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Accenni col capo. La bocca si è riempita di saliva. Le<br />
viscere pretenderebbero il riposo. Ancora una boccata<br />
d’aria. L’aria pungente della campagna.<br />
L’avverti appena, la campagna, che, sbattendoti sulla<br />
fronte, scappa scivolando sulle tempie. Buio sul viso,<br />
poche luci sulla nuca. Senza muovere la faccia, rigido sul<br />
collo, imposti ogni resistenza su quella fissità. Finché,<br />
scuotendo il capo, cerchi di farti percepire oltre l’oscurità.<br />
E lui, tuo fratello, perché ora siete fratelli, ti vede<br />
con chiarezza: vede quel movimento impercettibile, a<br />
dispetto della poca luce, come un padrone che conosca<br />
il suo gatto.<br />
– Hai paura? – Chiede.<br />
Sollevi le spalle, che vuol dire sì e no. Che sì hai paura.<br />
Ma non troppa. Che avresti più paura a rivedere il giorno.<br />
Ora che tutto è così chiaro. Insomma che non è paura.<br />
– E tu? – Riesci ad articolare prima che la nausea ti<br />
riafferri lo stomaco.<br />
Lui dice che no, che paura non ne ha, non ne ha proprio.<br />
Magari è preoccupato per quello che succederà. Per<br />
la famiglia. Per la madre.<br />
– Ma avevamo deciso di non parlarne. – Conclude. –<br />
Sennò finisce come le altre volte…<br />
Abbassi le palpebre. – Due minuti, due ore, un’eternità…<br />
– Cominci a cantare stonando. Gridando senza gridare.<br />
Viene fuori una vocetta ridicola.<br />
Senti che tuo fratello ti ha afferrato la nuca, dopo aver<br />
brancolato qualche secondo nel buio con la mano aperta,<br />
le dita che si agitano come tentacoli di polpo. Ha la<br />
mano calda. Fa piacere.<br />
– Allora hai deciso di andare dal barbiere. – È una<br />
constatazione senza ipotesi di risposta. Una domanda senza<br />
futuro. Una falsa incertezza. Tanto per parlare. Come<br />
quando a passeggio sulla via principale ci si saluta ogni<br />
volta che ci si vede. Oppure si inarcano le sopracciglia per<br />
chiedere se va tutto bene e si aspetta un’alzata di spalle<br />
per dire che va come sempre. Oppure si fa quella battuta<br />
che fa ridere sempre: – A quale cinema andiamo? – Come<br />
se a <strong>Nulla</strong> ce ne fossero tanti.<br />
Ti sfiora la pelle tra il collo e la nuca, che è diventata<br />
un piano soffice di peletti recisi. Per avere una conferma.<br />
– Io non ci sono andato. – Dice, come se da anni foste<br />
avvolti in quel buio e non abbiate avuto la possibilità di<br />
constatare niente l’uno dell’altro. – Ma ho risolto l’esercizio<br />
di matematica. – Informa.<br />
Ti scappa una risata nervosa. La canzone si è fatta strada<br />
nel tuo cervello, di tanto in tanto te ne sfugge qualche<br />
mozzicone dalla bocca. Così interrompi quel silenzio<br />
esaltato dal fragore secco, ritmico, dei passi sulla macchia.<br />
Quel silenzio così concentrato.<br />
– L’altro giorno, – comincia a dire tuo fratello, – mentre<br />
guardavamo la televisione in casa babbo ha detto che<br />
quando lui era giovane con mamma hanno vinto una gara<br />
di ballo: tango figurato e mazurka. Gli hanno dato una<br />
coppa… – Poi tace senza finire il pensiero. Un’altra frase<br />
senza conseguenze se non il fastidio per un tempo in cui<br />
si vincevano le gare di ballo. Anche a <strong>Nulla</strong>. E il disorientamento<br />
per non riuscire a capire in quale tempo era<br />
potuto accadere che i suoi genitori passassero pomeriggi<br />
interi ad allenarsi. Come dire che giorni migliori c’erano<br />
stati. Come ammettere che quella fissità senza prospettive<br />
era solo una svista. Un qui pro quo. Ma se non si aveva la<br />
forza?<br />
– Tango e mazurka? – Domandi. Hai sempre amato la<br />
concentrazione dei ballerini. Ti sarebbe piaciuto se non<br />
fosse troppo tardi. – E dove l’hanno vinta la coppa? – Continui.<br />
– Qui! – Ti risponde tuo fratello. – C’era un locale dove<br />
adesso c’è il Centro Commerciale.<br />
Il bello è che “qui” ti sembra una risposta comica. Qui,<br />
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