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Le due anime del cardinale Lercaro

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Sono numerosi i motivi <strong>del</strong> silenzio bolognese.<br />

Il clero — se si esclude quello giovane che si era buttato con<br />

entusiasmo nell'avventura conciliare — era prudente perché non<br />

molto convinto e al limite <strong>del</strong>l'indifferenza. Molti ricordavano il<br />

modo con cui avevano dovuto accettare la riforma liturgica prima<br />

<strong>del</strong> Concilio. Il metodo di far calare le cose dall'alto non era cambiato.<br />

<strong>Le</strong>rcaro aveva mutato modo di pensare e di vedere le cose,<br />

ma non la propria natura. I suoi gesti decisi, al limite <strong>del</strong>l'autoritarismo,<br />

sia prima che dopo il Concilio, erano il portato <strong>del</strong>le sue<br />

incertezze perché continuava ad essere timido ed insicuro.<br />

<strong>Le</strong> dieci commissioni conciliari nominate alla fine <strong>del</strong> 1966 — in<br />

un momento di apparente grande democrazia nella vita <strong>del</strong>la diocesi<br />

— avevano prodotto ottimi documenti, ma destinati agli archivi,<br />

più che agli uffici operativi <strong>del</strong>la curia. Non era riuscita l'opera tesa<br />

a materializzare lo spirito <strong>del</strong> Concilio.<br />

« <strong>Le</strong>rcaro ebbe <strong>del</strong>le grandi aperture teologiche, seguite da grandi<br />

chiusure pastorali » dice Gabriele Gherardi, ricordando con orgoglio<br />

gli anni in cui dirigeva « Il Regno ». « Non favorì il fiorire<br />

di iniziative postconciliari e voleva decidere tutto per tutti, tenendo<br />

molto salda la presa sui sacerdoti. La piramide doveva continuare<br />

a essere gerarchica. A differenza di altre città, qui non esistevano<br />

gruppi religiosi, con laici e sacerdoti alla pari ».<br />

Diego Passini, allora sacerdote dehoniano e redattore de « Il Regno », ricorda che <strong>Le</strong>r<br />

liturgia, prima e dopo la riforma » e si chiede « Come si sarebbe<br />

comportato, se non fosse stato destituito, davanti ai sia pure scarsi<br />

casi di contestazione ecclesiale che si ebbero a Bologna? ».<br />

Dire cosa avrebbe fatto non è possibile. Sicuramente assistette<br />

in silenzio a quello che fece Poma. Il nuovo arcivescovo, senza gesti<br />

clamorosi o atti repressivi, cloroformizzò l'ambiente. Poi, a mano<br />

a mano che si presentavano, isolò i casi più difficili.<br />

Seguendo la strada aperta da <strong>Le</strong>rcaro <strong>del</strong>la partecipazione guidata<br />

dall'alto, nell'aprile 1968 invitò i sacerdoti a eleggere il pro-vicario.<br />

Dalle urne — usate per la prima volta — uscì il solo nome di<br />

monsignor Luigi Dardani, che era stato preventivamente designato.<br />

Non a caso, nel marzo successivo venne nominato vescovo ausiliare,<br />

negli stessi giorni in cui Poma ebbe la porpora.<br />

Sistemato il vertice, con l'allontanamento dei lercariani, si rivolse<br />

alla base. Alcuni giovani sacerdoti, che si erano spinti molto avanti<br />

sulla strada <strong>del</strong> rinnovamento conciliare, furono lasciati andare allo<br />

sbando e isolati. Quando alcuni di questi lasciarono la tonaca e si<br />

sposarono, Poma disse ai collaboratori: « Avevo visto giusto. Non<br />

avevano problemi di fede. Volevano prendere moglie ».<br />

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