Le due anime del cardinale Lercaro
Le due anime del cardinale Lercaro
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Il sacerdote che 1*11 ottobre 1962 entrò in Concilio, se non nuovo<br />
era certamente un uomo che si andava rinnovando. Era pronto ad<br />
accogliere il nuovo, anche se il passato era troppo ingombrante per<br />
poterlo abbandonare agevolmente. Per avere un'idea di tutto il vecchio<br />
che c'era ancora in lui, è sufficiente un raffronto tra le cose<br />
che pensava alla vigilia e i concetti nuovi che usciranno dall'assise<br />
cattolica. Non poteva essere diversamente, dal momento che lungo<br />
la strada di Roma non aveva avuto bibliche folgorazioni, mentre i<br />
dieci anni trascorsi dal suo ingresso a Bologna erano stati un troppo<br />
breve lasso di tempo per propiziare un simile miracolo.<br />
Molte cose erano cambiate in quel periodo sotto le Due torri,<br />
ma non nel senso da lui desiderato. Lo riconobbe Ardigò, quando<br />
tracciò il bilancio <strong>del</strong> primo decennio <strong>del</strong>l'episcopato di <strong>Le</strong>rcaro.<br />
Scrisse che, a differenza <strong>del</strong>la situazione trovata nel 1952 « quando<br />
lo stalinismo trionfante e buio aveva preso saldo possesso <strong>del</strong>la<br />
maggioranza <strong>del</strong>le masse, (e) aveva assorbito per vie interne tante<br />
resistenze borghesi e assunto tratti non solo epidermici <strong>del</strong>la cultura<br />
petroniana », oggi « indubbi mutamenti sono in corso nella<br />
guida politica e civile <strong>del</strong>la città, nella sua cultura, mentre le condizioni<br />
di diffuso benessere potrebbero togliere forza alle cagioni<br />
economiche di scontento nei ceti popolari <strong>del</strong> primo dopoguerra ».<br />
Purtuttavia riconobbe che « non si può dire che la presa materialista<br />
sull'anima <strong>del</strong> popolo, si sia sostanzialmente ridotta », anche se<br />
— ma Ardigò non lo diceva — era aumentata. Chi, al contrario,<br />
aveva subito un certo cambiamento era la chiesa <strong>del</strong>la quale non<br />
si poteva più parlare « in termini — pur sempre fallaci — di pura<br />
conservazione e di tradizionalismo » 19 .<br />
È dubbio che la chiesa bolognese fosse cambiata in quel periodo,<br />
nonostante il lavoro fatto e che continuava a essere fatto da quella<br />
che verrà chiamata « l'officina bolognese » di <strong>Le</strong>rcaro, nella quale<br />
lavoravano Dossetti, Luigi Bettazzi, Alberigo, Raniero La Valle,<br />
don Toldo e don Giovanni Catti, per non dire che dei principali.<br />
Pur non avendo un incarico ufficiale in curia, don Dossetti era<br />
il promotore di tutto quanto veniva pensato e fatto in funzione <strong>del</strong><br />
Concilio. Il suo ruolo fu fondamentale e unico.<br />
Bettazzi, il rettore <strong>del</strong> seminario regionale, era l'uomo nuovo<br />
<strong>del</strong>la curia destinato a prendere in mano tutte le leve <strong>del</strong> comando<br />
e a sopravanzare i collaboratori di <strong>Le</strong>rcaro, a cominciare dal vescovo<br />
ausiliare Baroni. Tra i suoi compiti, vi era quello di tenere i rapporti<br />
con il Vaticano, facendo parte <strong>del</strong>la commissione conciliare<br />
preparatoria.<br />
Alberigo, lo storico <strong>del</strong>la chiesa, ricercava nel passato gli anelli<br />
di collegamento non tanto con il presente, quanto con il futuro.<br />
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