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Le due anime del cardinale Lercaro

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prio nel momento in cui doveva sfornare quella riforma liturgica che<br />

avrebbe caratterizzato la vita <strong>del</strong>la chiesa per molti decenni, se non<br />

per secoli, in ogni caso sino a un altro Concilio. Erano pochi<br />

quelli che lo incoraggiavano e meno quelli che lo sorreggevano in<br />

un lavoro immenso destinato a mutare il volto <strong>del</strong>la chiesa.<br />

Il grande impegno intellettuale di quei giorni e la vita convulsa<br />

e intensa che conduceva, per non dire <strong>del</strong>l'emotività che lo tormentava,<br />

lasciarono qualche segno nel fisico di un uomo che avvertiva<br />

sempre più il peso degli anni. Dormiva meno <strong>del</strong> solito e mangiava<br />

poco. Per stimolarsi, quasi volesse risvegliare l'energia di un tempo,<br />

faceva ricorso ai bitter — la sua bevanda preferita, con il Chinotto<br />

— e alla grappa. Poiché beveva quasi sempre a digiuno lo stomaco<br />

aveva cominciato a dargli fastidiosi dolori. Il decadimento<br />

psico-fisico era un grosso guaio per un uomo che avrebbe avuto<br />

bisogno di moltiplicare le forze nel momento più importante <strong>del</strong>la<br />

sua vita. Erano tanti i problemi da risolvere, come tanti i segnali<br />

che gli dicevano che molte cose non andavano.<br />

Il primo, almeno il più evidente, fu quello <strong>del</strong>lo strangolamento<br />

de « L'Avvenire d'Italia ». Quando gli dissero che da Roma non sarebbe<br />

più arrivato un soldo, si chiese sgomento cosa fosse successo<br />

e cambiato in così pochi anni. Quello <strong>del</strong>la stampa era un terreno<br />

minato per lui. Se poteva comprendere e spiegarsi gli attacchi che<br />

gli sferrava la maggioranza dei grandi quotidiani d'opinione, non<br />

intuiva la ragione per cui il Vaticano aveva deciso di lasciar morire<br />

il quotidiano che era stato prima cronista fe<strong>del</strong>e e poi interprete<br />

vero <strong>del</strong> Concilio. La cosa era tanto più grave perché « L'Avvenire<br />

d'Italia » chiudeva nel momento in cui « Il Resto <strong>del</strong> Carlino » si<br />

era messo a registrare con scarso entusiasmo le sue iniziative — dalla<br />

riforma liturgica alla cittadinanza onoraria — e gli negava i titoli<br />

vistosi ed elogiativi di un tempo. Ma il peggio doveva ancora venire.<br />

Il 10 marzo 1967, quando gli segnalarono che su « L'Italia »,<br />

il quotidiano <strong>del</strong>la curia milanese, era stato pubblicato un attacco<br />

di inaudita violenza contro « Il Regno » — il periodico religioso<br />

più lercariano che uscisse in Italia — restò letteralmente senza<br />

fiato. Il quindicinale dei padri missionari dehoniani di Bologna<br />

aveva pubblicato un'inchiesta sul divorzio, la cui argomentazione<br />

era molto aperta e la conclusione avanzata e coraggiosa. Dopo avere<br />

ammesso che « Nella società opulenta il divorzio è un male necessario<br />

», il periodico aveva scritto che occorreva evitare a tutti i<br />

costi una nuova guerra di religione e che l'unico modo democratico<br />

per venirne a capo era quello <strong>del</strong> referendum popolare. Don Enzo<br />

Franchini, l'autore <strong>del</strong>l'inchiesta, era giunto alle stesse conclusioni,<br />

ma solo in tema di referendum, <strong>del</strong> deputato socialista Loris For-<br />

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