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Le due anime del cardinale Lercaro

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prima strisciante poi sempre più decisa, anche se non dichiarata,<br />

fece seguito al grande scossone conciliare.<br />

Quando ritennero che fosse giunto il momento di cominciare a<br />

muoversi per individuare i casi più preoccupanti, i loro occhi si<br />

volsero istintivamente verso Bologna. Quel « piccolo Lutero » petroniano<br />

era divenuto troppo pericoloso per lasciarlo ancora alla<br />

testa di una diocesi che aveva assunto la funzione di guida <strong>del</strong>lo<br />

schieramento progressista. A loro modo di vedere erano numerosi<br />

gli errori che andavano sanati.<br />

Il più grave era quello <strong>del</strong> dialogo con il mondo marxista. Inoltre,<br />

come presidente <strong>del</strong> Consilium, si era mosso con uno zelo<br />

eccessivo, quasi iconoclasta. Aveva demolito tutte le tradizionali<br />

forme rituali basate sul latino, per non dire <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> canto<br />

gregoriano. Questo risoluto atteggiamento aveva provocato più di<br />

uno scontro con il suo vecchio avversario, il tradizionalista Larraona,<br />

reggente <strong>del</strong>la congregazione dei riti alla quale sarebbe spettato<br />

il compito di attuare la riforma liturgica. I tradizionalisti avevano<br />

la certezza che dietro le forme nuove introdotte dalla riforma vi<br />

fossero contenuti nuovi e diversi e che il modo nuovo di celebrare<br />

la messa celasse una vera mancanza di fede.<br />

Non meno preoccupante, ai loro occhi, la situazione di Bologna,<br />

una città dove, con la riforma liturgica, si era andati abbondantemente<br />

oltre i limiti <strong>del</strong> Concilio, con il pericolo di arrivare alla<br />

nascita di una « chiesa locale ». Dove l'aggettivo locale non stava<br />

in luogo di chiesa particolare di Bologna, ma di chiesa scissionista.<br />

Cioè scismatica. Se altre chiese, col tempo, avessero seguito il suo<br />

esempio, si sarebbe arrivati inevitabilmente alla disgregazione <strong>del</strong><br />

sistema centralistico, con tutte le gravi conseguenze che si potevano<br />

immaginare, a cominciare dal sorgere di movimenti scismatici.<br />

In ogni caso, Bologna era troppo conciliare per i gusti dei cardinali<br />

curiali. Anche se non fosse arrivata a trasformarsi in chiesa locale<br />

— e la tentazione poteva esserci, almeno come ipotesi di studio<br />

4 — avrebbe sempre potuto realizzare in modo autonomo i<br />

principi <strong>del</strong> Concilio, mentre il diritto di interpretare la nuova linea<br />

e di indicare la strada da percorrere spettava solo ed esclusivamente<br />

a Roma.<br />

Se si fosse lasciata alla periferia la libertà di interpretare, il rischio<br />

era quello di arrivare a una « teologia di diocesi ». Se per gli<br />

innovatori la diocesi era una vera chiesa — all'interno <strong>del</strong>la quale<br />

il « popolo di Dio » svolge una parte attiva e partecipativa, con la<br />

gerarchla che ha funzione di servizio tra il credente e Dio ed è<br />

garante <strong>del</strong>la fe<strong>del</strong>tà alla sacra scrittura — per i tradizionalisti è<br />

solo una provincia di Roma.<br />

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