<strong>di</strong>ve (171-175 gg). In passato<br />

esistevano anche varietà precocissime (125 giorni), utilizzate per la coltura intercalare<br />

trapiantata, oggi scomparsa. C’è una relazione lineare che lega la produttività alla<br />

lunghezza del periodo vegetativo. Varietà precoci sono da preferire quando si debba<br />

liberare presto il terreno per la successiva semina del frumento, o nel caso in cui si<br />

ricorra alla falsa semina per la lotta al riso crodo.<br />

La stagione <strong>di</strong> semina del riso varia a seconda della temperatura dell’acqua, della<br />

coltura precedente e della precocità della varietà. Per avere un’emergenza sod<strong>di</strong>sfacente<br />

occorre che la temperatura raggiunga i 12-14 °C. In genere la semina è compresa tra la<br />

metà <strong>di</strong> aprile e la metà <strong>di</strong> maggio, ma con varietà molto precoci ci si può spingere fino<br />

alla fine <strong>di</strong> maggio. Ciò, come detto, è particolarmente utile per il controllo del riso<br />

crodo me<strong>di</strong>ante la tecnica della falsa semina. Il riso crodo è un riso selvatico, infestante,<br />

il cui aspetto è molto simile a quello del riso coltivato. La caratteristica principale del<br />

riso crodo è la tendenza delle cariossi<strong>di</strong> a staccarsi dalla pannocchia e a cadere al suolo<br />

(crodatura) prima della raccolta del riso. La presenza <strong>di</strong> riso crodo nelle risaie ha serie<br />

conseguenze per gli agricoltori, poiché comporta, infatti, una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> produzione. Si<br />

calcola che la presenza <strong>di</strong> sole 10 piante <strong>di</strong> crodo per m 2 possa provocare una per<strong>di</strong>ta<br />

pari ad un quarto del raccolto potenziale. Solitamente, il riso crodo si <strong>di</strong>stingue dal riso<br />

coltivato per la maggiore statura e per la colorazione rossastra del pericarpo. In alcuni<br />

casi, però, il riso crodo può avere un’altezza simile a quella del riso coltivato e la<br />

colorazione delle cariossi<strong>di</strong> può assumere tonalità comprese tra il rosso ed il bianco,<br />

rendendo non facile <strong>di</strong>stinguere i due tipi. La semina ritardata, o falsa semina, si è resa<br />

necessaria in seguito alla <strong>di</strong>ffusione del riso crodo. Tale tecnica <strong>di</strong> semina interessa<br />

ormai circa 25000 ha in Lombar<strong>di</strong>a. La sua caratteristica è quella <strong>di</strong> favorire la<br />

germinazione delle infestanti che vengono <strong>di</strong>strutte prima <strong>di</strong> iniziare la coltivazione vera<br />

e propria, ritardando quin<strong>di</strong> l’epoca <strong>di</strong> semina del riso coltivato. La falsa semina con<br />

<strong>di</strong>serbo posticipato consiste nel preparare il più precocemente possibile (fine marzoprimi<br />

<strong>di</strong> aprile) il letto <strong>di</strong> semina, favorendo al massimo la germinazione dei semi<br />

naturalmente presenti nel terreno (semi <strong>di</strong> infestanti, semi <strong>di</strong> riso caduti dalla<br />

90


coltivazione dell’anno precedente, semi <strong>di</strong> riso crodo) per poi procedere alla <strong>di</strong>struzione<br />

delle piantine quando esse hanno raggiunto un certo sviluppo e la semina del riso<br />

coltivato è oramai prossima. La preparazione delle risaie su cui effettuare la falsa<br />

semina inizia con le lavorazioni superficiali del terreno, che va reso il più possibile fine<br />

allo scopo <strong>di</strong> favorire al massimo la germinazione delle infestanti. In molte aziende<br />

risicole lombarde è comune sottoporre la risaia ad una nuova lavorazione superficiale<br />

del terreno una volta effettuato il <strong>di</strong>serbo, allo scopo <strong>di</strong> completare la <strong>di</strong>struzione delle<br />

infestanti germinate e porre la semente nelle migliori con<strong>di</strong>zioni per la germinazione. In<br />

questo caso, per evitare <strong>di</strong> portare in superficie nuovi semi, la lavorazione deve essere<br />

però estremamente superficiale. Dopo questa operazione si procede alla semina del riso,<br />

o con la tecnica tra<strong>di</strong>zionale (in questo caso si provvede all’allagamento della risaia) o<br />

con la tecnica della semina in asciutto: in questo caso non è possibile impiegare prodotti<br />

<strong>di</strong>serbanti ad effetto residuale (es. Dalapon) per la <strong>di</strong>struzione del crodo.<br />

Le varietà <strong>di</strong> riso che è possibile coltivare con questo tipo <strong>di</strong> semina risentono<br />

del fatto che è necessario aspettare lo sviluppo delle infestanti prima <strong>di</strong> provvedere alla<br />

semina, e quin<strong>di</strong> devono essere forzatamente a ciclo breve. In Lomellina le più <strong>di</strong>ffuse<br />

sono Loto, Selenio, Gla<strong>di</strong>o e, negli ultimi anni, Nembo e Centauro. Altre varietà<br />

utilizzate sono Savio, Aipper, Alpe e Lido. Nel Pavese e nel Milanese, alle varietà già<br />

menzionate si affiancano anche Drago, Baldo e Sant’Andrea.<br />

A parte la semina ritardata per la lotta al riso crodo, le semine tra<strong>di</strong>zionali più<br />

<strong>di</strong>ffuse sono la semina in acqua e la semina interrata a file su terreno asciutto.<br />

Quest’ultima è particolarmente <strong>di</strong>ffusa in Lombar<strong>di</strong>a (eccetto il mantovano), dove è<br />

concentrato circa il 90% della superficie nazionale coltivata con questa tecnica. Le aree<br />

dove maggiormente è <strong>di</strong>ffusa sono quelle con minore <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> acqua per<br />

l’irrigazione o quelle dove il terreno, particolarmente permeabile, rende <strong>di</strong>fficoltosa la<br />

semina tra<strong>di</strong>zionale in acqua. In anni con primavere particolarmente siccitose la semina<br />

in asciutto tende ad aumentare <strong>di</strong> superficie, mentre nelle annate piovose tende a<br />

<strong>di</strong>minuire. Per semina in asciutto si intende la semina del riso su terreno privo <strong>di</strong> acqua,<br />

interrando la semente a 2-3 cm <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà. Per questa operazione si impiegano<br />

generalmente le stesse macchine utilizzate per la semina del grano. Il seme viene<br />

interrato asciutto prelevandolo <strong>di</strong>rettamente dai sacchi, senza alcun trattamento<br />

preventivo (cosa che invece è <strong>di</strong> uso comune nella tecnica tra<strong>di</strong>zionale). In molte<br />

aziende la macchina seminatrice è combinata con un attrezzo che effettua la lavorazione<br />

superficiale del terreno (erpice a denti o fresatrice) in modo da consentire con un unico<br />

passaggio della trattrice sia la lavorazione superficiale che 1’interramento della<br />

semente. Questo consente un risparmio <strong>di</strong> manodopera e <strong>di</strong> tempo. A volte alle<br />

‘combinate’ è aggiunto un rullo per costipare il terreno, completando in tal modo le<br />

operazioni necessarie alla semina. Sebbene qualche tecnico consigli una dose <strong>di</strong> semina<br />

leggermente superiore in asciutto rispetto alla semina in acqua (a causa del possibile<br />

minor accestimento che le piante realizzerebbero in asciutto), la dose <strong>di</strong> semina può<br />

essere sostanzialmente la stessa in asciutto e in sommersione. L’acqua <strong>di</strong> irrigazione<br />

viene immessa nel campo circa 30 giorni dopo la semina, quando le piantine hanno<br />

raggiunto lo sviluppo <strong>di</strong> 3-4 foglie. Dopo questa fase, la coltivazione rimane allagata e<br />

la gestione dell’acqua è analoga a quella <strong>di</strong> una risaia tra<strong>di</strong>zionale. Tutte le varietà <strong>di</strong><br />

riso possono essere coltivate con la tecnica della semina in asciutto, ma alcune si<br />

adattano meglio <strong>di</strong> altre. Le varietà con ciclo vegetativo (semina-fioritura) breve (es.<br />

Drago) risultano, in genere, le più in<strong>di</strong>cate. Adatte sono anche quelle con sviluppo<br />

vegetativo rigoglioso (es. Volano, Sant’Andrea) in quanto la superficie fogliare delle<br />

piante risulta contenuta, riducendo <strong>di</strong> conseguenza anche il rischio <strong>di</strong> allettamento.<br />

Anche le varietà maggiormente resistenti alle basse temperature (es. Carnaroli) sono più<br />

adatte <strong>di</strong> quelle sensibili agli sbalzi termici.<br />

91


La semina tra<strong>di</strong>zionale in acqua consiste nel preparare il terreno destinato alla<br />

risaia, quin<strong>di</strong> allagarlo e procedere alla semina <strong>di</strong>retta a spaglio meccanico. La semina<br />

segue imme<strong>di</strong>atamente il passaggio dello spianone, <strong>di</strong> modo che la copertura del seme<br />

avvenga per il depositarsi della torbida sollevata da questo. La sommersione crea un<br />

ambiente pedo-climatico favorevole allo sviluppo del riso e consente una buona<br />

nutrizione della pianta. La semina viene preceduta dall’operazione preparatoria<br />

dell’ammollamento della semente, che consiste nell’immersione in acqua per almeno 24<br />

ore dei sacchi contenenti la semente, onde facilitare l’affondamento delle cariossi<strong>di</strong> al<br />

momento della semina e anticipare la germinazione e la nascita del riso. La dose <strong>di</strong><br />

seme impiegata varia da 180 a 250 kg/ha (sl. 18/30).<br />

Oltre che <strong>di</strong>rettamente in campo, il riso può essere seminato in semenzaio (1/10-<br />

1/20 della superficie da coltivare) per essere poi trapiantato (alto 15 cm, <strong>di</strong>sponendo 18-<br />

20 ciuffi <strong>di</strong> 3-6 piante per m 2 ). Il trapianto in Italia è completamente scomparso; si<br />

praticava estesamente in passato per guadagnare tempo e poter usare il riso come<br />

coltura intercalare dopo frumento o dopo il primo taglio <strong>di</strong> un prato. Questo sistema è<br />

ancora molto seguito ai tropici perché fa guadagnare tempo, consentendo fino a 2-3<br />

raccolti all’anno, e fa risparmiare semente.<br />

Lotta alle malerbe<br />

La risaia sommersa è un agroecosistema del tutto particolare nel quale la vegetazione<br />

infestante che vi si inse<strong>di</strong>a ha caratteristiche altrettanto particolari, adattate all’habitat<br />

della risaia. La flora infestante delle risaie ha infatti come habitat ambienti palustri o<br />

comunque saturi d’acqua, per cui comprende specie <strong>di</strong>verse da quelle che si trovano<br />

negli altri agroecosistemi, quali alghe, piante acquatiche vere e proprie (eterantera; sl.<br />

18/37), piante palustri (ciperacee, butomacee, alismatacee; sl. 18/38), o piante tolleranti<br />

gli ambienti umi<strong>di</strong> (tra le graminacee, i giavoni e il riso crodo). Con l’innovazione della<br />

tecnica colturale sono <strong>di</strong>venute importanti anche alcune piante infestanti tipiche <strong>di</strong><br />

colture asciutte. Le <strong>di</strong>minuzioni <strong>di</strong> produzione provocate dalle infestanti possono<br />

arrivare anche all’80%.<br />

Nella risicoltura del passato il controllo della vegetazione infestante era fatta con<br />

sali <strong>di</strong> rame sciolti nell’acqua per controllare le alghe, e con la monda a mano, eseguita<br />

con due passaggi a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> 15 giorni nel mese <strong>di</strong> giugno, che richiedevano<br />

l’impegno <strong>di</strong> circa 45 giornate lavorative per ettaro. Motivi economici hanno ormai da<br />

tempo reso non più proponibile la monda, mentre motivi tossicologici hanno limitato<br />

l’impiego del rame per il <strong>di</strong>salgo. Sono stati così messi a punto erbici<strong>di</strong> che, grazie alla<br />

loro efficacia, hanno avuto una larghissima <strong>di</strong>ffusione in tutte le zone risicole.<br />

L’impiego generalizzato <strong>di</strong> <strong>di</strong>serbanti sulle colture <strong>di</strong> riso che si ripetono sullo stesso<br />

terreno, per parecchi anni, ha però dato luogo ad un progressivo e profondo<br />

cambiamento della flora infestante. Le specie che in passato avevano importanza<br />

secondaria sono <strong>di</strong>ventate dominanti perché resistenti ai <strong>di</strong>serbanti più <strong>di</strong>ffusi (flora <strong>di</strong><br />

sostituzione). Ciò ha reso incessante la ricerca <strong>di</strong> nuovi principi attivi contro le<br />

infestanti emergenti e, <strong>di</strong> conseguenza, la tecnica del loro controllo, che va fatto in<br />

modo <strong>di</strong>versificato, in base alla flora specifica, e con ponderazione, tenendo conto che i<br />

prodotti che vengono immessi nell’acqua della risaia vengono veicolati nel sottosuolo o<br />

nei corpi idrici superficiali.<br />

Le infestazioni <strong>di</strong> alghe sono dannose specialmente durante il primo sviluppo del<br />

riso, per il feltro che esse formano con l’intreccio dei loro filamenti sul fondo della<br />

risaia o in superficie. Le alghe prevalenti nelle risaie sono quelle ver<strong>di</strong> (Chlorophyceae)<br />

e quelle azzurre (Cyanophyceae); in passato le prime erano prevalenti ma facilmente<br />

controllabili, mentre attualmente stanno aumentando le seconde. Le alghe ver<strong>di</strong><br />

92


formano un feltro galleggiante che ostacola l’emergenza dall’acqua delle piantine <strong>di</strong><br />

riso, le cui foglie restano invischiate nel feltro algale, trovando <strong>di</strong>fficoltà ad uscire alla<br />

luce. Si controllano me<strong>di</strong>ante concia del seme (con Mancozeb), con l’uso <strong>di</strong> carbammati<br />

o sali <strong>di</strong> rame, o riducendo l’altezza dell’acqua <strong>di</strong> sommersione. Le alghe azzurre<br />

formano il loro feltro prima sul fondo, dove le plantule <strong>di</strong> riso stanno compiendo il loro<br />

primo sviluppo, per poi sollevarsi <strong>di</strong>ventando galleggianti: in questo modo le plantule <strong>di</strong><br />

riso vengono sra<strong>di</strong>cate e portate in superficie. I perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> asciutta ed il basso livello<br />

dell’acqua possono contenere lo sviluppo <strong>di</strong> alghe azzurre.<br />

Tra le piante acquatiche, l’eterantera (Heteranthera limosa, H. reniformis, H.<br />

rotun<strong>di</strong>folia) è un’infestante nuova, introdotta dall’America centrale alcuni anni fa e che<br />

infesta ormai la quasi totalità delle risaie italiane.<br />

Le più <strong>di</strong>ffuse piante palustri comprendono specie <strong>di</strong> famiglie <strong>di</strong>verse come le<br />

Ciperacee (Scirpus maritimus, S. mucronatus), Alismatacee (Alisma plantago-aquatica)<br />

o Butomacee (Butumus umbellulatus, <strong>di</strong>fficile da controllare).<br />

La flora infestante emergente comprende specie come Cyperus esculentus,<br />

specie perenne tipica delle semine in asciutto, che si riproduce per mezzo <strong>di</strong> un numero<br />

elevatissimo <strong>di</strong> tubercoli; Cyperus serotinus, specie perenne <strong>di</strong> taglia elevata (120-130<br />

cm), tipica <strong>di</strong> risaia sommersa ma <strong>di</strong>ffusa anche in asciutto, che si riproduce per rizomi;<br />

Commelina communis, specie annuale molta <strong>di</strong>ffusa sugli argini, che si riproduce per<br />

seme e si sviluppa su terreno non sommerso ma poi sopporta livelli <strong>di</strong> acqua non troppo<br />

elevati; o Murdannia keisak, specie annuale, <strong>di</strong>ffusa sugli argini, nelle imboccature e<br />

capezzagne, che si riproduce per seme e si sviluppa su terreno sommerso (sl. 18/39-40).<br />

Le graminacee più temibili come infestanti della risaia sono Echinochloa spp.,<br />

Leptochloa spp., Leersia oryzoides, Sorghum halepense, Panicum <strong>di</strong>cothomiflorum (sl.<br />

18/48) e il già menzionato riso crodo.<br />

I giavoni (sl. 18/43-44) comprendono <strong>di</strong>verse specie del genere Echinochloa<br />

(giavone peloso: E. phyllopogon, in espansione; giavone meri<strong>di</strong>onale: E. colonum;<br />

giavone comune: E. crus-galli, il più <strong>di</strong>ffuso, presente in circa 190 mila ha; giavone<br />

pendulo: E. crus-pavonis; giavone cinese: E. erecta, in espansione; giavone maggiore:<br />

E. oryzoides, <strong>di</strong>ffuso in <strong>Ve</strong>neto ed Emilia Romagna) e sono le infestanti del riso più<br />

frequenti e invadenti, contro le quali è quasi sempre necessario intervenire perché<br />

bastano pochissime piante per m 2 (6-7) per causare per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> produzione considerevoli.<br />

La lotta ai giavoni si esegue con trattamenti in pre-semina o, soprattutto, in postemergenza<br />

con vari tipi <strong>di</strong> principi attivi (Oxa<strong>di</strong>azon, Tiocarbammati, Azimsulfuron,<br />

<strong>Pro</strong>panile, Quinclorac), alcuni dei quali da considerare con attenzione perché inquinanti<br />

o potenzialmente fitotossici.<br />

La Leptochloa fascicularis è una specie annuale che si riproduce per seme, <strong>di</strong><br />

taglia elevata, con grande capacità <strong>di</strong> accestimento e velocità <strong>di</strong> sviluppo notevole. La<br />

lotta viene condotta in pre-emergenza in semina asciutta (Cialofop butile) o in postemergenza<br />

in semina sommersa (Tiobencarb). La Leptochloa uninervia è una specie<br />

annuale simile alla precedente anche nella lotta (sl. 18/46). La Leersia oryzoides (riso<br />

selvatico perenne) si riproduce per via vegetativa ed è una pianta molto vivace (sl.<br />

18/47).<br />

Il riso crodo (Oryza sativa var. sylvatica) è botanicamente classificato come la<br />

stessa specie del riso coltivato, del quale è considerato una varietà botanica (sl. 18/49).<br />

Questa infestante, <strong>di</strong>ffusa in buona parte delle aree risicole mon<strong>di</strong>ali, è conosciuta in<br />

Italia perlomeno dall’inizio del 1800. La sua presenza in Italia era però piuttosto limitata<br />

fino agli anni ‘80 del novecento, quando aumentò in modo drammatico a causa<br />

soprattutto della <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> varietà a granello lungo (tipo in<strong>di</strong>ca) nella cui semente<br />

sono presenti in abbondanza cariossi<strong>di</strong> della malerba. Il riso crodo manifesta un’ampia<br />

variabilità <strong>di</strong> caratteristiche anatomiche, biologiche e fisiologiche. Tuttavia, è<br />

93


<strong>di</strong>fficilmente <strong>di</strong>stinguibile dal riso coltivato almeno fino allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> accestimento.<br />

Generalmente, le piante <strong>di</strong> riso crodo sono più vigorose, più sviluppate in altezza e<br />

presentano un maggior numero <strong>di</strong> culmi <strong>di</strong> accestimento rispetto alle varietà coltivate.<br />

Le caratteristiche più peculiari del riso crodo sono la colorazione del pericarpo (anche<br />

se vi sono numerosi biotipi a pericarpo bianco, in tutto simili al riso coltivato) e, in<br />

particolare, la capacità delle cariossi<strong>di</strong> <strong>di</strong> staccarsi dal rachide della pannocchia al<br />

raggiungimento della maturità (crodatura). I danni dovuti alla presenza della malerba<br />

sono rappresentati dal calo <strong>di</strong> produzione (meno 20-60%) dovuto agli effetti<br />

competitivi, e dai maggiori costi <strong>di</strong> lavorazione del riso. La parte <strong>di</strong> cariossi<strong>di</strong> della<br />

malerba che non è ancora caduta a terra al momento della trebbiatura del riso, infatti,<br />

viene raccolta col riso stesso, inquinando le partite commerciali. La presenza <strong>di</strong> tali<br />

cariossi<strong>di</strong> nel risone richiede una lavorazione più energica che si traduce in un aumento<br />

dei tempi <strong>di</strong> lavorazione e della quantità <strong>degli</strong> scarti. La <strong>di</strong>fficoltà maggiore nella<br />

gestione del riso crodo è rappresentata dal fatto che, fisiologicamente, è una pianta<br />

estremamente affine al riso coltivato.<br />

Caratteristiche biologiche del riso crodo sono: i) la rapida acquisizione della<br />

capacità germinativa dopo la fioritura e crodatura: i semi <strong>di</strong> riso crodo sono<br />

potenzialmente in grado <strong>di</strong> germinare già nove giorni dopo la fioritura; ii) la dormienza<br />

dei semi: a <strong>di</strong>fferenza della maggior parte dei risi coltivati della sottospecie japonica, i<br />

semi del riso crodo (come quelli della sottospecie in<strong>di</strong>ca) presentano comunemente un<br />

più o meno elevato grado <strong>di</strong> dormienza. Questo fenomeno si traduce in una scalarità<br />

delle emergenze, che permette al riso crodo con germinazione ritardata <strong>di</strong> sfuggire agli<br />

interventi <strong>di</strong> lotta chimica o meccanica. La forte pressione selettiva esercitata dagli<br />

interventi <strong>di</strong> lotta praticati per più anni può favorire, inoltre, la selezione e la <strong>di</strong>ffusione<br />

<strong>di</strong> tipi con emergenza tar<strong>di</strong>va; iii) la longevità dei semi (persistenza della vitalità):<br />

secondo alcune sperimentazioni può arrivare fino a 12 anni; iv) la capacità <strong>di</strong><br />

emergenza: in alcuni ecotipi, è stata osservata solo una modesta riduzione della<br />

percentuale <strong>di</strong> emergenza fino a 25 cm <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà; v) la taglia più elevata (migliore<br />

capacità competitiva per la luce).<br />

Le strategie <strong>di</strong> lotta al riso crodo si basano sulla combinazione <strong>di</strong> tecniche<br />

colturali e <strong>di</strong> interventi chimici. In un programma <strong>di</strong> lotta integrata al riso crodo, la<br />

scelta del tipo <strong>di</strong> lavorazione va fatta in funzione della consistenza della ‘banca dei<br />

semi’ (totale e alle <strong>di</strong>verse profon<strong>di</strong>tà) e <strong>degli</strong> altri mezzi <strong>di</strong> lotta che si vogliono<br />

adottare. Con l’aratura or<strong>di</strong>naria, ad esempio, i semi delle infestanti vengono in genere<br />

ri<strong>di</strong>stribuiti in modo omogeneo lungo tutto il profilo interessato, mentre con la minima<br />

lavorazione i semi rimangono concentrati nei primi 6-8 centimetri. Le lavorazioni<br />

superficiali tendono a stimolare le emergenze, per cui bene si adattano all’adozione <strong>di</strong><br />

tecniche come la falsa semina, finalizzate alla rapida riduzione della banca dei semi.<br />

Come già ricordato, la falsa semina è la tecnica <strong>di</strong> lotta più <strong>di</strong>ffusa nelle risaie italiane.<br />

Scopo della falsa semina è quello <strong>di</strong> indurre una emergenza abbondante e il più<br />

possibile uniforme della malerba prima della semina del riso. Essa determina un<br />

drastico contenimento dell’infestazione nel corso della stagione in cui viene adottata ed<br />

il suo impiego ripetuto negli anni consente una progressiva riduzione della banca dei<br />

semi. L’adozione della tecnica della falsa semina, ritardando <strong>di</strong> circa 30 giorni la semina<br />

rispetto all’epoca or<strong>di</strong>naria, impone l’impiego <strong>di</strong> varietà precoci. In passato venivano<br />

impiegate varietà molto precoci (Titanio, Silla, Rosa Marchetti) che consentivano <strong>di</strong><br />

limitare notevolmente la <strong>di</strong>sseminazione dell’infestante, in quanto raccolte normalmente<br />

prima della crodatura della stessa. Queste cultivar sono state sostituite da altre molto più<br />

produttive e con migliori caratteristiche agronomiche (in particolare maggiore resistenza<br />

all’allettamento), quali le già citate Loto, Cripto, Selenio e Savio.<br />

94


Una delle principali ragioni della drammatica <strong>di</strong>ffusione del riso crodo risiede<br />

nella quasi totale assenza <strong>di</strong> rotazioni che caratterizza le principali aree risicole italiane.<br />

In casi <strong>di</strong> infestazione particolarmente abbondante, il ricorso alla rotazione <strong>di</strong>venta<br />

l’unica strada percorribile. Le colture che più frequentemente sono inserite in rotazione<br />

col riso sono mais e soia. In queste colture, il riso crodo può essere controllato con<br />

<strong>di</strong>serbo chimico in pre- o post-emergenza, oppure con interventi meccanici.<br />

Ovviamente, l’utilizzo <strong>di</strong> semente certificata è un valido metodo <strong>di</strong> contenimento della<br />

<strong>di</strong>ffusione dell’infestante.<br />

Nella lotta al riso crodo, a causa della elevata affinità tra infestante e coltura, è<br />

possibile effettuare trattamenti <strong>di</strong>serbanti quasi esclusivamente in pre-semina. I<br />

trattamenti eseguibili in pre-semina sono sostanzialmente <strong>di</strong> due tipi: in pre-emergenza<br />

del riso crodo o in post-emergenza del riso crodo (in abbinamento alla falsa semina).<br />

L’impiego <strong>di</strong> prodotti chimici dopo la semina del riso è limitata esclusivamente a<br />

trattamenti <strong>di</strong> soccorso con barra umettante. Sebbene sia nota l’efficacia <strong>di</strong> vari principi<br />

attivi nel controllo in pre-emergenza del riso crodo, in Italia il Pretilachlor è il più usato.<br />

Il prodotto viene utilizzato con risaia sommersa (alto livello <strong>di</strong> acqua) e il trattamento va<br />

eseguito almeno 25-30 giorni prima della semina, per evitare effetti fitotossici sulla<br />

coltura, alla dose <strong>di</strong> 2.5 kg/ha <strong>di</strong> formulato commerciale. I trattamenti in postemergenza<br />

del riso crodo al termine della falsa semina forniscono generalmente i<br />

risultati migliori rispetto a tutti gli altri mezzi <strong>di</strong> lotta. I principi attivi <strong>di</strong>sponibili sono il<br />

Dalapon, impiegato già da molti anni, e il Cycloxy<strong>di</strong>m, autorizzato su riso in pre-semina<br />

dal 1999. L’impiego <strong>di</strong> altri <strong>di</strong>serbanti a largo spettro, come ad esempio Glifosate hanno<br />

mostrato livelli <strong>di</strong> efficacia piuttosto ridotti. Questo comportamento è probabilmente da<br />

porre in relazione alla limitata superficie <strong>di</strong> assorbimento delle plantule <strong>di</strong> riso crodo nel<br />

momento in cui si effettuano i trattamenti (sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 2-3 foglie). Per evitare l’aumento <strong>di</strong><br />

semi <strong>di</strong> crodo nel terreno è possibile operare interventi <strong>di</strong> soccorso durante la coltura del<br />

riso, con barra falciante (due interventi <strong>di</strong>stanziati <strong>di</strong> 15 giorni) o con barra umettante<br />

(con Glifosate).<br />

Le biotecnologie sono state applicate sul riso anche per conferire resistenza ad<br />

erbici<strong>di</strong>. Le ricerche hanno riguardato soprattutto la trasformazione per la resistenza a<br />

glufosinate-ammonio, un <strong>di</strong>serbante a largo spettro normalmente non selettivo per il riso<br />

e potente inibitore della glutammina sintetasi. L’inibizione <strong>di</strong> questo enzima provoca un<br />

accumulo <strong>di</strong> ammoniaca, che determina la morte della pianta. La resistenza viene<br />

ottenuta attraverso l’introduzione nel genoma della pianta del gene bar <strong>di</strong> Streptomyces<br />

hygroscopicus. L’impiego <strong>di</strong> questa tecnica ha già portato a delle applicazioni<br />

commerciali da parte della società che detiene il brevetto della molecola erbicida<br />

(Aventis), attraverso lo sviluppo <strong>di</strong> varietà caratterizzate dalla denominazione ‘Libertylink’.<br />

La valutazione agronomica <strong>di</strong> varietà transgeniche è stata effettuata soprattutto<br />

negli USA. La possibilità <strong>di</strong> controllare efficacemente il riso crodo in varietà<br />

transgeniche è stata ampiamente <strong>di</strong>mostrata, ma presenta alcuni rischi potenziali, primo<br />

fra tutti il possibile passaggio del gene <strong>di</strong> resistenza dalla coltura al riso crodo. In<br />

situazioni <strong>di</strong> incrocio controllato fra varietà trasformata e riso crodo è stata osservata la<br />

comparsa <strong>di</strong> progenie resistenti a glufosinate-ammonio, mentre resta da verificare la<br />

reale possibilità che questo fenomeno possa verificarsi nelle comuni con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

campo.<br />

Sul mercato esiste un’altra tecnologia <strong>di</strong> lotta che prevede l’impiego <strong>di</strong> varietà<br />

tolleranti ad un erbicida specifico, ottenute per mutagenesi e selezione, e non me<strong>di</strong>ante<br />

trasformazione genetica. La tecnologia è denominata ‘Clearfield ® ’ e la prima varietà<br />

utilizzata è stata Libero, tollerante all’erbicida Beyond (un imidazolinone) (sl. 18/61-<br />

62). Oggi sono <strong>di</strong>sponibili almeno altre quattro varietà ‘Clearfield ® ’: Luna CL, CL 26,<br />

CL 71 e CL XL745 (quest’ultima è una varietà ibrida).<br />

95


Raccolta e lavorazione industriale<br />

Il riso giunge alla maturazione fisiologica in epoche <strong>di</strong>verse secondo la precocità della<br />

varietà: con semina in aprile, le precoci raggiungono la maturazione in settembre,<br />

mentre le tar<strong>di</strong>ve vi pervengono alla fine <strong>di</strong> ottobre. La raccolta è preceduta dall’asciutta<br />

definitiva che si fa a maturazione cerosa (2-3 settimane prima della maturazione) per<br />

accelerare la maturazione fisiologica e rendere praticabile il terreno. È necessario che la<br />

raccolta sia fatta con tempestività, perché un ritardo aumenta le per<strong>di</strong>te per crodatura e<br />

la quota <strong>di</strong> cariossi<strong>di</strong> che non si sbiancano durante la lavorazione del risone.<br />

La mietitrebbiatura del riso può presentare qualche <strong>di</strong>fficoltà per la problematica<br />

praticabilità del terreno della risaia da parte della pesante mietitrebbiatrice. Per ovviare<br />

a questo inconveniente le mietitrebbie da riso sono generalmente semi-cingolate. Si<br />

tratta <strong>di</strong> macchine semoventi con barre <strong>di</strong> taglio da 3 a 4.5 m <strong>di</strong> lunghezza e capacità<br />

lavorativa <strong>di</strong> circa 1 ha all’ora. La raccolta può essere eseguita con la cosiddetta<br />

‘Stripper’, ovvero una testata da mietitrebbia che consente <strong>di</strong> raccogliere la sola granella<br />

senza tagliare la paglia e causa minori danni al seme (svestitura, fessurazioni e rotture)<br />

(sl. 19/3).<br />

Alla raccolta, l’umi<strong>di</strong>tà della granella è del 20-26% e, a causa <strong>di</strong> questa elevata<br />

umi<strong>di</strong>tà, il risone che esce dalla trebbiatrice deve essere sottoposto ad essiccazione. La<br />

pratica dell’essiccazione artificiale viene attuata in appositi essiccatoi ad aria calda e a<br />

moderata temperatura (35-40 °C); questa operazione va fatta subito dopo la raccolta, e<br />

comunque non oltre 15-20 ore da questa, altrimenti si possono avviare processi <strong>di</strong><br />

fermentazione. Uscito dall’essiccatoio, il riso subisce una pulitura per ventilazione e<br />

vagliatura onde liberarlo dalle impurità inerti, dai semi <strong>di</strong> malerbe e dalla granella<br />

vuota, immatura, etc. Quin<strong>di</strong> viene immagazzinato in attesa <strong>di</strong> essere ceduto<br />

all’industria che lo lavorerà. L’umi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> conservazione è del 13%.<br />

Il riso greggio o risone (paddy) è il riso dopo la prima fase <strong>di</strong> lavorazione<br />

(trebbiatura ed essiccazione), con i chicchi rivestiti delle dure glumette dalla struttura<br />

legnosa e silicea (da qui anche la definizione <strong>di</strong> ‘riso vestito’) (sl. 19/6). In questa fase,<br />

l’embrione può germinare, per cui i chicchi sono adatti per la semina. Non sono però<br />

ancora utilizzabili in cucina. Per trasformare il risone in riso commestibile, occorre<br />

procedere ad una serie <strong>di</strong> operazioni meccaniche che, per gra<strong>di</strong>, provvedono<br />

all’asportazione delle glumette e <strong>degli</strong> strati superficiali della cariosside fino a<br />

raggiungere la parte amilacea dell’endosperma. Il complesso <strong>di</strong> tali operazioni prende il<br />

nome <strong>di</strong> sbiancatura e può essere eseguito seguendo il proce<strong>di</strong>mento tra<strong>di</strong>zionale o<br />

quello del parboiling. Con il procedere della lavorazione si ha un progressivo<br />

impoverimento delle caratteristiche nutritive della cariosside, poiché vengono asportati<br />

anche lo strato aleuronico e l’embrione, che contengono in percentuale elevata grassi,<br />

sali minerali, proteine e vitamine. La sbiancatura è comunque in<strong>di</strong>spensabile per<br />

conferire conservabilità alle cariossi<strong>di</strong>, evitando processi <strong>di</strong> ossidazione a cui queste<br />

andrebbero incontro.<br />

La lavorazione tra<strong>di</strong>zionale del risone (sl. 19/8) comporta le successive<br />

operazioni <strong>di</strong> pulitura per eliminare le impurezze residue, <strong>di</strong> sbramatura che consiste<br />

nell’eliminazione delle glumette ottenendo il riso semigreggio o integrale, e <strong>di</strong><br />

sbiancatura vera e propria da cui si ricava il riso mercantile o riso raffinato. Il riso<br />

raffinato può subire ulteriori trattamenti <strong>di</strong> brillatura (con talco e glucosio) o <strong>di</strong><br />

oleatura, che conferiscono lucentezza al granello. Con la lavorazione industriale, dal<br />

risone si ottengono circa il 18-20% <strong>di</strong> lolla (glumette), l’8-9% <strong>di</strong> pula e farinaccio<br />

(rivestimenti della cariosside), l’1% <strong>di</strong> germe (embrione), l’8-10% <strong>di</strong> granelli rotti e<br />

immaturi e il 62-64% <strong>di</strong> granelli interi.<br />

96


Il proce<strong>di</strong>mento parboiling (sl. 19/14) consiste dapprima nel sottrarre al riso<br />

greggio l’aria, sotto vuoto. Il riso viene poi messo a mollo in acqua tiepida, per liberare<br />

le vitamine e i minerali contenuti nell’embrione e nel pericarpo. I chicchi vengono<br />

quin<strong>di</strong> trattati al vapore, sotto alta pressione, in modo da reintrodurre le sostanze<br />

nutritive idrofile all’interno del granello. L’amido in superficie viene indurito al vapore,<br />

formando una sigillatura che trattiene le sostanze nutritive nel granello. Infine il riso<br />

viene fatto essiccare. Il riso parboiled presenta quin<strong>di</strong> quasi lo stesso tenore nutritivo del<br />

riso integrale. Dopo essere stato sottoposto al proce<strong>di</strong>mento parboiling, il riso greggio<br />

viene avviato come d’uso alla sbramatura e alle ulteriori raffinazioni. Il riso parboiled<br />

ha un riflesso leggermente giallastro, ma con la cottura <strong>di</strong>venta bianchissimo e rimane al<br />

dente anche se cotto più a lungo. Il proce<strong>di</strong>mento parboiling porta alla eliminazione<br />

delle rotture durante la successiva lavorazione e aumenta la resistenza alla cottura e allo<br />

spappolamento del granello lavorato.<br />

Il consumo italiano è costituito per circa il 69% da riso ‘normale’ (bianco), per il<br />

29% da riso parboiled, e per il 2% da riso integrale (sl. 19/15).<br />

Tra i sottoprodotti che si ricavano dalla lavorazione del risone, la lolla può<br />

essere impiegata come lettiera negli allevamenti, come ammendante del terreno, come<br />

sostanza filtrante, come combustibile (da cui si ottiene il 16% <strong>di</strong> cenere ricca <strong>di</strong> C e Si,<br />

utilizzata per la produzione <strong>di</strong> mattoni refrattari o nelle acciaierie, quale isolante termico<br />

e antiossidante nelle colate), o come materia prima per la produzione <strong>di</strong> furfurolo da cui<br />

si ricava il nailon. La pula e il farinaccio sono utilizzati nella preparazione <strong>di</strong> mangimi,<br />

avendo un ottimo contenuto in proteine e aci<strong>di</strong> grassi, vitamine (tiamina, riboflavina,<br />

niacina, piridossina, acido pantotenico, inositolo e colina) e minerali (P, Fe e Zn). Il<br />

germe è utilizzato nella preparazione <strong>di</strong> mangimi e per la produzione (estrazione) <strong>di</strong><br />

olio. L’olio <strong>di</strong> riso si dovrebbe chiamare in realtà ‘olio <strong>di</strong> crusca <strong>di</strong> riso’ (rice bran oil)<br />

poiché è ottenuto dai residui della sbramatura (lolla e pula) nei quali sono rimaste tracce<br />

dell’embrione della cariosside. Tali avanzi vengono tostati a 100 °C per bloccare gli<br />

enzimi responsabili della degradazione <strong>degli</strong> aci<strong>di</strong> grassi, e deumi<strong>di</strong>ficati fino al 6-7% <strong>di</strong><br />

umi<strong>di</strong>tà. Segue poi la spremitura e l’estrazione con solventi chimici (esano). La parte<br />

insaponificabile dell’olio è sensibile al sistema <strong>di</strong> raffinazione adottato, che può<br />

<strong>di</strong>minuire il contenuto <strong>di</strong> gamma orizanolo. Un buon sistema <strong>di</strong> raffinazione consente <strong>di</strong><br />

ottenere un olio <strong>di</strong> riso all’1% (1 g <strong>di</strong> gamma orizanolo su 100 g <strong>di</strong> olio). Il gamma<br />

orizanolo innalza i livelli <strong>di</strong> testosterone e dell’ormone della crescita, può avere un<br />

effetto anabolizzante, innalza il livello delle endorfine, è <strong>di</strong> aiuto nella menopausa,<br />

<strong>di</strong>minuisce il colesterolo LDL ed ha una generale azione ipolipemizzante (<strong>di</strong>minuzione<br />

dei grassi nel sangue).<br />

Tra i derivati del riso, l’amido, in polvere o sciolto in acqua, ha una funzione<br />

rinfrescante, ottima per la pelle irritata; unito ad altri materiali, viene invece usato dalle<br />

industrie per produrre colle e vernici. La farina è particolarmente adatta nei casi <strong>di</strong><br />

intolleranza alimentare al glutine; con la farina <strong>di</strong> riso è possibile preparare pane,<br />

minestre, gnocchi, ma anche pasta fresca e dolci. Il latte deriva dalla lavorazione del<br />

riso integrale; è una bevanda molto dolce, con la quale si possono preparare <strong>degli</strong> ottimi<br />

biscotti, torte e creme. La pasta, preparata esclusivamente con farina <strong>di</strong> riso, è senza<br />

glutine e può essere consumata anche dai celiaci. La polvere può essere usata come<br />

cosmetico al posto della cipria ed è più delicata e rinfrescante <strong>di</strong> quest’ultima. La paglia<br />

viene usata, unita alla lolla, sia per la preparazione <strong>di</strong> combustibile che per le lettiere<br />

<strong>degli</strong> animali. Dalla paglia <strong>di</strong> riso si ricava anche la carta <strong>di</strong> riso, <strong>di</strong> qualità pregiata,<br />

particolarmente sottile ma anche molto resistente.<br />

97


Classificazione commerciale/merceologica<br />

I tipi japonica e in<strong>di</strong>ca si <strong>di</strong>versificano piuttosto nettamente per le caratteristiche<br />

qualitative, che ne influenzano l’utilizzazione gastronomica. La struttura amorfa<br />

dell’amido del riso japonica lo rende ‘spugnoso’, con tendenza ad assorbire in quantità<br />

elevata il liquido <strong>di</strong> cottura ed i componenti in essi <strong>di</strong>sciolti, assumendone i sapori. È<br />

quin<strong>di</strong> un riso adatto per minestre e risotti. Il riso in<strong>di</strong>ca ha invece una struttura<br />

dell’amido completamente cristallina, che impe<strong>di</strong>sce una penetrazione abbondante del<br />

liquido o vapore <strong>di</strong> cottura. È quin<strong>di</strong> soprattutto utilizzato come contorno o per insalate.<br />

La tra<strong>di</strong>zionale classificazione merceologica italiana (sl. 19/24) <strong>di</strong>stingue il tipo<br />

Comune o originario, caratterizzato da una lunghezza del granello inferiore a 5.2 mm<br />

(una classica varietà <strong>di</strong> questo tipo è l’Originario), il Semifino, con lunghezza compresa<br />

tra 5.2 e 6.4 mm (es. il Vialone nano), il Fino, con lunghezza superiore a 6.4 mm (es. il<br />

Ribe) e il Superfino con lunghezza maggiore <strong>di</strong> 6.4 mm ed altre caratteristiche superiori<br />

(es. l’Arborio).<br />

Il riso comune (tondo secondo la classificazione europea) ha chicchi piccoli e<br />

tondeggianti, cuoce in 12-13 minuti e durante la cottura tende a rilasciare amido, il che<br />

lo rende adatto alla preparazione <strong>di</strong> minestre in brodo, timballi e dolci. Le varietà più<br />

conosciute sono Auro, Balilla, Cripto, Elio, Originario, Pierrot, Raffaello, Rubino e<br />

Selenio. Il riso semifino ha chicchi tondeggianti, semiallungati e <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a grandezza;<br />

cuoce in 13-15 minuti e la sua buona capacità <strong>di</strong> rilasciare l’amido fa sì che si presti alla<br />

preparazione <strong>di</strong> minestroni, supplì, timballi e risotti in cui è prevista la mantecatura,<br />

nella tipica preparazione ‘all’onda’. Tra le varietà si segnalano Italico, Lido, Maratelli,<br />

Padano, Romeo, Rosa Marchetti e Vialone nano. Il riso fino, dai chicchi affusolati e<br />

lunghi, è ottimo per timballi e supplì. Cuoce in 14 minuti ed è molto apprezzato per la<br />

sua estrema versatilità in cucina. Le varietà più <strong>di</strong>ffuse sono Ariete, Cervo, Drago,<br />

Europa, Loto, Razza 77, URB, Ribe, Ringo, Rizzotto, Sant’Andrea, Smeraldo e<br />

<strong>Ve</strong>neria. Il riso superfino ha chicchi gran<strong>di</strong> e molto lunghi, tiene bene la cottura e<br />

rilascia pochissimo amido, tanto da lasciare l’acqua <strong>di</strong> cottura quasi limpida. Per questo<br />

è in<strong>di</strong>cato nella preparazione <strong>di</strong> insalate e <strong>di</strong> piatti come la paella, in cui i chicchi<br />

devono rimanere ben sgranati. Tra le sue varietà si contano Arborio, Baldo, Carnaroli,<br />

Corallo e Roma.<br />

L’attuale classificazione europea (sl. 19/26-27) <strong>di</strong>stingue il tipo Tondo, dal<br />

chicco <strong>di</strong> lunghezza < 5.2 mm e rapporto lunghezza/larghezza < 2, il Me<strong>di</strong>o (lunghezza<br />

5.2-6 mm, rapporto lunghezza/larghezza < 3), il Lungo A (lunghezza > 6 mm, rapporto<br />

lunghezza/larghezza < 3) e il Lungo B (lunghezza > 6 mm, rapporto<br />

lunghezza/larghezza > 3).<br />

Il Lungo B comprende soprattutto varietà <strong>di</strong> tipo in<strong>di</strong>ca (Thaibonnet e altre), ma<br />

anche varietà <strong>di</strong> japonica, che devono anche presentare scarsa collosità, buona<br />

consistenza dopo la cottura, contenuto in amilosio superiore al 21% e assenza <strong>di</strong><br />

perlatura. La cariosside <strong>di</strong> riso presenta generalmente un aspetto cristallino, che<br />

comporta buona resistenza alla cottura. La perlatura è determinata dalla presenza <strong>di</strong><br />

spazi d’aria all’interno della cariosside, i quali determinano un maggior rigonfiamento<br />

durante la cottura ed un granello cotto più morbido. La perlatura provoca però anche un<br />

incremento della percentuale <strong>di</strong> granelli rotti durante la lavorazione. La presenza <strong>di</strong><br />

perlatura è governata da fattori genetici e da fattori ambientali. Le elevate temperature<br />

notturne durante la granigione incrementano il grado <strong>di</strong> perlatura.<br />

Il consumo me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> riso in Italia è <strong>di</strong> circa 5 kg/anno pro capite, con gran<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fferenze tra le <strong>di</strong>verse aree geografiche (9 kg/anno in Lombar<strong>di</strong>a, 3 kg/anno al Sud).<br />

Tra le sette varietà più consumate in Italia, cinque appartengono al tipo Lungo A, ed una<br />

ciascuna al tipo Tondo e a quello Me<strong>di</strong>o (sl. 19/30-34). Il tipo Lungo A copre la<br />

98


maggior percentuale <strong>di</strong> superficie coltivata in Italia, mentre si sta assistendo ad un<br />

aumento importante delle superfici coltivate con varietà <strong>di</strong> tipo Lungo B (sl. 19/35-37).<br />

Altri tipi <strong>di</strong> riso comprendono il riso waxy, i risi aromatici (Basmati) e i risi<br />

pigmentati. Il riso waxy (o riso glutinoso o destrinoso) ha granello a frattura quasi<br />

totalmente farinosa per l’endosperma quasi completamente formato da destrina e<br />

amilopectina. A seguito della cottura questo riso tende ad ‘incollarsi’ ed è utilizzato in<br />

pasticceria.<br />

I risi aromatici sono caratterizzati da un aroma simile a quello del pop-corn;<br />

molto apprezzati in In<strong>di</strong>a, Pakistan e Me<strong>di</strong>o Oriente, stanno <strong>di</strong>ventando via via più<br />

popolari anche in USA ed Europa. L’importazione europea <strong>di</strong> risi aromatici, soprattutto<br />

Basmati (con granello allungato, traslucido), è da attribuirsi al nuovo mercato etnico e<br />

ad una richiesta da parte <strong>di</strong> consumatori più attenti alle novità gastronomiche.<br />

Responsabile dell’aroma è la 2-acetil-l-pirrolina (2-AP). Attualmente in Italia sono<br />

coltivate sei varietà aromatiche: Apollo, Asia, Fragrance, Gange, Giano e Giglio.<br />

I risi pigmentati (dal pericarpo nero o rosso; sl. 19/40) hanno occupato negli anni<br />

recenti interessanti quote <strong>di</strong> mercato (con lavorazione allo stato <strong>di</strong> riso semigreggio). I<br />

pigmenti naturali del riso possiedono proprietà antiossidanti e rimuovono i ra<strong>di</strong>cali<br />

liberi. La frazione pigmentata è in grado <strong>di</strong> ridurre la formazione <strong>di</strong> ossido nitrico, un<br />

potente produttore <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>cali liberi, me<strong>di</strong>ante soppressione della sintesi <strong>di</strong> questa<br />

sostanza nei macrofagi attivati, senza indurre citotossicità.<br />

Qualità<br />

Il riso è un alimento dalle ottime caratteristiche nutrizionali e rappresenta un’ottima<br />

fonte <strong>di</strong> carboidrati. È altamente <strong>di</strong>geribile e presenta un buon contenuto <strong>di</strong> proteine <strong>di</strong><br />

elevato valore biologico, un ottimo rapporto so<strong>di</strong>o/potassio ed una elevata<br />

concentrazione <strong>di</strong> vitamine idrosolubili (PP, B1, B2).<br />

Ovviamente, il riso integrale presenta un maggiore contenuto <strong>di</strong> vitamine, fibra,<br />

minerali, aci<strong>di</strong> grassi ed enzimi che vanno vanno persi con la raffinazione nel riso<br />

brillato.<br />

L’amido è il maggiore componente della cariosside ed il riso brillato è in pratica<br />

solo amido con una piccola parte <strong>di</strong> quota proteica in esso inglobata. Chimicamente<br />

l’amido è formato da due componenti: l’amilosio (con catene lineari <strong>di</strong> molecole <strong>di</strong><br />

glucosio) e l’amilopectina (con catene ramificate). Le caratteristiche qualitative del riso<br />

<strong>di</strong>pendono essenzialmente dal rapporto tra i due componenti dell’amido, dalle loro<br />

caratteristiche chimico-fisiche, dalla quota proteica in essi contenuta, e dalla forma dei<br />

granuli d’amido. Oltre che dalle caratteristiche del genotipo, le caratteristiche qualitative<br />

del riso <strong>di</strong>pendono inoltre da altri fattori inter<strong>di</strong>pendenti, quali le pratiche colturali, le<br />

con<strong>di</strong>zioni pedoclimatiche e le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> stoccaggio.<br />

Le varietà a basso contenuto in amilosio (10-20%) mostrano, dopo la cottura, un<br />

granello colloso e poco consistente. Le varietà con contenuto me<strong>di</strong>o (20-24%) e elevato<br />

(> 24%) <strong>di</strong> amilosio presentano un granello cotto poco appiccicoso e con buona<br />

consistenza (sl. 19/48). In Giappone sono richieste varietà che, dopo la cottura,<br />

mantengano un granello appiccicoso (consumo con bacchette <strong>di</strong> legno). Le varietà<br />

japonica sono infatti caratterizzate da basso contenuto in amilosio. In In<strong>di</strong>a sono invece<br />

richieste varietà che, dopo la cottura, mantengano una buona struttura e consistenza,<br />

poco collose e con granelli ben separati (consumo con mani o posate). Le varietà in<strong>di</strong>ca<br />

presentano un contenuto me<strong>di</strong>o o alto <strong>di</strong> amilosio.<br />

99


Miglioramento genetico<br />

Il riso è una pianta autogama e i primi meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> selezione delle popolazioni locali<br />

(largamente <strong>di</strong>ffuse nel sud-est asiatico) sono stati, così come per i cereali autogami<br />

autunno-vernini, la selezione massale e la selezione per linea pura (sl. 19/52). Il metodo<br />

<strong>di</strong> miglioramento genetico oggi più largamente utilizzato è il metodo pe<strong>di</strong>gree o<br />

selezione genealogica, che prevede l’ibridazione artificiale tra due parentali (ottenuta<br />

previa emasculazione fisica o termica con acqua calda a 43 °C per 4-5 minuti del<br />

genitore portaseme ed imme<strong>di</strong>ata fecondazione col polline del genitore maschile; sl.<br />

19/53) e successivo allevamento delle generazioni segreganti, via via più omozigoti,<br />

fino alla selezione finali delle linee pure (F6-F7) più promettenti.<br />

I principali caratteri oggetto <strong>di</strong> selezione nei programmi <strong>di</strong> miglioramento<br />

genetico sono: la precocità del ciclo (utile soprattutto nella lotta al riso crodo); la<br />

riduzione della taglia (per una migliore resistenza all’allettamento); la resistenza alle<br />

patologie (brusone, mal del collo, fusariosi, etc.); la resa elevata; il miglioramento della<br />

qualità (es. contenuto in amilosio); l’ottenimento <strong>di</strong> materiali ‘speciali’ (aromatici,<br />

pigmentati, waxy) (sl. 19/54).<br />

Nel miglioramento per la resistenza a patogeni fungini, l’obiettivo principale è la<br />

resistenza alle patologie causate da Pyricularia oryzae (syn. P. grisea; forma<br />

anamorfica <strong>di</strong> Magnaporthe grisea). La metodologia operativa per tale obiettivo<br />

comprende lo screening del germoplasma italiano ed estero per l’introduzione ed<br />

impiego <strong>di</strong> genotipi contenenti geni <strong>di</strong> resistenza (Pi), oppure per l’introgressione delle<br />

resistenze attraverso incroci specifici (strategia <strong>di</strong> gene pyrami<strong>di</strong>ng) (sl. 19/55). Oggi<br />

sempre più frequentemente si fa ricorso alla selezione assistita con l’impiego <strong>di</strong><br />

marcatori molecolari.<br />

Per la resistenza allo stress idrico, si opera valutando in campo collezioni <strong>di</strong><br />

linee per la tolleranza allo stress a cui segue la scelta dei parentali migliori e<br />

l’esecuzione <strong>degli</strong> incroci per l’ottenimento <strong>di</strong> seme F1 da avviare alla selezione<br />

genealogica.<br />

A partire dagli anni ‘60, in Cina iniziarono gli stu<strong>di</strong> per l’ottenimento <strong>di</strong> varietà<br />

ibride F1 da introdurre in coltivazione. Gli ibri<strong>di</strong> vennero ottenuti me<strong>di</strong>ante l’impiego <strong>di</strong><br />

linee con maschiosterilità citoplasmatica e linee impollinanti con geni per la<br />

restorazione della fertilità. Le prime varietà ibride furono introdotte in coltivazione negli<br />

anni ‘70. Nei venti anni successivi, il riso ibrido è stato largamente adottato in Cina,<br />

dove è stimato coprire oggi oltre il 50% della superficie a riso, ed è accre<strong>di</strong>tato<br />

dell’incremento della produzione in quel paese. Il riso ibrido ha infatti un potenziale <strong>di</strong><br />

resa superiore anche fino al 30% rispetto ai risi comuni. Varietà ibride sono coltivate<br />

anche in altri paesi asiatici, in Brasile e USA. Fino ad oggi gli ibri<strong>di</strong> non sono stati<br />

introdotti in Italia per l’assenza <strong>di</strong> tipi idonei ai nostri ambienti e per l’elevato costo<br />

della semente.<br />

Avversità abiotiche e biotiche<br />

Il vento è la più dannosa tra le avversità meteoriche, in quanto, dando origine a moti<br />

ondosi, può provocare lo sra<strong>di</strong>camento delle piantine. Inoltre, più avanti nello sviluppo,<br />

il vento può essere causa <strong>di</strong> allettamento o <strong>di</strong> sgranatura.<br />

Tra le avversità <strong>di</strong> origine fisiologica, la colatura apicale consiste nell’atrofia <strong>di</strong><br />

una parte del panicolo, che può portare alla sterilità anche del 50% delle spighette. Oltre<br />

alla pre<strong>di</strong>sposizione varietale, causa della colatura possono essere le basse temperature<br />

nel periodo tra il viraggio e la spigatura. Una qualche importanza può anche essere<br />

occasionalmente rivestita dal cosiddetto gentiluomo (straighthead = ‘testa alta’), che si<br />

100


manifesta con colorazione verde cupo della pianta, foglie erette e panicolo che resta<br />

completamente sterile e, per questo, assume portamento eretto. Il fatto che questa<br />

avversità si manifesti in risaie in successione a vecchi prati fa ritenere che ne siano<br />

causa fenomeni putrefattivi a carico della sostanza organica. Analoga come eziologia è<br />

una malattia <strong>di</strong> natura fisiologica, spora<strong>di</strong>ca in Italia ma molto comune in Giappone,<br />

denominata akiochi (o declino autunnale), che sarebbe conseguenza della presenza nel<br />

terreno <strong>di</strong> acido solfidrico formatosi nell’ambiente anaerobico del terreno a risaia.<br />

Parassiti animali<br />

Con i suoi movimenti che sollevano la terra del fondo e intorbidano l’acqua, il crostaceo<br />

Triops cancriformis (coppetta) (sl. 19/60) può provocare fallanze per mancata<br />

germinazione o per sra<strong>di</strong>camento. La messa in asciutta è un trattamento agronomico che<br />

può limitarne il danno.<br />

Tra i <strong>di</strong>tteri, danni notevoli al germinello possono essere provocati dalle larve<br />

del leccariso (Cricotopus spp.), che erodono le plantule e le foglie sommerse o adagiate<br />

sull’acqua, e da quelle <strong>di</strong> Hidrellia griseola (sl. 19/61), che provocano <strong>di</strong>radamenti<br />

minando il tessuto verde delle foglie delle giovani piante appena emerse dall’acqua. In<br />

genere questi <strong>di</strong>tteri possono essere combattuti in<strong>di</strong>rettamente con le asciutte.<br />

Il punteruolo acquatico del riso (Lissorhoptrus oryzophilus) (sl. 19/62-63) vive<br />

prevalentemente sul riso ma può trovarsi anche su malerbe ai bor<strong>di</strong> delle risaie (su<br />

graminacee e ciperacee, ma anche su alcune <strong>di</strong>cotiledoni) ed è comunque legato<br />

all’ambiente acquatico della risaia. Originario del nord America (USA, Messico,<br />

Canada), a partire dagli anni 1970 si è <strong>di</strong>ffuso anche in Cina, Giappone e Corea, in<br />

genere come popolazioni <strong>di</strong> femmine partenogenetiche; in Italia è presente dal 2004.<br />

Negli USA (es. Louisiana, Texas) L. oryzophilus è considerato l’insetto più dannoso al<br />

riso. Una densità <strong>di</strong> una larva per pianta <strong>di</strong> riso può ridurre la produzione <strong>di</strong> circa 90<br />

kg/ha.<br />

La larva a maturità misura circa 8 mm, è bianca e apoda. Presenta, dal II al VII<br />

urite, trachee collegate con un paio <strong>di</strong> uncini che, inseriti nel parenchima aerifero delle<br />

ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> riso, consentono la respirazione sott’acqua. La pupa si sviluppa in una cella<br />

pupale ovoidale, costruita dalla larva usando fango. La cella è poco visibile e si trova<br />

fissata alle ra<strong>di</strong>ci del riso. L’adulto è lungo 3.3-3.7 mm rostro compreso. È quin<strong>di</strong><br />

piccolo, ma comunque visibile ad occhio nudo. Sulle elitre si nota una macchia scura<br />

caratteristica. L’adulto manifesta tanatosi, fenomeno per cui, se <strong>di</strong>sturbato, si lascia<br />

cadere come morto. Può volare, anche se lo fa <strong>di</strong> rado. La <strong>di</strong>ffusione avviene quin<strong>di</strong><br />

lentamente per mobilità dell’insetto adulto. La semente non dovrebbe costituire un<br />

veicolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione, in quanto l’insetto non se ne nutre né vi risiede. L. oryzophilus è<br />

in grado <strong>di</strong> riprodursi partenogeneticamente e la popolazione fino ad ora rinvenuta in<br />

pianura padana è <strong>di</strong> sole femmine. Sverna come adulto sui bor<strong>di</strong> delle risaie alla base<br />

delle erbe spontanee o tra i detriti vegetali, in <strong>di</strong>apausa. In primavera si sposta sulle<br />

piantine <strong>di</strong> riso seminate in acqua (non in asciutta), spostandosi a nuoto via via verso il<br />

centro della risaia. Le femmine depongono singolarmente le uova alla base delle<br />

piantine <strong>di</strong> riso. Le larve giovani entrano nella base del riso e nelle ra<strong>di</strong>ci, poi crescendo<br />

si nutrono dall’esterno, e possono spostarsi nel terreno solo per pochi centimetri.<br />

L’adulto sfarfalla da luglio a settembre e raramente ovidepone subito, ma in genere si<br />

allontana dalla risaia alla ricerca del luogo <strong>di</strong> svernamento.<br />

Il danno è apportato principalmente dalle larve, che sono piccole e, in quanto<br />

sotterranee, poco visibili. Economicamente meno importanti, ma più evidenti, sono i<br />

sintomi causati dagli adulti, visibili come erosioni longitu<strong>di</strong>nali sulle foglie del riso. I<br />

sintomi si notano nelle risaie seminate in acqua, soprattutto vicino ai bor<strong>di</strong>. Nonostante<br />

101


questo insetto non sia inserito nelle liste europee da quarantena, è comunque da ritenersi<br />

potenzialmente pericoloso per la nostra risicoltura. Il rischio fitosanitario appare elevato<br />

considerando l’impossibilità pratica <strong>di</strong> realizzare rotazioni colturali efficaci nei nostri<br />

comprensori risicoli.<br />

Parassiti delle derrate<br />

Il riso stoccato in magazzino o silos può essere attaccato da <strong>di</strong>versi insetti parassiti delle<br />

derrate, analogamente a quanto già in<strong>di</strong>cato per i cereali autunno-vernini. Tra questi<br />

parassiti si ricordano il cappuccino (Rhizoperta dominica), il punteruolo o calandra<br />

(Sitophilus granarius), la tignola (Sitotroga spp.) e il silvano (Oryzaephilus<br />

surinamensis). Per la <strong>di</strong>fesa delle derrate, oltre che a vari mezzi chimici che agiscono<br />

per asfissia o per contatto (sl. 19/72), si può fare ricorso anche a mezzi biotecnici o a<br />

mezzi fisici. Tra i primi, sono compresi attrattivi sessuali o feromoni (che consentono <strong>di</strong><br />

rilevare tempestivamente la presenza <strong>degli</strong> insetti) e feromoni sintetici <strong>di</strong> aggregazione e<br />

sessuali femminili, da inserire in trappole per la cattura dei parassiti. I mezzi fisici<br />

includono la frigoconservazione, con temperature <strong>di</strong> 10-15 °C che inibiscono lo<br />

sviluppo <strong>degli</strong> artropo<strong>di</strong>, e l’uso <strong>di</strong> anidride carbonica in atmosfera controllata.<br />

Un’atmosfera povera <strong>di</strong> O2 e ricca <strong>di</strong> CO2 (60% circa) provoca l’intossicazione <strong>di</strong><br />

artropo<strong>di</strong> e ro<strong>di</strong>tori.<br />

Patogeni<br />

Il riso può essere colpito da patogeni fungini che causano <strong>di</strong>verse malattie e con danni<br />

in tutte le fasi del ciclo colturale (sl. 19/74).<br />

La Pyricularia oryzae (syn. P. grisea; forma anamorfica <strong>di</strong> Magnaporthe grisea)<br />

(sl. 19/75, 77) è responsabile <strong>di</strong> una sindrome molto variata che prende nome <strong>di</strong>:<br />

brusone quando colpisce precocemente le foglie (provocando un danno limitato)<br />

e <strong>di</strong><br />

mal del nodo e <strong>di</strong> mal del colletto quando colpisce la pianta ai no<strong>di</strong> o all’ultimo<br />

internodo, con danni ben più gravi, dato che ne consegue il <strong>di</strong>sseccamento dell’intero<br />

panicolo.<br />

Si tratta della più grave malattia fungina del riso a <strong>di</strong>stribuzione mon<strong>di</strong>ale. Nelle<br />

nostre regioni risicole, questa patologia mostra una certa intensità su piante <strong>di</strong> riso<br />

adulte, quando la temperatura si avvicina ai 27-30 °C e con umi<strong>di</strong>tà dell’aria tra l’80 e il<br />

90%, solitamente durante il mese <strong>di</strong> luglio. La forma più importante <strong>di</strong> <strong>di</strong>spersione <strong>di</strong><br />

Pyricularia è l’aria, anche se questo fungo può essere <strong>di</strong>sseminato tramite stoppie,<br />

sementi o acque <strong>di</strong> irrigazione infette. In zone temperate come le nostre, i principali<br />

mezzi <strong>di</strong> svernamento del patogeno sono le sementi, le stoppie e alcune infestanti<br />

infette. La malattia può essere limitata me<strong>di</strong>ante un giusto apporto <strong>di</strong> nutrienti al<br />

terreno: elevati apporti <strong>di</strong> azoto, in particolare, pre<strong>di</strong>spongono all’infezione. La<br />

<strong>di</strong>ffusione della malattia è favorita da elevata umi<strong>di</strong>tà dell’aria durante o subito dopo la<br />

spigatura, da semine fitte, e da bruschi abbassamenti <strong>di</strong> temperatura. L’impiego <strong>di</strong><br />

varietà resistenti è il mezzo <strong>di</strong> prevenzione più efficace: i tipi in<strong>di</strong>ca sono più resistenti<br />

<strong>di</strong> quelli japonica. La lotta chimica al brusone utilizza principi attivi quali triciclazolo,<br />

azoxystrobin, propiconazolo e ipro<strong>di</strong>one.<br />

L’elmintosporiosi (Helminthosporium oryzae o Drechslera oryzae) (sl. 19/79)<br />

arreca danni gravissimi, soprattutto al <strong>di</strong> fuori dell’Italia, colpendo tutte le parti aeree<br />

della pianta. Attualmente sta destando crescente preoccupazione anche in Italia.<br />

L’infezione si trasmette con il seme, che deve essere quin<strong>di</strong> scrupolosamente trattato<br />

con concianti.<br />

102


Il mal del piede del riso (Sclerotium oryzae) (sl. 19/80) si manifesta durante la<br />

maturazione con il <strong>di</strong>sseccamento e il conseguente allettamento delle piante. L’attacco,<br />

visibile come lesioni nerastre, comincia sulle guaine delle foglie basali e poi passa sugli<br />

interno<strong>di</strong>. Il rime<strong>di</strong>o migliore è l’adozione <strong>di</strong> varietà resistenti.<br />

Il bakanae (Fusarium spp.) (sl. 19/81-82) è una patologia dominante in Asia, ma<br />

ormai a <strong>di</strong>ffusione mon<strong>di</strong>ale. Il bakanae, fu una delle prime malattie conosciute del<br />

riso, descritta per la prima volta in Giappone nel 1828. Il sintomo classico è la crescita<br />

<strong>di</strong> una pianta allungata, sottile e <strong>di</strong> color verde pallido; a volte si manifestano clorosi e<br />

marciumi alle ra<strong>di</strong>ci e al colletto. Le piante colpite poco dopo la germinazione muoiono,<br />

quelle colpite ad uno sta<strong>di</strong>o più avanzato sono sterili. Si stimano per<strong>di</strong>te pari al 50% del<br />

raccolto. La patologia si trasmette con l’utilizzo <strong>di</strong> semi infetti; solitamente le ife<br />

fungine e i coni<strong>di</strong> possono sopravvivere nel suolo e nei residui vegetali infetti solo per<br />

pochi mesi. Il fungo colpisce in modo sistemico la pianta del riso ma non attacca la<br />

pannocchia. Sono note cultivar <strong>di</strong> riso più resistenti <strong>di</strong> altre all’infezione. Le alte<br />

temperature (30-35 °C) sono un importante fattore pre<strong>di</strong>sponente per questa malattia.<br />

L’infezione al seme può dare origine alla formazione <strong>di</strong> micotossine.<br />

Nell’ambiente risicolo italiano sta destando qualche preoccupazione il virus del<br />

giallume (rice yellow mottle virus, RYMV), che è <strong>di</strong>ffuso da un afide, il Rhopalosiphon<br />

pa<strong>di</strong>, attraverso l’ospite interme<strong>di</strong>o rappresentato dalla specie selvatica Leersia<br />

oryzoides. Questa virosi provoca arresto della crescita, necrosi ra<strong>di</strong>cali, sterilità della<br />

spighetta, e ad<strong>di</strong>rittura la morte della pianta.<br />

103


LEGUMINOSE DA GRANELLA<br />

Sono specie <strong>di</strong> coltivazione antichissima, probabilmente perché fu presto notata dai<br />

primi agricoltori la loro capacità <strong>di</strong> fornire semi facilmente conservabili e molto<br />

nutrienti.<br />

Quasi tutte le leguminose da granella sono originarie del <strong>Ve</strong>cchio mondo ad<br />

esclusione <strong>di</strong> alcune specie <strong>di</strong> Phaseolus e <strong>di</strong> Lupinus provenienti dal Nuovo mondo.<br />

Le specie coltivate <strong>di</strong>fferiscono da quelle selvatiche per l’abito vegetativo più<br />

contenuto, per le maggiore <strong>di</strong>mensione dei frutti e dei semi, per la ridotta deiscenza dei<br />

legumi e dormienza dei semi, per la prevalente forma annuale e l’autogamia.<br />

I semi (secchi o freschi) ed i legumi giovani vengono utilizzati per<br />

l’alimentazione umana e rappresentano alimenti <strong>di</strong> elevato valore nutritivo. Essi hanno<br />

sempre un elevato contenuto proteico e, soprattutto in alcune alcune specie (soia,<br />

arachi<strong>di</strong>, lupino), anche un elevato contenuto <strong>di</strong> grassi. La composizione proteica è<br />

carente <strong>di</strong> amminoaci<strong>di</strong> solforati (cisteina, metionina e triptofano), ma è ricca <strong>di</strong> lisina.<br />

La presenza <strong>di</strong> fattori antinutrizionali (principi antitripsinici nella soia, glucosi<strong>di</strong>,<br />

saponine, tannini, etc.) può ridurne la <strong>di</strong>geribilità e l’assimilazione, mentre in alcune<br />

specie possono essere presenti delle sostanze tossiche (alcaloi<strong>di</strong> nei lupini, neurotossine<br />

nella cicerchia). Durante la <strong>di</strong>gestione possono dare luogo a flatulenza causata dalla<br />

fermentazione <strong>di</strong> alcuni carboidrati.<br />

Per l’alimentazione del bestiame forniscono un ottimo foraggio, che può essere<br />

pascolato, affienato o insilato, mentre c’è un crescente uso nell’alimentazione<br />

zootecnica delle granelle e dei sottoprodotti <strong>di</strong> utilizzazioni agro-industriali (es. farine <strong>di</strong><br />

estrazione <strong>di</strong> oli) come concentrati proteici. Il loro ruolo è <strong>di</strong>ventato strategico dopo la<br />

messa al bando delle farine proteiche <strong>di</strong> origine animale a seguito della <strong>di</strong>ffusione della<br />

BSE.<br />

Le colture leguminose rivestono un fondamentale ruolo agronomico, grazie alla<br />

fertilizzazione del suolo arricchito <strong>di</strong> N me<strong>di</strong>ante la fissazione simbiotica (riduzione<br />

dell’azoto atmosferico ad ammoniaca ad opera del complesso enzimatico della<br />

nitrogenasi) operata dai batteri azotofissatori presenti nei tubercoli ra<strong>di</strong>cali <strong>di</strong> queste<br />

specie (sl. 20/12-14, 16-17). Ciò sta determinando una ripresa <strong>di</strong> interesse per queste<br />

specie nei sistemi colturali convenzionali, grazie alla migliore sostenibilità economicoambientale<br />

che il loro impiego potrebbe determinare, e, soprattutto, nei sistemi biologici<br />

come fondamentale fonte <strong>di</strong> azoto per tutte le colture. La fissazione biologica dell’azoto<br />

potrebbe ridurre l’impatto negativo che l’agricoltura basata sui fertilizzanti azotati <strong>di</strong><br />

sintesi ha sull’ambiente (elevata richiesta <strong>di</strong> input energetici, emissione <strong>di</strong> gas ad effetto<br />

serra, inquinamento delle acque).<br />

Negli ultimi anni, in ambito europeo si sta prendendo in considerazione un<br />

impiego sempre maggiore <strong>di</strong> colture leguminose da granella ad uso zootecnico<br />

alternative alla soia. L’UE importa infatti circa il 70% delle proteine vegetali utilizzate<br />

per l’alimentazione zootecnica, coperte soprattutto da oltre 30 M <strong>di</strong> tonnellate annue <strong>di</strong><br />

farine <strong>di</strong> soia (sl. 20/8, 34). Ciò ha creato una forte <strong>di</strong>pendenza economica e ‘politica’<br />

con profonde ripercussioni sulla sostenibilità dei sistemi zootecnici europei, senza<br />

escludere la sempre crescente <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> mantenere filiere OGM-free in quei casi in<br />

cui ciò sia un importante vincolo, come nelle filiere dei prodotti a denominazione <strong>di</strong><br />

origine ed in quelle biologiche. Le leguminose occupano il 2% delle terre arabili<br />

europee, ovvero un quarto <strong>di</strong> quanto presente in sistemi agricoli comparabili come il<br />

Canada o l’Australia. Un aumento <strong>di</strong> 4 volte <strong>di</strong> tale superficie consentirebbe, alle attuali<br />

produzioni me<strong>di</strong>e <strong>di</strong> 2.1 t/ha, <strong>di</strong> ridurre del 50% l’importazione <strong>di</strong> farine <strong>di</strong> soia<br />

extraeuropee.<br />

104


L’introduzione in semina autunnale <strong>di</strong> una coltura proteica nei sistemi intensivi<br />

foraggero-zootecnici o cerealicoli potrebbe consentire <strong>di</strong> incrementare la produzione<br />

aziendale <strong>di</strong> proteine <strong>di</strong> elevato valore biologico, complimentando la produzione ad alto<br />

contenuto energetico del mais da insilato. La coltura proteica a semina autunnale (anche<br />

da insilamento; sl. 20/20) potrebbe apportare alla coltura <strong>di</strong> mais in secondo raccolto un<br />

beneficio produttivo dovuto all’effetto miglioratore complessivo della prima.<br />

Le più importanti leguminose da granella appartengono alle tribù Vicieae (Vicia<br />

faba, Cicer arietinum, Lens esculenta, Pisum sativum, Lathyrus sativus), Phaseoleae<br />

(Phaseolus vulgaris, Glycine max = Soja hispida) e Genisteae (Lupinus albus, L.<br />

angustifolius, L. luteus) della famiglia delle Leguminose.<br />

Caratteri botanici<br />

La ra<strong>di</strong>ce è fittonante, ramificata, con <strong>di</strong>verso sviluppo in profon<strong>di</strong>tà a seconda delle<br />

specie, anche se generalmente robusta. Sulle ra<strong>di</strong>ci sono solitamente presenti tubercoli<br />

ra<strong>di</strong>cali, il cui numero, forma e <strong>di</strong>mensioni variano a seconda della specie, dell’età delle<br />

ra<strong>di</strong>ci, della durata del ciclo, della presenza nel terreno <strong>degli</strong> azotofissatori, etc.<br />

Le foglie sono alterne, raramente opposte; sono spesso composte ovvero formate<br />

da due o più foglioline (sl. 20/23). Le foglie composte possono essere pennate (con<br />

foglioline appaiate lungo un asse) – a loro volta sud<strong>di</strong>vise in imparipennate, quando<br />

hanno una fogliolina terminale, e paripennate, quando la fogliolina terminale è<br />

trasformata in viticcio – e trifogliate, con foglioline picciolate, sessili o <strong>di</strong>versamente<br />

picciolate. Alla base dei piccioli fogliari spesso si trovano le stipole, appen<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> varia<br />

forma, <strong>di</strong>mensioni e colore.<br />

I fiori sono per lo più ermafro<strong>di</strong>ti, spesso riuniti in infiorescenze a capolino o<br />

racemo. Il calice e la corolla sono composti, rispettivamente, da cinque sepali (spesso<br />

saldati, ver<strong>di</strong>) e cinque petali (<strong>di</strong> vario colore), che sono tipicamente papilionacei (due<br />

‘ali’ laterali, un ‘vessillo’ superiore, una ‘carena’ inferiore formata da due petali saldati<br />

alla sommità; sl. 20/25). Il pistillo è costituito da un ovario supero, quasi sempre con<br />

molti ovuli; gli stami sono 10, spesso saldati per i filamenti (monoadelfi) o nove saldati<br />

ed uno libero (<strong>di</strong>adelfi). La fecondazione può essere allogama (generalmente<br />

entomofila) o autogama.<br />

Il frutto (baccello) è un tipico legume, lungo, per lo più deiscente secondo una o<br />

due suture dalle quali si apre in due valve. Il frutto può portare un solo seme (spesso in<br />

cece e lenticchia), ma <strong>di</strong> solito contiene più semi. In alcune specie <strong>di</strong> leguminose (es.<br />

arachide) è presente la geocarpia, ovvero la formazione del frutto e del seme sotto terra.<br />

Il seme possiede un tegumento esterno o ‘testa’ per lo più impermeabile (semi<br />

duri) in una fase più o meno lunga successiva alla maturazione. Nella maggior parte<br />

delle specie, nel seme manca l’endosperma e la massa interna è costituita<br />

dall’embrione, molto sviluppato e con grossi cotiledoni, fra i quali si trova l’abbozzo<br />

della ra<strong>di</strong>chetta, più o meno prominente. Sul seme è evidente l’ilo, che è la cicatrice<br />

lasciata dal funicolo (peduncolo che nell’ovario sorregge l’ovulo). Le forme e le<br />

<strong>di</strong>mensioni del seme sono varie, ma prevalgono quella globosa e quella reniforme, più o<br />

meno appiattita. La germinazione può essere ipogeica, con cotiledoni che non<br />

emergono dal terreno (fava, pisello), o epigeica nel caso in cui i cotiledoni vengono<br />

portati fuori dal terreno (fagiolo, soia) (sl. 20/29, 82, 118).<br />

105


Valore biologico delle proteine<br />

Un elemento molto importante per valutare l’effettiva utilizzazione biologica delle<br />

proteine è dato dalla loro <strong>di</strong>geribilità, essendo i legumi, in generale, ricchi <strong>di</strong> composti<br />

che interagiscono con le proteine, riducendone la bio<strong>di</strong>sponibilità. La presenza <strong>di</strong> questi<br />

composti nel seme (fattori antitriptici, tannini, fitati, etc.), comunemente noti come<br />

fattori antinutrizionali, è spesso il risultato <strong>di</strong> adattamenti evolutivi che rendono la<br />

pianta capace <strong>di</strong> completare il proprio ciclo anche in presenza <strong>di</strong> stress abiotici e biotici<br />

(come erbivori, insetti o funghi). Sono composti che vengono inattivati dal calore e,<br />

quin<strong>di</strong>, dalla cottura dei semi o delle farine.<br />

Esistono antinutrizionali <strong>di</strong> natura proteica e antinutrizionali non proteici. I<br />

primi sono inibitori <strong>di</strong> vari enzimi <strong>di</strong>gestivi, come gli inibitori della tripsina (tipo<br />

Bowman-Birk e tipo Kunitz) e gli inibitori dell’alfa-amilasi. Altri antinutrizionali <strong>di</strong><br />

natura proteica inibiscono la crescita <strong>degli</strong> animali o provocano <strong>di</strong>sturbi <strong>di</strong>gestivi, come<br />

le lectine e le emoagglutinine.<br />

Gli antinutrizionali non proteici comprendono l’acido fitico e il mioinositolo,<br />

che si complessano con minerali essenziali e inibiscono, in tal modo, l’attività <strong>di</strong> alcuni<br />

enzimi, e composti fenolici come i tannini, che possono legarsi alle proteine causando<br />

una riduzione della loro <strong>di</strong>geribilità. La flatulenza indotta dalla granella <strong>di</strong> molte<br />

leguminose è provocata da oligosaccari<strong>di</strong> in<strong>di</strong>gesti all’uomo e a molti animali<br />

(raffinosio, stachiosio, verbascosio) che sono sprovvisti dell’enzima (alfa-galattosidasi)<br />

preposto alla loro degradazione.<br />

106


SOIA (Glycine max)<br />

È una specie originaria dell’Asia sud-orientale, derivata dal progenitore selvatico<br />

Glycine soja. In Europa è giunta agli inizi del 1900, inizialmente come alimento per<br />

<strong>di</strong>abetici in quanto priva <strong>di</strong> amido. Era <strong>di</strong>ffusa soprattutto nei paesi a clima temperatocaldo,<br />

con abbondanti precipitazioni, ma ormai è coltivata in molte regioni del mondo.<br />

È stata, ed è tuttora, una specie <strong>di</strong> importanza fondamentale per l’alimentazione umana.<br />

In Italia la coltivazione è stata tentata con scarso successo a partire dagli anni ‘40, ma<br />

solo negli anni ‘60-‘70 ha avuto una significativa espansione. Oltre che come coltura da<br />

granella, può essere impiegata anche come foraggera (per la produzione <strong>di</strong> fieno,<br />

l’insilamento o il consumo verde) e per sovescio.<br />

In Italia la soia è coltivata su oltre 150 mila ha, concentrati per circa l’80% nelle<br />

regioni del nord-est (sl. 20/33), dove questa specie ha incontrato le con<strong>di</strong>zioni migliori<br />

per la sua <strong>di</strong>ffusione.<br />

Caratteri botanici e biologia<br />

La soia è una specie annuale <strong>di</strong>ploide (numero cromosomico 2n=40) a ciclo<br />

primaverile-estivo, ma con scarsa resistenza alla siccità.<br />

La ra<strong>di</strong>ce è un fittone dal quale si <strong>di</strong>partono dei palchi <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci secondarie con<br />

<strong>di</strong>verse ramificazioni. Le ra<strong>di</strong>ci avventizie <strong>di</strong>ventano preponderanti e possono<br />

raggiungere anche i 150 cm <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà; l’apparato ra<strong>di</strong>cale nel complesso è molto<br />

espanso. Sulle ra<strong>di</strong>ci si formano tubercoli ra<strong>di</strong>cali ad opera del batterio simbionte<br />

azotofissatore Bradyrhizobium japonicum. Si <strong>di</strong>stinguono tre fasi nella fissazione<br />

dell’azoto: nella prima, che avviene da 20 a 30 giorni dall’emergenza, il 50% dell’azoto<br />

fissato è trattenuto dai rizobi; nella seconda, da 30 a 80 giorni dall’emergenza, la<br />

quantità <strong>di</strong> azoto prodotta raddoppia ogni 6-8 giorni e la proporzione <strong>di</strong> azoto trasferito<br />

alla pianta è dell’80-90%; nella terza si ha il trasferimento completo <strong>di</strong> N dai noduli agli<br />

organi vegetativi. La quantità totale <strong>di</strong> N fissato può andare da 60 a 170 kg/ha.<br />

L’azotofissazione è il risultato <strong>di</strong> un delicato equilibrio tra la pianta ed il batterio. Essa è<br />

favorita da una buona struttura del terreno, una sufficiente dotazione <strong>di</strong> Fe, Mo e B, da<br />

una limitata <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> N, e da con<strong>di</strong>zioni favorevoli allo sviluppo della coltura<br />

(clima, tecnica colturale, varietà, assenza <strong>di</strong> malattie). Gli stress idrici causano invece<br />

una forte riduzione dell’attività azotofissatrice.<br />

I fusti <strong>di</strong> norma sono ricoperti da una peluria <strong>di</strong> colore bruno o grigio; il fusto<br />

principale, ramificato già dai no<strong>di</strong> più bassi, si origina dall’asse embrionale.<br />

La germinazione della soia è epigeica e lo sviluppo può essere determinato (sl.<br />

20/40) o indeterminato (sl. 20/39). Nel primo caso, il numero <strong>di</strong> no<strong>di</strong> varia da 5-8 a 12-<br />

14, l’altezza è ridotta ed il fusto termina con un racemo. Il tipo determinato è <strong>di</strong><br />

provenienza giapponese. Nelle piante con sviluppo indeterminato, invece, il numero <strong>di</strong><br />

no<strong>di</strong> è <strong>di</strong> 20-22, l’altezza è maggiore (90-130 cm) ed il fusto non presenta un racemo<br />

terminale. Questo tipo è originario della Cina.<br />

Il tipo coltivato in Italia è quello a sviluppo indeterminato, con fusto unico e<br />

poco ramificato. Esso è caratterizzato da un allungamento indefinito dello stelo e da un<br />

lungo periodo <strong>di</strong> fioritura e <strong>di</strong> allegagione, durante il quale le piante sono capaci <strong>di</strong><br />

recuperare eventuali riduzioni <strong>di</strong> produzione dovute a con<strong>di</strong>zioni climatiche sfavorevoli.<br />

Le piante <strong>di</strong> questo tipo sono più resistenti a stress idrici <strong>di</strong> quelle del tipo determinato.<br />

La fioritura avviene dal basso verso l’alto.<br />

Le piante a sviluppo determinato sono adatte soprattutto ad ambienti con lunga<br />

stagione vegetativa, alte temperature, elevata fertilità del terreno e fotoperiodo breve. In<br />

107


questo tipo, dal breve periodo <strong>di</strong> fioritura, fioriscono prima i fiori apicali. Le piante a<br />

sviluppo determinato sono molto resistenti all’allettamento.<br />

Dopo l’emergenza dei cotiledoni compaiono le prime due foglie vere,<br />

unifogliate, opposte ed inserite al primo nodo. Le foglie trifogliate, alterne, sono sempre<br />

pubescenti e <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni variabili: le <strong>di</strong>mensioni delle singole foglioline (<strong>di</strong> forma<br />

lanceolata o romboidale) possono andare da 4 a 20 cm in lunghezza e da 3 a 10 cm in<br />

larghezza. Il colore delle foglie vira al giallo prima della maturazione ed esse cadono<br />

prima della maturazione dei legumi, quando i semi hanno ancora più del 20% <strong>di</strong><br />

umi<strong>di</strong>tà.<br />

I fiori sono tipici delle leguminose, <strong>di</strong> colore bianco o rossastro, piccoli, raccolti<br />

in numero <strong>di</strong> 2-35 in racemi peduncolati posti all’ascella delle foglie (sl. 20/42). Il<br />

periodo <strong>di</strong> fioritura nei tipi indeterminati varia da 3 a 5 settimane. Moltissimi fiori (dal<br />

20 all’80%) abortiscono entro una settimana dalla fioritura; in genere tendono ad<br />

abortire i primi e gli ultimi fiori emessi.<br />

I frutti sono baccelli piccoli, <strong>di</strong>ritti o leggermente ricurvi, coperti <strong>di</strong> peli, e colore<br />

molto vario, dal giallo al quasi nero (sl. 20/43). I baccelli tendono ad aprirsi a maturità.<br />

Ogni baccello contiene da 1 a 5 semi, normalmente da 2 a 3. Il numero <strong>di</strong> baccelli per<br />

infiorescenza va da 1 a 20 circa e può superare i 400 per pianta. In circa 30 giorni il<br />

baccello raggiunge le <strong>di</strong>mensioni massime, ed in circa 40 il suo massimo peso fresco.<br />

Il seme, come in molte altre leguminose, è sostanzialmente privo <strong>di</strong> endosperma<br />

e consiste in un tegumento seminale che circonda un grande embrione con due<br />

cotiledoni, che a maturità sono <strong>di</strong> colore giallo o verde. La forma varia con le cultivar,<br />

da sferica ad appiattita e allungata, e il colore può essere da giallo paglierino a nero,<br />

anche con combinazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi colori (sl. 20/44). Sul tegumento si osserva l’ilo<br />

(punto <strong>di</strong> attacco del seme al baccello), anch’esso variabile in forma e colore. Le<br />

<strong>di</strong>mensioni del seme possono essere molto <strong>di</strong>verse, tanto che il peso <strong>di</strong> 1000 semi può<br />

variare da 50 a 450 g. In genere le <strong>di</strong>mensioni maggiori sono quelle dei tipi per<br />

l’alimentazione umana.<br />

Esigenze climatiche e adattamento<br />

La soia ha esigenze abbastanza simili a quelle del mais, anche se per la germinazione è<br />

necessaria un’umi<strong>di</strong>tà più alta rispetto a quella richiesta per il mais. La temperatura<br />

minima <strong>di</strong> crescita è <strong>di</strong> 4-6 °C, mentre quella ottimale è <strong>di</strong> 24-25 °C. La soia è meno<br />

sensibile del mais agli abbassamenti <strong>di</strong> temperatura allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> plantula e in fase <strong>di</strong><br />

maturazione. È una pianta brevi<strong>di</strong>urna e certe varietà necessitano <strong>di</strong> 7-10 ore <strong>di</strong> buio per<br />

fiorire. Tuttavia, le cultivar coltivate in Italia sono fotoin<strong>di</strong>fferenti.<br />

La soia è considerata più aridoresistente del mais, ma presenta comunque certi<br />

sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> sviluppo in cui è particolarmente suscettibile alla carenza idrica. I perio<strong>di</strong> critici<br />

sono: la germinazione del seme (sensibile non solo alla carenza ma anche all’eccesso <strong>di</strong><br />

umi<strong>di</strong>tà), la fioritura, l’inizio della formazione dei baccelli, e l’ultima settimana <strong>di</strong><br />

sviluppo dei baccelli con la formazione del seme.<br />

Pur crescendo in modo sod<strong>di</strong>sfacente in una vasta gamma <strong>di</strong> terreni, sono<br />

sconsigliati quelli troppo umi<strong>di</strong>, troppo sciolti, troppo aci<strong>di</strong> o troppo calcarei. Il pH<br />

ottimale è <strong>di</strong> 6-6.5. Può tollerare una moderata salinità del terreno, pari ad una<br />

conducibilità elettrica (ECe) <strong>di</strong> 5 dS/m.<br />

Sta<strong>di</strong> fenologici<br />

Nel ciclo della soia sono stati classificati numerosi sta<strong>di</strong> fenologici, <strong>di</strong> cui due nella fase<br />

<strong>di</strong> germinazione-emergenza, n nella fase vegetativa (corrispondenti ad altrettante foglie<br />

108


trifogliate completamente sviluppate su n no<strong>di</strong> del fusto principale), ed otto nella fase<br />

riproduttiva, dall’inizio fioritura (R1, un fiore aperto su un nodo del fusto principale)<br />

alla piena maturazione (R8, col 95% dei baccelli che hanno raggiunto il tipico colore <strong>di</strong><br />

maturazione) (sl. 20/46-48).<br />

Avvicendamento<br />

La soia può essere seminata come coltura principale o come intercalare (in secondo<br />

raccolto) dopo un cereale a paglia, erbai <strong>di</strong>versi, etc., con semina non oltre la metà <strong>di</strong><br />

giugno. È una coltura con ridotte esigenze e quin<strong>di</strong> può essere preceduta da <strong>di</strong>verse<br />

colture (frumento, mais, sorgo, bietola, etc.). La soia può succedere anche a sé stessa,<br />

anche se la monosuccessione può determinare problemi fitosanitari. Per lo stesso<br />

motivo, andrebbero evitate le colture che hanno patogeni in comune con la soia. Ad<br />

esempio, girasole e colza, come la soia, sono sensibili all’attacco <strong>di</strong> Sclerotinia<br />

sclerotiorum, e per questo vanno <strong>di</strong>stanziate <strong>di</strong> almeno due anni dalla soia in una<br />

rotazione. Nelle rotazioni si nota il cosiddetto ‘effetto soia’ dovuto al fatto che questa<br />

specie lascia alla coltura successiva circa 30-60 kg/ha <strong>di</strong> N e circa 6-10 t/ha <strong>di</strong> sostanza<br />

organica. I cereali, ed il mais in particolare, sono le colture che meglio sfruttano<br />

l’effetto soia.<br />

Lavorazione del terreno<br />

I lavori preparatori del terreno sono quelli comunemente eseguiti per il mais. Nel caso<br />

<strong>di</strong> semina principale e <strong>di</strong> terreni argillosi è bene eseguire l’aratura in autunno. In coltura<br />

intercalare può essere interessante l’adozione <strong>di</strong> sistemi <strong>di</strong> minima lavorazione (a 10-15<br />

cm) o <strong>di</strong> semina <strong>di</strong>retta.<br />

Per germinare, il seme <strong>di</strong> soia ha bisogno <strong>di</strong> molta acqua; inoltre, poiché la<br />

germinazione è epigeica e la plantula ha un potere perforante limitato, bisogna evitare la<br />

formazione <strong>di</strong> croste.<br />

Concimazione<br />

Per una produzione <strong>di</strong> 3.5 t/ha <strong>di</strong> granella, vengono stimati dei fabbisogni <strong>di</strong> 230 kg/ha<br />

<strong>di</strong> N, 70 kg/ha <strong>di</strong> P2O5 e 122 kg/ha <strong>di</strong> K2O. Dei 230 kg/ha <strong>di</strong> N, 45 vengono restituiti<br />

sotto forma <strong>di</strong> residui colturali, e 185 sono asportati con il prodotto. L’azoto fissato<br />

simbioticamente <strong>di</strong> solito supera la quantità richiesta dalla coltura.<br />

Anche una parte del fosforo e del potassio viene restituita al terreno con i residui<br />

(17 su 70 kg/ha <strong>di</strong> P2O5 e 45 su 122 kg/ha <strong>di</strong> P2O). Il fabbisogno <strong>di</strong> fosforo è costante,<br />

con un picco nei primi sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> formazione del seme. Questo elemento favorisce un<br />

maggiore accumulo <strong>di</strong> proteine nel seme. Il potassio agisce invece positivamente sulla<br />

quantità e qualità dell’olio.<br />

Se le piante sono inoculate correttamente, nei terreni fertili non è necessaria la<br />

concimazione azotata. Moderate concimazioni con azoto (80-100 kg/ha) possono essere<br />

raccomandate solo in terreni poco fertili per stimolare le piante a crescere rapidamente<br />

nei primi sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> sviluppo. Si consigliano invece concimazioni con 50-60 kg/ha <strong>di</strong> P2O5<br />

localizzate alla semina (o, in alternativa, 70 kg/ha in pieno campo e in pre-semina) e 70<br />

kg/ha <strong>di</strong> K2O alla lavorazione del terreno nei terreni carenti in potassio. In terreni aci<strong>di</strong><br />

(pH 5.5), le calcitazioni esercitano un ruolo importante nell’utilizzo del fosforo e del<br />

potassio, migliorando le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> questi elementi.<br />

109


Inoculazione<br />

Un aspetto fondamentale nella coltivazione della soia è l’inoculo del seme. Perché si<br />

ottenga la fissazione biologica dell’azoto è necessario che vi sia l’apporto <strong>di</strong> un<br />

adeguato numero <strong>di</strong> cellule vitali del rizobio specifico (Bradyrhizobium japonicum) sul<br />

tegumento seminale (stimato in un milione <strong>di</strong> cellule vitali per ogni seme). Questa<br />

operazione viene eseguita utilizzando preparati a base <strong>di</strong> torba contenenti milioni <strong>di</strong><br />

cellule <strong>di</strong> Bradyrizobium japonicum che vengono miscelate al seme poche ore prima<br />

della semina. In commercio esistono <strong>degli</strong> inoculanti già confezionati per questo<br />

apporto. È necessario osservare alcuni accorgimenti tecnici, come operare il trattamento<br />

al riparo dalla luce <strong>di</strong>retta del sole ed evitare le ore più calde della giornata.<br />

L’inoculazione è praticamente obbligatoria per la coltivazione in terreni mai<br />

coltivati a soia o in terreni nei quali non si coltiva soia da circa cinque anni. Essa è<br />

inoltre consigliata in terreni poco fertili o troppo aci<strong>di</strong>. Può essere evitata qualora si<br />

coltivi soia per più anni e le con<strong>di</strong>zioni del terreno siano ottimali.<br />

I preparati a base <strong>di</strong> Bradyrhizobium japonicum possono essere in forma<br />

polverulenta o granulare. I preparati in polvere vengono utilizzati per eseguire una<br />

concia umida dei semi in pre-semina. La concia umida è il metodo più efficace <strong>di</strong><br />

inoculazione. D’altra parte, però, i prodotti granulari risultano <strong>di</strong> più pratico impiego,<br />

potendo essere <strong>di</strong>stribuiti sulla fila alla semina.<br />

Nel caso <strong>di</strong> inefficacia dell’inoculazione, riscontrabile, oltre che dal numero <strong>di</strong><br />

noduli presenti, anche dall’ingiallimento e dalle <strong>di</strong>mensioni ridotte delle foglie, è<br />

consigliabile applicare una concimazione azotata in ragione <strong>di</strong> 80-100 kg/ha.<br />

Semina<br />

La data <strong>di</strong> semina nel nord Italia può andare da metà aprile a giugno, con un<br />

investimento che miri ad ottenere 30-45 piante/m 2 alla raccolta. La dose <strong>di</strong> seme<br />

consigliata è <strong>di</strong> 80 kg/ha <strong>di</strong> seme, da aumentare con semine tar<strong>di</strong>ve. Sono da evitare dosi<br />

eccessive per non favorire l’allettamento.<br />

La <strong>di</strong>stanza sull’interfila sarà <strong>di</strong> 45 cm nel caso <strong>di</strong> varietà precoci, e <strong>di</strong> 60 cm nel<br />

caso <strong>di</strong> varietà tar<strong>di</strong>ve. Sulla fila la <strong>di</strong>stanza sarà <strong>di</strong> 5.5-6 cm, ridotta a 5 cm nel caso <strong>di</strong><br />

semina su sodo. La profon<strong>di</strong>tà sarà <strong>di</strong> 3 cm circa nei terreni pesanti, e <strong>di</strong> 4-5 cm in quelli<br />

leggeri e sciolti.<br />

Varietà<br />

Esiste un’ampia variabilità genetica per composizione e forma del seme, struttura della<br />

pianta, produttività, resistenza ad avversità, etc. In genere si <strong>di</strong>stinguono varietà da olio<br />

o da proteine, varietà da foraggio e varietà da consumo umano.<br />

Nelle varietà da olio o da proteine (quelle principalmente coltivate in Italia), la<br />

lunghezza del ciclo può variare da 75 a 200 giorni circa. Queste varietà sono sud<strong>di</strong>vise<br />

in 13 classi <strong>di</strong> precocità, in<strong>di</strong>cate come 000 (la più precoce), 00, 0, I (o 1) e via via fino<br />

alla X (o 10) la più tar<strong>di</strong>va. Tra una classe e la successiva la durata del ciclo aumenta <strong>di</strong><br />

10-15 giorni circa.<br />

Le varietà più precoci (classi 000, 00, 0) sono più adatte per latitu<strong>di</strong>ni elevate, in<br />

cui riescono a produrre in maniera sod<strong>di</strong>sfacente anche se seminate tar<strong>di</strong>vamente. Le<br />

varietà più tar<strong>di</strong>ve sono invece adatte a latitu<strong>di</strong>ni inferiori, in cui vanno seminate presto<br />

per sfruttare il lungo periodo vegetativo. In Italia sono coltivate varietà precoci<br />

appartenenti alle classi 00 (molto precoce, con un ciclo <strong>di</strong> 90-100 giorni), 0 (precoce,<br />

100-120 giorni), I (semi precoce, 120-130 giorni) o II (semi tar<strong>di</strong>va, 130-150 giorni).<br />

110


Dal punto <strong>di</strong> vista della precocità, l’ideotipo varietale per le con<strong>di</strong>zioni italiane<br />

appartiene ai gruppi <strong>di</strong> maturazione I o II nel caso <strong>di</strong> coltura principale, e 0+ o I nel caso<br />

<strong>di</strong> secondo raccolto. La varietà dovrebbe essere inoltre resistente alle principali malattie<br />

(<strong>Di</strong>aporthe, Sclerotinia, Phytophtora) e all’allettamento, e presentare un elevato tenore<br />

in proteine.<br />

Le varietà <strong>di</strong>sponibili sono prevalentemente <strong>di</strong> origine americana, anche se<br />

ormai si comincia a <strong>di</strong>sporre anche <strong>di</strong> varietà selezionate in Europa. <strong>Di</strong> recente sono<br />

state iscritte al Registro Nazionale anche alcune varietà selezionate in Italia.<br />

Controllo delle infestanti<br />

Le principali infestanti della soia sono quelle comuni ad altre colture primaverili-estive<br />

come il mais. Tra le mono<strong>di</strong>cotiledoni si ricordano Echinocloa crus galli (giavone) e<br />

Sorghum halepense, e tra le <strong>di</strong>cotiledoni varie specie quali Amaranthus spp.,<br />

Chenopo<strong>di</strong>um album (farinello comune), Solanum nigrum (erba morella), Abutilon<br />

theophrasti (cencio molle), Polygonum persicaria e P. lapathifolium, Convolvulus spp.<br />

e Datura stramonium (stramonio comune).<br />

La soia è molto sensibile alla competizione delle malerbe, specialmente nei<br />

primi sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> sviluppo. Le per<strong>di</strong>te produttive causate dalle infestanti possono andare dal<br />

20 al 50%. Oggi si va <strong>di</strong>ffondendo la tecnica delle DMR (Dosi Molto Ridotte) <strong>di</strong> <strong>di</strong>serbo<br />

in post-emergenza (sl. 20/62). I vantaggi <strong>di</strong> questa tecnica <strong>di</strong> controllo sono un ridotto<br />

impiego <strong>di</strong> prodotti chimici (risparmio economico), il trattamento delle infestanti in<br />

sta<strong>di</strong> precoci <strong>di</strong> sviluppo, la possibilità <strong>di</strong> aggiungere <strong>degli</strong> ad<strong>di</strong>tivi (es. oli, solfato<br />

d’ammonio) che aumentino l’azione dei principi attivi, la possibilità <strong>di</strong> miscela con i<br />

graminici<strong>di</strong>, il controllo <strong>di</strong> infestanti <strong>di</strong>fficili (es. Abutilon) e i ridotti volumi d’acqua<br />

richiesti (250-350 l/ha).<br />

Il controllo delle infestanti può essere anche eseguito me<strong>di</strong>ante una sarchiatura o<br />

fresatura, purché non troppo profonda per non danneggiare le ra<strong>di</strong>ci.<br />

Controllo dei parassiti<br />

Parassiti animali<br />

La presenza del ragnetto rosso (Tetranycus urticae) (sl. 20/63) va eseguito dallo sta<strong>di</strong>o<br />

R1 (inizio foritura) allo sta<strong>di</strong>o R4 (piena formazione dei baccelli). Per l’accertamento<br />

della presenza, va osservata la pagina inferiore delle foglie. Se si supera la soglia <strong>di</strong> 1-3<br />

forme mobili per foglia bisogna trattare con acarici<strong>di</strong> specifici, intervenendo non oltre la<br />

seconda decade <strong>di</strong> luglio. Le temperature elevate e la scarsa piovosità favoriscono<br />

questo parassita. Si possono utilizzare prodotti a base <strong>di</strong> Cyhexatin, <strong>di</strong> <strong>Pro</strong>pargite o<br />

miscele <strong>di</strong> Exitiazon con <strong>Pro</strong>pargite.<br />

La presenza della cimice (Nezara viridula) (sl. 20/64) va monitorata dallo sta<strong>di</strong>o<br />

R3 (inizio formazione dei baccelli) allo sta<strong>di</strong>o R5 (inizio ingrossamento del seme). La<br />

cimice viene rilevata scuotendo le piante poste in due file contigue per 1 m. È<br />

necessario trattare se si supera la presenza <strong>di</strong> 1-3 in<strong>di</strong>vidui per metro lineare<br />

dell’interfila, con prodotti a base <strong>di</strong> Carbaril, Endosulfan o Triclorfon.<br />

La soia può essere attaccata da <strong>di</strong>versi lepidotteri defogliatori (Cyntia cardui,<br />

Udea ferugalis, Tephrina murinaria, Ifantria cunea) (sl. 20/65). La loro presenza è<br />

facilmente riconoscibile a tutti gli sta<strong>di</strong> riproduttivi (da R1, inizio fioritura, a R6, totale<br />

ingrossamento del seme) per le erosioni che questi insetti provocano sulle foglie. È<br />

necessario trattare se si supera la <strong>di</strong>struzione del 35% della superficie fogliare prima<br />

111


della piena fioritura, o del 15 % dopo la piena fioritura. Si impiegano prodotti a base <strong>di</strong><br />

Endosulfan, Fluvalinate o Triclorfon.<br />

La soia può essere inoltre attaccata da nemato<strong>di</strong>, soprattutto in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

scarsa fertilità e siccità.<br />

Patogeni<br />

Le patologie fungine più temibili sulla soia sono il marciume da sclerotinia (Sclerotinia<br />

sclerotiorum), il cancro dello stelo (<strong>Di</strong>aporthe phaseolorum var. caulivora) e il<br />

marciume del colletto (Phytophthora megasperma var. sojae).<br />

I sintomi della sclerotinia (marciume ricoperto da una efflorescenza cotonosa<br />

nella parte basale del fusto) cominciano ad essere evidenti alla fine della fioritura. Il<br />

fungo può sopravvivere nel terreno anche per <strong>di</strong>versi anni. Oltre che la soia, esso attacca<br />

anche colza, girasole e piante ortive. Per il suo controllo è bene operare una lotta<br />

integrata, che preveda l’avvicendamento colturale, l’aumento della <strong>di</strong>stanza tra le file<br />

fino a 70 cm, un ritardo nell’epoca <strong>di</strong> semina (impiegando quin<strong>di</strong> varietà più precoci) e<br />

l’utilizzo <strong>di</strong> varietà tolleranti.<br />

Il cancro dello stelo si instaura nelle prime fasi vegetative, ma lo si può<br />

osservare durante le fasi riproduttive. I residui delle colture infette costituiscono la fonte<br />

<strong>di</strong> infezione, mentre gli stress idrici pre<strong>di</strong>spongono agli attacchi. Viene condotta una<br />

lotta integrata adottando gli stessi accorgimenti enunciati per la lotta alla slerotinia, ed<br />

una lotta chimica che consiste nella concia del seme.<br />

Il marciume del colletto può colpire la pianta in ogni sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sviluppo. Si<br />

manifesta specialmente in terreni pesanti con scarso drenaggio. Come nel caso della<br />

sclerotinia, anche la Phytophtora può sopravvivere a lungo nel terreno. Per combatterla,<br />

si ricorre all’avvicendamento colturale e all’impiego <strong>di</strong> varietà tolleranti. La lotta<br />

chimica prevede la concia del seme e la <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> fungici<strong>di</strong> alla semina.<br />

Altre malattie fungine comprendono la peronospora (Peronospora manshurica),<br />

che può essere controllata con la concia del seme, l’antracnosi (Glomerella glycines),<br />

che può essere controllata con la concia del seme ed anche con arature profonde e ampi<br />

avvicendamenti che non prevedano leguminose, e la rizottoniosi (Rhizoctonia solani),<br />

che può essere controllata con la concia del seme, con arature profonde,<br />

l’avvicendamento, e l’impiego <strong>di</strong> varietà resistenti.<br />

Altri patogeni non fungini sono la maculatura batterica (Pseudomonas syringae)<br />

trasmessa da seme, che in Italia causa lievi danni, e il virus del mosaico (Soybean<br />

Mosaic Virus), che causa l’arresto dell’accrescimento e la decolorazione dei semi, con<br />

maggiore virulenza sulle cultivar a seme grande.<br />

Avversità abiotiche<br />

La gran<strong>di</strong>ne causa notevoli danni, in quanto la defogliazione nel periodo <strong>di</strong> riempimento<br />

del seme provoca rilevanti <strong>di</strong>minuzioni <strong>di</strong> produzione. Anche l’allettamento provoca<br />

spesso delle cospicue per<strong>di</strong>te produttive, poiché quando la coltura è allettata si perdono<br />

numerosi baccelli che rimangono sul terreno durante la raccolta.<br />

Irrigazione<br />

Nell’Italia settentrionale, in primo raccolto, la soia può essere coltivata senza irrigazione<br />

in terreni franco-argillosi, con elevata capacità <strong>di</strong> campo. In terreni più sciolti, invece, la<br />

coltura necessita <strong>di</strong> interventi irrigui. Una buona <strong>di</strong>sponibilità idrica durante la fioritura<br />

aumenta il numero <strong>di</strong> fiori prodotti, mentre una buona <strong>di</strong>sponibilità durante la<br />

112


granigione determina un incremento del peso unitario del seme. In questo caso, si ha<br />

una risposta ottimale se l’intervento irriguo viene eseguito nella fase <strong>di</strong> inizio<br />

ingrossamento del seme (R5). L’irrigazione è sempre in<strong>di</strong>spensabile nel caso <strong>di</strong><br />

coltivazione della soia in seconda raccolta.<br />

Raccolta<br />

Il momento opportuno della raccolta è quando la coltura ha perso le foglie e i baccelli<br />

sono <strong>di</strong> colore bruno. In quello sta<strong>di</strong>o l’umi<strong>di</strong>tà della granella varia dal 14 al 20%. La<br />

raccolta può essere eseguita con mietitrebbie con testata da grano or<strong>di</strong>naria, oppure con<br />

una testata da grano mo<strong>di</strong>ficata, con una piattaforma <strong>di</strong> taglio più flessibile che consente<br />

un perfetto adeguamento a qualsiasi tipo <strong>di</strong> terreno. La piattaforma è dotata <strong>di</strong> tastatori<br />

che permettono <strong>di</strong> mantenere un’altezza minima <strong>di</strong> taglio su tutta la lunghezza della<br />

barra.<br />

Nella raccolta si può andare incontro a rilevanti per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> prodotto, causate dalla<br />

deiscenza dei baccelli prima della raccolta, o dalla presenza <strong>di</strong> semi o baccelli perduti o<br />

rotti per azione dell’aspo della mietitrebbia, o dalla mancata sgusciatura <strong>di</strong> una parte dei<br />

semi, o dalla presenza <strong>di</strong> piante allettate e non raccolte dalla mietitrebbia. Per ridurre le<br />

per<strong>di</strong>te causate dall’allettamento, è necessario abbassare la barra falciante e ridurre la<br />

velocità <strong>di</strong> avanzamento.<br />

Qualora fosse necessario a causa dell’umi<strong>di</strong>tà della granella alla raccolta, si può<br />

ricorrere all’essiccazione della stessa.<br />

Caratteristiche qualitative<br />

La soia è <strong>di</strong>venuta una specie agraria importante perché il seme maturo è ricco in<br />

proteine e grassi. Le varietà comunemente utilizzate hanno un contenuto proteico me<strong>di</strong>o<br />

del 40-41%, ma con punte anche più elevate, e un contenuto in olio del 20-24% sulla<br />

sostanza secca. La proteina è abbastanza ben bilanciata negli amminoaci<strong>di</strong> essenziali<br />

sebbene sia piuttosto povera in metionina e cisteina, ma è più alta in lisina e triptofano<br />

rispetto ai cereali comuni.<br />

L’olio contiene circa il 12-14% <strong>di</strong> aci<strong>di</strong> grassi saturi (palmitico e stearico) e il<br />

resto è costituito da aci<strong>di</strong> grassi insaturi: oleico (30-35%), linoleico (44-56%) e αlinolenico<br />

(5-10%). L’olio grezzo ha un colore scuro, sapore sgradevole e scarsa<br />

stabilità. Dall’olio grezzo, me<strong>di</strong>ante trattamenti, si separano la lecitina <strong>di</strong> soia e l’olio<br />

degommificato. La lecitina è usata come agente emulsionante e stabilizzante, mentre<br />

l’olio degommificato, sottoposto a raffinazione, decolorazione e deodorazione, viene<br />

reso adatto al consumo come con<strong>di</strong>mento, per la cottura, o per la preparazione <strong>di</strong><br />

margarina, o ad usi non alimentari (saponi, cosmetici, inchiostri, materie plastiche,<br />

linoleum, etc.).<br />

Il miglioramento genetico ha consentito la selezione <strong>di</strong> varietà a basso contenuto<br />

in acido palmitico (4.4%), usate nella produzione <strong>di</strong> olio da con<strong>di</strong>mento. Sono state<br />

selezionate anche varietà a più basso contenuto in acido α-linolenico (4%), che<br />

consentono <strong>di</strong> ridurre il sapore sgradevole conferito da questo acido e migliorano la<br />

conservabilità dell’olio. Sempre me<strong>di</strong>ante selezione genetica sono state identificate<br />

varietà a più alto contenuto in aci<strong>di</strong> saturi, destinate alla produzione <strong>di</strong> margarina.<br />

I meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> estrazione possono essere per pressione o per mezzo <strong>di</strong> solventi<br />

(esano). Questo secondo metodo dà un’estrazione meno completa <strong>di</strong> quella meccanica<br />

per pressione (con residui <strong>di</strong> olio non estratti <strong>di</strong> circa il 4% rispetto allo 0.5% o meno<br />

dell’estrazione meccanica) ma è meno costoso per lavorazioni <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> quantità <strong>di</strong><br />

semi. L’estrazione dell’olio con solventi prevede lo schiacciamento del seme, per<br />

113


staccare i tegumenti e rompere i cotiledoni, il trattamento a caldo (63-74 °C) ad umi<strong>di</strong>tà<br />

del 10-11% per inattivare i fattori antinutrizionali, e la macinazione. L’olio viene infine<br />

estratto con solventi dalla farina. La farina sgrassata, con un contenuto proteico fino al<br />

49%, viene largamente utilizzata come alimento zootecnico. L’impiego <strong>di</strong>retto per uso<br />

zootecnico della granella o dello sfarinato <strong>di</strong> soia tal quale è impe<strong>di</strong>to dalla presenza <strong>di</strong><br />

fattori antinutrizionali, che inibiscono la completa utilizzazione della proteina da parte<br />

<strong>degli</strong> animali e dell’uomo. In particolare, sono presenti due fattori inibitori della<br />

proteasi (il Kunitz trypsin inhibitor, o SBTI-A2, e il Bowman-Birk inhibitor) che<br />

agiscono nei confronti della tripsina e della chimotripsina. Questi fattori, presenti nel<br />

seme crudo, vengono però eliminati col trattamento termico.<br />

Utilizzazione della soia<br />

Della soia si possono utilizzare i semi interi, per l’aggiunta a farine o alimenti a base <strong>di</strong><br />

cereali, per la preparazione <strong>di</strong> alimenti orientali, o per l’alimentazione zootecnica; l’olio,<br />

per la preparazione <strong>di</strong> prodotti alimentari o <strong>di</strong> prodotti industriali; e la farina, integrale o<br />

<strong>di</strong> estrazione: dalla prima si ricavano prodotti alimentari e prodotti industriali, mentre la<br />

farina <strong>di</strong> estrazione è basilare per la preparazione <strong>di</strong> alimenti zootecnici, oltre che per la<br />

preparazione <strong>di</strong> concentrati proteici (70% proteina) o isolati proteici (90% proteina).<br />

Con gli isolati si possono produrre alimenti simili alla carne <strong>di</strong> pollo o vitello,<br />

integrativi della panificazione, o altri prodotti alimentari (soyfoods), oltre ad avere<br />

anche un’utilizzazione non alimentare (adesivi, carta).<br />

Tra i prodotti alimentari a base <strong>di</strong> soia, oltre ai germogli (semi germinati), si<br />

ricordano il latte <strong>di</strong> soia, ottenuto facendo bollire in acqua la soia macinata, la salsa <strong>di</strong><br />

soia, ottenuta per lunga fermentazione <strong>di</strong> un infuso <strong>di</strong> soia bollita e farina <strong>di</strong> frumento, e<br />

il formaggio <strong>di</strong> soia, ottenuto per coagulazione delle proteine del latte <strong>di</strong> soia.<br />

Miglioramento genetico<br />

La soia è una specie autogama e quin<strong>di</strong> per il suo miglioramento genetico vengono<br />

impiegate le stesse tecniche adottate per le altre specie autogame (selezione<br />

genealogica, selezione ricorrente, single-seed descent, etc.).<br />

I principali obiettivi del miglioramento genetico sono: l’alta produzione, con<br />

elevato contenuto in olio e/o proteine; l’adattamento alle <strong>di</strong>verse aree <strong>di</strong> produzione<br />

(con particolare riferimento alla resistenza alla siccità); la resistenza all’allettamento; la<br />

resistenza alla sgranatura (selezione <strong>di</strong> baccelli indeiscenti); la resistenza alle malattie;<br />

la resistenza a <strong>di</strong>serbanti totali come il glifosate; una migliore qualità dell’olio (ad<br />

esempio, una soia ad alto contenuto in acido oleico o a basso contenuto in acido<br />

palmitico); una migliore qualità della proteina (maggiore concentrazione <strong>di</strong> cisteina e<br />

metionina). Il miglioramento della qualità della soia prevede anche la <strong>di</strong>minuzione del<br />

contenuto <strong>di</strong> sostanzi antinutrizionali del seme (inibitori delle proteasi, allergeni, fitati,<br />

saponine, estrogeni, etc.). Sono state recentemente iscritte al Registro Nazionale delle<br />

Varietà alcune selezioni a <strong>di</strong>verso ciclo vegetativo, dal gruppo 0 al gruppo 2, con<br />

un’attività antitriptica praticamente <strong>di</strong>mezzata (10-12 mg <strong>di</strong> SBTI-A2 per g <strong>di</strong> farina<br />

integrale) rispetto a quella rilevata inizialmente nelle varietà commerciali più <strong>di</strong>ffuse in<br />

Italia (> 22 mg/g).<br />

L’ideotipo della pianta dovrebbe avere una conformazione tale da consentire<br />

un’uniforme penetrazione della luce, con foglie più piccole a portamento assurgente,<br />

un’altezza non elevata per <strong>di</strong>minuire il rischio <strong>di</strong> allettamento, e il primo nodo fiorale<br />

inserito in alto, in modo da agevolare la raccolta meccanica.<br />

114


PISELLO (Pisum sativum)<br />

Non si conoscono i progenitori selvatici del pisello, che risulta essere coltivato fin dal<br />

Neolitico (7000 a.C.). <strong>Pro</strong>babilmente la specie è originaria delle zone a nord dell’In<strong>di</strong>a.<br />

È coltivato in tutto il mondo, in particolare nei paesi asiatici (In<strong>di</strong>a, Cina).<br />

La produzione è orientata sul pisello fresco, da consumo <strong>di</strong>retto, sul pisello da pieno<br />

campo per l’industria conserviera (inscatolamento, surgelazione), e sul pisello per<br />

granella secca per alimentazione umana o zootecnica (‘pisello proteico’).<br />

Il pisello è usato largamente anche come foraggera da erbaio.<br />

Caratteri botanici<br />

Il pisello è una pianta <strong>di</strong>ploide (2n=14), annuale, glabra e glauca, con un solo stelo<br />

cilindrico sottile e debole, <strong>di</strong> lunghezza variabile da 0.30 a 3 metri (si <strong>di</strong>stinguono piselli<br />

nani, seminani o rampicanti). Nei piselli rampicanti da orto lo sviluppo è indeterminato,<br />

dando luogo ad una fruttificazione continua e protratta nel tempo. Quelli nani hanno<br />

portamento semi-eretto e sono a sviluppo determinato, per cui la fioritura e la<br />

maturazione dei vari palchi fiorali avvengono in un tempo alquanto breve. La gracilità<br />

dei fusti ha come effetto che le colture <strong>di</strong> pisello tendono a prostrarsi a terra, a meno che<br />

non siano fornite <strong>di</strong> sostegni (frasche, reti) come nella coltura ortiva. Nelle <strong>coltivazioni</strong><br />

in pieno campo, e soprattutto in quelle da granella secca da raccogliere a piena<br />

maturazione, il fatto che la vegetazione sia prostrata al suolo rende <strong>di</strong>fficoltosa la<br />

mietitrebbiatura, dando luogo a consistenti per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> prodotto.<br />

Il pisello ha una ra<strong>di</strong>ce marcatamente fittonante, che si sviluppa fino a 0.80 m <strong>di</strong><br />

profon<strong>di</strong>tà, con numerose ramificazioni.<br />

Le foglie sono pennate, composte: da 2-4 paia <strong>di</strong> foglioline gran<strong>di</strong>, ovate, intere;<br />

da uno o più paia <strong>di</strong> foglioline trasformate in cirri; da un cirro terminale ramificato e<br />

sviluppatissimo; e da un paio <strong>di</strong> stipole <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni simili, o ad<strong>di</strong>rittura più gran<strong>di</strong>,<br />

alle vere foglioline (è questa una caratteristica tipica della specie).<br />

I fiori sono lungamente peduncolati e si formano in numero da 1 a 4 su racemi<br />

ascellari emergenti dai no<strong>di</strong> me<strong>di</strong>ani e superiori dello stelo. La corolla è grande e<br />

vistosa, <strong>di</strong> solito bianca nel pisello da granella, rosso-violetto nel pisello da foraggio. La<br />

fecondazione è autogama e produce un baccello liscio, quasi cilindrico, contenente<br />

numerosi semi (4-10). La germinazione dei semi è ipogeica, con i cotiledoni che restano<br />

sottoterra mentre emerge il fusticino (epicotile), incurvato. I semi <strong>di</strong> pisello sono<br />

variabilissimi per forma, colore, <strong>di</strong>mensione. La forma è normalmente rotondeggiante<br />

ma può essere cuboide nelle forme in cui i semi sono molto serrati nel baccello.<br />

Un’importante <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> forma è quella tra semi lisci e semi grinzosi, causata dal<br />

<strong>di</strong>verso biochimismo dell’accumulo <strong>di</strong> carboidrati nei cotiledoni. Nei semi lisci, a<br />

maturazione è presente prevalentemente amido; in quelli grinzosi poco più della metà<br />

dei carboidrati <strong>di</strong> riserva è costituita da amido mentre il resto è formata da zuccheri<br />

solubili, la cui presenza fa sì che i semi restino dolci e teneri a lungo durante la<br />

maturazione. Questo è un vantaggio rispetto ai piselli a seme liscio i quali, se non<br />

raccolti al momento giusto, rapidamente si induriscono e perdono la loro dolcezza. I<br />

piselli a seme grande, verde e grinzoso vanno bene per la surgelazione, mentre per<br />

l’inscatolamento si vogliono solo piselli a seme piccolo e liscio. La <strong>di</strong>mensione dei semi<br />

è variabilissima: 1000 semi possono pesare da 100 a 500 g.<br />

115


Esigenze ambientali<br />

Il pisello è una pianta microterma che ha limitate esigenze <strong>di</strong> temperature per crescere e<br />

svilupparsi, e rifugge dai forti calori e dalla siccità. In Italia, la semina è autunnale nelle<br />

regioni a inverno mite (centro-meri<strong>di</strong>onali), mentre in quelle settentrionali la semina<br />

autunnale può essere adottata solo con varietà resistenti al freddo; in caso contrario, si<br />

può seminare solo dopo l’inverno.<br />

Il pisello germina con accettabile prontezza con temperature del terreno intorno<br />

a 4 °C, mentre la temperatura ottimale per il compimento del ciclo vitale è compresa tra<br />

15 e 18 °C. La resistenza al freddo del pisello è limitata, ma varia molto con il grado <strong>di</strong><br />

sviluppo della pianta e con la varietà. La fase <strong>di</strong> massima resistenza è lo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 4-5<br />

foglie, in cui sopporta senza danno temperature fino a –8 °C. Allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> fioritura,<br />

anche gelate leggere sono dannose.<br />

In generale, però, la maggiore intolleranza del pisello è per le alte temperature.<br />

Forti calori durante la fase <strong>di</strong> riempimento dei semi da raccogliere freschi ne accelerano<br />

troppo la maturazione e ne provocano il rapido indurimento, con gravissimo pregiu<strong>di</strong>zio<br />

per la qualità. La maturazione avviene invece con gradualità, e la raccolta può essere<br />

fatta in tutta tranquillità, in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> temperatura moderata e <strong>di</strong> elevata umi<strong>di</strong>tà<br />

dell’aria.<br />

Il pisello teme moltissimo i ristagni <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà che rendono il terreno freddo e<br />

asfittico. Non ha esigenze particolari riguardo al terreno, tuttavia i terreni più adatti sono<br />

quelli piuttosto sciolti, cal<strong>di</strong>, ben aerati, con moderato contenuto <strong>di</strong> calcare e pH<br />

compreso tra 6.5 e 7.5, <strong>di</strong> buona capacità idrica.<br />

Varietà<br />

L’ideotipo è <strong>di</strong>verso a seconda che la destinazione del prodotto sia il mercato orticolo<br />

oppure l’industria conserviera (granella immatura) o mangimistica (granella secca;<br />

insilato). Nel primo caso, essendo la raccolta manuale, si richiede precocità e scalarità <strong>di</strong><br />

maturazione, con cultivar <strong>di</strong> grande sviluppo (rampicanti).<br />

Per il pisello da pieno campo per l’industria conserviera, si tende alla completa<br />

meccanizzazione, fino alla raccolta che deve essere unica, per cui le regole da seguire<br />

sono le seguenti: scelta <strong>di</strong> varietà nane, a maturazione contemporanea, a bassa ‘velocità<br />

<strong>di</strong> maturazione’, cioè con semi che si mantengano teneri e dolci anche in caso <strong>di</strong><br />

raccolta un po’ ritardata. È inoltre necessario assicurare all’industria una lavorazione<br />

prolungata e uniforme: ciò me<strong>di</strong>ante <strong>coltivazioni</strong> opportunamente pianificate per quanto<br />

riguarda epoca <strong>di</strong> semina e precocità delle varietà. Il panorama varietale è vastissimo e<br />

in rapida evoluzione. Per l’inscatolamento sono richiesti semi <strong>di</strong> colore verde chiaro,<br />

piccoli e lisci. Le varietà da surgelazione sono a semi verde scuro, me<strong>di</strong> o gran<strong>di</strong>,<br />

grinzosi (che restano dolci a lungo).<br />

Per la coltura da granella secca, caratteristiche apprezzate sono l’alto contenuto<br />

proteico dei semi, il seme piuttosto piccolo (che consente <strong>di</strong> risparmiare sulla semente),<br />

il portamento eretto delle piante a maturità e la resistenza all’allettamento, in modo che<br />

la mietitrebbiatura non <strong>di</strong>a luogo a per<strong>di</strong>te eccessive. Quest’ultimo requisito è posseduto<br />

da certe varietà <strong>di</strong> pisello espressamente selezionate per avere un eccezionale sviluppo<br />

dei cirri fogliari: l’intreccio dei cirri <strong>di</strong> piante vicine fa sì che tutta la vegetazione si<br />

sorregga da sé. Le varietà <strong>di</strong> questo tipo sono dette leafless o afile perché hanno<br />

trasformate in cirri tutte le foglie vere, così che solo le gran<strong>di</strong> stipole conservano il loro<br />

aspetto fogliaceo (sl. 20/89-90). Anche per l’insilamento, sia in purezza che in<br />

consociazione con un cereale vernino (frumento; triticale), la varietà deve essere ad<br />

116


abito eretto, <strong>di</strong> alta taglia e afila, per garantire una buona tolleranza all’allettamento e, in<br />

caso <strong>di</strong> consociazione col cereale, una maggiore capacità <strong>di</strong> competizione.<br />

Tecnica colturale<br />

Il pisello è una precessione ottima per il frumento in quanto libera presto il terreno, lo<br />

lascia assai rinettato dalle malerbe e lascia un buon residuo <strong>di</strong> azoto, stimabile<br />

nell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> 40-60 kg/ha. Esso è quin<strong>di</strong> coltivabile tra due cereali autunnali.<br />

È buona norma prevedere un intervallo <strong>di</strong> almeno 4 o 5 anni prima <strong>di</strong> far tornare il<br />

pisello sullo stesso terreno, a causa delle malattie a cui può essere soggetto.<br />

Concimazione e preparazione del terreno<br />

La concimazione minerale più importante è quella fosfatica, sempre necessaria nella<br />

misura <strong>di</strong> 60-80 kg/ha <strong>di</strong> P2O5. Il potassio va somministrato in caso <strong>di</strong> terreni poveri <strong>di</strong><br />

questo elemento, mentre l’azoto non dà, in genere, risposte apprezzabili: al massimo<br />

potrebbero essere dati 20-30 kg/ha <strong>di</strong> azoto alla semina.<br />

La preparazione del terreno è molto simile a quella per il frumento: lavorazione<br />

a me<strong>di</strong>a profon<strong>di</strong>tà, affinamento delle zolle anche in profon<strong>di</strong>tà per evitare cavernosità,<br />

ma affinamento superficiale non particolarmente spinto, data la grande <strong>di</strong>mensione del<br />

seme. Una cosa che invece ha grande importanza è lo spianamento e la regolarizzazione<br />

superficiale dei campi, che devono essere perfetti per rendere più agevole il successivo<br />

lavoro della mietitrebbiatrice.<br />

Semina<br />

L’epoca <strong>di</strong> semina più comune nelle regioni del Centro-Nord, dove la coltivazione del<br />

pisello da granella è attualmente più <strong>di</strong>ffusa, è in febbraio, appena la temperatura del<br />

terreno è risalita a 5-6 °C. Ove si <strong>di</strong>sponga <strong>di</strong> varietà abbastanza resistenti al freddo, la<br />

semina autunnale è da preferire, anche se va fatta in tempo perché all’arrivo dei fred<strong>di</strong> le<br />

piantine abbiano raggiunto almeno lo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 3-4 foglie. La semina autunnale anticipa<br />

il ciclo in primavera, aumentando la quantità <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azione intercettata che, a sua volta,<br />

innalza la quantità <strong>di</strong> fotosintetati che si accumula nel seme. La fioritura anticipata<br />

consente, nello stesso tempo, <strong>di</strong> ridurre i rischi <strong>di</strong> stress da siccità ed alte temperature.<br />

D’altro lato, però, la semina autunnale espone le piante al rischio <strong>di</strong> basse temperature e<br />

<strong>di</strong> malattie che colpiscono l’apparato arereo, particolarmente aggressive sulle piante<br />

sofferenti per lo stress termico (Ascochyta, etc.). In genere l’epoca <strong>di</strong> semina è ottobre<br />

nel Nord Italia e novembre nel Centro-Sud (qualche giorno prima del frumento). Nel<br />

caso <strong>di</strong> colture per l’industria, le semine si eseguono scalarmente, in modo da<br />

prolungare il periodo <strong>di</strong> raccolta per la trasformazione.<br />

La semina in pieno campo viene eseguita a file <strong>di</strong>stanti 18-25 cm, in modo da<br />

determinare maggiore competizione verso le erbe infestanti e facilitare la raccolta<br />

meccanica. Il pisello si semina a 70-100 semi/m 2 per avere da 50 a 70 piante/m 2 .<br />

Peraltro, ramificandosi, la coltura riesce più o meno a compensare <strong>di</strong>fetti <strong>di</strong> densità. A<br />

seconda del peso me<strong>di</strong>o dei semi, le quantità <strong>di</strong> semina oscillano da 150 a oltre 250<br />

kg/ha. Per la semina si usano in genere le seminatrici universali da frumento, avendo<br />

cura <strong>di</strong> controllare che non si abbiano danni al seme da parte <strong>degli</strong> organi <strong>di</strong>stributori.<br />

I semi vanno posti alla profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> 5-7 cm, onde ridurre la predazione da parte<br />

<strong>di</strong> uccelli e ro<strong>di</strong>tori.<br />

117


Cure colturali e <strong>di</strong>serbo<br />

Interventi meccanici nel corso della coltivazione sono impossibili, data la fittezza delle<br />

file e, d’altra parte, questi sono resi non necessari dal <strong>di</strong>serbo chimico. Il controllo delle<br />

erbe infestanti del pisello può essere infatti realizzato con efficacia me<strong>di</strong>ante il <strong>di</strong>serbo<br />

chimico. Spesso esso richiede due interventi: uno in pre-semina o in pre-emergenza e un<br />

altro eventuale in post-emergenza (sl. 20/97). Trattamenti chimici possono rendersi<br />

necessari anche per combattere le avversità biotiche.<br />

Raccolta e utilizzazione<br />

Il pisello da industria va raccolto ad un giusto grado <strong>di</strong> maturazione, definito dalla<br />

tenerezza del seme valutata in gra<strong>di</strong> tenderometrici. I piselli al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> 90 gra<strong>di</strong><br />

tenderometrici sono troppo teneri, quelli al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> 130 sono troppo duri; il grado <strong>di</strong><br />

maturazione più conveniente sia per l’agricoltore che per l’industria è <strong>di</strong> 110 gra<strong>di</strong>. Un<br />

altro aspetto qualitativo importante nel determinare il momento per raccogliere il pisello<br />

da inscatolamento è il calibro dei semi.<br />

La raccolta del pisello da industria oggi prevede prevalentemente la ‘pettinasgranatura’,<br />

con macchina semovente che stacca i baccelli e sgrana solo questi. Questa<br />

soluzione è quella attualmente preferita per la velocità <strong>di</strong> esecuzione (1 ora/ha), rispetto<br />

alle operazioni <strong>di</strong> falcia-andanatura in campo e sgranatura in stabilimento, o falciasgranatura<br />

in campo.<br />

I piselli secchi si raccolgono con le mietitrebbiatrici da frumento, evitando <strong>di</strong><br />

attendere che i baccelli e i semi si <strong>di</strong>ssecchino troppo (per evitare forti per<strong>di</strong>te per<br />

sgranatura). Le produzioni or<strong>di</strong>narie <strong>di</strong> buone colture sono 4-4.5 t/ha <strong>di</strong> semi freschi<br />

sgranati <strong>di</strong> pisello da industria, e <strong>di</strong> 3.5-4 t/ha <strong>di</strong> granella secca.<br />

Avversità e parassiti<br />

Parassiti vegetali<br />

Le principali avversità in cui il pisello può incorrere sono l’antracnosi, la peronospora e<br />

la fusariosi.<br />

L’antracnosi è un insieme <strong>di</strong> sintomatologie (sl. 20/100-101) causate da funghi<br />

del complesso Ascochyta, <strong>di</strong> cui spesso si riscontrano due o tre specie sulla stessa<br />

pianta: Ascochyta pisi, A. pinodes, <strong>di</strong> cui viene più spesso citata la forma perfetta<br />

Mycosphaerella pinodes, e A. pinodella, designata anche come Phoma me<strong>di</strong>caginis var.<br />

pinodella. I sintomi si presentano in tutte le aree temperate con macchie su foglie,<br />

baccelli, steli, stipole e fiori, o con imbrunimento dello stelo e marciume del piede,<br />

causando gravi danni sia alla produzione che alla qualità. Sono funghi endemici nelle<br />

zone <strong>di</strong> coltivazione del pisello e si conservano da un anno all’altro nei residui colturali<br />

o nel terreno. A primavera, le spore sono portate dal vento o dalla pioggia, causando<br />

infezioni primarie sulle colture. La lotta si basa sull’uso <strong>di</strong> seme sano, sul trattamento<br />

del seme con concianti (benzimidazolici e ftalami<strong>di</strong>ci), sull’interramento dei residui<br />

colturali subito dopo la raccolta per evitare la <strong>di</strong>spersione delle spore fungine e sulle<br />

rotazioni colturali, in attesa che il miglioramento genetico possa rendere <strong>di</strong>sponibili<br />

delle varietà resistenti.<br />

La peronospora è causata dal fungo Peronospora pisi e si manifesta in perio<strong>di</strong><br />

fred<strong>di</strong> e piovosi, formando sulle foglie e sui baccelli delle macchie prima traslucide poi<br />

brune, che producono quin<strong>di</strong> un’efflorescenza <strong>di</strong> colore bruno-biancastro costitutita dai<br />

coni<strong>di</strong>ofori e dai coni<strong>di</strong>. La lotta si basa sulla <strong>di</strong>sinfezione del seme con prodotti<br />

118


sistemici (Metalaxil o Cimoxanil), sull’eliminazione dei residui colturali, sui trattamenti<br />

era<strong>di</strong>canti precoci con prodotti sistemici (fenilammi<strong>di</strong> e altri), e sull’uso <strong>di</strong> varietà<br />

resistenti.<br />

La fusariosi, causata da funghi tracheicoli del genere Fusarium e, in particolare,<br />

da F. oxysporum f. sp. pisi, provoca necrosi del colletto con conseguente ingiallimento e<br />

avvizzimento rapido delle piantine. La lotta a questa malattia si basa quasi<br />

esclusivamente sull’utilizzazione <strong>di</strong> varietà resistenti.<br />

Parassiti animali<br />

Gli afi<strong>di</strong> verde (Acyrthosiphon pisum) e nero (Aphis fabae) formano colonie sulle foglie<br />

causando il deperimento delle piante e <strong>di</strong>ffondono le virosi del pisello (Pea Enation<br />

Mosaic Virus, PEMV e Pea Mosaic Virus, PMV; sl. 20/105). In certe annate può<br />

rendersi necessario effettuarne il controllo chimico.<br />

I semi sono molto soggetti ad essere attaccati dal tonchio (Bruchus pisorum) (sl.<br />

20/106), che alla fine della fioritura depone le uova sui piccoli baccelli nei cui semi le<br />

larve poi passano e si sviluppano.<br />

119


FAVA (Vicia faba)<br />

La fava è una leguminosa coltivata per la sua granella che, secca o fresca, trova impiego<br />

come alimento per l’uomo e per gli animali. La pianta è coltivata anche per foraggio<br />

(erbaio) e per sovescio.<br />

L’origine della specie ancora oggi non è chiaramente identificata, né per quanto<br />

riguarda le specie progenitrici, né per quanto riguarda il centro <strong>di</strong> origine, anche se si<br />

tende ad accre<strong>di</strong>tare l’area orientale del bacino me<strong>di</strong>terraneo come centro <strong>di</strong><br />

domesticazione, dal quale la coltura si sarebbe <strong>di</strong>ffusa verso quattro <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>rezioni:<br />

nord Africa e Spagna; Eritrea e Somalia; Afghanistan e In<strong>di</strong>a; Grecia, Italia ed Europa.<br />

Come pianta alimentare, la fava è stata utilizzata dall’uomo nell’area<br />

me<strong>di</strong>terranea e me<strong>di</strong>o-orientale in tempi molto remoti. Nell’antichità storica, per tutto il<br />

Me<strong>di</strong>o Evo e fino al secolo scorso, le fave secche cotte in svariati mo<strong>di</strong> hanno costituito<br />

la principale base proteica alimentare <strong>di</strong> molte popolazioni. In tempi recenti il consumo<br />

dei semi secchi si è ridotto, mentre ampia <strong>di</strong>ffusione ha ancora nell’alimentazione<br />

umana l’uso della granella immatura fresca o conservata inscatolata o surgelata. In Italia<br />

la superficie a fava è <strong>di</strong> poco superiore ai 50000 ha, localizzati prevalentemente nelle<br />

regioni centro-meri<strong>di</strong>onali e insulari (sl. 20/109).<br />

Caratteri botanici<br />

La fava è una specie <strong>di</strong>ploide (2n=12) appartenente alla tribù delle Vicieae della<br />

famiglia delle leguminose. Nell’ambito della specie, sono <strong>di</strong>stinguibili tre varietà<br />

botaniche in base alla <strong>di</strong>mensione dei semi (sl. 20/111-112):<br />

- Vicia faba maior (fava grossa), che produce semi appiattiti e grossi (1000 semi pesano<br />

da 1000 a 2500 g), impiegati per l’alimentazione umana;<br />

- Vicia faba minor (favino o fava piccola), i cui semi sono rotondeggianti e<br />

relativamente piccoli (1000 semi pesano meno <strong>di</strong> 700 g) e sono impiegati per seminare<br />

erbai e sovesci (poiché fanno risparmiare seme, rispetto alle altre varietà) e anche come<br />

concentrati nell’alimentazione del bestiame;<br />

- Vicia faba equina (favetta o fava cavallina), provvista <strong>di</strong> semi appiattiti <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a<br />

grandezza (1000 semi pesano da 700 a 1000 g) che sono utilizzati soprattutto per<br />

l’alimentazione del bestiame, ma anche dell’uomo come granella fresca.<br />

La fava è una pianta annuale, a rapido sviluppo, a portamento eretto, glabra, <strong>di</strong><br />

colore grigio-verde, a sviluppo indeterminato, anche se sono stati ottenuti tipi ad<br />

accrescimento semi-determinato o determinato (sl. 20/113). La ra<strong>di</strong>ce è fittonante, ricca<br />

<strong>di</strong> tubercoli voluminosi. Gli steli eretti, cavi, quadrangolari, alti fino a 1.5 m (me<strong>di</strong>a 0.8-<br />

1 m) non sono ramificati, ma talora si può avere un limitatissimo accestimento con steli<br />

secondari sorgenti alla base <strong>di</strong> quello principale.<br />

Le foglie sono alterne, paripennate, composte da due o tre paia <strong>di</strong> foglioline<br />

sessili ellittiche intere, con la fogliolina terminale trasformata in un’appen<strong>di</strong>ce poco<br />

appariscente ma riconducibile al cirro che caratterizza le foglie delle Vicieae. I fiori si<br />

formano in numero da 1 a 6 su un breve racemo che nasce all’ascella delle foglie<br />

me<strong>di</strong>ane e superiori dello stelo. I fiori sono quasi sessili, piuttosto appariscenti<br />

(lunghezza 25 mm); la corolla ha petali bianchi o, talora, violacei e quasi sempre con<br />

caratteristica macchia scura sulle ali (sl. 20/115). L’ovario è pubescente, allungato e con<br />

uno stimma a capocchia. La fecondazione può essere allogama, con impollinazione<br />

incrociata operata da imenotteri (api e bombi), o autogama. La percentuale <strong>di</strong><br />

alloincrocio è me<strong>di</strong>amente del 30-35%, potendo variare da meno del 5% ad oltre l’80%,<br />

in funzione del genotipo, <strong>di</strong> fattori ambientali e della presenza e attività dei pronubi.<br />

120


L’ovario fecondato si sviluppa in un baccello allungato, verde allo stato<br />

immaturo (sl. 20/117), bruno quando maturo e secco, che contiene da 2 a 10 semi <strong>di</strong><br />

colore generalmente verdastro chiaro, ma anche bruno o violetto, con ilo grande,<br />

allungato e in genere scuro. I semi secchi hanno un alto contenuto proteico (23-26% o<br />

anche maggiore).<br />

Esigenze ambientali<br />

La fava germina con accettabile prontezza già con temperature del terreno intorno a 5<br />

°C; in queste con<strong>di</strong>zioni l’emergenza avviene in 15-20 giorni. La resistenza della fava al<br />

freddo è limitata: nelle prime fasi vegetative (sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 4-5 foglie), quando la specie ha il<br />

massimo <strong>di</strong> resistenza, gelate <strong>di</strong> –6 °C sono fatali alla maggior parte delle varietà; solo<br />

certi tipi <strong>di</strong> favino resistono fino a circa –15 °C. Durante la fioritura, la resistenza della<br />

fava al gelo è ancora minore. Inoltre, in questo sta<strong>di</strong>o, temperature me<strong>di</strong>e piuttosto<br />

basse, anche se non fatali per la sopravvivenza della pianta, possono compromettere<br />

l’allegagione dei fiori, sia <strong>di</strong>rettamente, turbando la fisiologia dell’antesi, che<br />

in<strong>di</strong>rettamente, ostacolando l’attività dei pronubi. Durante la fioritura sono da temere<br />

anche alte temperature che, se superano i 25 °C, provocano la ‘colatura’ dei fiori.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista idrico, la fava è una forte consumatrice d’acqua e trova proprio nella<br />

deficienza idrica durante la fase <strong>di</strong> granigione il più importante fattore limitante delle<br />

rese, particolarmente nel caso <strong>di</strong> semine primaverili. La siccità provoca la colatura dei<br />

fiori e la riduzione del numero dei semi per baccello e del peso <strong>di</strong> 1000 semi. Pur<br />

essendo ampiamente <strong>di</strong>ffusa in ambienti semi-ari<strong>di</strong>, la fava non può essere definita una<br />

specie arido-resistente, in quanto dotata <strong>di</strong> un apparato ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong> limitato sviluppo in<br />

profon<strong>di</strong>tà (al massimo, circa 90 cm), <strong>di</strong> una scarsa efficienza <strong>di</strong> utilizzazione dell’acqua<br />

e <strong>di</strong> una ridotta capacità <strong>di</strong> recupero <strong>di</strong> eventuali danni subiti per effetto della carenza<br />

idrica.<br />

La fava si adatta bene a terreni pesanti, argillosi o argilloso-calcarei; rifugge da<br />

quelli sciolti, dai suoli organici, e da quelli soggetti ai ristagni <strong>di</strong> acqua. Il pH che più si<br />

ad<strong>di</strong>ce alla fava è quello sub-alcalino.<br />

Tecnica colturale<br />

Grazie al fatto <strong>di</strong> essere una leguminosa che libera il terreno assai presto, sì da<br />

consentire un’ottima preparazione per il frumento, la fava è un’eccellente coltura<br />

miglioratrice, che costituisce un’ottima precessione per il frumento; il suo posto nella<br />

rotazione è quin<strong>di</strong> tra due cereali. A questa tipica associazione contribuisce anche la<br />

possibilità <strong>di</strong> poter impiegare, <strong>di</strong> fatto, il medesimo parco macchine. Il cereale che segue<br />

la fava trova un residuo <strong>di</strong> azoto, apportato dalla leguminosa, dell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> 40-50<br />

kg/ha. Inoltre, in buone con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> coltura, dopo aver raccolto la granella, la fava<br />

lascia una quantità <strong>di</strong> residui <strong>di</strong> circa 4-5 t/ha <strong>di</strong> sostanza secca. Tuttavia, prove condotte<br />

sull’avvicendamento biennale fava-frumento mostrano una progressiva riduzione delle<br />

rese della leguminosa in rapporto a quelle del cereale, probabilmente a causa della<br />

<strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> parassiti specifici. Può essere quin<strong>di</strong> raccomandabile <strong>di</strong> adottare intervalli<br />

più lunghi (<strong>di</strong> almeno quattro anni) tra due successive colture <strong>di</strong> fava.<br />

La preparazione razionale del terreno per la fava consiste in un’aratura profonda<br />

(40-50 cm) che favorisca l’approfon<strong>di</strong>mento delle ra<strong>di</strong>ci e, quin<strong>di</strong>, l’esplorazione e lo<br />

sfruttamento delle risorse idriche e nutritive più profonde. Non è necessario preparare<br />

un letto <strong>di</strong> semina molto affinato in quanto le <strong>di</strong>mensioni dei semi fanno sì che il<br />

contatto col terreno sia assicurato anche se persiste una certa zollosità.<br />

121


La concimazione minerale della fava va basata principalmente sul fosforo, dato<br />

che, come tutte le leguminose, essa è particolarmente sensibile e reattiva a questo<br />

elemento: 60-80 kg/ha <strong>di</strong> P2O5 sono la dose da apportare. Il potassio generalmente<br />

abbonda nei terreni argillosi dove la fava trova la sua collocazione ideale, mentre per<br />

quanto riguarda l’azoto la fava è <strong>di</strong> fatto autosufficiente, grazie alla simbiosi con i rizobi<br />

ra<strong>di</strong>cali, per cui la concimazione azotata non è necessaria.<br />

La semina autunnale va fatta in modo che le piantine abbiano raggiunto lo sta<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> 3-5 foglie prima dell’arrivo dei fred<strong>di</strong>. Nelle regioni centrali, l’epoca ottimale <strong>di</strong><br />

semina è tra ottobre e novembre, in quelle meri<strong>di</strong>onali nella seconda decade <strong>di</strong><br />

novembre.<br />

Le semine primaverili (in realtà a fine inverno) vanno eseguite quanto prima<br />

possibile per anticipare il ciclo e sfuggire alla siccità. La quantità <strong>di</strong> seme deve essere<br />

tale da assicurare 12-15 piante/m 2 nel caso <strong>di</strong> fava grossa, 25-35 per la favetta e 40-60<br />

per il favino. Le quantità <strong>di</strong> seme vanno calcolate in base al peso me<strong>di</strong>o dei semi: in<br />

genere oscillano sui 200-300 kg/ha o più. La semina è eseguita solitamente con le<br />

seminatrici universali a file, <strong>di</strong>stanti 0.50 m nel caso <strong>di</strong> fava e favetta, 0.35-0.40 m nel<br />

caso del favino. Nella coltura <strong>di</strong> pieno campo, la semina fitta è conveniente perché<br />

provoca l’innalzamento dell’inserzione dei baccelli più bassi (sl. 20/122), il che è<br />

vantaggioso per la mietitrebbiatura che in tal modo dà luogo a minori per<strong>di</strong>te <strong>di</strong><br />

granella. La semina deve essere piuttosto profonda: 6-8 cm nel caso <strong>di</strong> fava grossa, 4-5<br />

cm nel caso <strong>di</strong> favetta e <strong>di</strong> favino. Sembra che con una semina profonda gli attacchi <strong>di</strong><br />

orobanche <strong>di</strong>minuiscano (si veda più avanti). Il seme va sempre trattato con prodotti<br />

concianti per proteggere le piantine dagli attacchi <strong>di</strong> Rhizoctonia, Pythium e<br />

Phytophtora.<br />

Tra<strong>di</strong>zionalmente la fava era una coltura sarchiata. Attualmente può essere<br />

<strong>di</strong>serbata chimicamente in pre-semina, in pre-emergenza o in post-emergenza (sl.<br />

20/124).<br />

I semi immaturi per l’inscatolamento e la surgelazione si raccolgono con<br />

macchine sgranatrici fisse o semoventi, quando hanno raggiunto il giusto grado<br />

tenderometrico. La raccolta dei semi secchi si fa quando la pianta è completamente<br />

secca. Non si riesce a raccogliere con mietitrebbiatrici la fava grossa, se non con<br />

pessimi risultati quanti-qualitativi (per la rottura dei semi). Solo il favino si raccoglie<br />

abbastanza facilmente me<strong>di</strong>ante mietitrebbiatrice opportunamente regolata (sl. 20/125).<br />

L’epoca <strong>di</strong> raccolta è la metà <strong>di</strong> giugno nell’Italia meri<strong>di</strong>onale, la fine <strong>di</strong> giugno in<br />

quella centrale, la metà <strong>di</strong> luglio nell’Italia settentrionale con semina primaverile.<br />

La produzione <strong>di</strong> semi freschi per l’industria è considerata buona quando<br />

raggiunge le 5-6 t/ha. La produzione <strong>di</strong> semi secchi, anche se teoricamente potrebbe<br />

superare le 5 t/ha, in pratica è molto inferiore: 2-3 t/ha sono le produzioni me<strong>di</strong>e più<br />

frequenti in Italia, con alti rischi <strong>di</strong> avere in certi anni rese anche assai inferiori a causa<br />

<strong>di</strong> fattori abiotici e biotici (freddo, siccità, attacchi <strong>di</strong> ruggini o <strong>di</strong> afi<strong>di</strong>, virosi).<br />

Caratteristiche qualitative e utilizzazione<br />

La granella <strong>di</strong> fava è una materia prima ad elevato valore calorico, ricca in proteine e<br />

con una composizione amminoaci<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> buon valore biologico (con elevata lisina,<br />

anche se un po’ carente <strong>di</strong> metionina e triptofano).<br />

Nella granella sono presenti sostanze antinutrizionali quali inibitori <strong>di</strong> proteasi,<br />

acido fitico e tannini, che riducono la <strong>di</strong>geribilità delle proteine; il contenuto <strong>di</strong> tali<br />

composti è tuttavia, in molti casi, inferiore a quello presente in altre leguminose da<br />

granella. Nei semi della fava sono inoltre presenti due glucosi<strong>di</strong>, la vicina e la<br />

convicina, che sono responsabili della crisi emolitica (produzione <strong>di</strong> sostanze emolitiche<br />

122


che denaturano le proteine dei globuli rossi, emoglobina compresa) nei soggetti carenti<br />

dell’enzima glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD): tale patologia, nota come favismo<br />

è <strong>di</strong> origine genetica e <strong>di</strong>ffusa particolarmente nel bacino del Me<strong>di</strong>terraneo, nelle aree<br />

storicamente soggette alla malaria. Il contenuto dei due glucosi<strong>di</strong> è percentualmente<br />

maggiore nei semi freschi e decresce progressivamente durante la fase <strong>di</strong> maturazione.<br />

Attualmente sono stati identificati dei genotipi privi dei glucosi<strong>di</strong>, che vengono<br />

impiegati nei programmi <strong>di</strong> miglioramento genetico della specie.<br />

La granella secca (soprattutto <strong>di</strong> favino e favetta) viene prevalentemente<br />

utilizzata come concentrato proteico nell’alimentazione del bestiame. Il suo valore<br />

nutritivo è me<strong>di</strong>amente <strong>di</strong> 1.10 Unità Foraggere Latte (UFL; l’UFL è l’energia<br />

necessaria per produrre 3 kg <strong>di</strong> latte con il 3.4% <strong>di</strong> grassi; 1 UFL = 1699 kcal) per kg <strong>di</strong><br />

sostanza secca e la <strong>di</strong>geribilità totale è pari all’80%. Per la sua composizione chimica e<br />

la sua <strong>di</strong>geribilità, la granella <strong>di</strong> fava è particolarmente idonea all’alimentazione del<br />

bestiame giovane e <strong>degli</strong> animali in lattazione, a cui viene somministrata sotto forma <strong>di</strong><br />

sfarinato in miscela con cruscami e farine <strong>di</strong> cereali. La presenza <strong>di</strong> una certa<br />

percentuale <strong>di</strong> tannini condensati (non superiore al 5-6% della sostanza secca) potrebbe<br />

essere <strong>di</strong> una certa utilità nel controllo dei parassiti gastrointestinali del bestiame,<br />

bilanciando in tal modo gli effetti negativi derivanti dalla minore <strong>di</strong>geribilità delle<br />

proteine determinata dai tannini stessi.<br />

Il favino e la favetta sono spesso usati, inoltre, nella composizione <strong>di</strong> erbai<br />

autunno-primaverili per le regioni centro-meri<strong>di</strong>onali, in consociazione con veccia,<br />

avena, orzo e trifoglio alessandrino, destinati al foraggiamento verde o alla costituzione<br />

<strong>di</strong> scorte (fieno o, meno frequentemente, insilato).<br />

Miglioramento genetico<br />

I principali obiettivi del miglioramento genetico della fava sono l’aumento della<br />

produttività (specialmente attraverso la stabilità <strong>di</strong> produzione), la precocità, la<br />

resistenza a certe avversità (freddo, virus), la maturazione contemporanea della granella,<br />

e la qualità della granella. Oggi si <strong>di</strong>spone anche <strong>di</strong> genotipi resistenti alle principali<br />

avversità abiotiche o privi <strong>di</strong> fattori antinutrizionali. Le attuali varietà sono per lo più<br />

varietà derivanti da selezione ricorrente, anche se non mancano varietà sintetiche. Le<br />

varietà iscritte nei Registri Varietali nazionali europei sono numerose, ma quelle italiane<br />

sono relativamente poche e, soprattutto, obsolete. Va comunque rilevato che nei<br />

tra<strong>di</strong>zionali areali <strong>di</strong> coltivazione vengono ancora oggi impiegate popolazioni locali,<br />

nonostante siano evidenti i vantaggi produttivi offerti da molte varietà migliorate.<br />

Avversità e parassiti<br />

Tra le avversità considerate estremamente pericolose per la fava, l’orobanche occupa<br />

senza dubbio un posto <strong>di</strong> rilievo negli ambienti semi-ari<strong>di</strong>. L’orobanche è una temibile<br />

fanerogama parassita, che infigge nelle ra<strong>di</strong>ci della fava i suoi austori con i quali sugge,<br />

attraverso una fusione delle vie xilematiche, la linfa elaborata dalla leguminosa. Le<br />

specie che attaccano la fava sono Orobanche crenata (= O. speciosa), O ramosa e O.<br />

aegyptiaca, <strong>di</strong> cui la prima è la più <strong>di</strong>ffusa e temibile. Il seme <strong>di</strong> orobanche germina<br />

soltanto quando si trova a contatto delle ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> fava, <strong>di</strong>etro lo stimolo <strong>di</strong> sostanze<br />

chimiche presenti negli essudati ra<strong>di</strong>cali. Dopo la fase <strong>di</strong> ‘attacco’ e la fase ‘nodulare’<br />

del parassita, questo passa alla fase ‘adulta’ durante la quale sviluppa rapidamente un<br />

turione che può raggiungere anche il metro <strong>di</strong> altezza, fiorisce e fruttifica (sl. 20/130),<br />

producendo una enorme quantità <strong>di</strong> semi (da 40 mila a 500 mila) <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni<br />

ridottissime (il peso <strong>di</strong> 1000 semi è <strong>di</strong> 0.004 g). I danni del parassita sono causati dalla<br />

123


sua competizione per l’acqua e gli elaborati nei confronti dell’ospite, che può portare<br />

alla morte della pianta colpita. Tra le tecniche agronomiche per il controllo<br />

dell’orobanche, la semina autunnale ritardata in genere determina con<strong>di</strong>zioni sfavorevoli<br />

per la germinazione del parassita (impe<strong>di</strong>ta con temperature inferiori a 8 °C). Tra le<br />

altre tecniche agronomiche vanno ricordate la rotazione <strong>di</strong> almeno cinque anni tra due<br />

colture successive, e la maggiore profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> semina. I principi attivi testati per il<br />

controllo chimico del parassita sono numerosissimi, ma questi sono stati caratterizzati<br />

da esiti spesso contrastanti, oltre che dall’impiego costoso e rischioso per la coltura. È<br />

possibile che esista variabilità genetica per la resistenza all’orobanche, anche in tipi non<br />

coltivati, e a questa mira la selezione.<br />

Tra i parassiti fungini può assumere rilevanza l’antracnosi (Ascochyta fabae), i<br />

cui attacchi più gravi sono quelli sui baccelli, sui quali forma tacche necrotiche e<br />

depresse, nerastre, che si estendono ai semi in formazione. La fava può essere colpita<br />

inoltre dalla botrite (Botrytis fabae), che provoca lesioni circolari <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni<br />

variabili e <strong>di</strong> colore da marrone-rossastro a bruno-scuro sulle foglie, e dalla ruggine<br />

(Uromyces fabae), che si manifesta sulle foglie e sugli steli con la comparsa <strong>di</strong> pustole<br />

rugginose. Per le malattie fungine, l’avvicendamento, la semina con seme sano e la<br />

concia del seme, in attesa <strong>di</strong> varietà resistenti, sono meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> controllo alternativi al<br />

controllo chimico <strong>di</strong> campo, <strong>di</strong> dubbia efficacia e costo più elevato.<br />

Alcuni virus, trasmessi da afi<strong>di</strong>, possono causare importanti infezioni della<br />

coltura: il virus dell’avvizzimento (BBWV), il virus del mosaico (PEMV) e il virus del<br />

mosaico giallo (PYMV). La lotta è necessariamente preventiva, con l’impiego <strong>di</strong><br />

sementi sane e controllando gli insetti vettori.<br />

Tra i parassiti animali sono importanti gli afi<strong>di</strong> (Aphis fabae, A. craccivora,<br />

Acyrthosiphon pisum), che infestano la fava formando colonie che portano le piante a<br />

grave deperimento, oltre a trasmettere alcune virosi, e il tonchio (Bruchus rufimanus)<br />

(sl. 20/133). Gli adulti <strong>di</strong> quest’ultimo depongono le uova sui giovani baccelli,<br />

dopo<strong>di</strong>ché le larve neonate forano i carpelli per raggiungere i semi all’interno dei quali<br />

si sviluppano scavando gallerie. Al termine del ciclo gli adulti sfarfallano dai semi<br />

perforando i tegumenti seminali.<br />

124


LUPINO (Lupinus spp.)<br />

Il lupino è una leguminosa da granella nota e <strong>di</strong>ffusa fin dalla più remota antichità nel<br />

bacino del Me<strong>di</strong>terraneo e nel Me<strong>di</strong>o Oriente per la sua notevole adattabilità agli<br />

ambienti più <strong>di</strong>fficili, aci<strong>di</strong> e magri dove ogni altra leguminosa fallisce, per il suo potere<br />

<strong>di</strong> migliorare la fertilità del terreno e per la sua capacità <strong>di</strong> produrre una granella<br />

ricchissima <strong>di</strong> proteine (fin oltre il 35%) anche se non priva <strong>di</strong> vari inconvenienti. Infatti<br />

i semi <strong>di</strong> lupino contengono alcaloi<strong>di</strong> fortemente amari che devono essere eliminati<br />

me<strong>di</strong>ante prolungato lavaggio perché i semi possano essere adoperati nell’alimentazione<br />

umana (sl. 20/136) o animale.<br />

Nel mondo, la superficie coltivata a lupini supera il milione <strong>di</strong> ettari, <strong>di</strong>slocati in<br />

gran parte in Australia, dove questa coltura è decuplicata <strong>di</strong> superficie dagli anni ‘80 ad<br />

oggi (sl. 20/137). In Italia, la coltura del lupino è crollata a seguito dello spopolamento<br />

delle aree marginali nelle quali la specie aveva trovato inserimento in or<strong>di</strong>namenti<br />

colturali quanto mai poveri. Le regioni italiane dove il lupino ha ancora la maggiore<br />

<strong>di</strong>ffusione sono Calabria, Lazio, Puglia e Campania. Nuove prospettive <strong>di</strong> espansione<br />

potrebbero aprirsi con la selezione <strong>di</strong> varietà a bassissimo contenuto <strong>di</strong> alcaloi<strong>di</strong> (varietà<br />

dolci).<br />

Specie selvatiche del genere Lupinus sono prevalentemente <strong>di</strong>ffuse in nord e sud<br />

America, con una presenza molto più limitata nell’area del Me<strong>di</strong>terraneo. Tuttavia, fino<br />

all’inizio del 1900 solo due specie risultavano parzialmente domesticate, ovvero L.<br />

albus nella regione me<strong>di</strong>terranea e L. mutabilis in Sudamerica.<br />

I lupini completamente domesticati a meta del ‘900 e oggi coltivati in Australia,<br />

Europa, Americhe e Sudafrica appartengono a tre specie: lupino bianco (L. albus),<br />

lupino giallo (L. luteus) e lupino blu o azzurro (L. angustifolius). Le tre specie sono<br />

prevalentemente autogame, con quote <strong>di</strong> alloincrocio, in presenza <strong>di</strong> pronubi, che<br />

variano dal 20-40% in L. luteus, al 5-8% in L. albus, all’1% in L. angustifolius.<br />

In Italia, la sola specie interessante, perché la più adatta al clima e ai terreni<br />

prevalenti, è il lupino bianco, mentre le altre specie sono più favorite dai terreni aci<strong>di</strong> e<br />

dal clima a estate umida e fresca. Qualche prospettiva potrebbe avere L. angustifolius<br />

per i terreni subaci<strong>di</strong> del centro e sud Italia, mentre, una volta completamente<br />

domesticata, potrebbe essere <strong>di</strong> grande interesse la specie L. atlanticus <strong>di</strong>ffusa in<br />

Marocco e dotata, a <strong>di</strong>fferenza delle specie oggi coltivate, <strong>di</strong> una grande tolleranza ai<br />

terreni calcarei fortemente alcalini.<br />

Caratteri botanici<br />

Il lupino bianco è una pianta annuale, eretta, alta fino a 1.5 m, poco ramificata,<br />

pubescente, con ra<strong>di</strong>ce robusta, fittonante, che ospita numerosi tubercoli globosi<br />

prodotti dai rizobi. Le foglie sono alterne, palmato-composte, cioè composte da un<br />

lungo picciolo alla sommità del quale sono inserite 5-9 foglioline intere ovatelanceolate,<br />

glabre sulla pagina superiore, spesso vellutate su quella inferiore.<br />

I fiori sono gran<strong>di</strong>, vistosi, riuniti in racemi sulla parte terminale del fusto e delle<br />

ramificazioni, <strong>di</strong> colore generalmente bianco, ma anche con tonalità azzurre più o meno<br />

scure. Dopo la fecondazione, prevalentemente autogama, si formano i legumi che sono<br />

lunghi, eretti, addossati all’asse del racemo, pubescenti, schiacciati, contenenti numerosi<br />

(3-6) semi. I semi sono gran<strong>di</strong>, bianchi, lenticolari, <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro fino a 15 mm, <strong>di</strong> peso<br />

variabile da 0.3 a 0.9 g per seme. I semi delle altre due specie coltivate sono<br />

generalmente più piccoli.<br />

In tutte e tre le specie sono presenti tipi a sviluppo indeterminato e, più<br />

raramente, tipi a sviluppo determinato. Nei tipi indeterminati, la fioritura inizia sull’asse<br />

125


principale per poi continuare sulle infiorescenze secondarie e terziarie; nei tipi<br />

determinati la fioritura è limitata alla prima infiorescenza (sl. 20/140-141).<br />

Esigenze ambientali<br />

Come si è accennato, nei terreni calcarei il lupino non cresce e, d’altra parte, altre<br />

leguminose da granella <strong>di</strong> buona qualità vi si possono coltivare. L’esigenza <strong>di</strong> aci<strong>di</strong>tà o,<br />

in altre parole, la tolleranza al calcare varia con la specie: il L. albus è il più tollerante<br />

(fino a pH 7.2), il L. luteus è il meno tollerante (pH ottimale tra 4.8 e 6).<br />

Tutti i lupini, nessuno escluso, temono fortemente i ristagni idrici e l’asfissia<br />

ra<strong>di</strong>cale, per cui solo i terreni sciolti e ben drenati si confanno loro. I terreni sub-aci<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

origine vulcanica presenti dal Lazio alla Campania sono particolarmente vocati per il<br />

lupino.<br />

Per quanto riguarda le esigenze climatiche, l’elemento più importante è la<br />

suscettibilità alle gelate, soprattutto nelle fasi più avanzate del ciclo (dopo la fase <strong>di</strong><br />

allungamento <strong>degli</strong> steli). Solo il lupino bianco resiste al freddo, tanto da poter essere<br />

seminato in autunno in Italia centro-meri<strong>di</strong>onale, dove è in grado <strong>di</strong> tollerare anche le<br />

alte temperature e la siccità a cui va incontro nella fase <strong>di</strong> maturazione. I tipi che<br />

permangono allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> rosetta <strong>di</strong> foglie durante l’inverno sono dotati <strong>di</strong> una<br />

maggiore resistenza al freddo (sl. 20/145).<br />

Varietà<br />

Il miglioramento genetico del lupino è iniziato <strong>di</strong>versi decenni fa con l’obiettivo <strong>di</strong><br />

abbassare il contenuto <strong>di</strong> alcaloi<strong>di</strong> dei semi. Varietà straniere ‘dolci’ sono oggi<br />

<strong>di</strong>sponibili sia in lupino bianco che in lupino azzurro. In Italia risulta attualmente<br />

registrata solo la varietà Multitalia <strong>di</strong> lupino bianco, mentre sono ancora coltivati<br />

numerosi ecotipi amari.<br />

Nuovi obiettivi che il miglioramento genetico ha iniziato a perseguire sono la<br />

resistenza alle crittogame, l’indeiscenza dei baccelli, la tolleranza al calcare e la<br />

resistenza al freddo.<br />

Tecnica colturale<br />

Il lupino va considerato come una coltura miglioratrice (sl. 20/149), che si alterna con il<br />

cereale autunnale e che richiede una tecnica non meno curata delle altre <strong>coltivazioni</strong>.<br />

Esso si giova delle lavorazioni profonde (aratura estiva a 40 cm), che riducono i ristagni<br />

idrici a cui la specie è molto sensibile. Essendo molto suscettibile allo sviluppo delle<br />

infestanti nelle prime fasi, può essere utile una doppia lavorazione superficiale, una a<br />

settembre ed una subito prima della semina.<br />

La semina del lupino bianco in Italia viene eseguita in ottobre-novembre nelle<br />

regioni centro-meri<strong>di</strong>onali, a fine inverno in quelle settentrionali (sl. 20/151), a file<br />

<strong>di</strong>stanti 0.25-0.35 m con un numero <strong>di</strong> semi idoneo ad assicurare una densità <strong>di</strong><br />

popolamento <strong>di</strong> 20-30 piante/m 2 (sl. 20/153); con i tipi più comuni necessitano 100-150<br />

kg/ha <strong>di</strong> seme. Con nuove cultivar <strong>di</strong> lupino dolce, <strong>di</strong> statura inferiore a quelle<br />

tra<strong>di</strong>zionali, si può anche aumentare la densità <strong>di</strong> semina. Il lupino riesce a ben<br />

compensare deficienze d’investimento me<strong>di</strong>ante la maggior ramificazione delle piante<br />

esistenti.<br />

La concimazione da adottare or<strong>di</strong>nariamente è quella fosfatica: si può ritenere<br />

che 60-80 kg/ha <strong>di</strong> P2O5 sod<strong>di</strong>sfino largamente le esigenze della coltura. La<br />

concimazione potassica non è certamente necessaria nel caso <strong>di</strong> terreni sub-aci<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

126


origine vulcanica, mentre può essere utile nei terreni silicei, aci<strong>di</strong> per <strong>di</strong>lavamento dei<br />

cationi. L’azoto non è mai necessario, grazie all’attiva azotofissazione simbiontica che<br />

ha luogo nei tubercoli ra<strong>di</strong>cali, abbondanti nel lupino.<br />

Se necessario, il controllo delle malerbe può essere realizzato con il <strong>di</strong>serbo;<br />

Simazina (in pre-emergenza) e Trifluralin (in post-emergenza) danno buoni risultati (sl.<br />

20/154).<br />

Raccolta e utilizzazione<br />

La maturazione avviene in giugno-luglio. Tra<strong>di</strong>zionalmente il lupino era raccolto prima<br />

della piena maturazione, tagliando o estirpando le piante, lasciandole in campo a<br />

completare l’essiccazione e trebbiandole successivamente a parte.<br />

La raccolta con mietitrebbiatrice è ostacolata dalla scalarità con cui i baccelli<br />

maturano, dalla facile deiscenza dei baccelli stessi e dalla possibilità che i semi siano<br />

rotti dagli organi lavoranti della mietitrebbiatrice.<br />

Le produzioni me<strong>di</strong>e che risultano dalle statistiche sono piuttosto basse (1.3<br />

t/ha), ma con un’idonea tecnica <strong>di</strong> coltivazione (semina anticipata, eliminazione dei<br />

ristagni idrici, eventuale irrigazione <strong>di</strong> soccorso durante la fioritura delle infiorescenze<br />

<strong>di</strong> primo or<strong>di</strong>ne o verso la fine della fioritura) produzioni <strong>di</strong> 2.5-3.5 t/ha <strong>di</strong> granella<br />

potrebbero essere realizzabili.<br />

Usi della granella<br />

Il lupino è una delle leguminose più ricche in proteine (dal 35 al 45% in L. albus), per<br />

cui viene utilizzata principalmente per l’alimentazione. I tipi dolci sono destinati<br />

prevalentemente all’alimentazione zootecnica, <strong>di</strong>rettamente o come fonte proteica nella<br />

formulazione <strong>di</strong> mangimi concentrati. I tipi amari vengono invece destinati soprattutto<br />

all’alimentazione umana previa deamarizzazione. C’è anche una <strong>di</strong>screta richiesta dalle<br />

<strong>di</strong>tte sementiere per la commercializzazione come coltura da sovescio. Negli ultimi<br />

tempi, un certo interesse viene mostrato anche dall’industria agro-alimentare che<br />

utilizza le proteine estratte dai semi per aumentare il contenuto proteico <strong>di</strong> prodotti<br />

<strong>di</strong>etetici destinati soprattutto all’alimentazione infantile.<br />

Avversità e parassiti<br />

Avversità crittogamiche che possono recare serio pregiu<strong>di</strong>zio al lupino sono i marciumi<br />

ra<strong>di</strong>cali (Fusarium spp., Rhizoctonia solani, Pythium debaryanum), favoriti dal terreno<br />

asfittico (sl. 20/158-159). Anche <strong>di</strong>versi virus possono attaccare questa specie (sl.<br />

20/160-161).<br />

127


GIRASOLE<br />

La produzione <strong>di</strong> lipi<strong>di</strong>, caratteristica comune a tutte le piante, consente <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare<br />

un certo numero <strong>di</strong> specie nelle quali la concentrazione dei grassi in qualche organo è<br />

così elevata da renderne possibile e conveniente lo sfruttamento.<br />

La gran parte delle riserve lipi<strong>di</strong>che si trova accumulata nei semi o nei frutti, ma<br />

non <strong>di</strong> rado vengono depositate in altri organi, come i tuberi o i fusti. Tale caratteristica<br />

è presente in numerose piante <strong>erbacee</strong> ed arboree delle zone temperate e tropicali,<br />

appartenenti a <strong>di</strong>verse famiglie botaniche.<br />

Circa una quin<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> piante forniscono più del 90% della produzione<br />

mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> oli vegetali. In Europa, le specie oleifere più importanti sono l’olivo, il<br />

girasole, la soia e alcune crucifere. In America settentrionale sono la soia, il cotone e<br />

l’arachide. In America meri<strong>di</strong>onale, il cotone, il sesamo, l’arachide, la palma da cocco,<br />

il girasole e il ricino. In Africa, il cotone, il sesamo, l’arachide e varie palme. In Asia, la<br />

soia, il cotone, il lino, alcune crucifere, l’arachide e varie palme.<br />

Il girasole appartiene al genere Helianthus, <strong>di</strong> cui sono note circa 70 specie <strong>di</strong>ploi<strong>di</strong><br />

(2n=34). Due specie sono economicamente importanti nel genere: il girasole<br />

(Helianthus annuus) e il topinambur (H. tuberosus), entrambe originarie delle regioni<br />

centrali del nord America (tra Messico e Stati Uniti).<br />

La domesticazione del girasole è iniziata circa 3000 anni a.C. e la specie era<br />

largamente coltivata in America prima dell’arrivo <strong>degli</strong> europei. Fu introdotta in Spagna<br />

per la prima volta nel 1510, e inizialmente destò interesse come pianta ornamentale,<br />

officinale (per l’attività cicatrizzante del lattice e le proprietà <strong>di</strong>uretiche dell’infuso) e<br />

antimalarica. Nel 1716, in Inghilterra, si scoprì il suo ruolo <strong>di</strong> pianta oleaginosa, ma la<br />

sua importanza si accrebbe a partire dal 1835, quando in Russia fu costruita la prima<br />

macchina per l’estrazione dell’olio a livello industriale. A partire dal XIX secolo iniziò<br />

la grande <strong>di</strong>ffusione della specie nei paesi dell’est europeo. Oggi il girasole occupa il<br />

secondo posto dopo la soia per la produzione <strong>di</strong> olio nel mondo, ed è coltivato in<br />

America, Eurasia, Africa e Australia.<br />

Le rese variano molto da un ambiente all’altro (es. da 0.57 t/ha dell’In<strong>di</strong>a, a 1.7<br />

dell’Argentina, a 2.5 della Francia); la produzione mon<strong>di</strong>ale è <strong>di</strong> circa 26.8 milioni <strong>di</strong><br />

tonnellate, con una produzione in olio <strong>di</strong> circa 9.5 milioni <strong>di</strong> tonnellate. L’olio prodotto<br />

è <strong>di</strong> ottima qualità sia per il suo valore nutrizionale, che per la sua stabilità e per le sue<br />

caratteristiche fisico-chimiche (sl. 21/11).<br />

La superficie coltivata in Italia è oggi <strong>di</strong> poco superiore a 100 mila ha, in gran<br />

parte localizzata nelle regioni centrali (sl. 21/13). Un’importante quota della superficie<br />

coltivata (poco meno del 10%) è destinata alla produzione <strong>di</strong> olio ‘no food’ per la<br />

preparazione <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>esel.<br />

Caratteristiche botaniche<br />

Il ciclo della pianta è annuale, con notevole sviluppo dei suoi organi vegetativi. La<br />

ra<strong>di</strong>ce è un fittone molto sviluppato (a volte la sua lunghezza supera quella del fusto),<br />

con abbondante capillizio ra<strong>di</strong>cale. La ra<strong>di</strong>ce si accresce più rapidamente della parte<br />

aerea, raggiungendo il massimo sviluppo ad inizio fioritura, con una profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> circa<br />

2 m.<br />

Il fusto è eretto, vigoroso, cilindrico, pieno <strong>di</strong> midollo, con un’altezza variabile<br />

da 60 a 220 cm, e un <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 2-5 cm, ineguale nei <strong>di</strong>versi tratti. A maturità, il fusto<br />

tende a piegarsi al <strong>di</strong> sotto della calatide. I fusti più forti sono quelli dotati <strong>di</strong> interno<strong>di</strong><br />

corti e piccioli fogliari lunghi. Nelle forme migliorate il fusto è privo <strong>di</strong> ramificazioni,<br />

128


le quali costituiscono un carattere negativo dato che le calati<strong>di</strong> secondarie maturano più<br />

tar<strong>di</strong> e producono semi più piccoli.<br />

Le foglie sono alterne, gran<strong>di</strong>, ovate, acute o acuminate, con margine dentato,<br />

pubescenti in entrambe le pagine. Il numero <strong>di</strong> foglie per pianta varia da 12 a 40, con<br />

3000-6000 cm 2 <strong>di</strong> superficie totale. Il picciolo ha un’elevata elasticità che impe<strong>di</strong>sce<br />

alla foglia <strong>di</strong> essere danneggiata dal vento nonostante la grande superficie esposta.<br />

L’infiorescenza (calatide) è un capolino con numerosi fiori (1000-1500 ma<br />

anche fino a 3000) su <strong>di</strong> un ricettacolo <strong>di</strong>scoidale <strong>di</strong> 10-40 cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro (sl. 21/17).<br />

In fase <strong>di</strong> antesi, la calatide effettua dei movimenti <strong>di</strong> rotazione per i quali la superficie<br />

<strong>di</strong>scoidale forma costantemente un angolo retto con la <strong>di</strong>rezione dei raggi del sole<br />

(eliotropismo).<br />

Esistono due tipi <strong>di</strong> fiori, quelli ligulati, asessuati o raramente femminili, sterili,<br />

<strong>di</strong> colore giallo-dorato, riuniti in 1-2 file in quella che è impropriamente definita<br />

‘corolla’, e quelli tubulari, ermafro<strong>di</strong>ti, <strong>di</strong>sposti ad archi spiralati che irra<strong>di</strong>ano dal<br />

centro del <strong>di</strong>sco (sl. 21/15-16).<br />

Il frutto è un achenio (detto impropriamente seme), compresso, con pericarpo<br />

duro e fibroso, <strong>di</strong> colore dal bianco al nero, con nervature bianche o grigie, largo 3.5-9<br />

mm e lungo 7.5-17 mm (sl. 21/18). Il peso <strong>di</strong> 1000 semi è <strong>di</strong> 60 g circa.<br />

Nel ciclo della pianta, <strong>di</strong> durata variabile da 110 a 150 giorni, si <strong>di</strong>stinguono<br />

<strong>di</strong>verse fasi, ognuna delle quali caratterizzata da sotto-fasi (sl. 21/20-23).<br />

Germinazione ed emergenza: varia dai 5 ai 7 giorni, in funzione della<br />

temperatura del suolo, della profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> semina e dell’umi<strong>di</strong>tà. Le varietà precoci<br />

emergono più rapidamente <strong>di</strong> quelle tar<strong>di</strong>ve.<br />

Formazione delle foglie: la durata <strong>di</strong> questa fase ed il numero <strong>di</strong> foglie formate<br />

variano in relazione alla varietà, alla luminosità, alla temperatura, alle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

nutrizione e all’umi<strong>di</strong>tà presente nel terreno. La pianta può <strong>di</strong>fferenziare sino a 10-15<br />

coppie <strong>di</strong> foglie.<br />

<strong>Di</strong>fferenziazione dei primor<strong>di</strong> del ricettacolo (apice vegetativo): la formazione <strong>di</strong><br />

un ricettacolo grande con elevato numero <strong>di</strong> fiori è con<strong>di</strong>zionata dalla crescita vigorosa<br />

delle piante nella fase precedente. La fase termina 5-7 giorni prima che il bottone fiorale<br />

sia visibile.<br />

Fioritura: in questa fase l’altezza della pianta è ormai definita; rallenta<br />

l’accumulo <strong>di</strong> sostanza secca, che inizia a migrare verso la calatide.<br />

Formazione e riempimento del seme: la durata <strong>di</strong>pende dalla temperatura<br />

dell’aria e dall’umi<strong>di</strong>tà del terreno.<br />

Maturazione: dura 30-40 giorni in funzione delle con<strong>di</strong>zioni climatiche. Inizia<br />

con la caduta dei fiori ligulati, quando il dorso della calatide è ancora verde, e termina<br />

quando tutti gli organi della pianta sono <strong>di</strong> colore bruno-scuro e l’umi<strong>di</strong>tà <strong>degli</strong> acheni è<br />

vicina al 10%. La raccolta avviene solitamente tra la fine <strong>di</strong> agosto e l’inizio <strong>di</strong><br />

settembre.<br />

Esigenze ambientali<br />

Temperatura<br />

Le temperature ottimali sono <strong>di</strong> circa 15 °C per la germinazione, 18 °C nelle prime fasi<br />

<strong>di</strong> sviluppo e 20 °C per la fioritura-maturazione; lo zero <strong>di</strong> vegetazione è pari a 5 °C. La<br />

semina può anticipare, sia pure <strong>di</strong> poco, quella del mais. Come plantula il girasole è in<br />

grado <strong>di</strong> resistere anche a temperature <strong>di</strong> –5° C; ritorni <strong>di</strong> freddo durante la crescita<br />

attiva causano la ramificazione del fusto. Temperature sub-ottimali durante la fioritura<br />

129


causano la sterilità più o meno accentuata della calatide. Temperature elevate durante la<br />

maturazione aumentano il contenuto <strong>di</strong> acido oleico dell’olio, mentre temperature più<br />

basse favoriscono l’accumulo <strong>di</strong> acido linoleico.<br />

Umi<strong>di</strong>tà<br />

I consumi idrici unitari me<strong>di</strong> sono <strong>di</strong> circa 425 l/kg <strong>di</strong> sostanza secca prodotta (WUE =<br />

2.35 g s.s/l H2O, me<strong>di</strong>amente inferiore a quella del mais). Con una produzione <strong>di</strong> 9 t/ha<br />

<strong>di</strong> sostanza secca (<strong>di</strong> cui circa 2.5 t/ha <strong>di</strong> seme), il consumo stimato è <strong>di</strong> oltre 3800<br />

m 3 /ha.<br />

Il periodo critico per l’approvvigionamento idrico è quello che va dalla fase <strong>di</strong><br />

crescita attiva a quella dell’ingrossamento <strong>degli</strong> acheni, ed in particolare durante la<br />

fioritura. La pianta ha una grande capacità <strong>di</strong> attingere acqua anche in profon<strong>di</strong>tà, grazie<br />

all’ampio apparato ra<strong>di</strong>cale. Tuttavia, il girasole è una pianta con alta attività stomatica<br />

ed elevata traspirazione e, conseguentemente, più aumenta la temperatura, maggiore è il<br />

consumo <strong>di</strong> acqua. Alcune cultivar hanno la capacità <strong>di</strong> chiudere gli stomi alle alte<br />

temperature, <strong>di</strong>minuendo così la traspirazione e i consumi idrici.<br />

Luce<br />

Il girasole è un specie neutro<strong>di</strong>urna, anche se si possono trovare tipi a giorno lungo o a<br />

giorno breve. Manifesta comunque una particolare sensibilità all’intensità luminosa,<br />

soprattutto nella fase <strong>di</strong> formazione del polline. Le foglie me<strong>di</strong>ane sono quelle che<br />

hanno la più alta capacità fotosintetica e da questo deriva l’importanza <strong>di</strong> un giusto<br />

investimento, per evitare che l’ombreggiamento causi una riduzione della resa in acheni<br />

e del contenuto in olio. Il girasole è una pianta C3 con elevata attività fotosintetica, a cui<br />

però non fa riscontro altrettanta efficienza <strong>di</strong> trasformazione. È necessario un LAI<br />

adeguato (2.5-3) per intercettare ed utilizzare sufficientemente la luce.<br />

Terreno<br />

In fatto <strong>di</strong> terreno, le esigenze non sono eccessive, purché esso sia dotato <strong>di</strong> alta capacità<br />

<strong>di</strong> ritenzione idrica. Poco adatti sono i terreni molto sabbiosi e quelli troppo pesanti;<br />

pre<strong>di</strong>lige i terreni sub-aci<strong>di</strong>, anche se non ha particolari esigenze in fatto <strong>di</strong> reazione, e<br />

tollera moderatamente la salinità.<br />

Tecnica colturale<br />

Il girasole è una tipica coltura da rinnovo; l’entità e la composizione dei residui lasciati<br />

(50 kg/ha <strong>di</strong> azoto, 25 <strong>di</strong> fosforo e 220 <strong>di</strong> potassio) sono ottimi apporti per la coltura che<br />

segue. Inoltre, rispetto ad altre colture a semina primaverile, permette <strong>di</strong> liberare il<br />

terreno relativamente presto e <strong>di</strong> prepararlo con maggiore cura per la coltura successiva.<br />

Fino ad alcuni decenni fa, il girasole era largamente coltivato in monosuccessione; in<br />

seguito si <strong>di</strong>ffuse la rotazione biennale girasole-frumento. Oggi si tende a sostituire<br />

questa classica rotazione con avvicendamenti più lunghi (es. girasole-frumento-orzo o<br />

girasole-frumento-sorgo-frumento), in cui il girasole ritorna meno frequentemente sullo<br />

stesso appezzamento, per evitare la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> parassiti come sclerotinia o<br />

macrofomina (sl. 21/29). Bisogna anche evitare colture avvicendate che abbiano dei<br />

parassiti comuni: come già in<strong>di</strong>cato, soia, colza e girasole sono sensibili ad attacchi <strong>di</strong><br />

sclerotinia, e quin<strong>di</strong> nell’avvicendamento devono <strong>di</strong>stare tra loro almeno due anni,<br />

intercalando se possibile un cereale.<br />

130


Le lavorazioni del terreno <strong>di</strong>pendono dalle caratteristiche dell’ambiente <strong>di</strong><br />

coltivazione, ma è importante una buona preparazione che renda possibile ottenere un<br />

buon letto <strong>di</strong> semina. Un terreno ben preparato deve consentire nascite uniformi e rapide<br />

e favorire il ra<strong>di</strong>camento profondo della pianta, che troverà negli strati meno superficiali<br />

le maggiori riserve idriche. In genere, è opportuna un’aratura profonda (50-60 cm), <strong>di</strong><br />

solito eseguita in estate, o una lavorazione a due strati. Il terreno dovrà essere ben<br />

amminutato nei primi 6-8 cm.<br />

Le esigenze termiche non troppo elevate per la germinazione consentono <strong>di</strong><br />

effettuare semine abbastanza precoci. L’epoca <strong>di</strong> semina dovrà opportunamente<br />

conciliare l’esigenza <strong>di</strong> concludere prima possibile il ciclo ed evitare gli effetti negativi<br />

della carenza idrica in fase <strong>di</strong> maturazione con l’esigenza <strong>di</strong> evitare le basse temperature<br />

nelle fasi sensibili della coltura. La semina viene effettuata da metà febbraio alla fine <strong>di</strong><br />

marzo al Centro (sl. 21/32), da inizio marzo alla prima metà <strong>di</strong> aprile al Nord, e da<br />

inizio febbraio a non oltre la metà <strong>di</strong> marzo al Sud.<br />

La semina viene fatta a file <strong>di</strong>stanti 70-75 cm (a <strong>di</strong>stanza minore, circa 45 cm,<br />

con ibri<strong>di</strong> a taglia bassa), con seminatrice <strong>di</strong> precisione, curando la <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> semina in<br />

modo da avere, senza <strong>di</strong>radamento, 5-6 piante/m 2 al Centro (sl. 21/33), 5 al Sud, e 6-7 al<br />

Nord. La <strong>di</strong>stanza sulla fila sarà <strong>di</strong> 18-20 cm per la semina con file <strong>di</strong>stanti 75 cm, e <strong>di</strong><br />

30-32 cm con file <strong>di</strong>stanti 45 cm. La quantità <strong>di</strong> seme per ettaro è <strong>di</strong> 5-6 kg (la quantità<br />

va aumentata del 10% per eventuali semine su sodo). Il seme <strong>di</strong> girasole viene<br />

normalmente venduto in dosi da 70000 o 75000 semi (pari a 4-6 kg), normalmente<br />

calibrate e conciate. La profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> semina è <strong>di</strong> 3-4 cm.<br />

Varietà<br />

Le varietà <strong>di</strong> girasole oggi maggiormente impiegate sono <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong>, che vengono<br />

sud<strong>di</strong>visi, in funzione della durata del ciclo biologico, in precoci, me<strong>di</strong> e tar<strong>di</strong>vi. Tra gli<br />

ibri<strong>di</strong> <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a precocità (che sono i più <strong>di</strong>ffusi) vengono ulteriormente <strong>di</strong>stinti quelli<br />

me<strong>di</strong>o-precoci e quelli me<strong>di</strong>o-tar<strong>di</strong>vi. La durata me<strong>di</strong>a del periodo emergenza-fioritura<br />

può variare dai 59 giorni <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> precoci ai 70 giorni <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> tar<strong>di</strong>vi (sl. 21/34).<br />

L’ideotipo per l’Italia centro-settentrionale deve avere ciclo me<strong>di</strong>o, taglia me<strong>di</strong>a,<br />

resistenza all’allettamento, tolleranza alle malattie, un elevato tenore in olio (50%), una<br />

composizione in aci<strong>di</strong> grassi secondo le esigenze del mercato ed un facile sgusciamento<br />

del seme. Per quanto riguarda la composizione in aci<strong>di</strong> grassi dell’olio, sono <strong>di</strong>sponibili<br />

varietà ad alto contenuto <strong>di</strong> acido linoleico o <strong>di</strong> acido oleico.<br />

Concimazione<br />

Per una produzione <strong>di</strong> 3.5 t/ha <strong>di</strong> acheni i fabbisogni nutritivi sono <strong>di</strong> 160 kg/ha <strong>di</strong> N, 60<br />

kg/ha <strong>di</strong> P2O5 e 400 kg/ha <strong>di</strong> K2O. Una buona parte dei tre elementi viene comunque<br />

restituita al terreno con i residui colturali, rendendo necessario un reintegro <strong>di</strong> moderata<br />

entità con la concimazione.<br />

Le dosi <strong>di</strong> concimazione sono <strong>di</strong> 80-100 kg/ha <strong>di</strong> N in copertura (possibilmente<br />

alla sarchiatura) o, in alternativa 100 kg/ha alla semina; 50 kg/ha <strong>di</strong> P2O5 localizzati alla<br />

semina o, in alternativa, 70 kg/ha <strong>di</strong>stribuiti in pieno campo e in pre-semina; 60 kg/ha <strong>di</strong><br />

K2O alla lavorazione del terreno, solo in terreni carenti <strong>di</strong> potassio.<br />

Irrigazione<br />

Lo stu<strong>di</strong>o delle esigenze idriche del girasole ha permesso <strong>di</strong> definire in modo abbastanza<br />

esatto il consumo in acqua della pianta e i perio<strong>di</strong> critici della <strong>di</strong>sponibilità idrica. Le<br />

131


necessità idriche della coltura sono <strong>di</strong> 2000 m 3 /ha nell’Italia centrale, <strong>di</strong> 3500 m 3 /ha<br />

nell’Italia meri<strong>di</strong>onale e <strong>di</strong> 4200 m 3 /ha nelle isole. L’acqua deve essere <strong>di</strong>sponibile per<br />

circa il 40% dall’emergenza alla fioritura per ottenere un buon LAI, circa il 15-20%<br />

durante la fioritura, e circa il 40-45% dopo la fioritura per mantenere più a lungo<br />

l’attività fogliare.<br />

Per sod<strong>di</strong>sfare tali esigenze, la pianta stessa è però in grado <strong>di</strong> utilizzare le<br />

<strong>di</strong>sponibilità del suolo: se la lavorazione del terreno è stata sod<strong>di</strong>sfacente, la rapi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong><br />

sviluppo dell’apparato ra<strong>di</strong>cale e la forte capacità <strong>di</strong> esplorazione delle ra<strong>di</strong>ci<br />

permettono un adeguato sfruttamento delle riserve che si sono accumulate. Il girasole è<br />

quin<strong>di</strong> una pianta adatta alla coltura asciutta nei terreni dotati <strong>di</strong> una buona capacità<br />

idrica e lavorati profondamente nelle regioni centrali, dove la piovosità estiva è<br />

irregolare ma ha una certa consistenza. Nell’Italia centrale, per <strong>coltivazioni</strong> non<br />

intercalari, la pratica dell’irrigazione dovrebbe costituire soltanto un’eccezione. Nelle<br />

regioni meri<strong>di</strong>onali, più aride, può essere necessario il sussi<strong>di</strong>o dell’irrigazione. Come<br />

coltura intercalare, il girasole richiede sempre l’irrigazione.<br />

Controllo delle infestanti<br />

La precoce competizione delle infestanti (nelle prime quattro settimane <strong>di</strong> vegetazione,<br />

tra l’emergenza e lo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 6-8 foglie) può determinare riduzioni <strong>di</strong> resa del 65-70%.<br />

Per questo motivo, il <strong>di</strong>serbo in pre-emergenza è la garanzia per ottenere elevate<br />

produzioni.<br />

Le principali infestanti sono comuni specie <strong>di</strong> <strong>di</strong>cotiledoni (Chenopo<strong>di</strong>um<br />

album, Sinapis arvensis, Anagallis arvensis, Polygonum sp., Solanum nigrum, Abutilon<br />

theophrasti, Ammi majus) o monocotiledoni (Echinocloa crus-galli, Setaria spp.,<br />

<strong>Di</strong>gitaria spp.). Le monocotiledoni tendono a <strong>di</strong>venire dominanti con semine tar<strong>di</strong>ve.<br />

Il controllo delle infestanti deve essere integrato, facendo ricorso a rotazioni,<br />

adeguate lavorazioni del terreno, opportune epoche <strong>di</strong> semina, equilibrate concimazioni<br />

(soprattutto in termini <strong>di</strong> azoto) e lotta chimica. Ad oggi non sono <strong>di</strong>sponibili prodotti<br />

<strong>di</strong>cotiledonici<strong>di</strong> selettivi e a largo spettro <strong>di</strong> azione utilizzabili in post-emergenza. I<br />

trattamenti devono essere eseguiti in pre-semina e devono essere integrati dalla<br />

sarchiatura tra le file. Anche la rincalzatura può aiutare a contenere le infestanti sulla<br />

fila.<br />

Nella coltura che segue il girasole nella rotazione, il girasole stesso può<br />

comportarsi da infestante, a causa della rinascita <strong>di</strong> piante da semi non raccolti. Il<br />

controllo delle rinascite è quin<strong>di</strong> un’importante operazione colturale. La riduzione delle<br />

per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> seme alla raccolta è, ovviamente, la prima pratica da adottare per evitare la<br />

rinascita. Successivamente si può operare me<strong>di</strong>ante lavorazioni precoci che consentano<br />

una rapida germinazione del seme caduto e l’eliminazione delle plantule con interventi<br />

meccanici eseguiti prima della semina della coltura che segue. Per favorire la<br />

germinazione si può eseguire una minima lavorazione subito dopo la raccolta. Per un<br />

controllo più efficace delle rinascite, è bene far seguire al girasole in primavera il mais o<br />

il sorgo, invece <strong>di</strong> un cereale vernino. In caso <strong>di</strong> insuccesso con il controllo meccanico<br />

delle rinascite, può essere condotto un controllo chimico sulla coltura successiva,<br />

adottando specifici principi attivi e modalità <strong>di</strong> intervento a seconda della coltura stessa.<br />

Raccolta<br />

La coltura è pronta per la raccolta quando gli acheni si staccano facilmente dalla<br />

calatide, 15-20 giorni dopo la maturazione fisiologica. La trebbiatura deve iniziare<br />

quando il dorso della calatide è <strong>di</strong> colore bruno e l’umi<strong>di</strong>tà <strong>degli</strong> acheni è del 9-10%.<br />

132


Per la raccolta si può usare una mietitrebbia da frumento adattata con una testata per<br />

girasole dotata <strong>di</strong> convogliatori a pettine per ridurre le per<strong>di</strong>te.<br />

Malattie fungine<br />

La più <strong>di</strong>ffusa malattia è il marciume carbonioso dello stelo, provocato da Sclerotium<br />

bataticola, la cui forma perfetta è Macrophomina phaseolina. Questo è un fungo<br />

polifago, ubiquitario, che può parassitizzare anche altre specie (sorgo, mais, soia). Ad<br />

oggi non esistono varietà resistenti a tale patogeno. L’incidenza della malattia è<br />

maggiore in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> stress idrico, quando la pianta è più debole. Esso attacca le<br />

ra<strong>di</strong>ci ed il fusto, provocando la morte della pianta.<br />

In ambienti piovosi si possono avere anche attacchi <strong>di</strong> Sclerotinia sclerotiorum,<br />

l’agente del marciume del fusto e della calatide. Per prevenire questa muffa, bisogna<br />

evitare eccessive concimazioni azotate e le irrigazioni nel corso della fioritura.<br />

Molto <strong>di</strong>ffusa è anche la peronospora (Plasmopara halste<strong>di</strong>i f. sp. helianthi), che<br />

si manifesta in tutti gli sta<strong>di</strong> vegetativi, provocando danni più gravi con gli attacchi<br />

precoci. La sintomatologia comprende il nanismo e le clorosi fogliari. Per questa<br />

malattia esistono varietà resistenti.<br />

La muffa grigia (Botrytis cinerea) può manifestarsi in tutti gli sta<strong>di</strong> vegetativi, e<br />

provocare gravi danni quando attacca la calatide, con marcescenze, sfaldamento e<br />

caduta.<br />

Per <strong>di</strong>fendersi dalle malattie fungine non esistono mezzi <strong>di</strong> lotta <strong>di</strong>retti e pertanto<br />

è molto importante effettuare una adeguata rotazione della coltura.<br />

Parassiti animali<br />

Gli insetti non si <strong>di</strong>mostrano particolarmente dannosi per il girasole; quelli <strong>di</strong> una certa<br />

importanza sono gli elateri<strong>di</strong> (Agriotes spp.), gli agroti<strong>di</strong> (Agrotis spp.) e i collemboli<br />

(Sminthurus viri<strong>di</strong>s) nelle fasi iniziali del ciclo colturale, e il lepidottero geometride<br />

Gymnoscelis pupilata durante il periodo fioritura-maturazione. Per gli insetti terricoli, è<br />

necessario eseguire il monitoraggio della loro presenza, ed eventualmente eseguire un<br />

intervento <strong>di</strong> <strong>di</strong>sinfezione del terreno in pre-semina. Nel caso <strong>di</strong> attacchi<br />

economicamente rilevanti <strong>di</strong> piralide del girasole (Homeosoma nebulella), si possono<br />

eseguire dei trattamenti con Methiocarb o Thio<strong>di</strong>carb (4-5 kg/ha), ma va sottolineato<br />

che si tratta <strong>di</strong> prodotti molto tossici per l’entomofauna domestica.<br />

Gli uccelli possono provocare <strong>di</strong>screti danni alla coltura, specialmente durante la<br />

fase <strong>di</strong> maturazione.<br />

Caratteristiche del prodotto<br />

Il seme <strong>di</strong> girasole contiene in me<strong>di</strong>a circa il 48% <strong>di</strong> olio, il 18% <strong>di</strong> proteina (con uno<br />

scarso contenuto in lisina e un alto contenuto <strong>di</strong> amminoaci<strong>di</strong> solforati), il 20% <strong>di</strong> fibra,<br />

il 9% <strong>di</strong> acqua e il 2-3% <strong>di</strong> ceneri. La percentuale <strong>di</strong> ‘mandorla’ sull’achenio è del 70-<br />

80%, e il contenuto in olio della sola mandorla è <strong>di</strong> circa il 58-60% (nel guscio il<br />

contenuto è del 2-3%). L’olio è ricco <strong>di</strong> aci<strong>di</strong> grassi polinsaturi (85-91%) – in gran<br />

parte costituiti da acido oleico e acido linoleico (che gli conferisce un’alta<br />

conservabilità) – ed è usato come olio da tavola o da cucina e nella produzione <strong>di</strong><br />

margarine. L’olio <strong>di</strong> girasole ha inoltre un alto contenuto <strong>di</strong> α-tocoferolo (vitamina E).<br />

Dalla lavorazione <strong>di</strong> una tonnellata <strong>di</strong> semi, dopo l’estrazione dell’olio, si<br />

ottengono circa 400 kg <strong>di</strong> farina <strong>di</strong> estrazione o <strong>di</strong> panelli, utilizzati come alimento<br />

133


zootecnico ricco <strong>di</strong> proteine (30% circa, ma con seme decorticato il contenuto proteico<br />

può raggiungere anche il 40%).<br />

Oltre che per l’industria agro-alimentare, l’olio <strong>di</strong> girasole può essere impiegato<br />

anche per la produzione <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>esel. La sostituzione dei prodotti <strong>di</strong> derivazione<br />

petrolifera con quelli da risorse rinnovabili è particolarmente promettente per le<br />

sostanze grasse d’origine vegetale, sia da un punto <strong>di</strong> vista ambientale che tecnico. Gli<br />

oli vegetali presentano uno straor<strong>di</strong>nario vantaggio ambientale essendo biodegradabili,<br />

avendo bassa ecotossicità in generale e una bassa tossicità verso l’uomo, poiché<br />

derivano da risorse rinnovabili e non contribuiscono all’emissione <strong>di</strong> composti organici<br />

volatili. Gli oli vegetali possono essere impiegati in una vasta gamma <strong>di</strong> applicazioni<br />

industriali nei settori dei lubrificanti, surfattanti, emulsionanti, plastiche e resine.<br />

Da una tonnellata <strong>di</strong> semi <strong>di</strong> girasole, con contenuto del 50% <strong>di</strong> olio, si<br />

ottengono circa 350 litri <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>esel. Il girasole presenta i gran<strong>di</strong> vantaggi <strong>di</strong> avere dei<br />

costi <strong>di</strong> produzione piuttosto contenuti ed una tecnica colturale ormai collaudata nelle<br />

zone vocate per questa specie. La sostenibilità economica ed ambientale del girasole<br />

<strong>di</strong>pendono dalla sua adattabilità ad un sistema <strong>di</strong> coltivazione a ridotto input, anche nel<br />

caso <strong>di</strong> aree soggette a deficit idrico. Per la produzione <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>esel sono richieste<br />

varietà che presentino, oltre ad uno specifico adattamento agli ambienti <strong>di</strong> produzione,<br />

un alto contenuto in acido oleico. Il girasole ‘alto oleico’, il cui olio può contenere fino<br />

al 90% in acido oleico, risulta particolarmente interessante anche per la produzione <strong>di</strong><br />

biolubrificanti, grazie alle proprietà ingrassanti e all’elevata resistenza all’ossidazione<br />

che esso presenta (sl. 21/53).<br />

Miglioramento genetico<br />

Il miglioramento genetico del girasole si basa ormai pressoché esclusivamente<br />

sull’ottenimento <strong>di</strong> varietà ibride. L’ibridazione, che nel caso del mais è facilmente<br />

realizzabile per via meccanica per la particolare conformazione <strong>degli</strong> organi fiorali, nel<br />

girasole può essere ottenuta solo facendo ricorso alla maschiosterilità. Inizialmente ciò<br />

fu reso possibile dalla scoperta <strong>di</strong> un carattere genetico semplice che produce la<br />

maschiosterilità e che è associato ad un gene marcatore che rende le piante<br />

maschiosterili <strong>di</strong>stinguibili dalle piante maschiofertili grazie al <strong>di</strong>verso colore delle<br />

plantule (pigmentate <strong>di</strong> rosso le maschiofertili, ver<strong>di</strong> le maschiosterili). Ciò comportava<br />

però la necessità <strong>di</strong> un costoso <strong>di</strong>radamento manuale delle piante pigmentate dopo la<br />

fecondazione per l’ottenimento dell’ibrido. Oggi si ricorre quin<strong>di</strong> alla maschiosterilità<br />

citoplasmatica che non richiede nessun <strong>di</strong>radamento delle linee portaseme. La<br />

maschiosterilità citoplasmatica fu sviluppata da un incrocio tra H. annuus e H.<br />

petiolaris. Le linee maschiosterili <strong>di</strong> questo tipo, definito PET1, sono le sole utilizzate<br />

nel miglioramento genetico del girasole, in quanto hanno una stabile espressione del<br />

carattere e la restorazione della maschiofertilità è conferita da un solo gene dominante<br />

(Rf1) facilmente introgre<strong>di</strong>bile nella linea impollinante. La restorazione della fertilità è<br />

necessaria nelle specie, come il girasole, in cui l’ibrido F1 deve produrre seme: senza <strong>di</strong><br />

essa, infatti, l’ibrido non produrrebbe alcun seme, poiché il citoplasma dell’ibrido<br />

stesso, derivante da quello della linea materna maschiosterile, conferirebbe a sua volta<br />

sterilità. La fertilità dell’ibrido viene allora restorata grazie al gene nucleare restoratore<br />

apportato dalla linea impollinante.<br />

I caratteri oggetto <strong>di</strong> maggiore attenzione nella selezione <strong>degli</strong> ibri<strong>di</strong> <strong>di</strong> girasole<br />

sono l’elevata produzione <strong>di</strong> acheni, l’elevata resa in olio, le caratteristiche qualitative<br />

ottimali per le <strong>di</strong>verse destinazioni d’uso (es. elevato contenuto in acido linoleico o in<br />

acido oleico), la resistenza all’allettamento (me<strong>di</strong>ante un raccorciamento <strong>degli</strong> interno<strong>di</strong><br />

e una <strong>di</strong>minuzione della taglia), il portamento eretto delle foglie per massimizzare il<br />

134


LAI e, quin<strong>di</strong>, l’intercettazione della luce aumentando la densità <strong>di</strong> piante, e la<br />

resistenza alle principali avversità.<br />

135


PATATA<br />

La patata (Solanum tuberosum) è una specie tetraploide (2n=4x=48) originaria delle<br />

regioni montuose dell’America meri<strong>di</strong>onale. Introdotta in Europa come curiosità<br />

botanica nella seconda metà del 1500, si <strong>di</strong>ffuse in coltivazione solo nella seconda metà<br />

del ‘700, soprattutto nell’Europa centro-settentrionale, <strong>di</strong>venendo un fondamentale<br />

alimento per le popolazioni <strong>di</strong> quelle regioni. La coltivazione in Italia è iniziata ai primi<br />

dell’Ottocento, anche se la sua vera <strong>di</strong>ffusione è stata successiva (fine del XIX secolo).<br />

Oggi la patata è coltivata su oltre 18 milioni <strong>di</strong> ettari nel mondo, <strong>di</strong> cui la gran parte in<br />

Cina, In<strong>di</strong>a ed Europa (in particolare Russia, Polonia e Germania) (sl. 22/4-7), dove in<br />

alcuni paesi si raggiungono rese unitarie che sono tra le più elevate, e dove rappresenta,<br />

per molte popolazioni, l’alimento base che sostituisce il pane. In Italia, la coltura copre<br />

poco più <strong>di</strong> 62000 ha, tipicamente in aree <strong>di</strong> collina e montagna, anche se non mancano<br />

importanti realtà pataticole <strong>di</strong> pianura (ad esempio, la pianura bolognese) (sl. 22/10).<br />

Due sono i tipi <strong>di</strong> pataticoltura largamente praticati in Italia (sl. 22/9): la coltura<br />

primaticcia, su circa 18 mila ha localizzati soprattutto in Campania, Puglia e Sicilia (sl.<br />

22/11-12), avente la caratteristica <strong>di</strong> fornire un prodotto fuori stagione e, quin<strong>di</strong>, con un<br />

valore economico molto alto, e la coltura normale, su circa 44 mila ha. L’Italia è allo<br />

stesso tempo esportatrice (<strong>di</strong> prodotto precoce) e importatrice (<strong>di</strong> prodotto comune e <strong>di</strong><br />

tuberi da semina).<br />

Oltre che per il consumo alimentare <strong>di</strong>retto, la coltivazione della patata interessa<br />

l’industria alimentare per la produzione <strong>di</strong> fecola, amido, destrine o glucosio. Trova<br />

inoltre impiego per la <strong>di</strong>stillazione e nell’alimentazione zootecnica. Il mercato richiede<br />

anche prodotti adatti al confezionamento (compresa la surgelazione) e alla produzione<br />

<strong>di</strong> patatine fritte (chips) (sl. 22/13).<br />

Caratteri botanici<br />

La patata è una pianta erbacea annuale con steli originati da un tubero sotterraneo,<br />

robusti, eretti, alti da 30 cm a 1 m, lievemente pubescenti (sl. 22/17). Le foglie sono<br />

composte da 5 a 9 foglioline <strong>di</strong> varia <strong>di</strong>mensione e colore (da verde chiaro a verde<br />

intenso) (sl. 22/18). L’infiorescenza è a corimbo, con fiori ermafro<strong>di</strong>ti, campanulati (sl.<br />

22/19). Alcune varietà <strong>di</strong> patata, in<strong>di</strong>pendentemente dall’ambiente, non fioriscono, altre<br />

invece giungono ad emettere i bocci fiorali, che però cadono prima della fioritura,<br />

mentre altre, infine, fioriscono regolarmente e portano a maturazione i frutti, che sono<br />

delle bacche più o meno tondeggianti, <strong>di</strong> colore dal verde-bruno al giallastro (sl. 22/20),<br />

contenenti da 150 a 300 semi reniformi, appiattiti.<br />

La parte ipogea della patata è costituita dalle ra<strong>di</strong>ci fascicolate piuttosto<br />

superficiali, dotate <strong>di</strong> numerose <strong>di</strong>ramazioni capillari, e da stoloni che all’estremità si<br />

ingrossano fino a formare un tubero (sl. 22/22). Il tubero, che costituisce il prodotto<br />

utile della patata, è uno stelo mo<strong>di</strong>ficato per l’accumulo <strong>di</strong> amido e che porta delle<br />

branche laterali <strong>di</strong>sposte a spirale costituenti i cosiddetti occhi. Ogni occhio è costituito<br />

da un asse raccorciatissimo che porta tre o più gemme protette da squame (sl. 22/23). La<br />

‘buccia’ della patata (periderma) è costituita da uno strato <strong>di</strong> cellule suberificate che<br />

presenta delle aperture dette lenticelle. I tuberi esposti alla luce si inver<strong>di</strong>scono per la<br />

formazione <strong>di</strong> clorofilla e, al contempo, si arricchiscono <strong>di</strong> solanina, che è un alcaloide<br />

amaro e, in certe dosi, tossico (sl. 22/25). La solanina si forma nella ‘buccia’ del tubero<br />

ed è eliminata in gran parte con la sbucciatura. Il colore esterno dei tuberi varia dal<br />

giallognolo fino al violetto o al rossastro a seconda delle varietà (sl. 22/26). <strong>Ve</strong>ngono<br />

<strong>di</strong>stinte la patate a polpa bianca e quelle a polpa gialla (sl. 22/27), anche se non<br />

136


mancano tipi con venature rosa, rosse o violette. La forma del tubero è rotondeggiante,<br />

oblunga o clavata a seconda della varietà e della natura del terreno (sl. 22/28).<br />

Per le piante che hanno avuto origine per via agamica, il ciclo germinazionematurazione<br />

dura normalmente 100-150 giorni, mentre le piante che derivano da seme<br />

hanno un ciclo notevolmente più lungo (180-200 giorni). Per questo, per le seconde, si<br />

rende necessario un preliminare allevamento in serra. La riproduzione gamica è<br />

comunque usata nella patata praticamente solo come mezzo <strong>di</strong> miglioramento varietale.<br />

Sono infatti rari i casi in cui avviene la coltivazione commerciale della patata a partire<br />

da seme ‘vero’ e non da tuberi.<br />

Dopo un periodo <strong>di</strong> riposo (50-60 giorni dalla maturazione), in con<strong>di</strong>zioni adatte<br />

(temperatura superiore a 6-8 °C), ha luogo la germinazione dei tuberi. Le fasi vegetative<br />

della pianta agli effetti della coltivazione sono: l’emergenza, l’accrescimento<br />

vegetativo, la fioritura, l’accrescimento dei tuberi e la maturazione dei tuberi. La<br />

formazione dei tuberi inizia poco prima della comparsa dei bocci fiorali e si manifesta<br />

con un ingrossamento <strong>degli</strong> stoloni o delle loro ramificazioni. La fase <strong>di</strong> maturazione è<br />

caratterizzata dal graduale ingiallimento delle foglie e dei fusti, nonché dal<br />

cambiamento <strong>di</strong> colore delle bacche (se sono presenti) che dal verde tendono al<br />

giallastro, mentre la buccia dei tuberi tende a staccarsi sempre più <strong>di</strong>fficilmente dalla<br />

polpa. Successivamente, le foglie e i fusti si seccano e le bacche cadono. La raccolta<br />

può avvenire in epoca anticipata per i tuberi <strong>di</strong> pronto consumo (coltura primaticcia) e<br />

per quelli destinati alla propagazione, mentre per quelli <strong>di</strong> uso comune si può ritardare<br />

la loro escavazione.<br />

Esigenze ambientali<br />

Si estende in coltura dall’equatore sino a latitu<strong>di</strong>ni estreme (70° N) ed è una specie<br />

adatta alle zone climatiche temperato-fredde. Le aree più vocate alla pataticoltura sono<br />

le gran<strong>di</strong> pianure dell’Europa centro-settentrionale. È peraltro la coltura, insieme con<br />

l’orzo, che si spinge più in alto nei paesi europei, raggiungendo altitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> coltivazione<br />

<strong>di</strong> 1300-1400 m s.l.m. ed oltre in caso <strong>di</strong> buona esposizione.<br />

Non è però una specie resistente al freddo, ed il suo ciclo vegetativo è<br />

primaverile-estivo nella maggior parte d’Europa; è una coltura a ciclo autunno-invernale<br />

nelle zone con climi particolarmente miti come quelli dell’Italia meri<strong>di</strong>onale, dove dà<br />

luogo alla produzione della patata primaticcia (sl. 22/34).<br />

La pianta ha bisogno, in ogni fase biologica, <strong>di</strong> una sufficiente quantità <strong>di</strong> acqua.<br />

La patata è molto sensibile alla siccità e pre<strong>di</strong>lige ambienti freschi con buona e regolare<br />

<strong>di</strong>stribuzione delle piogge. Le esigenze idriche si attenuano solo in prossimità della<br />

maturazione. In Italia le con<strong>di</strong>zioni più favorevoli per la patata in coltura primaverileestiva<br />

sono quelle delle regioni alpine e <strong>di</strong> quelle appenniniche centro-settentrionali. La<br />

patata teme comunque molto gli eccessi <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà e il conseguente ristagno idrico, che<br />

favorisce lo sviluppo <strong>di</strong> malattie crittogamiche, e causa il cattivo funzionamento delle<br />

ra<strong>di</strong>ci e l’irregolare sviluppo dei tuberi. Per quanto riguarda le esigenze termiche, la<br />

pianta ha uno zero <strong>di</strong> vegetazione a temperature <strong>di</strong> 6-8 °C: sono quin<strong>di</strong> temibili i ritorni<br />

<strong>di</strong> freddo primaverili (inferiori a 2 °C). Temperature <strong>di</strong> congelamento inferiori a –2 °C<br />

possono danneggiare i tuberi. Le alte temperature, prossime o superiori a 30 °C,<br />

riducono fortemente l’assimilazione e, quin<strong>di</strong>, l’accrescimento dei tuberi.<br />

<strong>Di</strong> origine tropicale, la patata è tendenzialmente brevi<strong>di</strong>urna, tuttavia<br />

l’adattamento e la selezione l’hanno resa in gran parte neutro<strong>di</strong>urna.<br />

Quanto al terreno, è una pianta con una notevole adattabilità e può essere<br />

coltivata in suoli <strong>di</strong> svariata natura, purché non troppo umi<strong>di</strong>. Tuttavia, sono ideali i<br />

terreni silicei o siliceo-argillosi, leggermente aci<strong>di</strong> (pH 6-7), leggeri, sciolti, permeabili,<br />

137


profon<strong>di</strong>. In terreni argillosi la raccolta dei tuberi è più <strong>di</strong>fficile e la loro qualità è<br />

inferiore (forma poco regolare, buccia ruvida e scura). La patata rifugge inoltre dai<br />

terreni alcalini.<br />

Varietà<br />

In rapporto alla destinazione d’uso del prodotto, esistono patate per l’alimentazione<br />

umana, per l’alimentazione zootecnica e per impieghi industriali. In quelle destinate<br />

all’alimentazione umana, interessa la consistenza della polpa, il sapore e il<br />

comportamento durante la cottura. Per le patate da cuocere in acqua ha importanza la<br />

resistenza allo spappolamento, <strong>di</strong>pendente dal contenuto in sostanza azotate (che non<br />

dovrebbe scendere sotto il 2%); per le patate da friggere (chips) ha importanza il colore<br />

che assumono durante la cottura, che è dato dal giusto contenuto <strong>di</strong> zuccheri solubili<br />

(fruttosio, glucosio), che non deve essere troppo basso per non dare un colore troppo<br />

chiaro, né troppo elevato per evitare imbrunimenti durante la frittura. La <strong>di</strong>ffusione della<br />

sbucciatura meccanica fa preferire varietà a tubero tondeggiante, regolare, a gemme<br />

superficiali. Le patate da foraggio hanno tuberi grossi e acquosi, mentre per quelle da<br />

industria il valore è in funzione del loro contenuto in amido, che nelle buone cultivar<br />

supera il 18% (sl. 22/38).<br />

Qualunque sia la destinazione, nelle varietà rivestono grande importanza la<br />

precocità e la resistenza alle avversità. Per la precocità, si va da tipi precocissimi, che<br />

compiono il ciclo in 80-90 giorni, a tipi tar<strong>di</strong>vi che impiegano oltre 150 giorni per<br />

svilupparsi (sl. 22/40-41). Le varietà precoci sono quelle più adatte alla coltura<br />

primaticcia.<br />

Il miglioramento genetico della patata si basa su meto<strong>di</strong> adatti a piante a<br />

moltiplicazione vegetativa, utilizzando largamente la selezione clonale che sfrutta la<br />

variabilità presente nelle varietà o nelle popolazioni naturali. Si fa inoltre ricorso<br />

all’ibridazione intervarietale o interspecifica, con successiva selezione delle<br />

combinazioni più favorevoli e loro fissazione me<strong>di</strong>ante moltiplicazione vegetativa.<br />

Tecnica colturale<br />

Per quanto riguarda l’avvicendamento, la patata, nelle con<strong>di</strong>zioni normali ed in quelle<br />

precoci, occupa <strong>di</strong> norma il primo posto (coltura da rinnovo). È la coltura da rinnovo più<br />

importante nei paesi dell’Europa centro-settentrionale e nelle nostre zone montane. La<br />

cosiddetta patata bisestile o <strong>di</strong> secondo raccolto (poco <strong>di</strong>ffusa in Italia, anche se in<br />

espansione) occupa invece il posto <strong>di</strong> coltura intercalare a ciclo estivo-autunnale (sl.<br />

22/34). In pianura, la patata può essere avvicendata con il frumento o le leguminose<br />

prative, mentre in montagna si alterna frequentemente alla segale. È bene che gli<br />

or<strong>di</strong>namenti colturali prevedano rotazioni in cui la patata ritorna sullo stesso terreno<br />

ogni 4 o ad<strong>di</strong>rittura 5-6 anni, e che in questo lasso <strong>di</strong> tempo non entrino nella rotazione<br />

altre colture <strong>di</strong> solanacee (pomodoro, peperone, melanzana). Rotazioni corte<br />

favoriscono lo sviluppo <strong>di</strong> agenti patogeni terricoli (rizottoniosi, elmintosporiosi,<br />

nemato<strong>di</strong>) che determinano sensibili riduzioni delle produzioni.<br />

La pianta si avvantaggia <strong>di</strong> tutte le operazioni (come la concimazione organica e<br />

le lavorazioni profonde) capaci <strong>di</strong> migliorare lo stato strutturale del terreno,<br />

specialmente se argilloso. Il terreno destinato alla patata va lavorato in profon<strong>di</strong>tà in<br />

estate (40-50 cm), effettuando così anche l’interramento della sostanza organica.<br />

All’aratura si fa seguire una adeguata erpicatura allo scopo <strong>di</strong> perfezionare il letto <strong>di</strong><br />

semina. Con gli ultimi interventi preparatori, la superficie del terreno può essere<br />

138


perfettamente livellata (per la successiva semina meccanizzata) o assolcata (per la<br />

semina a mano).<br />

La patata è una coltura capace <strong>di</strong> trarre i massimi benefici dalla concimazione<br />

con letame, somministrato prima dell’inverno, sia per la sua azione sulla nutrizione che<br />

per quella sulla sofficità del suolo. Oltre che <strong>di</strong> azoto (che può essere apportato con la<br />

letamazione), la patata ha esigenze assai alte <strong>di</strong> fosforo e <strong>di</strong> potassio. Il potassio facilita<br />

la sintesi <strong>di</strong> gluci<strong>di</strong> nelle foglie e la traslocazione <strong>di</strong> questi nei tuberi. Una buona<br />

nutrizione in potassio migliora la qualità dei tuberi. Il fosforo è un fattore <strong>di</strong> precocità e<br />

favorisce lo sviluppo ra<strong>di</strong>cale. Le concimazioni <strong>di</strong> fosforo e potassio che comunemente<br />

si impiegano per la coltura normale sono <strong>di</strong> almeno 180 kg/ha <strong>di</strong> P2O5 come perfosfato<br />

semplice o triplo, e altrettanti <strong>di</strong> K2O, meglio come solfato potassico. I concimi fosfopotassici<br />

devono essere interrati con l’aratura o con uno dei lavori complementari<br />

invernali. L’azoto è l’elemento più importante, in quanto determina l’ampiezza<br />

dell’apparato fogliare e la sua efficienza fotosintetica, fattori sui quali si basa<br />

l’accumulo <strong>di</strong> amido nei tuberi. Tuttavia, l’azoto in eccesso promuove un eccessivo<br />

sviluppo fogliare a scapito dei tuberi, ne ritarda la maturazione e ne <strong>di</strong>minuisce il<br />

contenuto <strong>di</strong> sostanza secca. La quantità <strong>di</strong> azoto richiesta per la coltura normale è <strong>di</strong><br />

circa 200 kg/ha. La somministrazione dell’azoto deve essere frazionata, in parte (50%)<br />

prima dell’interramento del ‘seme’, in parte con localizzazione alla semina ed in<br />

copertura, poco dopo la completa emergenza delle piante. La forma <strong>di</strong> azoto che è più<br />

adatta è quella ammoniacale. Per la patata primaticcia le dosi <strong>di</strong> concimazioni possono<br />

essere ridotte, perché, in tale tipo <strong>di</strong> coltura, le produzioni sono normalmente inferiori a<br />

quelle della coltura normale: si possono apportare circa 150 kg/ha <strong>di</strong> N e 130 kg/ha <strong>di</strong><br />

P2O5 e K2O.<br />

La patata si propaga normalmente per tuberi e, quin<strong>di</strong>, sarebbe più appropriato<br />

parlare <strong>di</strong> ‘piantamento’ anziché <strong>di</strong> ‘semina’, anche se quest’ultimo termine è quello<br />

comunemente e universalmente utilizzato. Nella coltura or<strong>di</strong>naria si semina alla fine del<br />

periodo delle gelate tar<strong>di</strong>ve: marzo-aprile nelle regioni settentrionali, febbraio in quelle<br />

meri<strong>di</strong>onali. Nel caso della coltura primaticcia, si semina in autunno (novembre<strong>di</strong>cembre).<br />

Nella coltura intercalare, per produzione tar<strong>di</strong>va, si semina in giugno-luglio<br />

(sl. 22/34).<br />

La scelta dei ‘tuberi-seme’ ha gran<strong>di</strong>ssima importanza per il buon esito della<br />

coltura. Oltre alla scelta della cultivar adatta all’ambiente e alla destinazione d’uso, è<br />

in<strong>di</strong>spensabile che i tuberi-seme siano sani, soprattutto per l’assenza <strong>di</strong> virosi. Anche le<br />

<strong>di</strong>mensioni dei tuberi-seme hanno notevole importanza: tuberi grossi con molti occhi<br />

formano un cespo <strong>di</strong> numerosi steli tra i quali la competizione è forte, mentre tuberi<br />

troppo piccoli non danno garanzia <strong>di</strong> normale maturazione. I migliori sembrano i tuberi<br />

del peso <strong>di</strong> 50-80 g. La densità <strong>di</strong> semina può variare dalle 3.5-4 piante/m 2 della coltura<br />

normale, alle 6 o più piante/m 2 della coltura primaticcia, nella quale ai tuberi non è dato<br />

tempo <strong>di</strong> ingrossarsi. Poiché il grado <strong>di</strong> competizione determina il numero e la<br />

<strong>di</strong>mensione dei tuberi, si tende oggi a definire la densità <strong>di</strong> piantagione non tanto come<br />

numero <strong>di</strong> tuberi-seme messi a <strong>di</strong>mora per metro quadrato, ma come numero<br />

complessivo <strong>di</strong> fusti che se ne origineranno. Il numero ottimale è stimato in circa 15-20<br />

steli per metro quadrato. Il quantitativo <strong>di</strong> tuberi normalmente impiegato per la semina<br />

è <strong>di</strong> 20-30 quintali ad ettaro. Una pratica per risparmiare sulla quantità <strong>di</strong> seme, oggi in<br />

<strong>di</strong>suso, è il frazionamento dei tuberi. Soprattutto nel caso <strong>di</strong> coltura non or<strong>di</strong>naria, può<br />

essere utile ricorrere alla pratica della pre-germogliazione per guadagnare tempo. I<br />

tuberi-seme sono <strong>di</strong>sposti in cassette accatastabili in non più <strong>di</strong> due strati, in ambiente<br />

ben illuminato da luce <strong>di</strong>ffusa, non troppo secco, a temperatura tra 12 e 16 °C.<br />

Normalmente, dopo 4-6 settimane, dagli occhi dei tuberi sono nati germogli corti (15-20<br />

mm al massimo), tozzi, robusti, pigmentati (sl. 22/51). I tuberi-seme sono allora pronti<br />

139


per il piantamento, che va fatto con molta cura per evitare la rottura dei germogli. La<br />

pre-germogliazione permette <strong>di</strong> anticipare l’inizio della vegetazione, determinando un<br />

accorciamento del ciclo vegetativo <strong>di</strong> 10-15 giorni.<br />

I tuberi si <strong>di</strong>stanziano sulla fila <strong>di</strong> 25-30 cm nella coltura precoce e <strong>di</strong> 30-35 cm<br />

nella coltura or<strong>di</strong>naria. La <strong>di</strong>stanza tra le file è <strong>di</strong> 60-80 cm. La profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> semina è <strong>di</strong><br />

5-8 cm in relazione alla natura del terreno. La semina può essere effettuata a mano<br />

oppure con piantatrici, con le quali l’operazione viene ad essere parzialmente o<br />

completamente meccanizzata (sl. 22/53).<br />

Nei terreni soggetti ad incrostamento, in relazione all’andamento climatico, è<br />

utile una sarchiatura non appena le file siano ben visibili sul terreno. L’operazione è<br />

efficace anche come complemento alla lotta chimica contro le infestanti. Segue poi la<br />

rincalzatura, che consiste nell’addossare terra dell’interfila alla fila <strong>di</strong> piante <strong>di</strong> patata,<br />

in modo da favorire l’emissione <strong>di</strong> rizomi e <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci dalla parte interrata <strong>degli</strong> steli (sl.<br />

22/55). Si fa in uno o due passaggi nelle 2-3 settimane successive alla semina, formando<br />

un rialzo <strong>di</strong> 20 cm circa <strong>di</strong> altezza sul piano <strong>di</strong> campagna. Questo assicura con<strong>di</strong>zioni<br />

ottimali <strong>di</strong> sviluppo alle ra<strong>di</strong>ci, ai rizomi e ai tuberi-figli, evitando l’inver<strong>di</strong>mento dei<br />

tuberi (soprattutto nel caso <strong>di</strong> colture tar<strong>di</strong>ve e me<strong>di</strong>o-tar<strong>di</strong>ve tendenti a tuberizzare<br />

superficialmente) e proteggendoli, sia pur parzialmente, dall’infezione delle spore <strong>di</strong><br />

peronospora cadute sul terreno.<br />

La patata ha esigenze idriche abbastanza elevate durante un periodo dell’anno in<br />

cui le precipitazioni tendono a ridursi. Il suo apparato ra<strong>di</strong>cale poco profondo, con<br />

debole capacità <strong>di</strong> penetrazione e <strong>di</strong> suzione, la rende sensibile allo stress idrico. In<br />

Italia, l’irrigazione è quin<strong>di</strong> in<strong>di</strong>spensabile negli ambienti centro-meri<strong>di</strong>onali, mentre<br />

può essere utile (anche se non in<strong>di</strong>spensabile) nelle regioni settentrionali o nelle aree<br />

montane, dove il deficit idrico è meno marcato. Il periodo critico per l’acqua va da 20<br />

giorni prima a 20 giorni dopo l’inizio dell’antesi, allorché la patata sviluppa la fase più<br />

delicata del suo ciclo che è quella dell'ingrossamento dei tuberi. In questo periodo non<br />

dovrebbero mai mancare con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> buona umi<strong>di</strong>tà nel terreno. È bene allora che<br />

l’irrigazione, per scorrimento o per aspersione, non sia eccessiva, ma fatta con piccoli<br />

volumi d’adacquamento e turni brevi (sl. 22/57-58).<br />

La patata è sensibile alla competizione delle piante infestanti, sia per la lentezza<br />

<strong>di</strong> sviluppo iniziale che per lo scarso potere <strong>di</strong> competizione. La flora infestante è quella<br />

tipica delle colture a ciclo primaverile-estivo in relazione all’ambiente pedoclimatico in<br />

cui si opera. Il <strong>di</strong>serbo chimico è considerato necessario per la <strong>di</strong>fesa della coltura,<br />

attribuendo, come detto, un ruolo complementare alle lavorazioni superficiali. Gli<br />

erbici<strong>di</strong> in<strong>di</strong>cati per il <strong>di</strong>serbo chimico della patata appartengono prevalentemente al<br />

gruppo delle uree-sostituite e delle triazine.<br />

Raccolta e conservazione<br />

La raccolta dei tuberi può essere eseguita con criteri <strong>di</strong>versi in relazione alle finalità<br />

della coltura. Ad esempio, la raccolta delle patate novelle è anticipata (in aprile-maggio)<br />

per motivi <strong>di</strong> mercato, in uno sta<strong>di</strong>o in cui il periderma non è ancora suberificato e si<br />

<strong>di</strong>stacca facilmente esercitando con le <strong>di</strong>ta una pressione tangenziale sul tubero. La<br />

raccolta è anticipata anche nella produzione <strong>di</strong> tuberi da seme, quando si voglia evitare<br />

che, nella fase finale <strong>di</strong> migrazione delle sostanze <strong>di</strong> riserva verso il tubero, eventuali<br />

attacchi tar<strong>di</strong>vi <strong>di</strong> virosi possano trasmettersi al tubero stesso. Per le patate comuni,<br />

destinate al consumo fresco o all’industria, la maturazione dei tuberi deve essere<br />

completa (in luglio-agosto per le varietà precoci; settembre per quelle tar<strong>di</strong>ve; in<br />

autunno per le patate <strong>di</strong> secondo raccolto). In<strong>di</strong>cazioni semplici per valutare la raggiunta<br />

maturazione sono l’avanzato ingiallimento del fogliame e la consistenza del periderma,<br />

140


che non deve <strong>di</strong>staccarsi, ma essere ben suberificato e resistente agli urti. Nella grande<br />

coltura, la raccolta è meccanizzata, utilizzando semplici macchine escavatrici, che<br />

lasciano i tuberi in file sul campo (raccolti successivamente) (sl. 22/61-62), oppure<br />

macchine escavatrici-raccoglitrici (sl. 22/63). La raccolta dovrebbe avvenire con terreno<br />

non umido, non soltanto perché l’operazione è più agevole, ma anche per raccogliere i<br />

tuberi asciutti e puliti. La raccolta può essere preceduta da un trattamento <strong>di</strong>sseccante<br />

della parte aerea (sl. 22/64), per eliminare l’ostacolo da questa rappresentato<br />

all’esecuzione delle operazioni <strong>di</strong> escavazione.<br />

Le rese unitarie possono variare notevolmente in relazione all’ambiente e alle<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> coltura. Nelle situazioni migliori, per la coltura or<strong>di</strong>naria si possono<br />

raggiungere 40 t/ha e oltre, ma anche rese <strong>di</strong> 25 t/ha possono considerarsi sod<strong>di</strong>sfacenti.<br />

Le colture primaticce o intercalari producono molto meno (4-6 t/ha), ma il valore<br />

economico <strong>di</strong> queste produzioni è molto più elevato.<br />

Le patate raccolte vengono immesse imme<strong>di</strong>atamente sul mercato per consumo<br />

fresco solo nel caso delle produzioni fuori stagione (primaticce; bisestili). Il grosso della<br />

produzione <strong>di</strong> stagione viene invece immesso sul mercato, sia del consumo fresco che<br />

dell’industria, gradatamente per un periodo <strong>di</strong> tempo che può estendersi fino a 8-10<br />

mesi dalla raccolta. È quin<strong>di</strong> molto importante conservare in modo appropriato le patate<br />

per: limitare le per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> peso; impe<strong>di</strong>re la germogliazione e lo sviluppo <strong>di</strong> malattie;<br />

preservare la qualità dei tuberi (culinaria per le patate da consumo, tecnologica per<br />

quelle destinate alla trasformazione industriale). La buona conservazione <strong>di</strong>pende dalle<br />

con<strong>di</strong>zioni del locale <strong>di</strong> immagazzinamento. La temperatura <strong>di</strong> conservazione ottimale è<br />

<strong>di</strong> 5-6 °C. Temperature inferiori hanno l’effetto <strong>di</strong> produrre un accumulo eccessivo <strong>di</strong><br />

zuccheri solubili, responsabili dell’‘addolcimento’ dei tuberi. Le patate destinate al<br />

consumo possono subire un trattamento con prodotti antigermogliazione quando la<br />

conservazione si debba prolungare oltre 2-3 mesi con temperature <strong>di</strong> 6 °C o più. I<br />

magazzini <strong>di</strong> conservazione devono essere ben ventilati, in modo da permettere<br />

l’essiccazione dei tuberi appena introdotti, favorire la cicatrizzazione delle ferite<br />

ricevute alla raccolta e impe<strong>di</strong>re la condensazione dell’acqua sulla loro superficie.<br />

L’eccessiva intensità luminosa può inver<strong>di</strong>re gli strati corticali. Tale inver<strong>di</strong>mento è un<br />

inconveniente grave per i tuberi da mensa, perché può conferire sapore amaro per la<br />

presenza <strong>di</strong> solanina, ma può risultare utile per i tuberi da semina.<br />

La produzione <strong>di</strong> tuberi da ‘seme’<br />

L’ambiente richiesto per la produzione <strong>di</strong> tuberi-seme deve essere caratterizzato da un<br />

clima fresco, con temperature moderate per tutto il ciclo della pianta e senza alternanza<br />

<strong>di</strong> perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> pioggia e <strong>di</strong> siccità. Devono essere inoltre assenti gli insetti vettori <strong>di</strong><br />

virosi, per evitare che tali patologie siano trasmesse coi tuberi-seme alle colture<br />

commerciali. Tale tipo <strong>di</strong> ambiente in Italia si trova in particolar modo in montagna,<br />

dove, però, il decentramento territoriale e le ridotte unità colturali aumentano<br />

notevolmente i costi <strong>di</strong> produzione e le <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> conservazione dei tuberi. Tale<br />

situazione rende <strong>di</strong>fficile l’estendersi della produzione <strong>di</strong> tuberi-seme nel nostro paese,<br />

rendendoci in gran parte <strong>di</strong>pendenti dall’estero per il fabbisogno <strong>di</strong> ‘seme’.<br />

Avversità e parassiti<br />

Avversità climatiche<br />

Le gelate tar<strong>di</strong>ve possono compromettere l’esito della coltura quando si verificano dopo<br />

l’emergenza delle piante. Altrettanto dannosa è la siccità, specialmente se essa si<br />

141


manifesta nelle fasi iniziali <strong>di</strong> sviluppo della pianta o durante l’ingrossamento dei tuberi.<br />

La gran<strong>di</strong>ne può determinare gravi lesioni all’apparato vegetativo, ma gli effetti sulla<br />

produzione sono più spesso <strong>di</strong> entità minore <strong>di</strong> quanto possa apparire dall’aspetto della<br />

parte aerea. Le con<strong>di</strong>zioni climatiche avverse possono avere anche un effetto negativo<br />

in<strong>di</strong>retto sulla produzione, in quanto favoriscono l’attacco <strong>di</strong> parassiti o <strong>di</strong> malattie <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>versa natura.<br />

Nemato<strong>di</strong><br />

Il più temibile è il nematode cisticolo dorato (Globodera rostochiensis, sin. Heterodera<br />

rostochiensis) (sl. 22/71-75) che può attaccare la pianta in tutte le fasi del ciclo,<br />

<strong>di</strong>struggendone il prodotto. Altri nemato<strong>di</strong> parassiti della pianta appartengono al genere<br />

Meloidogyne (nemato<strong>di</strong> galligeni delle ra<strong>di</strong>ci) (sl. 22/76). La lotta si basa sia su principi<br />

agronomici, adottando avvicendamenti nei quali la patata ritorna sullo stesso<br />

appezzamento a intervalli lunghi, che su principi genetici, utilizzando varietà resistenti<br />

ottenute da incroci con specie selvatiche del genere Solanum. Può essere utile<br />

sovesciare colture intercalari <strong>di</strong> Brassicacee con attività nematocida, come alcune<br />

varietà <strong>di</strong> senape o <strong>di</strong> rafano (sl. 22/77-78). Nella parte aerea <strong>di</strong> tali piante sono<br />

contenuti dei composti tossici per i nemato<strong>di</strong> detti glucosinolati, che vengono idrolizzati<br />

in isotiocianati o nitrili e sono liberati nel terreno in seguito al sovescio. Le piante che<br />

contengono glucosinolati attivi nelle ra<strong>di</strong>ci sono definite ‘piante trappola’ (catch crops)<br />

perché il nematode penetra ma non riesce a completare il ciclo <strong>di</strong> sviluppo prima del<br />

sovescio.<br />

Malattie fungine e batteriche<br />

- Peronospora della patata (Phytophthora infestans): si manifesta tanto sulle foglie, con<br />

ingiallimenti e necrosi che interessano tutto l’apparato aereo, quanto sui tuberi, con aree<br />

necrotiche sulla buccia e nella polpa (sl. 22/80-82). Alcune varietà sono più sensibili al<br />

fungo, che può essere controllato con adeguati trattamenti (es. prodotti rameici).<br />

- Cancrena secca (Fusarium spp.): colpisce il tubero specialmente nel periodo <strong>di</strong><br />

conservazione (sl. 22/83).<br />

- Scabbia polverulenta (Spongospora subterranea), scabbia comune (Actinomices<br />

scabies) e scabbia argentea (Helminthosporium atrovirens): colpiscono il tubero nella<br />

zona epidermica, determinando la comparsa <strong>di</strong> pustole <strong>di</strong> varia natura e <strong>di</strong>mensione (sl.<br />

22/84).<br />

- Rogna nera o cancro (Synchytrium endoticum): determina necrosi soprattutto nei<br />

tessuti interni del tubero.<br />

- Tracheomicosi (Fusarium spp. e <strong>Ve</strong>rticillium spp.): colpisce i tessuti interni dei fusti in<br />

fase giovanile, determinandone il rapido deperimento.<br />

- Alternariosi (Alternaria solani): attacca foglie, tuberi e fusti (sl. 22/85-86).<br />

- Batteriosi della patata (Pectobacterium carotovorum var. atrosepticum): causa il<br />

marciume dei tuberi in campo e in magazzino (sl. 22/87).<br />

Malattie da virus<br />

La patata è una delle piante agrarie più colpite da virosi (sl. 22/92). Più virosi possono<br />

essere contemporaneamente presenti su una medesima pianta.<br />

- Accartocciamento: è la virosi meglio conosciuta per i sintomi evidenti e perché<br />

identificata da quasi un secolo. Causa l’arrotolamento delle foglie parallelamente alla<br />

nervatura me<strong>di</strong>ana, e le foglie colpite <strong>di</strong>vengono dure e fragili, con portamento<br />

142


pressoché eretto (sl. 22/89-90). Il virus è trasmesso dagli afi<strong>di</strong>, tra cui il più importante<br />

come vettore è Myzus persicae.<br />

- Virus Y: presente con maggiore frequenza nelle regioni centro-settentrionali. Si<br />

trasmette per contatto con succhi cellulari infetti o me<strong>di</strong>ante afi<strong>di</strong>. Determina in genere<br />

uno scolorimento delle nervature, al quale fa seguito un <strong>di</strong>stinto mosaico accompagnato<br />

da bollosità e arricciamento.<br />

- Virus X: è molto <strong>di</strong>ffuso e, in genere, meno temibile del virus Y, ma capace <strong>di</strong><br />

produrre gravi danni quando si trovi associato a quest’ultimo. Causa mosaici e necrosi.<br />

Non sembra trasmissibile per mezzo <strong>di</strong> afi<strong>di</strong>, ma me<strong>di</strong>ante contatto.<br />

- Virus A: è abbastanza frequente in Italia, spesso associato al virus X (sl. 22/91). Si<br />

<strong>di</strong>ffonde soprattutto ad opera dell’afide Myzus persicae.<br />

Altri virus non molto <strong>di</strong>ffusi in Italia e che provocano inconvenienti<br />

relativamente poco gravi, anche se possono pre<strong>di</strong>sporre le piante all’infezione <strong>di</strong> altri<br />

virus, sono il Virus M, il Virus S e il Virus F (Mosaico aucuba).<br />

Insetti<br />

Fra i più dannosi si ricordano la grillotalpa (Gryllotalpa grillotalpa), che danneggia i<br />

tuberi in campo (sl. 22/94), il maggiolino (Melolontha melolontha), le cui larve<br />

danneggiano i tuberi con erosioni, il gremignolo (Agriotes lineatus), che attacca ra<strong>di</strong>ci e<br />

tuberi (sl. 22/95), la dorifora (Leptinotarsa decemlineata), la cui larva è in grado <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>struggere l’apparato fogliare della pianta (sl. 22/96), e alcune specie <strong>di</strong> afi<strong>di</strong> (es.<br />

Myzus persicae; sl. 22/97), che, oltre ad arrecare danni <strong>di</strong>retti per la sottrazione <strong>di</strong> linfa,<br />

sono vettori <strong>di</strong> molte virosi. Contro questi insetti sono possibili adeguati e specifici<br />

sistemi <strong>di</strong> lotta.<br />

Misure agronomiche per ridurre l’incidenza delle avversità biotiche (sl. 22/98)<br />

Contro le virosi, sono raccomandati l’uso <strong>di</strong> tuberi-seme certificati e l’eliminazione<br />

della vegetazione spontanea, in particolare delle piante <strong>di</strong> patata nate da residui della<br />

coltura precedente. Per controllare i nemato<strong>di</strong> si devono adottare rotazioni lunghe (5-6<br />

anni) ed escludere le solanacee dalle rotazioni stesse. Le operazioni colturali che<br />

possono aiutare a prevenire gli attacchi <strong>di</strong> peronospora sono <strong>di</strong>verse: l’uso <strong>di</strong> tuberiseme<br />

sani, l’uso <strong>di</strong> varietà poco suscettibili, l’eliminiazioni dei ricacci spontanei <strong>di</strong><br />

patata, lunghe rotazioni, una rincalzatura accurata, una concimazioni equilibrata senza<br />

eccessi <strong>di</strong> azoto, e <strong>degli</strong> impianti non troppo fitti. Bisogna evitare le irrigazioni tar<strong>di</strong>ve<br />

per non stimolare la risalita delle larve <strong>di</strong> coleotteri, e la lesione dei tuberi alla raccolta<br />

per <strong>di</strong>minuire il rischio <strong>di</strong> marciumi durante la conservazione.<br />

143


BARBABIETOLA DA ZUCCHERO<br />

Le piante coltivate nel mondo per la produzione <strong>di</strong> zucchero (saccarosio) sono<br />

fondamentalmente due: la canna da zucchero (Saccharum officinarum) nei climi<br />

tropicali e sub-tropicali e la barbabietola da zucchero (Beta vulgaris var. saccharifera)<br />

nei climi temperati. Oltre alla var. saccharifera, nella specie Beta vulgaris esistono<br />

anche altre forme botaniche: la var. cycla (bietola da coste), la var. cruenta (bietola da<br />

orto), e la var. crassa (bietola da foraggio). La specie B. vulgaris avrebbe avuto due<br />

centri <strong>di</strong> origine, uno rappresentato dal bacino del Me<strong>di</strong>terraneo o dalle regioni<br />

steppiche dell’Asia sud-occidentale, e l’altro ubicato nelle isole Canarie o <strong>di</strong> Capo<br />

<strong>Ve</strong>rde. La sua coltivazione (come pianta da orto) è antica ed era praticata da Greci e<br />

Romani. La sua importanza come pianta saccarifera risale invece al Settecento. Fu nel<br />

1747 che il chimico tedesco Marggraff scoprì nella ra<strong>di</strong>ce della barbabietola il<br />

saccarosio identico a quello della canna. Sulla base dei suoi stu<strong>di</strong>, poi ripresi da Achard,<br />

e con l’appoggio dei monarchi tedeschi, nel 1799 furono installati i primi zuccherifici.<br />

L’instaurazione del blocco continentale contro Napoleone ai primi del XIX secolo (con<br />

l’impossibilità dell’importazione dello zucchero <strong>di</strong> canna dalle colonie inglesi) impresse<br />

un poderoso impulso alle ricerche e alla coltivazione della barbabietola in Francia,<br />

raggiungendo 32000 ha coltivati già nel 1811. Con la caduta <strong>di</strong> Napoleone e la fine del<br />

blocco, l’importanza della barbabietola andò scemando sin verso il 1850, quando la<br />

coltura riprese impulso grazie ai successi della selezione, operata soprattutto da de<br />

Vilmorin, che portò il contenuto <strong>di</strong> zucchero delle ra<strong>di</strong>ci dal 7-8% iniziale al 16-17%. In<br />

Italia la <strong>di</strong>ffusione della barbabietola fu molto lenta e alterna fino al 1888. In quell’anno<br />

fu realizzato il primo zuccherificio a Rieti, ma verso la fine del secolo la coltura si era<br />

<strong>di</strong>ffusa soprattutto tra Emilia e <strong>Ve</strong>neto dove erano sorti ben 30 zuccherifici. Oggi la<br />

coltura sta assistendo ad un declino delle superfici coltivate, che sono scese a poco oltre<br />

i 60000 ha nel 2010 (rispetto ai 250 mila ha del 2000). Ciò è dovuto alla riforma<br />

dell’Organizzazione Comunitaria <strong>di</strong> Mercato (OCM) dello zucchero da parte<br />

dell’Unione Europea, che ha portato alla riduzione dei sussi<strong>di</strong> ai produttori e alla<br />

rilevante <strong>di</strong>minuzione della produzione comunitaria <strong>di</strong> zucchero me<strong>di</strong>ante un aiuto alla<br />

componente industriale per la sua <strong>di</strong>smissione. L’applicazione della riforma ha causato<br />

un ra<strong>di</strong>cale ri<strong>di</strong>mensionamento del comparto, sia nel numero <strong>degli</strong> impianti <strong>di</strong><br />

trasformazione che nella superficie coltivata a barbabietola (sl. 23/6).<br />

Caratteri botanici<br />

La barbabietola da zucchero è una pianta della famiglia delle Chenopo<strong>di</strong>aceae a ciclo<br />

biennale, con fase vegetativa al primo anno e fase riproduttiva al secondo. Nelle colture<br />

destinate alla produzione <strong>di</strong> zucchero, la pianta compie solo la fase vegetativa. La fase<br />

riproduttiva interessa solo le colture da seme.<br />

Presenta una ra<strong>di</strong>ce fittonante, grossa, carnosa, più o meno conica, <strong>di</strong> colore<br />

grigiastro, provvista <strong>di</strong> rugosità trasversali nella parte superiore e <strong>di</strong> due solchi<br />

longitu<strong>di</strong>nali (detti solchi saccariferi) decorrenti a spirale e con abbondante capillizio. Il<br />

fusto è corto ed eretto; le foglie sono <strong>di</strong>sposte in verticilli (rosette), picciolate, <strong>di</strong> norma<br />

cuoriformi alla base, tondeggianti o affusolate, lisce, ondulate o bollose, <strong>di</strong> colore verde<br />

più o meno intenso. I fiori, piccoli, sono riuniti in infiorescenze normalmente bitetraflore<br />

e sono inseriti <strong>di</strong>rettamente su scapi (che compaiono generalmente nel<br />

secondo anno) lunghi 1.5-2 m, eretti, ramificati in alto. Le infruttescenze (glomeruli)<br />

sono rotondeggianti, angolose, grinzose. I semi sono lenticolari, piccoli (lunghi 2.4-4<br />

mm, del peso <strong>di</strong> 2-3 mg), <strong>di</strong> colore bruno sfumato. I glomeruli sono impropriamente<br />

144


chiamati ‘semi’ (plurigermi), ma in realtà sono appunto infruttescenze dalla quale<br />

nascono tante piantine quanti sono i semi in esse incapsulati. In natura fu reperito un<br />

mutante caratterizzato dalla presenza <strong>di</strong> fiori isolati anziché riuniti in infiorescenze, da<br />

cui furono selezionate le cosiddette forme ‘monogermi’ che consentirono <strong>di</strong> ricorrere<br />

alla semina <strong>di</strong> precisione.<br />

Esigenze ambientali<br />

La germinazione può iniziare a 5-6 °C, ma per un’emergenza veloce ed omogenea<br />

occorrono almeno 10-12 °C. Temperature <strong>di</strong>urne e notturne troppo elevate durante<br />

l’estate possono con<strong>di</strong>zionare l’accumulo delle sostanze <strong>di</strong> riserva, in quanto aumentano<br />

l’intensità della respirazione. Notti fresche e giorni cal<strong>di</strong>, dalla seconda metà <strong>di</strong> agosto,<br />

favoriscono l’accumulo <strong>di</strong> zucchero. È da evitare ogni <strong>di</strong>sseccamento estivo<br />

dell’apparato fogliare, che arresta la deposizione <strong>di</strong> zucchero nel fittone; a questo, con<br />

l’emissione <strong>di</strong> nuove foglie al sopraggiungere delle piogge autunnali, si accompagna il<br />

consumo delle riserve zuccherine già accumulate, con <strong>di</strong>minuzione della concentrazione<br />

<strong>di</strong> saccarosio (‘retrogradazione’).<br />

La barbabietola da zucchero pre<strong>di</strong>lige terreni profon<strong>di</strong>, <strong>di</strong> me<strong>di</strong>o impasto, ricchi<br />

<strong>di</strong> sostanza organica e con buona capacità idrica. Ha bisogno <strong>di</strong> terreni a pH neutro (pH<br />

6.5-7), mentre non sono adatti i terreni aci<strong>di</strong> e con ristagni idrici. Con<strong>di</strong>zione<br />

preliminare per una razionale bieticoltura è che i terreni siano ben sistemati<br />

idraulicamente.<br />

Varietà<br />

‘Marche commerciali’ è la denominazione appropriata per in<strong>di</strong>care le varietà <strong>di</strong> bietola<br />

impiegate in coltura. Le marche vengono <strong>di</strong>stinte in base a vari parametri, quali<br />

l’attitu<strong>di</strong>ne a produrre ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> peso elevato (sigla P o E), o ra<strong>di</strong>ci con elevata<br />

concentrazione <strong>di</strong> zucchero (sigla Z). Altre lettere in<strong>di</strong>cano particolari caratteristiche,<br />

quali la resistenza alla Cercospora beticola (R o CR) o il periodo <strong>di</strong> semina (tipo A per<br />

semine primaverili, tipo AA per semine autunnali). Le marche vengono inoltre<br />

classificate, in relazione al corredo cromosomico, in <strong>di</strong>ploi<strong>di</strong> (2n=2x=18), tetraploi<strong>di</strong><br />

(2n=4x=36) e triploi<strong>di</strong> (2n=3x=27), queste ultime ottenute da incrocio tra linee <strong>di</strong>ploi<strong>di</strong><br />

e linee tetraploi<strong>di</strong>. Alle bietole triploi<strong>di</strong> viene generalmente riconosciuta una maggiore<br />

produttività <strong>di</strong> zucchero per ettaro. Altra fondamentale conquista del miglioramento<br />

genetico, come detto, sono state le varietà ‘monogerme’, che producono un glomerulo<br />

con un solo seme ed hanno consentito perciò una ra<strong>di</strong>cale semplificazione della tecnica<br />

colturale, consentendo la semina <strong>di</strong> precisione ed eliminando la costosa operazione <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>radamento dopo l’emergenza.<br />

Tecnica colturale<br />

La barbabietola da zucchero è una sarchiata da rinnovo e prende posto generalmente tra<br />

due colture <strong>di</strong> cereali, lasciando un terreno ben preparato per la coltura successiva, che<br />

dopo <strong>di</strong> essa produce molto bene. La coltura ripetuta provoca invece gravi avversità<br />

(quali la rizomania o attacchi <strong>di</strong> nemato<strong>di</strong>), contro le quali un accorto avvicendamento,<br />

frapponendo un intervallo <strong>di</strong> alcuni anni (4-5 almeno) tra una coltura <strong>di</strong> barbabietola e<br />

l’altra, è il più sicuro metodo <strong>di</strong> prevenzione.<br />

Tra le colture da rinnovo, la barbabietola è la più esigente in fatto <strong>di</strong> lavorazioni<br />

del terreno, giustificata dal fatto che il suo prodotto utile è costituito da un organo<br />

sotterraneo che, per approfon<strong>di</strong>rsi ed ingrossarsi, deve trovare un terreno ben smosso e<br />

145


privo <strong>di</strong> ostacoli. L’aratura deve essere profonda ed eseguita prima della stagione<br />

umida, in modo da favorire l’approfon<strong>di</strong>mento della ra<strong>di</strong>ce e <strong>di</strong>fendere la coltura dalla<br />

siccità. Si può razionalmente usare un aratro ripuntatore per non portare in superficie<br />

strati <strong>di</strong> terreno meno fertili. È fondamentale rispettare in ogni modo lo strato<br />

superficiale <strong>di</strong> terra, reso soffice da pochi interventi eseguiti dopo l’aratura ma molto<br />

prima della semina e dall’azione esercitata dagli agenti atmosferici. La perfezione del<br />

letto <strong>di</strong> semina è tra le più importanti e più <strong>di</strong>fficili con<strong>di</strong>zioni per il successo della<br />

coltivazione della barbabietola.<br />

La concimazione organica migliora le proprietà chimiche e fisiche del terreno.<br />

La coltura trarrà beneficio da un’eventuale abbondante letamazione. In caso <strong>di</strong> assenza<br />

<strong>di</strong> letamazione, va curato l’interramento dei residui vegetali, in modo da mantenere una<br />

buona dotazione <strong>di</strong> sostanza organica nel terreno. La concimazione minerale deve<br />

fornire alla pianta un’ottima dotazione in elementi nutritivi. Ogni 10 tonnellate <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci,<br />

vengono asportati me<strong>di</strong>amente 40-50 kg/ha <strong>di</strong> azoto, 15-18 kg/ha <strong>di</strong> P2O5 e 55-65 kg/ha<br />

<strong>di</strong> K2O. Il quantitativo <strong>di</strong> azoto da somministrare varia, a seconda delle situazioni, da 80<br />

a 150 kg/ha. Allo scopo <strong>di</strong> non calpestare in primavera i terreni già preparati nei mesi<br />

invernali, l’azoto viene interrato leggermente durante l’inverno (<strong>di</strong>cembre-gennaio). Il<br />

fertilizzante azotato non deve essere localizzato in vicinanza del seme, poiché risulta<br />

fitotossico e provoca una riduzione della percentuale <strong>di</strong> emergenza. Per le semine<br />

autunnali, si deve tener conto del possibile <strong>di</strong>lavamento e perciò è consigliabile una<br />

ripartizione della concimazione azotata, con un terzo in pre-semina e due terzi in<br />

copertura durante le prime fasi <strong>di</strong> sviluppo. La concimazione fosfatica prevede dosi<br />

variabili da 120 a 200 kg/ha, tenendo conto che nei terreni argillosi (in cui spesso la<br />

barbabietola viene coltivata) il 20-50% <strong>di</strong> questo elemento <strong>di</strong>viene insolubile e, quin<strong>di</strong>,<br />

non <strong>di</strong>sponibile per le piante. Il fosforo, che ha una bassissima mobilità, deve essere<br />

<strong>di</strong>stribuito per due terzi all’aratura in tutto lo strato esplorato dalle ra<strong>di</strong>ci e per un terzo<br />

localizzato alla semina, poiché è nella fase <strong>di</strong> emergenza e in quella imme<strong>di</strong>atamente<br />

successiva che la pianta necessita maggiormente <strong>di</strong> fosforo assimilabile. La<br />

concimazione potassica (100-300 kg/ha) deve essere praticata solo in terreni (molto<br />

sciolti; limosi) in cui le analisi abbiano provato una reale deficienza <strong>di</strong> questo elemento.<br />

La semina comincia a febbraio nell’Italia centrale e in marzo nella Pianura<br />

Padana. Le semine troppo precoci sottopongono le piantine al rischio <strong>di</strong> gelate tar<strong>di</strong>ve e<br />

favoriscono il fenomeno della ‘prefioritura’, cioè la salita a fiore delle piante già<br />

nell’anno <strong>di</strong> semina, che provoca la riduzione delle <strong>di</strong>mensioni e della concentrazione<br />

zuccherina (titolo) delle ra<strong>di</strong>ci, oltre ad ostacolare le operazioni <strong>di</strong> raccolta in campo e<br />

<strong>di</strong> estrazione industriale dello zucchero (sl. 23/20). Nelle regioni meri<strong>di</strong>onali ad inverno<br />

mite, si pratica la coltura autunnale (semina in ottobre e raccolta a giugno-luglio).<br />

L’adozione <strong>di</strong> cultivar resistenti alla prefioritura è particolarmente importante nel caso<br />

<strong>di</strong> semine autunnali, che espongono la coltura a giornate con fotoperiodo in <strong>di</strong>minuzione<br />

e basse temperature (< 3-4 °C) quando la pianta si trova ad uno sta<strong>di</strong>o vegetativo con 2-<br />

4 foglie, inducendo la fioritura per vernalizzazione.<br />

La <strong>di</strong>stribuzione del seme viene fatta con seminatrici <strong>di</strong> precisione, a righe<br />

intervallate in me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 45 cm. La <strong>di</strong>stanza dei semi sulla fila va stabilita tenendo conto<br />

che l’investimento da perseguire è <strong>di</strong> circa 10 piante/m 2 alla raccolta e che una quota dei<br />

semi posti a <strong>di</strong>mora è destinata a non andare a buon fine. In passato era eseguita una<br />

semina più fitta del necessario, salvo regolare poi con il <strong>di</strong>radamento le piante a metro<br />

quadrato. Oggi viene eseguita la ‘semina sul posto’, senza <strong>di</strong>radamento. Data la<br />

delicatezza delle plantule <strong>di</strong> barbabietola, bisogna prevedere forti fallanze: il numero <strong>di</strong><br />

semi da seminare è <strong>di</strong> 15-20/m 2 per ottenere le 10 piante desiderate. La quantità <strong>di</strong> seme<br />

da impiegare non viene più espressa in peso (kg/ha) ma in numero: il seme monogerme,<br />

che è sempre confettato, viene venduto in confezioni contenenti 100 mila semi (1 unità);<br />

146


quin<strong>di</strong> dovranno essere impiegate 1.5-2 unità per ettaro per ottenere circa 100 mila<br />

piante per ettaro (sl. 23/22). La profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> interramento deve essere <strong>di</strong> non più <strong>di</strong> 3-4<br />

cm, perché la piantina ha un debolissimo potere perforante e, se non riesce ad emergere<br />

prontamente, si indebolisce e muore non appena esaurite le riserve del seme. Per lo<br />

stesso motivo, bisogna evitare <strong>di</strong> seminare con terreno troppo zolloso o incrostato<br />

superficialmente. Una rullatura alla semina (con rulli scanalati anziché lisci, per evitare<br />

la formazione <strong>di</strong> crosta) può essere utile, soprattutto nei terreni argillosi, per far aderire<br />

la terra alla superficie del seme, favorendone l’inumi<strong>di</strong>mento e la germinazione. Una<br />

nuova tecnica <strong>di</strong> semina proposta è quella a prose, ovvero su una superficie del terreno<br />

baulata ottenuta me<strong>di</strong>ante una macchina applicata tra il trattore e la seminatrice (sl.<br />

23/23). Risultati sperimentali ottenuti con questa tecnica <strong>di</strong> coltivazione in<strong>di</strong>cano un<br />

possibile incremento produttivo rispetto alla semina tra<strong>di</strong>zionale e la possibilità <strong>di</strong><br />

abbinarla con lavorazioni del terreno più superficiali e, quin<strong>di</strong>, meno onerose.<br />

La barbabietola da zucchero è molto sensibile alla competizione esercitata dalle<br />

erbe infestanti (Polygonum aviculare, Stachys annua, Sinapis arvensis, Chenopo<strong>di</strong>um<br />

album, Papaver rhoeas, Polygonum persicaria, <strong>Ve</strong>ronica persica, Matricaria<br />

chamomilla, Capsella bursa-pastoris, Setaria viri<strong>di</strong>s, Portulaca oleracea, etc.). In<br />

passato venivano eseguite sarchiature per il controllo delle infestanti, mentre oggi si<br />

ricorre al <strong>di</strong>serbo chimico per mezzo <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> selettivi (in pre-semina, in preemergenza<br />

o in post-emergenza; sl. 23/25-26). Una sarchiatura in aggiunta al <strong>di</strong>serbo<br />

chimico può essere ancora considerata utile, non solo per eliminare le erbe infestanti,<br />

ma anche per favorire la penetrazione dell’acqua nel terreno e <strong>di</strong>minuirne<br />

l’evaporazione, e per arieggiare il terreno. Ciò è particolarmente importante in Italia,<br />

dove la barbabietola si coltiva quasi del tutto in coltura asciutta e in terreni pesanti.<br />

La coltivazione in asciutto, nonostante i vantaggi offerti dall’irrigazione, è<br />

dovuta soprattutto al fatto che vi sono altre colture (mais, orticole) capaci <strong>di</strong> valorizzare<br />

maggiormente l’acqua irrigua. L’utilità dell’irrigazione della barbabietola aumenta man<br />

mano che la coltura si sposta dalle zone bieticole tra<strong>di</strong>zionali della Pianura Padana al<br />

Centro e al Sud. L’epoca <strong>di</strong> maggior fabbisogno idrico è quella che segue il<br />

completamento dell’apparato fogliare, e si situa tra la fine <strong>di</strong> giugno e la metà <strong>di</strong> agosto.<br />

La quantità totale <strong>di</strong> acqua necessaria è stimata intorno a 1000-1500 m 3 /ha con il<br />

sistema <strong>di</strong> irrigazione per aspersione, e un po’ maggiore con quello per infiltrazione<br />

laterale. È necessario sospendere tempestivamente l’irrigazione prima della raccolta<br />

(almeno 15-20 giorni) per evitare un nuovo sviluppo fogliare che abbassi la<br />

concentrazione zuccherina della ra<strong>di</strong>ce per retrogradazione.<br />

Raccolta e utilizzazione<br />

La raccolta viene fatta in coincidenza con la ‘maturazione industriale’ della pianta,<br />

quando nella ra<strong>di</strong>ce si è accumulata la massima quantità <strong>di</strong> zucchero (verificata con<br />

analisi perio<strong>di</strong>che del titolo zuccherino). Con semina primaverile, l’epoca <strong>di</strong> raccolta è<br />

solitamente in settembre. Per ridurre le per<strong>di</strong>te del titolo zuccherino, è in<strong>di</strong>spensabile<br />

danneggiare il meno possibile le ra<strong>di</strong>ci e consegnarle con sollecitu<strong>di</strong>ne allo<br />

zuccherificio, poiché le ra<strong>di</strong>ci, anche dopo la raccolta, continuano a consumare gli<br />

zuccheri accumulati.<br />

La raccolta consiste nelle operazioni <strong>di</strong> scollettamento, cioè eliminazione<br />

me<strong>di</strong>ante taglio della parte superiore del corpo ra<strong>di</strong>cale (colletto) dove sono inserite le<br />

foglie (parte povera <strong>di</strong> zucchero e ricca <strong>di</strong> impurità che renderebbero <strong>di</strong>fficile la<br />

lavorazione industriale), estirpazione delle ra<strong>di</strong>ci dal terreno, pulitura e caricamento sui<br />

mezzi che trasporteranno le ra<strong>di</strong>ci allo zuccherificio. Queste operazioni, un tempo fatte<br />

a mano, vengono eseguite da macchine polivalenti (‘a cantieri riuniti’) o separate. Le<br />

147


seconde lavorano molto più velocemente, ma l’insieme <strong>di</strong> macchine necessarie è<br />

piuttosto costoso ed è <strong>di</strong> conveniente impiego solo nel caso <strong>di</strong> terreni pianeggianti e<br />

ampie superfici a bietola.<br />

La resa me<strong>di</strong>a italiana è <strong>di</strong> oltre 40 t/ha <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci contenenti il 16% <strong>di</strong> zucchero<br />

(pari a 6.5 t/ha <strong>di</strong> zucchero finito). Sono però frequenti rese più elevate, fino a 100 t/ha e<br />

con tenore <strong>di</strong> saccarosio fino al 20%.<br />

Le ra<strong>di</strong>ci scollettate vengono impiegate negli zuccherifici. Le foglie e i colletti<br />

possono essere utilizzati come foraggio, oppure interrati per contribuire a reintegrare la<br />

dotazione <strong>di</strong> sostanza organica del terreno. Dalla lavorazione industriale si ottengono<br />

dei sottoprodotti (polpe fresche esauste; polpe secche) che vengono utilizzati<br />

nell’alimentazione animale.<br />

Avversità e parassiti<br />

Tra le avversità <strong>di</strong> natura climatica, i ritorni <strong>di</strong> freddo dopo la semina possono essere<br />

dannosi in quanto favoriscono il fenomeno della prefioritura. Le gran<strong>di</strong>nate in<br />

prossimità della raccolta determinato invece una <strong>di</strong>minuzione dell’attività fotosintetica,<br />

con ripercussioni negative sull’accumulo <strong>di</strong> riserve zuccherine nella ra<strong>di</strong>ce.<br />

Tra i nemato<strong>di</strong>, quello che crea i maggiori problemi alla barbabietola da<br />

zucchero è il nematode cisticolo Heterodera schachtii, presente ormai in tutti i<br />

comprensori <strong>di</strong> coltivazione in maniera più o meno <strong>di</strong>ffusa. Tale parassita può vivere su<br />

numerose piante, sia coltivate che spontanee, appartenenti a famiglie assai <strong>di</strong>verse.<br />

Barbabietola e colza rappresentano però gli ospiti preferenziali, nei quali riesce a<br />

compiere uno sviluppo più rapido. Il nematode provoca alterazioni nelle cellule delle<br />

ra<strong>di</strong>ci preposte all’assorbimento, con conseguenti scompensi nutrizionali e forte<br />

riduzione nella produzione in peso della coltura. La femmina produce le uova,<br />

fuoriuscendo dai tessuti ra<strong>di</strong>cali solo con il corpo (trasformato in ovisacco) ma non con<br />

il capo, che rimane attaccato alla ra<strong>di</strong>ce, assumendo l’aspetto <strong>di</strong> una minuscola perlina<br />

bianca (in<strong>di</strong>cato anche come cisti bianca) (sl. 23/33) La coltura, nelle aree colpite,<br />

manifesta un minore sviluppo vegetativo, con appassimento delle foglie durante le ore<br />

calde della giornata. La lotta al nematode comprende ampie rotazioni, l’eliminazione<br />

scrupolosa delle malerbe ospiti durante tutta la rotazione, l’esclusione dalla rotazione<br />

delle colture ospiti (es. cavolo, colza, pomodoro), e l’anticipo della raccolta<br />

(raccomandabile su terreni infestati e soprattutto con varietà tra<strong>di</strong>zionali sensibili, sia<br />

per evitare un aggravarsi del danno economico che per limitare la moltiplicazione del<br />

parassita). Notevole contributo nella <strong>di</strong>fesa dal nematode cisticolo è fornito dal sovescio<br />

<strong>di</strong> Brassicaceae ad azione nematocida. In rotazione con la barbabietola si utilizzano<br />

varietà biocide <strong>di</strong> rafano e <strong>di</strong> senape. La selezione <strong>di</strong> genotipi <strong>di</strong> barbabietola da<br />

zucchero con doppia tolleranza al nematode cisticolo e alla rizomania ha raggiunto solo<br />

<strong>di</strong> recente interessanti risultati produttivi.<br />

L’entomofauna dannosa alla barbabietola da zucchero è rappresentata da<br />

numerose specie <strong>di</strong> insetti appartenenti a <strong>di</strong>versi or<strong>di</strong>ni. Alcune <strong>di</strong> queste specie sono<br />

particolarmente temibili, in quanto sono in grado <strong>di</strong> causare forti <strong>di</strong>radamenti <strong>degli</strong><br />

investimenti o abbondanti erosioni all’apparato ipogeo od epigeo della pianta, con<br />

conseguenti sensibili per<strong>di</strong>te quanti-qualitative (sl. 23/36). Le prime fasi <strong>di</strong> sviluppo<br />

sono quelle in cui la coltura è più sensibile: le plantule possono essere colpite da<br />

<strong>di</strong>fferenti fitofagi, taluni parassiti delle parti ipogee (es. elateri<strong>di</strong>: Agriotes sp.; sl. 23/40)<br />

altri della parte aerea (es. altica: Chaetocnema tibialis; sl. 23/38). Nelle fasi vegetative<br />

successive, la bietola può essere danneggiata sia nel fittone che nell’apparato fogliare.<br />

Gli attacchi al fittone sono normalmente dovuti a coleotteri Curculioni<strong>di</strong> (es. cleono:<br />

Conorrynchus men<strong>di</strong>cus; sl. 23/39) le cui larve scavano gallerie all’interno della ra<strong>di</strong>ce<br />

148


(con danni sia <strong>di</strong>retti che in<strong>di</strong>retti, in quanto punto <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amento <strong>di</strong> marciumi causati<br />

da funghi). Le foglie vengono colpite soprattutto da afi<strong>di</strong> (Aphis fabae, Myzus persicae;<br />

sl. 23/37), dannosi anche in<strong>di</strong>rettamente quali vettori <strong>di</strong> virus, e da lepidotteri (nottue:<br />

Autographa gamma, Mamestra brassicae, M. oleracea, Spodoptera esigua; sl. 23/42-<br />

43).<br />

Tra i funghi, la cercospora (Cercospora beticola; sl. 23/45) è la malattia che<br />

causa i maggiori danni alla bieticoltura italiana e a quella europea in generale. I paesi<br />

più colpiti sono quelli dell’Europa centro-meri<strong>di</strong>onale, dove sono necessari numerosi<br />

trattamenti per contrastare l’infezione (sl. 23/47). I primi sintomi, che si manifestano a<br />

livello della lamina fogliare delle foglie sviluppate, sono macchie <strong>di</strong> forma<br />

rotondeggiante, con un bordo marcato tendente al violaceo, mentre il centro della<br />

lesione, con il perdurare delle con<strong>di</strong>zioni climatiche favorevoli, <strong>di</strong>fferenzia una<br />

colorazione grigiastra. Le piccole macchie necrotiche tendono poi a confluire in aree più<br />

o meno ampie fino ad interessare sempre più la lamina fogliare che, infine, <strong>di</strong>ssecca<br />

assumendo una caratteristica colorazione scura. L’apparato fogliare originario finisce<br />

per essere completamente <strong>di</strong>strutto e la coltura si presenta molto sofferente e in grave<br />

stress (sl. 23/46). In questa fase colturale e con particolari con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> temperatura ed<br />

umi<strong>di</strong>tà relativa elevata, si innesca velocemente il fenomeno del ricaccio fogliare e la<br />

conseguente per<strong>di</strong>ta in zucchero. È necessario impiegare varietà tolleranti, soprattutto<br />

nei comprensori più a rischio, abbinando, comunque, un adeguato programma <strong>di</strong><br />

trattamenti basati sull’applicazione, non oltre la comparsa dei primi sintomi (1 o 2<br />

macchie isolate per foglia; sl. 23/48), dei formulati con maggiore attività, a base <strong>di</strong><br />

strobilurine e <strong>di</strong> triazoli in miscela.<br />

L’oi<strong>di</strong>o (Erysiphe betae) è una malattia presente ovunque si coltivi la<br />

barbabietola, ma è particolarmente grave nelle regioni adriatiche dell’Italia centrale e<br />

meri<strong>di</strong>onale. La malattia si manifesta su coltura autunnale già nel mese <strong>di</strong> maggio e su<br />

quella primaverile in giugno. Sulle pagine fogliari compare un’efflorescenza farinosa<br />

biancastra che dapprima ricopre piccole aree rotondeggianti, che costituiscono lo sta<strong>di</strong>o<br />

a stella (sl. 23/50). La lotta consiste nella tempestiva applicazione <strong>di</strong> trattamenti chimici<br />

a base <strong>di</strong> zolfo o <strong>di</strong> prodotti sistemici (triazoli, morfoline, strobilurine) <strong>di</strong>stribuiti alla<br />

comparsa dei primi sintomi.<br />

Lo sclerozio (Sclerotium rolfsii) è una tipica malattia dei climi caldo-ari<strong>di</strong>. In<br />

Italia ne sono interessati soprattutto i comprensori bieticoli meri<strong>di</strong>onali. La sua presenza<br />

nel centro e nord Italia è spora<strong>di</strong>ca ma in progressivo aumento. Le piante colpite da<br />

sclerozio presentano tutto il corpo ra<strong>di</strong>cale invaso da marciume (sl. 23/52), e pertanto<br />

non sono idonee per la trasformazione industriale. Attualmente, l’unica strategia <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fesa attuabile per contenere questa fitopatia è quella agronomica (avvicendamenti<br />

lunghi, eliminazione <strong>degli</strong> ospiti alternativi, lavorazione profonda, raccolta precoce).<br />

La rizottoniosi (Rhizoctonia solani var. betae) è <strong>di</strong>ffusa in tutte le aree bieticole<br />

nazionali, ma gli attacchi più frequenti si registrano nei terreni freschi della Valle<br />

Padana settentrionale. Sulle piante giovani compaiono imbrunimenti anulari nella zona<br />

del colletto, mentre su quelle adulte l’imbrunimento, talvolta unito a fessurazioni, si<br />

estende anche alla base dei piccioli. Successivamente, può registrarsi un forte<br />

avvizzimento della parte aerea fino ad arrivare alla per<strong>di</strong>ta totale <strong>di</strong> prodotto (sl. 23/54).<br />

I mezzi <strong>di</strong> lotta chimica non risultano efficaci, mentre esistono alcune varietà tolleranti.<br />

Tali materiali, che presentano anche una <strong>di</strong>screta tolleranza alla cercospora e alla<br />

rizomania, sono in<strong>di</strong>cati per raccolte tar<strong>di</strong>ve.<br />

La rizomania (Beet Necrotic Yellow <strong>Ve</strong>in Virus: BNYVV) è una malattia<br />

<strong>di</strong>ffusasi a partire dagli anni ‘60 nei comprensori settentrionali, ma ormai estesa in tutte<br />

le regioni bieticole nazionali (comprese vaste zone dell’area meri<strong>di</strong>onale a semina<br />

autunnale). Questa virosi, <strong>di</strong>ffusa da Polymyxa betae (un microrganismo<br />

149


plasmo<strong>di</strong>oforide, ubiquitario del terreno), è potenzialmente molto grave; infatti, se non<br />

vi fosse la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> genotipi tolleranti (unico mezzo <strong>di</strong> lotta ed ora ampiamente<br />

<strong>di</strong>ffusi nel mercato), la coltivazione della barbabietola da zucchero sarebbe resa<br />

impossibile, a causa della forte incidenza sulle produzioni quanti-qualitative. Il sintomo<br />

principale è la proliferazione abnorme <strong>di</strong> capillizio ra<strong>di</strong>cale sul fittone (sl. 23/56).<br />

Inoltre, la ra<strong>di</strong>ce colpita rimane piccola e mostra talvolta un marcato e netto<br />

restringimento nella parte caudale. Il fittone presenta imbrunimenti fibrovascolari più o<br />

meno intensi, dovuti all’invasione dei tessuti da parte del virus. I sintomi possono<br />

interessare anche l’apparato aereo manifestandosi con un rapido appassimento delle<br />

foglie, quando la pianta è in piena vegetazione, nei perio<strong>di</strong> siccitosi o durante le ore<br />

calde della giornata (sl. 23/57). Come detto, l’unica possibilità efficace <strong>di</strong> lotta è il<br />

ricorso alle varietà con tolleranza genetica al patogeno (varietà rizotolleranti, RT),<br />

ormai presenti nella totalità del panorama commerciale per la semina primaverile ed in<br />

buona misura per la semina autunnale.<br />

150


COLTURE ‘DA ENERGIA’<br />

Il Comitato Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) ha concluso che “il<br />

riscaldamento del sistema climatico è indubbio” e che “la maggior parte dell’aumento<br />

osservato nelle temperature me<strong>di</strong>e globali a partire dalla metà del XX secolo è molto<br />

probabilmente dovuto all’aumento osservato delle concentrazioni <strong>di</strong> gas ad effetto serra<br />

(GHG) <strong>di</strong> origine antropica”.<br />

Le conseguenze osservabili <strong>di</strong> tale riscaldamento sono l’aumento della frequenza<br />

e dell’intensità <strong>di</strong> eventi climatici estremi, una crescente siccità e lo scioglimento dei<br />

ghiacciai. Queste conseguenze del cambiamento climatico possono determinare gravi<br />

effetti su importanti settori <strong>di</strong> sussistenza come l’agricoltura – <strong>di</strong>minuendo fortemente la<br />

sicurezza alimentare e ostacolando la lotta alla povertà – ma anche sulla salute umana e<br />

sugli ecosistemi.<br />

Aumentare l’efficienza energetica e sviluppare ed utilizzare fonti energetiche più<br />

pulite e sostenibili sono approcci chiave per affrontare il cambiamento climatico. La<br />

bioenergia è emersa come un’alternativa ai combustibili fossili e viene promossa<br />

(spesso anche con la concessione <strong>di</strong> contributi) come fonte pulita <strong>di</strong> energia (sl. 24/6).<br />

In aggiunta all’impulso determinato dal cambiamento climatico, le crescenti<br />

preoccupazioni per la sicurezza energetica e i costi crescenti dei combustibili fossili<br />

stanno spingendo molti paesi a considerare i biocombustibili come un importante<br />

elemento delle proprie strategie energetiche.<br />

Con bioenergia ci si riferisce alla conversione della biomassa in forma liquida,<br />

solida o gassosa, a seconda della materia prima <strong>di</strong> base e della tecnologia impiegata, per<br />

la generazione <strong>di</strong> energia. L’energia contenuta nelle biomasse vegetali può essere<br />

convertita adottando processi termochimici, biologici o fisici. Il risultato finale, a parte<br />

il caso della combustione <strong>di</strong>retta, è un prodotto ad alta densità energetica, utilizzabile<br />

con maggiore facilità e flessibilità in successivi <strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> conversione energetica (sl.<br />

24/9-10).<br />

Le biomasse comprendono un ampia gamma <strong>di</strong> materiali vegetali che vanno<br />

dagli scarti urbani, forestali ed agricoli, a piante specificamente coltivate per produrre<br />

biocarburanti come il bioetanolo e il bio<strong>di</strong>esel. I residui agricoli possono essere <strong>di</strong> vario<br />

tipo: la principale sud<strong>di</strong>visione è tra i residui secchi (come la paglia o gli stocchi <strong>di</strong><br />

mais) e i residui umi<strong>di</strong> (come letame e liquami). Il contenuto <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà dei secon<strong>di</strong><br />

deve essere ridotto prima dell’eventuale combustione, o durante la combustione stessa,<br />

utilizzando in tal caso parte dell’energia prodotta e riducendo l’efficienza energetica<br />

complessiva. I residui colturali secchi delle colture da granella (non utili per<br />

l’alimentazione umana e <strong>di</strong> solito poco utilizzati anche per l’alimentazione del bestiame<br />

a causa del ridotto contenuto proteico e la scarsa <strong>di</strong>geribilità) potrebbero essere<br />

efficientemente utilizzati per la combustione.<br />

Le colture ‘da energia’ sono piante coltivate e raccolte per generare calore o<br />

elettricità me<strong>di</strong>ante la loro combustione, oppure per produrre biocombustibili (prodotti<br />

ad alta densità energetica) (sl. 24/12-16). Esse possono quin<strong>di</strong> essere utilizzate come<br />

biomasse, oppure per fornire uno specifico prodotto per una particolare applicazione<br />

energetica, <strong>di</strong>stinguendosi quin<strong>di</strong>, a seconda della destinazione d’uso, in colture da<br />

biomasse solide per la combustione, colture per la produzione <strong>di</strong> biocarburanti liqui<strong>di</strong> e<br />

colture per la produzione <strong>di</strong> biocarburanti gassosi (sl. 24/17).<br />

I biocombustibili soli<strong>di</strong> sono in primo luogo i materiali vegetali legnosi che<br />

possono essere utilizzati <strong>di</strong>rettamente come combustibile, ad esempio nelle tra<strong>di</strong>zionali<br />

stufe a legna. Milioni <strong>di</strong> persone nei paesi in via <strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong>pendono da questo tipo <strong>di</strong><br />

combustibili per i loro bisogni basilari <strong>di</strong> preparazione dei cibi e riscaldamento. In<br />

alcuni paesi dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia meri<strong>di</strong>onale, la quota <strong>di</strong> energia<br />

151


derivante dalle biomasse raggiunge anche il 90%. Il processo <strong>di</strong> combustione, per essere<br />

efficiente, richiede un materiale <strong>di</strong> partenza a bassa umi<strong>di</strong>tà. Pertanto le biomasse<br />

vegetali (cippato, residui vegetali), che inizialmente presentano il 60-70% <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà,<br />

vanno portate al 10-12% <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà, ottenendo così un prodotto ad alta densità<br />

energetica (sl. 24/21). Le specie utilizzabili per la produzione <strong>di</strong> biomassa sono<br />

potenzialmente molto numerose dato che, non essendo richieste particolari<br />

caratteristiche qualitative del prodotto, la principale valenza agronomica delle specie<br />

deve consistere nell’elevato tasso <strong>di</strong> crescita. Esse si <strong>di</strong>vidono generalmente in specie<br />

legnose e specie <strong>erbacee</strong> (sl. 24/24). Tra le prime, sono molto utilizzate il salice, il<br />

pioppo o la robinia, caratterizzate da alta produttività <strong>di</strong> biomassa e capacità <strong>di</strong> ricrescita<br />

dopo la ceduazione. La tendenza attuale per le <strong>coltivazioni</strong> energetiche legnose è <strong>di</strong><br />

aumentare la densità <strong>di</strong> impianto e ridurre l’intervallo <strong>di</strong> tempo tra i tagli. Possono<br />

essere praticate le gestioni definite come ‘Short Rotation Coppicing’ (SRC), o<br />

ceduazione a breve rotazione – in cui il prodotto viene raccolto ogni tre anni circa, ed è<br />

cippato <strong>di</strong>rettamente al momento della raccolta oppure dopo un periodo <strong>di</strong> asciugatura<br />

(sl. 24/34-35) – o ‘Short Rotation Forestry’ (SRF), che è più vicina ad una gestione<br />

forestale convenzionale ma su una scala temporale più breve (solitamente 8-20 anni).<br />

L’alta densità <strong>di</strong> impianto e la brevità del turno <strong>di</strong> utilizzazione consentono <strong>di</strong> ottenere<br />

rese produttive elevate con piante ancora relativamente piccole e sottili, che meglio si<br />

prestano alla raccolta meccanizzata.<br />

Tra le specie <strong>erbacee</strong>, possono essere utilizzate sia piante poliennali, come<br />

miscanto, canna comune (sl. 24/32-33), switchgrass (Panicum virgatum; sl. 24/29-31),<br />

etc., che piante annuali come mais, sorgo da fibra (sl. 24/26-28), girasole, colza, etc.<br />

Rispetto alle specie annuali, le perenni presentano vantaggi economici significativi,<br />

permettendo <strong>di</strong> ammortizzare i costi d’impianto (pari anche al 50% dell’energia totale<br />

spesa per la coltura) lungo l’intera durata della coltivazione. Le colture perenni, inoltre,<br />

presentano importanti vantaggi ecologici, tra cui il limitato bisogno <strong>di</strong> lavorazioni del<br />

terreno, riducendo i rischi <strong>di</strong> erosione, aumentando la bio<strong>di</strong>versità del suolo e il<br />

sequestro del carbonio. Grazie alla notevole rusticità delle specie perenni, queste hanno<br />

una bassa domanda <strong>di</strong> elementi nutritivi e un’alta resistenza a stress biotici ed abiotici.<br />

I biocombustibili liqui<strong>di</strong> sono usati per il riscaldamento, la cucina,<br />

l’illuminazione, i trasporti e la generazione <strong>di</strong> elettricità. Le forme più comuni sono il<br />

bioetanolo e il bio<strong>di</strong>esel.<br />

Il bioetanolo è un alcol ottenuto dalla fermentazione <strong>di</strong> prodotti agricoli ricchi <strong>di</strong><br />

carboidrati. Il risultato finale della fermentazione è un misto <strong>di</strong> acqua e alcol che deve<br />

essere separato attraverso la <strong>di</strong>stillazione (sl. 24/57-58). Per la sua produzione si<br />

utilizzano colture saccarifere, amilacee, o residui lignocellulosici. I materiali agricoli<br />

più usati sono la canna da zucchero e la granella <strong>di</strong> mais. L’amido contenuto nella<br />

granella deve essere idrolizzato in zuccheri semplici attraverso reazioni enzimatiche. La<br />

canna da zucchero è considerata la più efficiente specie vegetale per la produzione <strong>di</strong><br />

bioetanolo, sulla base della sua resa in biomassa, zuccheri e fibra. Switchgrass<br />

(Panicum virgatum), barbabietole, frumento, sorgo, scarti e residui <strong>di</strong> biomasse, e rifiuti<br />

soli<strong>di</strong> urbani possono essere tutti utilizzati come materie prime per la produzione <strong>di</strong><br />

bioetanolo. Il bioetanolo <strong>di</strong> seconda generazione sarà quello prodotto a partire dalla<br />

cellulosa ricavata da composti carboidrati complessi presenti in parti delle piante<br />

<strong>di</strong>verse dalla granella dei cereali. La ricerca sta cercando <strong>di</strong> mettere a punto trattamenti<br />

enzimatici e nuovi ceppi <strong>di</strong> lieviti per ottimizzare l’idrolisi e la fermentazione dei<br />

composti cellulosici complessi. <strong>Stu<strong>di</strong></strong> multi<strong>di</strong>sciplinari stanno contemporaneamente<br />

investigando la parete cellulare <strong>di</strong> alcune specie <strong>di</strong> grande potenziale per la produzione<br />

<strong>di</strong> bioetanolo (soprattutto il switchgrass), cercando <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficarne la composizione per<br />

massimizzare la conversione <strong>di</strong> cellulosa in etanolo.<br />

152


Il bioetanolo può essere utilizzato come carburante al posto della benzina (1 kg<br />

<strong>di</strong> benzina è pari a circa 1.64 kg <strong>di</strong> bioetanolo). Può essere impiegato come componente<br />

per benzine (migliorando le prestazioni in termini <strong>di</strong> ottani e <strong>di</strong> emissioni <strong>di</strong> scarico) in<br />

percentuali fino al 20% senza mo<strong>di</strong>ficare il motore, o in forma pura in appositi motori,<br />

come il Flex. In particolare, le miscele <strong>di</strong> benzina e bioetanolo a bassa percentuale <strong>di</strong><br />

quest’ultimo (fino al 10%, cioè fino alla ‘E10’, nota anche come gasohol, dove il<br />

numero a destra della ‘E’ in<strong>di</strong>ca la percentuale) possono essere usate dai normali motori<br />

a benzina. Me<strong>di</strong>ante reazione con isobutilene, dal bietanolo si può inoltre produrre<br />

ETBE (etil-tertiar-butil-etere), che può essere utilizzato come antidetonante nelle<br />

benzine in sostituzione del benzene o del MTBE (<strong>di</strong> origine minerale e potenzialmente<br />

nocivo per la salute).<br />

Il bio<strong>di</strong>esel è un carburante ottenuto dalla lavorazione <strong>degli</strong> oli estratti da alcune<br />

piante, come colza, girasole, soia, cartamo, ricino, etc (sl. 24/62, 65). In alcuni paesi,<br />

come ad esempio la Germania, si è molto <strong>di</strong>ffusa la coltura del colza per la produzione<br />

<strong>di</strong> bio<strong>di</strong>esel: questa specie ha una resa in olio (circa 37%) molto superiore a quella <strong>di</strong><br />

altre specie da seme adatte alla coltivazione in aree temperate come la soia (sl. 24/66).<br />

Anche i sottoprodotti dell’allevamento e della pesca possono fornire materie prime per<br />

la produzione <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>esel. Tuttavia, per ragioni legate a inefficienti tecnologie e<br />

insufficienti forniture, lo sfruttamento <strong>di</strong> questi settori richiede ulteriori sviluppi. La<br />

forma più comune <strong>di</strong> conversione <strong>degli</strong> oli in bio<strong>di</strong>esel è l’esterificazione con alcol<br />

metilico. Non tutti gli oli vegetali sono però adatti allo stesso modo per la conversione.<br />

Ciò <strong>di</strong>pende da fattori chimici come il grado <strong>di</strong> saturazione (numero <strong>di</strong> doppi legami<br />

nella molecola) e la tendenza dei doppi legami a formare perossi<strong>di</strong> con l’ossigeno<br />

atmosferico. L’impatto ambientale del bio<strong>di</strong>esel è notevolmente ridotto rispetto a quello<br />

del gasolio, grazie alla completa rinnovabilità della risorsa, alla biodegradabilità del<br />

prodotto, al bilancio positivo del carbonio (con riduzione dell’emissione <strong>di</strong> GHG), al<br />

bilancio positivo dell’energia in ingresso e in uscita dalla filiera, e alla migliore qualità<br />

delle emissioni da motori alimentati con bio<strong>di</strong>esel (minore presenza <strong>di</strong> PM10, benzene,<br />

alchibenzene, anidride solforosa, CO e metalli pesanti). Dal punto <strong>di</strong> vista tecnicoapplicativo,<br />

utilizzando il bio<strong>di</strong>esel in miscela dal 5% al 30% con il gasolio non è<br />

necessaria nessuna alterazione delle caratteristiche dei motori <strong>di</strong>esel, così come non è<br />

necessaria nessuna mo<strong>di</strong>fica per il funzionamento delle caldaie utilizzando l’olio<br />

estratto tal quale o il bio<strong>di</strong>esel puro. È possibile utilizzare l’olio tal quale anche in <strong>di</strong>esel<br />

veloci – me<strong>di</strong>ante apparecchiature in grado <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficarne viscosità e densità<br />

<strong>di</strong>rettamente sul mezzo –, in motori <strong>di</strong>esel lenti o in caldaie per la produzione <strong>di</strong> energia<br />

elettrica.<br />

Il biogas è la forma gassosa <strong>di</strong> biocombustibile, composto principalmente da<br />

metano (50-80%), ed è prodotto dalla <strong>di</strong>gestione anaerobica <strong>di</strong> sostanza organica (sl.<br />

24/46, 51-52). Questa sostanza può essere costituita da scarti agro-alimentari, come ad<br />

esempio i liqui-letami delle aziende zootecniche, ma i <strong>di</strong>gestori possono essere riforniti<br />

anche con colture energetiche in forma <strong>di</strong> insilati, come nel caso del mais, la cui coltura<br />

destinata ai <strong>di</strong>gestori si sta <strong>di</strong>ffondendo rapidamente (sl. 24/47, 53). Le biomasse<br />

vegetali con un elevato contenuto <strong>di</strong> proteine grezze, grassi, cellulosa ed emicellulosa<br />

sono particolarmente idonee a questo scopo. Il contenuto <strong>di</strong> fibra è invece poco<br />

interessante. La <strong>di</strong>gestione delle biomasse per la produzione <strong>di</strong> biogas si può<br />

sud<strong>di</strong>videre in tre fasi: la prima operata da microrganismi che idrolizzano, rendendolo<br />

solubile, il materiale organico <strong>di</strong> partenza; la seconda, operata sempre da microrganismi<br />

acidofili, consiste in un’ulteriore demolizione dei materiali (deidrogenazione,<br />

carbossilazione) fino ad arrivare ad una prevalenza <strong>di</strong> acido acetico; l’ultima fase<br />

consiste nella produzione <strong>di</strong> biogas (sl. 24/48). Tramite la <strong>di</strong>gestione biologica (un<br />

153


processo della durata <strong>di</strong> 20-40 giorni oltre al biogas si può produrre anche energia<br />

elettrica, grazie ad un co-generatore alimentato dallo stesso biogas (sl. 24/50).<br />

Alcune potenziali colture da biomassa per gli ambienti italiani<br />

Miscanto (Miscanthus giganteus)<br />

È una specie erbacea poliennale, <strong>di</strong> taglia alta (fino a 3.5 m), dai fusti piuttosto<br />

lignificati (sl. 24/38). Trattiene una larga parte dei nutrienti nell’ampio apparato<br />

rizomatoso e le necessità <strong>di</strong> nutrienti per la parte aerea sono ridotte. <strong>Di</strong> solito,<br />

l’applicazione <strong>di</strong> azoto non determina gran<strong>di</strong> benefici in termini <strong>di</strong> resa in biomassa. È<br />

una specie a ciclo fotosintetico C4 con alta efficienza <strong>di</strong> fissazione del carbonio e <strong>di</strong><br />

utilizzazione dell’acqua. È però una pianta esigente in termini <strong>di</strong> <strong>di</strong>sponibilità idriche,<br />

soprattutto se confrontata con la canna comune. Viene propagata per <strong>di</strong>visione dei<br />

rizomi, e la meccanizzazione delle operazioni <strong>di</strong> trapianto rappresenta un altro punto<br />

debole, essendo costosa e non ancora perfettamente a punto. Possono essere utilizzate<br />

trapiantatrici da patata, ma sono in via <strong>di</strong> sviluppo attrezzature specializzate. Si trapianta<br />

in primavera alla densità <strong>di</strong> 20000 piante/ha e cresce rapidamente sino a 1-2 m entro<br />

agosto. Negli anni seguenti, raggiunge altezze molto maggiori (2.5-3.5 m) e le rese<br />

crescono progressivamente nei primi 4-5 anni. La coltura può essere raccolta<br />

annualmente per 15-20 anni senza che si presenti la necessità <strong>di</strong> un reimpianto. Si<br />

raccoglie a fine inverno e le piante al momento della raccolta sono piuttosto secche<br />

(umi<strong>di</strong>tà relativa inferiore al 20%). La raccolta viene eseguita con una falciatrice da<br />

foraggi, la biomassa viene lasciata in andane per un’eventuale ulteriore asciugatura ed<br />

infine raccolta con una imballatrice da foraggi. Il miscanto entra in piena produzione<br />

soprattutto dal terzo anno in poi e la produzione me<strong>di</strong>a annua <strong>di</strong> sostanza secca è<br />

piuttosto elevata (fino a 14 t/ha), pari o superiore a quella del sorgo e inferiore soltanto a<br />

quella della canna. Il valore calorifico del miscanto è leggermente inferiore a quello<br />

delle colture legnose e il contenuto in ceneri è piuttosto alto (fino al 14%); la biomassa è<br />

inoltre caratterizzata da un elevato contenuto in silice.<br />

Canna comune (Arundo donax)<br />

La canna è senz’altro la specie da energia più produttiva tra quelle sperimentate<br />

nell’ambiente me<strong>di</strong>terraneo. È una pianta erbacea perenne dal fusto lungo, cavo e<br />

robusto, che forma dense macchie in terreni umi<strong>di</strong>, lungo gli argini <strong>di</strong> fiumi e stagni, ma<br />

anche sui margini dei campi coltivati e sulle dune sabbiose. Presenta un ciclo C3 con<br />

una inusuale elevata capacità fotosintetica. Dato il suo ritmo <strong>di</strong> crescita molto elevato, la<br />

canna può essere un’ottima fonte <strong>di</strong> biomassa per uso combustibile e <strong>di</strong> cellulosa per<br />

l’industria della carta. Ha un profondo apparato ra<strong>di</strong>cale, molto più sviluppato <strong>di</strong> quelli<br />

del sorgo o del miscanto, che consente <strong>di</strong> ottenere alte rese unitarie anche in con<strong>di</strong>zioni<br />

asciutte. La canna raggiunge la maturità (5-6 m <strong>di</strong> altezza) rapidamente (circa un anno)<br />

e, a seconda del clima, può essere raccolta da una a tre volte all’anno. <strong>Pro</strong>duce una<br />

me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> circa 25-28 t/ha annue <strong>di</strong> sostanza secca e può essere raccolta per 20-25 anni<br />

senza necessità <strong>di</strong> sostituire l’impianto. La tecnica colturale non presenta particolari<br />

<strong>di</strong>fficoltà (normale aratura o ripuntatura, facoltativamente accompagnata da una<br />

concimazione <strong>di</strong> fondo <strong>di</strong> 100 kg/ha <strong>di</strong> P2O5) se non per la necessità <strong>di</strong> propagare<br />

vegetativamente le piante a causa della sterilità del seme. Per la messa a <strong>di</strong>mora delle<br />

piante si impiegano comunemente porzioni <strong>di</strong> rizoma dotate <strong>di</strong> almeno una gemma e<br />

con un peso minimo <strong>di</strong> 200 g, oppure fusti maturi (> 2 anni <strong>di</strong> età) interrati me<strong>di</strong>ante<br />

l’ausilio <strong>di</strong> piante trapiantatrici. I rizomi vengono interrati a fine inverno-inizio<br />

154


primavera, mentre il fusto può essere trapiantato all’inizio dell’inverno. La densità<br />

d’impianto che ha dato i migliori risultati produttivi è <strong>di</strong> 20000 piante/ha. La canna<br />

comune richiede al massimo un trattamento erbicida <strong>di</strong> post-emergenza solo nel primo<br />

anno, essendo in genere fortemente competitiva contro le infestanti. La fertilizzazione<br />

azotata determina un sostanziale miglioramento della sostanza secca prodotta, ma il suo<br />

effetto tende a scomparire nel tempo.<br />

Switchgrass (Panicum virgatum)<br />

È una specie nativa e <strong>di</strong>ffusa negli USA (soprattutto in Kansas, Oklahoma e Texas),<br />

perenne e rizomatosa, a taglia alta (60-150 cm) a portamento eretto. Si <strong>di</strong>stinguono due<br />

forme: una a rizomi lunghi e a cespi aperti, frequente in terreni pesanti in aree collinari;<br />

l’altra a cotico più denso, <strong>di</strong>ffusa in suoli più sciolti. Resiste bene alla siccità e al freddo.<br />

Cardo mariano (Sylibum marianum)<br />

Il cardo è una specie erbacea spinosa, comune negli ambienti me<strong>di</strong>terranei dove è<br />

considerata una temibile infestante dei pascoli per la sua competitività nei confronti <strong>di</strong><br />

specie più pabulari. La sua rusticità e il suo tasso <strong>di</strong> accrescimento lo rendono però una<br />

specie interessante per la produzione <strong>di</strong> biomassa in asciutto, soprattutto nei terreni<br />

marginali o abbandonati. Una recente sperimentazione condotta in Sardegna ha<br />

<strong>di</strong>mostrato che il cardo mariano è in grado <strong>di</strong> fornire una produzione <strong>di</strong> biomassa<br />

superiore a quella <strong>di</strong> cereali e foraggere in un ambiente con piovosità <strong>di</strong> 420 mm dalla<br />

semina alla raccolta (quasi 20 t/ha <strong>di</strong> biomassa all’85% <strong>di</strong> sostanza secca), con un<br />

bilancio energetico netto <strong>di</strong> quasi 300 GJ/ha. Questo output energetico è inferiore a<br />

quello ottenibile con la canna comune o il sorgo, ma il suo rapporto output/input <strong>di</strong><br />

energia è risultato nettamente superiore a quelli delle altre due specie.<br />

Bioenergia e biocarburanti: opportunità e rischi<br />

Secondo una parte <strong>di</strong> esperti, l’energia generata dalle biomasse vegetali sarebbe ‘carbon<br />

neutral’, perché la CO2 rilasciata nei processi <strong>di</strong> trasformazione è la stessa assorbita<br />

dalle piante attraverso la fotosintesi. Altri hanno invece sollevato alcune importanti<br />

questioni etiche ed ambientali. In particolare, è stata rilevata con attenzione e<br />

preoccupazione la rapida crescita dei prezzi <strong>di</strong> certe colture dovuta anche all’espansione<br />

globale dei biocarburanti a spese della produzione <strong>di</strong> cibo. Le cause dei recenti aumenti<br />

dei prezzi delle derrate alimentari sono complesse, e includono fattori come l’aumento<br />

della richiesta da parte <strong>di</strong> paesi in rapida crescita economica (in particolare la Cina); gli<br />

scarsi raccolti causati da eventi climatici; l’uso <strong>di</strong> colture alimentari per la produzione <strong>di</strong><br />

biocarburanti (es. il mais per il bioetanolo); i più alti prezzi dell’energia e dei<br />

fertilizzanti; le scarse riserve mon<strong>di</strong>ali; le restrizioni alle esportazioni imposte da alcuni<br />

importanti paesi produttori per <strong>di</strong>fendere i loro mercati interni; il controllo dei prezzi <strong>di</strong><br />

mercato <strong>di</strong> alcuni prodotti agricoli – come i cereali e la soia – da parte dell’industria<br />

‘finanziaria’ che specula sui contratti <strong>di</strong> acquisto <strong>di</strong> questi ‘beni’.<br />

Preoccupazioni ambientali<br />

Esiste un notevole <strong>di</strong>battito sulle <strong>di</strong>mensioni delle emissioni <strong>di</strong>rette ed in<strong>di</strong>rette <strong>di</strong> GHG<br />

con i biocombustibili, ed è ancora controverso se essi (soprattutto quelli <strong>di</strong> prima<br />

generazione) determinino dei benefici netti in termini <strong>di</strong> GHG. Tuttavia, è plausibile<br />

attendersi che la coltivazione intensiva <strong>di</strong> colture ‘energetiche’ produca effetti<br />

155


ambientali negativi sul suolo e sull’acqua delle aree coltivate, e causi una maggiore<br />

deforestazione e una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità. Le <strong>di</strong>sposizioni in ambito agricolo a livello<br />

locale, nazionale e sovranazionale dovranno considerare i rapporti costi-benefici tra la<br />

necessità <strong>di</strong> ottenere rese superiori e quella del mantenimento dell’ambiente e della<br />

bio<strong>di</strong>versità.<br />

Alcune pratiche agronomiche con effetti negativi sono: i) la rimozione dei<br />

residui colturali, impiegati nella co-generazione <strong>di</strong> energia, con peggioramento della<br />

struttura del terreno, aumento dell’erosione e riduzione della sostenibilità<br />

dell’ecosistema; ii) il massiccio ricorso all’irrigazione per le colture ‘energetiche’<br />

de<strong>di</strong>cate, con <strong>di</strong>minuzione della <strong>di</strong>sponibilità idrica complessiva; iii) le piantagioni<br />

estensive <strong>di</strong> colture come la palma da olio nel sud-est asiatico o della soia in<br />

Sudamerica, con <strong>di</strong>struzione delle foreste e <strong>di</strong>minuzione della bio<strong>di</strong>versità.<br />

L’espansione agricola rappresenta circa il 70-90% dell’eliminazione globale <strong>di</strong><br />

copertura forestale, e circa il 15-18% del totale <strong>di</strong> emissioni <strong>di</strong> GHG è a carico del<br />

cambiamento nell’uso dei suoli indotto dall’agricoltura. Dal 1990, la superficie coltivata<br />

a commo<strong>di</strong>ties come soia, canna da zucchero, palma da olio, mais e colza è cresciuta del<br />

38%, mentre è <strong>di</strong>minuita l’area destinata a colture <strong>di</strong> primaria importanza per<br />

l’alimentazione globale, quali riso e frumento.<br />

La vali<strong>di</strong>tà dei biocombustibili per la mitigazione del cambiamento climatico<br />

<strong>di</strong>pende dalla riduzione <strong>di</strong> emissioni <strong>di</strong> GHG e dal loro costo a confronto con quello<br />

delle attuali con<strong>di</strong>zioni. L’etanolo prodotto dalla canna da zucchero e i biocarburanti <strong>di</strong><br />

seconda generazione possono realizzare una <strong>di</strong>minuzione dei GHG rispetto ai prodotti<br />

petroliferi, ma alcune colture, come il mais, non consentono gli stessi risultati, perché la<br />

loro produzione richiede massicci input basati sui combustibili fossili.<br />

La ricerca potrà contribuire a ridurre questi squilibri, ad esempio aumentando le<br />

rese per unità <strong>di</strong> superficie, riducendo il fabbisogno <strong>di</strong> input, ottimizzando i meto<strong>di</strong><br />

colturali, o aumentando l’efficienza <strong>di</strong> trasformazione della materia prima in<br />

combustibile. Non<strong>di</strong>meno, le emissioni associate con il cambiamento <strong>di</strong> utilizzazione<br />

dei terreni e la deforestazione contribuirebbero ancora negativamente al bilancio dei<br />

GHG.<br />

Preoccupazioni <strong>di</strong> sicurezza alimentare<br />

L’insicurezza alimentare è il mancato accesso fisico ed economico delle persone ad un<br />

cibo sicuro, nutriente e culturalmente accettabile in misura sufficiente da sod<strong>di</strong>sfare i<br />

loro bisogni <strong>di</strong>etetici. La sicurezza alimentare è una delle principali preoccupazioni che<br />

accompagnano l’uso dei biocombustibili. La produzione <strong>di</strong> materie prime per i<br />

biocombustibili compete per terra, acqua e fertilizzanti con la produzione <strong>di</strong> cibo, fibre e<br />

legname. Colture agrarie utilizzate come combustibili e terreni agricoli impiegati per<br />

l’impianto <strong>di</strong> colture da energia possono determinare un aumento dell’insicurezza<br />

alimentare. Oltre 2 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> persone vivono con un red<strong>di</strong>to <strong>di</strong> meno <strong>di</strong> 2 USD al<br />

giorno, e un aumento dei prezzi <strong>degli</strong> alimenti aumenterebbe con tutta probabilità la loro<br />

insicurezza alimentare: è stato stimato che per ogni punto percentuale <strong>di</strong> aumento del<br />

costo attuale <strong>degli</strong> alimenti aumenta l’insicurezza alimentare <strong>di</strong> 16 milioni <strong>di</strong> persone.<br />

La crescente domanda per colture da materie prime, come ad esempio il mais, ha<br />

contribuito alla volatilità dei prezzi agricoli mon<strong>di</strong>ali, soprattutto nel settore dei cereali.<br />

A queste pressioni sui mercati agricoli globali e sui prezzi si sommano altri fattori<br />

negativi per la <strong>di</strong>sponibilità complessiva dei prodotti agricoli, quali la ricchezza<br />

crescente delle economie emergenti – che causa lo spostamento delle preferenze<br />

alimentari da alimenti base tra<strong>di</strong>zionali ad alimenti <strong>di</strong> derivazione animale (carne e latte)<br />

– e il cambiamento climatico con il suo impatto sulla produttività agricola.<br />

156


COLTURE FORAGGERE<br />

I foraggi sono prodotti vegetali non utilizzabili per l’alimentazione umana né,<br />

solitamente, per usi industriali, ma adatti all’alimentazione <strong>degli</strong> erbivori. Si<br />

<strong>di</strong>fferenziano dagli alimenti concentrati (es. granelle <strong>di</strong> cereali) per la loro minore<br />

<strong>di</strong>geribilità e più basso contenuto <strong>di</strong> nutrienti Le colture foraggere sono le formazioni<br />

vegetali che producono i foraggi.<br />

La maggior parte delle piante foraggere appartiene alle famiglie delle<br />

graminacee e delle leguminose, sebbene specie <strong>erbacee</strong> appartenenti ad altre famiglie<br />

(es. crucifere o chenopo<strong>di</strong>acee) possano essere utilizzate come alimenti per il bestiame.<br />

Le piante foraggere vivono spesso allo stato spontaneo, in prati incolti, ai bor<strong>di</strong> delle<br />

foreste, o lungo strade e canali. Da tempi più o meno remoti vengono però anche<br />

coltivate con il preciso scopo <strong>di</strong> produrre foraggi per gli animali. I foraggi possono<br />

essere utilizzati sul posto (pascolamento), oppure possono essere raccolti per essere<br />

utilizzati altrove, allo stato fresco oppure conservati, sotto forma <strong>di</strong> fieno o <strong>di</strong> insilato.<br />

La caratteristica della quasi totalità delle foraggere, ad eccezione <strong>di</strong> quelle<br />

utilizzate come erbaio a taglio unico, è la loro vivacità, cioè il fenomeno grazie al quale<br />

esse sono in grado <strong>di</strong> ricrescere (ricacciare) dopo l’utilizzazione (sfalcio o<br />

pascolamento). Questa capacità è presente nelle foraggere dotate <strong>di</strong> particolari strutture<br />

morfo-fisiologiche basali, definite corona e cespo, rispettivamente, per le leguminose e<br />

le graminacee (sl. 25/11-12). Queste strutture funzionano come organi <strong>di</strong> deposito delle<br />

sostanze <strong>di</strong> riserva, il cui accumulo avviene in particolare verso la fine del ciclo<br />

vegetativo. Dopo aver asportato la biomassa epigea con lo sfalcio, le sostanze <strong>di</strong> riserva<br />

accumulate nelle strutture della corona o del cespo si mobilizzano, inducendo la<br />

<strong>di</strong>fferenziazione delle cellule meristematiche in nuovi culmi o steli.<br />

Tipi <strong>di</strong> foraggi<br />

Nella storia dell’umanità, una delle prime forme <strong>di</strong> attività agricola è stata la pastorizia,<br />

e tuttora gran parte <strong>degli</strong> erbivori allevati nel mondo viene alimentata con i foraggi<br />

prodotti nelle formazioni vegetali naturali. Più tar<strong>di</strong>, in particolare nel mondo<br />

occidentale, l’allevamento <strong>degli</strong> animali domestici ha subito profonde innovazioni, tra le<br />

quali sono da ricordare: il ricovero stagionale o permanente <strong>degli</strong> animali; la<br />

conservazione <strong>di</strong> parte del foraggio per far fronte ai momenti <strong>di</strong> scarsità; l’incremento<br />

della produttività dei cotici naturali attraverso interventi agronomici; l’inserimento <strong>di</strong><br />

specie foraggere negli or<strong>di</strong>namenti colturali, trasformandole così in colture foraggere.<br />

In Italia le colture foraggere vengono <strong>di</strong>stinte, a seconda della loro durata, nelle<br />

seguenti categorie (sl. 25/16, 18):<br />

- Foraggere permanenti, sono i cotici a durata illimitata o comunque superiore a 10<br />

anni, in genere costituiti da una vegetazione composta da specie spontanee, vivaci o<br />

autoriseminanti. Questi aspetti portano a considerare queste formazioni come naturali.<br />

In questa tipologia sono annoverati i prati stabili, non alternati nel tempo con altre<br />

colture.<br />

- Foraggere avvicendate, sono quelle che si seminano ed entrano in rotazione con altre<br />

colture. Possono avere durata inferiore ad un anno (erbai) o <strong>di</strong> più anni (prati): questi<br />

ultimi, a loro volta, possono essere costituiti da una sola specie o da più specie<br />

consociate. Si hanno cosi i prati monofiti, se l’impianto è fatto con una sola specie (es.<br />

erba me<strong>di</strong>ca, trifoglio bianco, sulla, etc. tra le leguminose, o festuca, dattile, etc. tra le<br />

graminacee perenni), polifiti se costituiti da numerose specie, o oligofiti se l’impianto è<br />

costituito da un numero limitato <strong>di</strong> specie (2-3). I prati possono essere asciutti oppure<br />

157


irrigui. Questi ultimi possono essere ad irrigazione tipicamente estiva, oppure ad<br />

irrigazione invernale (marcite) con funzione termoregolatrice (una volta tipici della<br />

foraggicoltura padana, ma oggi largamente in <strong>di</strong>suso).<br />

Per il modo <strong>di</strong> utilizzazione del foraggio, i prati, il cui foraggio prodotto viene<br />

sfalciato per essere consumato altrove, si <strong>di</strong>stinguono dai pascoli, che rappresentano i<br />

cotici foraggeri più estensivi, solitamente permanenti ed utilizzati <strong>di</strong>rettamente dal<br />

bestiame, e dai prati-pascoli, costituiti da foraggere permanenti, il cui ricaccio<br />

primaverile, producendo una massa abbondante, può essere sfalciato e conservato per<br />

costituire delle scorte per i perio<strong>di</strong> meno produttivi del cotico, mentre i ricacci<br />

successivo vengono utilizzati me<strong>di</strong>ante pascolamento.<br />

Gli erbai, come in<strong>di</strong>cato, sono caratterizzati dalla brevità del ciclo colturale<br />

(inferiore ad un anno). Si <strong>di</strong>cono annuali quando nell’avvicendamento occupano il<br />

posto <strong>di</strong> una coltura annuale (mais trinciato o cereali vernini), o intercalari se la loro<br />

coltivazione viene inserita tra una coltura principale e l’altra dell’avvicendamento. A<br />

secondo della stagione in cui svolgono il loro ciclo si <strong>di</strong>stinguono in:<br />

• erbai autunno-vernini (detti anche autunno-primaverili): sono quelli seminati in<br />

autunno e raccolti in primavera (es. cereali microtermi, loiessa);<br />

• erbai primaverili: seminati a fine inverno e raccolti a maggio-giugno (es. avenaveccia-pisello);<br />

• erbai primaverili-estivi: sono i classici erbai annuali (mais o sorgo trinciati);<br />

• erbai estivi: sono quelli a semina estiva dopo aver raccolto la coltura principale (es.<br />

granturchino).<br />

Tendenza della foraggicoltura italiana<br />

Negli ultimi anni, la foraggicoltura nazionale ha fatto registrato una grande evoluzione,<br />

conseguente ai profon<strong>di</strong> mutamenti avvenuti a <strong>di</strong>versi livelli (tecnici, economici,<br />

sociali), a seguito della quale si sono registrati:<br />

• Un aumento del consumo <strong>di</strong> alimenti concentrati. Negli animali ad alta genealogia<br />

dalle elevate prestazioni (sia monogastrici che poligastrici), la principale fonte<br />

energetica è sempre più rappresentata dai cereali da granella, mentre come integratori<br />

proteici sono utilizzati i panelli o le farine <strong>di</strong> estrazione, in particolare <strong>di</strong> soia e <strong>di</strong><br />

girasole.<br />

• Un’espansione <strong>degli</strong> erbai annuali. La tecnologia ha permesso a questo tipo <strong>di</strong> colture<br />

un balzo produttivo consistente e la produzione <strong>di</strong> un foraggio facilmente conservabile<br />

tramite insilamento; con il mais in primo raccolto, si totalizzano imponenti quantità <strong>di</strong><br />

U.F. per unità <strong>di</strong> superficie, superiori a qualsiasi altra coltura estiva.<br />

• Una riduzione del consumo <strong>di</strong> fieno. Questo prodotto, che una volta era il solo<br />

alimento conservato, entra attualmente nella razione in quantità ridotta, sostituito in<br />

gran parte dai foraggi <strong>di</strong> cereali insilati. Il fieno entra nella razione alimentare <strong>di</strong> una<br />

vacca da latte solo come alimento apportatore <strong>di</strong> fibra lunga, necessaria per un buon<br />

funzionamento del sistema <strong>di</strong> ruminazione. Il fieno <strong>di</strong> erba me<strong>di</strong>ca ha conservato<br />

notevole importanza anche come alimento principale soltanto nella zona <strong>di</strong> produzione<br />

del Parmigiano-Reggiano, dove l’uso <strong>degli</strong> insilati è vietato dal <strong>di</strong>sciplinare (per evitare<br />

possibili interferenze negative con la qualità del formaggio).<br />

• Una riduzione delle superfici a prati avvicendati. Gli investimenti a queste colture si<br />

sono largamente ri<strong>di</strong>mensionati per la riduzione del consumo <strong>di</strong> fieno negli allevamenti<br />

specializzati da latte, anche come conseguenza del cambio del sistema <strong>di</strong> alimentazione.<br />

Il piatto unico (unifeed) ha generalmente soppiantato altri sistemi <strong>di</strong> alimentazione come<br />

la foraggiata verde. Come conseguenza <strong>di</strong> tali scelte, ad esempio, la coltura del prato<br />

monofita <strong>di</strong> la<strong>di</strong>no è praticamente scomparsa. I problemi <strong>di</strong> approvvigionamento<br />

158


proteico derivanti dalla comparsa della BSE (con conseguente <strong>di</strong>vieto delle farine <strong>di</strong><br />

origine animale) potrebbe portare ad una nuova <strong>di</strong>ffusione dei prati <strong>di</strong> leguminose, in<br />

quanto fonti proteiche ‘sicure’, sotto forma <strong>di</strong> fieno o foraggio <strong>di</strong>sidratato.<br />

Qualità dei foraggi<br />

I foraggi costituiscono da sempre la base alimentare <strong>degli</strong> animali domestici, ed in<br />

particolare dei ruminanti. Il loro contributo non si limita all’apporto <strong>di</strong> sostanze nutritive<br />

(carboidrati, proteine, minerali e vitamine), ma anche all’apporto <strong>di</strong> fibra ‘strutturata’<br />

molto importante per garantire le funzioni motorie del rumine. Per sfruttare a pieno i<br />

principi nutritivi contenuti nei foraggi, è necessario conoscere le caratteristiche<br />

specifiche del prodotto, in quanto esse ne determinano le possibilità <strong>di</strong> impiego<br />

nell’alimentazione zootecnica. Nella valutazione <strong>degli</strong> alimenti zootecnici assume<br />

quin<strong>di</strong> un’importanza fondamentale la determinazione <strong>di</strong>:<br />

• Valore energetico. Per questo parametro occorre conoscere la composizione chimica<br />

dei foraggi. I nutrienti che apportano energia sono l’amido, gli zuccheri, le proteine e i<br />

polisaccari<strong>di</strong> non amilacei. La quantità <strong>di</strong> energia contenuta nei foraggi <strong>di</strong>pende dalla<br />

quantità e, soprattutto, della qualità della sostanza organica <strong>di</strong> cui sono costituiti, ed in<br />

particolare dalla qualità della fibra. L’energia presente in un foraggio viene espressa in<br />

Unità Foraggere (sl. 25/40).<br />

• Fibra. Rappresenta l’insieme dei costituenti della parete cellulare (pectine,<br />

emicellulose, cellulose, lignina, etc.), mentre all’interno della cellula si trovano i<br />

costituenti del contenuto cellulare, tutti altamente <strong>di</strong>geribili (zuccheri solubili, amido,<br />

amminoaci<strong>di</strong> e proteine, sostanze <strong>di</strong> natura lipi<strong>di</strong>ca), oltre ad acqua, minerali e vitamine.<br />

Le frazioni fibrose della parete cellulare dei vegetali assicurano rigi<strong>di</strong>tà,<br />

sostegno e protezione alle singole cellule. Queste frazioni tendono ad aumentare con<br />

l’avanzamento <strong>di</strong> maturazione della vegetazione, mentre parallelamente <strong>di</strong>minuisce la<br />

<strong>di</strong>geribilità del foraggio, poiché la struttura fibrosa è sempre più lignificata e ciò limita<br />

l’efficacia <strong>degli</strong> enzimi cellulosolitici del rumine. A causa <strong>di</strong> questo, <strong>di</strong>minuisce quin<strong>di</strong><br />

l’assimilazione dei principi nutritivi presenti all’interno della parete cellulare. Il più<br />

comune sistema <strong>di</strong> valutazione dei foraggi (Van Soest) è basato sulla quantificazione<br />

delle frazioni fibrose. In particolare, vengono determinate le frazioni definite:<br />

– NDF (fibra neutro-detersa), ovvero fibra insolubile al detergente neutro, è la<br />

quantità <strong>di</strong> materiale che rimane dopo aver bollito un campione <strong>di</strong> alimento in una<br />

soluzione al detergente neutro: il residuo è costituito da tutti i componenti della parete<br />

cellulare, cioè emicellulose più cellulosa, lignina e una quantità variabile <strong>di</strong> silice, che<br />

costituiscono l’ADF (ve<strong>di</strong> sotto). Il valore <strong>di</strong> NDF è quello che riveste la maggiore<br />

importanza ai fini della capacità <strong>di</strong> ingestione, in quanto rappresenta con buona<br />

approssimazione una stima della parete cellulare e, quin<strong>di</strong>, dell’‘ingombro’<br />

rappresentato dal foraggio all’ingestione.<br />

– ADF (fibra acido-detersa), o fibra insolubile al detergente acido, è la quantità<br />

<strong>di</strong> materiale che rimane dopo aver bollito un campione <strong>di</strong> alimento in una soluzione al<br />

detergente acido: come detto, il residuo è costituito principalmente da cellulosa, lignina<br />

e silice. La sua quota rappresenta il dato maggiormente correlato all’energia e alla<br />

<strong>di</strong>geribilità dell’alimento.<br />

– ADL, che rappresenta il complesso <strong>di</strong> sostanze in<strong>di</strong>geribili (composti fenolici)<br />

che costituiscono la lignina.<br />

159


• Contenuto proteico. Il contenuto <strong>di</strong> proteine costituisce l’aspetto più qualificante <strong>di</strong> un<br />

foraggio. Le proteine sono sostanze organiche costituite da amminoaci<strong>di</strong>, che formano<br />

lunghe catene con legami detti pepti<strong>di</strong>ci. Esse sono una componente fondamentale della<br />

materia organica e rivestono un ruolo basilare per il funzionamento cellulare e per la<br />

trasmissione delle informazioni genetiche. Gli animali costruiscono le proteine<br />

necessarie all’organismo trasformando in amminoaci<strong>di</strong> le proteine assunte con<br />

l’alimentazione, per poi ricombinarli nelle proteine necessarie seguendo le informazioni<br />

fornite dal proprio DNA, per mezzo della sintesi proteica. Alcuni amminoaci<strong>di</strong> vengono<br />

sintetizzati <strong>di</strong>rettamente dall’organismo. Otto amminoaci<strong>di</strong> non sono però prodotti dagli<br />

animali e devono essere perciò assunti con l’alimentazione (e per tale ragione vengono<br />

denominati essenziali): leucina, isoleucina, valina, lisina, treonina, metionina,<br />

fenilalanina e triptofano. Per gli animali in accrescimento (compresi i bambini) risultano<br />

essenziali anche arginina e isti<strong>di</strong>na.<br />

• Fattori antinutrizionali. Possono essere eventualmente presenti negli alimenti e tale<br />

presenza, anche se modesta, può danneggiare la salute <strong>degli</strong> animali e/o le loro<br />

produzioni, in misura anche rilevante. Tra i più comuni fattori antinutrizionali si<br />

possono ricordare gli isoflavoni ad attività estrogenica (es. formononetina in trifoglio<br />

sotterraneo), che alterano la funzionalità <strong>degli</strong> organi riproduttivi; i glucosi<strong>di</strong><br />

cianogenici (presenti in sorgo e in trifoglio bianco), che sono tossici; le saponine, che<br />

sono glucosi<strong>di</strong> triterpenici, presenti ad esempio in erba me<strong>di</strong>ca, che possono alterare<br />

l’assimibilità intestinale <strong>degli</strong> alimenti; i tannini (presenti in sulla, ginestrino, fava, etc.)<br />

che possono interferire con la <strong>di</strong>geribilità proteica; o le micotossine che, come già visto,<br />

derivano dall’attività <strong>di</strong> alcuni funghi sulle cariossi<strong>di</strong> dei cereali e possono causare gravi<br />

patologie.<br />

A mano a mano che le foraggere prative si sviluppano e maturano, soprattutto<br />

nel corso del primo ciclo vegetativo primaverile, la proporzione <strong>di</strong> foglie o lamine<br />

fogliari <strong>di</strong>minuisce a favore dello stelo, o dell’insieme culmo-guaina nelle graminacee.<br />

A questo è associato un calo del contenuto <strong>di</strong> acqua della pianta e, soprattutto, una<br />

<strong>di</strong>minuzione del valore nutritivo del foraggio, al quale spesso si associa anche un calo<br />

dell’appetibilità del prodotto. La quantità <strong>di</strong> sostanza secca prodotta ad ettaro è massima<br />

allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> piena fioritura per le leguminose e <strong>di</strong> piena spigatura per le graminacee,<br />

ma quella delle Unità Foraggere Latte è massima imme<strong>di</strong>atamente prima dell’inizio dei<br />

processi <strong>di</strong> fioritura e spigatura.<br />

I ruminanti, nel corso <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> anni, hanno sviluppato un perfetto<br />

adattamento che ha permesso loro <strong>di</strong> attaccare, tramite enzimi cellulosolitici, i legami<br />

chimici (β-glucosi<strong>di</strong>ci) delle componenti fibrose dei vegetali, riuscendo così non solo a<br />

<strong>di</strong>gerire i carboidrati strutturali (componenti delle pareti cellulari), ma anche ad<br />

assimilare le sostanze presenti all’interno delle cellule, altrimenti inutilizzabili. Il<br />

rumine può essere considerato un fermentatore, in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> anaerobiosi, nel quale<br />

sono presenti quantità rilevanti <strong>di</strong> batteri. L’alimentazione <strong>di</strong> un ruminante deve<br />

assicurare il mantenimento <strong>di</strong> un certo equilibrio nella popolazione <strong>di</strong> questi<br />

microorganismi, per garantire l’espletamento al meglio delle potenzialità produttive<br />

<strong>degli</strong> animali allevati. Per questo, soprattutto i bovini necessitano <strong>di</strong> una quota <strong>di</strong> fibra<br />

<strong>di</strong>geribile strutturata, in assenza della quale verrebbero meno gli stimoli riflessi della<br />

ruminazione. Senza fibra, i batteri cellulosolitici non si svilupperebbero più e la<br />

conseguenza sarebbe l’impossibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>gerire le frazioni fibrose delle cellule vegetali.<br />

Se non riceve una sufficiente quantità <strong>di</strong> alimenti a fibra stutturata una bovina in<br />

lattazione può incorrere quin<strong>di</strong> in gravi <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni fisiologici e metabolici.<br />

160


Le tra<strong>di</strong>zionali analisi <strong>di</strong> qualità dei foraggi (sostanza secca, contenuto proteico,<br />

NDF, ADF, ADL, ceneri) sono state affiancate negli ultimi anni da nuovi parametri<br />

qualitativi (quota <strong>di</strong> fibra <strong>di</strong>geribile dagli enzimi ruminali, velocità <strong>di</strong> <strong>di</strong>gestione delle<br />

fibre, contenuto <strong>di</strong> singoli minerali) che consentono una più raffinata previsione delle<br />

proprietà nutrizionali dei foraggi e una più precisa classificazione in funzione delle<br />

esigenze delle bovine da latte nelle loro <strong>di</strong>verse fasi fisiologiche.<br />

La messa a punto <strong>di</strong> tecniche NIRS (spettroscopia <strong>di</strong> riflettanza nel vicino<br />

infrarosso) consente inoltre <strong>di</strong> analizzare in modo più rapido ed economico i foraggi<br />

rispetto ai meto<strong>di</strong> chimici. È stata così estesa la possibilità <strong>di</strong> classificare in tempo<br />

rapido i foraggi sia al momento dello stoccaggio che al momento dell’impiego.<br />

Le principali limitazioni alla produzione dei foraggi<br />

Fattori climatici<br />

Nelle regioni umide, senza una significativa stagione secca (es. nord Europa), le<br />

con<strong>di</strong>zioni climatiche determinano elevate produzioni <strong>di</strong> foraggio, favorite anche dalla<br />

lunga durata del giorno nei mesi primaverili ed estivi. Nelle regioni equatoriali, la<br />

minore lunghezza del giorno e la frequente copertura nuvolosa possono limitare le<br />

produzioni <strong>di</strong> foraggio rispetto a quelle conseguibili a latitu<strong>di</strong>ni elevate.<br />

In Italia, le con<strong>di</strong>zioni climatiche variano dal clima spiccatamente me<strong>di</strong>terraneo<br />

delle regioni meri<strong>di</strong>onali al clima continentale delle regioni settentrionali. Nella<br />

maggior parte <strong>degli</strong> ambienti italiani, la quantità e la <strong>di</strong>stribuzione delle precipitazioni<br />

nel corso della tarda primavera e dell’estate limitano fortemente la produttività<br />

foraggera. <strong>Di</strong> conseguenza, il ricorso all’irrigazione, ove possibile tecnicamente ed<br />

economicamente, consente un notevole incremento delle produzioni <strong>di</strong> foraggio.<br />

All’aumentare della <strong>di</strong>stanza dall’equatore, le temperature impe<strong>di</strong>scono<br />

l’accrescimento delle piante durante i perio<strong>di</strong> dell’anno nei quali la lunghezza del giorno<br />

è minore (autunno ed inverno). Nelle regioni a clima caldo, le graminacee più frequenti<br />

sono piante a ciclo C4 (macroterme), mentre nelle regioni temperate e fredde le<br />

graminacee sono piante a ciclo C3 (microterme).<br />

Con<strong>di</strong>zioni del suolo<br />

La natura del suolo è importante nel determinare le produzioni <strong>di</strong> foraggio. I suoli più<br />

fertili e più profon<strong>di</strong> sono riservati agli erbai e ai prati avvicendati, mentre i pascoli e<br />

prati-pascoli occupano spesso suoli poveri, dotati <strong>di</strong> scarsa profon<strong>di</strong>tà, e talora ricchi <strong>di</strong><br />

scheletro e con rocce affioranti.<br />

Specie vegetali e tipologie varietali<br />

Le specie foraggere native <strong>di</strong> un dato ambiente sono adattate a sopravvivere alle<br />

avversità climatiche e alle caratteristiche sfavorevoli del terreno. Lo stress idrico e la<br />

scarsa fertilità dei suoli costituiscono i principali fattori che limitano la crescita dei<br />

foraggi. Negli ambienti <strong>di</strong>fficili, l’introduzione <strong>di</strong> varietà <strong>di</strong> specie foraggere migliorate<br />

ma poco adattate all’ambiente può spesso rivelarsi un insuccesso. Bisogna tenere<br />

presente che l’elevata produzione <strong>di</strong> biomassa ed il valore nutritivo non sono<br />

necessariamente attributi che permettono la sopravvivenza della specie, quin<strong>di</strong> le specie<br />

autoctone, più adatte, sono spesso poco produttive e con basso valore nutritivo.<br />

Nelle colture foraggere si parla spesso <strong>di</strong> ecotipi o <strong>di</strong> varietà migliorate<br />

riferendosi ai tipi coltivati. Gli ecotipi (termine che deriva dal greco e significa<br />

‘impronta ambientale’) rappresentano il frutto della selezione operata da fattori<br />

climatici, pedologici ed antropici su popolazioni che si sono riprodotte da tempo<br />

immemorabile nello stesso ambiente. Per le sue caratteristiche, un ecotipo è strettamente<br />

legato all’ambiente ecologico in cui vive. La varietà migliorata è invece la varietà<br />

161


sottoposta ad un processo deliberato <strong>di</strong> selezione da parte dell’uomo. Le varietà<br />

migliorate <strong>di</strong> specie foraggere possono ovviamente permettere maggiori produzioni ed<br />

una migliore <strong>di</strong>geribilità del foraggio. <strong>Di</strong> solito, però, riescono ad esprimere il loro<br />

potenziale soltanto in con<strong>di</strong>zioni favorevoli <strong>di</strong> suolo, <strong>di</strong> clima e <strong>di</strong> <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong><br />

nutrienti. Spesso, una migliore sopravvivenza delle specie è assicurata da ecotipi<br />

adattati alla zona <strong>di</strong> coltivazione. Il miglioramento genetico delle foraggere ha<br />

tra<strong>di</strong>zionalmente fatto riferimento agli ecotipi come base <strong>di</strong> partenza per il lavoro <strong>di</strong><br />

selezione.<br />

Gestione e agrotecnica<br />

Le produzioni <strong>di</strong> foraggio in una determinata area non <strong>di</strong>pendono soltanto dalle<br />

con<strong>di</strong>zioni climatiche e pedologiche. All’interno <strong>di</strong> queste con<strong>di</strong>zioni, gli agricoltori<br />

hanno infatti ampi margini per influenzare i livelli quantitativi e qualitativi dei foraggi<br />

prodotti. Le opzioni più importanti sono rappresentate dagli apporti <strong>di</strong> fertilizzanti, dalla<br />

frequenza e altezza <strong>di</strong> taglio nel caso <strong>di</strong> utilizzazione con sfalcio, o dal carico <strong>di</strong><br />

bestiame (numero <strong>di</strong> capi e loro spostamenti sugli appezzamenti) nel caso <strong>di</strong><br />

pascolamento.<br />

Se il foraggio viene sfalciato ed utilizzato per alimentare animali le cui deiezioni<br />

saranno poi sparse su colture <strong>di</strong>verse da quelle foraggere, si può incorrere in un<br />

progressivo impoverimento del suolo, che può essere evitato soltanto applicando<br />

concimi minerali. Nel caso del pascolo, buona parte dei nutrienti (N, P, K) torna al<br />

suolo con le deiezioni <strong>degli</strong> animali, ma una frazione rimane immobilizzata negli<br />

animali ed un’altra è persa per volatilizzazione <strong>di</strong> ammoniaca e percolazione <strong>di</strong> nitrati.<br />

Anche in questo caso, quin<strong>di</strong>, in assenza <strong>di</strong> fertilizzazioni minerali il suolo va incontro<br />

ad impoverimento. L’azoto è l’elemento che limita maggiormente la produzione delle<br />

graminacee, ed i suoli naturali o non fertilizzati ne sono sempre carenti. Le leguminose<br />

sono invece in grado <strong>di</strong> superare il problema della carenza <strong>di</strong> azoto nel suolo grazie alla<br />

fissazione simbiontica <strong>di</strong> questo elemento operata dai batteri che vivono nei tubercoli<br />

delle loro ra<strong>di</strong>ci. Le leguminose sono per contro più sensibili delle graminacee alla<br />

concimazione fosfatica. Nelle consociazioni tra graminacee e leguminose, queste ultime<br />

rendono <strong>di</strong>sponibile parte dell’azoto per le graminacee, ma questa <strong>di</strong>sponibilità può non<br />

essere sufficiente per le graminacee in caso <strong>di</strong> gravi carenze <strong>di</strong> azoto.<br />

Una elevata frequenza dei tagli può accelerare lo sfruttamento dei nutrienti del<br />

suolo e, soprattutto, determinare la scomparsa <strong>di</strong> specie non adattate morfologicamente<br />

a frequenti defogliazioni. D’altra parte, il foraggio raccolto in uno sta<strong>di</strong>o precoce <strong>di</strong><br />

sviluppo ha un più elevato contenuto <strong>di</strong> proteine ed una maggiore <strong>di</strong>geribilità rispetto al<br />

foraggio raccolto nelle fasi <strong>di</strong> sviluppo più avanzate. Il momento del taglio è sempre un<br />

compromesso tra contenuto proteico e <strong>di</strong>geribilità da un lato, e quantità <strong>di</strong> foraggio e<br />

sfruttamento non eccessivo della coltura dall’altro.<br />

Un numero <strong>di</strong> capi elevato rispetto all’area pascolata, ed una permanenza<br />

eccessiva nella stessa area, possono determinare la scomparsa <strong>di</strong> specie palatabili<br />

(appetite dal bestiame) e la progressiva <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> specie non appetite dal bestiame<br />

(es. car<strong>di</strong>). Un pascolo eccessivo, quin<strong>di</strong>, riduce o compromette la produttività dei<br />

cotici.<br />

Il ruolo ambientale dei prati avvicendati <strong>di</strong> leguminose<br />

Oltre agli aspetti inerenti il ciclo dell’azoto, i prati poliennali <strong>di</strong> leguminose esercitano<br />

una serie <strong>di</strong> effetti positivi relativamente alla loro azione rinettante nei confronti delle<br />

erbe infestanti, alla <strong>di</strong>minuzione del quantitativo <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> applicato (per ettaro e per<br />

162


anno), e all’incremento della sostanza organica del suolo dovuto all’assenza <strong>di</strong><br />

lavorazioni e agli abbondanti residui ra<strong>di</strong>cali (sl. 25/53). Quest’ultimo aspetto assume<br />

una importanza particolare alla luce dell’azione <strong>di</strong> ‘deposito’ della CO2 atmosferica<br />

offerta dai terreni agricoli.<br />

Le leguminose svolgono un ruolo determinante nei sistemi colturali a basso<br />

input <strong>di</strong> concimi azotati <strong>di</strong> sintesi. Quando i concimi azotati industriali sono poco<br />

<strong>di</strong>sponibili o sono costosi, o non possono essere impiegati (come nei sistemi biologici),<br />

il ricorso a colture leguminose (da granella o da foraggio) nelle rotazioni <strong>di</strong>venta<br />

irrinunciabile.<br />

Nei terreni carenti <strong>di</strong> azoto (ecosistemi naturali o terreni non concimati), il<br />

vantaggio competitivo delle leguminose sulle altre specie è notevole. Tuttavia, l’attività<br />

delle leguminose incrementa la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> azoto nel terreno fino al punto in cui lo<br />

svantaggio delle altre specie tende ad annullarsi. Per questa ragione, è <strong>di</strong>fficile<br />

mantenere in purezza negli anni un prato <strong>di</strong> leguminose, che si trasforma gradualmente<br />

in un prato polifita con frazioni crescenti <strong>di</strong> graminacee.<br />

Vantaggi della consociazione nei prati oligofiti<br />

La consociazione è la coltivazione contemporanea <strong>di</strong> due o più specie sullo stesso<br />

terreno. È molto <strong>di</strong>ffusa nelle agricolture <strong>di</strong> sussistenza, o comunque nei casi in cui<br />

l’agricoltura è condotta con notevole impiego <strong>di</strong> manodopera. Gli agroecosistemi ad<br />

agricoltura industrializzata tendono alla coltura specializzata, allo scopo <strong>di</strong> semplificare<br />

le operazioni colturali.<br />

Nel caso delle colture foraggere, la consociazione viene spesso ancora utilizzata,<br />

coltivando una specie graminacea con una o più specie <strong>di</strong> leguminose come, ad<br />

esempio, nei prati consociati <strong>di</strong> trifoglio bianco e loietto, o <strong>di</strong> dattile, erba me<strong>di</strong>ca e<br />

ginestrino, o negli erbai <strong>di</strong> avena e veccia.<br />

La consociazione foraggera può offrire <strong>di</strong>versi vantaggi rispetto alla coltura<br />

specializzata, quali:<br />

- il migliore sfruttamento delle risorse del terreno assicurato da specie con apparati<br />

ra<strong>di</strong>cali complementari (fascicolato e superficiale per le graminacee, fittonante e<br />

profondo per le leguminose);<br />

- la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> azoto per le graminacee grazie alle escrezioni ra<strong>di</strong>cali delle<br />

leguminose, che ne sono ricche;<br />

- il migliore assorbimento della energia ra<strong>di</strong>ante (PAR) consentito dalla combinazione<br />

<strong>di</strong> piante che hanno forma e <strong>di</strong>sposizione delle foglie <strong>di</strong>verse tra loro, e che si traduce in<br />

maggiore produzione complessiva;<br />

- la composizione più equilibrata del foraggio da un punto <strong>di</strong> vista nutrizionale<br />

(leguminose ricche <strong>di</strong> proteine, graminacee ricche <strong>di</strong> carboidrati);<br />

- la maggiore facilità <strong>di</strong> conservazione del foraggio: le graminacee agevolano la<br />

fienagione e riducono la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> foglie delle leguminose; l’insilamento delle<br />

leguminose <strong>di</strong>venta più facile se sono consociate con le graminacee ricche <strong>di</strong> zuccheri<br />

fermentescibili;<br />

- la migliore <strong>di</strong>stribuzione annuale delle produzioni <strong>di</strong> foraggio, dovuta a ritmi <strong>di</strong><br />

crescita <strong>di</strong>versi nel corso della stagione (le graminacee hanno una maggiore crescita in<br />

primavera, le leguminose crescono relativamente <strong>di</strong> più nel corso dell’estate);<br />

- la minore presenza <strong>di</strong> infestanti dovuta al maggiore potere competitivo della<br />

consociazione.<br />

163


Taglio del foraggio<br />

Mentre gli erbai <strong>di</strong> cereali (es. orzo o mais ceroso) forniscono un solo taglio (fa<br />

eccezione il sorgo da foraggio, che può fornire più tagli), molte foraggere sono ‘piante<br />

vivaci’, che riprendono l’accrescimento dopo il taglio e possono quin<strong>di</strong> essere raccolte<br />

più volte in un anno, con un numero <strong>di</strong> sfalci che può andare da 2 a 5, a seconda della<br />

specie, delle <strong>di</strong>sponibilità idriche e delle con<strong>di</strong>zioni climatiche.<br />

Il momento e la modalità <strong>di</strong> utilizzazione del cotico riveste una grande<br />

importanza, non solo per la qualità del prodotto, ma anche per la persistenza della<br />

coltura (sl. 25/58). È molto importante scegliere il tempo e il modo <strong>di</strong> utilizzazione, al<br />

fine <strong>di</strong> raggiungere il miglior compromesso tra la quantità e la qualità del foraggio,<br />

garantendo al contempo un buon ricaccio.<br />

Il momento migliore per effettuare il taglio è l’inizio <strong>di</strong> spigatura per le<br />

graminacee e l’inizio <strong>di</strong> fioritura per le leguminose. Il taglio in queste fasi fenologiche<br />

consente infatti <strong>di</strong> ottenere il giusto compromesso tra quantità e qualità del foraggio,<br />

con una buona appetibilità e <strong>di</strong>geribilità del foraggio da parte del bestiame, e una buona<br />

capacità <strong>di</strong> ricaccio della coltura dovuta alle riserve ra<strong>di</strong>cali accumulate fino a quello<br />

sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sviluppo. Se la raccolta avviene prima della fioritura o della spigatura, il<br />

foraggio è <strong>di</strong> migliore qualità (più proteine, meno cellulosa e lignina) ed è molto<br />

appetibile ma la quantità è scarsa e i tagli successivi sono compromessi poiché la pianta<br />

non riesce a costituire delle adeguate riserve ra<strong>di</strong>cali. Se la raccolta avviene invece dopo<br />

la fioritura o la spigatura, il foraggio è molto più ricco <strong>di</strong> cellulosa e lignina (quin<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

peggiore qualità) e meno appetibile e <strong>di</strong>geribile per il bestiame.<br />

Conservazione dei foraggi<br />

I foraggi possono essere utilizzati allo stato fresco dal bestiame. Tuttavia, la produzione<br />

è concentrata in brevi perio<strong>di</strong> e, quin<strong>di</strong>, si pone l’esigenza <strong>di</strong> conservare i foraggi per<br />

metterli a <strong>di</strong>sposizione <strong>degli</strong> animali nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> scarsa o nulla produzione. Ciò viene<br />

realizzato attraverso la fienagione o l’insilamento. Entrambi i meto<strong>di</strong> comportano delle<br />

per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> valore nutritivo rispetto al prodotto fresco, ma sono comunque necessari per<br />

poter utilizzare il prodotto a <strong>di</strong>versi mesi <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dalla raccolta.<br />

Fienagione<br />

Consiste nell’essiccazione del foraggio, che passa dal 75-80% <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà al momento<br />

dello sfalcio al 16-18% (ottimale) al momento della conservazione. L’essiccazione può<br />

essere fatta naturalmente, esponendo in campo l’erba al sole e all’aria per un periodo <strong>di</strong><br />

3-4 giorni, oppure si favorisce l’essiccazione schiacciando il foraggio al momento del<br />

taglio con le falcia-con<strong>di</strong>zionatrici. Il fieno viene quin<strong>di</strong> raccolto sciolto oppure<br />

compresso e legato in balle da apposite macchine imballatrici (sl. 25/62-63).<br />

L’essiccazione è artificiale quando l’erba falciata, dopo un pre-appassimento in campo<br />

che la porta ad un’umi<strong>di</strong>tà inferiore al 45%, viene posta in fienili attrezzati con appositi<br />

sistemi <strong>di</strong> ventilazione (fienagione in due tempi). L’aria viene fatta passare attraverso la<br />

massa <strong>di</strong> foraggio fino a raggiungere un’umi<strong>di</strong>tà del foraggio inferiore al 20% (sl.<br />

25/63).<br />

La fienagione è un sistema oneroso in termini <strong>di</strong> tempo e mano d’opera. Non<br />

tutte le specie si prestano bene a questo tipo <strong>di</strong> conservazione, poiché alcune sono poco<br />

(es. avena) o niente adatte (es. mais). Con la fienagione si hanno inoltre elevate per<strong>di</strong>te<br />

<strong>di</strong> prodotto, con per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> valore nutritivo dell’or<strong>di</strong>ne del 25% anche nelle migliori<br />

164


con<strong>di</strong>zioni, a causa <strong>di</strong> respirazione dei tessuti prima della morte cellulare (per questo<br />

l’essiccazione deve essere rapida), per<strong>di</strong>te meccaniche <strong>di</strong> foglie nelle leguminose (gli<br />

organi più ricchi <strong>di</strong> proteine), o per<strong>di</strong>te per <strong>di</strong>lavamento e sviluppo <strong>di</strong> muffe in caso <strong>di</strong><br />

pioggia durante la permanenza in campo del foraggio sfalciato. Le macchine<br />

con<strong>di</strong>zionatrici, che operano uno schiacciamento del foraggio al momento del taglio,<br />

accelerano l’essiccazione e permettono <strong>di</strong> contenere le per<strong>di</strong>te. Anche la fienagione in<br />

due tempi, con ventilazione in fienile del foraggio parzialmente essiccato, riduce<br />

sostanzialmente le per<strong>di</strong>te.<br />

Insilamento<br />

L’insilato è un materiale succulento ottenuto dalla fermentazione <strong>di</strong> foraggi freschi. Le<br />

con<strong>di</strong>zioni dalle quali <strong>di</strong>pende la conservazione del foraggio insilato sono<br />

fondamentalmente due: l’aumento rapido dell’aci<strong>di</strong>tà dell’insilato (fino a pH 3.5-4),<br />

dovuto allo sviluppo <strong>di</strong> acido lattico da parte <strong>di</strong> lattobacilli che utilizzano zuccheri<br />

solubili presenti nel substrato (silaggio acido) e la creazione <strong>di</strong> uno stato asfittico per<br />

saturazione con la CO2 prodotta dalla respirazione della massa vegetale (silaggio<br />

asfittico). Questa seconda con<strong>di</strong>zione si ottiene me<strong>di</strong>ante forte compressione della<br />

massa, in modo da far fuoriuscire l’aria presente (e con essa l’ossigeno), e con<br />

contenitori o coperture impermeabili ai gas (sl. 25/66-68).<br />

Le per<strong>di</strong>te legate a queste trasformazioni sono meno elevate <strong>di</strong> quelle dovute alla<br />

fienagione, e il foraggio rimane verde e succulento per lungo tempo. La fermentazione<br />

lattica inizia subito dopo l’immissione del foraggio trinciato nel silo. In assenza <strong>di</strong><br />

ossigeno (ambiente anaerobico), ad una temperatura ottimale <strong>di</strong> 20-30 °C ed in presenza<br />

<strong>di</strong> una sufficiente quantità <strong>di</strong> zuccheri, si sviluppano i batteri lattici che trasformano gli<br />

zuccheri fermentescibili in acido lattico. Quando l’aci<strong>di</strong>tà della massa del foraggio si è<br />

abbassata fino ad un pH <strong>di</strong> 3.5-4, l’ambiente acido evita l’instaurarsi <strong>di</strong> fermentazioni<br />

putride mentre si arresta l’azione dei batteri lattici. Oltre all’acido lattico, si osserva la<br />

produzione <strong>di</strong> una certa quantità <strong>di</strong> acido acetico che contribuisce all’aci<strong>di</strong>ficazione<br />

della massa insilata. Le per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sostanze nutritive durante la conservazione dei<br />

foraggi insilati sono comprese fra il 10 e il 30%, a seconda delle caratteristiche del<br />

foraggio, delle modalità <strong>di</strong> raccolta e <strong>di</strong> insilamento e del tipo <strong>di</strong> silo.<br />

Le graminacee si prestano bene all’insilamento perchè sono ricche <strong>di</strong> zuccheri<br />

fermentescibili; le leguminose hanno invece un basso contenuto <strong>di</strong> zuccheri e un alto<br />

contenuto <strong>di</strong> proteine e calcio, che tamponano il pH, non prestandosi altrettanto bene al<br />

silaggio acido. È possibile insilare le leguminose nei sili asfittici dopo pre-appassimento<br />

fino al 40% <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà. L’erba pre-appassita può essere imballata anche in grossi sacchi<br />

<strong>di</strong> plastica impermeabili all’acqua e ai gas. Per consentirne l’insilamento acido, le<br />

leguminose possono essere ad<strong>di</strong>zionate <strong>di</strong> melassa <strong>di</strong> barbabietola, oppure <strong>di</strong> acido<br />

propionico. In alternativa, le leguminose possono essere insilate se consociate per<br />

almeno il 50% con le graminacee.<br />

165


PASCOLI<br />

<strong>Ve</strong>ngono detti pascoli le superfici in cui il foraggio viene utilizzato <strong>di</strong>rettamente dagli<br />

animali. Sono costituiti da formazioni vegetali permanenti, naturali o artificiali<br />

naturalizzate, generalmente composte da numerose specie perenni, vivaci o annuali<br />

autoriseminanti.<br />

Nei pascoli convivono specie vegetali <strong>di</strong>verse: <strong>erbacee</strong> (graminacee, che in<br />

genere sono le predominanti, leguminose, composite, ombrellifere, chenopo<strong>di</strong>acee,<br />

etc.), arbustive od arboree. <strong>Di</strong> tutte queste, l’aspetto più importante è la loro pabularità,<br />

in pratica l’appetibilità da parte <strong>degli</strong> animali che pascolano. Una specie è pabulare<br />

quando è utilizzata come fonte alimentare dagli animali. La pabularità non è un concetto<br />

assoluto, ma è legato alla specie animale che pascola, allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sviluppo<br />

dell’essenza foraggera e al grado <strong>di</strong> bisogno dell’animale. Le specie non pabulari<br />

<strong>di</strong>ventano quin<strong>di</strong>, per un cotico sottoposto al pascolamento, delle vere e proprie<br />

infestanti che a volte, non essendo controllate, possono espandersi in modo del tutto<br />

incontrollato, creando problemi per l’equilibrio del pascolo.<br />

Il danno subito dalle piante con il pascolo è raramente letale per la pianta, che<br />

reagisce a tale danno emettendo nuovi fusti e foglie, e utilizzando a questo scopo le<br />

riserve accumulate nelle ra<strong>di</strong>ci, nelle corone o nei cespi. Le graminacee foraggere sono<br />

fortemente tolleranti al pascolamento. Un pascolo eccessivo e ripetuto nel tempo,<br />

comunque, può portare alla morte delle piante e al danneggiamento del cotico erboso.<br />

La composizione floristica dei pascoli è in funzione del clima, della natura del<br />

terreno (soprattutto del pH), dell’altitu<strong>di</strong>ne, della pressione <strong>di</strong> pascolamento e della<br />

latitu<strong>di</strong>ne. I pascoli alpini sono dominati da specie poliennali, mentre quelli dell’Italia<br />

centrale, meri<strong>di</strong>onale ed insulare sono dominati da specie annuali, molte delle quali<br />

autoriseminanti.<br />

La stagione <strong>di</strong> pascolamento <strong>di</strong>pende dall’altitu<strong>di</strong>ne e dalle precipitazioni. Nei<br />

pascoli alpini, tale stagione varia da giugno-settembre alle quote più basse, a luglioagosto<br />

a quelle più elevate; nei pascoli appenninici, la stagione va da aprile ad ottobre,<br />

con una stasi estiva dovuta alla siccità; nei pascoli meri<strong>di</strong>onali ed insulari i perio<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

pascolamento sono marzo-maggio e ottobre-<strong>di</strong>cembre.<br />

In genere i pascoli forniscono rese molto basse, in me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 700 kg/ha <strong>di</strong><br />

sostanza secca, ma comunque interessanti poiché si tratta <strong>di</strong> superfici altrimenti<br />

improduttive in quanto non adatte alla coltivazione. Il loro ren<strong>di</strong>mento è in funzione<br />

dell’altitu<strong>di</strong>ne, della profon<strong>di</strong>tà del suolo, dell’esposizione e delle con<strong>di</strong>zioni climatiche.<br />

Una serie <strong>di</strong> fattori stanno suggerendo la necessità <strong>di</strong> passare (o <strong>di</strong> tornare) al<br />

pascolamento come forma <strong>di</strong> attività compatibile con la crescente domanda <strong>di</strong><br />

un’agricoltura sostenibile sotto il profilo agronomico, economico ed ambientale. Nelle<br />

aree in cui la meccanizzazione è ostacolata dalla conformazione geografica, o in cui le<br />

con<strong>di</strong>zioni pedo-climatiche determinano un limite per le rese, la competitività delle<br />

aziende zootecniche può essere perseguita soltanto, prescindendo da interventi <strong>di</strong><br />

sostegno, riducendo i costi <strong>di</strong> produzione. La necessità <strong>di</strong> produrre a costi minori e con<br />

minore manodopera è spesso il maggiore ostacolo ai sistemi zootecnici <strong>di</strong> tali ambienti.<br />

Si manifesta allora la potenzialità dell’allevamento in forme prevalentemente pascolive,<br />

per motivi <strong>di</strong> carattere organizzativo, sociale ed economico, accresciuti dall’interesse <strong>di</strong><br />

poter <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> praterie in abbandono o non più convenientemente utilizzabili con lo<br />

sfalcio. L’introduzione (o la re-introduzione) del pascolamento contribuirebbe al<br />

recupero <strong>di</strong> aree marginali o <strong>di</strong>smesse dove non esistono, <strong>di</strong> fatto, ipotesi <strong>di</strong> gestione<br />

agricola economicamente alternative all’allevamento estensivo. Tale recupero sarebbe<br />

ulteriormente favorito laddove il sistema zootecnico fosse associato alla valorizzazione<br />

166


<strong>di</strong> produzioni <strong>di</strong> filiera <strong>di</strong> qualità, quali le linee vacca-vitello <strong>di</strong> razze da carne autoctone<br />

<strong>di</strong> pregio o i prodotti caseari a denominazione <strong>di</strong> origine.<br />

Un ulteriore incremento dell’impiego del pascolamento potrebbe derivare<br />

dall’applicazione dei meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> produzione biologica per i prodotti <strong>di</strong> origine animale, i<br />

quali richiedono un largo ricorso al pascolamento per poter qualificare un allevamento<br />

come biologico. L’uso del pascolamento risponde anche ai requisiti posti dal<br />

Regolamento CE 2078/92 per l’estensificazione dell’agricoltura e la salvaguar<strong>di</strong>a<br />

dell’ambiente. L’introduzione (o la re-introduzione) del pascolamento nelle aree più<br />

‘fragili’ renderebbe possibile la gestione territoriale <strong>di</strong> ampie superfici e promuoverebbe<br />

la cura <strong>di</strong> molti terreni abbandonati, favorendo la prevenzione dei rischi ambientali<br />

(erosione, frane, alluvioni, etc.) associati allo spopolamento <strong>di</strong> tali zone. La copertura<br />

erbacea permanente costituisce un’eccellente protezione contro i rischi <strong>di</strong> erosione del<br />

suolo. Infatti, essa attutisce in modo efficace la forza erosiva delle piogge e gli apparati<br />

ra<strong>di</strong>cali (soprattutto quelli fascicolati delle graminacee) forniscono un’efficace trama <strong>di</strong><br />

protezione del terreno.<br />

Un ulteriore aspetto positivo della presenza dei pascoli è l’incremento del<br />

contenuto <strong>di</strong> sostanza organica, spesso superiore a quello <strong>di</strong> forti concimazioni<br />

letamiche, determinata dall’assenza <strong>di</strong> lavorazioni meccaniche. Il suolo in<strong>di</strong>sturbato<br />

rallenta infatti il tasso <strong>di</strong> mineralizzazione della sostanza organica.<br />

Tecniche <strong>di</strong> pascolamento<br />

Il pascolo può essere libero o a rotazione, secondo tecniche <strong>di</strong>fferenziate.<br />

Pascolo libero (brado o semibrado)<br />

In esso gli animali sono liberi <strong>di</strong> muoversi sulla superficie destinata a pascolo e<br />

scegliere le essenze da brucare, lasciando a <strong>di</strong>sposizione del bestiame tutto il pascolo<br />

(brado), o sud<strong>di</strong>videndolo in 2-3 grossi settori in cui la mandria permane per 30-40<br />

giorni (semibrado).<br />

In questa tecnica <strong>di</strong> pascolamento, l’unico parametro tecnico seguito è il carico,<br />

cioè la quantità <strong>di</strong> capi per unità <strong>di</strong> superficie che quella superficie può sopportare per<br />

l’intera stagione. Riuscire ad in<strong>di</strong>viduare il giusto carico <strong>di</strong>venta la con<strong>di</strong>zione<br />

fondamentale perché il cotico si mantenga equilibrato e produttivo nel tempo. Per<br />

questo tipo <strong>di</strong> pascolo possono essere dannosi tanto il sottocarico quanto il sovraccarico.<br />

Infatti, un carico troppo basso aumenta gli sprechi dovuti alla selettività del bestiame,<br />

mentre un carico <strong>di</strong> bestiame eccessivo danneggia il cotico erboso. Con un sottocarico<br />

(in cui gli animali possono ‘scegliere’), le specie meno pabulari possono prendere il<br />

sopravvento su quelle più appetibili, mentre con un sovraccarico il prelevamento troppo<br />

spinto della biomassa pregiu<strong>di</strong>ca la capacità <strong>di</strong> ricaccio delle piante.<br />

I vantaggi offerti da questo tipo <strong>di</strong> pascolamento sono la semplificazione estrema<br />

dell’allevamento, la minima richiesta <strong>di</strong> manodopera per la sua gestione, e la possibilità<br />

<strong>di</strong> recuperare ampie superfici che rimarrebbero altrimenti inutilizzate. Gli svantaggi<br />

sono invece rappresentati dalla bassissima produttività dei cotici e dal peggioramento<br />

<strong>degli</strong> stessi con possibile proliferazione <strong>di</strong> infestanti, dagli sprechi elevati (fino all’80%)<br />

dovuti ad imbrattamento e consumo selettivo delle specie più appetite, e dai problemi <strong>di</strong><br />

cattura del bestiame al rientro autunnale. È un sistema accettabile solo in alta montagna<br />

per recuperare ampie superfici prive <strong>di</strong> recinti, in montagna e collina su notevoli<br />

superfici poco produttive e molto <strong>di</strong>ssestate, e con razze animali molto rustiche (es.<br />

vacche Maremmane).<br />

167


Pascolo a rotazione o turnato<br />

Consiste nel sud<strong>di</strong>videre la superficie destinata al pascolamento in varie sezioni nelle<br />

quali, a turno, viene immesso il bestiame con un carico elevato per un periodo limitato.<br />

In questo modo si limitano gli sprechi e si possono conseguire <strong>di</strong>versi vantaggi: si<br />

utilizza il foraggio ad uno sta<strong>di</strong>o ottimale e si raggiunge il compromesso tra qualità,<br />

quantità e capacità <strong>di</strong> ricaccio; si ottiene un coefficiente <strong>di</strong> utilizzazione del cotico molto<br />

elevato (70-80%) e si registra un regolare ricaccio nel periodo in<strong>di</strong>sturbato; il bestiame<br />

può essere sud<strong>di</strong>viso in gruppi omogenei per esigenze alimentari; terminato il turno <strong>di</strong><br />

pascolamento il cotico può essere sottoposto alle cure necessarie (sfalcio dei residui,<br />

span<strong>di</strong>mento delle deiezioni, concimazione); nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> maggiore produzione si può<br />

far pascolare parte della superficie ed affienare il foraggio prodotto sulla restante<br />

superficie, costituendo così delle scorte aziendali.<br />

Per eseguire il pascolo turnato è necessario sud<strong>di</strong>videre l’area in appezzamenti<br />

sufficientemente gran<strong>di</strong> da consentire alla mandria <strong>di</strong> rimanere da 7 a 15 giorni<br />

(rotazione stretta o rotazione larga, rispettivamente), e ritornare sulla stessa superficie<br />

quando l’erba ha raggiunto il giusto sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sviluppo (dopo 35 giorni circa).<br />

Un tipo particolare <strong>di</strong> pascolo a rotazione è il cosiddetto pascolo razionato, con<br />

il quale ogni giorno si mette a <strong>di</strong>sposizione del bestiame un’area <strong>di</strong> pascolo tale da<br />

garantire la copertura del fabbisogno giornaliero. Appena il foraggio è stato consumato,<br />

gli animali vengono spostati in un altro appezzamento. È questo un sistema <strong>di</strong><br />

utilizzazione ideale per vacche e pecore da latte in produzione, dalle elevate esigenze<br />

fisiologiche, in quanto permette <strong>di</strong> fornire sempre un foraggio <strong>di</strong> elevata qualità. È<br />

consigliabile, quin<strong>di</strong>, soprattutto in pianura o in collina su terreni produttivi e poco<br />

frazionati. La produttività del cotico viene assicurata lasciando crescere in<strong>di</strong>sturbata<br />

l’erba tra i due turni successivi <strong>di</strong> utilizzazione. Gli sprechi sono molto ridotti (10-15%),<br />

perché il bestiame deve spostarsi poco e trova tutto il foraggio al giusto sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

sviluppo. Anche i danni da calpestamento sono ridotti, dato specialmente utile nei<br />

perio<strong>di</strong> piovosi e su terreni argillosi. Lo svantaggio maggiore consiste nella necessità <strong>di</strong><br />

pre<strong>di</strong>sporre recinti fissi lungo il perimetro dell’azienda e recinti mobili elettrificati per la<br />

sud<strong>di</strong>visione in settori, con richiesta <strong>di</strong> manodopera giornaliera per la movimentazione<br />

della mandria.<br />

Tecniche <strong>di</strong> miglioramento dei pascoli<br />

I pascoli possono essere migliorati attraverso interventi agronomici tendenti ad incidere<br />

sulla produzione, tanto da un punto <strong>di</strong> vista qualitativo che quantitativo. Tra i vari<br />

interventi attuabili si possono ricordare:<br />

- le concimazioni minerali, che devono essere modeste, ma possono sostenere la<br />

produttività del cotico erboso; l’azoto tende a favorire selettivamente le graminacee,<br />

mentre il fosforo tende a favorire selettivamente le leguminose;<br />

- lo sfalcio delle specie non utilizzate (es. car<strong>di</strong>) per evitarne la <strong>di</strong>ffusione;<br />

- la semina <strong>di</strong> specie leguminose, per migliorare l’apporto proteico e la <strong>di</strong>geribilità del<br />

pascolo (semina su sodo per prevenire l’erosione);<br />

- la trasemina <strong>di</strong> varietà migliorate;<br />

- lo spargimento <strong>di</strong> deiezioni solide bovine;<br />

- lo spietramento.<br />

Alla base <strong>di</strong> qualsiasi intervento <strong>di</strong> miglioramento <strong>di</strong> un cotico pascolivo ci deve sempre<br />

essere un carico ben regolato ed un turno appropriato.<br />

168


Le basi conoscitive su cui sono fondate le tecniche <strong>di</strong> pascolamento sono<br />

l’evoluzione quanti-qualitativa della biomassa e l’azione selettiva <strong>degli</strong> animali sulla<br />

biomassa, da cui <strong>di</strong>pendono: il momento ottimale <strong>di</strong> pascolamento; il periodo <strong>di</strong><br />

soggiorno; il periodo <strong>di</strong> riposo tra un turno ed il successivo; il carico <strong>di</strong> bestiame<br />

mantenibile per unità <strong>di</strong> superficie.<br />

Il carico (espresso in numero dei capi o in kg <strong>di</strong> peso vivo) può essere calcolato<br />

come: (produzione <strong>di</strong>sponibile/consumi alimentari per capo al giorno) × K, dove K è il<br />

coefficiente <strong>di</strong> utilizzazione (= 0.7-0.8). Con la formula si può determinare il cosiddetto<br />

carico istantaneo o quello stagionale. Se riferito a tutto l’anno, si parla <strong>di</strong> carico<br />

annuale.<br />

Gli animali, e i bovini in particolare, tendono ad utilizzare selettivamente il<br />

foraggio più appetibile e nutriente, evitando il foraggio calpestato o contaminato da feci<br />

ed urine. La deposizione <strong>di</strong> feci ed urine avviene preferenzialmente in alcune zone<br />

(all’ombra e vicino ai punti <strong>di</strong> abbeverata) e crea scarsa uniformità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> N<br />

e P nel terreno, con rischi <strong>di</strong> inquinamento delle acque superficiali e profonde. Una sola<br />

deposizione <strong>di</strong> urina può determinare una concimazione localizzata pari a circa 600<br />

kg/ha <strong>di</strong> N.<br />

In qualsiasi soluzione adottata, un ruolo importante è svolto anche dalle<br />

con<strong>di</strong>zioni economiche, sociali e politiche, che determinano la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> capitali e<br />

<strong>di</strong> infrastrutture, e il possibile ricorso a mezzi tecnici quali l’irrigazione e la<br />

concimazione, che possono avvicinare le produzioni effettive ai livelli <strong>di</strong> produttività<br />

potenziale.<br />

Prati-pascoli<br />

Occupano terreni meno marginali rispetto ai pascoli, in cui la pendenza sia tale da<br />

consentire le operazioni meccaniche <strong>di</strong> taglio e raccolta dei foraggi, e la quantità <strong>di</strong><br />

foraggio giustifichi le operazioni <strong>di</strong> raccolta. La produzione minima si aggira su 2.5 t/ha<br />

<strong>di</strong> sostanza secca. Si tratta in genere <strong>di</strong> terreni <strong>di</strong> collina o montagna che fino a pochi<br />

decenni fa erano occupati da una cerealicoltura marginale, e in seguito sono stati lasciati<br />

incolti. La copertura erbosa permanente permette un buon controllo dell’erosione del<br />

suolo.<br />

Normalmente viene tagliato ed affienato il primo taglio, che è il più abbondante,<br />

e vengono fatti pascolare i ricacci. La ragione della elevata produttività del primo taglio<br />

va ricercata nel fatto che nei mesi <strong>di</strong> aprile e maggio il terreno contiene ancora una<br />

buona dotazione <strong>di</strong> acqua e le temperature non sono ancora troppo alte rispetto alle<br />

esigenze delle foraggere, che sono piante microterme a prevalente crescita primaverile.<br />

In appezzamenti nei quali vengono opportunamente seminate specie e varietà <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>versa precocità, realizzando così una notevole scalarità <strong>di</strong> crescita del foraggio, si<br />

possono realizzare delle catene <strong>di</strong> foraggiamento. I prati-pascoli devono essere<br />

sud<strong>di</strong>visi in sezioni, in ognuna delle quali viene seminata una specie e varietà<br />

determinata, in modo da realizzare una gamma <strong>di</strong> precocità la più estesa possibile, col<br />

risultato <strong>di</strong> poter scaglionare nel tempo la produzione e utilizzazione dei cotici. Il<br />

sistema permette così <strong>di</strong> intervenire al momento ottimale, evitando il peggioramento<br />

qualitativo a cui l’erba, soprattutto <strong>di</strong> graminacee, va incontro in caso <strong>di</strong> ritardo<br />

nell’utilizzazione.<br />

Specie adatte alla costituzione <strong>di</strong> prati-pascoli sono la festuca, la dattile, il loietto<br />

ed il fleolo tra le graminacee; il ginestrino ed il trifoglio bianco tra le leguminose.<br />

169


Importanza ambientale dei prati e dei pascoli<br />

− Il terreno occupato da cotici prativi viene lavorato ad intervalli più ampi rispetto ai<br />

sistemi arativi. Per esempio, nel caso <strong>di</strong> un me<strong>di</strong>caio la durata del prato è in me<strong>di</strong>a<br />

<strong>di</strong> quattro anni, e soltanto alla fine <strong>di</strong> questo periodo il terreno viene nuovamente<br />

lavorato. Questo consente <strong>di</strong> aumentare il contenuto <strong>di</strong> sostanza organica del<br />

terreno, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> migliorare le caratteristiche chimiche e fisiche del suolo. Questo<br />

permette anche al terreno <strong>di</strong> svolgere il ruolo <strong>di</strong> deposito <strong>di</strong> carbonio, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

mitigare l’effetto delle emissioni <strong>di</strong> CO2 nell’atmosfera.<br />

− Poiché i prati vengono frequentemente sfalciati, in genere non richiedono l’impiego<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>serbanti per controllare la flora infestante. Rispetto ai sistemi arativi <strong>di</strong>minuisce<br />

quin<strong>di</strong> notevolmente l’impiego <strong>di</strong> sostanze chimiche.<br />

− I prati, e soprattutto i pascoli, sono costituiti da <strong>di</strong>verse specie, e quin<strong>di</strong> tollerano<br />

meglio delle colture monofite gli stress abiotici (es. siccità, fred<strong>di</strong> eccessivi) e<br />

biotici (patogeni, parassiti). Sono cioè dei sistemi dotati <strong>di</strong> maggiore resilienza.<br />

− I prati, e soprattutto i pascoli, esercitano una copertura costante del suolo nel corso<br />

dell’anno. Questo consente alle colture <strong>di</strong> assorbire attivamente nitrati durante i<br />

perio<strong>di</strong> vegetativi e, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> <strong>di</strong>minuire le per<strong>di</strong>te per percolazione <strong>di</strong> azoto.<br />

− I prati, e soprattutto i pascoli, con la loro copertura vegetale proteggono il suolo<br />

dall’azione battente della pioggia limitando l’erosione. Inoltre, gli apparati ra<strong>di</strong>cali<br />

fascicolati, specie quelli delle graminacee, trattengono molto bene il suolo e gli<br />

conferiscono un’ottima struttura, facilitando l’infiltrazione dell’acqua. Queste azioni<br />

sono fondamentali nei terreni declivi, dove le colture arative possono determinare<br />

gravi effetti ambientali e il pascolo o il bosco sono le uniche alternative sostenibili.<br />

170


SPECIE FORAGGERE DA PRATO AVVICENDATO<br />

Leguminose<br />

ERBA MEDICA (Me<strong>di</strong>cago sativa)<br />

L’erba me<strong>di</strong>ca è la leguminosa foraggera poliennale più coltivata nel mondo, con una<br />

superficie stimata <strong>di</strong> 15 milioni <strong>di</strong> ettari. È ritenuta la foraggera per eccellenza e le<br />

ragioni <strong>di</strong> questa sua superiorità nei confronti <strong>di</strong> altre specie sono riconducibili a pregi<br />

unanimemente riconosciuti quali l’alta produttività, l’elevato valore nutritivo del<br />

foraggio, l’azione miglioratrice sulla fertilità del terreno, la buona resistenza alla siccità,<br />

l’ottima capacità azotofissatrice, la possibilità <strong>di</strong> utilizzare i nutrienti delle riserve<br />

profonde del terreno e l’azione rinettante dalla malerbe.<br />

La lunghissima storia <strong>di</strong> questa foraggera come pianta coltivata risale al terzo<br />

millennio a.C. Si ritiene che il centro <strong>di</strong> origine <strong>di</strong> questa pianta sia l’Asia sudoccidentale,<br />

soprattutto la zona del Turkestan, da dove si è <strong>di</strong>ffusa attraverso i secoli con<br />

le migrazioni dei popoli noma<strong>di</strong>, verso oriente (In<strong>di</strong>a e Cina) e verso occidente (Persia<br />

ed Asia Minore) sino a giungere in Grecia nel IV sec a.C. ed in Italia nel I secolo a.C. In<br />

seguito alle invasioni barbariche e con la caduta dell’impero romano, la sua coltivazione<br />

decadde. Fu reintrodotta dagli arabi in Spagna e da qui nel XVI secolo si <strong>di</strong>ffuse<br />

dapprima in Europa (da cui il nome volgare talora usato in Italia <strong>di</strong> ‘erba spagna’) e poi<br />

nelle Americhe da parte dei conquistatori. Fu in quel periodo che l’erba me<strong>di</strong>ca, con i<br />

trifogli, concorse a far registrare una svolta storica nel modo <strong>di</strong> coltivare la terra.<br />

L’incremento della popolazione registrato nel Rinascimento imponeva l’abbandono<br />

delle classiche rotazioni <strong>di</strong>scontinue a base <strong>di</strong> maggese nudo o <strong>di</strong> riposo pascolato, per<br />

passare alla coltivazione ininterrotta del terreno. L’avvicendamento perio<strong>di</strong>co con il<br />

prato, evolutosi lentamente verso impianti monofiti <strong>di</strong> leguminose (sotto l’impulso<br />

anche dei lavori <strong>degli</strong> agronomi del tempo come Tarello e Gallo), non solo evitò il<br />

rapido degrado del terreno coltivato, ma <strong>di</strong>venne uno dei più potenti fattori <strong>di</strong><br />

miglioramento agronomico dei suoli, in quanto in grado <strong>di</strong> ripristinare uno stato <strong>di</strong><br />

fertilità nei terreni sfruttati dai cereali, grazie all’azione benefica delle foraggere e delle<br />

leguminose in particolare. A questa azione benefica si aggiunse quella in<strong>di</strong>retta, ma<br />

altrettanto positiva, conseguita con l’incremento del numero <strong>di</strong> capi <strong>di</strong> bestiame<br />

allevabili per unità <strong>di</strong> superficie e con la relativa produzione <strong>di</strong> letame, considerato fino<br />

a non molti anni fa quasi l’unica fonte per la fertilizzazione dei terreni.<br />

La grande <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa specie nel mondo è dovuta senz’altro alla sua<br />

notevole variabilità genetica, che ne ha permesso un ampio adattamento in <strong>di</strong>verse<br />

con<strong>di</strong>zioni pedo-climatiche. In Italia, l’erba me<strong>di</strong>ca è coltivata su circa 750 mila ettari,<br />

<strong>di</strong> cui quasi la metà in Emilia-Romagna, Lombar<strong>di</strong>a e <strong>Ve</strong>neto (sl. 26/20). Se la sua<br />

superficie totale si è <strong>di</strong>mezzata in trenta anni (raggiungendo peraltro un livello piuttosto<br />

stabile negli ultimi anni), la sua percentuale rispetto al totale dei prati avvicendati è<br />

aumentata e ne rappresenta oggi circa il 64%.<br />

Caratteri botanici, biologia e classificazione<br />

L’erba me<strong>di</strong>ca è una leguminosa a pianta vivace, con apparato ra<strong>di</strong>cale fittonante molto<br />

profondo e robusto (può comunemente spingersi oltre il metro). Gli steli glabri, in<br />

genere eretti e più o meno cavi, hanno origine dalla parte basale della pianta detta<br />

corona e possono raggiungere un’altezza <strong>di</strong> 90-100 cm (sl. 26/8, 16). La corona si<br />

<strong>di</strong>fferenzia all’inizio dello sviluppo delle plantule, quando si verifica il cosiddetto<br />

accrescimento contrattile. Poco dopo l’emergenza, l’ipocotile e la parte superiore della<br />

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a<strong>di</strong>ce si espandono in larghezza e contemporaneamente subiscono quasi una<br />

contrazione della lunghezza, col risultato che i primi interno<strong>di</strong> vengono trascinati verso<br />

il basso, quasi compressi e vengono a trovarsi sotto la superficie del suolo.<br />

Contemporaneamente, all’ascella delle prime foglioline, comprese quelle cotiledonari,<br />

si <strong>di</strong>fferenziano delle gemme da cui hanno origine delle ramificazioni, l’insieme delle<br />

quali, unitamente alle parti basali dello stelo, costituiscono la cosiddetta corona. Dal<br />

punto <strong>di</strong> vista morfologico, queste ramificazioni basali dello stelo hanno un<br />

comportamento quasi come <strong>di</strong> rizomi, anche se, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> questi, non emettono<br />

ra<strong>di</strong>ci e non si allungano (con alcune eccezioni <strong>di</strong> tipi rizomatosi nella specie). Dalla<br />

corona basale si <strong>di</strong>fferenziano le gemme avventizie che daranno origine agli steli (sl.<br />

26/29, 31). La corona, unitamente alle ra<strong>di</strong>ci, svolge funzione <strong>di</strong> deposito delle sostanze<br />

<strong>di</strong> riserva; ogni volta che con lo sfalcio viene asportata la parte vegetativa, una parte<br />

delle gemme della corona interrompe la dormienza, le sostanze <strong>di</strong> riserva accumulate<br />

vengono mobilitate e si sviluppano nuovi steli. Una corretta agrotecnica e l’impiego <strong>di</strong><br />

varietà adatte ai tagli frequenti garantiscono una buona persistenza del me<strong>di</strong>caio (sl.<br />

26/32).<br />

La me<strong>di</strong>ca è pianta allogama ad impollinazione entomofila, con foglie alterne<br />

trifogliate. I fiori, generalmente <strong>di</strong> colore violetto, sono numerosi e riuniti in racemi (sl.<br />

26/15).<br />

La specie presenta una spiccata capacità azotofissatrice, in grado <strong>di</strong> utilizzare<br />

l’N atmosferico grazie all’attività del batterio specifico Sinorhizobium meliloti, che<br />

permette <strong>di</strong> fissare sotto forma <strong>di</strong> ammoniaca e ammino-composti l’azoto gassoso<br />

presente nel suolo. <strong>Stu<strong>di</strong></strong> specifici sulla simbiosi erba me<strong>di</strong>ca-rizobio hanno evidenziato<br />

come una coltura <strong>di</strong> erba me<strong>di</strong>ca permetta <strong>di</strong> lasciare delle vere e proprie riserve <strong>di</strong><br />

questo elemento nel terreno, stimabili in 150-200 kg/ha <strong>di</strong>sponibili per la coltura che<br />

succede nell’avvicendamento.<br />

Una particolare classificazione delle varietà viene fatta sulla base della loro<br />

cosiddetta ‘dormienza autunnale’, cioè della loro capacità <strong>di</strong> entrare in stasi vegetativa<br />

durante la stagione più fredda dell’anno. Nelle zone con inverni molto fred<strong>di</strong> (come gli<br />

stati del Midwest americano) sono necessarie delle varietà molto dormienti, che cessano<br />

la loro attività vegetativa piuttosto precocemente in autunno e riescono a sopravvivere ai<br />

rigori invernali. In fase <strong>di</strong> riposo vegetativo la coltura sopporta normalmente<br />

temperature anche al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> –20 °C. Nelle aree con inverni miti (come gli stati del<br />

sud-ovest <strong>degli</strong> USA o l’area me<strong>di</strong>terranea) sono invece coltivate varietà con dormienza<br />

bassa o molto bassa, capaci <strong>di</strong> vegetare e fornire produzioni per buona parte dell’anno.<br />

Nell’Italia settentrionale, le varietà hanno comunemente una dormienza ‘me<strong>di</strong>a’, pari a<br />

circa 6 nella scala internazionale da 1 (massima) a 11 (nulla).<br />

Esigenze pedo-climatiche ed agronomiche<br />

Terreno<br />

L’erba me<strong>di</strong>ca trova con<strong>di</strong>zioni molto favorevoli <strong>di</strong> impianto e <strong>di</strong> sviluppo in terreni<br />

profon<strong>di</strong> (> 0.5 m), non troppo compatti né eccessivamente sciolti, e dotati <strong>di</strong> un buon<br />

drenaggio. Sono da evitare assolutamente suoli mal sistemati, dove ristagna l’acqua,<br />

perché l’erba me<strong>di</strong>ca soffre molto più <strong>di</strong> altre foraggere <strong>di</strong> questa situazione (sl. 26/18).<br />

La presenza <strong>di</strong> eccessi idrici, specialmente nella stagione vegetativa, provoca infatti<br />

malattie quali Phytophthora, Pythium ed altri patogeni della corona e della ra<strong>di</strong>ce, oltre<br />

alla <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> nodulazione sulle ra<strong>di</strong>ci per mancanza <strong>di</strong> ossigeno e all’asfissia<br />

ra<strong>di</strong>cale.<br />

Valori <strong>di</strong> pH compresi tra 6.5 e 7.5 sembrano essere ottimali, mentre al <strong>di</strong> fuori<br />

<strong>di</strong> questo intervallo l’impianto della coltura <strong>di</strong>venta <strong>di</strong>fficile. In particolare, un pH basso<br />

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è causa <strong>di</strong> seri problemi, che possono essere in parte evitati con l’impiego <strong>di</strong> calcio<br />

come ammendante; questo favorisce la fissazione biologica dell’azoto da parte del<br />

rizobio e fa aumentare la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> fosforo e potassio.<br />

Adattamento ambientale<br />

L’erba me<strong>di</strong>ca preferisce zone temperato-calde, non eccessivamente piovose e<br />

caratterizzate da buona insolazione. La ra<strong>di</strong>azione luminosa è infatti molto importante<br />

per questa pianta per determinare l’intensità della fotosintesi. Anche la temperatura<br />

esercita un’azione non trascurabile su questo fattore. Sotto i 5 °C e sopra i 35 °C la<br />

fotosintesi si blocca molto velocemente.<br />

Avvicendamento<br />

La coltura <strong>di</strong> erba me<strong>di</strong>ca influenza la fertilità agronomica del terreno attraverso il<br />

miglioramento delle caratteristiche chimico-fisiche dello stesso. Essa aumenta infatti il<br />

contenuto <strong>di</strong> sostanza organica e <strong>di</strong> azoto ed agisce sulla stabilità <strong>degli</strong> aggregati del<br />

terreno, migliorandone così la struttura. È altresì nota l’efficacia <strong>di</strong> questa coltura nel<br />

combattere le erbe infestanti e limitare alcune malattie e parassiti, come la Gibberella<br />

zeae e i nemato<strong>di</strong> della bietola (Heterodera schachtii).<br />

Volendo seguire un razionale avvicendamento, è buona norma inserire la coltura<br />

della me<strong>di</strong>ca dopo un cereale autunno-vernino (frumento, orzo, etc.) e prima <strong>di</strong> una<br />

sarchiata (bietola, mais, etc.). La successione a sé stessa è sconsigliata, in quanto questa<br />

porta ad un <strong>di</strong>radamento precoce dovuto all’accumulo <strong>di</strong> secrezioni ra<strong>di</strong>cali con effetti<br />

allelopatici e <strong>di</strong> patogeni che attaccano le giovani piante.<br />

Tecnica colturale<br />

Lavorazione del terreno<br />

La preparazione del letto <strong>di</strong> semina ha momenti e modalità <strong>di</strong> esecuzione anche molto<br />

<strong>di</strong>versi, in funzione delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> clima e <strong>di</strong> terreno. I fattori che permettono una<br />

rapida germinazione sono un terreno umido e ben preparato, un buon contatto del seme<br />

col terreno e un’uniforme profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> semina onde evitare nascite scalari (sl. 26/35-<br />

36). Per ottenere queste con<strong>di</strong>zioni, nei terreni argillosi la lavorazione principale sarà<br />

costituita da un’aratura a 30 cm <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà, preferibilmente nell’estate precedente<br />

l’impianto, cui seguiranno altri lavori, come la frangizollatura, l’erpicatura, etc., per<br />

amminutare al massimo le zolle. In terreni sciolti e leggeri, queste operazioni possono<br />

invece essere eseguite pochi giorni prima della semina. La <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> letame<br />

avverrà prima dell’aratura, mentre quella dei concimi minerali prima dell’erpicatura. È<br />

da evitare la formazione <strong>di</strong> letti <strong>di</strong> semina troppo soffici che si asciugano facilmente, o<br />

troppo fini che favoriscono la formazione <strong>di</strong> croste, o grossolani che non permettono<br />

una buona adesione del terreno al seme. Per i terreni leggeri sarebbe raccomandabile<br />

una rullatura finale).<br />

Concimazione organica<br />

L’apporto <strong>di</strong> letame è consigliabile solo in terreni poveri <strong>di</strong> sostanza organica, ed in tale<br />

caso si somministra prima dell’aratura in ragione <strong>di</strong> 400-500 q/ha stando attenti ad<br />

utilizzare letame ben maturo. Nei terreni più ricchi, il letame non risulta un concime<br />

fondamentale per la coltura dell’erba me<strong>di</strong>ca, anche perché la sua funzione <strong>di</strong><br />

ammendante che contribuisce a promuovere l’aggregazione delle particelle e la stabilità<br />

dei glomeruli formati, è già svolta dalla me<strong>di</strong>ca stessa.<br />

173


Concimazione minerale<br />

Azoto<br />

Questo elemento non viene <strong>di</strong> norma somministrato al me<strong>di</strong>caio, perché le piante,<br />

attraverso il processo <strong>di</strong> fissazione biologica dell’azoto atmosferico da parte del rizobio,<br />

riescono a sod<strong>di</strong>sfare quasi interamente i propri fabbisogni. Piccole quantità <strong>di</strong> azoto,<br />

dell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> 30-40 kg/ha sono a volte consigliate al momento della semina per aiutare<br />

le giovani piantine, prima dello sviluppo della nodulazione sulle ra<strong>di</strong>ci e specialmente in<br />

sfavorevoli con<strong>di</strong>zioni ambientali e pedologiche. Negli anni successivi all’impianto,<br />

nessuna somministrazione azotata deve essere fornita al me<strong>di</strong>caio e questo si traduce in<br />

notevoli benefici, sia dal punto <strong>di</strong> vista economico che sotto l’aspetto dell’impatto<br />

ambientale.<br />

Fosforo<br />

Contrariamente all’azoto, questo elemento riveste un’importanza vitale per sod<strong>di</strong>sfare le<br />

esigenze nutritive dell’erba me<strong>di</strong>ca. Infatti, esso favorisce ed aumenta il numero dei<br />

noduli e le loro <strong>di</strong>mensioni, e <strong>di</strong> conseguenza la quantità <strong>di</strong> azoto assorbita per<br />

fissazione biologica. È molto importante che il fosforo sia applicato prima della semina,<br />

in funzione della dotazione del terreno, per favorire le piantine che hanno bisogno <strong>di</strong><br />

un’elevata <strong>di</strong>sponibilità per il loro accrescimento. Me<strong>di</strong>amente si apportano circa 100<br />

kg/ha <strong>di</strong> P2O5 interrati con l’ultima erpicatura. Le somministrazioni fosfatiche negli anni<br />

successivi non danno in genere apprezzabili <strong>di</strong>fferenze rispetto ad un’unica<br />

<strong>di</strong>stribuzione eseguita al momento della semina, specialmente nei terreni normalmente<br />

dotati <strong>di</strong> questo elemento. È anche da tenere presente che con l’eventuale uso <strong>di</strong> letame<br />

o <strong>di</strong> liqui-letame all’impianto si apportano elevati quantitativi <strong>di</strong> fosforo, che deve<br />

essere pertanto <strong>di</strong>minuito dalle concimazioni minerali. In caso contrario vi è un aumento<br />

ed accumulo <strong>di</strong> fosforo nel terreno.<br />

Potassio<br />

Il potassio è un elemento asportato in grande quantità dall’erba me<strong>di</strong>ca ed il suo<br />

assorbimento aumenta man mano che la pianta cresce. Questo elemento migliora la<br />

capacità <strong>di</strong> fissazione dell’azoto, allunga la durata del me<strong>di</strong>caio, aumenta la sua<br />

resistenza al freddo, rende la coltura meno suscettibile alle malattie e migliora la<br />

competizione rispetto alle graminacee in caso <strong>di</strong> consociazione.<br />

Non sempre è possibile rilevare la sua positiva influenza sulla produzione <strong>di</strong><br />

sostanza secca, perché i terreni particolarmente vocati alla me<strong>di</strong>ca sono molto ricchi <strong>di</strong><br />

questo elemento (da 160 a 360 ppm <strong>di</strong> K2O). Nei terreni poco dotati <strong>di</strong> potassio è più<br />

facile invece evidenziarne l’importanza.<br />

Quando necessario, la dose apportata in pre-semina è <strong>di</strong> circa 125-200 kg/ha <strong>di</strong><br />

K2O. Per la sua maggiore mobilità, il potassio, contrariamente al fosforo, può essere<br />

vantaggiosamente <strong>di</strong>stribuito ogni anno in copertura prima della ripresa vegetativa,<br />

specialmente nei terreni sciolti e sabbiosi, nella misura <strong>di</strong> 70-80 kg/ha <strong>di</strong> K2O.<br />

Semina<br />

La tra<strong>di</strong>zionale semina dell’erba me<strong>di</strong>ca consociata ad un cereale, la cosiddetta<br />

‘bulatura’ (trasemina della me<strong>di</strong>ca a fine inverno nel cereale seminato in autunno), è<br />

oggi completamente abbandonata a favore della semina in purezza su terreno nudo. Per<br />

quanto riguarda l’epoca <strong>di</strong> semina, bisogna tenere presenti due considerazioni<br />

fondamentali, ovvero che le leguminose sono sensibili alle basse temperature nei primi<br />

sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> sviluppo, e che l’apparato ra<strong>di</strong>cale deve svilupparsi prima della stagione secca.<br />

Per questo, mentre nelle regioni meri<strong>di</strong>onali si adottano spesso semine autunnali, nelle<br />

regioni centro-settentrionali, con climi più umi<strong>di</strong> e fred<strong>di</strong>, si preferiscono le semine<br />

primaverili. Risultati <strong>di</strong> varie prove sperimentali hanno <strong>di</strong>mostrano che è possibile,<br />

anche in ambienti settentrionali, seminare il me<strong>di</strong>caio nella tarda estate, ma in ogni caso<br />

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la resa è sempre inferiore a quelle primaverili ed in particolare alla semina eseguita nella<br />

prima decade <strong>di</strong> marzo, che risulta essere la più in<strong>di</strong>cata per le zone <strong>di</strong> pianura (sl.<br />

26/38). Oltre a mostrare minori produzioni, il me<strong>di</strong>caio in semina autunnale tende ad<br />

infestarsi <strong>di</strong> malerbe in misura maggiore, per la lunga esposizione alle basse<br />

temperature nella sua fase iniziale <strong>di</strong> sviluppo.<br />

In un terreno sciolto, ben preparato e dotato <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà, si possono usare 20<br />

kg/ha <strong>di</strong> seme con semina a macchina e a righe. La grande maggioranza dei terreni<br />

italiani adatti all’erba me<strong>di</strong>ca è costituita però da terreni tendenzialmente pesanti, e su<br />

questi si consigliano 30-40 kg/ha <strong>di</strong> seme, per arrivare anche a dosi <strong>di</strong> 40-50 kg/ha in<br />

con<strong>di</strong>zioni particolarmente svantaggiate per epoca e situazioni pedo-climatiche.<br />

La profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> semina riveste una grande importanza per la buona riuscita<br />

dell’impianto: quella ideale, che deve essere la più regolare possibile, è <strong>di</strong> circa 1 cm<br />

nei terreni argillosi, pesanti, e 1-2 cm in quelli leggeri, sabbiosi. Si sconsiglia <strong>di</strong> adottare<br />

profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> semina superiori a quelle in<strong>di</strong>cate, per non compromettere la regolarità e la<br />

velocità <strong>di</strong> emergenza delle plantule.<br />

<strong>Di</strong>serbo<br />

La durata <strong>di</strong> un cotico <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ca è funzione <strong>di</strong> molte variabili, quali il terreno, il clima,<br />

la varietà, i ritmi <strong>di</strong> utilizzazione e, non ultima, la competizione con la flora infestante.<br />

Nel primo anno, il tipo <strong>di</strong> infestazione che predomina è in genere costituito da specie<br />

annuali, mentre negli anni successivi queste tendono a lasciare il posto ad infestanti<br />

poliennali.<br />

Anche se si adottano corrette tecniche agronomiche, il me<strong>di</strong>caio si trova<br />

generalmente in forte competizione con le malerbe nell’anno d’impianto e durante il<br />

riposo vegetativo invernale, in special modo ad opera delle <strong>di</strong>cotiledoni annuali, quali<br />

stellaria, crucifere e composite, e delle <strong>di</strong>cotiledoni perennanti nei terreni sciolti <strong>di</strong><br />

pianura. Il <strong>di</strong>serbo dell’erba me<strong>di</strong>ca può essere articolato come segue. Nell’anno<br />

d’impianto si può eseguire in pre-semina con Benfluralin, che controlla le graminacee, o<br />

in pre-emergenza con <strong>Pro</strong>pizamide, che controlla graminacee e <strong>di</strong>cotiledoni ed anche i<br />

germinelli <strong>di</strong> romice e <strong>di</strong> cuscuta, o in post-emergenza con 2,4DB, Imazamox, Piridate o<br />

Quizalofop-etile, intervenendo allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 1-4 foglie, e altezza <strong>di</strong> 8-10 cm. Negli anni<br />

successivi si possono fare trattamenti <strong>di</strong> mantenimento durante il riposo vegetativo<br />

invernale con <strong>Pro</strong>pizamide, Metribuzin, Imazamox, Piridate o Quizalofop-etile. In<br />

presenza <strong>di</strong> cuscuta (sl. 26/82) si può intervenire con <strong>Pro</strong>pizamide a fine inverno e<br />

subito dopo il primo taglio.<br />

.<br />

Irrigazione<br />

Benché sia una specie originaria <strong>di</strong> zone temperato-calde, l’erba me<strong>di</strong>ca presenta un<br />

consumo specifico <strong>di</strong> acqua non in<strong>di</strong>fferente, pari a circa 700-1000 kg <strong>di</strong> H2O per kg <strong>di</strong><br />

sostanza secca, con una WUE inferiore a 2 kg <strong>di</strong> sostanza secca per m 3 <strong>di</strong> acqua<br />

traspirata. Grazie al suo profondo apparato ra<strong>di</strong>cale, la me<strong>di</strong>ca riesce quasi sempre a<br />

sopperire da sola, specialmente in terreni freschi, profon<strong>di</strong> e dotati <strong>di</strong> falda acquifera,<br />

alle proprie necessità idriche. Sono pertanto limitati i casi erba me<strong>di</strong>ca irrigua. Nelle<br />

con<strong>di</strong>zioni pedo-climatiche della pianura padana può essere effettuata un’irrigazione <strong>di</strong><br />

soccorso durante il primo anno o, al massimo, nei primi due anni <strong>di</strong> vita, quando la<br />

coltura non ha ancora raggiunto il pieno sviluppo ra<strong>di</strong>cale. L’irrigazione favorisce, tra<br />

l’altro, lo sviluppo <strong>di</strong> erbe infestanti estive che prendono il sopravvento sull’erba<br />

me<strong>di</strong>ca e la proliferazione <strong>di</strong> funghi patogeni della corona e della ra<strong>di</strong>ce, contribuendo<br />

al <strong>di</strong>radamento dei cespi. Nelle zone più siccitose del centro-sud, l’irrigazione può<br />

esplicare la sua efficacia durante tutto il ciclo produttivo. Riguardo al momento<br />

dell’intervento irriguo, è consigliato effettuarlo dopo lo sfalcio del foraggio, per<br />

175


icostituire rapidamente la copertura vegetale con un vigoroso ricaccio. Il metodo<br />

consigliato e più <strong>di</strong>ffuso è quello per aspersione, con volumi variabili da 400 a 500<br />

m 3 /ha in relazione alla tessitura del terreno e alle con<strong>di</strong>zioni climatiche.<br />

Gestione del me<strong>di</strong>caio<br />

Un aspetto fondamentale per la corretta conduzione del me<strong>di</strong>caio è quello <strong>di</strong><br />

programmare i tempi e le modalità <strong>di</strong> raccolta, al fine <strong>di</strong> garantire una buona<br />

produzione, un foraggio <strong>di</strong> elevata qualità ed assicurare la longevità dell’impianto.<br />

Epoca <strong>di</strong> taglio<br />

Lo sta<strong>di</strong>o in cui la coltura viene sfalciata riveste un’importanza particolare. Infatti, se si<br />

sfalcia prima dell’emissione dei primi fiori, quando il germoglio fiorale è ancora verde,<br />

si ottiene <strong>di</strong> norma una produzione inferiore, ma dotata <strong>di</strong> superiore qualità, con più<br />

proteine, più carboidrati solubili e meno cellulosa e lignina (sl. 26/50-51). In genere,<br />

però, questo tipo <strong>di</strong> utilizzazione, favorevole alla qualità del foraggio, danneggia il<br />

me<strong>di</strong>caio riducendone la durata. Un giusto compromesso è allora quello <strong>di</strong> sfalciare al<br />

cosiddetto sta<strong>di</strong>o del 50% del bottone blu, quando cioè circa la metà dei fiori<br />

nell’infiorescenza (ancora chiusi) inizia a mostrare la pigmentazione blu-viola dei<br />

petali, o, al più tar<strong>di</strong>, all’inizio della fioritura (circa 10% <strong>di</strong> fiori aperti).<br />

Modalità <strong>di</strong> raccolta<br />

L’erba me<strong>di</strong>ca entra nella razione alimentare delle bovine da latte quasi unicamente<br />

come prodotto conservato, infatti la foraggiata verde, salvo alcuni casi marginali, è<br />

quasi del tutto scomparsa.<br />

Le modalità della raccolta sono influenzate dal sistema <strong>di</strong> conservazione e <strong>di</strong><br />

utilizzazione che si vogliono adottare, ma in linea <strong>di</strong> massima le operazioni <strong>di</strong> raccolta<br />

devono essere svolte in modo da sod<strong>di</strong>sfare due requisiti molto importanti: ridurre al<br />

minimo il traffico delle macchine operatrici sul me<strong>di</strong>caio, che mal sopporta il calpestìo<br />

(sl. 26/47), e ridurre i tempi e il numero <strong>di</strong> operazioni per limitare le per<strong>di</strong>te del<br />

prodotto. Il taglio deve essere veloce e regolare, ad un’altezza non inferiore ai 5 cm. Il<br />

taglio con falcia-con<strong>di</strong>zionatrici (a rulli o a flagelli) resta la soluzione migliore per<br />

facilitare la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> acqua dagli steli e ridurre la permanenza in campo del foraggio<br />

(sl. 26/54).<br />

Una modalità particolare <strong>di</strong> utilizzazione dell’erba me<strong>di</strong>ca è me<strong>di</strong>ante<br />

pascolamento <strong>di</strong>retto da parte <strong>degli</strong> animali, come illustrato più avanti.<br />

Conservazione<br />

La conservazione del foraggio è un fattore molto importante in un’azienda zootecnica, e<br />

le modalità <strong>di</strong> conservazione sono in funzione sia del sistema foraggero che del tipo <strong>di</strong><br />

alimentazione del bestiame. Nel passato, l’uso massiccio della foraggiata verde<br />

richiedeva la conservazione <strong>di</strong> una quota relativamente limitata <strong>di</strong> foraggio attraverso la<br />

fienagione. Questa rappresenta oggi il metodo prevalente <strong>di</strong> raccolta e conservazione dei<br />

foraggi prativi. Particolari con<strong>di</strong>zioni ambientali o <strong>di</strong> utilizzazione (unifeed) hanno<br />

portato però a considerare e sviluppare altre forme <strong>di</strong> conservazione, più razionali e<br />

convenienti. Fra queste, l’insilamento, eseguito con l’erba <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ca a determinate<br />

percentuali <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà, può risultare una soluzione valida in certe realtà aziendali.<br />

Fienagione<br />

Come già accennato, la fienagione è la più antica e la più <strong>di</strong>ffusa forma <strong>di</strong><br />

conservazione del foraggio ma, nonostante il miglioramento delle tecniche, essa<br />

176


presenta alcuni inconvenienti <strong>di</strong>fficili da eliminare, specialmente in particolari<br />

con<strong>di</strong>zioni ambientali. La fienagione completa in campo richiede un particolare e ampio<br />

parco macchine per l’esecuzione delle operazioni, le quali, a seconda della massa <strong>di</strong><br />

foraggio e della stagione, sono numerose e protratte nel tempo. Tutto questo fa sì che il<br />

foraggio, e in particolare quello <strong>di</strong> erba me<strong>di</strong>ca, sia soggetto a per<strong>di</strong>te notevoli. Con lo<br />

sfalcio e le successive operazioni <strong>di</strong> rivoltamento e andanatura (sl. 26/53) si verifica<br />

infatti un danno al prodotto, soprattutto per il <strong>di</strong>stacco <strong>di</strong> foglioline e della parte più<br />

sottile dello stelo, che rappresentano la parte migliore del foraggio da un punto <strong>di</strong> vista<br />

nutrizionale. Le per<strong>di</strong>te aumentano man mano che <strong>di</strong>minuisce l’umi<strong>di</strong>tà dell’erba.<br />

Alle per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> natura meccanica che si verificano durante la fienagione, bisogna<br />

aggiungere le eventuali per<strong>di</strong>te causate da avverse con<strong>di</strong>zioni meteorologiche. La<br />

probabilità che si verifichino tali eventi aumenta proporzionalmente con la durata della<br />

permanenza del foraggio in campo, soprattutto in primavera e a fine estate, in<br />

corrispondenza del primo e dell’ultimo taglio, e comunque in quelle regioni<br />

caratterizzate da un’elevata umi<strong>di</strong>tà dell’aria anche in estate, che rende necessari<br />

numerosi interventi <strong>di</strong> rivoltamento.<br />

In parte si può ovviare a questi inconvenienti ricorrendo ad alcuni accorgimenti<br />

durante la fienagione. I tempi <strong>di</strong> essiccamento, e <strong>di</strong> conseguenza le per<strong>di</strong>te, si riducono<br />

infatti <strong>di</strong> molto se, durante la falciatura, si esegue anche il con<strong>di</strong>zionamento meccanico<br />

(sl. 26/54) mirato a creare delle ‘lesioni’ sullo stelo ogni 2-3 cm o, meglio, a schiacciare<br />

lo stelo, in modo da provocare la fuoriuscita dell’acqua dallo stesso e la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

umi<strong>di</strong>tà del foraggio. Un con<strong>di</strong>zionamento eseguito correttamente e con macchine<br />

idonee non dovrebbe portare alla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> foglioline per <strong>di</strong>stacco.<br />

Una volta essiccata, quando presenta un contenuto <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà del 20% o<br />

inferiore, l’erba me<strong>di</strong>ca è pronta per essere imballata, operazione questa che può essere<br />

eseguita con le imballatrici tra<strong>di</strong>zionali formando balle parallelepipede o con le più<br />

moderne rotoimballatrici che formano balloni cilindrici <strong>di</strong> circa 400 kg. Durante<br />

l’operazione <strong>di</strong> imballatura possono essere utilizzati alcuni ad<strong>di</strong>tivi conservanti, quali i<br />

propionati, che inibiscono lo sviluppo dei microrganismi responsabili del<br />

surriscaldamento ed ammuffimento del fieno. Così operando, si può imballare il fieno<br />

con un contenuto <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà leggermente superiore limitando ulteriormente la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

foglioline.<br />

Un metodo alternativo alla completa fienagione in campo è la cosiddetta<br />

‘fienagione in due tempi’, consistente nell’essiccamento finale del foraggio in modo<br />

artificiale in fienili a ventilazione forzata (sl. 26/55). Con questo sistema, si può<br />

asportare dal campo il foraggio <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ca pre-appassito (45% circa <strong>di</strong> sostanza secca),<br />

trasportarlo sciolto con l’ausilio <strong>di</strong> carri autocaricanti in appositi fienili e continuare<br />

l’essiccamento insufflando aria calda dal basso. Ultimamente sono stati messi a punto<br />

dei sistemi capaci <strong>di</strong> essiccare la me<strong>di</strong>ca pre-appassita rotoimballata.<br />

Sotto l’aspetto economico, la fienagione è un sistema piuttosto <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>oso, in<br />

quanto richiede l’uso <strong>di</strong> un parco macchine specifico e ampio, nonché l’impiego<br />

massiccio <strong>di</strong> mano d’opera per l’esecuzione delle molteplici e frazionate operazioni. Ciò<br />

si traduce in costi elevati per il foraggicoltore, costi che aumentano ulteriormente nel<br />

caso dell’essiccamento artificiale, a causa delle strutture de<strong>di</strong>cate e dell’impiego del<br />

combustibile per il riscaldamento dell’aria.<br />

Insilamento<br />

Per ovviare alla maggior parte dei problemi <strong>di</strong> carattere tecnico-economico ed<br />

organizzativo della fienagione, si può ricorrere all’insilamento dell’erba me<strong>di</strong>ca, anche<br />

se questa pratica presenta un certo livello <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà rispetto ad altre specie foraggere<br />

(graminacee prative, cereali) per il basso contenuto <strong>di</strong> zuccheri fermentescibili e<br />

177


l’elevato potere tampone dei suoi succhi cellulari, che si oppongono all’abbassamento<br />

del pH. Con l’insilamento del foraggio verde dell’erba me<strong>di</strong>ca si riducono l’impiego <strong>di</strong><br />

mano d’opera e le per<strong>di</strong>te, riducendo al minimo la permanenza in campo dell’erba<br />

sfalciata. Con questo sistema, infatti, si ottiene circa il 20% <strong>di</strong> prodotto in più in termini<br />

<strong>di</strong> energia conservata (UFL). L’insilamento nelle trincee (sl. 26/60-61), metodo<br />

collaudatissimo e largamente utilizzato da tempo con successo per il trinciato integrale<br />

<strong>di</strong> mais, si presta bene anche per l’insilamento dell’erba dei foraggi prativi, specie <strong>di</strong><br />

quelli a base <strong>di</strong> graminacee, ma una corretta ed appropriata tecnica permette <strong>di</strong> ottenere<br />

un buon insilato anche con l’erba me<strong>di</strong>ca.<br />

La conservazione <strong>di</strong> un foraggio insilato è dovuta alle fermentazioni che<br />

avvengono nella massa, in ambiente anaerobico, e che hanno come risultato la<br />

formazione <strong>di</strong> aci<strong>di</strong> organici, <strong>di</strong> cui i più importanti sono l’acido lattico e l’acido<br />

acetico, che abbassano il pH del prodotto conservato. Il tipo <strong>di</strong> fermentazioni e, quin<strong>di</strong>,<br />

la riuscita dell’insilato <strong>di</strong>pende dalle tecniche utilizzate durante il processo <strong>di</strong><br />

insilamento. Una corretta tecnica suggerisce <strong>di</strong> sfalciare il me<strong>di</strong>caio allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

bottone fiorale, poiché andando oltre questo sta<strong>di</strong>o la qualità <strong>di</strong>minuisce rapidamente;<br />

alla falciatura andrebbe sempre abbinato il con<strong>di</strong>zionamento, per favorire la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

umi<strong>di</strong>tà durante il breve periodo <strong>di</strong> permanenza in campo dell’erba sfalciata (preappassimento),<br />

fino al raggiungimento <strong>di</strong> un contenuto <strong>di</strong> sostanza secca <strong>di</strong> circa il 30%.<br />

A questo punto, l’erba può essere trinciata alla lunghezza <strong>di</strong> 2-2.5 cm, <strong>di</strong>mensione<br />

ottimale per ottenere una buona compattazione dell’insilato, un facile desilamento ed un<br />

corretto utilizzo da parte dell’animale poligastrico. Una volta trinciata, l’erba va<br />

trasportata, ammassata e compattata nella trincea: queste operazioni debbono essere<br />

fatte il più celermente possibile per ridurre al minimo l’esposizione all’aria che<br />

avvierebbe le fermentazioni aerobiche, indesiderate. Una cura particolare va posta nella<br />

chiusura del silo, perché, come è stato già ricordato, la con<strong>di</strong>tio sine qua non per<br />

ottenere un buon insilato è l’assoluta mancanza <strong>di</strong> aria. Nel processo <strong>di</strong> insilamento si<br />

possono adoperare alcuni ad<strong>di</strong>tivi, per la maggior parte costituiti da fermenti lattici, che<br />

hanno la funzione <strong>di</strong> innescare e favorire la fermentazione batterica desiderata; tali<br />

ad<strong>di</strong>tivi non hanno comunque la capacità <strong>di</strong> migliorare un insilamento non<br />

correttamente eseguito.<br />

L’insilamento in trincea è prerogativa <strong>di</strong> aziende <strong>di</strong> me<strong>di</strong>e e gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni,<br />

che hanno una certa capacità organizzativa sia nella gestione che nelle strutture e nelle<br />

macchine. Una valida alternativa all’insilamento in trincea è fornita dall’insilamento<br />

delle balle cilindriche in sacchi <strong>di</strong> polietilene o, come più recentemente ed<br />

efficacemente usato, in rotoballe fasciate meccanicamente con film <strong>di</strong> polietilene (sl.<br />

26/62). Questi sistemi sono adatti anche per le aziende <strong>di</strong> non gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni, in<br />

quanto sono estremamente versatili e non richiedono particolari strutture ed attrezzature,<br />

potendo eseguire infatti le operazioni con le normali macchine per la fienagione. In<br />

particolare, il secondo sistema (fasciatura) risulta migliore, in quanto elimina molta<br />

mano d’opera e le operazioni <strong>di</strong> insilamento sono più veloci ed efficaci, offrendo un<br />

migliore isolamento all’aria. Ciononostante, per garantire una buona conservazione con<br />

le rotoballe fasciate è richiesto un certo grado <strong>di</strong> attenzione e professionalità da parte<br />

dell’agricoltore, in particolare nell’osservanza <strong>di</strong> accorgimenti importanti in alcune fasi<br />

delicate come: i) prevenzione dell’inquinamento terroso per limitare la presenza <strong>di</strong><br />

clostri<strong>di</strong> e, <strong>di</strong> conseguenza, <strong>di</strong> fermentazioni indesiderate; ii) scelta del grado <strong>di</strong><br />

appassimento ottimale (circa il 60-70% <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà), che consente un buon<br />

compattamento della balla e facilità <strong>di</strong> movimentazione; iii) tempestività nell’eseguire<br />

tutte le operazioni per sottrarre il foraggio il più presto possibile all’esposizione<br />

dall’aria; iv) grande cura nella movimentazione delle balle fasciate per evitare le<br />

lacerazioni nella fasciatura.<br />

178


<strong>Di</strong>sidratazione<br />

Con lo scopo <strong>di</strong> ridurre al minimo le per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> conservazione e mantenere quasi<br />

inalterato l’alto valore biologico-nutrizionale <strong>di</strong> questa foraggera, si ricorre alla tecnica<br />

della <strong>di</strong>sidratazione, grazie alla quale l’erba me<strong>di</strong>ca può essere considerata anche una<br />

coltura <strong>di</strong> tipo industriale. La <strong>di</strong>sidratazione consiste nell’essiccamento molto rapido<br />

dell’erba entro 2-4 ore dello sfalcio, portandola ad un contenuto in sostanza secca del<br />

90-94%. In Italia il prodotto così ottenuto è generalmente impiegato quale integratore <strong>di</strong><br />

concentrati utilizzati nell’alimentazione dei monogastrici (dal 2 al 5% della razione nei<br />

polli, dal 5 al 15% nei suini e dal 10 al 30% nei cavalli), ma in altri paesi, quali Francia,<br />

Paesi Bassi, USA, è largamente usato anche nella <strong>di</strong>eta <strong>di</strong> bovini, in modo particolare<br />

delle vacche ad alte prestazioni lattifere, con percentuali variabili dal 10 al 30% della<br />

razione. Questo tipo <strong>di</strong> conservazione si è sviluppato con un’impronta industriale a<br />

partire dagli anni ’60, ha subito l’effetto della crisi energetica <strong>degli</strong> anni ‘70, per poi<br />

riprendere l’espansione in modo costante nella seconda metà <strong>degli</strong> anni ‘80. Nel nostro<br />

paese la produzione è <strong>di</strong> circa 600 mila tonnellate, su una superficie <strong>di</strong> oltre 50 mila ha.<br />

Le principali tipologie <strong>di</strong> prodotti <strong>di</strong>sidratati sono rappresentate dai ‘pellets’ <strong>di</strong><br />

farina <strong>di</strong>sidratata, ricchi <strong>di</strong> proteine e beta-carotene, dai concentrati proteici (PX),<br />

ottenuti per spremitura, flocculazione ed essiccazione dei succhi fogliari (presentano<br />

un’altissima concentrazione <strong>di</strong> proteine, fino al 50% sulla sostanza secca, sono ricchi in<br />

amminoaci<strong>di</strong> essenziali, xantofille e beta-carotene, e hanno solo il 2-3% <strong>di</strong> fibra), e dalle<br />

balle e balloni (da 200 a 800 kg) <strong>di</strong> erba <strong>di</strong>sidratata a fibra lunga (7-12 cm), ideali per<br />

le bovine da latte (sl. 26/68). L’erba me<strong>di</strong>ca <strong>di</strong>sidratata a fibra lunga è ricca <strong>di</strong> proteine<br />

e fibra ‘fisicamente efficace’, che stimola la ruminazione e incrementa la salivazione,<br />

con un positivo effetto tampone sul pH ruminale. Negli ultimi anni, i balloni <strong>di</strong> erba<br />

me<strong>di</strong>ca a fibra lunga hanno raggiunto l’80% del totale dei prodotti <strong>di</strong>sidratati.<br />

La catena delle macchine operatrici per questo sistema <strong>di</strong> conservazione è<br />

costituita dalla falcia-trinciacaricatrice (sl. 26/64) e da autocarri per il trasporto del<br />

prodotto presso gli stabilimenti, dove moderni impianti, in genere a tamburo rotante,<br />

essiccano rapidamente l’erba me<strong>di</strong>ca trinciata (sl. 26/65). La trinciatura è più fine (a 3-5<br />

cm) per la produzione <strong>di</strong> pellets e concentrati proteici, più grossolana (come detto, a 7-<br />

12 cm) per la produzione <strong>di</strong> balle e balloni <strong>di</strong> erba <strong>di</strong>sidratata a fibra lunga.<br />

Il calendario dei tagli viene stabilito dal <strong>di</strong>sidratatore con un intervallo oscillante<br />

intorno ai 30 giorni, periodo che rappresenta un accettabile compromesso tra la<br />

produzione <strong>di</strong> sostanza secca, la concentrazione proteica e la capacità operativa<br />

dell’impresa <strong>di</strong> trasformazione. Dal punto <strong>di</strong> vista economico, questa attività,<br />

prettamente industriale, è gestita con contratti stipulati fra industria ed impren<strong>di</strong>tore<br />

agricolo.<br />

Per questo tipo <strong>di</strong> utilizzazione vanno scelte varietà adatte ai tagli molto<br />

anticipati e frequenti, con buon rapporto foglie/steli ed elevata persistenza (sl. 26/72).<br />

Pascolamento<br />

Sebbene la sua utilizzazione prevalente sia come coltura da sfalcio, l’erba me<strong>di</strong>ca può<br />

rappresentare una specie <strong>di</strong> pregio anche nella costituzione <strong>di</strong> pascoli per <strong>di</strong>verse specie<br />

animali, e come tale è già largamente impiegata in alcuni paesi extraeuropei, quali<br />

Argentina, USA, Canada o Australia.<br />

Un prato-pascolo basato sull’erba me<strong>di</strong>ca può integrare un pascolo naturale<br />

formato da essenze graminacee a spiccata stagionalità produttiva (tarda primavera-<br />

inizio estate), sostenendo il valore nutritivo del pascolo nei mesi estivi. Soprattutto in<br />

ambiente me<strong>di</strong>terraneo, l’erba me<strong>di</strong>ca può rappresentare uno strumento per allungare la<br />

179


stagione <strong>di</strong> pascolamento, me<strong>di</strong>ante la sua introduzione in una ‘catena’ <strong>di</strong> risorse<br />

foraggere.<br />

Le <strong>di</strong>fficoltà maggiori nell’impiego dell’erba me<strong>di</strong>ca come pianta da pascolo<br />

sono rappresentate dal rischio <strong>di</strong> meteorismo nei ruminanti (quando l’erba me<strong>di</strong>ca<br />

rappresenta oltre il 50-60% della vegetazione nel pascolo) e dalla scarsa tolleranza delle<br />

varietà tra<strong>di</strong>zionali al pascolamento intenso. Il meteorismo è una patologia provocata<br />

dalla formazione <strong>di</strong> schiuma nel rumine (causata da una <strong>di</strong>gestione rapida e tumultuosa<br />

della proteina solubile da parte dei batteri ruminali), la quale, ostruendo il car<strong>di</strong>as,<br />

impe<strong>di</strong>sce la fuoriuscita dei gas che si formano nel rumine stesso durante la <strong>di</strong>gestione,<br />

determinandone il rigonfiamento e la <strong>di</strong>latazione che possono provocare danni agli altri<br />

organi interni. A causa dell’abbondanza <strong>di</strong> proteine, il pascolamento <strong>di</strong> erba me<strong>di</strong>ca<br />

costituisce un fattore <strong>di</strong> rischio. Si possono però adottare alcuni accorgimenti tecnici che<br />

possono ridurre il rischio <strong>di</strong> meteorismo: ad esempio, non introdurre animali affamati<br />

sul pascolo per evitare un’ingestione rapida e massiccia; lasciare del fieno (anche <strong>di</strong><br />

scarsa qualità) a <strong>di</strong>sposizione <strong>degli</strong> animali durante il pascolamento (in modo da<br />

ingombrare parzialmente il rumine con foraggio più lentamente <strong>di</strong>geribile); lasciare gli<br />

animali per brevi perio<strong>di</strong> sull’erba me<strong>di</strong>ca nei primi giorni <strong>di</strong> pascolamento (sempre per<br />

limitare l’ingestione rapida e massiccia <strong>di</strong> un alimento nuovo ed altamente appetibile);<br />

prestare attenzione nelle giornate fresche e umide (in primavera e/o inizio autunno),<br />

poiché un foraggio succulento, inducendo un consumo maggiore, aumenta il rischio <strong>di</strong><br />

meteorismo.<br />

I fattori che determinano la scarsa persistenza al pascolamento delle varietà<br />

tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> erba me<strong>di</strong>ca sono <strong>di</strong> natura morfofisiologica. La corona delle piante <strong>di</strong><br />

varietà tra<strong>di</strong>zionali, generalmente piccola e superficiale, subisce infatti dei danni a causa<br />

dello strappo e/o del calpestìo <strong>degli</strong> animali, <strong>di</strong>venendo anche più suscettibile a fattori<br />

quali malattie e gelate. Inoltre, l’intensa defogliazione delle piante provoca un<br />

progressivo depauperamento delle riserve negli organi sotterranei, con ulteriori<br />

conseguenze negative sulla persistenza dei cotici. Negli ultimi due decenni, la ricerca ha<br />

compiuto importanti progressi nella comprensione dei meccanismi morfologici e<br />

fisiologici che stanno alla base della tolleranza al pascolamento in erba me<strong>di</strong>ca (ad<br />

esempio, l’abito <strong>di</strong> crescita prostrato o semi-eretto; la corona profonda (sl. 26/79); la<br />

capacità <strong>di</strong> accumulo <strong>di</strong> riserve sotterranee; la capacità <strong>di</strong> proliferazione laterale delle<br />

piante) e, soprattutto, nella selezione <strong>di</strong>retta dei tipi più tolleranti in con<strong>di</strong>zioni reali <strong>di</strong><br />

pascolamento. L’adozione <strong>di</strong> varietà specificamente tolleranti il pascolamento può<br />

consentire <strong>di</strong> aumentare il tempo <strong>di</strong> permanenza sul pascolo senza compromettere la<br />

persistenza del cotico, mantenendo anche un buon rapporto tra erba me<strong>di</strong>ca e<br />

graminacee quando queste siano allevate in consociazione.<br />

180


Graminacee<br />

LOIESSA o LOGLIO ITALICO (Lolium multiflorum; sl. 27/11)<br />

È una foraggera molto precoce e molto produttiva, che in Italia settentrionale viene<br />

largamente impiegata come erbaio autunno-primaverile. Nella pianura lombarda, la<br />

loiessa forma con il mais un sistema foraggero dotato <strong>di</strong> elevata efficienza, in quanto il<br />

terreno è coperto da vegetazione attiva quasi tutto l’anno (sl. 27/12). L’erbaio <strong>di</strong> loiessa<br />

viene seminato in settembre-ottobre, dopo la raccolta del mais ceroso, e la raccolta<br />

avviene a fine aprile in modo da farla seguire dalla semina <strong>di</strong> un erbaio <strong>di</strong> mais da<br />

raccogliere a maturazione cerosa. Oltre che per erbai, la loiessa è in<strong>di</strong>cata anche per<br />

prati polifiti con trifoglio la<strong>di</strong>no, trifoglio pratense o lupinella (sl. 27/15-16). Il foraggio<br />

è <strong>di</strong> ottima qualità, ma il taglio va effettuato precocemente, poiché la pianta tende a<br />

<strong>di</strong>sseminare e a <strong>di</strong>ventare infestante.<br />

Fra i numerosi motivi che hanno determinato il successo della loiessa si possono<br />

ricordare: i) l’ottenimento, in confronto con le foraggere tra<strong>di</strong>zionali, <strong>di</strong> elevate<br />

produzioni <strong>di</strong> sostanza secca per ettaro che hanno consentito incrementi sensibili del<br />

carico del bestiame; ii) la possibilità della integrale meccanizzazione dalla semina alla<br />

somministrazione del prodotto agli animali; iii) la facilità <strong>di</strong> inserimento, per l’intero<br />

anno, del prodotto conservato nelle <strong>di</strong>ete alimentari; iv) la rilevanza considerevole sul<br />

contenimento dei costi <strong>di</strong> produzione del latte; v) l’elevata capacità vegetativa protratta<br />

fino al tardo autunno e la precoce ripresa vegetativa primaverile (dovute al fatto che la<br />

specie ha uno zero <strong>di</strong> vegetazione <strong>di</strong> 2-3 °C); vi) l’ottima produttività in un arco <strong>di</strong><br />

tempo ben determinato (fra ottobre ed aprile) collegata ad una spiccata capacità<br />

competitiva verso le malerbe; vii) la possibilità <strong>di</strong> un ampio calendario <strong>di</strong> semina e <strong>di</strong><br />

raccolta; viii) la produzione <strong>di</strong> un foraggio con buone caratteristiche qualitative, <strong>di</strong><br />

facile conservazione con l’insilamento (il contenuto in zuccheri è tale da garantire una<br />

regolare fermentazione per opera dei batteri lattici in caso <strong>di</strong> conservazione tramite<br />

insilamento) e che si presta anche ad essere utilizzato allo stato fresco od affienato; ix)<br />

la facilità <strong>di</strong> impianto unita ad un veloce inse<strong>di</strong>amento; x) l’azione positiva nei confronti<br />

della conservazione della fertilità del suolo per l’effetto <strong>di</strong> copertura esercitato durante i<br />

mesi invernali. La loiessa potrebbe infatti svolgere anche un importante ruolo come<br />

pianta da utilizzare nell’ambito <strong>di</strong> un’agricoltura sostenibile (Regolamento CE<br />

2078/92), grazie al suo possibile impiego come copertura invernale (cover crop). L’uso<br />

della loiessa come cover crop potrebbe rappresentare un sistema efficace per ridurre<br />

l’erosione del suolo, recuperare l’azoto residuo e contenerne la lisciviazione nella falda,<br />

ridurre la carica <strong>di</strong> malerbe, in modo particolare <strong>di</strong> quelle autunno-primaverili, ed<br />

aumentare la dotazione <strong>di</strong> sostanza organica del suolo.<br />

Aspetti botanici e biologici<br />

La loiessa è una specie allogama, cespitosa, annuale o biennale, dall’apparato ra<strong>di</strong>cale<br />

fascicolato. I culmi, vigorosi e cilindrici, sono alti fino a 120 cm; le foglie numerose e<br />

sviluppate sono elastiche, <strong>di</strong> colore verde opaco la pagina superiore, più lucida e<br />

brillante quella inferiore. L’infiorescenza è una spiga lassa costituita da spighette<br />

solitarie aristate.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista tassonomico si <strong>di</strong>stinguono due sottospecie: L. multiflorum<br />

subsp. westerwol<strong>di</strong>cum, tipicamente annuale, alternativa (capacità <strong>di</strong> spigare nell’anno<br />

<strong>di</strong> semina senza la necessità <strong>di</strong> essere esposta a ‘vernalizzazione’) ed in<strong>di</strong>cata per le<br />

colture da erbaio, e L. multiflorum subsp. italicum, forma tendenzialmente biennale<br />

adatta anche per prati <strong>di</strong> breve durata. A queste due forme è da aggiungere il L.<br />

181


hybridum, ottenuto dall’incrocio interspecifico fra L. multiflorum e L. perenne, il quale<br />

presenta caratteristiche interme<strong>di</strong>e tra le due specie da cui ha origine.<br />

Rispetto al corredo cromosomico, in entrambe le sottospecie si hanno varietà<br />

<strong>di</strong>ploi<strong>di</strong> (2n=2x=14) e varietà tetraploi<strong>di</strong> (2n=4x=28) (sl. 27/18). Le prime sono<br />

particolarmente adatte alla fienagione, in quanto presentano fusti e foglie sottili; le<br />

seconde, più adatte alla foraggiata verde e all’insilamento, sono costituite da piante<br />

particolarmente vigorose con steli grossi, foglie larghe, lunghe e più ricche in acqua. In<br />

genere, nel medesimo ambiente <strong>di</strong> prova, le varietà <strong>di</strong>ploi<strong>di</strong> sono più precoci rispetto<br />

alle tetraploi<strong>di</strong>. La fase <strong>di</strong> inizio spigatura, nella quale si raggiunge un buon<br />

compromesso tra quantità prodotta e qualità del foraggio, viene raggiunta in genere con<br />

4-5 giorni <strong>di</strong> anticipo nelle varietà <strong>di</strong>ploi<strong>di</strong> rispetto alle altre. Inoltre, a parità <strong>di</strong> sta<strong>di</strong>o<br />

fenologico, le varietà <strong>di</strong>ploi<strong>di</strong> risultano meno acquose delle tetraploi<strong>di</strong> me<strong>di</strong>amente <strong>di</strong><br />

due punti percentuali. Per i motivi prima esposti a proposito della doppia coltura, dove<br />

la tempestività <strong>degli</strong> interventi colturali è determinante, la scelta varietale della loiessa<br />

andrebbe orientata verso varietà <strong>di</strong>ploi<strong>di</strong>.<br />

Caratteristiche agronomiche e coltivazione<br />

La loiessa è una foraggera <strong>di</strong> rapido e facile inse<strong>di</strong>amento, che manifesta elevata<br />

aggressività. Pre<strong>di</strong>lige i terreni <strong>di</strong> me<strong>di</strong>o impasto, freschi e profon<strong>di</strong>, mentre rifugge<br />

quelli argillosi e molto tenaci. Come coltura intercalare autunno-primaverile entra, come<br />

già ricordato, in una delle più produttive catene foraggere oggi praticabili nelle zone a<br />

foraggicoltura irrigua intensiva. In genere si semina da fine settembre a metà ottobre; se<br />

invece si vuole <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> un taglio anche nel tardo autunno si deve anticipare la<br />

semina a fine agosto-prima metà <strong>di</strong> settembre.<br />

La preparazione del letto <strong>di</strong> semina può essere effettuata con operazioni più<br />

veloci e meno <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>ose dal punto <strong>di</strong> vista energetico ed economico (fresatura,<br />

erpicatura) rispetto alla classica aratura, dal momento che la produzione non ne è<br />

influenzata negativamente. Resta inteso che la successione loiessa-mais trinciato<br />

garantisce i migliori risultati nei terreni sciolti e facilmente lavorabili, nei quali la<br />

tempestività <strong>degli</strong> interventi agronomici è garantita.<br />

Una quantità <strong>di</strong> 30 e 40 kg/ha <strong>di</strong> seme per i tipi <strong>di</strong>ploi<strong>di</strong> e tetraploi<strong>di</strong>,<br />

rispettivamente, è la più consigliata dose <strong>di</strong> semina. Con data <strong>di</strong> semina posticipata è<br />

sempre consigliato aumentare la dose <strong>di</strong> semina.<br />

Utilizzazione, produttività e qualità<br />

Come già ricordato, la loiessa è tipica essenza da sfalcio, che si presta tanto al consumo<br />

verde quanto alla fienagione e all’insilamento. La pratica della fienagione risulta a volte<br />

<strong>di</strong> non facile applicazione, sia per l’abbondante massa <strong>di</strong> foraggio prodotta che per il<br />

periodo nel quale si effettua tale operazione, caratterizzato spesso da instabilità<br />

meteorica e che può determinare una lenta per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà. L’uso <strong>di</strong> soluzioni<br />

conservanti o l’essiccazione in due tempi, cioè portando in azienda il foraggio al 35-<br />

40% <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà e continuando l’essiccazione tramite ventilazione forzata in fienile,<br />

possono dare un ulteriore contributo per una buona conservazione, riducendo al minimo<br />

le per<strong>di</strong>te quali-quantitative.<br />

Per questi motivi, la pratica dell’insilamento si va sempre più <strong>di</strong>ffondendo. Con<br />

tale pratica, oltre a ridurre il lavoro <strong>di</strong> raccolta, vengono ridotte al minimo le per<strong>di</strong>te<br />

meccaniche. È più facile ottenere quella tempestività necessaria nelle operazioni <strong>di</strong><br />

raccolta e cogliere il momento fisiologico migliore, in modo particolare per quanto<br />

riguarda il buon livello <strong>di</strong> zuccheri solubili (14-16% della sostanza secca) e il basso<br />

potere tampone che a questo sta<strong>di</strong>o la pianta offre. Tutti gli interventi meccanici si<br />

eseguono con lo stesso cantiere <strong>di</strong> lavoro usato per il mais raccolto a maturazione<br />

182


cerosa. Interessante risulta essere anche la soluzione delle rotoballe fasciate, per la<br />

semplicità del cantiere <strong>di</strong> lavoro e la facilità <strong>di</strong> manipolazione. Anche in questo caso il<br />

prodotto va raccolto al 35-40% <strong>di</strong> sostanza secca.<br />

La produttività della loiessa è esaltata dalle concimazioni azotate e colture ben<br />

condotte possono realizzare in un solo sfalcio produzioni <strong>di</strong> 6-7 t/ha <strong>di</strong> sostanza secca.<br />

Va anche ricordato che l’azoto può esercitare un notevole effetto positivo sul tenore<br />

proteico del foraggio, tanto che concimazioni abbondanti <strong>di</strong> tale elemento, abbinate a<br />

sfalci precoci, possono migliorare qualitativamente il foraggio <strong>di</strong> loiessa. Se il tenore<br />

proteico è importante per giu<strong>di</strong>care il valore del foraggio, va comunque ricordato come<br />

gli apporti massicci <strong>di</strong> azoto, in modo particolare quando la pianta è in fase <strong>di</strong> levata,<br />

possono determinare, come conseguenza negativa sulla qualità, un aumento del livello<br />

<strong>di</strong> nitrati nel foraggio. La pianta, in presenza <strong>di</strong> elevata <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> N nel terreno, è<br />

portata ad assorbirlo in quantità superiore alle propria necessità, con conseguente<br />

accumulo <strong>di</strong> N-NO3 nei tessuti ver<strong>di</strong>. Oltre una soglia <strong>di</strong> tolleranza (stimata in 4 ppm), i<br />

nitrati ingeriti dagli animali vengono ridotti a nitriti e risultano tossici.<br />

FESTUCA (Festuca arun<strong>di</strong>nacea; sl. 27/24)<br />

È una pianta piuttosto rustica e molto produttiva, che può essere presa a modello per la<br />

descrizione delle graminacee foraggere poliennali. Queste, a parte le caratteristiche<br />

specifiche, presentano un’agrotecnica del tutto comparabile. Le graminacee foraggere<br />

poliennali sono state oggetto <strong>di</strong> numerose esperienze in <strong>di</strong>versi ambienti pedo-climatici,<br />

attraverso le quali sono state acquisite dettagliate informazioni che hanno contribuito a<br />

definire il loro adattamento, il potenziale produttivo, la persistenza e la tecnica più<br />

in<strong>di</strong>cata per la loro coltivazione.<br />

La festuca è una specie endemica delle regioni temperate dell’Europa e<br />

dell’Asia. La temperatura ideale <strong>di</strong> vegetazione è <strong>di</strong> circa 25 °C, ma quando la coltura è<br />

ben installata essa sopporta bene tanto le basse temperature invernali che quelle elevate<br />

estive. Può sopravvivere a con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> forte ari<strong>di</strong>tà estiva in quanto capace <strong>di</strong> entrare<br />

in stasi vegetativa. Questo carattere è presente però solo nel germoplasma <strong>di</strong> origine<br />

me<strong>di</strong>terranea, il quale si <strong>di</strong>fferenzia in maniera abbastanza netta da quello delle zone più<br />

fresche, definito ‘Continentale’. I tipi ‘Me<strong>di</strong>terraneo’ e ‘Continentale’ sono ormai<br />

riconosciuti come ‘razze ecologiche’ della specie.<br />

La festuca è una specie molto persistente (anche 8-10 anni), capace <strong>di</strong> sopportare<br />

bene anche il calpestìo a coltura installata (e adatta quin<strong>di</strong> al pascolamento), e <strong>di</strong> grande<br />

produttività in quanto capace <strong>di</strong> rispondere alle concimazioni azotate. Tra i suoi <strong>di</strong>fetti<br />

sono da ricordare il suo lento inse<strong>di</strong>amento, durante il quale presenta poca competitività<br />

verso le infestanti, ed un moderato valore alimentare del foraggio, accentuato dalla<br />

rapida per<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> appetibilità causata dall’indurimento delle foglie.<br />

È una pianta allogama, vivace e cespitosa, con apparato ra<strong>di</strong>cale profondo e<br />

robusto. I culmi, che portano la pannocchia, sono presenti solo al ricaccio primaverile;<br />

dal secondo sfalcio in poi la quasi totalità del foraggio è costituito solo da foglie, aspetto<br />

questo molto importante, in quanto garantisce un prodotto costante dal punto <strong>di</strong> vista<br />

qualitativo.<br />

Tecnica colturale<br />

Rispetto all’avvicendamento colturale, i prati monofiti <strong>di</strong> graminacee possono seguire<br />

tanto una sarchiata quanto un cereale. La semina può essere eseguita sia in autunno che<br />

in primavera. Nella prima ipotesi, va adottata un’epoca <strong>di</strong> semina che garantisca il<br />

raggiungimento <strong>di</strong> uno sta<strong>di</strong>o adeguato (almeno alla quarta, quinta foglia) prima dei<br />

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igori invernali. Se invece si opta per la semina primaverile, questa deve essere la più<br />

anticipata possibile (febbraio-marzo), compatibilmente con le con<strong>di</strong>zioni ambientali, per<br />

favorire un adeguato inse<strong>di</strong>amento prima del caldo e della siccità estivi. In ogni caso, è<br />

in<strong>di</strong>spensabile un’accurata preparazione del letto <strong>di</strong> semina, con terreno finemente<br />

amminutato in superficie per garantire un omogeneo interramento del seme.<br />

Il lento inse<strong>di</strong>amento della festuca esige una particolare attenzione alle infestanti<br />

(sopratutto nel periodo d’impianto), le quali, se non controllate, possono seriamente<br />

compromettere l’attecchimento della coltura. Spesso si può ottenere un buon controllo<br />

delle infestanti (soprattutto <strong>di</strong> quelle a ciclo autunno-primaverile) con un precoce taglio<br />

<strong>di</strong> pulizia. Come tutte le graminacee foraggere, la festuca si avvantaggia delle<br />

abbondanti concimazioni azotate annuali (150-250 k/ha <strong>di</strong> N) <strong>di</strong>stribuite in 3-4<br />

interventi all’anno (ad esempio, imme<strong>di</strong>atamente dopo gli sfalci, in modo da favorire un<br />

pronto e vivace ricaccio).<br />

<strong>Pro</strong>duttività<br />

In buone con<strong>di</strong>zioni idriche, unitamente a corrette ed abbondanti concimazioni azotate,<br />

può raggiungere produzioni <strong>di</strong> 15-18 t/ha <strong>di</strong> sostanza secca in 4-5 sfalci. Pur essendo la<br />

festuca una foraggera adatta anche alla coltura in asciutto, è indubbio che i migliori<br />

risultati produttivi sono ottenuti in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> buone dotazioni idriche. In zone<br />

agricole <strong>di</strong> pianura, i turni irrigui dovrebbero essere <strong>di</strong> 15 giorni, anche se va rilevato<br />

che nei mesi estivi l’efficacia dell’irrigazione nelle graminacee <strong>di</strong>minuisce<br />

notevolmente, a causa delle alte temperature che risultano il fattore limitante per lo<br />

sviluppo delle specie foraggere microterme. L’irrigazione esplica i suoi effetti migliori<br />

se abbinata alla concimazione azotata, all’utilizzazione precoce (primo taglio in fase <strong>di</strong><br />

botticella-spigatura), agli sfalci frequenti (ogni 4-5 settimane) e a temperature estive non<br />

particolarmente elevate.<br />

Una delle con<strong>di</strong>zioni più importanti da rispettare per garantire una buona durata<br />

del festuceto è l’altezza <strong>di</strong> sfalcio. Il taglio non deve essere eseguito molto basso, ma ad<br />

un’altezza <strong>di</strong> 5-6 cm per non danneggiare ed asportare le gemme basali <strong>di</strong> accestimento,<br />

da cui dovranno svilupparsi i nuovi ricacci.<br />

La festuca è una foraggera adatta sia al consumo verde che alla fienagione. La<br />

velocità <strong>di</strong> essicazione è molto rapida, in modo particolare da metà fienagione in poi,<br />

mentre le sue foglie sono piuttosto resistenti ai danneggiamenti causati dagli attrezzi<br />

meccanici, riducendo così le per<strong>di</strong>te alla raccolta. <strong>Di</strong> particolare importanza è l’epoca<br />

del primo sfalcio. Questo deve avvenire non troppo presto, per non danneggiare la<br />

produzione, ma neppure troppo tar<strong>di</strong>, per non compromettere la qualità del foraggio ed<br />

il pronto ricaccio del cotico. Come in tutte le graminacee foraggere, ma in maniera forse<br />

ancora più accentuata, più la pianta invecchia, soprattutto dopo la spigatura, più il tenore<br />

in fibra aumenta, in particolare per quanto riguarda le frazioni <strong>di</strong> ADF e ADL che sono<br />

quelle meno <strong>di</strong>geribili. Contemporaneamente al deca<strong>di</strong>mento qualitativo si registra un<br />

repentino abbassamento dell’appetibilità. Dal secondo taglio in poi, essendo il foraggio<br />

costituito da sole foglie, la qualità del prodotto si stabilizza su valori me<strong>di</strong> rispetto ad<br />

altre specie.<br />

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