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"Il mondo dei giocolieri a 360°" in formato .pdf (Acrobat Reader)

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La fase crepuscolare venne superata grazie ad alcuni poeti, i quali di fronte al <strong>mondo</strong> borghese<br />

moderno non si abbandonarono al compianto <strong>dei</strong> valori perduti, ma all’esaltazione di quelli nuovi. <strong>Il</strong><br />

manifesto del Futurismo fu pubblicato sul quotidiano parig<strong>in</strong>o “Le Figaro” il 20 febbraio 1909: <strong>in</strong><br />

esso l’autore, Filippo Tommaso Mar<strong>in</strong>etti, formulò il programma di rivolta contro la cultura e le<br />

istituzioni del passato. Di fatto egli propose una concezione della vita completamente diversa,<br />

basata sui valori della velocità, del d<strong>in</strong>amismo, dell’attivismo, delle macch<strong>in</strong>e, dell’<strong>in</strong>dividualismo e<br />

della guerra. Come è normale che succeda, uno sconvolgimento culturale di tale portata comportò<br />

un cambiamento altrettanto consistente nelle forme di comunicazione ed espressione artistica. Non<br />

tardò molto, <strong>in</strong>fatti, la pubblicazione di un Manifesto tecnico della cultura futurista, ancora ad opera<br />

di Mar<strong>in</strong>etti, risalente all’11 maggio 1912. In esso egli contestò ogni struttura comunicativa<br />

precedentemente esistente: abolì la s<strong>in</strong>tassi, l’aggettivo, l’avverbio e la punteggiatura; consigliò<br />

l’utilizzo del verbo all’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito e di analogie sempre più vaste; <strong>in</strong>vitò a creare per ogni sostantivo il<br />

suo doppio e alla distruzione dell’io letterario, ovvero della psicologia; diede un’importanza senza<br />

precedenti alle sensazioni visive, olfattive, uditive e tattili, screditando la serietà <strong>dei</strong> concetti elevati;<br />

sostituì al verso libero le parole <strong>in</strong> libertà. Insomma conservò poco o nulla della letteratura<br />

precedente. In questo periodo di transizione maturarono i componimenti di Palazzeschi.<br />

Fra questi forse il più famoso è “Lasciatemi divertire”, tratto dalla raccolta “L’<strong>in</strong>cendiario” del<br />

1910. <strong>Il</strong> poeta propone la nuova concezione dell’arte poetica come puro divertimento, esperienza<br />

<strong>in</strong>utile e priva di messaggi, addirittura <strong>in</strong>comprensibile. <strong>Il</strong> testo si presenta come il fluire di un unico<br />

movimento all’<strong>in</strong>terno del quale è riconoscibile il dialogo fra lo stesso poeta e un <strong>in</strong>terlocutore<br />

immag<strong>in</strong>ario che <strong>in</strong>carna il lettore medio, tradizionale e conformista. <strong>Il</strong> primo accosta semplici<br />

suoni privi di significato, def<strong>in</strong>endoli “licenze poetiche”, il secondo, dapprima dubbioso e<br />

perplesso, perde <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e la pazienza ed esprime l’amaro giudizio sui versi dello scrittore. <strong>Il</strong> disgusto<br />

lo conduce ad epitetarlo come un fesso.<br />

Esiste però un altro testo, forse meno noto, <strong>in</strong> cui Palazzeschi parla più chiaramente dell’animo <strong>dei</strong><br />

poeti nel suo tempo. Si tratta della poesia “Chi sono?”, tratta dalla terza raccolta dell’autore,<br />

“Poemi”, del 1909:<br />

Chi sono?<br />

Son forse un poeta?<br />

No, certo.<br />

Non scrive che una parola, ben strana,<br />

la penna dell'anima mia:<br />

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