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MARCELLO FOIS<br />
NULLA<br />
IL MAESTRALE
NARRATIVA<br />
3
Grafica<br />
Nino Mele<br />
© 1999, Edizioni Il Maestrale<br />
Redazione: via Monsignor Melas 15 - 08100 Nuoro<br />
Telefono e Fax 0784.31830<br />
E-mail: redazione@edizionimaestrale.com<br />
Internet: www.edizionimaestrale.com<br />
ISBN 88-86109-24-5<br />
MARCELLO FOIS<br />
<strong>Nulla</strong><br />
IL MAESTRALE
La vita procede quatta quatta, disperatamente<br />
antidrammatica, sminuzza e sbriciola ogni cosa,<br />
lasciandola cadere dalla mano a poco a poco.<br />
Franz Werfel, Un mondo al crepuscolo
Uno<br />
Al diavolo tutto, disse il ragazzo. Vada tutto al diavolo.<br />
Cormac McCarthy, Oltre il confine<br />
17 anni<br />
A guardarti dormire, così disarticolato, nelle poche ore<br />
della tua notte che concedevi al sonno, potevi sembrare un<br />
povero corpo precipitato da un cavalcavia. Uno straccetto<br />
umido caduto da un balcone.<br />
La mattina. E la notte. In mezzo: pomeriggio e sera.<br />
Certezze da poco. Ma facevano sembrare la vita una serie<br />
ininterrotta di fatti.<br />
Magari era abbastanza. Certo, all’inizio, era abbastanza.<br />
A <strong>Nulla</strong>, proprio al centro del nulla, ci sono dei quartieri<br />
dove è indispensabile essere prosaici. Ci sono case,<br />
che non significano nient’altro che spazi su spazi. Esasperazioni<br />
del possibile abitabile. Quartieri dove è indispensabile<br />
essere paradossali: rappresentano un approdo. Il sogno<br />
che si avvera. La fuga.<br />
Fa sorridere messa in questo modo: che si debba fuggire<br />
a furia di blocchetti di cemento.<br />
9
Che si debba cercare nel chiuso una via d’uscita. Altre<br />
volte si viveva nei cortili, con vecchie sedute all’uscio su<br />
sgabelli che sparivano sotto le gonne. A sbucciare bacelli,<br />
i semi per la zuppa i gusci per i porci, o a mondare il<br />
grano. Con giovanette timide intente a ricamare corredi.<br />
Con bambini selvaggi impegnati nella caccia fra le ortensie<br />
grasse. Non è che fosse meglio, ma era un abito perfetto,<br />
un paio di scarpe comode…<br />
Per te pareva che potesse funzionare: tre quarti della<br />
giornata a resistere; poi arrivava la notte. La notte dei<br />
poeti e delle poesie. La notte in cui si riusciva ad immaginare<br />
la vita.<br />
Ma col tempo, con l’età, divenne fatica. E respiro pesante.<br />
Un’aritmia che diviene soffocamento; a tavola, davanti<br />
al Grande Muratore, mani grosse e ruvide. Che a scuola va<br />
così e così; che se non ti diplomi geometra te ne vai a lavorare con<br />
tuo zio in campagna; che parassiti non ne voglio in casa; che tutto<br />
quello che abbiamo fatto l’abbiamo fatto per voi; che alla tua età<br />
ero già padre; che voi giovani non volete responsabilità; che perdi<br />
troppo tempo attorno alle scemenze; che dovresti uscire di casa,<br />
prendere aria, farti degli amici, avere la fidanzata.<br />
E questo era il pomeriggio, quando andava male. La<br />
sera, quando si era sulla normalità.<br />
Ed ecco farsi largo, a furia di luce che viene meno, la<br />
notte.<br />
La fame vorace. I libri comprati di nascosto, consumati<br />
a suon di palpebre. Anche poesie, anche mondi inventati;<br />
anche storie di uomini…<br />
Mattina: il compito di costruzioni; l’insegnante di francese<br />
che non conosce nemmeno l’italiano; i compagni che<br />
sorridono di futuri sconosciuti.<br />
Pomeriggio: che ho parlato col tuo Preside; che anche<br />
quest’anno ti regalano la promozione, tanto basta il pezzo di<br />
carta; che almeno fossi come tuo fratello all’università con tutti<br />
trenta; o come tua sorella che si è diplomata maestra…<br />
Sera: che ti aggiusto io; che non hai capito niente; che sei<br />
un buono a nulla…<br />
A <strong>Nulla</strong>.<br />
A <strong>Nulla</strong> le strade cambiano direzione di marcia con la<br />
velocità di un respiro. E non portano da nessuna parte.<br />
Il traffico diventa un magma ribollente come una zuppa<br />
che dilaga fino ai confini dell’autocontrollo. Conta anche<br />
questo. Conta sentirsi in un posto come dentro un abito<br />
comodo. Già detto. Magari non bello (già detto). Ma<br />
proprio, caldo della propria impronta.<br />
Non così.<br />
In uno spazio senza certezze, se non la tenacia del perseguire<br />
il peggio. Con la sicumera di chi elargisce il meglio:<br />
migliori condizioni per tutti, migliore vivibilità.<br />
Resta sempre l’aria fresca da sventolarsi in viso usando<br />
la pagina della classifica pubblicata sul giornale. Primi<br />
per l’aria fresca. Per la salubrità. Che primato è? Che<br />
pregio c’è? Una svista, presi in castagna ad eccellere nell’unico<br />
merito di cui non si ha merito.<br />
Perché fra un rèfolo e l’altro a <strong>Nulla</strong> i parcheggi minacciano<br />
i fili d’erba. Come Golia contro Davide. Solo che, a<br />
<strong>Nulla</strong>, Davide non ha la fionda. Un altro Dio governa. Forse<br />
precedente a Dio stesso. Forse vagante in unico neurone<br />
resistente alle epoche, alle civiltà. Un grande Dio Muratore.<br />
Forse con mani grosse e ruvide.<br />
Che ho parlato con tuo zio che conosce il presidente della<br />
commissione d’esame; che ti trattano bene perché mi stimano e<br />
mi rispettano; che ho la quinta elementare e non me ne vergogno,<br />
ma i miei figli li voglio laureati o diplomati.<br />
Un Dio che non ascolta, metà maschio e metà femmina.<br />
Che io ti ho fatto, io ti distruggo; che finisci a scaricare<br />
cassette al Mercato; che mangi pane a tradimento; che finché<br />
stai a casa mia fai quello che dico io…<br />
A <strong>Nulla</strong> passato e presente sembrano solo due visioni<br />
del mondo. Non fatti, come la Notte, la Mattina, il<br />
Pomeriggio, la Sera. Che scorrono a dispetto di tutto.<br />
10 11
A <strong>Nulla</strong> ci sono divinità talmente irraggiungibili che<br />
un braccio di mare sembra una distanza di anni luce.<br />
A <strong>Nulla</strong> pensare, anche semplicemente constatare,<br />
può diventare un azzardo.<br />
Eppure il Grande Muratore fa apparecchiare la tavola<br />
con pietanze e prospettive.<br />
Che conosco un capo cantiere che ti “impara” il mestiere,<br />
basta prendersi quel benedetto pezzo di carta; che piuttosto che<br />
mandarti a studiare Lettere in continente ti ammazzo con le<br />
mie mani; che appena maggiorenne fai quello che ti pare, fuori<br />
da casa mia, s’intende; che c’hai la testa piena di stupidaggini;<br />
che fammi vedere le braccia, non sarai mica un drogato; che<br />
meglio bandito latitante, piuttosto bestia sanguinaria, che<br />
drogato; che perché non ti vedo mai con una ragazza; che io<br />
alla tua età…<br />
Un’altra giornata ad inventarsi il tempo: con un eccesso<br />
di sensibilità che può diventare fatale.<br />
A <strong>Nulla</strong> certe propensioni vivono di rimando, al ritorno,<br />
se si è riusciti ad imporle altrove. Qui solo azioni<br />
certe. Solo contingenze soddisfatte: un lavoro sicuro,<br />
quando c’è; una casa di granito e ferro con le stanze buone<br />
chiuse a chiave, e piani cantina attrezzati di tutto punto<br />
per il quotidiano;<br />
…che i finocchi sono dei malati; che se ci “sarebbero” stati<br />
ancora i casini; che a me mio padre mi ha portato a donne<br />
quando avevo sedici anni, e non gli avevo fatto fare brutta figura…;<br />
che tutte queste storie di scrivere e passare tutta la notte<br />
sveglio; che le bollette della luce; che la mattina sembri un deficiente…<br />
Mattina: le materie d’esame; e chi se l’aspettava…; e<br />
questo non l’abbiamo mai studiato; e erano anni che<br />
non usciva lo scritto di francese.<br />
A <strong>Nulla</strong> esistono due epoche, due età riconosciute:<br />
l’infanzia e la maturità. Per il resto è vagare. Vagare dei<br />
vecchi nell’abominio dei tempi nuovi. Vagare dei giovani<br />
nell’incerto dei tempi nuovi. Solo che per i vecchi è<br />
sorprendersi continuamente, continuamente segnarsi il<br />
petto per lo spavento. Per i giovani è tendere le braccia<br />
verso promesse non mantenute, con una costanza arcigna.<br />
Continuamente espulsi dalle stanze chiuse.<br />
Sera: ancora fuori con i libri stretti al petto; ancora a<br />
raccontarti di fughe; ancora a sognare gusci di noce sui<br />
quali attraversare il mare, anni luce di mare; ancora a<br />
contare e ricontare pochi spiccioli, quelli che sarebbero<br />
bastati; quelli che sarebbero bastati a Kerouac o al giovane<br />
Holden, letti per maledizione.<br />
Sera: che quando torna lo ammazzo; che meglio che gli sia<br />
successo qualcosa; che sono stato troppo permissivo; che bisognava<br />
intervenire da subito; che troppi grilli per la testa; che apparecchia<br />
lo stesso; che stanotte dorme fuori perché io lo chiudo<br />
fuori casa; che cosa si crede di abitare in albergo?; che ore sono?;<br />
che si è fatto troppo tardi; che non ha mai tardato una volta;<br />
che esco a cercarlo; che lo sapevo che andava a finire così…<br />
Notte: fin dove portano i passi; a <strong>Nulla</strong> che ha l’assetto<br />
di una spazzola piena di capelli; che ha la passione<br />
dell’infinito; per il delirio regolatore che non riesce a regolare;<br />
per tutto quello che è stato promesso e non mantenuto;<br />
per vivere senza sopravvivere.<br />
Fin dove portano i passi. Dove forse il “com’era” può<br />
essere considerato alla stregua di un “come siamo”. Sottratto<br />
alla retorica dei tempi felici. Oltre l’ultimo imponente<br />
manufatto del genio accaparratore, perché certi<br />
benefici particolari hanno superato di gran lunga il bene<br />
comune.<br />
Questo lo sappiamo.<br />
E allora può capitare di vagare a <strong>Nulla</strong> senza sapere<br />
esattamente dove ti condurranno i piedi, di cantiere in<br />
cantiere, dentro la vita da farsi, dentro la città da farsi,<br />
ad uccidere il tempo mentre aspetti. Forse arriverà il tuo<br />
turno. Forse la prossima ondata ti trascinerà verso una<br />
prospettiva, chissà, se avrai il buon gusto di non diventare<br />
troppo vecchio…<br />
12 13
La stessa notte: ha chiamato? No? Devo cominciare a<br />
preoccuparmi? Qui niente. Ho già telefonato! Lo so! Lo so! Sto<br />
tornando… Quando vuol rientrare rientra… Ma lo faccio nero…<br />
Ma dove ho sbagliato?… Ma gli ho dato tutto… Ma<br />
io andavo in giro con i pantaloni rattoppati… Ma io mangiavo<br />
carne solo la domenica… Non gli basta mai!… Ma perché<br />
ti devono mettere in croce?… Ma tanti sacrifici per i figli ed<br />
ecco la paga… Ma io ho dovuto lavorare perché eravamo sei<br />
bocche da sfamare…<br />
La stessa notte: ora dormirei. In questo silenzio, si<br />
tratta solo di far tacere la testa. In questo silenzio, di notte<br />
pura, altra qualità che dentro la stanza. Altra letteratura.<br />
Tutto diventa impossibile in questa estate incipiente.<br />
In questa notte odorosa fino allo stordimento. Ai confini<br />
del <strong>Nulla</strong>. Tentennando verso il vuoto…<br />
L’urlo fu straziante, lungo quanto la caduta. Lungo<br />
come una corda tesa, dal parapetto al suolo, metri e metri<br />
più in basso. Lungo di tutte le risposte possibili.<br />
Ma quando ti sei fermato, nel soffice dell’erba, pareva<br />
che dormissi.<br />
Due<br />
Spinsi il grilletto… nero… luce…<br />
rimorso indicibile… brancicai per tornare nel mondo.<br />
Troppo tardi!<br />
Edgar Lee Master, Antologia di Spoon River<br />
24 anni<br />
Chi ve l’ha detto che uno dei tre o quattro ragazzi più<br />
belli della città, non potesse decidere di farla finita? Perché<br />
sarebbe strano? Perché era bello?<br />
Non è così definitiva la bellezza, né tanto calda da potercisi<br />
riposare.<br />
Troppa felicità delle forme può significare già la morte.<br />
E la vacuità di certe giornate passate a scegliersi il sorriso<br />
possono assomigliare a tempi già morti.<br />
E allora? Se ha deciso di farlo?<br />
<strong>Nulla</strong> ventosa porta le voci, le accumula nelle pieghe<br />
del viso.<br />
<strong>Nulla</strong> tormentosa assomiglia a quelle serate di tramontana<br />
che spazzano il cielo. Tutta chiarezza di sguardi turbolenti.<br />
Tutta saggezza buttata nel silenzio. Ricacciata<br />
nell’ostilità del dubbio. Del disprezzo. Delle serate deserte<br />
di sguardi. In ipnosi catodica.<br />
E sollevare le spalle per una domanda:<br />
14 15
– Che cosa facciamo? Per rispondere che non sono<br />
domande da farsi…<br />
Guardandosi intorno a contemplare <strong>Nulla</strong> boscosa.<br />
Camminando all’indietro forse sembra vivibile solo<br />
l’infanzia a-geografica. Dove l’unico posto possibile è quel<br />
<strong>Nulla</strong>. Come una mappa senza punti di riferimento,<br />
senza la rosa dei cardinali.<br />
Non è vero. Non l’ha fatto! Era bello. Era quanto di<br />
meglio si potesse sperare di generare. Tutti i geni e i cromosomi<br />
si erano incontrati nei suoi occhi, nella sua pelle,<br />
nel suo sorriso. Ogni benedizione si era posata su quel<br />
corpo.<br />
Niente di più di questo.<br />
Almeno fosse stato inadatto alle speranze e non avesse<br />
allungato quello sguardo oltre il mare. Questa sarebbe<br />
stata una soluzione accettabile: amarsi quanto era stato<br />
amato dalla pura genetica. E accontentarsi.<br />
E pensare che aveva la vita pronta. E la sussistenza<br />
nella dispensa abbondante della schiatta mercantile. Un<br />
futuro di borghesia anelante; disposta a coprire l’origine<br />
di pascoli seccati dalla carestia; e fustagno; e pane secco;<br />
e latte inacidito.<br />
Poteva trasformare in Tutto quel <strong>Nulla</strong>. Perché era<br />
stato nutrito di pane bianco, soffice al palato.<br />
Ma quel dispregio della sua fronte! Quel cercare una<br />
soluzione ossessiva quando poteva bastare esistere!<br />
Concepire un universo dove le parole hanno senso, non<br />
sono coltelli puntati alla giugulare. Poteva farlo. Non<br />
era solo bello. Non era solo il frutto maturo di un rinnovamento<br />
apparente. Non era solo un tizzone ancora acceso<br />
sotto la cenere grassa.<br />
Aveva visioni. E mondi da condividere. Conosceva entrambe<br />
le facce di quel <strong>Nulla</strong> bifronte. Passato e presente.<br />
Senza futuro. Passato virtuale. Presente casuale. Vissuto<br />
all’impronta. Nell’affrontare le emergenze.<br />
Prima un Passato di sicurezze, in cui la nascita fa la<br />
differenza. Induce alla passione per la storia e alla nostalgia<br />
per quella stagione in cui chi non aveva niente non<br />
aveva neanche la minima idea di quanto gli mancasse,<br />
non poteva quantificare la propria indigenza se non in<br />
termini di fame e sete.<br />
Poi un Presente sprecato a rifarsi, con accidia, di quel<br />
passato. A mondarsi cercando di rigenerare la storia. Col<br />
futuro, che bussa alla porta, costantemente respinto. Perché<br />
i giochi sono da rifare. Alla luce della tradizione. “Su<br />
Connottu” che sistema le cose. Riconduce il sistema ad<br />
una prassi consolidata. Produce la furia dei tempi belli.<br />
Una manciata di case, una via principale, letteratura ed<br />
arte, sagacia popolana, eroi latitanti, sangue come fiumi<br />
in piena, silenzi complici, orrore per i modelli, autocompiacimento,<br />
autocommiserazione…<br />
La fierezza dei tempi belli: i costumi tradizionali conservati<br />
nelle cassepanche, in naftalina. Riprodotti al millesimo,<br />
indossati per la Sagra con tacchi a spillo e trucco<br />
pesante. Variabili impazzite di una cultura che sta cedendo<br />
il passo. Che ha smarrito la via. Che annaspa tra cori<br />
e gruppi di ballo. Tra godersi un passato esaurito nelle<br />
messe commemorative. Nella ripetitività senza anima.<br />
Nella fame costante di nuove e più puntuali erudizioni;<br />
di puntigliose ricostruzioni. Facendo gara a partecipare;<br />
ad esserci per quello che è stato, senza progetti; senza visioni.<br />
Facendo delle proprie case musei domestici di setacci<br />
e gioghi, di vecchie fotografie recuperate in soffitta,<br />
di puro, ombelicale, orgoglio. Imbattibile, indistruttibile,<br />
a patto che manchi il confronto.<br />
Ecco la faccia assurda, beffarda, di questo angolo di<br />
mondo.<br />
Ecco il volto severo, sensibile, di questa porzione di<br />
mondo.<br />
Trattato come il peggiore di tutti, per dispetto. Ad<br />
infinito disprezzo.<br />
Amato come un figlio malato. Difeso a costo della vita.<br />
16 17
Fino a preparare ogni cosa con una perfezione vicina<br />
alla crudeltà.<br />
Chi l’ha detto? Lui lo diceva.<br />
Molti altri l’hanno accennato nella cabala delle possibilità.<br />
Nella giostra delle licenze.<br />
Lui lo diceva. Che aveva attraversato il mare e aveva scoperto<br />
una terra troppo grande, e lui troppo piccolo per<br />
viverci. Che aveva attraversato la città di fiume ed era stato<br />
invisibile.<br />
Che avrebbe voluto un altro amore, un’altra città, un<br />
altro lavoro e, pensate un po’, un altro viso.<br />
Chi lascia tutto questo, chi non vuole piegare il capo,<br />
chi sembra aspettare, chi tormenta lo spirito dei morti,<br />
per rifiutare il dolore…<br />
Lui che non avrebbe potuto contare le chiome sulle<br />
quali aveva passato le dita. E faceva confusione con i nomi.<br />
Per chiunque avesse subìto il suo sorriso: quella canna<br />
puntata sulla fronte, quel bacio freddo per l’addio, quell’istante<br />
per l’infinito.<br />
Ed arrivare alla perfezione attraverso l’ultimo, definitivo<br />
abbrutimento. E farsi trovare riverso sul suo letto,<br />
quando sarebbe stato impossibile assumere una posizione<br />
accettabile, senza coreografia, tranne la vita che se ne<br />
era scappata chi sa dove, forse oltre il mare.<br />
Ma la camicia restata linda, di purezza crudele contro<br />
il rosso del sangue, quella la dice lunga, su come fosse<br />
perfetto il suo agire. E le etichette degli abiti appena<br />
comprati per l’occasione, per la partenza. E le scarpe col<br />
fondo intatto, che non avevano mai calpestato il suolo.<br />
Per questo: per essere pronto da chiudere nella bara<br />
senza il timore di doverlo spogliare. Perché non si vedesse<br />
quale cibo sublime veniva apparecchiato per i vermi.<br />
Dubbi per chi continua e sollievo per gli invidiosi.<br />
Nessuno è al sicuro.<br />
Tre<br />
In quell’istante ebbe terrore di ciò che aveva fatto. […]<br />
Volle rialzarsi, buttarsi indietro, ma una massa enorme, inflessibile,<br />
la colpì sulla testa e la rovesciò sulla schiena.<br />
Lev Tolstoj, Anna Karenina<br />
19 anni - 20 anni<br />
Hai tutte le promesse ancora in corpo, nel buio, fra la<br />
gola e il torace come se le avessi inghiottite in fretta, durante<br />
la vita appena trascorsa; come se non avessi fatto in<br />
tempo a metabolizzarle. Insomma quelle promesse non<br />
masticate, ingerite a bocconi grossolani, come carne di<br />
pecora, nell’oscurità attutita dalle poche luci dell’abitato,<br />
muovendo passi incerti nella campagna, che pare di<br />
essere nel traballare di un’auto che si piega seguendo la<br />
sinuosità della strada sterrata, ti salgono in mente.<br />
– Siamo in anticipo. – Dice tuo fratello afferrandoti<br />
per il braccio come se strattonasse le redini di un cavallo.<br />
Sei impegnato a trattenere il respiro, a farlo ciondolare<br />
nell’anticamera delle fauci prima di dargli via libera.<br />
Per risposta ti esce un sibilo fatto con i denti.<br />
– Stai male? – Chiede tuo fratello distogliendo per la<br />
prima volta lo sguardo dal punto in cui dovrebbe correre<br />
la strada.<br />
18 19
Accenni col capo. La bocca si è riempita di saliva. Le<br />
viscere pretenderebbero il riposo. Ancora una boccata<br />
d’aria. L’aria pungente della campagna.<br />
L’avverti appena, la campagna, che, sbattendoti sulla<br />
fronte, scappa scivolando sulle tempie. Buio sul viso,<br />
poche luci sulla nuca. Senza muovere la faccia, rigido sul<br />
collo, imposti ogni resistenza su quella fissità. Finché,<br />
scuotendo il capo, cerchi di farti percepire oltre l’oscurità.<br />
E lui, tuo fratello, perché ora siete fratelli, ti vede<br />
con chiarezza: vede quel movimento impercettibile, a<br />
dispetto della poca luce, come un padrone che conosca<br />
il suo gatto.<br />
– Hai paura? – Chiede.<br />
Sollevi le spalle, che vuol dire sì e no. Che sì hai paura.<br />
Ma non troppa. Che avresti più paura a rivedere il giorno.<br />
Ora che tutto è così chiaro. Insomma che non è paura.<br />
– E tu? – Riesci ad articolare prima che la nausea ti<br />
riafferri lo stomaco.<br />
Lui dice che no, che paura non ne ha, non ne ha proprio.<br />
Magari è preoccupato per quello che succederà. Per<br />
la famiglia. Per la madre.<br />
– Ma avevamo deciso di non parlarne. – Conclude. –<br />
Sennò finisce come le altre volte…<br />
Abbassi le palpebre. – Due minuti, due ore, un’eternità…<br />
– Cominci a cantare stonando. Gridando senza gridare.<br />
Viene fuori una vocetta ridicola.<br />
Senti che tuo fratello ti ha afferrato la nuca, dopo aver<br />
brancolato qualche secondo nel buio con la mano aperta,<br />
le dita che si agitano come tentacoli di polpo. Ha la<br />
mano calda. Fa piacere.<br />
– Allora hai deciso di andare dal barbiere. – È una<br />
constatazione senza ipotesi di risposta. Una domanda senza<br />
futuro. Una falsa incertezza. Tanto per parlare. Come<br />
quando a passeggio sulla via principale ci si saluta ogni<br />
volta che ci si vede. Oppure si inarcano le sopracciglia per<br />
chiedere se va tutto bene e si aspetta un’alzata di spalle<br />
per dire che va come sempre. Oppure si fa quella battuta<br />
che fa ridere sempre: – A quale cinema andiamo? – Come<br />
se a <strong>Nulla</strong> ce ne fossero tanti.<br />
Ti sfiora la pelle tra il collo e la nuca, che è diventata<br />
un piano soffice di peletti recisi. Per avere una conferma.<br />
– Io non ci sono andato. – Dice, come se da anni foste<br />
avvolti in quel buio e non abbiate avuto la possibilità di<br />
constatare niente l’uno dell’altro. – Ma ho risolto l’esercizio<br />
di matematica. – Informa.<br />
Ti scappa una risata nervosa. La canzone si è fatta strada<br />
nel tuo cervello, di tanto in tanto te ne sfugge qualche<br />
mozzicone dalla bocca. Così interrompi quel silenzio<br />
esaltato dal fragore secco, ritmico, dei passi sulla macchia.<br />
Quel silenzio così concentrato.<br />
– L’altro giorno, – comincia a dire tuo fratello, – mentre<br />
guardavamo la televisione in casa babbo ha detto che<br />
quando lui era giovane con mamma hanno vinto una gara<br />
di ballo: tango figurato e mazurka. Gli hanno dato una<br />
coppa… – Poi tace senza finire il pensiero. Un’altra frase<br />
senza conseguenze se non il fastidio per un tempo in cui<br />
si vincevano le gare di ballo. Anche a <strong>Nulla</strong>. E il disorientamento<br />
per non riuscire a capire in quale tempo era<br />
potuto accadere che i suoi genitori passassero pomeriggi<br />
interi ad allenarsi. Come dire che giorni migliori c’erano<br />
stati. Come ammettere che quella fissità senza prospettive<br />
era solo una svista. Un qui pro quo. Ma se non si aveva la<br />
forza?<br />
– Tango e mazurka? – Domandi. Hai sempre amato la<br />
concentrazione dei ballerini. Ti sarebbe piaciuto se non<br />
fosse troppo tardi. – E dove l’hanno vinta la coppa? – Continui.<br />
– Qui! – Ti risponde tuo fratello. – C’era un locale dove<br />
adesso c’è il Centro Commerciale.<br />
Il bello è che “qui” ti sembra una risposta comica. Qui,<br />
20 21
in mezzo alla campagna, verso il passaggio a livello. E la<br />
tua mente partorisce ballerini che volteggiano sulle rotaie.<br />
– Qui… – Ripeti.<br />
– A <strong>Nulla</strong>. – Si affretta a chiarire l’altro. – Dove ora<br />
c’è il Centro Commerciale. – Ripete.<br />
Intanto il terreno sotto ai piedi fa l’effetto di un tapis<br />
roulant: per quanto cammini non porta da nessuna parte.<br />
– Non sembrava così distante. – Commenti, ancora<br />
tutto preso dalla tua visione: tua madre porge una rosa<br />
con la bocca a tuo padre; la tua insegnante di matematica,<br />
fra le braccia del professore di Applicazioni Tecniche,<br />
fa volteggiare la gonna di tulle giallo canarino.<br />
– È che stiamo camminando piano: non si vede un accidente.<br />
L’abitato è sparito più in basso appena finita la salita.<br />
Buio sulla fronte, buio sulla nuca. Ora è così.<br />
A concepire questa camminata come un saluto.<br />
– Magari proprio stasera passa in ritardo… – Dici.<br />
Tuo fratello sgrana gli occhi. Poi solleva le spalle.<br />
Minuto più, minuto meno.<br />
Sei lì che un po’ te la ridi. Quanto basta per sentire lo<br />
scatto dell’accendino al tuo fianco. Il viso appare per un<br />
secondo. Poi sparisce. Poi solo il puntino incandescente<br />
della brace della sigaretta.<br />
– Offrimene una… – Dici. Hai tempo di sentire la<br />
sua titubanza. – Dai, – insisti, – voglio provare almeno<br />
una volta.<br />
La tosse ti fa dimenticare quella luce fastidiosa sul<br />
volto così prolungata perché non sai aspirare e la sigaretta<br />
non si accende. Così la fiamma ti resta appiccicata<br />
alle pupille. E sotto le scarpe comincia a scrocchiare la<br />
ghiaia.<br />
A pensarci il binario non sembrava così vicino. Avresti<br />
potuto vederlo per tempo se avessi aperto gli occhi,<br />
ma sentirlo sotto i piedi fa impressione. Perché più che<br />
aspettare d’essere raggiunto sembra esserti corso incontro.<br />
Ora. Ora che il terreno ha un’impennata. Ora che il<br />
freddo delle rotaie, la loro superficie levigata stona con<br />
la qualità del pietrisco.<br />
Poco tempo per riflessioni che sembrano un respiro.<br />
Ma gli occhi, che non rinunciano, fissano il riflesso dei<br />
nastri metallici su quel caos perfetto di pietra bianca. La<br />
regolarità insopportabile delle traversine che hanno il<br />
colore della carne di cinghiale lasciata a selenare.<br />
– Che ore sono? – Chiedi.<br />
La risposta ritarda quanto basta ad azionare la lucina<br />
dell’orologio da polso a cristalli liquidi. – Quasi le otto.<br />
“Odio quello che stiamo facendo” pensi. – Odio quello<br />
che stiamo facendo. – Dici.<br />
– Detesto quello che faccio. – Fa eco tuo fratello,<br />
mentre si siede su una traversina, al centro, fra le rotaie.<br />
Con la mano ti afferra l’avambraccio per invitarti ad<br />
imitarlo.<br />
– Preferisco stare in piedi. – La tua voce ha un tono<br />
maturo, come se quel camminare fosse la metafora di<br />
tutta la vita che avevi a disposizione. E fosse lo sforzo di<br />
un bilancio tentato in extremis.<br />
Vent’anni. E l’infelicità totale dell’anima.<br />
Il sentirsi mille volte soli.<br />
Mille volte isolati.<br />
I più isolati. In quell’isola che è bagnata dall’inquietudine<br />
turbolenta. Scossa dalla miseria di una sensibilità<br />
ricca. Ricchissima.<br />
Presa in ostaggio come un possidente rapito.<br />
Nascosta, incatenata, maltrattata, beffeggiata.<br />
Criticata per l’ardire, per i beni accumulati. Per il rischio<br />
che finisca per convincerci. Che si può fare. Che<br />
niente è scritto se si ha coraggio e forza. Se pianto e rabbia<br />
diventano vita. Non morte. Non il silenzio fragoroso<br />
di pomeriggi passati ad anelare vite altrui. Fantocci<br />
di vita.<br />
22 23
Briciole offerte agli affamati.<br />
Si potrebbe seguire quel binario fino alla costa. Come<br />
un fiume che porta al mare. Senza bisogni, camminando<br />
e basta.<br />
Prendi tuo fratello per mano e digli:<br />
– Andiamo via.<br />
Questo dice la tua voce. Ma non si rinuncia a quanto<br />
non si è riusciti ad ottenere. E spaventa il pensiero<br />
dell’andare. E ci si innamora della propria ostinazione.<br />
Questo può accadere.<br />
Questo accade. E nemmeno un sorriso di approvazione.<br />
Solo guardarsi le spalle perché se non si sta attenti la<br />
frustrazione diventa una taglia sulla testa. I libri si<br />
trasformano in una conferma. La televisione in un dolore<br />
costante di mondi possibili: veri allo sguardo, irraggiungibili<br />
per i piedi. Scimmie della verità che saltellano<br />
implorando noccioline: feroci e ridicole. Buone per<br />
divertimenti grossolani.<br />
Allora il pericolo si fa serio. Diventa un bivio davanti<br />
al quale macerarsi sino alla disperazione. Diventa scegliere<br />
una strada di getto, senza starci troppo a pensare, senza<br />
valutare. Contando sui propri piedi, sul proprio cuore,<br />
sulla certezza che la terra è solo terra e le radici sono solo<br />
una brutta metafora per dire Storia. Non catene.<br />
Oppure il languido abbandonarsi al Caso. Il lamento<br />
del predestinato. Il belato del capro sacrificale. La pace<br />
del “non c’è niente da fare”. Del “tanto non cambia<br />
nulla”. Del “siamo sfruttati”. Del “nessuno può capire”.<br />
Pace inoperosa. Pace passiva. Pace violenta di tremori<br />
trattenuti.<br />
Siamo uomini! Sei un uomo di vent’anni! In piedi al<br />
centro di un binario e afferri la spalla del tuo amico, quello<br />
che hai pensato come fratello, un uomo di diciannove<br />
anni. Basterebbe scegliere l’impossibile. Quei pochi metri<br />
che ti separano dalla vita. Che vi separano dalla vita.<br />
Ma ceppi invisibili, simboli di una prigionia che non<br />
avete scelto, ma che avete coltivato, carcerieri di voi<br />
stessi, più crudeli, più disumani di qualunque carceriere,<br />
vi tengono ancorati a quella porzione di terra.<br />
Che svista. Che brutta scelta.<br />
Tremando un poco ricominci a cantare:<br />
– Due minuti, due ore, un’eternità… – La tua voce si<br />
rompe un poco.<br />
Guardi verso l’oscurità.<br />
Ma il terreno, sotto ai tuoi piedi, comincia a vibrare.<br />
24 25
Quattro<br />
L’opposizione nefasta dei numeri nei registri<br />
destinati a certificare la cronologia familiare<br />
disgregarono la sua sostanza biologica.<br />
Elisabetta Rasy, La prima estasi<br />
33 anni<br />
Tutto il dolore non possiamo consumarlo. Sarebbe<br />
stata fatica risparmiata, la tua fatica, se avessi potuto vedere<br />
quanto ce n’è.<br />
Sino alla rabbia.<br />
Che faccio? Che faccio? Scrivo per una madre morta.<br />
Scrivo per svuotare questo vuoto dalla pienezza del rimpianto.<br />
E poi? E poi? Solo per continuare, un poco ti disprezzo.<br />
Devo averle da qualche parte quelle cose che hai scritto.<br />
Quando volevi diventare una che scrive.<br />
(«Parli bene tu che te ne sei andato in Continente, è<br />
comodo parlare in questo modo; io ho tentato, io sono<br />
rimasta.<br />
Troppo comodo caro mio fare il Solone da Eldorado.<br />
Prova a sentirti come me. Prova a sentirti come un<br />
moscerino in un occhio. Prova a resistere stringendo i<br />
denti tanto da spaccarti le mascelle!<br />
27
Perché non sei rimasto qui a fare qualcosa, qualcosa che<br />
poteva essermi utile…?»)<br />
Ho corso, facendomi scoppiare i polmoni. Ho baciato<br />
mille volte mio figlio. E il cibo mi sembrava talmente<br />
prosaico da meritare di punirmi. Poi sono uscito. L’ho<br />
detto a tutti, a tutti quelli che non ti conoscono, per<br />
ripeterlo a me stesso così che sembri finalmente vero.<br />
Eppure non è vero.<br />
Ora, per il tuo funerale, scrivo.<br />
(«Così ti senti a posto, tu con tuoi servizi efficienti,<br />
con tutto puntuale, al centro di tutte le possibilità.<br />
A scrivere, a fare lo scrittore. A fare l’avvocato del<br />
Diavolo.<br />
Che cosa c’entro io con la tua storia? Niente. Solo una<br />
casualità; un accenno di passato in comune»).<br />
Ho chiuso con questa specie di passato. Perché l’adolescenza<br />
si frantuma in schegge acuminate.<br />
Sono rimasto ad aspettare che questo giorno si portasse<br />
via la carcassa di quello che ero. Guardandomi in uno<br />
specchio che mi dice cose che non vorrei sentire. Vedendo<br />
la parte migliore di me, quella della felicità pura,<br />
quella dell’ingenua inconsapevolezza, sepolta sotto metri<br />
di terra…<br />
Ora che ho letto troppi libri e scritto e ricevuto qualche<br />
riconoscimento.<br />
Non dirmi che è facile. Non è facile amare <strong>Nulla</strong>.<br />
Non è facile essere innamorati del profumo dei lecci.<br />
Non è facile portarsi la terra in tasca. Perché la terra pesa,<br />
rallenta il passo e si preferirebbe essere nati in volo o sul<br />
mare, dovunque, ma non a <strong>Nulla</strong>. <strong>Nulla</strong> Amada.<br />
Oggi, nel giorno del tuo funerale, tutto il dolore è diventato<br />
cercare di ricordare tutto. Quei maglioni indossati<br />
sulle camicette candide. Quelle dita screpolate dalle<br />
allergie. Quel sorridere solo con bocca mentre lo sguardo<br />
andava altrove. E quei capelli, troppo sottili, che non<br />
crescevano mai. Quel compleanno in giardino e la casa al<br />
mare. Quei figli fratelli, quei nipoti figli, quegli altri<br />
fratelli, quei figli.<br />
Il banco proprio dietro al mio. E il pianto perché non<br />
riuscivi a leggere le frasi di greco…<br />
Quanto poco… quanta fatica.<br />
E pensano che fosse scritto, che l’avessi segnato nel<br />
volto. Solo che sei rimasta un libro chiuso. Solo che la tua<br />
storia non sembrava degna di essere letta.<br />
Quando dicono: – Non volevano scandali, stava male<br />
da anni, si vergognavano…<br />
È talmente crudele che mi fa sorridere.<br />
Sono tornato tardissimo, ho visto mio figlio che dormiva,<br />
mi sono accostato per assicurarmi che respirasse.<br />
È stata follia spiccare quel volo. Lo sai, lo sai!<br />
Tutto il resto sembra solo cercare una via d’uscita.<br />
Alle due di notte non riuscivo a stare dentro casa, sono<br />
uscito di nuovo. Ho parlato con un vecchio che si curava<br />
l’insonnia aspettando l’alba. Seduti sulla panchina davanti<br />
alla chiesa io e lui. A bere la frescura. A dirsi dei pomeriggi<br />
troppo torridi. Quando si preferirebbe morire.<br />
Gli ho detto di te. Così anche questo debito era stato<br />
pagato.<br />
Nessun problema per noi. Continueremo a riempirci la<br />
vita. Con la televisione in cucina. Con eserciti di figli da<br />
cambiare. Da abbracciare. Da portare a letto. E mogli da<br />
vedere nei ritagli di tempo. E mariti, salutati appena in<br />
corridoio, baciati per finta prima di piombare nel sonno.<br />
Continueremo.<br />
Con amici da sentire ogni tanto a parlare del liceo, di<br />
come quello che era scritto si stia tenacemente avverando.<br />
Con un sacco di cose da fare e da lasciare incompiute.<br />
Con la sveglia che ci fa aprire ancora gli occhi, quando<br />
è abbastanza giorno da mettersi in piedi. Solo un po’<br />
più soli, solo un po’ più vecchi.<br />
Nessun problema. Perché per noi è diventato facile<br />
imbastire commemorazioni, innestare la marcia dei ricordi,<br />
28 29
persino esagerare col dolore. Noi ci siamo. Ci siamo ancora.<br />
Abitiamo questa terra, come era scritto.<br />
Ho caldo, sono talmente sveglio che mi pare di poter<br />
camminare per sempre.<br />
E tu, la madre di tutti, hai spezzato l’incanto, troppo<br />
dolce, dell’immortalità. Perché l’avevamo progettato, tra<br />
i banchi di scuola e nei corridoi. L’avevamo assaporato<br />
col corpo che ci esplodeva di giorni da consumare.<br />
Per questo io, l’ultimo, non so perdonarti.<br />
Cinque<br />
Quando muore qualcuno è come se muoia tutto il paese. […]<br />
Poi, quando l’ultima palata ha concluso la scena, il morto è morto<br />
sul serio, e anche il ricordo scompare.<br />
Salvatore Satta, Il giorno del giudizio<br />
26 anni<br />
In confidenza: fu la moglie a trovarlo. Non hanno detto<br />
nulla per tenerla fuori da tutta la storia, lo sapete come<br />
vanno le cose da queste parti. Insomma, il padre di lei<br />
telefonò al Questore e gli disse così e così. Allora, ancora<br />
scioccata, la portarono dalla sorella che abitava poco<br />
fuori città.<br />
Avevano fatto il passo più lungo della gamba con l’officina.<br />
Mutui bancari, mutui regionali e tutto il resto.<br />
Che poi uno si chiede: come fa uno a fare tanto? Ecco<br />
come fa, s’indebita! Sfido io che fanno! E macchina e casa<br />
al mare e viaggi e casa in città…<br />
Lei, per carità: ottima famiglia. La madre non si riconosce<br />
più, mischina, povera donna! E non era contenta<br />
da subito, si vedeva. Pareva che se lo sentisse… Ma se la<br />
figlia sembrava contenta doveva adeguarsi. All’inizio<br />
30 31
aveva provato e diceva che erano troppo giovani, che<br />
aspettassero ancora un poco. Insomma questo matrimonio<br />
così su due piedi poteva sembrare sospetto…<br />
Dicevano che lei fosse rimasta incinta. E che fu necessario<br />
organizzare il matrimonio in fretta e furia. Ma sta<br />
di fatto che dopo un anno, figli niente. I soliti ben informati<br />
dicevano che aveva abortito al quarto mese, qualche<br />
giorno dopo il matrimonio. Insomma lui non aveva<br />
nulla, né un mestiere, né un titolo… E all’inizio era<br />
andato a lavorare col suocero, che era di una famiglia che<br />
stava bene davvero… Forse li conoscete: abitavano alla<br />
Solitudine, di quelli di Pappaeciccia, mì che il fratello è<br />
stato in Belgio per tutta la vita… dài che erano imparentati<br />
con zia Tatana Portalcuore… Era la sorella di sua madre!<br />
Bah! State confondendo, vi dico che sbagliate… Quella<br />
che state dicendo voi è venuta a <strong>Nulla</strong> che io ero già<br />
grande. Baa bah! Non può essere vi dico!<br />
Era un bel giovanotto. Un marcantonio. Ben piazzato.<br />
Male, per forza se l’è preso! Lei per carità! Una cornacchietta<br />
spelacchiata: minutina tutta nera. Lui c’aveva<br />
l’amica c’aveva. Lo dicevano tutti! Per carità io non posso<br />
dire… Ma con la scusa dell’officina nuova… Anche in<br />
Continente… E anche qui, eh, già l’hanno visto più di<br />
una volta, altri, non io. Ma gente sicura! Guarda che se<br />
te lo sto dicendo è così. Dio ne scampi quando succedono<br />
queste cose…<br />
Oi, mì, non ne voglio sentire parlare: cosa glielo detto<br />
io di farsi tutti quei debiti? Se se ne stavano tranquilli,<br />
tutto questo non succedeva. Ajò dài che erano esagerati,<br />
guarda che lei andava da Franceschina Battimani e non<br />
vedeva quello che spendeva! C’aveva un cappotto cara<br />
mia che non costava meno di un milione… Ajò da dove<br />
tutta questa roba? E lui? La stessa cosa! Dài, non ne voglio<br />
nemmeno sentire parlare! Per carità, in cielo sia, perché<br />
male non ne ha fatto a nessuno, però, dico io, quando<br />
succedono queste cose un motivo c’è… eh sì: un motivo<br />
c’è…<br />
Lui voleva fare un’officina moderna. Carrozziere, gommista,<br />
elettrauto: tutto insieme. Andava anche in Continente<br />
per fiere e cose del genere… Era dritto, quello che voleva<br />
lo sapeva. Ma da queste parti queste cose non funzionano<br />
è inutile! Questa mania di fare cose nuove. Non<br />
andava bene l’officina del suocero? All’inizio sì, la curiosità,<br />
tutte queste cose elettroniche… Ma poi la gente ha<br />
smesso di andarci. Io non ci sono andato mai, ma mio<br />
cugino diceva che non era un lavoro fatto bene e poi era<br />
caro. Per forza tutti quei buffi…<br />
Che furbo e furbo: era un coglione! Con tutto il rispetto.<br />
Aveva rilevato quel locale che non valeva niente…<br />
E chi gliel’ha venduto lo sapeva che non valeva un<br />
accidente. A furia di fare i furbi si rimane fregati. Dai<br />
che se non stava attento gli fregavano anche le mutande…<br />
Conta che per permessi, controlli, certificati, suolo<br />
pubblico, insegna e così via ha smosso mari e monti…<br />
Insomma spese anche lì e non cifrette da poco… Tangentopoli<br />
ci fa un baffo a noi! Se arriva chi dico io… Poi dicono<br />
che se ne sequestrano qualcuno di tanto in tanto fanno<br />
male! Bisogna conoscerle le cose prima di parlare, con i<br />
politici che ci troviamo! Io?… Io saranno anni che non<br />
vado a votare… Che si impicchino tutti. Parassiti! Guarda<br />
che mio cognato lavora in banca e di queste cose ne<br />
mastica… C’aveva non so quanti milioni, dico milioni,<br />
di scoperto…<br />
Non si può fare niente da queste parti. Troppa gente<br />
invidiosa. Poverino! Male non ne aveva fatto a nessuno…<br />
E quella povera moglie! Non ha più lacrime per piangere.<br />
Per fortuna figli non ce n’erano: anche se dicevano che<br />
32 33
lei era rimasta incinta… Troppa maldicenza. Rimanga<br />
tra noi: sono arrivati a dire che avesse detto che era incinta<br />
per farsi sposare… Lui magari c’era andato così, per<br />
fare. Si sa come sono fatti gli uomini… Si credono tanto<br />
intelligenti.<br />
Non me lo leva nessuno dalla testa che lui aveva un<br />
tarlo grosso. Oh, in quattro e quattr’otto locale nuovo,<br />
casa nuova. Boh? Come si fa? Io non riesco ad arrivare a<br />
fine mese… Doveva essere implicato in qualcosa di poco<br />
chiaro. Tutti quei soldi che giravano, dài! Chiedete a<br />
Mimmo Manetta le spese al Bar! E anche la questura se ne<br />
stava interessando… A <strong>Nulla</strong> si conoscono tutti c’è poco<br />
da fare: siamo rimasti un paese da quel punto di vista lì…<br />
Le grandi fortune, caro mio, lo sappiamo tutti no?… Devo<br />
continuare? Non fatemi parlare dài… Cosa ti bevi?<br />
Non esageriamo: non è che dalle altre parti queste cose<br />
non succedono, ajò, tutto il mondo è paese… Doveva<br />
ragionare su quello che stava facendo, e che aveva famiglia.<br />
La testa bisogna tenerla attaccata alle spalle, non è<br />
che un uomo è uomo solo per andare appresso alle sottane…<br />
Dài che non ne lasciava in pace una. Che cosa ne so?<br />
Evidentemente se sto parlando, so quello che sto dicendo.<br />
Dài finiamola con queste storie! Faceva lo sbruffone, il<br />
balente e le ha messo tante di quelle corna alla moglie! È<br />
sempre stato così, dài. Lo so… Ti dico di no… Ohi… Ma<br />
se non faceva a lasciarlo da solo in una stanza con una<br />
donna! Dài, ajò, lascia perdere…<br />
Non l’avrei mai detto. Lei piuttosto! Era esaurita fatta!<br />
Dice che una volta è uscita in ciabatte, col cappotto di<br />
cammello, un signor cappotto eh, e il collo di pelliccia.<br />
L’ha incontrata zia Battistina Colpoincanna. Dice che l’ha<br />
presa da parte e gliel’ha detto: – Mì che sei senza scarpe,<br />
figlia mia. – E lei?… Lei con la faccia in terra… Quando<br />
si è resa conto. Dice che si è sfogata: troppi pensieri, con<br />
le idee di quel marito matto. Non l’hai vista come era<br />
ridotta! Piangeva il cuore, piangeva! Mì, guarda, a ripeterlo<br />
mi sento male, ma dice che quando l’ha riaccompagnata<br />
a casa, a zia Battistina gli ha detto: – Faccio una<br />
pazzia… – Era sedata tutto il giorno. La curavano fuori<br />
<strong>Nulla</strong>. Dice che se lo potevano permettere. Noi povera<br />
gente andiamo all’ospedale di qui… Lo sai che a Nunzia<br />
Stracciapeli gli hanno curato una cervicale, dicevano e<br />
invece aveva quel male lì? Ohi, per carità!, che qui non<br />
fa… Io sono due anni che mi trascino questo piede malato,<br />
oh Dottor Mipare, me l’ha detto chiaramente: queste<br />
cure non le sappiamo fare da queste parti…<br />
Non me ne frega niente. Neanche un po’. Se non conosci<br />
qualcuno non ti ascoltano nemmeno. Ma lui in<br />
Regione sapeva a chi doveva telefonare. Se finissero tutti<br />
in galera. Io per mio figlio ho chiamato chi sai, ma pare<br />
che ci fossero altri più appoggiati. Dice che non aveva il<br />
titolo di studio. A chi gli pare a loro lo sistemano anche<br />
se ha la quinta elementare.<br />
Senti, sai cosa ti dico? Le cose vanno come vanno. Era<br />
destino. Quando gira la ruota… Io lo so perché è venuta<br />
proprio lei a casa, per la medicina del malocchio. Eh cara<br />
mia, c’era veramente qualcuno che gli voleva male. L’invidia.<br />
Ma anche loro… Che bisogno c’era di tutta questa<br />
ostentazione! Facevano i gran signori ed erano pieni di<br />
debiti… Io gliel’ho detto: – Qui bisogna leggerti i Vangeli.<br />
– L’ho vista subito: non c’era verso, due volte ho<br />
provato, ma nulla. C’era una situazione molto metzana.<br />
Mì gli ho fatto una ricetta da portarsi addosso povera figlia…<br />
Beh, eh, già ci vediamo, sennò arrivo tardi a<br />
messa…<br />
Al carrello elevatore. Si è impiccato al carrello elevatore.<br />
34 35
In officina. Lasciati servire che l’ha trovato la moglie! Oi,<br />
quale telefonata! Lasciami la testa! La moglie l’ha trovato! E<br />
allora no… Se te lo sto dicendo! Lì c’era roba brutta. Mì,<br />
dice che era entrato in un giro di droga… Aveva troppi<br />
debiti. Con tutto che gli avevano concesso un mutuo agevolato<br />
con i fiocchi. Con la storia delle piccole imprese: niente<br />
tasse, niente di niente… Meglio il posto fisso!<br />
Qui lo dico e qui lo nego: aveva pensieri. Pensieri che<br />
non lo lasciavano dormire di notte. Altro che donne! Tutta<br />
una vita di lavoro. Perché quando ha iniziato, lo sanno<br />
tutti. E sua madre vendeva al mercato. Non è che fosse<br />
chissà chi. Ma si era fatto strada, perché non conosceva<br />
fatica… Oi, che droga! Vai vai che non sai neanche quello<br />
che stai dicendo! Per carità, quale droga! Un bicchiere<br />
di vino di tanto in tanto, perché era uno di compagnia.<br />
Un ragazzo sano. Che cosa doveva stare a scaldare il letto<br />
alla moglie? Il suo dovere lo faceva no? Nessuno ha mai<br />
detto il contrario. Si fa in fretta a mandare in galera il<br />
cristiano! Abbiamo fatto la visita di leva insieme e non<br />
era nemmeno voluto venire a donne, dai questo ti dice<br />
tutto… Mai dire: – Di quest’acqua non ne bevo. – Perché<br />
è la volta che ci caschi… Il rispetto per i morti, dico io!<br />
Io divento nervoso. A tutti i funerali mi scappa da<br />
ridere. E poi con questo freddo! Fa un freddo cane no?<br />
Sono stato a letto una settimana con un’influenza… Quella<br />
brutta… Oi oi che tragedia! Ma cosa vuoi che ti dica,<br />
a parlare la gente parla, ma ormai non c’è rimasto più<br />
niente da dire… No, torno a casa, in cimitero non ci<br />
vengo, col freddo che c’è…<br />
Sei<br />
Il risultato era troppo preciso per essere convincente,<br />
mancava un pizzico di contraddizione,<br />
puzzava d’inganno.<br />
Ian McEwan, Bambini nel tempo<br />
37 anni<br />
Dico che avreste dovuto vederlo, nemmeno tanto<br />
tempo fa. Due o tre anni fa. Con tutti i denti in bocca e<br />
venti chili di meno.<br />
E che macchine! Sempre l’ultimo modello.<br />
Non l’avreste riconosciuto: questo vi dico.<br />
Perdio! Un insegnante! Vabbene che era scapolo, ma<br />
di soldi ne spendeva con le donne!<br />
Dopo quei fatti poi…<br />
Elegante come un figurino. Sempre in Continente o<br />
all’estero.<br />
Insomma, un fulmine a ciel sereno. Una tempesta<br />
senza avvisaglie. Perché, semmai, dopo quello scandalo<br />
degli spogliarelli… Allora sì, insomma la vergogna,<br />
sbattuto su tutti i giornali, anche quelli nazionali.<br />
Beh, uno dice che se non l’aveva fatto in quel momento…<br />
Invece no, cinque anni dopo. Così. Chi lo sa cosa gli<br />
è passato per la testa. Certo non era più lo stesso.<br />
36 37
Irriconoscibile.<br />
Grasso, calvo, senza denti, invecchiato di colpo.<br />
Madonna Santa! E guarda che ci teneva!<br />
Non usciva quasi più. Pare che avesse un male incurabile,<br />
che facesse la chemio, per questo si era ridotto così,<br />
e forse, per questo…<br />
Non ha retto, ha resistito fino al limite, ma era un<br />
escluso, un pària. A scuola nemmeno a parlarne: aveva<br />
preso un congedo per malattia. All’inizio, appena finito<br />
il dibattimento, pareva che dovesse trasferirsi, a Roma,<br />
a Torino, a Firenze, a Napoli. Chissà. Sta di fatto che da<br />
casa sua non si è mosso.<br />
Si vedeva di tanto in tanto, sempre solo. Saliva al Monte<br />
e si sedeva vicino alla fontanella dove si passa per andare<br />
alla statua.<br />
Però, anche lui!, se era innocente… Non lo so, provare<br />
a difendersi. Invece no. Zitto.<br />
Che sembrava un cane bastonato.<br />
Sfortunanto? Chi lo sa. A volte la sfortuna ce la cerchiamo.<br />
Non gli mancava nulla.<br />
Faceva quello che faceva, si sapeva. Insomma se non<br />
si sta attenti. Non era mica un ragazzino!<br />
Un uomo si vede in questi frangenti, dico io. Bastava<br />
parlare. Cercare un aiuto. Magari se si spiegava non dava<br />
adito a dubbi. Perché la gente, è inutile, certe domande<br />
se le fa. Non si può pretendere che tutti capiscano.<br />
E poi i parenti! Con la sorella che sembrava che le fosse<br />
crollata la casa. Non è che se ne possono occupare gli altri<br />
di queste cose.<br />
Pare che andasse in chiesa. Almeno è morto in grazia,<br />
nonostante tutto, che il Signore queste cose le capisce,<br />
questi momenti di debolezza.<br />
L’ha detto anche Don Passeri alla funzione, una predica<br />
che avrebbe fatto piangere anche le pietre: che era<br />
tornato all’ovile, che la debolezza l’aveva vinto proprio<br />
quando stava per raggiungere il traguardo, che non si è<br />
mica del tutto coscienti quando si fanno queste cose,<br />
quando si prendono queste decisioni.<br />
E comunque i parenti anche con i fiori al campo santo<br />
non è che si sprecano. Ma lì non credo che abbia problemi,<br />
ormai.<br />
Anche se la cosa è stata notata, è inutile far finta.<br />
Mio Dio, un errore si perdona a tutti; ma quella storia<br />
con le minorenni, insomma era una roba difficile da dimenticare.<br />
Da far finta.<br />
Anche se poi al processo le cose erano un po’ diverse,<br />
ma era segnato, il sospetto c’era.<br />
Perché due avevano ritrattato e ora chi le vede più in<br />
giro. Le hanno mandate fuori, a “studiare”.<br />
L’hanno lasciato solo, a rimuginare e lui era troppo<br />
orgoglioso per chiedere una mano.<br />
Comunque ha detto che partiva, che aveva bisogno di<br />
una vacanza.<br />
Di vedere posti nuovi. Li stava prendendo in giro.<br />
Non voglio dire, ma volendo si potevano accorgere di<br />
quello che gli stava passando per la testa. Si era organizzato.<br />
Aveva pensato tutto nei minimi particolari, aveva<br />
persino mandato la sorella a prenotare un albergo da<br />
qualche parte, all’estero comunque, e a pagare la caparra.<br />
Anche le valigie pronte le aveva fatto vedere. Questo<br />
per convincerla che era pronto a partire. Anche se il<br />
viaggio che voleva fare era un altro.<br />
E lei tranquilla, era sicura… Poi ha cominciato a<br />
preoccuparsi perché doveva essere partito da una settimana<br />
e nemmeno una telefonata: sto bene, sto male,<br />
crepa… Niente. Vabbé, dice, magari si sta divertendo<br />
finalmente, ha incontrato gente interessante. Poi, dieci<br />
giorni e niente, due settimane e niente. Così prova a<br />
chiamarlo a casa: nessuna risposta, segreteria telefonica.<br />
Ai venti giorni, che doveva essere ritornato, niente. Allora<br />
si decide ad andare all’agenzia, e lì le dicono che<br />
38 39
iglietti niente, conferma niente, insomma niente viaggio.<br />
Così l’hanno trovato quando erano passati venti giorni.<br />
E lo spettacolo non doveva essere bello a vedersi.<br />
È successo qui, proprio nella camera da cui vi sto parlando.<br />
Hanno rimbiancato immediatamente, anche tre passate<br />
di calce viva, perché pare che fosse tutto sporco, insomma,<br />
si capisce…<br />
Noi comunque l’abbiamo trovata perfettamente pulita…<br />
A dire il vero mio marito la casa non la voleva<br />
nemmeno comprare. Ma poi ci siamo detti: un’occasione<br />
del genere, quando ricapita.<br />
Sette<br />
…non riuscivo a rassegnarmi<br />
e continuavo a ringhiare<br />
contro chiunque mi si avvicinasse.<br />
Nicoletta Vallorani, La fidanzata di Zorro<br />
28 anni<br />
Alla fine ci sei riuscita!<br />
Gliel’hai fatta pagare in contanti, con gli interessi.<br />
Un numero imprecisato di pillole ingerite a fatica, che<br />
sembravano calce in gola, e acqua direttamente dal rubinetto<br />
del bagno, a sorsate avide per non sentire il sapore.<br />
Solo lo stomaco che brucia. Per la paura, s’intende. Il momento<br />
adatto… il gioco è fatto… il conto esatto.<br />
Sorridi, s’intende. Le rime ti hanno sempre fatto ridere,<br />
fin dalle elementari. Che già sembrava una concessione<br />
darti l’istruzione obbligatoria. Che già si diceva: tempo<br />
perso. Che già si preparava il terreno: apparecchia la<br />
tavola per i tuoi fratelli!<br />
Al centro del Mediterraneo, in bocca al terzo millennio:<br />
tempo perso. Che per i ragazzi, per i maschi, vale la<br />
pena. Che sono forza e famiglia. E schiatta che prosegue,<br />
cognome che si tramanda.<br />
Forse ci credevi anche tu. E zoppicavi con la grammatica.<br />
40 41
E diventava tutto difficile. Sarebbe stato perfetto, come<br />
era stato, ma la vita parlava un altro linguaggio, corretto<br />
senza strafalcioni. Diceva di grandi scienziate, attrici meravigliose,<br />
scrittrici, donne.<br />
Prepara la tavola per i tuoi fratelli. Che ti guardano<br />
appena. E si portano addosso mondi straordinari e raccontano<br />
storie piccanti a tavola per farti correre via in imbarazzo.<br />
A pensarci bene, non erano nemmeno loro, o quello<br />
che dicevano, il problema. Piuttosto tua madre che fingeva<br />
di rimproverarli e poi ti guardava alzando le spalle.<br />
La vita, figlia mia, poteva andare peggio, per fortuna<br />
i tempi sono cambiati… bisogna prendersi carico delle<br />
croci che ci dà il Signore.<br />
Per fortuna, ti ripeti guardando fuori dalla finestra.<br />
Un gatto si è accovacciato fra il muro e una scala di<br />
cemento, per sfuggire alla cattura dei ragazzini. Una<br />
bambina sta da parte, comincia a piangere. Per questo<br />
spalanchi la finestra gridi contro il cielo grigio, che sa di<br />
fumo. Si distraggono quanto basta perché la bestiola<br />
riesca a fuggire. Un attimo appena di sconcerto per le tue<br />
urla. Ma ci mettono un istante a capire e si voltano verso<br />
la tua finestra per ricordarti chi sei: la pazza cicciona!<br />
L’importante è che sia bastato per salvare il gatto.<br />
La bambina ha smesso di piangere.<br />
Ora scappa verso casa.<br />
Pazza cicciona! Bette grassa! Grassa che poledda! Prena<br />
che ovu!<br />
Ora tua madre è entrata in cucina, ancora odore di<br />
sugo ben cotto. Ora ti dice che non devi farlo più, che sei<br />
la vergogna della famiglia. Gridare a quel modo contro i<br />
ragazzini del vicinato. Che con i vicini non c’è mai stato<br />
niente! Che se sei proprio matta ti rinchiudono in manicomio!<br />
Deo chin su bichinau mancu punta ’e pilu!<br />
Si ses macca ti juchimus a Rizzeddu!<br />
Che sei la vergogna di quella casa onorata!<br />
Dallo specchio arriva l’immagine della pazza cicciona<br />
in tutta la sua strabiliante verità di cosce abrase a furia di<br />
sfregarsi l’un l’altra e polsi larghi come le mani e piedi<br />
che debordano dalle pantofole.<br />
Dallo specchio arriva l’immagine di un patetico fantoccio.<br />
Sotto la fronte, tentando di emergere dalle palpebre,<br />
gli occhi sono di un nero febbrile. L’abito è un camicione<br />
senza forme.<br />
Che cosa dice il medico?<br />
Bisogna costringerla a muoversi, deve fare gli esercizi,<br />
il cuore soffre…<br />
Nelle notti che non vogliono passare, tua madre veglia.<br />
Per aspettare qualcuno dei suoi eroi che ha fatto<br />
tardi. Ciondolando in cucina dove il mobile letto si lamenta<br />
ad ogni movimento della cicciona. Tanto lei<br />
quando dorme non la sveglia nessuno.<br />
Non è tanto il disturbo. È quell’ansia. Che si placa solo<br />
quando riconosce il rombo del motore o i passi. E sente<br />
dal respiro che il figlio di turno, un pezzo del suo futuro,<br />
un pezzo della sua carne, ha bevuto troppo. Si è riempito<br />
di vino facendo la Via Crucis tra un bar e l’altro.<br />
Non c’è niente da fare per i giovani qui. Itte poden<br />
fáchere. Ripete alle volte. Non si accontentano più, pensa<br />
fingendo di non accorgersi che il figlio, uno dei pilastri,<br />
traballa, che magari diventa violento.<br />
E non lo zittisce se lui alza la voce. Cand’ est bíbiu<br />
non cumprèndete su chi narat. Continui pure a biascicare,<br />
lasciamolo sragionare, che tanto la cicciona dorme,<br />
e quando dorme, la cicciona, non la sveglia nessuno.<br />
E poi agli sbronzi e ai pazzi si dà sempre ragione.<br />
Questo metti in conto.<br />
Le notti in bianco di tua madre. La sua cecità, che<br />
non vede i tuoi occhi spalancati.<br />
Oppure quando ti salutano a distanza, se ti salutano,<br />
perché sudi e puzzi.<br />
42 43
Oppure quando ti prendono in giro dicendo: hai perso<br />
qualche etto, hai il mignolo più magro; e tua madre li<br />
invita a tacere senza riuscire a trattenere una risata. E tuo<br />
padre che non esiste, se non per chiedere quale peccato<br />
abbia commesso per un simile castigo.<br />
Oppure la messa domenicale alle sei del mattino.<br />
Prima che arrivino tutti. Ca este birgonza.<br />
Oppure la pastiglia che ti hanno prescritto per non<br />
farti sentire la fame, che dopo mangi il doppio. Soldi<br />
sprecati.<br />
Cosa dice l’assistente sociale? Che bisogna farla uscire,<br />
costrigerla a confrontarsi col mondo.<br />
Ma il mondo non sembra migliore, non sembra affatto<br />
desideroso di confronti, con tre fratelli maschi disoccupati,<br />
che non c’è lavoro, che pure sarebbero disposti a<br />
fare di tutto.<br />
Che se non si sta attenti finiscono per diventare delinquenti.<br />
Ancora rime. Ancora sorridi<br />
Oppure quando tuo fratello maggiore ha messo incinta<br />
la sua ragazza. E dove li mettiamo, hanno bisogno<br />
della loro intimità sono giovani, con un bambino in arrivo…<br />
Hanno bisogno di una stanza loro. Ma lei dove la<br />
mettiamo. Tanto più con un bambino in casa…<br />
E l’assistente dice che ci sono degli istituti.<br />
E la madre chiede: chi ce lo paga un istituto?<br />
E l’assistente sociale sorride: si fa la domanda, ci penso<br />
io… L’invalidità civile, la pensione, l’accompagnamento…<br />
E il padre dice: va bene, spostiamo la cucina in tinello<br />
e gli facciamo la camera da letto agli sposini. Va bene<br />
spostiamo la cicciona in un istituto, e l’invalidità civile,<br />
e la pensione, e l’accompagnamento, e tutto il resto.<br />
Almeno una volta tanto sarà utile. Va bene tutto. Tanto<br />
va a stare meglio che qui. Lì c’è gente che la sa trattare.<br />
Così la notte diventava sempre più lunga. La pazza<br />
cicciona non dorme. Fa cigolare la branda del mobile<br />
letto come quel lamento che non riesce a fare con la<br />
bocca, con la gola. E il medico dice che bisogna darle un<br />
calmante e chiede se non si sia accorta di qualcosa, che<br />
c’è in vista un trasferimento. La madre alza le spalle:<br />
cosa vuole che capisca, dice, per lei un posto vale l’altro.<br />
Comunque l’insonnia non è un buon segno, insiste il<br />
medico, ha bisogno di un calmante.<br />
Altri soldi sprecati, pensa il padre. Tra quattro giorni<br />
va all’istiuto.<br />
Quattro giorni di notti fredde come le anticamere<br />
della neuro. E di fame che diventa un drago feroce che<br />
macina proteine e carboidrati e lipidi. E di fianchi che<br />
pesano come se ci fossero attaccati due agnelli sgozzati.<br />
Fino alla pensione, all’Istituto, ai permessi per passare<br />
le festività in famiglia.<br />
Ma solo per un anno. Trecentosessantacinque giorni.<br />
Qualche milione di secondi.<br />
Col libro mastro sempre stretto al braccio: dare, avere,<br />
crediti, debiti…<br />
La pagano, questa volta me la pagano…<br />
44 45
Otto<br />
Aveva tradito l’unica cosa che voleva immortalare e magnificare.<br />
Peter Handke, Storia con bambina<br />
27 anni<br />
Aveva tradito l’unica cosa che voleva immortalare e magnificare,<br />
così stavano le cose. Proprio così.<br />
Si era mosso in ritardo che era difficile essere lucidi<br />
in situazioni del genere. Non era pronto. Non si era preparato.<br />
E per troppo tempo aveva fatto finta di nulla. Di<br />
non accorgersi che i soldi sparivano dal suo portafogli.<br />
Che la ragazza cambiava, diventava nervosa all’improvviso,<br />
come se dovesse prendere un treno che partiva di lì<br />
a poco e avesse paura di perderlo.<br />
Quando aveva preso in mano le redini della situazione<br />
era troppo tardi.<br />
Chiuse il libro tenendo il dito indice nella pagina che<br />
stava leggendo. Il trambusto nella stanza di lei l’aveva<br />
distratto.<br />
Aveva tradito…<br />
Babbo fammi uscire, sto male, ne ho bisogno… cominciava<br />
a dire cose del genere ora. Non più scuse del<br />
47
tipo: ho un appuntamento; esco a prendere un po’ d’aria;<br />
vado per le sigarette…<br />
Ora no, ora sapevano entrambi qual’era il motivo,<br />
quale appuntamento, quale aria, quali sigarette.<br />
E allora lei prese a dire ne ho bisogno, è l’ultima<br />
volta, non posso uscirne di colpo, non ce la faccio, se mi<br />
vuoi bene non puoi chiedermi questo.<br />
Volerle bene! Non bastavano nemmeno le parole. Da<br />
quando era rimasto vedovo, sembrava poco dire voler bene.<br />
Tutto, bisognava dire. Sei tutto. Ti voglio bene? Il Bene<br />
sei!<br />
Allora si piegava, diceva che sarebbe stata l’ultima<br />
volta perché non la poteva vedere così, in quello stato,<br />
che povera figlia era finita in mano a chissachì, maledetti,<br />
assassini, delinquenti…<br />
Lì, in quel momento, aveva tradito.<br />
Tutti i principi più sani con i quali era cresciuto, se<br />
li stava bevendo come vinello fresco, tutte le promesse<br />
che aveva fatto alla moglie prima che se ne andasse gli<br />
si stavano spegnendo davanti agli occhi come lumicini<br />
senz’olio.<br />
E le chiedeva quanto occorreva.<br />
E lei rispondeva trecentomila. Così li aveva ritirati dal<br />
libretto di risparmio. Quello per l’avvenire. Quello che<br />
non si sa mai cosa può capitare. Con una cifretta messa<br />
da parte per il suo funerale e per questa figlia di ventisette<br />
anni, che non aveva ancora avuto l’occasione giusta,<br />
che aveva inciampato in una cosa più grande di lei,<br />
che denunciarla sarebbe stata la fine di tutto.<br />
Poi altre trecentomila e altre trecentomila e altre ancora.<br />
Fino a prosciugare il conto. Fino al mutuo.<br />
Proprio tornando dalla stipula se lo disse, con chiarezza:<br />
ho tradito. E ci volle poco per capire che sessantadue<br />
anni non erano abbastanza per dirsi adulti. Non se si<br />
diventava complici di una situazione tanto spaventosa.<br />
Una volta, che lei appariva particolarmente debole e<br />
disperata, aveva pensato persino di andarci lui, in qualche<br />
vicolo verso la città nuova, ma aveva avuto paura e<br />
la figlia diceva che no, che a lui non l’avrebbero data,<br />
che quella gente non si fidava di chi non conosceva, che<br />
così rovinava tutto.<br />
Così non è amare. Così non è amare, così non è amare,<br />
così non è amare, ripetè fino a che non sentì la testa girargli.<br />
Al suo ritorno dalla banca lei l’aveva accolto scodinzolante<br />
come un cane pastore. Li hai presi, i soldi?<br />
No. Semplicemente. No. Soldi non ce ne sono più.<br />
Allora lei si era rannicchiata nella sua camera a guaire.<br />
Non ce la faccio, è l’ultima volta, ti prego, se mi vuoi<br />
bene, disse per l’ultima volta.<br />
Ma lui aveva chiuso a chiave la sua stanza e si era messo<br />
la chiave in tasca. Aveva preso un libro e si era messo in<br />
poltrona.<br />
Dapprima silenzio totale, poi, in crescendo urla indistinte<br />
dalla stanza chiusa. Anche insulti. Cose che se fosse<br />
stata viva la madre… Per fortuna che se ne era andata.<br />
E la scrittura gli correva davanti agli occhi ostinata<br />
di lettere e frasi.<br />
Ancora silenzio dalla stanza. Due ore di silenzio assoluto.<br />
Babbo fammi uscire, sto male, ne ho bisogno… Aveva<br />
spezzato il silenzio e la concentrazione proprio su quella<br />
frase: Aveva tradito l’unica cosa che voleva immortalare e<br />
magnificare.<br />
Serrò gli occhi fino a farsi male. Mise la mano in tasca<br />
per sentire la consistenza della chiave. Si alzò, fece qualche<br />
passo verso la stanza, ora pareva che un ciclone stesse<br />
rivoltandone l’interno. Oggetti in frantumi, mobili in<br />
frantumi, vetri in frantumi. Tutta un’esistenza che si<br />
spappolava, senza un motivo, per un poco di polvere<br />
bianca, talmente candida da sembrare qualcosa di pulito.<br />
48 49
Ritornò a sedersi. Riprese a leggere.<br />
Che lei decidesse di farla finita definitivamente era<br />
un rischio che sapeva di correre.<br />
Nove<br />
Parole, qua e là, frasi che luccicavano come vele lontane<br />
lo tormentavano, ma non si avvicinavano mai<br />
Henry Roth, Chiamalo Sonno<br />
16 anni<br />
L’ho fatto perché è morto Senna. L’ho fatto perché mi<br />
vergognavo della mia faccia brufolosa che faceva schifo<br />
solo a guardarla.<br />
L’ho fatto perché l’insegnante di italiano mi avrebbe<br />
lasciato la materia a settembre col quattro. L’ho fatto<br />
perché l’ultimo film di Van Damme era una cagata.<br />
Perché le ragazze della mia età puzzavano di pesce e<br />
quelle più grandi, le donne, non mi rivolgevano la parola.<br />
Perché non ne potevo più di allisciare i lastroni del<br />
corso e vedere tutti i miei compagni che si sbaciucchiavano<br />
con le fidanzate ai Giardini.<br />
Perché non c’è più erba ai Giardini. Perché non avevamo<br />
la casa al mare e mio padre non mi faceva guidare il<br />
motorino. Perché mio padre non mi poteva comprare<br />
nemmeno la bicicletta. Perché non ho mai visto un<br />
concerto dal vivo. Perché alla televisione non c’era mai un<br />
cazzo. E la Nullese gioca nel campionato dei dilettanti. E<br />
50 51
c’erano quei pantaloni che mi piacevano da morire. E<br />
Vialli se n’è andato a giocare in Inghilterra. E non capivo<br />
un cazzo del programma sanitario locale. E avevo paura di<br />
finire all’ospedale, perché i miei non hanno neanche un<br />
parente medico. Non conoscono nemmeno un portantino.<br />
E c’è un numero impressionante di persone tranquille.<br />
L’ho fatto perché alle ultime elezioni non ci ho capito<br />
niente. Chi ha vinto, chi ha perso. Perché se anche avessi<br />
smesso di studiare sarebbe stato peggio. E non avrei<br />
avuto nemmeno la possibilità di fare concorsi. Perché<br />
non volevo fare concorsi. Alle Poste, al Consorzio, alla<br />
Forestale, All’Istituto Case Popolari.<br />
Perché abitavo in un bel quartiere prima che ci trasferissimo<br />
in questo posto di merda. Perché avevo un sacco<br />
di idee che non stavano né in cielo né in terra. E tutto<br />
quello che vedevo mi sembrava migliore di quello che<br />
avevo.<br />
L’ho fatto perché mi hanno messo al mondo per caso.<br />
Perché succedevano un sacco di cose che non conoscevo.<br />
E perché conoscevo più cose di quelle che sarei mai riuscito<br />
a fare. Perché entro poco mi avrebbero chiamato per la<br />
visita di leva. Perché odiavo il pane carasau e il formaggio<br />
marcio. Perché non sapevo una parola di sardo.<br />
L’ho fatto perché non c’era un cane che mi facesse capire<br />
chi ero o cos’ero. Se mai sono stato qualcuno o qualcosa.<br />
Perché non avevo un impianto Stereo. Perché non riuscivo<br />
a pensare a un altro posto dove vivere. E mi veniva<br />
una nausea al mattino presto che dovevo alzarmi a vomitare.<br />
E non sopportavo di dover rendere conto a tutto il<br />
parentato di quello che mi succedeva. L’ho fatto anche se<br />
poi, loro, hanno dovuto rendere conto a tutto il parentato<br />
di quello che ho fatto.<br />
E poi perché diversamente sarei stato costretto ad alzarmi<br />
nel cuore della notte e sgozzare tutta la famiglia,<br />
anche la nonna, mentre dormivano.<br />
Perché così non ce la facevo e non riuscivo ad aspettare.<br />
E tutto quello che avrei potuto aspettare era troppo<br />
lontano. E non sapevo dove andare. E probabilmente ero<br />
semplicemente nato nel momento sbagliato, nel posto<br />
sbagliato, nella famiglia sbagliata, con la testa sbagliata,<br />
la faccia sbagliata, il corpo sbagliato.<br />
L’ho fatto perché tanto non gliene frega un cazzo a<br />
nessuno. Di me e dei miei piedi puzzolenti e delle mie<br />
scarpe da ginnastica consumate e puzzolenti; del rasoio<br />
che mi sfregia; della maglietta con la pubblicità dell’officina;<br />
delle mutande che non mi cambio mai. Del fatto<br />
che le uniche cose che mi piacciono non esistono. E<br />
anche del fatto che se avessi conosciuto altre cose forse<br />
mi sarebbero piaciute anche se allora non le conoscevo.<br />
Del fatto che non c’è mai stato un momento della mia<br />
vita in cui mi sia sentito importante. Tranne quello. Nessun<br />
momento che mi ricordi. Tranne quello. Del fatto che<br />
ho sempre avuto la memoria debole e non ho mai avuto<br />
la pazienza di finire un libro. Nemmeno di iniziarlo, se<br />
è per quello.<br />
L’ho fatto perché i giorni mi scappavano e non riuscivo<br />
ad acchiapparli e si avvicinava il momento in cui non ci<br />
sarebbe stata nemmeno questa incertezza. Questo essere a<br />
posto se non eri a posto. Questo non avere responsabilità.<br />
Questo non dover lavorare. Questo non dover scopare.<br />
Ed ero sicuro, certissimo, che quando questo sarebbe<br />
avvenuto, sarebbe stato peggio per me.<br />
E non ne potevo più di vedere quelli della mia età fare<br />
progetti. Non ne potevo più nemmeno di vedere quelli<br />
della mia età nelle mie stesse, identiche, condizioni.<br />
Perché certi nascono col futuro in tasca. Altri no, evidentemente.<br />
L’ho fatto perché per un attimo ho sentito di avere<br />
un’anima, e questa non è una cosa buona. Perché a vederci<br />
ci ho sempre visto benissimo e quello che vedevo non<br />
era affatto bello. Perché non avevo mai nulla da raccontare.<br />
52 53
E se l’avessi avuto non sapevo a chi raccontarlo. E se avessi<br />
avuto qualcuno a cui raccontarlo mi sarebbero mancate<br />
le parole.<br />
L’ho fatto anche per una serie di motivi pratici, rendere<br />
la vita più facile a quelli che sono rimasti, liberare un<br />
posto che qualcuno potrebbe usare meglio di me, vedere<br />
quanta gente ci sarà al mio funerale, per apparire sui<br />
giornali, su Tele Isola, su Videolina, sui manifesti a Ugolìo<br />
e Istiritta, per smetterla di farmi le seghe, per smetterla<br />
di nascondere le riviste pornografiche, per farli sentire in<br />
colpa, per smettere di sentirmi in colpa.<br />
Perché tanto un posto vale l’altro e sarei stato comunque<br />
un fallito. Anche in Continente. Anche nel migliore<br />
posto della terra.<br />
Perché avevo le mani d’oro a disegnare e i miei disegni<br />
sono tutti nascosti sotto al letto. E io lo sapevo che<br />
ero bravo, ma quella non era una bravura che contava. E<br />
io lo sapevo che qualunque cosa decidessi di fare per il<br />
futuro non avrei saputo come farla e comunque non avrei<br />
saputo a chi rivolgermi per impararla.<br />
Perché sono tutti talmente distratti che non sanno<br />
nemmeno che sono già morti.<br />
Perché ero troppo vigliacco per bere o fumare o drogarmi<br />
o prostituirmi o iscrivermi ad un gruppo di canto o<br />
entrare a far parte di un gruppo di ballo o mettere il costume<br />
per la festa del Redentore o vincere il campionato di<br />
calcetto o andare alle presentazioni di libri sui bronzetti<br />
nuragici o avercela con gli olianesi o andare al Rally Bar<br />
tutte le sere o tagliarmi i capelli con lo scalino alla nuca<br />
o scrivere poesie o stuprare quella della quinta B che me<br />
la sognavo ogni notte o battere mio cugino a braccio di<br />
ferro o imparare a nuotare o mangiare patate in cappotto<br />
o ridere delle barzellette sporche o imparare l’algebra<br />
o entrare nella sezione migliore del mio Istituto o fare a<br />
cazzotti o scrivere racconti o appassionarmi per la raccolta<br />
delle figurine o partecipare ad un concorso a premi o<br />
misurare quanto ce l’avessi lungo o chiedere agli altri<br />
quanto doveva essere lungo o perdonare o smettere di<br />
pensare…<br />
54 55
Dieci<br />
Qualcuno potrebbe forse credere ch’ella amasse tuffarsi<br />
nei ricordi della sua felicità perduta; ma sbaglierebbe.<br />
Heimito von Doderer, I demoni<br />
40 anni.<br />
Non dovete pensare che fosse infelice.<br />
Lei stava bene.<br />
Solo coerenza, non infelicità.<br />
Era arrivato il momento.<br />
Tutto qui.<br />
Quello che voleva l’aveva ottenuto: l’intelligenza, la<br />
cultura, il rispetto. Tanto di cappello.<br />
Vittoria totale.<br />
Studi eccellenti. Laurea come bere un bicchier d’acqua.<br />
Posto fisso a nemmeno trent’anni.<br />
Responsabilità. Disponibilità. Impegno.<br />
Un aspetto accettabile, conta anche quello. Favorito,<br />
si intende, dalla cultura. Perché la cultura favorisce tutto.<br />
Persino a <strong>Nulla</strong>.<br />
L’aveva detto da subito. L’aveva giurato a se stessa che<br />
era poco più di una bambina.<br />
57
Oltre i quarant’anni non si passa.<br />
La morte le faceva meno paura della vecchiaia.<br />
Undici<br />
Profughi, anche loro, di razza e di risvegli, e di norme strane che<br />
fissano l’inverno da un balcone, uno per tutti, tutti per sé<br />
Stefano Tassinari, Ai soli distanti<br />
30 anni<br />
[boche]<br />
Il 16 Settembre dell’anno scorso chiese di incontrarla<br />
l’ultima volta. Era armato. Girava sempre armato perché<br />
era a rischio di sequestro. C’erano troppe cose da sistemare.<br />
Divisione dei beni, affidamento della bambina, avvocati<br />
ecc. ecc.<br />
Anche qualche spiegazione perché la situazione era<br />
messa in modo tale che per tre mesi non si erano visti, e<br />
per due settimane non si erano nemmeno sentiti per<br />
telefono. E lui non aveva pace. Di nuovo in casa della<br />
madre dopo dieci anni di matrimonio. Aveva lavorato<br />
come un pazzo per tutti. Troppo buono, troppo generoso:<br />
se ne approfittavano. Era pieno di idee, uno intraprendente.<br />
Ma in questo posto c’è chi fa e chi mette i<br />
bastoni fra le ruote. Per invidia. Il Peccato più diffuso. Lo<br />
sport cittadino. Comunque l’aziendina andava bene. Si<br />
era fatto un nome. La moglie era una regina per lui e la<br />
58 59
figlia non sapeva dove metterla. Tutto gli sembrava poco<br />
per quella bambina.<br />
All’inizio il matrimonio non era stato ben visto dalla<br />
famiglia di lui perché si era scelto una donna troppo<br />
indipendente. Una di quelle che vogliono fare tutto di<br />
testa loro. Aveva manie da gran signora, ma di stare a casa<br />
nemmeno a pensarci. Così lui assume una domestica,<br />
almeno trova un pasto caldo quando torna e un paio di<br />
calzini puliti, o una camicia stirata. Perché lei, la moglie,<br />
un ferro da stiro non sa nemmeno come sia fatto, e in cucina<br />
solo scatolette.<br />
Del resto è una che lavora, come ripete sempre, che<br />
vuole la sua libertà e che marito e moglie hanno gli stessi<br />
diritti. E doveri aggiunge lui, talmente stanco dopo<br />
una giornata di lavoro che non ha nemmeno voglia di<br />
discutere.<br />
Tutte le volte che lui dice: al diavolo tutto, andiamo<br />
a cena fuori, lei se n’esce con una scusa: che non ha niente<br />
da mettersi, che ha mal di testa, che è troppo stanca,<br />
che sta facendo la dieta.<br />
Poi la mattina dopo le è passato tutto, bella come il<br />
sole, pronta per andare al lavoro che è l’unica cosa che le<br />
interessa, tutta truccata, tutta elegante. Per fare bella figura<br />
con i colleghi, tutti maschi.<br />
Anche per la bambina, subito all’asilo. Mandiamola a<br />
tre anni dice lui, ma lei non ne vuol nemmeno sentire: devo<br />
mettermi in aspettativa, e poi chi mi sostituisce ecc. ecc.<br />
Tua figlia sarà più importante, insiste lui.<br />
Non la voglio viziare. I bambini crescono meglio se<br />
vanno all’asilo da subito. E poi voglio difendere la mia<br />
autonomia. La mia carriera, io ci tengo, non voglio dipendere<br />
da nessuno, nemmeno da te, sono fatta così, lo<br />
sapevi quando mi hai sposato.<br />
Va bene, dice lui, come vuoi.<br />
Perché l’amava, era come un ragazzino davanti alla<br />
moglie.<br />
Era diventato lo zimbello di tutti: appena poteva,<br />
appena aveva un pomeriggio libero, l’andava a prendere<br />
lui, la bambina. Con tutte le mamme che dicevano: che<br />
padre affettuoso, che uomo sensibile.<br />
Troppo buono. Paziente fin da piccolo. Riflessivo e<br />
generoso.<br />
In famiglia mai un lamento, con la madre, con la<br />
sorella non diceva niente. Ma loro lo vedevano sempre<br />
più triste. Problemi di lavoro, tagliava corto lui, perché<br />
non voleva ammettere che aveva perso la testa per una<br />
donna sbagliata.<br />
Lei a vederla sembrava sempre pronta per una cerimonia,<br />
mai un capello fuori posto, mai una calza smagliata,<br />
mai senza trucco. Sempre altera, sempre sgarbata quando<br />
si rivolgeva al marito. Sempre a dire che lei era in grado<br />
di mantenersi da signora e che non gli doveva niente.<br />
Ti mantengo io come una regina, diceva lui, non hai<br />
bisogno di lavorare. Cambiamo discorso, diceva lei, se<br />
non vogliamo bisticciare.<br />
E lui si stava zitto per non fare scandali davanti alla<br />
gente o in presenza della bambina. Ma lei non evitava<br />
mai, quando poteva una stoccatina non gliela risparmiava,<br />
su come era vestito, su quanto spendeva, sul fatto che<br />
non era mai in casa.<br />
Era così: voleva tutti ai suoi piedi, figurarsi il marito.<br />
E la bambina era viziata lo stesso, nonostante l’asilo ed<br />
era influenzata dalla madre. Gliela metteva contro a quel<br />
poverino. Tutta dalla parte di lei, tutta nonna Agnese e<br />
nonno Giuseppe. Gli altri nonni, i genitori di lui, come<br />
se non esistessero.<br />
Non si poteva andare avanti. Lui cominciò a fare sempre<br />
più tardi la sera. Tornare a casa era un inferno. Gli<br />
capitava persino di farsi qualche bicchiere di troppo.<br />
Aveva fatto quello che lei si aspettava che facesse. Infatti<br />
coglie l’occasione per trasferirsi a dormire in un’altra<br />
stanza e gli impedisce di vedere la bambina. Lui non<br />
60 61
capisce che ogni volta che prova a protestare, che alza la<br />
voce, che si lamenta, il cappio gli si sta stringendo in gola<br />
sempre più.<br />
Così una notte torna a casa. Sobrio. Sono le due di<br />
notte. E comincia a far caldo perché l’estate è alle porte.<br />
Senza far rumore socchiude la stanza della bambina:<br />
dorme come un angelo. Poi si ritira in camera sua. È un<br />
uomo giovane, ha le sue esigenze, quella notte non riesce<br />
proprio a rassegnarsi. Così, senza bussare, va verso la<br />
camera degli ospiti dove si è trasferita la moglie, entra<br />
nel suo letto, l’abbraccia. Lei si sveglia d’improvviso con<br />
lo sguardo terrorizzato, sono io, dice lui, avevo bisogno<br />
di abbracciarti, avevo bisogno di affetto. Lei schizza fuori<br />
dal letto come se ci fosse uno scorpione, fuori, urla, alcolizzato,<br />
urla, vai con qualcuna delle tue puttane, urla,<br />
non ce n’erano di disponibili, chiede.<br />
Lui fa per alzarsi, ma lei: non toccarmi, urla, mi fai<br />
schifo, urla. E corre a rinchiudersi nella camera della<br />
bambina.<br />
La mattina dopo non c’è più nessuno con cui spiegarsi.<br />
Verso mezzogiorno arriva il padre di lei, nonno Giuseppe,<br />
per prendere qualche cambio.<br />
Questo non lo dovevi fare, dice al genero, sei un farabutto.<br />
Se vuole la roba ditele che venga a prendersela lei,<br />
dice lui strappando di mano al suocero la borsa con gli<br />
indumenti.<br />
Sei un farabutto, ripete quell’altro.<br />
Lei al telefono si fa negare e anche la bambina all’asilo<br />
non la mandano per non fargliela vedere.<br />
Così la madre di lui, nonna Giustina, col cuore in<br />
mano, va a casa di nonna Agnese, la madre di lei. Vogliamo<br />
sistemarla questa faccenda, dice, non sarà la prima né<br />
l’ultima famiglia in cui succedono incomprensioni, il nostro<br />
dovere è quello di buttare acqua sul fuoco.<br />
Ma lei, la figlia, non ne vuol sapere di tornare a casa dal<br />
marito, ormai ha ottenuto quello che voleva, l’ha spremuto<br />
come un limone.<br />
Dille che vado dall’avvocato, dice alla madre.<br />
Va dall’avvocato, ripete nonna Agnese a nonna Giustina,<br />
il torto è stato troppo grosso.<br />
Sei peggio di tua figlia, risponde nonna Giustina, non<br />
riesci nemmeno tu a farla ragionare figurati se ci riesce<br />
mio figlio, faccia Dio quello che vuole fare. E se ne va.<br />
Ma non ha cuore di tornare a casa perché la notizia che<br />
deve dare al figlio non è buona. Non è buona per niente.<br />
Comunque con la voce che le trema gli dice che lei<br />
vuole la separazione.<br />
A lui sembra che gli abbiano tirato una pugnalata. Separazione,<br />
ripete, separazione, separazione, separazione…<br />
Figlio mio, nonna Giustina cerca di non piangere,<br />
fattene una ragione, sei giovane, sei un bell’uomo, hai un<br />
avvenire sicuro, non ti manca niente.<br />
Io senza quella donna sono morto, dice lui e ha veramente<br />
la faccia da cadavere quando lo dice. Io senza quella<br />
donna sono morto.<br />
Poi due mesi d’inferno. Tra il caldo, gli incendi, le<br />
discussioni, gli avvocati, la bambina a orari fissi.<br />
Lui non c’è più con la testa. Si è lasciato scappare due<br />
o tre contratti importanti, ma non gliene importa niente.<br />
Non si fa la barba, si trascura, mangia poco, esagera<br />
col bere, sfiorisce, è l’ombra di se stesso, fa lo sbruffone<br />
perché non si capisca quanto soffre. Si fa vedere in giro<br />
con qualche ragazza per far ingelosire la moglie. Questo<br />
pensa lui, ingenuo. Dice che sta bene, dice che non è mai<br />
stato così bene…<br />
Così fino al 9 settembre dell’anno scorso, quando la<br />
rivede, per la prima volta dopo tre mesi.<br />
Bella, questo bisogna dirlo, bellissima come una maledizione.<br />
Lei non vuol parlare. Parla con l’avvocato, gli<br />
dice quando lui tenta di rivolgerle la parola. È come un<br />
cane bastonato, prostrato da mesi di sofferenze e di fin-<br />
62 63
zioni. Scoppia a piangere, le chiede di perdonarlo, arriva<br />
a giurare che cambierà. Parla con l’avvocato, ripete lei.<br />
Così nonna Giustina, a capo scoperto torna da nonna<br />
Agnese, così mi muore il ragazzo, me lo volete uccidere,<br />
convinci tua figlia ad incontrarlo, implora, e io ti assicuro<br />
che sarà l’ultima volta.<br />
Siete stati felici, dice nonna Agnese alla figlia, e avete<br />
avuto un tesoro di bambina, mettiti una mano sulla<br />
coscienza, dice, parlatevi un’ultima volta, se lo tieni sulla<br />
graticola in questo modo non te lo stacchi più.<br />
E si arriva al 16 Settembre.<br />
C’è caldo, ma lui è talmente emozionato che sente<br />
freddo, ha i brividi che gli corrono lungo la schiena, ha<br />
la febbre. Pensava di avere tante cose da dire alla moglie,<br />
ma quando se la trova davanti non ha parole.<br />
Si incontrano in cortile nel retro della villetta unifamiliare,<br />
perché lei non vuole entrare a casa dei suoceri.<br />
Lei è arrivata per prendere la bambina, che era stata<br />
dai nonni paterni, dice che non è andata per lui.<br />
Ma sei venuta tu, dice lui, non hai mandato tuo padre,<br />
e sorride come non gli capitava tanto tempo, con<br />
una dolcezza che stringe il cuore.<br />
Hai freddo, lo prende in giro lei con una voce che è<br />
una lama, vedendo che porta una giacca pesante.<br />
Non sto bene, ammette lui, senza di te sono morto, dice.<br />
Ti manca la serva, pugnala lei tenendosi a distanza.<br />
Sono perduto, dice lui trattenendo le lacrime, non<br />
mi importa niente di niente torna con me, che futuro<br />
vuoi dare a nostra figlia.<br />
Te ne occupi adesso di tua figlia, dice lei, un po’ troppo<br />
tardi.<br />
Ma lui avanza verso di lei tendendo le braccia, che cosa<br />
devo fare, chiede, devo pregarti in ginocchio, e si inginocchia.<br />
Lei fa un balzo indietro, fai schifo, dice, un po’ di orgoglio,<br />
nemmeno quello ti è rimasto.<br />
Così il mondo gli crolla addosso, non è nemmeno<br />
sicuro di aver sentito bene, sente solo la pistola che gli<br />
preme sul fianco, l’afferra senza nemmeno pensare, se la<br />
punta al petto.<br />
Lei capisce quello che vuol fare gli si avventa contro,<br />
questo no, urla, questa soddisfazione non te la togli, non<br />
davanti a me.<br />
Il primo colpo le squarcia la coscia ma lei non molla<br />
la presa. Lui è come impazzito. Parte un altro colpo questa<br />
volta lei indietreggia, ha il collo inondato di sangue<br />
scuro. Traballa all’indietro per qualche metro cercando<br />
di tamponarsi la gola con entrambe le mani, ha nel viso<br />
un’espressione seccata come se non avesse previsto quello<br />
che le è capitato, come se considerasse impossibile una<br />
simile disperazione, così capisce che era possibile. Capisce<br />
fino a che punto lui l’ha amata proprio mentre cade<br />
a terra.<br />
Più che gli spari, che sembrano ballettate di cacciatori<br />
nella campagna vicina, è l’urlo di lui che fa accaponare<br />
la pelle. Che fa interrompere i lavori. Che fa affacciare<br />
nonna Giustina e la fa correre come una ragazzina giù<br />
nello spiazzo davanti ai garages. Quell’urlo. Qualcosa di<br />
mai sentito, qualcosa che l’atterrisce, qualcosa che già le<br />
ha tolto il sonno per il resto dei suoi giorni. La vecchia<br />
arriva in cortile che respira a fatica. Si rende conto che<br />
l’ineluttabile è lì sbattuto a terra, ai suoi piedi. E ha la<br />
forma di un pupazzo senza volto. Lo sa riconoscere l’ineluttabile,<br />
le chiude la gola in un gorgoglio balbettante,<br />
le avvolge la testa come uno straccio bagnato. Poi lo vede<br />
quel puledro scalpitante che ha messo al mondo, come se<br />
solo allora l’avesse riconosciuto, gli avesse dato un nome<br />
e un cognome, una paternità e una maternità.<br />
Figlio mio, riesce ad articolare.<br />
Lo vede brancolare con la pistola in mano come se non<br />
sapesse dove puntarsela.<br />
Poi un ultimo sparo.<br />
64 65
[contra]<br />
Si lasciò convincere, perché era una persona senza malizia.<br />
E aveva sofferto, ma aveva fatto quello che aveva<br />
fatto: valige, trasferimento, separazione, avvocati ecc. ecc.,<br />
per la bambina. Il 16 Settembre dell’anno scorso, nonostante<br />
il parere contrario del suo avvocato andò di persona<br />
a riprendere la figlia dalla casa dei suoceri pur sapendo<br />
che c’era anche lui.<br />
Si è lasciata convincere dalla madre, mettiti una mano<br />
sulla coscienza, le ha detto, parlatevi un’ultima volta,<br />
non è da cristiani tutto questo astio, anche se non è stato<br />
un buon marito questo glielo devi.<br />
E lei c’è andata. Con tutte le buone intenzioni possibili,<br />
cercando di dimenticare gli anni d’inferno che lui le<br />
aveva fatto passare.<br />
Fortunatamente non aveva smesso di lavorare, neanche<br />
dopo la nascita della bambina, perché con la gestione<br />
allegra del denaro di lui ci sarebbe stato poco da stare<br />
allegri. Diceva che era sfortunato, che ce l’avevano con<br />
lui perché era uno che ci sapeva fare. Ma a <strong>Nulla</strong> c’erano<br />
troppi invidiosi. Gente che lo ostacolava per invidia,<br />
diceva. Lo sport cittadino. Il peccato più diffuso. Comunque,<br />
prometteva, è una crisi passeggera, ho un paio di<br />
questioni in ballo.<br />
Intanto lei pagava le tratte con i suoi risparmi, per<br />
non fare scandali.<br />
Gli aveva voluto bene, l’aveva amato. Aveva superato<br />
prove terribili prima del matrimonio, proprio per il<br />
matrimonio a cui si opponevano i genitori e la sorella di<br />
lui. Perché lei non sembrava abbastanza degna di quel<br />
fiore carnoso e un po’ selvatico di figlio e di fratello. Ammettevano<br />
che sì per essere bella era bella. Ma la bellezza<br />
dicevano, non basta. Non è massaia, dicevano. Eppure<br />
lo sapevano che campione avevano allevato. Abituato<br />
bene a farsi fare tutto, ad avere le schiave per casa, incapace<br />
di friggersi un uovo, troppo signore per dare una<br />
mano in cucina, troppo maschio per portare i calzini fino<br />
al cesto della biancheria sporca.<br />
Non sono la tua domestica, abbiamo gli stessi diritti,<br />
le aveva detto una volta.<br />
Non vorrai che mi metta a fare le faccende, aveva risposto<br />
lui, non vorrai che mi faccia ridere dietro da tutti.<br />
Se vuoi una domestica te la paghi, aveva detto lei.<br />
Ma si alzava lo stesso all’alba per preparare tutto prima<br />
di entrare in servizio e teneva la casa come un gioiello.<br />
La bambina poi non c’era niente che potesse bastare<br />
per lei. Non c’era sacrificio che non avrebbe affrontato<br />
per quella creatura.<br />
Lui la viziava e basta per quel poco che la vedeva. Ma<br />
la maggior parte delle volte non voleva essere disturbato,<br />
e mai una notte che si fosse alzato se lei chiamava. Che<br />
rottura, diceva, questi sono tutti i vizi che le hai dato,<br />
diceva, se dipendesse da me: un paio di sculaccioni…<br />
Insisteva che con la nascita della bambina si erano<br />
isolati, che non uscivano più. Perché lui era uno da uscite,<br />
bevute, amici, carte ecc. ecc.<br />
Quando lei rispondeva di no, che non si poteva fare le<br />
ore piccole tutte le notti, che non si poteva affidare la<br />
bambina sempre ai nonni, lui sbottava, soffoco, urlava,<br />
mi hai messo il guinzaglio, urlava, ho bisogno d’aria.<br />
Lui la portava con sé solo perché faceva figura e si<br />
faceva grosso con gli amici perché aveva la moglie bella.<br />
La voleva sempre perfetta senza un capello fuori posto, le<br />
sceglieva i vestiti e le scarpe, per quello non badava a<br />
spese. Lei si prestava, per il quieto vivere e la mattina<br />
dopo arrivava in ufficio con certe occhiaie.<br />
Smetti, diceva lui, smetti di lavorare, mi fai fare la<br />
figura del mantenuto, sembra che non riesco a camparvi<br />
col mio lavoro.<br />
Ma lei con quel pensiero fisso dei debiti come poteva<br />
fare. Anche dopo il periodo di maternità aveva pensato<br />
seriamente di mettersi in aspettativa per restare a casa<br />
66 67
almeno fino al secondo anno della bambina. E lui macchina<br />
nuova, telefono cellulare e altro.<br />
I bambini hanno bisogno di stare con gli altri bambini,<br />
si diceva lei, non me lo posso permettere di perdere<br />
il settanta per cento dello stipendio.<br />
Così la iscrisse al nido. E anche lì storie. Perché secondo<br />
lui non stava bene, non era onorevole, farsi vedere all’asilo,<br />
con tutte le mamme, per prendere la bambina nel<br />
pomeriggio.<br />
Se non puoi passare a prenderla la lasciamo lì, disse lei<br />
una volta. Ma si era già messa d’accordo con sua madre,<br />
nonna Agnese, perché fosse pronta all’occorrenza. Così lui<br />
andò a prenderla, ma quando la riportò a casa la bambina<br />
era talmente spaventata che si nascondeva ogni volta che<br />
lo sentiva rientrare.<br />
In pubblico no, in pubblico era tutto baci e abbracci.<br />
Bella moglie, bella figlia, marito modello.<br />
Sempre a vantarsi. Per il patrimonio, persino per la<br />
pistola che si era dovuto comprare, perché l’avevano minacciato<br />
di sequestro, diceva, così tutti pensavano che aveva<br />
soldi a palate.<br />
Faceva lo sbruffone. La mantengo come una regina, diceva,<br />
le pago anche la domestica, diceva. Glielo detto mille<br />
volte di smettere di lavorare. Lei abbassava gli occhi.<br />
Cambiamo discorso, diceva, agli altri non interessano queste<br />
cose.<br />
Era così: un bambino di trent’anni, abituato a comandare,<br />
viziato dalla madre e dalla sorella che gli tappavano<br />
molti buchi in banca, e lo coprivano quando diceva<br />
di essere in certo posto e invece era dall’amica di<br />
turno. Come se lei non l’avesse capito da tempo. Lui<br />
rientrava sempre più tardi, si contraddiceva, aveva l’alito<br />
che sapeva di alcol, la camicia abbottonata male, una<br />
volta.<br />
Per la suocera lei e la bambina non esistevano, qualche<br />
regalo per Natale e le altre feste comandate, un<br />
pomeriggio di tanto in tanto per il dovere e era finita.<br />
Per il resto contava solo quel campione di figlio. Per la<br />
sorella di lui, lo stesso.<br />
Intanto a casa è l’inferno, un fracasso continuo ogni<br />
volta che torna sbronzo e la tira giù dal letto perché deve<br />
guardare la televisione in camera.<br />
Ho bisogno di riposare, dice lei.<br />
Sei un’ospite, questa è casa mia, vattene nella stanza<br />
degli ospiti se vuoi dormire io voglio vedere la partita in<br />
notturna, risponde lui, sono tornato apposta, puntualizza.<br />
E lei si trasferisce nella stanza degli ospiti. Lo capisce<br />
che è finita ma non vuole fare scandali. Non vuole<br />
ammettere l’errore di una vita.<br />
Così una notte lo sente rientrare. Ha bevuto come al<br />
solito. Lo sente armeggiare in cucina, versarsi ancora da<br />
bere. Non sono passati cinque minuti che ha spalancato<br />
la porta della stanza degli ospiti. Così ti piace fare la<br />
civetta con i colleghi, dice con voce impastata.<br />
Lei aggrotta le sopracciglia, non capisce.<br />
Non fare finta di niente, lo sanno tutti che fai la troia<br />
in ufficio, urla.<br />
Lei si alza cerca di farlo tacere. Svegli la bambina, dice.<br />
Ma lui non smette. Meglio, così sente anche lei che<br />
la madre è una bagassa.<br />
Hai bevuto. Dice lei. È l’alcol che hai in corpo che ti<br />
fa vaneggiare.<br />
Ma lui niente. Cos’è non ti basto più, urla, non lo so<br />
fare il mio dovere, urla, non l’ho fatto abbastanza bene,<br />
urla, e tenta di sbottonarsi i calzoni. Barcolla in avanti,<br />
lei si sporge per parargli la caduta.<br />
E lui colpisce, con la mano piena sul viso. Lei non sente<br />
nemmeno dolore. Le mani addosso no, dice, a questo non<br />
c’eri ancora arrivato.<br />
Lui l’afferra per il braccio, è fuori di sé, la costringe<br />
con la mano sul cavallo dei suoi calzoni. Non ti basta<br />
uno, urla. E stringe il braccio di lei come se volesse spez-<br />
68 69
zarlo. Avanti, se non ti fa schifo quello di tuo marito,<br />
avanti, urla lui sollevandole la camicia da notte. Lui ha<br />
un furore negli occhi una bestialità che la spaventano.<br />
Lei è quasi inerme presa in una lotta che non capisce. Per<br />
questo ti piace tanto andare a lavorare, insiste lui. Ma ha<br />
i riflessi rallentati.<br />
Il pianto della bambina in piedi nella stanza degli<br />
ospiti blocca tutto. Lei si divincola con uno scatto, corre<br />
ad abbracciare la bambina.<br />
La mattina dopo ha già deciso.<br />
Sei un farabutto, dice nonno Giuseppe, il padre di lei<br />
che è venuto a ritirare qualche cambio verso mezzogiorno.<br />
Lui si è appena svegliato, non si è nemmeno accorto<br />
che la moglie e la figlia mancano da casa e sì che è sabato.<br />
Ma ci mette un attimo a capire e collegare tutto. Corre<br />
incontro al vecchio e gli strappa di mano la borsa con gli<br />
indumenti. Se vuole la sua roba che venga lei a prendersela<br />
quella bagassa di vostra figlia, urla.<br />
Sei un farabutto, gli risponde il vecchio con un filo di<br />
voce, se avessi qualche anno di meno… Ma non finisce la<br />
frase che lui con una spinta l’ha già messo alla porta.<br />
Per tutta la settimana successiva il telefono sulla scrivania,<br />
nell’ufficio di lei, non smette di squillare. Sono<br />
stato uno scemo, dice. Smetto di bere, promette. Ti ammazzo,<br />
minaccia.<br />
Torna a mangiare da sua madre, che lo coccola e da<br />
sua sorella che lo consola, gli stira le camicie, gli lava i<br />
calzini. Chi se ne frega, dice lui, ne trovo cento, a ogni<br />
angolo di strada ne trovo, dice.<br />
Allora la madre e la sorella fanno un consulto: è una<br />
vergogna troppo grande, concludono, bisogna intervenire.<br />
Così la madre di lui, nonna Giustina, va a casa di<br />
nonna Agnese, la madre di lei. Vogliamo sistemarla questa<br />
faccenda, dice, non sarà la prima né l’ultima famiglia<br />
dove capitano incomprensioni, il nostro dovere è di buttare<br />
acqua sul fuoco.<br />
È già andata da un avvocato Giustina, dice nonna<br />
Agnese tamponandosi gli occhi pieni di lacrime con un<br />
fazzoletto che ha sfilato dal polsino della blusa. Le mani<br />
addosso. Si lamenta.<br />
Nonna Giustina alza le spalle, se me ne fossi andata di<br />
casa tutte le volte che ho preso uno schiaffo da mio marito,<br />
dice, i giovani di adesso non sopportano più niente,<br />
conclude.<br />
Mio marito non ha mai alzato le mani contro di me,<br />
afferma risentita nonna Agnese, e se l’avesse fatto una volta<br />
non l’avrebbe fatto la seconda, conclude.<br />
Nonna Giustina allarga le braccia, allora non c’è più<br />
niente da dire, faccia Dio quello che vuole fare. E se ne va.<br />
A casa nuovo consulto. Si è messa l’avvocato, annuncia<br />
nonna Giustina a lui e alla sorella. Chiede la separazione.<br />
Che faccia, sbotta lui, la sputtano davanti a tutti, la faccio<br />
apparire per quella troia che è, tutti lo devono sapere.<br />
E non speri di tenersi la bambina, dice la sorella.<br />
E lo scandalo, chiede nonna Giustina, bisogna piegarsi,<br />
dice, per lo scandalo, questa faccenda bisogna ricomporla,<br />
perché così è una vergogna, finire sulla bocca di<br />
tutti, non finché io sono viva. Hai le tue ragioni figlio<br />
mio, ma questo lo devi fare per me.<br />
E dargliela vinta a quella là, chiede la sorella.<br />
Statti zitta, nonna Giustina è contrariata, si fa come<br />
dico io e tu la smetti, ordina alla figlia, c’è più tempo che<br />
vita.<br />
Cosa devo fare, chiede lui…<br />
Così il 9 Settembre alla prima udienza lui si presenta<br />
che sembra un cucciolo abbandonato, si mette a piangere,<br />
chiede di perdonarlo, arriva a giurare che<br />
cambierà. Nonna Giustina approva col capo.<br />
Non posso parlare, dice lei con un filo di voce, non<br />
farmi questo.<br />
Il giorno dopo ecco nonna Giustina che bussa a casa<br />
di nonna Agnese, così mi muore il ragazzo, me lo vole-<br />
70 71
te uccidere, convinci tua figlia ad incontrarlo, implora e<br />
ti assicuro che sarà l’ultima volta.<br />
Nonna Agnese quella notte non riesce a dormire,<br />
siete stati felici, dice il giorno dopo alla figlia, e avete<br />
avuto un tesoro di figlia, mettiti una mano sulla<br />
coscienza, dice, parlatevi un’ultima volta, anche se non<br />
è stato un buon marito questo glielo devi.<br />
Non se ne parla nemmeno, dice l’avvocato, è un errore,<br />
dice.<br />
Glielo devo, dice lei, è il padre di mia figlia.<br />
E si arriva al 16 Settembre.<br />
C’è ancora caldo.<br />
Si incontrano in cortile<br />
Lui si presenta con indosso una giacca pesante nel retro<br />
della villetta unifamiliare, come d’accordo per parlare.<br />
Hai freddo, chiede lei per rompere il ghiaccio.<br />
Per me non c’è niente da dire, aggredisce lui, ho ricevuto<br />
un torto troppo grosso, se sono qui non è certo per<br />
la tua bella faccia.<br />
Allora, se non c’è niente da dire, prendo la bambina<br />
e vado, taglia lei.<br />
Bella figura che mi hai fatto fare, lui ha un tono che<br />
mette paura.<br />
Non è vero, replica lei, lo sai che non è così.<br />
Lo zimbello di tutti sono diventato, che mi ridono<br />
dietro.<br />
Lei scuote il capo, è questo il problema, chiede.<br />
Lui sta tremando, non ci pensi a tua figlia, chiede,<br />
non ti lascio nemmeno lacrime per piangere, se mi fai<br />
questo, ti ammazzo.<br />
Le scappa un sorriso di incredulità, fammi passare,<br />
dice, ci pensi adesso a tua figlia, chiede, prima ci dovevi<br />
pensare.<br />
Lui tenta di bloccarla ma lei fa un balzo indietro.<br />
Non hai cuore, dice lui, fa il patetico, a me non ci pensi,<br />
alla situazione in cui mi hai messo davanti a tutti, urla.<br />
Sei tu che ti sei messo in questa situazione, tenta di<br />
concludere lei e riprova ad avanzare, ero pronta a tutto,<br />
disposta a tutto per te, ma ora è finita, mi sono svegliata,<br />
la serva si è licenziata.<br />
Cosa dovrei fare, mettermi in ginocchio, chiederti di<br />
restare, io lo faccio per mia madre, sia ben chiaro, perché<br />
questa faccenda la dobbiamo risolvere da persone civili,<br />
senza fare scandali e senza avvocati di mezzo, che quella<br />
povera donna deve passare una vecchiaia serena.<br />
Lei non risponde fa un altro passo avanti. Ha la sua<br />
vita in frantumi che le scorre davanti agli occhi in un<br />
secondo come se stesse per affogare. Finiamola, implora,<br />
non dovevo venire.<br />
Allora risolviamola come dico io, la questione urla<br />
lui. Ha una pistola in mano. Gliela punta contro. Se non<br />
si può risolvere diversamente allora finisce male, urla, il<br />
cornuto tutta la vita non lo faccio, io voglio camminare<br />
a testa alta.<br />
Lei rimane impietrita come una lepre davanti ai fari<br />
di una macchina. Per questo ti sei messo la giacca, capisce,<br />
per nascondere la pistola.<br />
Il primo sparo con la mano di lui che trema di rabbia<br />
la colpisce all’anca. Lei cade a terra per la sorpresa e per<br />
il dolore, ha gli occhi intorpiditi, ma lo vede avanzare<br />
sopra di lei, finisce come dico io, dice con voce calmissima<br />
e le spara di nuovo, sul viso.<br />
L’urlo di nonna Giustina che è corsa in cortile pare<br />
che lo svegli, cosa hai fatto figlio mio, sta gridando. Lo<br />
scavalca si butta sul corpo di lei, l’hai fatto impazzire,<br />
continua gridarle mentre sta morendo.<br />
Lui non si è mosso come se non avesse capito quello<br />
che è successo, sente in lontananza la madre che invoca<br />
Dio e tutti i Santi. Il futuro gli scorre davanti con una<br />
precisione allucinante di espiazione, guarda la pistola<br />
che ha in mano, la fissa per un tempo interminabile. Gli<br />
resta appena un istante per vedere la madre che gli corre<br />
72 73
incontro, un’altra frazione di secondo per sentire la canna<br />
della pistola ancora calda sulla tempia.<br />
Poi un ultimo sparo.<br />
[mesu boche]<br />
…<br />
Dodici<br />
Se nulla dura, nemmeno la fine allora.<br />
Gian Luca Favetto, Il versante accogliente dell’ombra<br />
20 anni<br />
Condannato in prima istanza. Condannato in Appello<br />
senza riduzione della pena, né riconoscimento delle<br />
attenuanti.<br />
Elementi nuovi, diceva l’avvocato, questo caso si può<br />
riaprire, puoi cominciare col dire chi era il tuo complice.<br />
E chi ci credeva, che si potesse riaprire.<br />
Si distese sul letto, allungandosi come un gatto.<br />
Figurarsi, si disse, riaprono il caso…<br />
Si mise a pensare: ergastolo. Era come pensare: eternità.<br />
L’aveva fatto qualche volta da piccolo, si era disteso nel<br />
letto, aveva chiuso gli occhi e si era messo a pensare: eternità.<br />
E per quanto pensasse non arrivava mai il momento<br />
di smettere.<br />
Perché l’eternità era così: si cominciava e non si finiva<br />
mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai…<br />
74 75
Nessun rischio, aveva promesso Diego. Diego faceva<br />
sembrare tutto semplice. Rischi zero, aveva assicurato, la<br />
casa è vuota.<br />
C’era poi da considerare che la padrona di casa era<br />
una vecchia di ottantadue anni, disse afferrando un’altra<br />
birretta, il che poteva significare che anche se fosse stata<br />
in casa il risultato era lo stesso. Comunque meglio che<br />
non ci fosse, aggiunse ordinando un altro giro. Peppe lo<br />
guardò come si guarda un marziano. Gli rispose che era<br />
tutto scemo, che a lui per quattro soldi fregati a una<br />
vecchietta non lo mettevano in galera, che c’era da morire<br />
di vergogna solo a pensarci.<br />
Diego aveva alzato le spalle, disse che avrebbe trovato<br />
qualcun altro.<br />
Dal cortile arrivava odore di lesso. Il secondino passò<br />
davanti alla sua cella alla stessa ora di sempre. Poteva<br />
vedere l’ombra scura dei suoi piedi oltre la fessura illuminata<br />
tra la porta della cella e il pavimento.<br />
Eternità, ripeté, serrando le palpebre, tempo senza fine.<br />
La cosa buffa era che non aveva fatto in tempo a mettersi<br />
in pari con le cose elementari: gli studi non li aveva<br />
finiti, una ragazza non ce l’aveva, non aveva fatto nemmeno<br />
la cresima.<br />
Vent’anni era comunque riuscito a sottrarli dal tempo<br />
infinito. Era riuscito a farseli fuori dalla galera. Quant’è<br />
un ergastolo: cent’anni? Riduzione a trent’anni per buona<br />
condotta?<br />
Cercò di liberare la mente. Questa contabilità lo metteva<br />
in agitazione e invece doveva stare calmo.<br />
Peppe era in piedi appoggiato al lampione, tutto<br />
luminoso di giallo fosforescente. Quella vecchia è piena<br />
di soldi, te lo dico io, cosa se ne fa se ha un piede nella<br />
bara? Glieli lasciamo a quel pazzo di Diego?<br />
Lui l’aveva guardato come si guarda qualcosa di cui<br />
non si riesce a capire la natura. Ti sei impasticcato? Aveva<br />
chiesto.<br />
Peppe si era fatto da parte per uscire dal cono di luce<br />
del lampione. Io lo faccio anche per te, aveva detto, è una<br />
passeggiata, soldi facili facili. Piuttosto che dividerli con<br />
quello stronzo di Diego che mi ha fregato la ragazza…<br />
Amici come prima, gli ho detto: amici come prima un<br />
cazzo, questo ti dico, gli fotto l’affare, questo ti dico.<br />
Non si era impasticcato, ma era partito lo stesso,<br />
ormai non aveva nemmeno più bisogno di farsi.<br />
Mia sorella le fa assistenza, è fuori <strong>Nulla</strong> ti dico, a<br />
Lourdes, a Fatima insomma in giro da qualche madonna.<br />
Gli scappò da ridere, sarà andata a chiedere un bonus,<br />
sennò come fa a spendere i milioni che ha messo da parte.<br />
Te lo chiedo ancora una volta, il tono dell’avvocato<br />
difensore era perentorio: c’è qualche elemento che ti è<br />
sfuggito dalle deposizioni precedenti? Tutto può essere<br />
importante, tutto può essere fondamentale. Non sei<br />
nemmeno reo confesso, se non abbiamo elementi nuovi<br />
per la Cassazione abbiamo chiuso.<br />
Conosci il posto, conosci la casa, incalzava Peppe, si<br />
fa in un attimo.<br />
Non è che lui avesse detto sì, ma Peppe era fatto così,<br />
a lui bastava che non gli rispondessero niente per fargli<br />
dire che era tutto a posto.<br />
Dopodomani sera, decise, appena fa scuro. Per domani<br />
sono impegnato, sì, facciamo dopodomani. L’importante<br />
che si faccia prima di lunedì, che Diego prima di<br />
quel giorno non si muove, questo te lo dico io, ho i miei<br />
informatori.<br />
Lui non aveva risposto.<br />
Dopodomani allora. Alle otto e mezza sono sotto casa<br />
tua al solito posto, ti carico sulla vespa e si va, occhei?<br />
Lui non aveva risposto.<br />
76 77
Non ero armato, disse all’avvocato.<br />
Lui storse le labbra, già detto, tagliò, roba vecchia,<br />
irrilevante considerati i fatti, considerato che non vuoi<br />
nemmeno fare il nome del tuo complice.<br />
Ero solo, disse lui.<br />
Le voci che corrono dicono diversamente.<br />
Sbagliano, ero solo.<br />
Bravo, a fare l’eroe ti becchi definitivamente l’ergastolo.<br />
Io di più non posso fare.<br />
Grazie lo stesso.<br />
Grazie lo stesso. Soprattutto ora che la fine non aveva<br />
fine. In una cella che poteva sembrare una tomba, giusto<br />
da portarci i fiori per i morti. Perché l’eternità non se ne<br />
voleva andare altrove, voleva rimanergli affianco, e gli<br />
prometteva una vita lunga, una maturità completa una<br />
vecchiaia senza acciacchi.<br />
Era come una medicina che bisognava bersi tappandosi<br />
il naso.<br />
Questi pensieri gli provocavano un tuffo al cuore.<br />
Magari si ferma, magari si ferma, pensava.<br />
L’idea. Quell’idea. Qualcosa che a ripensarci si era fatta<br />
strada da subito. La notte stessa. Disteso sul letto.<br />
Lo faccio da solo, aveva pensato, lo faccio domani sera,<br />
di Peppe non mi fido.<br />
Ero solo. Stava urlando. La guardia addetta al parlatorio<br />
sporse in dentro la testa.<br />
Niente, niente, disse l’avvocato agitando la mano.<br />
La casa era chiusa, ma, saltando il muretto si arrivava<br />
sul retro, dove c’era quella persiana difettosa. Si apriva<br />
in un attimo, poi bastava rompere il vetro.<br />
Si era fatto male al palmo della mano con una scheggia<br />
partita dalla finestra mentre la spalancava dopo aver<br />
infilato l’avambraccio all’interno per girarne la maniglia.<br />
In quel buio la casa sembrava in preda al silenzio, ma<br />
a stare accorti si poteva sentire lo sgocciolio di un rubinetto,<br />
il vibrare leggero di un foglio smosso dalla corrente<br />
d’aria provocata dalla finestra aperta, un sibilo sottile<br />
come un respirare di gatto.<br />
Il posto, si sapeva, era quel mobile con le ante a vetro<br />
nella camera adiacente, l’armuà, come l’aveva chiamato<br />
Peppe. Nella parte inferiore dove la vecchia teneva le tovaglie.<br />
Quasi un milione in contanti considerò alla luce fioca<br />
della torcia elettrica semiscarica.<br />
La prima cosa che vide con chiarezza furono le banconote<br />
fra le sue mani. Poi si voltò in piena luce, perché<br />
qualcuno dietro di lui aveva premuto l’interruttore e illuminato<br />
la stanza, i vetri rotti, l’armuà e la sua faccia stupita.<br />
Ora a ripensarci, da solo, nella sua cella, gli parve di<br />
capire che l’eternità poteva significare vivere in una stanza<br />
troppo illuminata. Una stanza dove è necessario schermarsi<br />
gli occhi con la mano. In una costante, feroce, condivisione<br />
della verità.<br />
Per questo lo condannavano. Ergastolo. Prove d’eternità.<br />
Omicidio.<br />
Li frego tutti, mi appendo al soffitto, pensava strappando<br />
il lenzuolo a strisce sottili.<br />
Fine, pensava, fine di tutto e non se ne parla più.<br />
Lui si voltò, non doveva avere un bell’aspetto così illuminato<br />
di colpo come una bestia in mezzo all’autostrada.<br />
Ebbe appena il tempo di pensare che senza occhiali<br />
la vecchia non l’avrebbe riconosciuto.<br />
Io ti conosco, disse lei invece, strizzando gli occhi.<br />
Così anche quel dubbio era scomparso. Per questo si<br />
alzò in piedi e si mosse verso di lei con calma. Tanto<br />
farsi vedere non era più un problema.<br />
78 79
Lei non indietreggiò, anzi minacciò: delinquente, i<br />
risparmi di una vita, disgraziato, vergogna della tua famiglia.<br />
E poi i Santi: San Cristoforo, San Francesco, Sant’Ignazio.<br />
E poi aiuto.<br />
Restò a guardarla per un attimo e smise di avanzare.<br />
Sentiva sulla schiena il fresco di quel maestrale che<br />
riusciva ad entrare dalla finestra forzata. Sarebbe bastato<br />
un balzo all’indietro ed era fuori. Si voltò di scatto si<br />
allungò verso la finestra spalancata.<br />
Ma lei si era mossa con lui, con un’energia inaspettata.<br />
Delinquente, continuava, bastava chiedere. E lo trattenne<br />
per il giubbotto proprio quando aveva già una<br />
gamba fuori dalla finestra.<br />
Fu quel sentirsi tirare a farlo impazzire. Il pavimento<br />
sotto alla finestra era disseminato di vetri rotti.<br />
Che fine avevi fatto, chiese Peppe che lo aspettava sotto<br />
casa.<br />
Scosse la testa cercando di tamponarsi la mano ferita<br />
con un fazzoletto.<br />
Che cosa ti è successo? Chiese Peppe indicando la mano<br />
ferita e gli abiti sporchi di sangue. Hai sgozzato un maiale?<br />
Lui rispose che nulla, che non era nulla, una cazzata,<br />
un incidente.<br />
Sono venuto ad avvisarti che non se ne può fare niente<br />
per domani sera, disse Peppe, meno male che ho incontrato<br />
mia sorella, disse. La vecchia è tornata, disse, è tornata<br />
prima del previsto perché non si sentiva bene.<br />
A lui scappò da ridere, come quella volta che pisciarono<br />
nella cassetta delle elemosine in chiesa. Peppe lo<br />
guardò interdetto. Contento tu, disse, bella fregatura,<br />
vecchia del cazzo.<br />
Così la facciamo finita, disse l’avvocato, è inutile far<br />
spendere altri soldi alla tua famiglia, tanto possibilità di<br />
ottenere una riduzione non ce ne sono, per il momento. E<br />
ridi anche? Chiese spazientito guardandolo negli occhi.<br />
Che hai da ridere, chiese la guardia carceraria aprendo<br />
lo sportellino che lo metteva in contatto con l’interno<br />
della cella.<br />
Niente, niente, si affrettò a dire lui, pensavo che se<br />
non lo dico io che è finita, non è finita, spiegò. La guardia<br />
chiuse lo sportello senza nemmeno rispondere. Questa<br />
volta si era mosso in fretta, aveva fatto giusto in tempo<br />
a nascondere la corda fatta con strisce di lenzuola, e<br />
nessuno l’aveva visto.<br />
80 81
Tredici<br />
Così, per anni, la vita di Jacques si divise, in modo disuguale,<br />
fra due vite che gli era impossibile collegare.<br />
Albert Camus, Il primo uomo<br />
15 anni<br />
Non fare così, diceva senza osare di toccarmi. E seguiva<br />
un silenzio impressionante. Sentivo che mi guardava.<br />
Sentivo i suoi occhi che si appiccicavano alla mia nuca.<br />
Ci conosciamo da troppo tempo, non voglio farti del<br />
male. Non riusciva a mantenere un tono distaccato. Lo<br />
sapevo che mi accusava di aver rovinato tutto.<br />
C’era un mare di stelle e tanto cielo da mettersi a volare.<br />
L’avevo capito, disse. Non so come, da un sacco di piccole<br />
cose. Vedrai che passa, disse. Ora ti sembra che non<br />
riuscirai a superarlo, ma non è così.<br />
Feci un passo in avanti per aumentare la distanza che<br />
ci separava.<br />
Non passa, dissi. Credi che non ci abbia pensato?<br />
Fece un passo in avanti per mettermi una mano sulla<br />
spalla. Quel contatto inatteso mi uccise il respiro. Sono<br />
stanco, dissi. Poi smisi di parlare. Per non piangere.<br />
Voglio che tu sappia che per me non cambia niente.<br />
83
Cambia, pensai. Cambia tutto. Cambia che controllerai<br />
le mie mani e la mia bocca. Cambia che leggerai nelle<br />
mie parole quello che vorrei dirti. Cambia che non potrai<br />
essere così perfetto, così straordinario, così comprensivo.<br />
Questo cambia, pensai. Ora che le cose sono chiare.<br />
Dovevo stare zitto, conclusi.<br />
Lasciare che le cose procedessero senza illusioni, adattarmi<br />
a continuare come sempre; a parlare di calcio e di<br />
donne; a fare lo stronzo al corso; ad aumentare i pesi in<br />
palestra; a cercarmi una ragazza.<br />
Sono cose che si superano, disse lui.<br />
Poi, solo il pomeriggio dopo, si ricordò di un impegno<br />
importante.<br />
Due giorni dopo saltò gli allenamenti.<br />
Il sabato dopo andò a ballare fuori <strong>Nulla</strong> con un’altra<br />
compagnia.<br />
Il lunedì si fece cambiare di banco perché gli era calata<br />
improvvisamente la vista.<br />
Sempre comprensivo, sempre sorridente.<br />
Sempre a fare il cretino con quelle di quarta. Bello<br />
come non era mai stato. Circondato da quella luce che gli<br />
avevo costruito attorno.<br />
Dopo un mese aveva la ragazza fissa. Che mi guardava<br />
storto.<br />
E in palestra cominciarono i sorrisetti, le mossette, le<br />
battute.<br />
Non meritavo tutta questa solitudine.<br />
Che cosa avevo fatto in fondo? Mi ero lasciato fregare<br />
da una notte di cielo stellato e dai suoi occhi e dalle sue<br />
mani e dalla sua voce. Avevo provato a spiccare un volo<br />
temerario in tutto quel cielo.<br />
Siamo tutti accoppiati, mi disse quella sera asciugandosi<br />
dopo la doccia in palestra. Non ti troveresti bene.<br />
Festeggiamo domani per il tuo compleanno. Magari ce<br />
ne andiamo insieme da qualche parte. Le ho già detto<br />
che sono impegnato così possiamo stare insieme tutta la<br />
sera. Ma aveva quel tono imprecisato tra lo scherno e l’affetto.<br />
Una sfumatura che non avevo mai colto con tanta<br />
chiarezza.<br />
Questo era cambiato e sarebbe cambiato per sempre.<br />
Quel non riuscire a precisare la portata delle cose, delle azioni,<br />
delle parole. Quel non riuscire a capire se in lui avesse la<br />
meglio la pena o l’affetto. E vederlo lottare contro qualcosa<br />
che lo allontanava da me. L’infetto, il malato, l’amico.<br />
E poi quell’imbarazzo a fare certe battute, che era peggio<br />
delle battute stesse. Lo sforzarsi di stare con me e contro<br />
di me, perché fosse chiaro che quello che avevo sempre<br />
sognato non si sarebbe avverato mai.<br />
Va bene, dissi, come vuoi, facciamo per domani sera,<br />
ma non è importante.<br />
No, ci tengo veramente, li abbiamo sempre festeggiati<br />
insieme i compleanni.<br />
Come vuoi.<br />
La sera dopo aspettai. Alle dieci era certo che non sarebbe<br />
arrivato. Alle dieci era tutto chiaro.<br />
Tutto quel mentire cominciava a dare i suoi frutti. Cominciava<br />
a sgomberare il campo da qualunque menzogna<br />
successiva. Perché la mia vita sarebbe diventata un’aberrazione,<br />
sarebbe stata aspettare ancora, e ancora, a meno<br />
che non fossi stato disposto ad allevare quella parte di<br />
me che si era allontanata, che avevo smesso di nutrire in<br />
quella notte piena di stelle, quando la verità sembrava<br />
l’unica possibilità per continuare ad esistere. Maledetta<br />
verità. Maledetto anche quel momento in cui gli accostai<br />
le labbra sul collo e lui non mi picchiò, non mi gridò<br />
froscio di merda. Maledetto quello straccio di amore che<br />
si portava dentro che gli fece scuotere la testa e chiedere:<br />
cosa fai? Così, con una dolcezza che era stata peggiore di<br />
un rifiuto.<br />
Io ti amo, avevo detto.<br />
Solo allora si era alzato in piedi, aveva fatto qualche<br />
passo, come per immergersi nella notte stellata.<br />
84 85
E avevo provato a raggiungerlo restando qualche passo<br />
dietro di lui.<br />
Non fare così, ma te l’immagini? Ci conosciamo da<br />
tanto di quel tempo. È assurdo, aveva detto.<br />
L’avevo capito, aveva detto.<br />
Sono cose che passano, aveva detto.<br />
E io tacevo e gridavo. No. Sì. Uccidimi adesso. Dimmi<br />
che niente è impossibile. Abbandonami al mio destino.<br />
Resta. Corri via. Non lasciarmi. Promettimi che nulla<br />
cambierà. Tutto cambierà. Ce la farò. Non ce la farò.<br />
Non ce l’ho fatta.<br />
Quattordici<br />
Penso fermamente che non ci sia nessuno sulla terra che<br />
sentendosi disprezzato non provi disperazione per questo.<br />
Madame du Châtelet, Discorso sulla Felicità<br />
34 anni<br />
Poteva dirmi che l’avrebbe fatto. Abbandonare tutto<br />
intendo. Tutto. Chi lo pensava che sarebbe stato facile.<br />
Solo una stupida poteva pensarlo. E io, problemi tanti,<br />
ma stupida no. Questo non si poteva dire.<br />
Ero una di quelle che si possono definire persone<br />
normali. Bella il giusto, intelligente il giusto, appunto.<br />
Una di quelle a cui non era stato concesso nient’altro<br />
che il trattamento standard. Un fidanzato eterno, eterni<br />
problemi, amici eterni. Una bozza di equilibrio che significava<br />
“quando abbiamo accumulato un po’ di soldi<br />
ci sposiamo”.<br />
Tutto chiaro finora? Dieci anni di fidanzamento in casa.<br />
Con alti e bassi s’intende. Dieci anni passati in un<br />
soffio, nella routine, nei riti quotidiani: a che ora sei pronta,<br />
hai preso la pillola, in macchina non mi va, fai sempre<br />
storie, perché non vuoi venire, non mi rompere…<br />
Dopo dieci anni, di matrimonio non se ne parlava. A<br />
86 87
ipensarci mi viene da dire che è stato tempo sprecato,<br />
accidenti. Solo che ci ho pensato una frazione di secondo<br />
troppo tardi. Quando mi ero trovata, come si dice, a<br />
piedi. Scaricata sull’altare.<br />
Fin qui tutto bene. I drammi del caso insomma. E<br />
pianti a profusione e passare le giornate davanti al telefono<br />
e vivere sulle montagne russe: un giorno alle stelle,<br />
un giorno nella merda. Poi la selezione naturale degli<br />
amici, quelli che stavano dalla sua parte e quelli che<br />
stavano dalla mia.<br />
Qualche pedinamento anche, ora lo posso dire. Quando<br />
usciva dallo studio, quando rientrava a casa, quando<br />
incontrava qualcuno. Per vedere e rendermi conto. Per<br />
capire con chi ero stata sostituita. Gli uomini fanno sempre<br />
così: prendono le decisioni solo quando hanno un’alternativa.<br />
E l’alternativa non era granché…<br />
Un difetto ce l’avevo, e pure grosso: non davo retta.<br />
Era più forte di me, se dovevo sbattere la testa, la sbattevo.<br />
Infatti la voce, in giro, che fossi cornificata intendo,<br />
correva da tempo. Ma io niente, non c’era verso: ero l’unica<br />
che non sapeva nulla. Non volevo saperle queste cose,<br />
non volevo rendermi conto.<br />
Così la certezza, che ero stata lasciata per un’altra,<br />
dopo dieci anni, mi colpì come una frustata. Avevo un<br />
sacco di esibizioni in quel periodo, era il periodo caldo<br />
delle sagre e le prove duravano fino a tardi. E lui non<br />
aveva mai tempo di venire a prendermi, come aveva<br />
sempre fatto.<br />
Apri gli occhi, mi diceva Gavina.<br />
E io, voi non lo conoscete, non date consigli se non<br />
sapete di cosa state parlando.<br />
E lei, io te l’ho detto, era mio dovere di amica, più di<br />
questo non posso fare.<br />
E io, non è di quelli che fa le cose di nascosto, lo<br />
conoscerò dopo dieci anni.<br />
E lei, tutti gli uomini fanno le cose di nascosto.<br />
E io, lui non è come gli altri…<br />
E così via.<br />
Era come gli altri.<br />
La prima volta negò tutto, si fece rosso in viso. Sei<br />
matta, disse, lasciamo perdere questi discorsi.<br />
Non lascio perdere, dissi, se è così me lo devi dire in<br />
faccia.<br />
Sei matta, ripeté.<br />
Poi per una settimana ebbe un sacco da lavorare.<br />
La seconda volta era più aggressivo. Sono stufo di<br />
tutti questi interrogatori, disse.<br />
Allora? Lo incalzai.<br />
Allora niente, vuoi che ti dica che è cosi? Va bene è<br />
così, contenta?<br />
Così come? Domandai, ma già non ero più sicura di<br />
voler sentire la risposta.<br />
Così come dici tu, così tutto quello che dici tu!<br />
Che c’è un’altra? Continuai, sapendo che quei secondi<br />
che mi separavano dalla risposta valevano dieci anni.<br />
Se ti fa piacere… Rispose lui, a sorpresa. Tanto inaspettatamente<br />
che quasi gli fui grata.<br />
La terza volta disse che non poteva continuare a mentire.<br />
Non con me, perlomeno che ero la cosa più bella che<br />
gli fosse capitata.<br />
Disse che non avrebbe voluto ferirmi, mai per niente<br />
al mondo, disse che tutto quello che sapeva lo aveva<br />
imparato da me, disse che in qualunque modo l’avessi<br />
presa, qualunque decisione avessi preso, per lui sarei<br />
rimasta l’esperienza più importante della sua vita.<br />
Disse anche che il nostro rapporto si era, come dire,<br />
bloccato, che eravamo come due giocatori di scacchi in<br />
stallo, come un aereo che aspettava di atterrare, ma continuava<br />
a girare e girare perché l’aeroporto era in preda ai<br />
venti trasversali.<br />
Sei un poeta, risposi con la saliva che era diventata<br />
melassa. Ma non riuscivo ad andarmene. Restavo lì davanti<br />
a lui, lo fissavo senza reagire.<br />
88 89
Se non volessi più vedermi ti capirei, disse, anche se<br />
ne soffrirei molto.<br />
Non ti meriti nemmeno l’aria che respiri, mi sentii<br />
rispondere, non ti meriti nemmeno il disprezzo, sei il<br />
verme più schifoso della terra.<br />
Ti accompagno a casa, disse lui.<br />
Il periodo seguente è legato a una serie di cose di cui<br />
mi vergogno. Gli telefonai, arrivai persino a supplicarlo<br />
e mi consegnai alla sua pietà. Gli dissi cose che non oso<br />
nemmeno ricordare. Vissi come una che è scampata ad<br />
incidente mortale e non ricorda più nulla. Pensai persino<br />
che tutto poteva ricominciare, che si sarebbe stancato<br />
di quell’altra e sarebbe ritornato da me.<br />
Facciamo finta di nulla, vuoi? Gli chiesi un giorno<br />
che, dopo infinite insistenze da parte mia, era venuto a<br />
prendermi finite le prove del gruppo di ballo.<br />
Sei sciupata. Mi rispose.<br />
Non sono stata molto bene negli ultimi tempi. Replicai.<br />
Lui fece un mezzo sorriso. Non pensavo che sarebbe<br />
andata in questo modo, disse.<br />
Era il periodo degli alti e bassi. Ero confusa. Chissà<br />
se questa può essere una giustificazione.<br />
Ci ho provato, ci ho provato con tutta me stessa, incalzai,<br />
ma non ce la faccio. E piansi sul suo petto.<br />
Cogliona. Tonta e cogliona.<br />
Lui mi abbracciò senza stringermi. Mi sposo, disse.<br />
Con una semplicità che rasentava la perfidia.<br />
Ti sposi? Domandai staccandomi da lui come se fossi<br />
stata colpita da fulmine.<br />
È incinta, infierì.<br />
Quello che accadde dopo non potrei raccontarlo<br />
nemmeno se me lo ricordassi.<br />
Ero tornata a casa mia e lui non c’era. Ecco tutto.<br />
Non ci sarebbe mai più stato. Ecco tutto.<br />
Passò un anno prima che potessi guardarmi allo spec-<br />
chio. Vedere i primi capelli bianchi, le rughe, qualche<br />
macchia sulla pelle.<br />
Sono vecchia, dissi a me stessa.<br />
Passò ancora qualche mese, una tintura e una buona<br />
dose di trucco prima che incontrassi l’altro.<br />
Non voglio impegni, chiarii immediatamente, con<br />
te sto bene, ma non voglio impegni.<br />
Andiamo a casa mia che si sta più tranquilli, disse lui.<br />
Sono così contenta, esclamò Gavina. Avevo perso le<br />
speranze con te.<br />
Vacci piano, dissi, non è niente di serio, mi diverte,<br />
ecco tutto.<br />
Mah, sospirò lei, da cosa nasce cosa.<br />
Ci vedevamo senza appuntamenti o cose simili, senza<br />
legami, prendevamo quello di cui avevamo bisogno.<br />
Stavamo insieme con soddisfazione reciproca.<br />
Qualche volta diventava insistente, ma non c’era niente<br />
da fare.<br />
Non rovinare tutto, gli dissi una volta.<br />
Come vuoi, diceva lui. Sei una che le piace di tenere<br />
tutto sotto controllo? Chiese come se volesse farmi un<br />
rimprovero.<br />
Ho le mie ragioni, tagliai.<br />
Dovevo difendermi. Perché cominciavo a pensarlo con<br />
calore.<br />
Presi l’iniziativa. Avevo paura. Non si va avanti in<br />
questo modo, gli dissi una mattina mentre si abbottonava<br />
la camicia.<br />
Chi ti capisce è bravo, rispose lui.<br />
Non fraintendermi, tu sei a posto, sono io che non vado.<br />
Così dici basta? Chiese lui.<br />
Forse è meglio.<br />
Per te forse, ma io? Continuava a fare domande.<br />
Tu cosa?<br />
Io che cosa faccio, mi ritiro in buon ordine e chi si è<br />
visto si è visto?<br />
90 91
L’ultima cosa che avrei voluto era quella di ferirti.<br />
Sentii quello che avevo detto con quel fetente secondo di<br />
ritardo che era la mia maledizione.<br />
E se ti dicessi che non sono d’accordo?<br />
Tu non parli mai se non devi fare una domanda?<br />
Hai ragione, aveva l’aria perplessa di uno a cui avessero<br />
rubato i pantaloni. Hai ragione, allora te lo dico, non<br />
sono d’accordo. Sono questioni di cui bisognerebbe parlare.<br />
Non è che te ne esci che non ci dobbiamo più vedere,<br />
così, e io: occhei come vuoi tu.<br />
Ecco, ti sei offeso.<br />
Ma che razza di persona sei, come ti permetti di calpestare<br />
la gente in questo modo?<br />
Voglio che tu sappia che per me sei stato un’esperienza<br />
importante.<br />
Non me ne può sbattere di meno. Dove ho sbagliato?<br />
Ci risiamo con le domande. Il mio tono era gelido. Ce<br />
l’avevo di fronte e dicevo quello che avrei dovuto dire un<br />
anno e mezzo prima. Facevo quello che avrei dovuto fare<br />
allora.<br />
Solo che si trattava di un altro uomo.<br />
Per questo penso che non fu così bello come l’avevo<br />
pensato. Nel senso che non stavo meglio.<br />
Lo richiamai dopo qualche settimana.<br />
Inutilmente. Era morto.<br />
Come sarebbe morto? Domandai.<br />
Gavina spinse in avanti le labbra come se avesse il<br />
broncio. Non lo sapevi? Era sinceramente stupita. Dicono<br />
che sia stato un incidente. Non voleva calcare su quel<br />
“dicono”, ma lo fece. Ha fatto un volo di venti metri con<br />
la macchina. Non li leggi i giornali?<br />
Non ho mai letto un giornale in vita mia.<br />
I telegiornali?<br />
Lo sai che non guardo la televisione!<br />
Se almeno non sparissi per settimane ci sarebbe modo<br />
di avvisarti quando succedono le cose.<br />
Non sono sparita. Dissi, ma mi stavo giustificando,<br />
era chiaro.<br />
Quanti milioni di parole sprecate, pensai, a fare<br />
progetti, a immaginare un’esistenza magari insieme, a<br />
fare della strategia per arrivare in vantaggio “al dunque”.<br />
Era stata una prova, pensai, era stato un modo per capire,<br />
ne avevo diritto, perché dopo quello che avevo subito<br />
non si poteva pretendere che fossi disponibile, pronta a<br />
rischiare. Avrebbe dovuto insistere, dirmi che lui non era<br />
come quell’altro, chiamarmi di notte, mandarmi dei<br />
fiori, piangere con le mie amiche, giurare e spergiurare,<br />
come fanno tutti gli uomini di questa terra.<br />
Poteva dirmi che l’avrebbe fatto. Abbandonare tutto<br />
intendo. Tutto. Per me. Per me sola. Questo doveva fare.<br />
Illudermi. Invece no. Mi lasciava con una domanda che<br />
non aveva risposta: dove ho sbagliato?<br />
Hai sbagliato a buttarti da quel ponte!<br />
A morire hai sbagliato brutto stronzo!<br />
92 93
Quindici<br />
Mi sentivo troppo stanco per tentare di capire.<br />
José Saramago, Manuale di pittura e di calligrafia<br />
70 anni<br />
Quando leggerete questa lettera io non ci sarò più…<br />
Non è questa la formula? Non è così che ci si congeda?<br />
È così, nella migliore tradizione, quella a cui sono<br />
stato abituato.<br />
I sani principi, quelli che ti accompagnano per tutta<br />
la vita.<br />
Non volevo che finisse in questo modo.<br />
Proverò a spiegarvi come la penso, magari comprenderete.<br />
Pensate ad una grande casa, piena di oggetti, piena<br />
del trascorso di coloro che l’abitavano, in preda ad un<br />
incendio. Pensate all’angoscia di quei poverini che sono<br />
costretti a decidere quali cose devono portarsi dietro per<br />
salvarle dalla distruzione. Pensate al fatto che potrebbero<br />
non riuscire a decidere vagando fra le stanze piene di<br />
fumo, con le fiamme che gli sfiorano il viso, e che in<br />
questa indecisione, in questa mancanza di certezze, rischino<br />
persino di perire loro stessi tra le fiamme.<br />
95
Così la vedo io: abbiamo perso quelle certezze che fanno<br />
sparire dai nostri animi la paura della distruzione e,<br />
per questo, la distruzione ci fa sparire.<br />
Come capita dall’incendio qualcosa si salva: sono oggetti<br />
sparsi, che, per motivi sconosciuti il fuoco risparmia.<br />
Come capita non sono mai gli oggetti che avremmo<br />
voluto salvare, ma felici di poter afferrare almeno una<br />
porzione della nostra Storia, ci stringiamo ad essi ringraziando<br />
il destino, che qualcosa ha salvato, o fingendo di<br />
aver deciso di salvare proprio quelle cose.<br />
Cercate di capire: non c’è stato tempo, non c’è stato<br />
preavviso. Solo vagavo in una città che non riconoscevo.<br />
Progresso dicevano tutti. Vita moderna, vita comoda, tutto<br />
a portata di mano.<br />
Quando sono nato questo era un paese di farabutti, e di<br />
prepotenti. Era un paese di belle menti e di malelingue. Era<br />
un paese di belle donne astute. Era un paese di storie paesane,<br />
di curati saccenti, calzolai proverbiali, banditi feroci.<br />
Un posto dove un matrimonio si festeggiava per una<br />
settimana. Dove c’erano regole non scritte, ma indiscutibili:<br />
il sangue, la parentela, l’olio santo, il silenzio.<br />
Uno spazio senza anticorpi, malato da subito. Attaccabile<br />
da ogni virus. Così straordinariamente ferace di<br />
spiriti eletti. Ruvidi, magari sbrigativi, ma con le mani<br />
d’oro, capaci di intrecciare un verso come l’intestino di<br />
pecora, e farne ghirlande da cuocere a fuoco lento.<br />
Posto di viaggiatori sconcertati, per la scabra eleganza,<br />
per la sagacia sbrigativa, per quel nonnulla che finiva<br />
in uno spuntino o in un bagno di sangue.<br />
I montanari più colti, i più intelligenti che si potessero<br />
trovare.<br />
Questo era. Era così.<br />
Bella fregatura.<br />
Sarebbe stato meglio essere meno intelligenti, meno<br />
colti, e avere un’idea chiara di quanto valesse la pena di<br />
salvare dalla distruzione. Quando sarebbe arrivata.<br />
Perché è arrivata. Sotto la forma ambigua del progresso.<br />
Abbiamo raccolto vecchie foto. Come se avessimo nostalgia<br />
di una stagione felice, che era appena passata. Il<br />
nuovo ci ha confuso. Ci ha fatto perdere la testa. Via<br />
tutto. I vecchi mobili, le vecchie menti.<br />
Zavorre.<br />
Si stava meglio prima? Falso. E difficile da dimostrare.<br />
Impossibile dimostrarlo. Ora mi è chiaro. Nonostante<br />
tutto. Nonostante la sagra annuale, nonostante i gruppi<br />
di ballo, i cori. Nonostante tutto.<br />
Che senso ha? Che cosa ce ne facciamo di questa nostalgia<br />
se l’anima se n’è andata chissà dove?<br />
Era meglio prima? Era diverso. Questo sì. C’era orgoglio.<br />
Quello che è venuto a mancare. Proprio quando si<br />
tenta di riprodurlo a tavolino a furia di sagre, cori, balli<br />
e così via.<br />
Sorridete. Lo fanno anche i miei nipoti e l’hanno fatto<br />
i miei figli, quando parlare di queste cose sembrava<br />
negare il presente.<br />
Non è così. Eravamo pronti lo stesso. Nessuno di noi<br />
credeva alla cicogna per dio!<br />
Nessuno può far finta di non vedere che adesso tutti<br />
hanno le scarpe e un pezzo di pane ce l’hanno tutti. Grazie<br />
a Dio.<br />
Ma allora il pane era un diritto. Caldo di forno, croccante<br />
di cottura e sudore. Era religione, capite? Non<br />
costava nulla, come l’acqua nel deserto.<br />
Io non sono adatto a questi tempi migliori. A questo<br />
presente che ha cambiato idea e ricostruisce un passato<br />
di cose ininfluenti.<br />
Io non sono adatto ad abitare in un posto che potrebbe<br />
essere qualunque posto sulla terra. Perché <strong>Nulla</strong> era<br />
<strong>Nulla</strong>. La riconoscevi passata l’ultima curva. La vedevi<br />
all’ultimo momento con un misto di passione e incertezza.<br />
Ed era persino bello camminarci dentro. Era bello<br />
sentirne il linguaggio, un po’ latino, un po’ spagnolo.<br />
96 97
Ma la lingua separava. Ci toglieva dall’universo mondo.<br />
Ci estraniava dalla patria Italia. E allora ecco questi<br />
intelligenti montanari, questi colti montanari pronti a<br />
vietarne l’uso per i figli. Non sta bene, non è moderno.<br />
Tutti italiani, perlomeno nella lingua, e quando c’era da<br />
far guerra beninteso. Perché da che mondo è mondo due<br />
lingue non sono praticabili a <strong>Nulla</strong>. E quegli zotici, che<br />
nei banchi di scuola diventavano zotici due volte, con<br />
quella sintassi involuta, con tutti quei gerundi e quegli<br />
infiniti, e quelle costruzioni perifrastiche astruse, ci facevano<br />
vergognare. Tranne obbligarci a levarci il cappello<br />
quando diventavano avvocati, principi del foro, merlettai<br />
della lingua, giuristi perfetti, scrittori di rango, pittori<br />
e architetti. Bilingui per forza, a furia di schiaffi, a<br />
furia di sacrifici. E restavano un po’ civili e un po’ selvaggi.<br />
Tranne metterli all’indice. Nati a <strong>Nulla</strong>, per fortuna,<br />
per fatalità anagrafica, finiti chissà come in chissà quale<br />
università in continente e ritornati a casa come materiale<br />
grezzo lavorato altrove. Un po’ nostri, un po’ estranei.<br />
Perché quei montanari tanto intelligenti avrebbero<br />
dovuto sapere che nella lingua non ci sono solo suoni e<br />
termini e frasi. Nella lingua c’è l’anima. E una lignua<br />
separa solo quando uccide l’anima.<br />
Questa era l’anima di questo posto. Questa è la<br />
scommessa perduta. Essere fieri e orgogliosi, per poter<br />
esistere ovunque. Per superare quei pochi metri quadrati<br />
di altipiano senza perdere il profumo dei lecci.<br />
Invece no. Isolati per paura dell’isolamento. Provinciali<br />
per vocazione, per essere entrati da perdenti in<br />
Italia, in Europa, nel mondo.<br />
Periferici per non avere niente da dire, niente da aggiungere<br />
a quello che è stato detto.<br />
Così esco, mi dichiaro sconfitto. Sono stanco. Ci<br />
pensi qualcun altro, qualcun altro più coraggioso di me,<br />
più giovane di me, con meno delusioni alle spalle, con<br />
più voglia di combattere.<br />
Ci pensi il frutto di questa generazione addomesticata.<br />
98 99
Sedici<br />
Ché la morte s’appressa e ‘l viver fugge<br />
Francesco Petrarca, Canzoniere LXXIX<br />
17 anni<br />
Io me la ricordo quella notte, non si vedeva a un palmo.<br />
Mi ricordo tutto. Quasi tutto. E tu avevi paura, tremavi,<br />
chiedevi: sei sicura? Abbassavi lo sguardo come un<br />
piccolo sole spento. Io ti guardavo, guardavo i tuoi occhi<br />
e mi dicevo: tutto qui? Un uomo a venire, un bambino<br />
troppo cresciuto, un complice, un’arma. E togliti questa<br />
roba, sussurravo indicando la tua maglia bianca, brillante,<br />
togliti anche le scarpe. Così, in silenzio, passavano i<br />
minuti mentre ti toglievi le scarpe e la felpa. Il problema<br />
fu di riempire quel silenzio, quei minuti lunghissimi<br />
di vuoto che tu colmavi con domande silenziose. Fuori<br />
dalle finestre era buio pesto, un telo nero ricopriva ogni<br />
cosa. Non deve gridare dissi sfiorandoti le labbra, non<br />
deve gridare. Hai fame? Ti ho chiesto a un certo punto<br />
giocando con i tuoi capelli. Hai fatto segno di no, ma mi<br />
hai stretto i fianchi con le braccia. Forte come un sole<br />
allo zenit porgevi la bocca. Per il bacio chiudevi gli occhi<br />
e respiravi col naso. Entravi nel buio, entravi nella notte<br />
101
senza luna. Mi staccai riportandoti alla luce: hai paura?<br />
Ho chiesto respirandoti sulle labbra. Un poco, hai detto<br />
riproponendo il bacio. Mimavi un dolore acuto, una specie<br />
di sofferenza calda, ma era desiderio di ritornare al<br />
buio. Che ci sono cose che noi donne sappiamo da sempre<br />
e voi maschi da sempre ignorate. Dev’essere capitato<br />
così, appena ci siamo visti, nei corridoio della scuola,<br />
facendo le vasche al Corso, alla sala giochi, al cinema<br />
parrocchiale, chi lo sa? Dev’essere capitato così: io sapevo<br />
chi eri. Ti conoscevo da sempre, conoscevo ogni singolo<br />
millimetro della tua pelle appena esposta alla vita.<br />
Sapevo di te cose che persino tu ignoravi. Sapevo fissarti<br />
non vista, aspettando che il mio sguardo ti avvolgesse.<br />
Sapevo che ti saresti voltato cercandomi fra la gente.<br />
Sapevo che ti saresti rivolto al tuo amico a chiedere: la<br />
conosci quella? Quella ero io. Quella era una luna piena<br />
che ti succhiava luce. E tu astro nascente. La prima volta<br />
che ti ho stretto la mano, tu hai guardato avanti continuando<br />
a camminare, non facevi nulla, lasciavi fare a me.<br />
Rispondevi docile alla pressione delle mie dita. Io ti osservavo:<br />
eri bello di una bellezza tutta tua. Eri bello come<br />
può essere bella l’origine del mondo. Niente di più.<br />
Non è per questo che ti ho scelto. Avresti potuto fermarmi<br />
se fossi stato un uomo, ma non lo sei, non lo sei mai<br />
stato e chissà se lo diventerari a questo punto.<br />
Sono nata in una notte luminosissima, ho lottato perchè<br />
sapevo. Non volevo uscire: troppa luce, troppa fatica,<br />
troppo terrore. E tutti avevano un’aria straordinariamente<br />
felice: che bambina magnifica, che occhi espressivi, che<br />
mani lunghe. Il resto si vive nel silenzio, perchè la mia<br />
vita è stata brace sotto la cenere. La mia vita è stata cercare<br />
di essere; è stata un’indigestione; è stata vedere e sentire<br />
qualcosa che non riuscivo ad afferrare.<br />
Hai troppa fretta, dicevano, vedrai col tempo... E<br />
quante volte ho gridato senza aprir bocca alla mia immagine<br />
davanti allo specchio: ti odio, ti odio, ti odio! Questo<br />
gridavo, che la vita mi sembrava un paio di scarpe strette.<br />
Così imploravo le notti: ti odio, fammi morire.<br />
Ma tutto proseguiva ostinato, giorno dopo giorno. Il<br />
tempo se ne andava per i fatti suoi nella prolissa scansione<br />
dei giorni. Avevo un pensiero costante: volevo che finisse.<br />
Avevo paura di quel <strong>Nulla</strong> travestito da tutto. E<br />
temevo di diventare come mia madre. Che era un modello<br />
terribile, che era sofferenza e gioia insieme, che era<br />
patimento e sacrificio, che era dolcezza, che era una luna<br />
crescente, luminosa, piena di aspettative. Lei avrebbe capito<br />
e sarebbe stata disposta a morire per me. Come quella<br />
volta che, d’improvviso, sentii quel dolore al ventre. E<br />
sangue. Così si compiva quello che sapevo da sempre.<br />
Allora corsi in camera da mia madre e piansi. E mamma<br />
sorrise di un sorriso rotondo. Quello che disse me lo ricordo<br />
bene. È come morire un poco, disse, perchè le<br />
donne custodiscono il mistero della morte: è il prezzo<br />
che devono pagare per dare la vita.<br />
Crebbero i seni, poi fu fingere. Ma forse era solo lasciarsi<br />
vivere. A scuola, in palestra, in parrocchia. A mangiarsi<br />
le sere, a fumarsi i pomeriggi, a bersi le mattine.<br />
A saggiare il limite. A urlare alla notte. Pronta al sacrificio<br />
di me stessa. Che già stavo morendo un poco, da<br />
tempo. E lei, mia madre, era già morta, solo che non lo<br />
sapeva. Mio padre no, lui era sole caldissimo, un mezzogiorno<br />
costante e impietoso. Potenza pura, verità e giustizia.<br />
Lontano, chissà dove. Perchè non sono lui? Perchè<br />
non sono sua? Perchè non ho quello sguardo appagato,<br />
pacificato? Perché se n’è andato? Lui avrebbe potuto<br />
amarmi, ma, come tutti gli uomini, aveva paura. Perchè<br />
il potere degli uomini è non avere nessun potere: è così<br />
che vincono su tutto. Ci fanno credere che la loro debolezza<br />
dipenda da noi, ma loro sono deboli e basta. Seméplice.<br />
Uccidere lui non sarebbe stato necessario. Tempo<br />
perso. Ancora.<br />
102 103
Poi, all’improvviso, sei arrivato tu. Che eri all’inizio<br />
di tutto e respiravi il mio respiro.<br />
Quella notte me la ricordo bene, non era nemmeno<br />
romantica così senza luna, era uno straccio sporco. Abbiamo<br />
fatto l’amore in camera mia e tu hai detto: che<br />
bello sarebbe se fosse così per sempre. E hai detto una<br />
cosa pericolosa, senza saperlo. Io ho ripetuto: così per<br />
sempre? Tu hai guardato l’orologio: a che ora rientra tua<br />
madre? Hai chiesto. Non rientra ti ho risposto, non rientra<br />
più.<br />
Poi, all’improvviso, è finito tutto… e non rientra più.<br />
Mia madre non ha fatto nemmeno in tempo a soffrire. Ci<br />
siamo abbracciati, io ti ho abbracciato. Nella notte che<br />
se ne andava ho visto troppe cose che se ne andavano insieme<br />
a lei. È a quel punto che ci ho pensato: ed è stato<br />
come capire tutto: che non era lei, che non era la libertà,<br />
che non era continuare a colpirla tappandole la bocca per<br />
non farla urlare, che non era nemmeno mia madre quel<br />
corpo a terra immerso nel suo sangue. Io ti ho abbracciato,<br />
tu, come al solito, mi hai guardato stringendo appena<br />
gli occhi. Io mi metto a ridere perché sei strano e non<br />
vuoi che parli. Ti fai tante domande guardando mia madre<br />
a terra. Io le sento che vagano dentro al tuo cervello,<br />
sento che le assapori col palato e cerchi di staccarle dai<br />
denti con la punta della lingua, come una caramella<br />
troppo morbida. Vedi, la cosa peggiore è stata scoprire l’inutilità,<br />
scoprire che tutto quel pensare, e pensare, e pensare,<br />
non aveva prodotto niente… Scoprire che il nemico<br />
non era stato sconfitto. Rido perché ti vedo inquieto,<br />
di un’inquietudine nuova… Tu che avevi creduto ciecamente<br />
ora cominci a dubitare… E la notte sta radunando<br />
le sue cose e il giorno arriva e la luce ritorna e<br />
<strong>Nulla</strong> ritorna alla vita e niente sembra più importante,<br />
nemmeno questa nostra finzione.<br />
104<br />
Poi, all’improvviso, c’è qualcosa di straordinariamente<br />
chiaro nel tuo sguardo: che cosa hai fatto?, chiedi. Così.<br />
Come se avessi capito che, nel flusso stanco delle cose,<br />
tuttavia è impossibile impunemente sopravvivere ad un<br />
corpo massacrato. Ed io lo so cosa resta. Resta di farla finita.<br />
Rivestiti e vai, dico. E tu? Mi chiedi. E io, mi arrangio,<br />
dico. Mi arrangio. Aspetto in piedi di sentire la porta<br />
che si chiude dietro te che te ne vai. Mi guardo intorno<br />
cercando… Cercando un finale plausibile… E tutto mi<br />
sembra chiaro… Solo l’arma resta da trovare…<br />
Poi, all’improvviso…<br />
105<br />
[Bologna, novembre 1999]
Un avvertimento e una preghiera.<br />
Appare persino offensivo nei riguardi del lettore che<br />
debba, in questa mia postilla, chiarire che tutto quello<br />
che ha avuto la pazienza di leggere è frutto di fantasia.<br />
Perché anche il lettore meno accorto sa che uno scrittore<br />
non ha il dovere della verità, ma della verosimiglianza.<br />
Fantasia dunque, invenzione, a cominciare dal luogo<br />
<strong>Nulla</strong> che vuol dire nulla, niente, un posto qualunque.<br />
Ma mentirei se negassi che tanto di quel <strong>Nulla</strong> (l’ambiente,<br />
il linguaggio, certe descrizioni) può essere tradotto<br />
Nùoro. È gioco forza: è il posto dove sono cresciuto, è<br />
il posto che amo di più al mondo. È il mio centro.<br />
Non date nomi e cognomi a personaggi che non ne<br />
hanno.<br />
107<br />
M. F.
NULLA<br />
INDICE<br />
UNO 9<br />
DUE 15<br />
TRE 19<br />
QUATTRO 27<br />
CINQUE 31<br />
SEI 37<br />
SETTE 41<br />
OTTO 47<br />
NOVE 51<br />
DIECI 57<br />
UNDICI 59<br />
DODICI 75<br />
TREDICI 83<br />
QUATTORDICI 87<br />
QUINDICI 95<br />
SEDICI 101<br />
109
Volumi pubblicati:<br />
Tascabili<br />
Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />
Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />
Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />
Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />
Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo<br />
Maria Giacobbe, Il mare<br />
Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio<br />
Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />
Giulio Angioni, L’oro di Fraus<br />
Antonio Cossu, Il riscatto<br />
Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />
Ernst Jünger, Terra sarda<br />
Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni<br />
Luciano Marrocu, Fáulas<br />
Gianluca Floris, I maestri cantori<br />
D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />
Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa<br />
Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò<br />
Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />
Salvatore Niffoi, Cristolu<br />
Narrativa<br />
Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito<br />
Natalino Piras, La Mamma del Sole<br />
Marcello Fois, <strong>Nulla</strong><br />
Francesco Cucca, Muni rosa del Suf<br />
Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi<br />
Bachisio Zizi, Lettere da Orune<br />
Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi: ritratto d’un’infanzia<br />
Giulio Angioni, Il gioco del mondo<br />
Poesia<br />
Giovanni Dettori, Amarante<br />
Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo<br />
Gigi Dessì, Il disegno<br />
Roberto Concu Serra, Esercizi di salvezza<br />
Serge Pey, Nierika o le memorie del quinto sole<br />
110<br />
Saggistica<br />
Bruno Rombi, Salvatore Cambosu, cantore solitario<br />
Dino Manca, Voglia d’Africa. La personalità e l’opera<br />
di un poeta errante<br />
Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio<br />
in Pascale Dessanai<br />
FuoriCollana<br />
Salvatore Cambosu, I racconti<br />
Antonietta Ciusa Mascolo, Francesco Ciusa, mio padre<br />
Alberto Masala, Massimo Golfieri, Mediterranea<br />
I Menhir<br />
Salvatore Cambosu, Miele amaro<br />
Antonio Pigliaru, Il banditismo in <strong>Sardegna</strong>. La vendetta barbaricina<br />
In coedizione con Edizioni Frassinelli<br />
Marcello Fois, Sempre caro<br />
Marcello Fois, Sangue dal cielo<br />
111
Finito di stampare nel marzo 2001<br />
presso Studiostampa Nuoro<br />
per conto delle ©Edizioni Il Maestrale