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Le due anime del cardinale Lercaro

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diocesano nuove chiese — costituito nel 1954 — un progetto per<br />

portare la « casa di Dio » tra le case degli uomini. Sapeva che non<br />

sarebbe stato facile realizzarlo, ma non immaginava le difficoltà enormi<br />

che avrebbe incontrato perché partiva da una posizione di particolare<br />

privilegio, essendo la curia proprietaria di vaste aree.<br />

I grandi piani urbanistici <strong>del</strong>la curia erano stati impostati da<br />

Nasalli Rocca il quale aveva acquistato — pagandoli, a quanto pare,<br />

di tasca propria — i terreni di Barbiano sui quali oggi sorge l'ex<br />

seminario. Prima <strong>del</strong>la guerra aveva fatto costruire villa Revedin,<br />

sempre a Barbiano, destinandola a sede <strong>del</strong> seminario diocesano,<br />

oltre che ad abitazione estiva dei vescovi. Altri terreni erano stati<br />

acquistati subito dopo la fine <strong>del</strong>la guerra, su interessamento di<br />

monsignor Baroni, per costruzioni ecclesiastiche.<br />

Senza questo ingente patrimonio terriero, ben difficilmente <strong>Le</strong>rcaro<br />

avrebbe varato il piano <strong>del</strong>le nuove chiese, non avendo a disposizione<br />

i capitali necessari per costruirle tutte. Passato il primo<br />

momento di euforia, si trovò infatti costretto ad affrontare enormi<br />

problemi finanziari, perché la sottoscrizione pubblica rendeva poco<br />

e il parcheggio a pagamento aperto nel cortile <strong>del</strong>la curia rendeva<br />

ancora meno.<br />

Non sapendo a che santo votarsi, decise di ricorrere al Collegio<br />

dei costruttori — l'organizzazione padronale <strong>del</strong>l'edilizia — e in<br />

particolare all'avvocato Giorgio Barbieri un grosso produttore di<br />

laterizi e presidente degli industriali bolognesi. Nonostante le promesse<br />

non ebbe molto. A un incaricato <strong>del</strong>la curia, che gli illustrava<br />

i risvolti pastorali e politici <strong>del</strong>l'operazione, Barbieri rispose duro:<br />

« A Bologna c'è bisogno di case, non di chiese ».<br />

Sia pure con grande fatica — la domenica, quando faceva la<br />

questua in chiesa, era solito dire: « Versate se volete che io riposi<br />

la notte. Con i debiti non si dorme » — riuscì a costruire un certo<br />

numero di edifici, avvalendosi di tutte le leggi che prevedevano<br />

stanziamenti per opere edili, comprese quelle relative ai cantieri di<br />

lavoro per disoccupati. Si rivolse a tutte le comunità cattoliche sparse<br />

per il mondo e attinse soldi anche da fonti che non erano proprio<br />

limpide. Basta scorrere le lettere che inviò ai « figli » mentre si<br />

trovava a Roma per il Concilio.<br />

Da questa sorta di diario in forma epistolare risulta che era solito<br />

frequentare, con la stessa assiduita, sia le riunioni conciliari<br />

che quelle d'affari. Si faceva ricevere quasi quotidianamente nei salotti<br />

<strong>del</strong>la « Roma bene » per incontrare banchieri, dirigenti d'aziende<br />

pubbliche e private, imprenditori edili e brasser d'affaire. L'uomo<br />

che lo introdusse e lo guidò nel sottobosco politico-affaristico <strong>del</strong>la<br />

capitale fu l'avvocato Umberto Ortolani.<br />

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