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Le due anime del cardinale Lercaro

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negava pubblicamente erano quelle che aveva scritto o lasciato intendere<br />

nelle lettere.<br />

Per prima cosa negò che al Concilio fosse in atto una « contesa ».<br />

Se qualcuno ha questa convinzione, disse, la colpa è dei « resoconti<br />

<strong>del</strong>la stampa e in genere dei mezzi di comunicazione », i quali facevano<br />

un cattivo uso <strong>del</strong>la libertà d'informazione concessa, mentre<br />

bravissimi erano stati i redattori <strong>del</strong> foglio cattolico bolognese i<br />

quali svolgevano « un servizio veramente prezioso, ammirato dai<br />

membri <strong>del</strong>l'Episcopato ». Poi, quasi avesse dimenticato di essere<br />

stato lui a chiedere una profonda trasformazione <strong>del</strong>la curia romana,<br />

negò che ci fosse stata « ombra di rivendicazione di un potere,<br />

quasi indebitamente invaso da Roma ». Così come si affrettò a<br />

negare che si fosse voluto intaccare il « Primato romano che il<br />

Concilio Vaticano I, ha così solidamente affermato e che è stato<br />

tanta preziosa difesa <strong>del</strong>l'unità <strong>del</strong>la fede e <strong>del</strong>la disciplina <strong>del</strong>la<br />

Chiesa ».<br />

Dopo avere nuovamente riconfermato « il Primato di Pietro »,<br />

aggiunse che molti si erano chiesti se « non fosse da approfondirsi<br />

il concetto di quell'attività collegiale che nella prima antichità e<br />

per secoli quindi contraddistinse l'azione <strong>del</strong>l'Episcopato in tutta<br />

la Chiesa ». Questo anche in ossequio al desiderio <strong>del</strong> papa il quale,<br />

nel discorso d'apertura, « aveva accennato » ad « una possibilità e<br />

intenzione di avvalersi <strong>del</strong>la collaborazione <strong>del</strong> Collegio episcopale<br />

per il governo <strong>del</strong>la Chiesa Universale ».<br />

Dopo quello <strong>del</strong>la collegialità, trovò giusto difendere un altro<br />

tema dibattuto a lungo e vivacemente, quello <strong>del</strong> ruolo dei laici<br />

nella chiesa. Dimenticando che, alla vigilia <strong>del</strong> Concilio, parlando<br />

all'assemblea <strong>del</strong>l'Azione cattolica, aveva sostenuto che i laici devono<br />

restare subordinati alla gerarchia, disse che la maggior parte<br />

dei padri conciliari era favorevole a concedere loro una larga autonomia.<br />

A questo proposito, precisò che se « gli ultimi secoli avevano<br />

posto in qualche modo in ombra » la presenza e la funzione<br />

dei laici nella chiesa e messo « in maggior risalto i compiti <strong>del</strong>la<br />

gerarchia », ciò era stato provocato da « evidenti ragioni storiche ».<br />

Ma dal momento che quei motivi non sussistevano più, era giusto<br />

che i laici venissero nuovamente « collocati nella loro luce », soprattutto<br />

in considerazione <strong>del</strong> fatto che la « vocazione alla santità<br />

<strong>del</strong>la Chiesa» [...] «non tocca soltanto gli stati di perfezione, o<br />

il clero, ma tutta la famiglia di Dio ». Come dire che la vocazione<br />

alla santità non è un privilegio <strong>del</strong> clero, ma un dato comune a tutti<br />

gli uomini di fede, laici compresi.<br />

Infine, quasi volesse togliersi un peso dallo stomaco, ammise<br />

« il contrasto, la discussione, lo scontro » all'interno <strong>del</strong> Concilio e<br />

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