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Le due anime del cardinale Lercaro

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contrò nuovamente con l'Ortolani per esaminare la « nostra (<strong>del</strong>l'Opera,<br />

n.d.a.) partecipazione agli utili di una società per azioni ».<br />

Il 26 novembre, sempre in compagnia <strong>del</strong>l'inseparabile Ortolani,<br />

andò a colazione dal <strong>del</strong>egato apostolico degli Stati Uniti e lo pregò<br />

« di tastare il polso a parecchi americani carichi di dollari ». Il<br />

giorno seguente, colazione di lavoro con l'italo-americano Filippo<br />

Anfuso per fargli « conoscere l'attività, la possibilità e le necessità<br />

<strong>del</strong>la lotta contro il comunismo », dopo di che — come scrisse ai<br />

« figli » — « non dovrebbe mancare qualche buon risultato ».<br />

Il 29 novembre, auspice il solito infaticabile Ortolani, altra colazione<br />

di lavoro con il direttore <strong>del</strong>le Belle arti <strong>del</strong> ministero per<br />

indurlo a sostenere e far approvare dal comune di Roma una speculazione<br />

edilizia in piena regola. Scrisse ai « figli » che una famiglia<br />

<strong>del</strong>la nobiltà romana era disposta a « donare » al comune di<br />

Roma una villa vecchia e cadente, se avesse avuto, in cambio, il<br />

« diritto di edificabilità » per il parco. Se l'operazione fosse andata<br />

in porto, i proprietari « sarebbero (stati) contenti e disposti a fare<br />

un favore concreto a chi li avesse aiutati a raggiungere questa forma<br />

di conciliazione ».<br />

Il 29 settembre 1965 si recò personalmente dall'onorevole Paolo<br />

Bonomi — allora presidente <strong>del</strong>la Federconsorzi nazionale e grande<br />

elemosiniere <strong>del</strong>la DC e <strong>del</strong>la destra politica — per caldeggiare « un<br />

affare che sta molto a cuore al C.te Vernieri ». Il conte Amato<br />

Vernieri era un gentiluomo <strong>del</strong> <strong>cardinale</strong> e faceva il paio con l'Ortolani<br />

per combinargli incontri e appuntamenti con uomini d'affari.<br />

Il 14 novembre 1964 si recò a cena nella sua casa e « tutta la<br />

conversazione si svolse sul grosso affare che sta trattando col governo<br />

libanese per una Società, dei cui interessi dovrebbe beneficiare<br />

anche la nostra Opera ». Nell'aprile <strong>del</strong>l'anno precedente <strong>Le</strong>rcaro<br />

si era recato in Libano per una missione pastorale e per illustrare<br />

gli scopi <strong>del</strong> Concilio.<br />

Cosa lucrassero, in quegli affari, gli amici <strong>del</strong> <strong>cardinale</strong> non interessa<br />

in questa sede. È interessante invece notare che <strong>Le</strong>rcaro era<br />

convinto di compiere un'opera lecita e meritevole. Nella lettera <strong>del</strong><br />

29 novembre 1962 arrivò ad autocommiserarsi per la duplice fatica<br />

che doveva fare — sia in Concilio che fuori — sia pure con così<br />

« brave persone ». Scrisse: « Vedete, miei cari, che razza di lavori<br />

diversi mi tocca di mettere insieme: incontri con i Padri Conciliari<br />

sui temi teologici in discussione; e incontri a tavola su gli interessi<br />

più svariati per i miei interlocutori, ma sempre sugli interessi <strong>del</strong>la<br />

"famiglia" — qualche volta anche <strong>del</strong>la diocesi — per me... Ho<br />

messo la "famiglia" in primo piano anche perché è il tasto più<br />

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