Le leggi antiebraiche in Italia 1938-1945 - Istituto nazionale per la ...

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02.06.2013 Views

Oblio, silenzio SECONDA SEZIONE – LA LEGISLAZIONE DISCRIMINATORIA Colpevole di leso razzismo. Una sentenza per il reato di unione di indole coniugale tra cittadini e sudditi Gianluca Gabrielli - CESP Un paio di anni fa lo storico Matteo Dominioni ha scoperto negli archivi delle Forze Armate i documenti relativi ad una azione di repressione operata dall’esercito italiano nel 1939 in una regione dell’Etiopia. Una tra le tante, è vero, ma di efferatezza tutta speciale. Oltre un migliaio di etiopi, in parte uomini armati ma soprattutto donne, vecchi e bambini facenti parte delle salmerie dei resistenti, si erano rifugiati in una grande caverna; le forze dell’esercito italiano le braccarono per alcuni giorni e poi le liquidarono attraverso uso di gas (iprite e arsina) e fucilazione sommaria. Dominioni leggendo questo resoconto scampato alle “ripuliture d’archivio” non credeva ai suoi occhi, tanto che per verificare la veridicità e le caratteristiche dell’episodio è andato in Etiopia a ricercare quelle stesse grotte… E nelle grotte – oggi tabù per la popolazione del luogo – ha riesumato le tracce della carneficina. La notizia della scoperta allora è stata comunicata agli organi di informazione ed è rimbalzata per un paio di giorni sulle pagine di alcuni giornali (ma già l’opera di mistificazione e di confusione deliberata si era messa in moto, tanto che tra i titoli compariva anche “Le foibe degli italiani”). Poi silenzio. Quest’anno Dominioni ha completato e pubblicato il libro 30 che ricostruisce l’intera politica di repressione della resistenza etiopica attuata nei cinque anni di occupazione fascista, contestualizzando la strage di Zeret nel quadro di 5 anni di repressione durissima dei resistenti e delle popolazioni. L’evento però non è riuscito ad interrompere il silenzio che la stampa aveva lasciato cadere sull’argomento. Dimenticare, sminuire, fare finta di niente: questo è l’atteggiamento comune che ha quasi sempre accompagnato ogni nuova acquisizione storiografica sul passato coloniale italiano. Un tempo tali violenze venivano negate, basti ripensare all’accanimento di Montanelli nei confronti delle rivelazioni sull’uso dei gas fatte da Angelo Del Boca. Oggi semplicemente cadono nella quasi totale indifferenza di giornali e televisione. Un passato saturo di violenza e di razzismo, regolarmente rimossi in nome di un’immagine edulcorata di Italiani brava gente, rappresentanti di un colonialismo dal volto umano, esenti da colpe, costruttori di strade e portatori di civiltà. Parallelismi Questo mix di negazione, dimenticanza, rimozione e oblio è la caratteristica che ha accompagnato anche la dimensione “razzista” del colonialismo italiano, strettamente legata alle violenze e alla natura del dominio coloniale. Per questo il lavoro della ricerca e della divulgazione storica sul razzismo coloniale italiano è una fatica di Sisifo, indispensabile ma sempre da rifare, ogni volta da ricostruire di fronte ad una censura e ad una sordità dei mezzi di comunicazione che celebra il suo maggiore successo sui libri scolastici. I primi lavori sull’argomento comparvero già negli anni Sessanta firmati da Luigi Preti e Angelo Del Boca; poi seguirono gli studi di Rochat, Labanca, Goglia. Negli ultimi quindici anni il significato della ricerca in questa direzione si arricchiva di una valenza ulteriore: l’immigrazione infatti stava diventando in Italia un fenomeno stabile e di fronte a ciò la società e molti imprenditori 30 Matteo Dominioni, Lo sfascio dell’impero. Gli italiani in Etiopia 1936-1941. Roma-Bari, Laterza, 2008. 54

SECONDA SEZIONE – LA LEGISLAZIONE DISCRIMINATORIA politici - non solo di destra - rispondevano con il razzismo, in molti casi esplicito, spesso inconsapevole, sia diffuso che istituzionale. In questo nuovo contesto si sono aggiunte le ricerche di Barrera, Sorgoni, Bonavita e anche del sottoscritto, ma il razzismo nazionale cresce e si riproduce come se storia e storiografia non esistessero, come se gli ammonimenti del passato riguardassero solamente le altre nazioni, perché la nostra storia fu - manco a dirlo - priva di macchie 31 . Gli esempi si sprecano. Questa estate è stato varato un censimento etnico degli zingari italiani con rilevazione di impronte digitali: come possiamo dimenticare o ignorare i censimenti del 1938, a partire da quello di agosto rivolto agli ebrei, che costituì la premessa alle discriminazioni e alla deportazione giù giù fino ad Auschwitz? Ma anche quello - di due mesi precedente - delle persone di colore presenti in Italia, finalizzato al rimpatrio immediato in colonia per togliere dallo sguardo degli italiani ogni imbarazzante presenza di pelle colorata; o il censimenti dei meticci presenti in colonia varati per studiare le caratteristiche antropologiche e la tendenza alla criminalità degli “incroci razziali” e per impostare con certezza di dati la politica razzista verso i “mezzosangue”… Solo una società tristemente smemorata può ignorare o tollerare parallelismi talmente evidenti ed inquietanti e così decisivi per comprendere il nostro tempo. Per questo mi è parso utile scrollare dalla polvere delle riviste d’epoca un episodio avvenuto ad Addis Abeba nel 1939. 1939, Addis Abeba Siamo nel 1939, ad Addis Abeba. Ormai sono tre anni che la città è stata conquistata dall’esercito italiano e dalle camicie nere al termine di una guerra di sette mesi contro l’Etiopia, stato membro della Società delle Nazioni e vittima di invasione. Mussolini ha voluto questa guerra per costituire l’impero, unificando i territori di Eritrea e Somalia, colonie già italiane del Corno d’Africa. Una guerra breve, condotta con modalità tipiche delle campagne militari europee, con un grande impegno di truppe e di tecnologia, per garantire un successo rapido che superasse di slancio le pur debolissime sanzioni decise dalla Società delle Nazioni. Mezzo milione di italiani tra soldati e operai hanno permesso questo risultato oltre all’uso spregiudicato di armamenti come le T 500, bombe a iprite o fosgene, gas proibiti dalle convenzioni internazionali firmate anche da Mussolini un decennio prima. Il sogno del duce però non si trasforma interamente in realtà. Dopo l’occupazione di Addis Abeba infatti gran parte della popolazione etiope non accetta gli invasori e negli spazi sterminati di questo territorio nasce e si rafforza una resistenza armata che organizza la guerriglia. La resistenza riceve appoggio dalla popolazione dei villaggi, dagli intellettuali, da parti della chiesa copta. La repressione fascista è ferina, produce una violenza codificata che unisce decimazioni, uso dei gas sui combattenti e sui villaggi, distruzione dei villaggi, eliminazione mirata di intellettuali e di personalità religiose. Si tratta di una repressione che mira a stroncare la resistenza affermando una superiorità assoluta dell’occupante in quando invasore e in quanto bianco. Una repressione e un’occupazione che negano ogni elemento di prossimità e di contiguità tra occupante e suddito, rifiutando qualsiasi pur limitata delega di autogoverno. Matteo Dominioni nel suo libro parla di super direct rule, provando a catalogare questo modello di colonizzazione fascista tra i classici 31 Ricordiamo qui solo alcuni testi per avere uno sguardo panoramico sull’argomento: Riccardo Bonavita, Lo sguardo dall’alto. Le forme della razzizzazione nei romanzi coloniali e nella narrativa esotica, in La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, Bologna, Grafis, 1994; Angelo Del Boca, Le leggi razziali nell’impero di Mussolini, in Legnani e Rossi (a cura di), Il regime fascista. Storia e storiografia, Roma-Bari, Laterza, 1995; Giulia Barrera, Dangerous liaisons. Colonial Concubinage in Eritrea, 1890-1941, Evanstone (Illinois), Northwestern University, 1996; Gianluca Gabrielli, Un aspetto della politica fascista nell’impero: il ‘problema dei meticci’, “Passato e Presente”, XV, 41, 1997; Alberto Bugio (a cura di), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, Bologna, il Mulino, 1999; Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna, il Mulino, 2002; R. Bonavita, G. Gabrielli, R. Ropa, L’offesa della razza, Bologna, Patron, 2005. 55

Oblio, silenzio<br />

SECONDA SEZIONE – LA LEGISLAZIONE DISCRIMINATORIA<br />

Colpevole di leso razzismo.<br />

Una sentenza <strong>per</strong> il reato di unione di <strong>in</strong>dole coniugale<br />

tra cittad<strong>in</strong>i e sudditi<br />

Gianluca Gabrielli - CESP<br />

Un paio di anni fa lo storico Matteo Dom<strong>in</strong>ioni ha sco<strong>per</strong>to negli archivi delle Forze Armate i<br />

documenti re<strong>la</strong>tivi ad una azione di repressione o<strong>per</strong>ata dall’esercito italiano nel 1939 <strong>in</strong> una<br />

regione dell’Etiopia. Una tra le tante, è vero, ma di efferatezza tutta speciale. Oltre un migliaio di<br />

etiopi, <strong>in</strong> parte uom<strong>in</strong>i armati ma soprattutto donne, vecchi e bamb<strong>in</strong>i facenti parte delle salmerie<br />

dei resistenti, si erano rifugiati <strong>in</strong> una grande caverna; le forze dell’esercito italiano le braccarono<br />

<strong>per</strong> alcuni giorni e poi le liquidarono attraverso uso di gas (iprite e ars<strong>in</strong>a) e fuci<strong>la</strong>zione sommaria.<br />

Dom<strong>in</strong>ioni leggendo questo resoconto scampato alle “ripuliture d’archivio” non credeva ai suoi<br />

occhi, tanto che <strong>per</strong> verificare <strong>la</strong> veridicità e le caratteristiche dell’episodio è andato <strong>in</strong> Etiopia a<br />

ricercare quelle stesse grotte… E nelle grotte – oggi tabù <strong>per</strong> <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione del luogo – ha<br />

riesumato le tracce del<strong>la</strong> carnefic<strong>in</strong>a.<br />

La notizia del<strong>la</strong> sco<strong>per</strong>ta allora è stata comunicata agli organi di <strong>in</strong>formazione ed è rimbalzata <strong>per</strong><br />

un paio di giorni sulle pag<strong>in</strong>e di alcuni giornali (ma già l’o<strong>per</strong>a di mistificazione e di confusione<br />

deliberata si era messa <strong>in</strong> moto, tanto che tra i titoli compariva anche “<strong>Le</strong> foibe degli italiani”). Poi<br />

silenzio.<br />

Quest’anno Dom<strong>in</strong>ioni ha completato e pubblicato il libro 30 che ricostruisce l’<strong>in</strong>tera politica di<br />

repressione del<strong>la</strong> resistenza etiopica attuata nei c<strong>in</strong>que anni di occupazione fascista,<br />

contestualizzando <strong>la</strong> strage di Zeret nel quadro di 5 anni di repressione durissima dei resistenti e<br />

delle popo<strong>la</strong>zioni. L’evento <strong>per</strong>ò non è riuscito ad <strong>in</strong>terrom<strong>per</strong>e il silenzio che <strong>la</strong> stampa aveva<br />

<strong>la</strong>sciato cadere sull’argomento.<br />

Dimenticare, sm<strong>in</strong>uire, fare f<strong>in</strong>ta di niente: questo è l’atteggiamento comune che ha quasi sempre<br />

accompagnato ogni nuova acquisizione storiografica sul passato coloniale italiano. Un tempo tali<br />

violenze venivano negate, basti ripensare all’accanimento di Montanelli nei confronti delle<br />

rive<strong>la</strong>zioni sull’uso dei gas fatte da Angelo Del Boca. Oggi semplicemente cadono nel<strong>la</strong> quasi<br />

totale <strong>in</strong>differenza di giornali e televisione. Un passato saturo di violenza e di razzismo,<br />

rego<strong>la</strong>rmente rimossi <strong>in</strong> nome di un’immag<strong>in</strong>e edulcorata di <strong>Italia</strong>ni brava gente, rappresentanti di<br />

un colonialismo dal volto umano, esenti da colpe, costruttori di strade e portatori di civiltà.<br />

Parallelismi<br />

Questo mix di negazione, dimenticanza, rimozione e oblio è <strong>la</strong> caratteristica che ha accompagnato<br />

anche <strong>la</strong> dimensione “razzista” del colonialismo italiano, strettamente legata alle violenze e al<strong>la</strong><br />

natura del dom<strong>in</strong>io coloniale. Per questo il <strong>la</strong>voro del<strong>la</strong> ricerca e del<strong>la</strong> divulgazione storica sul<br />

razzismo coloniale italiano è una fatica di Sisifo, <strong>in</strong>dispensabile ma sempre da rifare, ogni volta da<br />

ricostruire di fronte ad una censura e ad una sordità dei mezzi di comunicazione che celebra il suo<br />

maggiore successo sui libri sco<strong>la</strong>stici.<br />

I primi <strong>la</strong>vori sull’argomento comparvero già negli anni Sessanta firmati da Luigi Preti e Angelo<br />

Del Boca; poi seguirono gli studi di Rochat, Labanca, Goglia. Negli ultimi qu<strong>in</strong>dici anni il<br />

significato del<strong>la</strong> ricerca <strong>in</strong> questa direzione si arricchiva di una valenza ulteriore: l’immigrazione<br />

<strong>in</strong>fatti stava diventando <strong>in</strong> <strong>Italia</strong> un fenomeno stabile e di fronte a ciò <strong>la</strong> società e molti imprenditori<br />

30 Matteo Dom<strong>in</strong>ioni, Lo sfascio dell’im<strong>per</strong>o. Gli italiani <strong>in</strong> Etiopia 1936-1941. Roma-Bari, Laterza, 2008.<br />

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