02.06.2013 Views

Nulla - Sardegna Cultura

Nulla - Sardegna Cultura

Nulla - Sardegna Cultura

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

MARCELLO FOIS<br />

NULLA<br />

IL MAESTRALE


NARRATIVA<br />

3


Grafica<br />

Nino Mele<br />

© 1999, Edizioni Il Maestrale<br />

Redazione: via Monsignor Melas 15 - 08100 Nuoro<br />

Telefono e Fax 0784.31830<br />

E-mail: redazione@edizionimaestrale.com<br />

Internet: www.edizionimaestrale.com<br />

ISBN 88-86109-24-5<br />

MARCELLO FOIS<br />

<strong>Nulla</strong><br />

IL MAESTRALE


La vita procede quatta quatta, disperatamente<br />

antidrammatica, sminuzza e sbriciola ogni cosa,<br />

lasciandola cadere dalla mano a poco a poco.<br />

Franz Werfel, Un mondo al crepuscolo


Uno<br />

Al diavolo tutto, disse il ragazzo. Vada tutto al diavolo.<br />

Cormac McCarthy, Oltre il confine<br />

17 anni<br />

A guardarti dormire, così disarticolato, nelle poche ore<br />

della tua notte che concedevi al sonno, potevi sembrare un<br />

povero corpo precipitato da un cavalcavia. Uno straccetto<br />

umido caduto da un balcone.<br />

La mattina. E la notte. In mezzo: pomeriggio e sera.<br />

Certezze da poco. Ma facevano sembrare la vita una serie<br />

ininterrotta di fatti.<br />

Magari era abbastanza. Certo, all’inizio, era abbastanza.<br />

A <strong>Nulla</strong>, proprio al centro del nulla, ci sono dei quartieri<br />

dove è indispensabile essere prosaici. Ci sono case,<br />

che non significano nient’altro che spazi su spazi. Esasperazioni<br />

del possibile abitabile. Quartieri dove è indispensabile<br />

essere paradossali: rappresentano un approdo. Il sogno<br />

che si avvera. La fuga.<br />

Fa sorridere messa in questo modo: che si debba fuggire<br />

a furia di blocchetti di cemento.<br />

9


Che si debba cercare nel chiuso una via d’uscita. Altre<br />

volte si viveva nei cortili, con vecchie sedute all’uscio su<br />

sgabelli che sparivano sotto le gonne. A sbucciare bacelli,<br />

i semi per la zuppa i gusci per i porci, o a mondare il<br />

grano. Con giovanette timide intente a ricamare corredi.<br />

Con bambini selvaggi impegnati nella caccia fra le ortensie<br />

grasse. Non è che fosse meglio, ma era un abito perfetto,<br />

un paio di scarpe comode…<br />

Per te pareva che potesse funzionare: tre quarti della<br />

giornata a resistere; poi arrivava la notte. La notte dei<br />

poeti e delle poesie. La notte in cui si riusciva ad immaginare<br />

la vita.<br />

Ma col tempo, con l’età, divenne fatica. E respiro pesante.<br />

Un’aritmia che diviene soffocamento; a tavola, davanti<br />

al Grande Muratore, mani grosse e ruvide. Che a scuola va<br />

così e così; che se non ti diplomi geometra te ne vai a lavorare con<br />

tuo zio in campagna; che parassiti non ne voglio in casa; che tutto<br />

quello che abbiamo fatto l’abbiamo fatto per voi; che alla tua età<br />

ero già padre; che voi giovani non volete responsabilità; che perdi<br />

troppo tempo attorno alle scemenze; che dovresti uscire di casa,<br />

prendere aria, farti degli amici, avere la fidanzata.<br />

E questo era il pomeriggio, quando andava male. La<br />

sera, quando si era sulla normalità.<br />

Ed ecco farsi largo, a furia di luce che viene meno, la<br />

notte.<br />

La fame vorace. I libri comprati di nascosto, consumati<br />

a suon di palpebre. Anche poesie, anche mondi inventati;<br />

anche storie di uomini…<br />

Mattina: il compito di costruzioni; l’insegnante di francese<br />

che non conosce nemmeno l’italiano; i compagni che<br />

sorridono di futuri sconosciuti.<br />

Pomeriggio: che ho parlato col tuo Preside; che anche<br />

quest’anno ti regalano la promozione, tanto basta il pezzo di<br />

carta; che almeno fossi come tuo fratello all’università con tutti<br />

trenta; o come tua sorella che si è diplomata maestra…<br />

Sera: che ti aggiusto io; che non hai capito niente; che sei<br />

un buono a nulla…<br />

A <strong>Nulla</strong>.<br />

A <strong>Nulla</strong> le strade cambiano direzione di marcia con la<br />

velocità di un respiro. E non portano da nessuna parte.<br />

Il traffico diventa un magma ribollente come una zuppa<br />

che dilaga fino ai confini dell’autocontrollo. Conta anche<br />

questo. Conta sentirsi in un posto come dentro un abito<br />

comodo. Già detto. Magari non bello (già detto). Ma<br />

proprio, caldo della propria impronta.<br />

Non così.<br />

In uno spazio senza certezze, se non la tenacia del perseguire<br />

il peggio. Con la sicumera di chi elargisce il meglio:<br />

migliori condizioni per tutti, migliore vivibilità.<br />

Resta sempre l’aria fresca da sventolarsi in viso usando<br />

la pagina della classifica pubblicata sul giornale. Primi<br />

per l’aria fresca. Per la salubrità. Che primato è? Che<br />

pregio c’è? Una svista, presi in castagna ad eccellere nell’unico<br />

merito di cui non si ha merito.<br />

Perché fra un rèfolo e l’altro a <strong>Nulla</strong> i parcheggi minacciano<br />

i fili d’erba. Come Golia contro Davide. Solo che, a<br />

<strong>Nulla</strong>, Davide non ha la fionda. Un altro Dio governa. Forse<br />

precedente a Dio stesso. Forse vagante in unico neurone<br />

resistente alle epoche, alle civiltà. Un grande Dio Muratore.<br />

Forse con mani grosse e ruvide.<br />

Che ho parlato con tuo zio che conosce il presidente della<br />

commissione d’esame; che ti trattano bene perché mi stimano e<br />

mi rispettano; che ho la quinta elementare e non me ne vergogno,<br />

ma i miei figli li voglio laureati o diplomati.<br />

Un Dio che non ascolta, metà maschio e metà femmina.<br />

Che io ti ho fatto, io ti distruggo; che finisci a scaricare<br />

cassette al Mercato; che mangi pane a tradimento; che finché<br />

stai a casa mia fai quello che dico io…<br />

A <strong>Nulla</strong> passato e presente sembrano solo due visioni<br />

del mondo. Non fatti, come la Notte, la Mattina, il<br />

Pomeriggio, la Sera. Che scorrono a dispetto di tutto.<br />

10 11


A <strong>Nulla</strong> ci sono divinità talmente irraggiungibili che<br />

un braccio di mare sembra una distanza di anni luce.<br />

A <strong>Nulla</strong> pensare, anche semplicemente constatare,<br />

può diventare un azzardo.<br />

Eppure il Grande Muratore fa apparecchiare la tavola<br />

con pietanze e prospettive.<br />

Che conosco un capo cantiere che ti “impara” il mestiere,<br />

basta prendersi quel benedetto pezzo di carta; che piuttosto che<br />

mandarti a studiare Lettere in continente ti ammazzo con le<br />

mie mani; che appena maggiorenne fai quello che ti pare, fuori<br />

da casa mia, s’intende; che c’hai la testa piena di stupidaggini;<br />

che fammi vedere le braccia, non sarai mica un drogato; che<br />

meglio bandito latitante, piuttosto bestia sanguinaria, che<br />

drogato; che perché non ti vedo mai con una ragazza; che io<br />

alla tua età…<br />

Un’altra giornata ad inventarsi il tempo: con un eccesso<br />

di sensibilità che può diventare fatale.<br />

A <strong>Nulla</strong> certe propensioni vivono di rimando, al ritorno,<br />

se si è riusciti ad imporle altrove. Qui solo azioni<br />

certe. Solo contingenze soddisfatte: un lavoro sicuro,<br />

quando c’è; una casa di granito e ferro con le stanze buone<br />

chiuse a chiave, e piani cantina attrezzati di tutto punto<br />

per il quotidiano;<br />

…che i finocchi sono dei malati; che se ci “sarebbero” stati<br />

ancora i casini; che a me mio padre mi ha portato a donne<br />

quando avevo sedici anni, e non gli avevo fatto fare brutta figura…;<br />

che tutte queste storie di scrivere e passare tutta la notte<br />

sveglio; che le bollette della luce; che la mattina sembri un deficiente…<br />

Mattina: le materie d’esame; e chi se l’aspettava…; e<br />

questo non l’abbiamo mai studiato; e erano anni che<br />

non usciva lo scritto di francese.<br />

A <strong>Nulla</strong> esistono due epoche, due età riconosciute:<br />

l’infanzia e la maturità. Per il resto è vagare. Vagare dei<br />

vecchi nell’abominio dei tempi nuovi. Vagare dei giovani<br />

nell’incerto dei tempi nuovi. Solo che per i vecchi è<br />

sorprendersi continuamente, continuamente segnarsi il<br />

petto per lo spavento. Per i giovani è tendere le braccia<br />

verso promesse non mantenute, con una costanza arcigna.<br />

Continuamente espulsi dalle stanze chiuse.<br />

Sera: ancora fuori con i libri stretti al petto; ancora a<br />

raccontarti di fughe; ancora a sognare gusci di noce sui<br />

quali attraversare il mare, anni luce di mare; ancora a<br />

contare e ricontare pochi spiccioli, quelli che sarebbero<br />

bastati; quelli che sarebbero bastati a Kerouac o al giovane<br />

Holden, letti per maledizione.<br />

Sera: che quando torna lo ammazzo; che meglio che gli sia<br />

successo qualcosa; che sono stato troppo permissivo; che bisognava<br />

intervenire da subito; che troppi grilli per la testa; che apparecchia<br />

lo stesso; che stanotte dorme fuori perché io lo chiudo<br />

fuori casa; che cosa si crede di abitare in albergo?; che ore sono?;<br />

che si è fatto troppo tardi; che non ha mai tardato una volta;<br />

che esco a cercarlo; che lo sapevo che andava a finire così…<br />

Notte: fin dove portano i passi; a <strong>Nulla</strong> che ha l’assetto<br />

di una spazzola piena di capelli; che ha la passione<br />

dell’infinito; per il delirio regolatore che non riesce a regolare;<br />

per tutto quello che è stato promesso e non mantenuto;<br />

per vivere senza sopravvivere.<br />

Fin dove portano i passi. Dove forse il “com’era” può<br />

essere considerato alla stregua di un “come siamo”. Sottratto<br />

alla retorica dei tempi felici. Oltre l’ultimo imponente<br />

manufatto del genio accaparratore, perché certi<br />

benefici particolari hanno superato di gran lunga il bene<br />

comune.<br />

Questo lo sappiamo.<br />

E allora può capitare di vagare a <strong>Nulla</strong> senza sapere<br />

esattamente dove ti condurranno i piedi, di cantiere in<br />

cantiere, dentro la vita da farsi, dentro la città da farsi,<br />

ad uccidere il tempo mentre aspetti. Forse arriverà il tuo<br />

turno. Forse la prossima ondata ti trascinerà verso una<br />

prospettiva, chissà, se avrai il buon gusto di non diventare<br />

troppo vecchio…<br />

12 13


La stessa notte: ha chiamato? No? Devo cominciare a<br />

preoccuparmi? Qui niente. Ho già telefonato! Lo so! Lo so! Sto<br />

tornando… Quando vuol rientrare rientra… Ma lo faccio nero…<br />

Ma dove ho sbagliato?… Ma gli ho dato tutto… Ma<br />

io andavo in giro con i pantaloni rattoppati… Ma io mangiavo<br />

carne solo la domenica… Non gli basta mai!… Ma perché<br />

ti devono mettere in croce?… Ma tanti sacrifici per i figli ed<br />

ecco la paga… Ma io ho dovuto lavorare perché eravamo sei<br />

bocche da sfamare…<br />

La stessa notte: ora dormirei. In questo silenzio, si<br />

tratta solo di far tacere la testa. In questo silenzio, di notte<br />

pura, altra qualità che dentro la stanza. Altra letteratura.<br />

Tutto diventa impossibile in questa estate incipiente.<br />

In questa notte odorosa fino allo stordimento. Ai confini<br />

del <strong>Nulla</strong>. Tentennando verso il vuoto…<br />

L’urlo fu straziante, lungo quanto la caduta. Lungo<br />

come una corda tesa, dal parapetto al suolo, metri e metri<br />

più in basso. Lungo di tutte le risposte possibili.<br />

Ma quando ti sei fermato, nel soffice dell’erba, pareva<br />

che dormissi.<br />

Due<br />

Spinsi il grilletto… nero… luce…<br />

rimorso indicibile… brancicai per tornare nel mondo.<br />

Troppo tardi!<br />

Edgar Lee Master, Antologia di Spoon River<br />

24 anni<br />

Chi ve l’ha detto che uno dei tre o quattro ragazzi più<br />

belli della città, non potesse decidere di farla finita? Perché<br />

sarebbe strano? Perché era bello?<br />

Non è così definitiva la bellezza, né tanto calda da potercisi<br />

riposare.<br />

Troppa felicità delle forme può significare già la morte.<br />

E la vacuità di certe giornate passate a scegliersi il sorriso<br />

possono assomigliare a tempi già morti.<br />

E allora? Se ha deciso di farlo?<br />

<strong>Nulla</strong> ventosa porta le voci, le accumula nelle pieghe<br />

del viso.<br />

<strong>Nulla</strong> tormentosa assomiglia a quelle serate di tramontana<br />

che spazzano il cielo. Tutta chiarezza di sguardi turbolenti.<br />

Tutta saggezza buttata nel silenzio. Ricacciata<br />

nell’ostilità del dubbio. Del disprezzo. Delle serate deserte<br />

di sguardi. In ipnosi catodica.<br />

E sollevare le spalle per una domanda:<br />

14 15


– Che cosa facciamo? Per rispondere che non sono<br />

domande da farsi…<br />

Guardandosi intorno a contemplare <strong>Nulla</strong> boscosa.<br />

Camminando all’indietro forse sembra vivibile solo<br />

l’infanzia a-geografica. Dove l’unico posto possibile è quel<br />

<strong>Nulla</strong>. Come una mappa senza punti di riferimento,<br />

senza la rosa dei cardinali.<br />

Non è vero. Non l’ha fatto! Era bello. Era quanto di<br />

meglio si potesse sperare di generare. Tutti i geni e i cromosomi<br />

si erano incontrati nei suoi occhi, nella sua pelle,<br />

nel suo sorriso. Ogni benedizione si era posata su quel<br />

corpo.<br />

Niente di più di questo.<br />

Almeno fosse stato inadatto alle speranze e non avesse<br />

allungato quello sguardo oltre il mare. Questa sarebbe<br />

stata una soluzione accettabile: amarsi quanto era stato<br />

amato dalla pura genetica. E accontentarsi.<br />

E pensare che aveva la vita pronta. E la sussistenza<br />

nella dispensa abbondante della schiatta mercantile. Un<br />

futuro di borghesia anelante; disposta a coprire l’origine<br />

di pascoli seccati dalla carestia; e fustagno; e pane secco;<br />

e latte inacidito.<br />

Poteva trasformare in Tutto quel <strong>Nulla</strong>. Perché era<br />

stato nutrito di pane bianco, soffice al palato.<br />

Ma quel dispregio della sua fronte! Quel cercare una<br />

soluzione ossessiva quando poteva bastare esistere!<br />

Concepire un universo dove le parole hanno senso, non<br />

sono coltelli puntati alla giugulare. Poteva farlo. Non<br />

era solo bello. Non era solo il frutto maturo di un rinnovamento<br />

apparente. Non era solo un tizzone ancora acceso<br />

sotto la cenere grassa.<br />

Aveva visioni. E mondi da condividere. Conosceva entrambe<br />

le facce di quel <strong>Nulla</strong> bifronte. Passato e presente.<br />

Senza futuro. Passato virtuale. Presente casuale. Vissuto<br />

all’impronta. Nell’affrontare le emergenze.<br />

Prima un Passato di sicurezze, in cui la nascita fa la<br />

differenza. Induce alla passione per la storia e alla nostalgia<br />

per quella stagione in cui chi non aveva niente non<br />

aveva neanche la minima idea di quanto gli mancasse,<br />

non poteva quantificare la propria indigenza se non in<br />

termini di fame e sete.<br />

Poi un Presente sprecato a rifarsi, con accidia, di quel<br />

passato. A mondarsi cercando di rigenerare la storia. Col<br />

futuro, che bussa alla porta, costantemente respinto. Perché<br />

i giochi sono da rifare. Alla luce della tradizione. “Su<br />

Connottu” che sistema le cose. Riconduce il sistema ad<br />

una prassi consolidata. Produce la furia dei tempi belli.<br />

Una manciata di case, una via principale, letteratura ed<br />

arte, sagacia popolana, eroi latitanti, sangue come fiumi<br />

in piena, silenzi complici, orrore per i modelli, autocompiacimento,<br />

autocommiserazione…<br />

La fierezza dei tempi belli: i costumi tradizionali conservati<br />

nelle cassepanche, in naftalina. Riprodotti al millesimo,<br />

indossati per la Sagra con tacchi a spillo e trucco<br />

pesante. Variabili impazzite di una cultura che sta cedendo<br />

il passo. Che ha smarrito la via. Che annaspa tra cori<br />

e gruppi di ballo. Tra godersi un passato esaurito nelle<br />

messe commemorative. Nella ripetitività senza anima.<br />

Nella fame costante di nuove e più puntuali erudizioni;<br />

di puntigliose ricostruzioni. Facendo gara a partecipare;<br />

ad esserci per quello che è stato, senza progetti; senza visioni.<br />

Facendo delle proprie case musei domestici di setacci<br />

e gioghi, di vecchie fotografie recuperate in soffitta,<br />

di puro, ombelicale, orgoglio. Imbattibile, indistruttibile,<br />

a patto che manchi il confronto.<br />

Ecco la faccia assurda, beffarda, di questo angolo di<br />

mondo.<br />

Ecco il volto severo, sensibile, di questa porzione di<br />

mondo.<br />

Trattato come il peggiore di tutti, per dispetto. Ad<br />

infinito disprezzo.<br />

Amato come un figlio malato. Difeso a costo della vita.<br />

16 17


Fino a preparare ogni cosa con una perfezione vicina<br />

alla crudeltà.<br />

Chi l’ha detto? Lui lo diceva.<br />

Molti altri l’hanno accennato nella cabala delle possibilità.<br />

Nella giostra delle licenze.<br />

Lui lo diceva. Che aveva attraversato il mare e aveva scoperto<br />

una terra troppo grande, e lui troppo piccolo per<br />

viverci. Che aveva attraversato la città di fiume ed era stato<br />

invisibile.<br />

Che avrebbe voluto un altro amore, un’altra città, un<br />

altro lavoro e, pensate un po’, un altro viso.<br />

Chi lascia tutto questo, chi non vuole piegare il capo,<br />

chi sembra aspettare, chi tormenta lo spirito dei morti,<br />

per rifiutare il dolore…<br />

Lui che non avrebbe potuto contare le chiome sulle<br />

quali aveva passato le dita. E faceva confusione con i nomi.<br />

Per chiunque avesse subìto il suo sorriso: quella canna<br />

puntata sulla fronte, quel bacio freddo per l’addio, quell’istante<br />

per l’infinito.<br />

Ed arrivare alla perfezione attraverso l’ultimo, definitivo<br />

abbrutimento. E farsi trovare riverso sul suo letto,<br />

quando sarebbe stato impossibile assumere una posizione<br />

accettabile, senza coreografia, tranne la vita che se ne<br />

era scappata chi sa dove, forse oltre il mare.<br />

Ma la camicia restata linda, di purezza crudele contro<br />

il rosso del sangue, quella la dice lunga, su come fosse<br />

perfetto il suo agire. E le etichette degli abiti appena<br />

comprati per l’occasione, per la partenza. E le scarpe col<br />

fondo intatto, che non avevano mai calpestato il suolo.<br />

Per questo: per essere pronto da chiudere nella bara<br />

senza il timore di doverlo spogliare. Perché non si vedesse<br />

quale cibo sublime veniva apparecchiato per i vermi.<br />

Dubbi per chi continua e sollievo per gli invidiosi.<br />

Nessuno è al sicuro.<br />

Tre<br />

In quell’istante ebbe terrore di ciò che aveva fatto. […]<br />

Volle rialzarsi, buttarsi indietro, ma una massa enorme, inflessibile,<br />

la colpì sulla testa e la rovesciò sulla schiena.<br />

Lev Tolstoj, Anna Karenina<br />

19 anni - 20 anni<br />

Hai tutte le promesse ancora in corpo, nel buio, fra la<br />

gola e il torace come se le avessi inghiottite in fretta, durante<br />

la vita appena trascorsa; come se non avessi fatto in<br />

tempo a metabolizzarle. Insomma quelle promesse non<br />

masticate, ingerite a bocconi grossolani, come carne di<br />

pecora, nell’oscurità attutita dalle poche luci dell’abitato,<br />

muovendo passi incerti nella campagna, che pare di<br />

essere nel traballare di un’auto che si piega seguendo la<br />

sinuosità della strada sterrata, ti salgono in mente.<br />

– Siamo in anticipo. – Dice tuo fratello afferrandoti<br />

per il braccio come se strattonasse le redini di un cavallo.<br />

Sei impegnato a trattenere il respiro, a farlo ciondolare<br />

nell’anticamera delle fauci prima di dargli via libera.<br />

Per risposta ti esce un sibilo fatto con i denti.<br />

– Stai male? – Chiede tuo fratello distogliendo per la<br />

prima volta lo sguardo dal punto in cui dovrebbe correre<br />

la strada.<br />

18 19


Accenni col capo. La bocca si è riempita di saliva. Le<br />

viscere pretenderebbero il riposo. Ancora una boccata<br />

d’aria. L’aria pungente della campagna.<br />

L’avverti appena, la campagna, che, sbattendoti sulla<br />

fronte, scappa scivolando sulle tempie. Buio sul viso,<br />

poche luci sulla nuca. Senza muovere la faccia, rigido sul<br />

collo, imposti ogni resistenza su quella fissità. Finché,<br />

scuotendo il capo, cerchi di farti percepire oltre l’oscurità.<br />

E lui, tuo fratello, perché ora siete fratelli, ti vede<br />

con chiarezza: vede quel movimento impercettibile, a<br />

dispetto della poca luce, come un padrone che conosca<br />

il suo gatto.<br />

– Hai paura? – Chiede.<br />

Sollevi le spalle, che vuol dire sì e no. Che sì hai paura.<br />

Ma non troppa. Che avresti più paura a rivedere il giorno.<br />

Ora che tutto è così chiaro. Insomma che non è paura.<br />

– E tu? – Riesci ad articolare prima che la nausea ti<br />

riafferri lo stomaco.<br />

Lui dice che no, che paura non ne ha, non ne ha proprio.<br />

Magari è preoccupato per quello che succederà. Per<br />

la famiglia. Per la madre.<br />

– Ma avevamo deciso di non parlarne. – Conclude. –<br />

Sennò finisce come le altre volte…<br />

Abbassi le palpebre. – Due minuti, due ore, un’eternità…<br />

– Cominci a cantare stonando. Gridando senza gridare.<br />

Viene fuori una vocetta ridicola.<br />

Senti che tuo fratello ti ha afferrato la nuca, dopo aver<br />

brancolato qualche secondo nel buio con la mano aperta,<br />

le dita che si agitano come tentacoli di polpo. Ha la<br />

mano calda. Fa piacere.<br />

– Allora hai deciso di andare dal barbiere. – È una<br />

constatazione senza ipotesi di risposta. Una domanda senza<br />

futuro. Una falsa incertezza. Tanto per parlare. Come<br />

quando a passeggio sulla via principale ci si saluta ogni<br />

volta che ci si vede. Oppure si inarcano le sopracciglia per<br />

chiedere se va tutto bene e si aspetta un’alzata di spalle<br />

per dire che va come sempre. Oppure si fa quella battuta<br />

che fa ridere sempre: – A quale cinema andiamo? – Come<br />

se a <strong>Nulla</strong> ce ne fossero tanti.<br />

Ti sfiora la pelle tra il collo e la nuca, che è diventata<br />

un piano soffice di peletti recisi. Per avere una conferma.<br />

– Io non ci sono andato. – Dice, come se da anni foste<br />

avvolti in quel buio e non abbiate avuto la possibilità di<br />

constatare niente l’uno dell’altro. – Ma ho risolto l’esercizio<br />

di matematica. – Informa.<br />

Ti scappa una risata nervosa. La canzone si è fatta strada<br />

nel tuo cervello, di tanto in tanto te ne sfugge qualche<br />

mozzicone dalla bocca. Così interrompi quel silenzio<br />

esaltato dal fragore secco, ritmico, dei passi sulla macchia.<br />

Quel silenzio così concentrato.<br />

– L’altro giorno, – comincia a dire tuo fratello, – mentre<br />

guardavamo la televisione in casa babbo ha detto che<br />

quando lui era giovane con mamma hanno vinto una gara<br />

di ballo: tango figurato e mazurka. Gli hanno dato una<br />

coppa… – Poi tace senza finire il pensiero. Un’altra frase<br />

senza conseguenze se non il fastidio per un tempo in cui<br />

si vincevano le gare di ballo. Anche a <strong>Nulla</strong>. E il disorientamento<br />

per non riuscire a capire in quale tempo era<br />

potuto accadere che i suoi genitori passassero pomeriggi<br />

interi ad allenarsi. Come dire che giorni migliori c’erano<br />

stati. Come ammettere che quella fissità senza prospettive<br />

era solo una svista. Un qui pro quo. Ma se non si aveva la<br />

forza?<br />

– Tango e mazurka? – Domandi. Hai sempre amato la<br />

concentrazione dei ballerini. Ti sarebbe piaciuto se non<br />

fosse troppo tardi. – E dove l’hanno vinta la coppa? – Continui.<br />

– Qui! – Ti risponde tuo fratello. – C’era un locale dove<br />

adesso c’è il Centro Commerciale.<br />

Il bello è che “qui” ti sembra una risposta comica. Qui,<br />

20 21


in mezzo alla campagna, verso il passaggio a livello. E la<br />

tua mente partorisce ballerini che volteggiano sulle rotaie.<br />

– Qui… – Ripeti.<br />

– A <strong>Nulla</strong>. – Si affretta a chiarire l’altro. – Dove ora<br />

c’è il Centro Commerciale. – Ripete.<br />

Intanto il terreno sotto ai piedi fa l’effetto di un tapis<br />

roulant: per quanto cammini non porta da nessuna parte.<br />

– Non sembrava così distante. – Commenti, ancora<br />

tutto preso dalla tua visione: tua madre porge una rosa<br />

con la bocca a tuo padre; la tua insegnante di matematica,<br />

fra le braccia del professore di Applicazioni Tecniche,<br />

fa volteggiare la gonna di tulle giallo canarino.<br />

– È che stiamo camminando piano: non si vede un accidente.<br />

L’abitato è sparito più in basso appena finita la salita.<br />

Buio sulla fronte, buio sulla nuca. Ora è così.<br />

A concepire questa camminata come un saluto.<br />

– Magari proprio stasera passa in ritardo… – Dici.<br />

Tuo fratello sgrana gli occhi. Poi solleva le spalle.<br />

Minuto più, minuto meno.<br />

Sei lì che un po’ te la ridi. Quanto basta per sentire lo<br />

scatto dell’accendino al tuo fianco. Il viso appare per un<br />

secondo. Poi sparisce. Poi solo il puntino incandescente<br />

della brace della sigaretta.<br />

– Offrimene una… – Dici. Hai tempo di sentire la<br />

sua titubanza. – Dai, – insisti, – voglio provare almeno<br />

una volta.<br />

La tosse ti fa dimenticare quella luce fastidiosa sul<br />

volto così prolungata perché non sai aspirare e la sigaretta<br />

non si accende. Così la fiamma ti resta appiccicata<br />

alle pupille. E sotto le scarpe comincia a scrocchiare la<br />

ghiaia.<br />

A pensarci il binario non sembrava così vicino. Avresti<br />

potuto vederlo per tempo se avessi aperto gli occhi,<br />

ma sentirlo sotto i piedi fa impressione. Perché più che<br />

aspettare d’essere raggiunto sembra esserti corso incontro.<br />

Ora. Ora che il terreno ha un’impennata. Ora che il<br />

freddo delle rotaie, la loro superficie levigata stona con<br />

la qualità del pietrisco.<br />

Poco tempo per riflessioni che sembrano un respiro.<br />

Ma gli occhi, che non rinunciano, fissano il riflesso dei<br />

nastri metallici su quel caos perfetto di pietra bianca. La<br />

regolarità insopportabile delle traversine che hanno il<br />

colore della carne di cinghiale lasciata a selenare.<br />

– Che ore sono? – Chiedi.<br />

La risposta ritarda quanto basta ad azionare la lucina<br />

dell’orologio da polso a cristalli liquidi. – Quasi le otto.<br />

“Odio quello che stiamo facendo” pensi. – Odio quello<br />

che stiamo facendo. – Dici.<br />

– Detesto quello che faccio. – Fa eco tuo fratello,<br />

mentre si siede su una traversina, al centro, fra le rotaie.<br />

Con la mano ti afferra l’avambraccio per invitarti ad<br />

imitarlo.<br />

– Preferisco stare in piedi. – La tua voce ha un tono<br />

maturo, come se quel camminare fosse la metafora di<br />

tutta la vita che avevi a disposizione. E fosse lo sforzo di<br />

un bilancio tentato in extremis.<br />

Vent’anni. E l’infelicità totale dell’anima.<br />

Il sentirsi mille volte soli.<br />

Mille volte isolati.<br />

I più isolati. In quell’isola che è bagnata dall’inquietudine<br />

turbolenta. Scossa dalla miseria di una sensibilità<br />

ricca. Ricchissima.<br />

Presa in ostaggio come un possidente rapito.<br />

Nascosta, incatenata, maltrattata, beffeggiata.<br />

Criticata per l’ardire, per i beni accumulati. Per il rischio<br />

che finisca per convincerci. Che si può fare. Che<br />

niente è scritto se si ha coraggio e forza. Se pianto e rabbia<br />

diventano vita. Non morte. Non il silenzio fragoroso<br />

di pomeriggi passati ad anelare vite altrui. Fantocci<br />

di vita.<br />

22 23


Briciole offerte agli affamati.<br />

Si potrebbe seguire quel binario fino alla costa. Come<br />

un fiume che porta al mare. Senza bisogni, camminando<br />

e basta.<br />

Prendi tuo fratello per mano e digli:<br />

– Andiamo via.<br />

Questo dice la tua voce. Ma non si rinuncia a quanto<br />

non si è riusciti ad ottenere. E spaventa il pensiero<br />

dell’andare. E ci si innamora della propria ostinazione.<br />

Questo può accadere.<br />

Questo accade. E nemmeno un sorriso di approvazione.<br />

Solo guardarsi le spalle perché se non si sta attenti la<br />

frustrazione diventa una taglia sulla testa. I libri si<br />

trasformano in una conferma. La televisione in un dolore<br />

costante di mondi possibili: veri allo sguardo, irraggiungibili<br />

per i piedi. Scimmie della verità che saltellano<br />

implorando noccioline: feroci e ridicole. Buone per<br />

divertimenti grossolani.<br />

Allora il pericolo si fa serio. Diventa un bivio davanti<br />

al quale macerarsi sino alla disperazione. Diventa scegliere<br />

una strada di getto, senza starci troppo a pensare, senza<br />

valutare. Contando sui propri piedi, sul proprio cuore,<br />

sulla certezza che la terra è solo terra e le radici sono solo<br />

una brutta metafora per dire Storia. Non catene.<br />

Oppure il languido abbandonarsi al Caso. Il lamento<br />

del predestinato. Il belato del capro sacrificale. La pace<br />

del “non c’è niente da fare”. Del “tanto non cambia<br />

nulla”. Del “siamo sfruttati”. Del “nessuno può capire”.<br />

Pace inoperosa. Pace passiva. Pace violenta di tremori<br />

trattenuti.<br />

Siamo uomini! Sei un uomo di vent’anni! In piedi al<br />

centro di un binario e afferri la spalla del tuo amico, quello<br />

che hai pensato come fratello, un uomo di diciannove<br />

anni. Basterebbe scegliere l’impossibile. Quei pochi metri<br />

che ti separano dalla vita. Che vi separano dalla vita.<br />

Ma ceppi invisibili, simboli di una prigionia che non<br />

avete scelto, ma che avete coltivato, carcerieri di voi<br />

stessi, più crudeli, più disumani di qualunque carceriere,<br />

vi tengono ancorati a quella porzione di terra.<br />

Che svista. Che brutta scelta.<br />

Tremando un poco ricominci a cantare:<br />

– Due minuti, due ore, un’eternità… – La tua voce si<br />

rompe un poco.<br />

Guardi verso l’oscurità.<br />

Ma il terreno, sotto ai tuoi piedi, comincia a vibrare.<br />

24 25


Quattro<br />

L’opposizione nefasta dei numeri nei registri<br />

destinati a certificare la cronologia familiare<br />

disgregarono la sua sostanza biologica.<br />

Elisabetta Rasy, La prima estasi<br />

33 anni<br />

Tutto il dolore non possiamo consumarlo. Sarebbe<br />

stata fatica risparmiata, la tua fatica, se avessi potuto vedere<br />

quanto ce n’è.<br />

Sino alla rabbia.<br />

Che faccio? Che faccio? Scrivo per una madre morta.<br />

Scrivo per svuotare questo vuoto dalla pienezza del rimpianto.<br />

E poi? E poi? Solo per continuare, un poco ti disprezzo.<br />

Devo averle da qualche parte quelle cose che hai scritto.<br />

Quando volevi diventare una che scrive.<br />

(«Parli bene tu che te ne sei andato in Continente, è<br />

comodo parlare in questo modo; io ho tentato, io sono<br />

rimasta.<br />

Troppo comodo caro mio fare il Solone da Eldorado.<br />

Prova a sentirti come me. Prova a sentirti come un<br />

moscerino in un occhio. Prova a resistere stringendo i<br />

denti tanto da spaccarti le mascelle!<br />

27


Perché non sei rimasto qui a fare qualcosa, qualcosa che<br />

poteva essermi utile…?»)<br />

Ho corso, facendomi scoppiare i polmoni. Ho baciato<br />

mille volte mio figlio. E il cibo mi sembrava talmente<br />

prosaico da meritare di punirmi. Poi sono uscito. L’ho<br />

detto a tutti, a tutti quelli che non ti conoscono, per<br />

ripeterlo a me stesso così che sembri finalmente vero.<br />

Eppure non è vero.<br />

Ora, per il tuo funerale, scrivo.<br />

(«Così ti senti a posto, tu con tuoi servizi efficienti,<br />

con tutto puntuale, al centro di tutte le possibilità.<br />

A scrivere, a fare lo scrittore. A fare l’avvocato del<br />

Diavolo.<br />

Che cosa c’entro io con la tua storia? Niente. Solo una<br />

casualità; un accenno di passato in comune»).<br />

Ho chiuso con questa specie di passato. Perché l’adolescenza<br />

si frantuma in schegge acuminate.<br />

Sono rimasto ad aspettare che questo giorno si portasse<br />

via la carcassa di quello che ero. Guardandomi in uno<br />

specchio che mi dice cose che non vorrei sentire. Vedendo<br />

la parte migliore di me, quella della felicità pura,<br />

quella dell’ingenua inconsapevolezza, sepolta sotto metri<br />

di terra…<br />

Ora che ho letto troppi libri e scritto e ricevuto qualche<br />

riconoscimento.<br />

Non dirmi che è facile. Non è facile amare <strong>Nulla</strong>.<br />

Non è facile essere innamorati del profumo dei lecci.<br />

Non è facile portarsi la terra in tasca. Perché la terra pesa,<br />

rallenta il passo e si preferirebbe essere nati in volo o sul<br />

mare, dovunque, ma non a <strong>Nulla</strong>. <strong>Nulla</strong> Amada.<br />

Oggi, nel giorno del tuo funerale, tutto il dolore è diventato<br />

cercare di ricordare tutto. Quei maglioni indossati<br />

sulle camicette candide. Quelle dita screpolate dalle<br />

allergie. Quel sorridere solo con bocca mentre lo sguardo<br />

andava altrove. E quei capelli, troppo sottili, che non<br />

crescevano mai. Quel compleanno in giardino e la casa al<br />

mare. Quei figli fratelli, quei nipoti figli, quegli altri<br />

fratelli, quei figli.<br />

Il banco proprio dietro al mio. E il pianto perché non<br />

riuscivi a leggere le frasi di greco…<br />

Quanto poco… quanta fatica.<br />

E pensano che fosse scritto, che l’avessi segnato nel<br />

volto. Solo che sei rimasta un libro chiuso. Solo che la tua<br />

storia non sembrava degna di essere letta.<br />

Quando dicono: – Non volevano scandali, stava male<br />

da anni, si vergognavano…<br />

È talmente crudele che mi fa sorridere.<br />

Sono tornato tardissimo, ho visto mio figlio che dormiva,<br />

mi sono accostato per assicurarmi che respirasse.<br />

È stata follia spiccare quel volo. Lo sai, lo sai!<br />

Tutto il resto sembra solo cercare una via d’uscita.<br />

Alle due di notte non riuscivo a stare dentro casa, sono<br />

uscito di nuovo. Ho parlato con un vecchio che si curava<br />

l’insonnia aspettando l’alba. Seduti sulla panchina davanti<br />

alla chiesa io e lui. A bere la frescura. A dirsi dei pomeriggi<br />

troppo torridi. Quando si preferirebbe morire.<br />

Gli ho detto di te. Così anche questo debito era stato<br />

pagato.<br />

Nessun problema per noi. Continueremo a riempirci la<br />

vita. Con la televisione in cucina. Con eserciti di figli da<br />

cambiare. Da abbracciare. Da portare a letto. E mogli da<br />

vedere nei ritagli di tempo. E mariti, salutati appena in<br />

corridoio, baciati per finta prima di piombare nel sonno.<br />

Continueremo.<br />

Con amici da sentire ogni tanto a parlare del liceo, di<br />

come quello che era scritto si stia tenacemente avverando.<br />

Con un sacco di cose da fare e da lasciare incompiute.<br />

Con la sveglia che ci fa aprire ancora gli occhi, quando<br />

è abbastanza giorno da mettersi in piedi. Solo un po’<br />

più soli, solo un po’ più vecchi.<br />

Nessun problema. Perché per noi è diventato facile<br />

imbastire commemorazioni, innestare la marcia dei ricordi,<br />

28 29


persino esagerare col dolore. Noi ci siamo. Ci siamo ancora.<br />

Abitiamo questa terra, come era scritto.<br />

Ho caldo, sono talmente sveglio che mi pare di poter<br />

camminare per sempre.<br />

E tu, la madre di tutti, hai spezzato l’incanto, troppo<br />

dolce, dell’immortalità. Perché l’avevamo progettato, tra<br />

i banchi di scuola e nei corridoi. L’avevamo assaporato<br />

col corpo che ci esplodeva di giorni da consumare.<br />

Per questo io, l’ultimo, non so perdonarti.<br />

Cinque<br />

Quando muore qualcuno è come se muoia tutto il paese. […]<br />

Poi, quando l’ultima palata ha concluso la scena, il morto è morto<br />

sul serio, e anche il ricordo scompare.<br />

Salvatore Satta, Il giorno del giudizio<br />

26 anni<br />

In confidenza: fu la moglie a trovarlo. Non hanno detto<br />

nulla per tenerla fuori da tutta la storia, lo sapete come<br />

vanno le cose da queste parti. Insomma, il padre di lei<br />

telefonò al Questore e gli disse così e così. Allora, ancora<br />

scioccata, la portarono dalla sorella che abitava poco<br />

fuori città.<br />

Avevano fatto il passo più lungo della gamba con l’officina.<br />

Mutui bancari, mutui regionali e tutto il resto.<br />

Che poi uno si chiede: come fa uno a fare tanto? Ecco<br />

come fa, s’indebita! Sfido io che fanno! E macchina e casa<br />

al mare e viaggi e casa in città…<br />

Lei, per carità: ottima famiglia. La madre non si riconosce<br />

più, mischina, povera donna! E non era contenta<br />

da subito, si vedeva. Pareva che se lo sentisse… Ma se la<br />

figlia sembrava contenta doveva adeguarsi. All’inizio<br />

30 31


aveva provato e diceva che erano troppo giovani, che<br />

aspettassero ancora un poco. Insomma questo matrimonio<br />

così su due piedi poteva sembrare sospetto…<br />

Dicevano che lei fosse rimasta incinta. E che fu necessario<br />

organizzare il matrimonio in fretta e furia. Ma sta<br />

di fatto che dopo un anno, figli niente. I soliti ben informati<br />

dicevano che aveva abortito al quarto mese, qualche<br />

giorno dopo il matrimonio. Insomma lui non aveva<br />

nulla, né un mestiere, né un titolo… E all’inizio era<br />

andato a lavorare col suocero, che era di una famiglia che<br />

stava bene davvero… Forse li conoscete: abitavano alla<br />

Solitudine, di quelli di Pappaeciccia, mì che il fratello è<br />

stato in Belgio per tutta la vita… dài che erano imparentati<br />

con zia Tatana Portalcuore… Era la sorella di sua madre!<br />

Bah! State confondendo, vi dico che sbagliate… Quella<br />

che state dicendo voi è venuta a <strong>Nulla</strong> che io ero già<br />

grande. Baa bah! Non può essere vi dico!<br />

Era un bel giovanotto. Un marcantonio. Ben piazzato.<br />

Male, per forza se l’è preso! Lei per carità! Una cornacchietta<br />

spelacchiata: minutina tutta nera. Lui c’aveva<br />

l’amica c’aveva. Lo dicevano tutti! Per carità io non posso<br />

dire… Ma con la scusa dell’officina nuova… Anche in<br />

Continente… E anche qui, eh, già l’hanno visto più di<br />

una volta, altri, non io. Ma gente sicura! Guarda che se<br />

te lo sto dicendo è così. Dio ne scampi quando succedono<br />

queste cose…<br />

Oi, mì, non ne voglio sentire parlare: cosa glielo detto<br />

io di farsi tutti quei debiti? Se se ne stavano tranquilli,<br />

tutto questo non succedeva. Ajò dài che erano esagerati,<br />

guarda che lei andava da Franceschina Battimani e non<br />

vedeva quello che spendeva! C’aveva un cappotto cara<br />

mia che non costava meno di un milione… Ajò da dove<br />

tutta questa roba? E lui? La stessa cosa! Dài, non ne voglio<br />

nemmeno sentire parlare! Per carità, in cielo sia, perché<br />

male non ne ha fatto a nessuno, però, dico io, quando<br />

succedono queste cose un motivo c’è… eh sì: un motivo<br />

c’è…<br />

Lui voleva fare un’officina moderna. Carrozziere, gommista,<br />

elettrauto: tutto insieme. Andava anche in Continente<br />

per fiere e cose del genere… Era dritto, quello che voleva<br />

lo sapeva. Ma da queste parti queste cose non funzionano<br />

è inutile! Questa mania di fare cose nuove. Non<br />

andava bene l’officina del suocero? All’inizio sì, la curiosità,<br />

tutte queste cose elettroniche… Ma poi la gente ha<br />

smesso di andarci. Io non ci sono andato mai, ma mio<br />

cugino diceva che non era un lavoro fatto bene e poi era<br />

caro. Per forza tutti quei buffi…<br />

Che furbo e furbo: era un coglione! Con tutto il rispetto.<br />

Aveva rilevato quel locale che non valeva niente…<br />

E chi gliel’ha venduto lo sapeva che non valeva un<br />

accidente. A furia di fare i furbi si rimane fregati. Dai<br />

che se non stava attento gli fregavano anche le mutande…<br />

Conta che per permessi, controlli, certificati, suolo<br />

pubblico, insegna e così via ha smosso mari e monti…<br />

Insomma spese anche lì e non cifrette da poco… Tangentopoli<br />

ci fa un baffo a noi! Se arriva chi dico io… Poi dicono<br />

che se ne sequestrano qualcuno di tanto in tanto fanno<br />

male! Bisogna conoscerle le cose prima di parlare, con i<br />

politici che ci troviamo! Io?… Io saranno anni che non<br />

vado a votare… Che si impicchino tutti. Parassiti! Guarda<br />

che mio cognato lavora in banca e di queste cose ne<br />

mastica… C’aveva non so quanti milioni, dico milioni,<br />

di scoperto…<br />

Non si può fare niente da queste parti. Troppa gente<br />

invidiosa. Poverino! Male non ne aveva fatto a nessuno…<br />

E quella povera moglie! Non ha più lacrime per piangere.<br />

Per fortuna figli non ce n’erano: anche se dicevano che<br />

32 33


lei era rimasta incinta… Troppa maldicenza. Rimanga<br />

tra noi: sono arrivati a dire che avesse detto che era incinta<br />

per farsi sposare… Lui magari c’era andato così, per<br />

fare. Si sa come sono fatti gli uomini… Si credono tanto<br />

intelligenti.<br />

Non me lo leva nessuno dalla testa che lui aveva un<br />

tarlo grosso. Oh, in quattro e quattr’otto locale nuovo,<br />

casa nuova. Boh? Come si fa? Io non riesco ad arrivare a<br />

fine mese… Doveva essere implicato in qualcosa di poco<br />

chiaro. Tutti quei soldi che giravano, dài! Chiedete a<br />

Mimmo Manetta le spese al Bar! E anche la questura se ne<br />

stava interessando… A <strong>Nulla</strong> si conoscono tutti c’è poco<br />

da fare: siamo rimasti un paese da quel punto di vista lì…<br />

Le grandi fortune, caro mio, lo sappiamo tutti no?… Devo<br />

continuare? Non fatemi parlare dài… Cosa ti bevi?<br />

Non esageriamo: non è che dalle altre parti queste cose<br />

non succedono, ajò, tutto il mondo è paese… Doveva<br />

ragionare su quello che stava facendo, e che aveva famiglia.<br />

La testa bisogna tenerla attaccata alle spalle, non è<br />

che un uomo è uomo solo per andare appresso alle sottane…<br />

Dài che non ne lasciava in pace una. Che cosa ne so?<br />

Evidentemente se sto parlando, so quello che sto dicendo.<br />

Dài finiamola con queste storie! Faceva lo sbruffone, il<br />

balente e le ha messo tante di quelle corna alla moglie! È<br />

sempre stato così, dài. Lo so… Ti dico di no… Ohi… Ma<br />

se non faceva a lasciarlo da solo in una stanza con una<br />

donna! Dài, ajò, lascia perdere…<br />

Non l’avrei mai detto. Lei piuttosto! Era esaurita fatta!<br />

Dice che una volta è uscita in ciabatte, col cappotto di<br />

cammello, un signor cappotto eh, e il collo di pelliccia.<br />

L’ha incontrata zia Battistina Colpoincanna. Dice che l’ha<br />

presa da parte e gliel’ha detto: – Mì che sei senza scarpe,<br />

figlia mia. – E lei?… Lei con la faccia in terra… Quando<br />

si è resa conto. Dice che si è sfogata: troppi pensieri, con<br />

le idee di quel marito matto. Non l’hai vista come era<br />

ridotta! Piangeva il cuore, piangeva! Mì, guarda, a ripeterlo<br />

mi sento male, ma dice che quando l’ha riaccompagnata<br />

a casa, a zia Battistina gli ha detto: – Faccio una<br />

pazzia… – Era sedata tutto il giorno. La curavano fuori<br />

<strong>Nulla</strong>. Dice che se lo potevano permettere. Noi povera<br />

gente andiamo all’ospedale di qui… Lo sai che a Nunzia<br />

Stracciapeli gli hanno curato una cervicale, dicevano e<br />

invece aveva quel male lì? Ohi, per carità!, che qui non<br />

fa… Io sono due anni che mi trascino questo piede malato,<br />

oh Dottor Mipare, me l’ha detto chiaramente: queste<br />

cure non le sappiamo fare da queste parti…<br />

Non me ne frega niente. Neanche un po’. Se non conosci<br />

qualcuno non ti ascoltano nemmeno. Ma lui in<br />

Regione sapeva a chi doveva telefonare. Se finissero tutti<br />

in galera. Io per mio figlio ho chiamato chi sai, ma pare<br />

che ci fossero altri più appoggiati. Dice che non aveva il<br />

titolo di studio. A chi gli pare a loro lo sistemano anche<br />

se ha la quinta elementare.<br />

Senti, sai cosa ti dico? Le cose vanno come vanno. Era<br />

destino. Quando gira la ruota… Io lo so perché è venuta<br />

proprio lei a casa, per la medicina del malocchio. Eh cara<br />

mia, c’era veramente qualcuno che gli voleva male. L’invidia.<br />

Ma anche loro… Che bisogno c’era di tutta questa<br />

ostentazione! Facevano i gran signori ed erano pieni di<br />

debiti… Io gliel’ho detto: – Qui bisogna leggerti i Vangeli.<br />

– L’ho vista subito: non c’era verso, due volte ho<br />

provato, ma nulla. C’era una situazione molto metzana.<br />

Mì gli ho fatto una ricetta da portarsi addosso povera figlia…<br />

Beh, eh, già ci vediamo, sennò arrivo tardi a<br />

messa…<br />

Al carrello elevatore. Si è impiccato al carrello elevatore.<br />

34 35


In officina. Lasciati servire che l’ha trovato la moglie! Oi,<br />

quale telefonata! Lasciami la testa! La moglie l’ha trovato! E<br />

allora no… Se te lo sto dicendo! Lì c’era roba brutta. Mì,<br />

dice che era entrato in un giro di droga… Aveva troppi<br />

debiti. Con tutto che gli avevano concesso un mutuo agevolato<br />

con i fiocchi. Con la storia delle piccole imprese: niente<br />

tasse, niente di niente… Meglio il posto fisso!<br />

Qui lo dico e qui lo nego: aveva pensieri. Pensieri che<br />

non lo lasciavano dormire di notte. Altro che donne! Tutta<br />

una vita di lavoro. Perché quando ha iniziato, lo sanno<br />

tutti. E sua madre vendeva al mercato. Non è che fosse<br />

chissà chi. Ma si era fatto strada, perché non conosceva<br />

fatica… Oi, che droga! Vai vai che non sai neanche quello<br />

che stai dicendo! Per carità, quale droga! Un bicchiere<br />

di vino di tanto in tanto, perché era uno di compagnia.<br />

Un ragazzo sano. Che cosa doveva stare a scaldare il letto<br />

alla moglie? Il suo dovere lo faceva no? Nessuno ha mai<br />

detto il contrario. Si fa in fretta a mandare in galera il<br />

cristiano! Abbiamo fatto la visita di leva insieme e non<br />

era nemmeno voluto venire a donne, dai questo ti dice<br />

tutto… Mai dire: – Di quest’acqua non ne bevo. – Perché<br />

è la volta che ci caschi… Il rispetto per i morti, dico io!<br />

Io divento nervoso. A tutti i funerali mi scappa da<br />

ridere. E poi con questo freddo! Fa un freddo cane no?<br />

Sono stato a letto una settimana con un’influenza… Quella<br />

brutta… Oi oi che tragedia! Ma cosa vuoi che ti dica,<br />

a parlare la gente parla, ma ormai non c’è rimasto più<br />

niente da dire… No, torno a casa, in cimitero non ci<br />

vengo, col freddo che c’è…<br />

Sei<br />

Il risultato era troppo preciso per essere convincente,<br />

mancava un pizzico di contraddizione,<br />

puzzava d’inganno.<br />

Ian McEwan, Bambini nel tempo<br />

37 anni<br />

Dico che avreste dovuto vederlo, nemmeno tanto<br />

tempo fa. Due o tre anni fa. Con tutti i denti in bocca e<br />

venti chili di meno.<br />

E che macchine! Sempre l’ultimo modello.<br />

Non l’avreste riconosciuto: questo vi dico.<br />

Perdio! Un insegnante! Vabbene che era scapolo, ma<br />

di soldi ne spendeva con le donne!<br />

Dopo quei fatti poi…<br />

Elegante come un figurino. Sempre in Continente o<br />

all’estero.<br />

Insomma, un fulmine a ciel sereno. Una tempesta<br />

senza avvisaglie. Perché, semmai, dopo quello scandalo<br />

degli spogliarelli… Allora sì, insomma la vergogna,<br />

sbattuto su tutti i giornali, anche quelli nazionali.<br />

Beh, uno dice che se non l’aveva fatto in quel momento…<br />

Invece no, cinque anni dopo. Così. Chi lo sa cosa gli<br />

è passato per la testa. Certo non era più lo stesso.<br />

36 37


Irriconoscibile.<br />

Grasso, calvo, senza denti, invecchiato di colpo.<br />

Madonna Santa! E guarda che ci teneva!<br />

Non usciva quasi più. Pare che avesse un male incurabile,<br />

che facesse la chemio, per questo si era ridotto così,<br />

e forse, per questo…<br />

Non ha retto, ha resistito fino al limite, ma era un<br />

escluso, un pària. A scuola nemmeno a parlarne: aveva<br />

preso un congedo per malattia. All’inizio, appena finito<br />

il dibattimento, pareva che dovesse trasferirsi, a Roma,<br />

a Torino, a Firenze, a Napoli. Chissà. Sta di fatto che da<br />

casa sua non si è mosso.<br />

Si vedeva di tanto in tanto, sempre solo. Saliva al Monte<br />

e si sedeva vicino alla fontanella dove si passa per andare<br />

alla statua.<br />

Però, anche lui!, se era innocente… Non lo so, provare<br />

a difendersi. Invece no. Zitto.<br />

Che sembrava un cane bastonato.<br />

Sfortunanto? Chi lo sa. A volte la sfortuna ce la cerchiamo.<br />

Non gli mancava nulla.<br />

Faceva quello che faceva, si sapeva. Insomma se non<br />

si sta attenti. Non era mica un ragazzino!<br />

Un uomo si vede in questi frangenti, dico io. Bastava<br />

parlare. Cercare un aiuto. Magari se si spiegava non dava<br />

adito a dubbi. Perché la gente, è inutile, certe domande<br />

se le fa. Non si può pretendere che tutti capiscano.<br />

E poi i parenti! Con la sorella che sembrava che le fosse<br />

crollata la casa. Non è che se ne possono occupare gli altri<br />

di queste cose.<br />

Pare che andasse in chiesa. Almeno è morto in grazia,<br />

nonostante tutto, che il Signore queste cose le capisce,<br />

questi momenti di debolezza.<br />

L’ha detto anche Don Passeri alla funzione, una predica<br />

che avrebbe fatto piangere anche le pietre: che era<br />

tornato all’ovile, che la debolezza l’aveva vinto proprio<br />

quando stava per raggiungere il traguardo, che non si è<br />

mica del tutto coscienti quando si fanno queste cose,<br />

quando si prendono queste decisioni.<br />

E comunque i parenti anche con i fiori al campo santo<br />

non è che si sprecano. Ma lì non credo che abbia problemi,<br />

ormai.<br />

Anche se la cosa è stata notata, è inutile far finta.<br />

Mio Dio, un errore si perdona a tutti; ma quella storia<br />

con le minorenni, insomma era una roba difficile da dimenticare.<br />

Da far finta.<br />

Anche se poi al processo le cose erano un po’ diverse,<br />

ma era segnato, il sospetto c’era.<br />

Perché due avevano ritrattato e ora chi le vede più in<br />

giro. Le hanno mandate fuori, a “studiare”.<br />

L’hanno lasciato solo, a rimuginare e lui era troppo<br />

orgoglioso per chiedere una mano.<br />

Comunque ha detto che partiva, che aveva bisogno di<br />

una vacanza.<br />

Di vedere posti nuovi. Li stava prendendo in giro.<br />

Non voglio dire, ma volendo si potevano accorgere di<br />

quello che gli stava passando per la testa. Si era organizzato.<br />

Aveva pensato tutto nei minimi particolari, aveva<br />

persino mandato la sorella a prenotare un albergo da<br />

qualche parte, all’estero comunque, e a pagare la caparra.<br />

Anche le valigie pronte le aveva fatto vedere. Questo<br />

per convincerla che era pronto a partire. Anche se il<br />

viaggio che voleva fare era un altro.<br />

E lei tranquilla, era sicura… Poi ha cominciato a<br />

preoccuparsi perché doveva essere partito da una settimana<br />

e nemmeno una telefonata: sto bene, sto male,<br />

crepa… Niente. Vabbé, dice, magari si sta divertendo<br />

finalmente, ha incontrato gente interessante. Poi, dieci<br />

giorni e niente, due settimane e niente. Così prova a<br />

chiamarlo a casa: nessuna risposta, segreteria telefonica.<br />

Ai venti giorni, che doveva essere ritornato, niente. Allora<br />

si decide ad andare all’agenzia, e lì le dicono che<br />

38 39


iglietti niente, conferma niente, insomma niente viaggio.<br />

Così l’hanno trovato quando erano passati venti giorni.<br />

E lo spettacolo non doveva essere bello a vedersi.<br />

È successo qui, proprio nella camera da cui vi sto parlando.<br />

Hanno rimbiancato immediatamente, anche tre passate<br />

di calce viva, perché pare che fosse tutto sporco, insomma,<br />

si capisce…<br />

Noi comunque l’abbiamo trovata perfettamente pulita…<br />

A dire il vero mio marito la casa non la voleva<br />

nemmeno comprare. Ma poi ci siamo detti: un’occasione<br />

del genere, quando ricapita.<br />

Sette<br />

…non riuscivo a rassegnarmi<br />

e continuavo a ringhiare<br />

contro chiunque mi si avvicinasse.<br />

Nicoletta Vallorani, La fidanzata di Zorro<br />

28 anni<br />

Alla fine ci sei riuscita!<br />

Gliel’hai fatta pagare in contanti, con gli interessi.<br />

Un numero imprecisato di pillole ingerite a fatica, che<br />

sembravano calce in gola, e acqua direttamente dal rubinetto<br />

del bagno, a sorsate avide per non sentire il sapore.<br />

Solo lo stomaco che brucia. Per la paura, s’intende. Il momento<br />

adatto… il gioco è fatto… il conto esatto.<br />

Sorridi, s’intende. Le rime ti hanno sempre fatto ridere,<br />

fin dalle elementari. Che già sembrava una concessione<br />

darti l’istruzione obbligatoria. Che già si diceva: tempo<br />

perso. Che già si preparava il terreno: apparecchia la<br />

tavola per i tuoi fratelli!<br />

Al centro del Mediterraneo, in bocca al terzo millennio:<br />

tempo perso. Che per i ragazzi, per i maschi, vale la<br />

pena. Che sono forza e famiglia. E schiatta che prosegue,<br />

cognome che si tramanda.<br />

Forse ci credevi anche tu. E zoppicavi con la grammatica.<br />

40 41


E diventava tutto difficile. Sarebbe stato perfetto, come<br />

era stato, ma la vita parlava un altro linguaggio, corretto<br />

senza strafalcioni. Diceva di grandi scienziate, attrici meravigliose,<br />

scrittrici, donne.<br />

Prepara la tavola per i tuoi fratelli. Che ti guardano<br />

appena. E si portano addosso mondi straordinari e raccontano<br />

storie piccanti a tavola per farti correre via in imbarazzo.<br />

A pensarci bene, non erano nemmeno loro, o quello<br />

che dicevano, il problema. Piuttosto tua madre che fingeva<br />

di rimproverarli e poi ti guardava alzando le spalle.<br />

La vita, figlia mia, poteva andare peggio, per fortuna<br />

i tempi sono cambiati… bisogna prendersi carico delle<br />

croci che ci dà il Signore.<br />

Per fortuna, ti ripeti guardando fuori dalla finestra.<br />

Un gatto si è accovacciato fra il muro e una scala di<br />

cemento, per sfuggire alla cattura dei ragazzini. Una<br />

bambina sta da parte, comincia a piangere. Per questo<br />

spalanchi la finestra gridi contro il cielo grigio, che sa di<br />

fumo. Si distraggono quanto basta perché la bestiola<br />

riesca a fuggire. Un attimo appena di sconcerto per le tue<br />

urla. Ma ci mettono un istante a capire e si voltano verso<br />

la tua finestra per ricordarti chi sei: la pazza cicciona!<br />

L’importante è che sia bastato per salvare il gatto.<br />

La bambina ha smesso di piangere.<br />

Ora scappa verso casa.<br />

Pazza cicciona! Bette grassa! Grassa che poledda! Prena<br />

che ovu!<br />

Ora tua madre è entrata in cucina, ancora odore di<br />

sugo ben cotto. Ora ti dice che non devi farlo più, che sei<br />

la vergogna della famiglia. Gridare a quel modo contro i<br />

ragazzini del vicinato. Che con i vicini non c’è mai stato<br />

niente! Che se sei proprio matta ti rinchiudono in manicomio!<br />

Deo chin su bichinau mancu punta ’e pilu!<br />

Si ses macca ti juchimus a Rizzeddu!<br />

Che sei la vergogna di quella casa onorata!<br />

Dallo specchio arriva l’immagine della pazza cicciona<br />

in tutta la sua strabiliante verità di cosce abrase a furia di<br />

sfregarsi l’un l’altra e polsi larghi come le mani e piedi<br />

che debordano dalle pantofole.<br />

Dallo specchio arriva l’immagine di un patetico fantoccio.<br />

Sotto la fronte, tentando di emergere dalle palpebre,<br />

gli occhi sono di un nero febbrile. L’abito è un camicione<br />

senza forme.<br />

Che cosa dice il medico?<br />

Bisogna costringerla a muoversi, deve fare gli esercizi,<br />

il cuore soffre…<br />

Nelle notti che non vogliono passare, tua madre veglia.<br />

Per aspettare qualcuno dei suoi eroi che ha fatto<br />

tardi. Ciondolando in cucina dove il mobile letto si lamenta<br />

ad ogni movimento della cicciona. Tanto lei<br />

quando dorme non la sveglia nessuno.<br />

Non è tanto il disturbo. È quell’ansia. Che si placa solo<br />

quando riconosce il rombo del motore o i passi. E sente<br />

dal respiro che il figlio di turno, un pezzo del suo futuro,<br />

un pezzo della sua carne, ha bevuto troppo. Si è riempito<br />

di vino facendo la Via Crucis tra un bar e l’altro.<br />

Non c’è niente da fare per i giovani qui. Itte poden<br />

fáchere. Ripete alle volte. Non si accontentano più, pensa<br />

fingendo di non accorgersi che il figlio, uno dei pilastri,<br />

traballa, che magari diventa violento.<br />

E non lo zittisce se lui alza la voce. Cand’ est bíbiu<br />

non cumprèndete su chi narat. Continui pure a biascicare,<br />

lasciamolo sragionare, che tanto la cicciona dorme,<br />

e quando dorme, la cicciona, non la sveglia nessuno.<br />

E poi agli sbronzi e ai pazzi si dà sempre ragione.<br />

Questo metti in conto.<br />

Le notti in bianco di tua madre. La sua cecità, che<br />

non vede i tuoi occhi spalancati.<br />

Oppure quando ti salutano a distanza, se ti salutano,<br />

perché sudi e puzzi.<br />

42 43


Oppure quando ti prendono in giro dicendo: hai perso<br />

qualche etto, hai il mignolo più magro; e tua madre li<br />

invita a tacere senza riuscire a trattenere una risata. E tuo<br />

padre che non esiste, se non per chiedere quale peccato<br />

abbia commesso per un simile castigo.<br />

Oppure la messa domenicale alle sei del mattino.<br />

Prima che arrivino tutti. Ca este birgonza.<br />

Oppure la pastiglia che ti hanno prescritto per non<br />

farti sentire la fame, che dopo mangi il doppio. Soldi<br />

sprecati.<br />

Cosa dice l’assistente sociale? Che bisogna farla uscire,<br />

costrigerla a confrontarsi col mondo.<br />

Ma il mondo non sembra migliore, non sembra affatto<br />

desideroso di confronti, con tre fratelli maschi disoccupati,<br />

che non c’è lavoro, che pure sarebbero disposti a<br />

fare di tutto.<br />

Che se non si sta attenti finiscono per diventare delinquenti.<br />

Ancora rime. Ancora sorridi<br />

Oppure quando tuo fratello maggiore ha messo incinta<br />

la sua ragazza. E dove li mettiamo, hanno bisogno<br />

della loro intimità sono giovani, con un bambino in arrivo…<br />

Hanno bisogno di una stanza loro. Ma lei dove la<br />

mettiamo. Tanto più con un bambino in casa…<br />

E l’assistente dice che ci sono degli istituti.<br />

E la madre chiede: chi ce lo paga un istituto?<br />

E l’assistente sociale sorride: si fa la domanda, ci penso<br />

io… L’invalidità civile, la pensione, l’accompagnamento…<br />

E il padre dice: va bene, spostiamo la cucina in tinello<br />

e gli facciamo la camera da letto agli sposini. Va bene<br />

spostiamo la cicciona in un istituto, e l’invalidità civile,<br />

e la pensione, e l’accompagnamento, e tutto il resto.<br />

Almeno una volta tanto sarà utile. Va bene tutto. Tanto<br />

va a stare meglio che qui. Lì c’è gente che la sa trattare.<br />

Così la notte diventava sempre più lunga. La pazza<br />

cicciona non dorme. Fa cigolare la branda del mobile<br />

letto come quel lamento che non riesce a fare con la<br />

bocca, con la gola. E il medico dice che bisogna darle un<br />

calmante e chiede se non si sia accorta di qualcosa, che<br />

c’è in vista un trasferimento. La madre alza le spalle:<br />

cosa vuole che capisca, dice, per lei un posto vale l’altro.<br />

Comunque l’insonnia non è un buon segno, insiste il<br />

medico, ha bisogno di un calmante.<br />

Altri soldi sprecati, pensa il padre. Tra quattro giorni<br />

va all’istiuto.<br />

Quattro giorni di notti fredde come le anticamere<br />

della neuro. E di fame che diventa un drago feroce che<br />

macina proteine e carboidrati e lipidi. E di fianchi che<br />

pesano come se ci fossero attaccati due agnelli sgozzati.<br />

Fino alla pensione, all’Istituto, ai permessi per passare<br />

le festività in famiglia.<br />

Ma solo per un anno. Trecentosessantacinque giorni.<br />

Qualche milione di secondi.<br />

Col libro mastro sempre stretto al braccio: dare, avere,<br />

crediti, debiti…<br />

La pagano, questa volta me la pagano…<br />

44 45


Otto<br />

Aveva tradito l’unica cosa che voleva immortalare e magnificare.<br />

Peter Handke, Storia con bambina<br />

27 anni<br />

Aveva tradito l’unica cosa che voleva immortalare e magnificare,<br />

così stavano le cose. Proprio così.<br />

Si era mosso in ritardo che era difficile essere lucidi<br />

in situazioni del genere. Non era pronto. Non si era preparato.<br />

E per troppo tempo aveva fatto finta di nulla. Di<br />

non accorgersi che i soldi sparivano dal suo portafogli.<br />

Che la ragazza cambiava, diventava nervosa all’improvviso,<br />

come se dovesse prendere un treno che partiva di lì<br />

a poco e avesse paura di perderlo.<br />

Quando aveva preso in mano le redini della situazione<br />

era troppo tardi.<br />

Chiuse il libro tenendo il dito indice nella pagina che<br />

stava leggendo. Il trambusto nella stanza di lei l’aveva<br />

distratto.<br />

Aveva tradito…<br />

Babbo fammi uscire, sto male, ne ho bisogno… cominciava<br />

a dire cose del genere ora. Non più scuse del<br />

47


tipo: ho un appuntamento; esco a prendere un po’ d’aria;<br />

vado per le sigarette…<br />

Ora no, ora sapevano entrambi qual’era il motivo,<br />

quale appuntamento, quale aria, quali sigarette.<br />

E allora lei prese a dire ne ho bisogno, è l’ultima<br />

volta, non posso uscirne di colpo, non ce la faccio, se mi<br />

vuoi bene non puoi chiedermi questo.<br />

Volerle bene! Non bastavano nemmeno le parole. Da<br />

quando era rimasto vedovo, sembrava poco dire voler bene.<br />

Tutto, bisognava dire. Sei tutto. Ti voglio bene? Il Bene<br />

sei!<br />

Allora si piegava, diceva che sarebbe stata l’ultima<br />

volta perché non la poteva vedere così, in quello stato,<br />

che povera figlia era finita in mano a chissachì, maledetti,<br />

assassini, delinquenti…<br />

Lì, in quel momento, aveva tradito.<br />

Tutti i principi più sani con i quali era cresciuto, se<br />

li stava bevendo come vinello fresco, tutte le promesse<br />

che aveva fatto alla moglie prima che se ne andasse gli<br />

si stavano spegnendo davanti agli occhi come lumicini<br />

senz’olio.<br />

E le chiedeva quanto occorreva.<br />

E lei rispondeva trecentomila. Così li aveva ritirati dal<br />

libretto di risparmio. Quello per l’avvenire. Quello che<br />

non si sa mai cosa può capitare. Con una cifretta messa<br />

da parte per il suo funerale e per questa figlia di ventisette<br />

anni, che non aveva ancora avuto l’occasione giusta,<br />

che aveva inciampato in una cosa più grande di lei,<br />

che denunciarla sarebbe stata la fine di tutto.<br />

Poi altre trecentomila e altre trecentomila e altre ancora.<br />

Fino a prosciugare il conto. Fino al mutuo.<br />

Proprio tornando dalla stipula se lo disse, con chiarezza:<br />

ho tradito. E ci volle poco per capire che sessantadue<br />

anni non erano abbastanza per dirsi adulti. Non se si<br />

diventava complici di una situazione tanto spaventosa.<br />

Una volta, che lei appariva particolarmente debole e<br />

disperata, aveva pensato persino di andarci lui, in qualche<br />

vicolo verso la città nuova, ma aveva avuto paura e<br />

la figlia diceva che no, che a lui non l’avrebbero data,<br />

che quella gente non si fidava di chi non conosceva, che<br />

così rovinava tutto.<br />

Così non è amare. Così non è amare, così non è amare,<br />

così non è amare, ripetè fino a che non sentì la testa girargli.<br />

Al suo ritorno dalla banca lei l’aveva accolto scodinzolante<br />

come un cane pastore. Li hai presi, i soldi?<br />

No. Semplicemente. No. Soldi non ce ne sono più.<br />

Allora lei si era rannicchiata nella sua camera a guaire.<br />

Non ce la faccio, è l’ultima volta, ti prego, se mi vuoi<br />

bene, disse per l’ultima volta.<br />

Ma lui aveva chiuso a chiave la sua stanza e si era messo<br />

la chiave in tasca. Aveva preso un libro e si era messo in<br />

poltrona.<br />

Dapprima silenzio totale, poi, in crescendo urla indistinte<br />

dalla stanza chiusa. Anche insulti. Cose che se fosse<br />

stata viva la madre… Per fortuna che se ne era andata.<br />

E la scrittura gli correva davanti agli occhi ostinata<br />

di lettere e frasi.<br />

Ancora silenzio dalla stanza. Due ore di silenzio assoluto.<br />

Babbo fammi uscire, sto male, ne ho bisogno… Aveva<br />

spezzato il silenzio e la concentrazione proprio su quella<br />

frase: Aveva tradito l’unica cosa che voleva immortalare e<br />

magnificare.<br />

Serrò gli occhi fino a farsi male. Mise la mano in tasca<br />

per sentire la consistenza della chiave. Si alzò, fece qualche<br />

passo verso la stanza, ora pareva che un ciclone stesse<br />

rivoltandone l’interno. Oggetti in frantumi, mobili in<br />

frantumi, vetri in frantumi. Tutta un’esistenza che si<br />

spappolava, senza un motivo, per un poco di polvere<br />

bianca, talmente candida da sembrare qualcosa di pulito.<br />

48 49


Ritornò a sedersi. Riprese a leggere.<br />

Che lei decidesse di farla finita definitivamente era<br />

un rischio che sapeva di correre.<br />

Nove<br />

Parole, qua e là, frasi che luccicavano come vele lontane<br />

lo tormentavano, ma non si avvicinavano mai<br />

Henry Roth, Chiamalo Sonno<br />

16 anni<br />

L’ho fatto perché è morto Senna. L’ho fatto perché mi<br />

vergognavo della mia faccia brufolosa che faceva schifo<br />

solo a guardarla.<br />

L’ho fatto perché l’insegnante di italiano mi avrebbe<br />

lasciato la materia a settembre col quattro. L’ho fatto<br />

perché l’ultimo film di Van Damme era una cagata.<br />

Perché le ragazze della mia età puzzavano di pesce e<br />

quelle più grandi, le donne, non mi rivolgevano la parola.<br />

Perché non ne potevo più di allisciare i lastroni del<br />

corso e vedere tutti i miei compagni che si sbaciucchiavano<br />

con le fidanzate ai Giardini.<br />

Perché non c’è più erba ai Giardini. Perché non avevamo<br />

la casa al mare e mio padre non mi faceva guidare il<br />

motorino. Perché mio padre non mi poteva comprare<br />

nemmeno la bicicletta. Perché non ho mai visto un<br />

concerto dal vivo. Perché alla televisione non c’era mai un<br />

cazzo. E la Nullese gioca nel campionato dei dilettanti. E<br />

50 51


c’erano quei pantaloni che mi piacevano da morire. E<br />

Vialli se n’è andato a giocare in Inghilterra. E non capivo<br />

un cazzo del programma sanitario locale. E avevo paura di<br />

finire all’ospedale, perché i miei non hanno neanche un<br />

parente medico. Non conoscono nemmeno un portantino.<br />

E c’è un numero impressionante di persone tranquille.<br />

L’ho fatto perché alle ultime elezioni non ci ho capito<br />

niente. Chi ha vinto, chi ha perso. Perché se anche avessi<br />

smesso di studiare sarebbe stato peggio. E non avrei<br />

avuto nemmeno la possibilità di fare concorsi. Perché<br />

non volevo fare concorsi. Alle Poste, al Consorzio, alla<br />

Forestale, All’Istituto Case Popolari.<br />

Perché abitavo in un bel quartiere prima che ci trasferissimo<br />

in questo posto di merda. Perché avevo un sacco<br />

di idee che non stavano né in cielo né in terra. E tutto<br />

quello che vedevo mi sembrava migliore di quello che<br />

avevo.<br />

L’ho fatto perché mi hanno messo al mondo per caso.<br />

Perché succedevano un sacco di cose che non conoscevo.<br />

E perché conoscevo più cose di quelle che sarei mai riuscito<br />

a fare. Perché entro poco mi avrebbero chiamato per la<br />

visita di leva. Perché odiavo il pane carasau e il formaggio<br />

marcio. Perché non sapevo una parola di sardo.<br />

L’ho fatto perché non c’era un cane che mi facesse capire<br />

chi ero o cos’ero. Se mai sono stato qualcuno o qualcosa.<br />

Perché non avevo un impianto Stereo. Perché non riuscivo<br />

a pensare a un altro posto dove vivere. E mi veniva<br />

una nausea al mattino presto che dovevo alzarmi a vomitare.<br />

E non sopportavo di dover rendere conto a tutto il<br />

parentato di quello che mi succedeva. L’ho fatto anche se<br />

poi, loro, hanno dovuto rendere conto a tutto il parentato<br />

di quello che ho fatto.<br />

E poi perché diversamente sarei stato costretto ad alzarmi<br />

nel cuore della notte e sgozzare tutta la famiglia,<br />

anche la nonna, mentre dormivano.<br />

Perché così non ce la facevo e non riuscivo ad aspettare.<br />

E tutto quello che avrei potuto aspettare era troppo<br />

lontano. E non sapevo dove andare. E probabilmente ero<br />

semplicemente nato nel momento sbagliato, nel posto<br />

sbagliato, nella famiglia sbagliata, con la testa sbagliata,<br />

la faccia sbagliata, il corpo sbagliato.<br />

L’ho fatto perché tanto non gliene frega un cazzo a<br />

nessuno. Di me e dei miei piedi puzzolenti e delle mie<br />

scarpe da ginnastica consumate e puzzolenti; del rasoio<br />

che mi sfregia; della maglietta con la pubblicità dell’officina;<br />

delle mutande che non mi cambio mai. Del fatto<br />

che le uniche cose che mi piacciono non esistono. E<br />

anche del fatto che se avessi conosciuto altre cose forse<br />

mi sarebbero piaciute anche se allora non le conoscevo.<br />

Del fatto che non c’è mai stato un momento della mia<br />

vita in cui mi sia sentito importante. Tranne quello. Nessun<br />

momento che mi ricordi. Tranne quello. Del fatto che<br />

ho sempre avuto la memoria debole e non ho mai avuto<br />

la pazienza di finire un libro. Nemmeno di iniziarlo, se<br />

è per quello.<br />

L’ho fatto perché i giorni mi scappavano e non riuscivo<br />

ad acchiapparli e si avvicinava il momento in cui non ci<br />

sarebbe stata nemmeno questa incertezza. Questo essere a<br />

posto se non eri a posto. Questo non avere responsabilità.<br />

Questo non dover lavorare. Questo non dover scopare.<br />

Ed ero sicuro, certissimo, che quando questo sarebbe<br />

avvenuto, sarebbe stato peggio per me.<br />

E non ne potevo più di vedere quelli della mia età fare<br />

progetti. Non ne potevo più nemmeno di vedere quelli<br />

della mia età nelle mie stesse, identiche, condizioni.<br />

Perché certi nascono col futuro in tasca. Altri no, evidentemente.<br />

L’ho fatto perché per un attimo ho sentito di avere<br />

un’anima, e questa non è una cosa buona. Perché a vederci<br />

ci ho sempre visto benissimo e quello che vedevo non<br />

era affatto bello. Perché non avevo mai nulla da raccontare.<br />

52 53


E se l’avessi avuto non sapevo a chi raccontarlo. E se avessi<br />

avuto qualcuno a cui raccontarlo mi sarebbero mancate<br />

le parole.<br />

L’ho fatto anche per una serie di motivi pratici, rendere<br />

la vita più facile a quelli che sono rimasti, liberare un<br />

posto che qualcuno potrebbe usare meglio di me, vedere<br />

quanta gente ci sarà al mio funerale, per apparire sui<br />

giornali, su Tele Isola, su Videolina, sui manifesti a Ugolìo<br />

e Istiritta, per smetterla di farmi le seghe, per smetterla<br />

di nascondere le riviste pornografiche, per farli sentire in<br />

colpa, per smettere di sentirmi in colpa.<br />

Perché tanto un posto vale l’altro e sarei stato comunque<br />

un fallito. Anche in Continente. Anche nel migliore<br />

posto della terra.<br />

Perché avevo le mani d’oro a disegnare e i miei disegni<br />

sono tutti nascosti sotto al letto. E io lo sapevo che<br />

ero bravo, ma quella non era una bravura che contava. E<br />

io lo sapevo che qualunque cosa decidessi di fare per il<br />

futuro non avrei saputo come farla e comunque non avrei<br />

saputo a chi rivolgermi per impararla.<br />

Perché sono tutti talmente distratti che non sanno<br />

nemmeno che sono già morti.<br />

Perché ero troppo vigliacco per bere o fumare o drogarmi<br />

o prostituirmi o iscrivermi ad un gruppo di canto o<br />

entrare a far parte di un gruppo di ballo o mettere il costume<br />

per la festa del Redentore o vincere il campionato di<br />

calcetto o andare alle presentazioni di libri sui bronzetti<br />

nuragici o avercela con gli olianesi o andare al Rally Bar<br />

tutte le sere o tagliarmi i capelli con lo scalino alla nuca<br />

o scrivere poesie o stuprare quella della quinta B che me<br />

la sognavo ogni notte o battere mio cugino a braccio di<br />

ferro o imparare a nuotare o mangiare patate in cappotto<br />

o ridere delle barzellette sporche o imparare l’algebra<br />

o entrare nella sezione migliore del mio Istituto o fare a<br />

cazzotti o scrivere racconti o appassionarmi per la raccolta<br />

delle figurine o partecipare ad un concorso a premi o<br />

misurare quanto ce l’avessi lungo o chiedere agli altri<br />

quanto doveva essere lungo o perdonare o smettere di<br />

pensare…<br />

54 55


Dieci<br />

Qualcuno potrebbe forse credere ch’ella amasse tuffarsi<br />

nei ricordi della sua felicità perduta; ma sbaglierebbe.<br />

Heimito von Doderer, I demoni<br />

40 anni.<br />

Non dovete pensare che fosse infelice.<br />

Lei stava bene.<br />

Solo coerenza, non infelicità.<br />

Era arrivato il momento.<br />

Tutto qui.<br />

Quello che voleva l’aveva ottenuto: l’intelligenza, la<br />

cultura, il rispetto. Tanto di cappello.<br />

Vittoria totale.<br />

Studi eccellenti. Laurea come bere un bicchier d’acqua.<br />

Posto fisso a nemmeno trent’anni.<br />

Responsabilità. Disponibilità. Impegno.<br />

Un aspetto accettabile, conta anche quello. Favorito,<br />

si intende, dalla cultura. Perché la cultura favorisce tutto.<br />

Persino a <strong>Nulla</strong>.<br />

L’aveva detto da subito. L’aveva giurato a se stessa che<br />

era poco più di una bambina.<br />

57


Oltre i quarant’anni non si passa.<br />

La morte le faceva meno paura della vecchiaia.<br />

Undici<br />

Profughi, anche loro, di razza e di risvegli, e di norme strane che<br />

fissano l’inverno da un balcone, uno per tutti, tutti per sé<br />

Stefano Tassinari, Ai soli distanti<br />

30 anni<br />

[boche]<br />

Il 16 Settembre dell’anno scorso chiese di incontrarla<br />

l’ultima volta. Era armato. Girava sempre armato perché<br />

era a rischio di sequestro. C’erano troppe cose da sistemare.<br />

Divisione dei beni, affidamento della bambina, avvocati<br />

ecc. ecc.<br />

Anche qualche spiegazione perché la situazione era<br />

messa in modo tale che per tre mesi non si erano visti, e<br />

per due settimane non si erano nemmeno sentiti per<br />

telefono. E lui non aveva pace. Di nuovo in casa della<br />

madre dopo dieci anni di matrimonio. Aveva lavorato<br />

come un pazzo per tutti. Troppo buono, troppo generoso:<br />

se ne approfittavano. Era pieno di idee, uno intraprendente.<br />

Ma in questo posto c’è chi fa e chi mette i<br />

bastoni fra le ruote. Per invidia. Il Peccato più diffuso. Lo<br />

sport cittadino. Comunque l’aziendina andava bene. Si<br />

era fatto un nome. La moglie era una regina per lui e la<br />

58 59


figlia non sapeva dove metterla. Tutto gli sembrava poco<br />

per quella bambina.<br />

All’inizio il matrimonio non era stato ben visto dalla<br />

famiglia di lui perché si era scelto una donna troppo<br />

indipendente. Una di quelle che vogliono fare tutto di<br />

testa loro. Aveva manie da gran signora, ma di stare a casa<br />

nemmeno a pensarci. Così lui assume una domestica,<br />

almeno trova un pasto caldo quando torna e un paio di<br />

calzini puliti, o una camicia stirata. Perché lei, la moglie,<br />

un ferro da stiro non sa nemmeno come sia fatto, e in cucina<br />

solo scatolette.<br />

Del resto è una che lavora, come ripete sempre, che<br />

vuole la sua libertà e che marito e moglie hanno gli stessi<br />

diritti. E doveri aggiunge lui, talmente stanco dopo<br />

una giornata di lavoro che non ha nemmeno voglia di<br />

discutere.<br />

Tutte le volte che lui dice: al diavolo tutto, andiamo<br />

a cena fuori, lei se n’esce con una scusa: che non ha niente<br />

da mettersi, che ha mal di testa, che è troppo stanca,<br />

che sta facendo la dieta.<br />

Poi la mattina dopo le è passato tutto, bella come il<br />

sole, pronta per andare al lavoro che è l’unica cosa che le<br />

interessa, tutta truccata, tutta elegante. Per fare bella figura<br />

con i colleghi, tutti maschi.<br />

Anche per la bambina, subito all’asilo. Mandiamola a<br />

tre anni dice lui, ma lei non ne vuol nemmeno sentire: devo<br />

mettermi in aspettativa, e poi chi mi sostituisce ecc. ecc.<br />

Tua figlia sarà più importante, insiste lui.<br />

Non la voglio viziare. I bambini crescono meglio se<br />

vanno all’asilo da subito. E poi voglio difendere la mia<br />

autonomia. La mia carriera, io ci tengo, non voglio dipendere<br />

da nessuno, nemmeno da te, sono fatta così, lo<br />

sapevi quando mi hai sposato.<br />

Va bene, dice lui, come vuoi.<br />

Perché l’amava, era come un ragazzino davanti alla<br />

moglie.<br />

Era diventato lo zimbello di tutti: appena poteva,<br />

appena aveva un pomeriggio libero, l’andava a prendere<br />

lui, la bambina. Con tutte le mamme che dicevano: che<br />

padre affettuoso, che uomo sensibile.<br />

Troppo buono. Paziente fin da piccolo. Riflessivo e<br />

generoso.<br />

In famiglia mai un lamento, con la madre, con la<br />

sorella non diceva niente. Ma loro lo vedevano sempre<br />

più triste. Problemi di lavoro, tagliava corto lui, perché<br />

non voleva ammettere che aveva perso la testa per una<br />

donna sbagliata.<br />

Lei a vederla sembrava sempre pronta per una cerimonia,<br />

mai un capello fuori posto, mai una calza smagliata,<br />

mai senza trucco. Sempre altera, sempre sgarbata quando<br />

si rivolgeva al marito. Sempre a dire che lei era in grado<br />

di mantenersi da signora e che non gli doveva niente.<br />

Ti mantengo io come una regina, diceva lui, non hai<br />

bisogno di lavorare. Cambiamo discorso, diceva lei, se<br />

non vogliamo bisticciare.<br />

E lui si stava zitto per non fare scandali davanti alla<br />

gente o in presenza della bambina. Ma lei non evitava<br />

mai, quando poteva una stoccatina non gliela risparmiava,<br />

su come era vestito, su quanto spendeva, sul fatto che<br />

non era mai in casa.<br />

Era così: voleva tutti ai suoi piedi, figurarsi il marito.<br />

E la bambina era viziata lo stesso, nonostante l’asilo ed<br />

era influenzata dalla madre. Gliela metteva contro a quel<br />

poverino. Tutta dalla parte di lei, tutta nonna Agnese e<br />

nonno Giuseppe. Gli altri nonni, i genitori di lui, come<br />

se non esistessero.<br />

Non si poteva andare avanti. Lui cominciò a fare sempre<br />

più tardi la sera. Tornare a casa era un inferno. Gli<br />

capitava persino di farsi qualche bicchiere di troppo.<br />

Aveva fatto quello che lei si aspettava che facesse. Infatti<br />

coglie l’occasione per trasferirsi a dormire in un’altra<br />

stanza e gli impedisce di vedere la bambina. Lui non<br />

60 61


capisce che ogni volta che prova a protestare, che alza la<br />

voce, che si lamenta, il cappio gli si sta stringendo in gola<br />

sempre più.<br />

Così una notte torna a casa. Sobrio. Sono le due di<br />

notte. E comincia a far caldo perché l’estate è alle porte.<br />

Senza far rumore socchiude la stanza della bambina:<br />

dorme come un angelo. Poi si ritira in camera sua. È un<br />

uomo giovane, ha le sue esigenze, quella notte non riesce<br />

proprio a rassegnarsi. Così, senza bussare, va verso la<br />

camera degli ospiti dove si è trasferita la moglie, entra<br />

nel suo letto, l’abbraccia. Lei si sveglia d’improvviso con<br />

lo sguardo terrorizzato, sono io, dice lui, avevo bisogno<br />

di abbracciarti, avevo bisogno di affetto. Lei schizza fuori<br />

dal letto come se ci fosse uno scorpione, fuori, urla, alcolizzato,<br />

urla, vai con qualcuna delle tue puttane, urla,<br />

non ce n’erano di disponibili, chiede.<br />

Lui fa per alzarsi, ma lei: non toccarmi, urla, mi fai<br />

schifo, urla. E corre a rinchiudersi nella camera della<br />

bambina.<br />

La mattina dopo non c’è più nessuno con cui spiegarsi.<br />

Verso mezzogiorno arriva il padre di lei, nonno Giuseppe,<br />

per prendere qualche cambio.<br />

Questo non lo dovevi fare, dice al genero, sei un farabutto.<br />

Se vuole la roba ditele che venga a prendersela lei,<br />

dice lui strappando di mano al suocero la borsa con gli<br />

indumenti.<br />

Sei un farabutto, ripete quell’altro.<br />

Lei al telefono si fa negare e anche la bambina all’asilo<br />

non la mandano per non fargliela vedere.<br />

Così la madre di lui, nonna Giustina, col cuore in<br />

mano, va a casa di nonna Agnese, la madre di lei. Vogliamo<br />

sistemarla questa faccenda, dice, non sarà la prima né<br />

l’ultima famiglia in cui succedono incomprensioni, il nostro<br />

dovere è quello di buttare acqua sul fuoco.<br />

Ma lei, la figlia, non ne vuol sapere di tornare a casa dal<br />

marito, ormai ha ottenuto quello che voleva, l’ha spremuto<br />

come un limone.<br />

Dille che vado dall’avvocato, dice alla madre.<br />

Va dall’avvocato, ripete nonna Agnese a nonna Giustina,<br />

il torto è stato troppo grosso.<br />

Sei peggio di tua figlia, risponde nonna Giustina, non<br />

riesci nemmeno tu a farla ragionare figurati se ci riesce<br />

mio figlio, faccia Dio quello che vuole fare. E se ne va.<br />

Ma non ha cuore di tornare a casa perché la notizia che<br />

deve dare al figlio non è buona. Non è buona per niente.<br />

Comunque con la voce che le trema gli dice che lei<br />

vuole la separazione.<br />

A lui sembra che gli abbiano tirato una pugnalata. Separazione,<br />

ripete, separazione, separazione, separazione…<br />

Figlio mio, nonna Giustina cerca di non piangere,<br />

fattene una ragione, sei giovane, sei un bell’uomo, hai un<br />

avvenire sicuro, non ti manca niente.<br />

Io senza quella donna sono morto, dice lui e ha veramente<br />

la faccia da cadavere quando lo dice. Io senza quella<br />

donna sono morto.<br />

Poi due mesi d’inferno. Tra il caldo, gli incendi, le<br />

discussioni, gli avvocati, la bambina a orari fissi.<br />

Lui non c’è più con la testa. Si è lasciato scappare due<br />

o tre contratti importanti, ma non gliene importa niente.<br />

Non si fa la barba, si trascura, mangia poco, esagera<br />

col bere, sfiorisce, è l’ombra di se stesso, fa lo sbruffone<br />

perché non si capisca quanto soffre. Si fa vedere in giro<br />

con qualche ragazza per far ingelosire la moglie. Questo<br />

pensa lui, ingenuo. Dice che sta bene, dice che non è mai<br />

stato così bene…<br />

Così fino al 9 settembre dell’anno scorso, quando la<br />

rivede, per la prima volta dopo tre mesi.<br />

Bella, questo bisogna dirlo, bellissima come una maledizione.<br />

Lei non vuol parlare. Parla con l’avvocato, gli<br />

dice quando lui tenta di rivolgerle la parola. È come un<br />

cane bastonato, prostrato da mesi di sofferenze e di fin-<br />

62 63


zioni. Scoppia a piangere, le chiede di perdonarlo, arriva<br />

a giurare che cambierà. Parla con l’avvocato, ripete lei.<br />

Così nonna Giustina, a capo scoperto torna da nonna<br />

Agnese, così mi muore il ragazzo, me lo volete uccidere,<br />

convinci tua figlia ad incontrarlo, implora, e io ti assicuro<br />

che sarà l’ultima volta.<br />

Siete stati felici, dice nonna Agnese alla figlia, e avete<br />

avuto un tesoro di bambina, mettiti una mano sulla<br />

coscienza, dice, parlatevi un’ultima volta, se lo tieni sulla<br />

graticola in questo modo non te lo stacchi più.<br />

E si arriva al 16 Settembre.<br />

C’è caldo, ma lui è talmente emozionato che sente<br />

freddo, ha i brividi che gli corrono lungo la schiena, ha<br />

la febbre. Pensava di avere tante cose da dire alla moglie,<br />

ma quando se la trova davanti non ha parole.<br />

Si incontrano in cortile nel retro della villetta unifamiliare,<br />

perché lei non vuole entrare a casa dei suoceri.<br />

Lei è arrivata per prendere la bambina, che era stata<br />

dai nonni paterni, dice che non è andata per lui.<br />

Ma sei venuta tu, dice lui, non hai mandato tuo padre,<br />

e sorride come non gli capitava tanto tempo, con<br />

una dolcezza che stringe il cuore.<br />

Hai freddo, lo prende in giro lei con una voce che è<br />

una lama, vedendo che porta una giacca pesante.<br />

Non sto bene, ammette lui, senza di te sono morto, dice.<br />

Ti manca la serva, pugnala lei tenendosi a distanza.<br />

Sono perduto, dice lui trattenendo le lacrime, non<br />

mi importa niente di niente torna con me, che futuro<br />

vuoi dare a nostra figlia.<br />

Te ne occupi adesso di tua figlia, dice lei, un po’ troppo<br />

tardi.<br />

Ma lui avanza verso di lei tendendo le braccia, che cosa<br />

devo fare, chiede, devo pregarti in ginocchio, e si inginocchia.<br />

Lei fa un balzo indietro, fai schifo, dice, un po’ di orgoglio,<br />

nemmeno quello ti è rimasto.<br />

Così il mondo gli crolla addosso, non è nemmeno<br />

sicuro di aver sentito bene, sente solo la pistola che gli<br />

preme sul fianco, l’afferra senza nemmeno pensare, se la<br />

punta al petto.<br />

Lei capisce quello che vuol fare gli si avventa contro,<br />

questo no, urla, questa soddisfazione non te la togli, non<br />

davanti a me.<br />

Il primo colpo le squarcia la coscia ma lei non molla<br />

la presa. Lui è come impazzito. Parte un altro colpo questa<br />

volta lei indietreggia, ha il collo inondato di sangue<br />

scuro. Traballa all’indietro per qualche metro cercando<br />

di tamponarsi la gola con entrambe le mani, ha nel viso<br />

un’espressione seccata come se non avesse previsto quello<br />

che le è capitato, come se considerasse impossibile una<br />

simile disperazione, così capisce che era possibile. Capisce<br />

fino a che punto lui l’ha amata proprio mentre cade<br />

a terra.<br />

Più che gli spari, che sembrano ballettate di cacciatori<br />

nella campagna vicina, è l’urlo di lui che fa accaponare<br />

la pelle. Che fa interrompere i lavori. Che fa affacciare<br />

nonna Giustina e la fa correre come una ragazzina giù<br />

nello spiazzo davanti ai garages. Quell’urlo. Qualcosa di<br />

mai sentito, qualcosa che l’atterrisce, qualcosa che già le<br />

ha tolto il sonno per il resto dei suoi giorni. La vecchia<br />

arriva in cortile che respira a fatica. Si rende conto che<br />

l’ineluttabile è lì sbattuto a terra, ai suoi piedi. E ha la<br />

forma di un pupazzo senza volto. Lo sa riconoscere l’ineluttabile,<br />

le chiude la gola in un gorgoglio balbettante,<br />

le avvolge la testa come uno straccio bagnato. Poi lo vede<br />

quel puledro scalpitante che ha messo al mondo, come se<br />

solo allora l’avesse riconosciuto, gli avesse dato un nome<br />

e un cognome, una paternità e una maternità.<br />

Figlio mio, riesce ad articolare.<br />

Lo vede brancolare con la pistola in mano come se non<br />

sapesse dove puntarsela.<br />

Poi un ultimo sparo.<br />

64 65


[contra]<br />

Si lasciò convincere, perché era una persona senza malizia.<br />

E aveva sofferto, ma aveva fatto quello che aveva<br />

fatto: valige, trasferimento, separazione, avvocati ecc. ecc.,<br />

per la bambina. Il 16 Settembre dell’anno scorso, nonostante<br />

il parere contrario del suo avvocato andò di persona<br />

a riprendere la figlia dalla casa dei suoceri pur sapendo<br />

che c’era anche lui.<br />

Si è lasciata convincere dalla madre, mettiti una mano<br />

sulla coscienza, le ha detto, parlatevi un’ultima volta,<br />

non è da cristiani tutto questo astio, anche se non è stato<br />

un buon marito questo glielo devi.<br />

E lei c’è andata. Con tutte le buone intenzioni possibili,<br />

cercando di dimenticare gli anni d’inferno che lui le<br />

aveva fatto passare.<br />

Fortunatamente non aveva smesso di lavorare, neanche<br />

dopo la nascita della bambina, perché con la gestione<br />

allegra del denaro di lui ci sarebbe stato poco da stare<br />

allegri. Diceva che era sfortunato, che ce l’avevano con<br />

lui perché era uno che ci sapeva fare. Ma a <strong>Nulla</strong> c’erano<br />

troppi invidiosi. Gente che lo ostacolava per invidia,<br />

diceva. Lo sport cittadino. Il peccato più diffuso. Comunque,<br />

prometteva, è una crisi passeggera, ho un paio di<br />

questioni in ballo.<br />

Intanto lei pagava le tratte con i suoi risparmi, per<br />

non fare scandali.<br />

Gli aveva voluto bene, l’aveva amato. Aveva superato<br />

prove terribili prima del matrimonio, proprio per il<br />

matrimonio a cui si opponevano i genitori e la sorella di<br />

lui. Perché lei non sembrava abbastanza degna di quel<br />

fiore carnoso e un po’ selvatico di figlio e di fratello. Ammettevano<br />

che sì per essere bella era bella. Ma la bellezza<br />

dicevano, non basta. Non è massaia, dicevano. Eppure<br />

lo sapevano che campione avevano allevato. Abituato<br />

bene a farsi fare tutto, ad avere le schiave per casa, incapace<br />

di friggersi un uovo, troppo signore per dare una<br />

mano in cucina, troppo maschio per portare i calzini fino<br />

al cesto della biancheria sporca.<br />

Non sono la tua domestica, abbiamo gli stessi diritti,<br />

le aveva detto una volta.<br />

Non vorrai che mi metta a fare le faccende, aveva risposto<br />

lui, non vorrai che mi faccia ridere dietro da tutti.<br />

Se vuoi una domestica te la paghi, aveva detto lei.<br />

Ma si alzava lo stesso all’alba per preparare tutto prima<br />

di entrare in servizio e teneva la casa come un gioiello.<br />

La bambina poi non c’era niente che potesse bastare<br />

per lei. Non c’era sacrificio che non avrebbe affrontato<br />

per quella creatura.<br />

Lui la viziava e basta per quel poco che la vedeva. Ma<br />

la maggior parte delle volte non voleva essere disturbato,<br />

e mai una notte che si fosse alzato se lei chiamava. Che<br />

rottura, diceva, questi sono tutti i vizi che le hai dato,<br />

diceva, se dipendesse da me: un paio di sculaccioni…<br />

Insisteva che con la nascita della bambina si erano<br />

isolati, che non uscivano più. Perché lui era uno da uscite,<br />

bevute, amici, carte ecc. ecc.<br />

Quando lei rispondeva di no, che non si poteva fare le<br />

ore piccole tutte le notti, che non si poteva affidare la<br />

bambina sempre ai nonni, lui sbottava, soffoco, urlava,<br />

mi hai messo il guinzaglio, urlava, ho bisogno d’aria.<br />

Lui la portava con sé solo perché faceva figura e si<br />

faceva grosso con gli amici perché aveva la moglie bella.<br />

La voleva sempre perfetta senza un capello fuori posto, le<br />

sceglieva i vestiti e le scarpe, per quello non badava a<br />

spese. Lei si prestava, per il quieto vivere e la mattina<br />

dopo arrivava in ufficio con certe occhiaie.<br />

Smetti, diceva lui, smetti di lavorare, mi fai fare la<br />

figura del mantenuto, sembra che non riesco a camparvi<br />

col mio lavoro.<br />

Ma lei con quel pensiero fisso dei debiti come poteva<br />

fare. Anche dopo il periodo di maternità aveva pensato<br />

seriamente di mettersi in aspettativa per restare a casa<br />

66 67


almeno fino al secondo anno della bambina. E lui macchina<br />

nuova, telefono cellulare e altro.<br />

I bambini hanno bisogno di stare con gli altri bambini,<br />

si diceva lei, non me lo posso permettere di perdere<br />

il settanta per cento dello stipendio.<br />

Così la iscrisse al nido. E anche lì storie. Perché secondo<br />

lui non stava bene, non era onorevole, farsi vedere all’asilo,<br />

con tutte le mamme, per prendere la bambina nel<br />

pomeriggio.<br />

Se non puoi passare a prenderla la lasciamo lì, disse lei<br />

una volta. Ma si era già messa d’accordo con sua madre,<br />

nonna Agnese, perché fosse pronta all’occorrenza. Così lui<br />

andò a prenderla, ma quando la riportò a casa la bambina<br />

era talmente spaventata che si nascondeva ogni volta che<br />

lo sentiva rientrare.<br />

In pubblico no, in pubblico era tutto baci e abbracci.<br />

Bella moglie, bella figlia, marito modello.<br />

Sempre a vantarsi. Per il patrimonio, persino per la<br />

pistola che si era dovuto comprare, perché l’avevano minacciato<br />

di sequestro, diceva, così tutti pensavano che aveva<br />

soldi a palate.<br />

Faceva lo sbruffone. La mantengo come una regina, diceva,<br />

le pago anche la domestica, diceva. Glielo detto mille<br />

volte di smettere di lavorare. Lei abbassava gli occhi.<br />

Cambiamo discorso, diceva, agli altri non interessano queste<br />

cose.<br />

Era così: un bambino di trent’anni, abituato a comandare,<br />

viziato dalla madre e dalla sorella che gli tappavano<br />

molti buchi in banca, e lo coprivano quando diceva<br />

di essere in certo posto e invece era dall’amica di<br />

turno. Come se lei non l’avesse capito da tempo. Lui<br />

rientrava sempre più tardi, si contraddiceva, aveva l’alito<br />

che sapeva di alcol, la camicia abbottonata male, una<br />

volta.<br />

Per la suocera lei e la bambina non esistevano, qualche<br />

regalo per Natale e le altre feste comandate, un<br />

pomeriggio di tanto in tanto per il dovere e era finita.<br />

Per il resto contava solo quel campione di figlio. Per la<br />

sorella di lui, lo stesso.<br />

Intanto a casa è l’inferno, un fracasso continuo ogni<br />

volta che torna sbronzo e la tira giù dal letto perché deve<br />

guardare la televisione in camera.<br />

Ho bisogno di riposare, dice lei.<br />

Sei un’ospite, questa è casa mia, vattene nella stanza<br />

degli ospiti se vuoi dormire io voglio vedere la partita in<br />

notturna, risponde lui, sono tornato apposta, puntualizza.<br />

E lei si trasferisce nella stanza degli ospiti. Lo capisce<br />

che è finita ma non vuole fare scandali. Non vuole<br />

ammettere l’errore di una vita.<br />

Così una notte lo sente rientrare. Ha bevuto come al<br />

solito. Lo sente armeggiare in cucina, versarsi ancora da<br />

bere. Non sono passati cinque minuti che ha spalancato<br />

la porta della stanza degli ospiti. Così ti piace fare la<br />

civetta con i colleghi, dice con voce impastata.<br />

Lei aggrotta le sopracciglia, non capisce.<br />

Non fare finta di niente, lo sanno tutti che fai la troia<br />

in ufficio, urla.<br />

Lei si alza cerca di farlo tacere. Svegli la bambina, dice.<br />

Ma lui non smette. Meglio, così sente anche lei che<br />

la madre è una bagassa.<br />

Hai bevuto. Dice lei. È l’alcol che hai in corpo che ti<br />

fa vaneggiare.<br />

Ma lui niente. Cos’è non ti basto più, urla, non lo so<br />

fare il mio dovere, urla, non l’ho fatto abbastanza bene,<br />

urla, e tenta di sbottonarsi i calzoni. Barcolla in avanti,<br />

lei si sporge per parargli la caduta.<br />

E lui colpisce, con la mano piena sul viso. Lei non sente<br />

nemmeno dolore. Le mani addosso no, dice, a questo non<br />

c’eri ancora arrivato.<br />

Lui l’afferra per il braccio, è fuori di sé, la costringe<br />

con la mano sul cavallo dei suoi calzoni. Non ti basta<br />

uno, urla. E stringe il braccio di lei come se volesse spez-<br />

68 69


zarlo. Avanti, se non ti fa schifo quello di tuo marito,<br />

avanti, urla lui sollevandole la camicia da notte. Lui ha<br />

un furore negli occhi una bestialità che la spaventano.<br />

Lei è quasi inerme presa in una lotta che non capisce. Per<br />

questo ti piace tanto andare a lavorare, insiste lui. Ma ha<br />

i riflessi rallentati.<br />

Il pianto della bambina in piedi nella stanza degli<br />

ospiti blocca tutto. Lei si divincola con uno scatto, corre<br />

ad abbracciare la bambina.<br />

La mattina dopo ha già deciso.<br />

Sei un farabutto, dice nonno Giuseppe, il padre di lei<br />

che è venuto a ritirare qualche cambio verso mezzogiorno.<br />

Lui si è appena svegliato, non si è nemmeno accorto<br />

che la moglie e la figlia mancano da casa e sì che è sabato.<br />

Ma ci mette un attimo a capire e collegare tutto. Corre<br />

incontro al vecchio e gli strappa di mano la borsa con gli<br />

indumenti. Se vuole la sua roba che venga lei a prendersela<br />

quella bagassa di vostra figlia, urla.<br />

Sei un farabutto, gli risponde il vecchio con un filo di<br />

voce, se avessi qualche anno di meno… Ma non finisce la<br />

frase che lui con una spinta l’ha già messo alla porta.<br />

Per tutta la settimana successiva il telefono sulla scrivania,<br />

nell’ufficio di lei, non smette di squillare. Sono<br />

stato uno scemo, dice. Smetto di bere, promette. Ti ammazzo,<br />

minaccia.<br />

Torna a mangiare da sua madre, che lo coccola e da<br />

sua sorella che lo consola, gli stira le camicie, gli lava i<br />

calzini. Chi se ne frega, dice lui, ne trovo cento, a ogni<br />

angolo di strada ne trovo, dice.<br />

Allora la madre e la sorella fanno un consulto: è una<br />

vergogna troppo grande, concludono, bisogna intervenire.<br />

Così la madre di lui, nonna Giustina, va a casa di<br />

nonna Agnese, la madre di lei. Vogliamo sistemarla questa<br />

faccenda, dice, non sarà la prima né l’ultima famiglia<br />

dove capitano incomprensioni, il nostro dovere è di buttare<br />

acqua sul fuoco.<br />

È già andata da un avvocato Giustina, dice nonna<br />

Agnese tamponandosi gli occhi pieni di lacrime con un<br />

fazzoletto che ha sfilato dal polsino della blusa. Le mani<br />

addosso. Si lamenta.<br />

Nonna Giustina alza le spalle, se me ne fossi andata di<br />

casa tutte le volte che ho preso uno schiaffo da mio marito,<br />

dice, i giovani di adesso non sopportano più niente,<br />

conclude.<br />

Mio marito non ha mai alzato le mani contro di me,<br />

afferma risentita nonna Agnese, e se l’avesse fatto una volta<br />

non l’avrebbe fatto la seconda, conclude.<br />

Nonna Giustina allarga le braccia, allora non c’è più<br />

niente da dire, faccia Dio quello che vuole fare. E se ne va.<br />

A casa nuovo consulto. Si è messa l’avvocato, annuncia<br />

nonna Giustina a lui e alla sorella. Chiede la separazione.<br />

Che faccia, sbotta lui, la sputtano davanti a tutti, la faccio<br />

apparire per quella troia che è, tutti lo devono sapere.<br />

E non speri di tenersi la bambina, dice la sorella.<br />

E lo scandalo, chiede nonna Giustina, bisogna piegarsi,<br />

dice, per lo scandalo, questa faccenda bisogna ricomporla,<br />

perché così è una vergogna, finire sulla bocca di<br />

tutti, non finché io sono viva. Hai le tue ragioni figlio<br />

mio, ma questo lo devi fare per me.<br />

E dargliela vinta a quella là, chiede la sorella.<br />

Statti zitta, nonna Giustina è contrariata, si fa come<br />

dico io e tu la smetti, ordina alla figlia, c’è più tempo che<br />

vita.<br />

Cosa devo fare, chiede lui…<br />

Così il 9 Settembre alla prima udienza lui si presenta<br />

che sembra un cucciolo abbandonato, si mette a piangere,<br />

chiede di perdonarlo, arriva a giurare che<br />

cambierà. Nonna Giustina approva col capo.<br />

Non posso parlare, dice lei con un filo di voce, non<br />

farmi questo.<br />

Il giorno dopo ecco nonna Giustina che bussa a casa<br />

di nonna Agnese, così mi muore il ragazzo, me lo vole-<br />

70 71


te uccidere, convinci tua figlia ad incontrarlo, implora e<br />

ti assicuro che sarà l’ultima volta.<br />

Nonna Agnese quella notte non riesce a dormire,<br />

siete stati felici, dice il giorno dopo alla figlia, e avete<br />

avuto un tesoro di figlia, mettiti una mano sulla<br />

coscienza, dice, parlatevi un’ultima volta, anche se non<br />

è stato un buon marito questo glielo devi.<br />

Non se ne parla nemmeno, dice l’avvocato, è un errore,<br />

dice.<br />

Glielo devo, dice lei, è il padre di mia figlia.<br />

E si arriva al 16 Settembre.<br />

C’è ancora caldo.<br />

Si incontrano in cortile<br />

Lui si presenta con indosso una giacca pesante nel retro<br />

della villetta unifamiliare, come d’accordo per parlare.<br />

Hai freddo, chiede lei per rompere il ghiaccio.<br />

Per me non c’è niente da dire, aggredisce lui, ho ricevuto<br />

un torto troppo grosso, se sono qui non è certo per<br />

la tua bella faccia.<br />

Allora, se non c’è niente da dire, prendo la bambina<br />

e vado, taglia lei.<br />

Bella figura che mi hai fatto fare, lui ha un tono che<br />

mette paura.<br />

Non è vero, replica lei, lo sai che non è così.<br />

Lo zimbello di tutti sono diventato, che mi ridono<br />

dietro.<br />

Lei scuote il capo, è questo il problema, chiede.<br />

Lui sta tremando, non ci pensi a tua figlia, chiede,<br />

non ti lascio nemmeno lacrime per piangere, se mi fai<br />

questo, ti ammazzo.<br />

Le scappa un sorriso di incredulità, fammi passare,<br />

dice, ci pensi adesso a tua figlia, chiede, prima ci dovevi<br />

pensare.<br />

Lui tenta di bloccarla ma lei fa un balzo indietro.<br />

Non hai cuore, dice lui, fa il patetico, a me non ci pensi,<br />

alla situazione in cui mi hai messo davanti a tutti, urla.<br />

Sei tu che ti sei messo in questa situazione, tenta di<br />

concludere lei e riprova ad avanzare, ero pronta a tutto,<br />

disposta a tutto per te, ma ora è finita, mi sono svegliata,<br />

la serva si è licenziata.<br />

Cosa dovrei fare, mettermi in ginocchio, chiederti di<br />

restare, io lo faccio per mia madre, sia ben chiaro, perché<br />

questa faccenda la dobbiamo risolvere da persone civili,<br />

senza fare scandali e senza avvocati di mezzo, che quella<br />

povera donna deve passare una vecchiaia serena.<br />

Lei non risponde fa un altro passo avanti. Ha la sua<br />

vita in frantumi che le scorre davanti agli occhi in un<br />

secondo come se stesse per affogare. Finiamola, implora,<br />

non dovevo venire.<br />

Allora risolviamola come dico io, la questione urla<br />

lui. Ha una pistola in mano. Gliela punta contro. Se non<br />

si può risolvere diversamente allora finisce male, urla, il<br />

cornuto tutta la vita non lo faccio, io voglio camminare<br />

a testa alta.<br />

Lei rimane impietrita come una lepre davanti ai fari<br />

di una macchina. Per questo ti sei messo la giacca, capisce,<br />

per nascondere la pistola.<br />

Il primo sparo con la mano di lui che trema di rabbia<br />

la colpisce all’anca. Lei cade a terra per la sorpresa e per<br />

il dolore, ha gli occhi intorpiditi, ma lo vede avanzare<br />

sopra di lei, finisce come dico io, dice con voce calmissima<br />

e le spara di nuovo, sul viso.<br />

L’urlo di nonna Giustina che è corsa in cortile pare<br />

che lo svegli, cosa hai fatto figlio mio, sta gridando. Lo<br />

scavalca si butta sul corpo di lei, l’hai fatto impazzire,<br />

continua gridarle mentre sta morendo.<br />

Lui non si è mosso come se non avesse capito quello<br />

che è successo, sente in lontananza la madre che invoca<br />

Dio e tutti i Santi. Il futuro gli scorre davanti con una<br />

precisione allucinante di espiazione, guarda la pistola<br />

che ha in mano, la fissa per un tempo interminabile. Gli<br />

resta appena un istante per vedere la madre che gli corre<br />

72 73


incontro, un’altra frazione di secondo per sentire la canna<br />

della pistola ancora calda sulla tempia.<br />

Poi un ultimo sparo.<br />

[mesu boche]<br />

…<br />

Dodici<br />

Se nulla dura, nemmeno la fine allora.<br />

Gian Luca Favetto, Il versante accogliente dell’ombra<br />

20 anni<br />

Condannato in prima istanza. Condannato in Appello<br />

senza riduzione della pena, né riconoscimento delle<br />

attenuanti.<br />

Elementi nuovi, diceva l’avvocato, questo caso si può<br />

riaprire, puoi cominciare col dire chi era il tuo complice.<br />

E chi ci credeva, che si potesse riaprire.<br />

Si distese sul letto, allungandosi come un gatto.<br />

Figurarsi, si disse, riaprono il caso…<br />

Si mise a pensare: ergastolo. Era come pensare: eternità.<br />

L’aveva fatto qualche volta da piccolo, si era disteso nel<br />

letto, aveva chiuso gli occhi e si era messo a pensare: eternità.<br />

E per quanto pensasse non arrivava mai il momento<br />

di smettere.<br />

Perché l’eternità era così: si cominciava e non si finiva<br />

mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai…<br />

74 75


Nessun rischio, aveva promesso Diego. Diego faceva<br />

sembrare tutto semplice. Rischi zero, aveva assicurato, la<br />

casa è vuota.<br />

C’era poi da considerare che la padrona di casa era<br />

una vecchia di ottantadue anni, disse afferrando un’altra<br />

birretta, il che poteva significare che anche se fosse stata<br />

in casa il risultato era lo stesso. Comunque meglio che<br />

non ci fosse, aggiunse ordinando un altro giro. Peppe lo<br />

guardò come si guarda un marziano. Gli rispose che era<br />

tutto scemo, che a lui per quattro soldi fregati a una<br />

vecchietta non lo mettevano in galera, che c’era da morire<br />

di vergogna solo a pensarci.<br />

Diego aveva alzato le spalle, disse che avrebbe trovato<br />

qualcun altro.<br />

Dal cortile arrivava odore di lesso. Il secondino passò<br />

davanti alla sua cella alla stessa ora di sempre. Poteva<br />

vedere l’ombra scura dei suoi piedi oltre la fessura illuminata<br />

tra la porta della cella e il pavimento.<br />

Eternità, ripeté, serrando le palpebre, tempo senza fine.<br />

La cosa buffa era che non aveva fatto in tempo a mettersi<br />

in pari con le cose elementari: gli studi non li aveva<br />

finiti, una ragazza non ce l’aveva, non aveva fatto nemmeno<br />

la cresima.<br />

Vent’anni era comunque riuscito a sottrarli dal tempo<br />

infinito. Era riuscito a farseli fuori dalla galera. Quant’è<br />

un ergastolo: cent’anni? Riduzione a trent’anni per buona<br />

condotta?<br />

Cercò di liberare la mente. Questa contabilità lo metteva<br />

in agitazione e invece doveva stare calmo.<br />

Peppe era in piedi appoggiato al lampione, tutto<br />

luminoso di giallo fosforescente. Quella vecchia è piena<br />

di soldi, te lo dico io, cosa se ne fa se ha un piede nella<br />

bara? Glieli lasciamo a quel pazzo di Diego?<br />

Lui l’aveva guardato come si guarda qualcosa di cui<br />

non si riesce a capire la natura. Ti sei impasticcato? Aveva<br />

chiesto.<br />

Peppe si era fatto da parte per uscire dal cono di luce<br />

del lampione. Io lo faccio anche per te, aveva detto, è una<br />

passeggiata, soldi facili facili. Piuttosto che dividerli con<br />

quello stronzo di Diego che mi ha fregato la ragazza…<br />

Amici come prima, gli ho detto: amici come prima un<br />

cazzo, questo ti dico, gli fotto l’affare, questo ti dico.<br />

Non si era impasticcato, ma era partito lo stesso,<br />

ormai non aveva nemmeno più bisogno di farsi.<br />

Mia sorella le fa assistenza, è fuori <strong>Nulla</strong> ti dico, a<br />

Lourdes, a Fatima insomma in giro da qualche madonna.<br />

Gli scappò da ridere, sarà andata a chiedere un bonus,<br />

sennò come fa a spendere i milioni che ha messo da parte.<br />

Te lo chiedo ancora una volta, il tono dell’avvocato<br />

difensore era perentorio: c’è qualche elemento che ti è<br />

sfuggito dalle deposizioni precedenti? Tutto può essere<br />

importante, tutto può essere fondamentale. Non sei<br />

nemmeno reo confesso, se non abbiamo elementi nuovi<br />

per la Cassazione abbiamo chiuso.<br />

Conosci il posto, conosci la casa, incalzava Peppe, si<br />

fa in un attimo.<br />

Non è che lui avesse detto sì, ma Peppe era fatto così,<br />

a lui bastava che non gli rispondessero niente per fargli<br />

dire che era tutto a posto.<br />

Dopodomani sera, decise, appena fa scuro. Per domani<br />

sono impegnato, sì, facciamo dopodomani. L’importante<br />

che si faccia prima di lunedì, che Diego prima di<br />

quel giorno non si muove, questo te lo dico io, ho i miei<br />

informatori.<br />

Lui non aveva risposto.<br />

Dopodomani allora. Alle otto e mezza sono sotto casa<br />

tua al solito posto, ti carico sulla vespa e si va, occhei?<br />

Lui non aveva risposto.<br />

76 77


Non ero armato, disse all’avvocato.<br />

Lui storse le labbra, già detto, tagliò, roba vecchia,<br />

irrilevante considerati i fatti, considerato che non vuoi<br />

nemmeno fare il nome del tuo complice.<br />

Ero solo, disse lui.<br />

Le voci che corrono dicono diversamente.<br />

Sbagliano, ero solo.<br />

Bravo, a fare l’eroe ti becchi definitivamente l’ergastolo.<br />

Io di più non posso fare.<br />

Grazie lo stesso.<br />

Grazie lo stesso. Soprattutto ora che la fine non aveva<br />

fine. In una cella che poteva sembrare una tomba, giusto<br />

da portarci i fiori per i morti. Perché l’eternità non se ne<br />

voleva andare altrove, voleva rimanergli affianco, e gli<br />

prometteva una vita lunga, una maturità completa una<br />

vecchiaia senza acciacchi.<br />

Era come una medicina che bisognava bersi tappandosi<br />

il naso.<br />

Questi pensieri gli provocavano un tuffo al cuore.<br />

Magari si ferma, magari si ferma, pensava.<br />

L’idea. Quell’idea. Qualcosa che a ripensarci si era fatta<br />

strada da subito. La notte stessa. Disteso sul letto.<br />

Lo faccio da solo, aveva pensato, lo faccio domani sera,<br />

di Peppe non mi fido.<br />

Ero solo. Stava urlando. La guardia addetta al parlatorio<br />

sporse in dentro la testa.<br />

Niente, niente, disse l’avvocato agitando la mano.<br />

La casa era chiusa, ma, saltando il muretto si arrivava<br />

sul retro, dove c’era quella persiana difettosa. Si apriva<br />

in un attimo, poi bastava rompere il vetro.<br />

Si era fatto male al palmo della mano con una scheggia<br />

partita dalla finestra mentre la spalancava dopo aver<br />

infilato l’avambraccio all’interno per girarne la maniglia.<br />

In quel buio la casa sembrava in preda al silenzio, ma<br />

a stare accorti si poteva sentire lo sgocciolio di un rubinetto,<br />

il vibrare leggero di un foglio smosso dalla corrente<br />

d’aria provocata dalla finestra aperta, un sibilo sottile<br />

come un respirare di gatto.<br />

Il posto, si sapeva, era quel mobile con le ante a vetro<br />

nella camera adiacente, l’armuà, come l’aveva chiamato<br />

Peppe. Nella parte inferiore dove la vecchia teneva le tovaglie.<br />

Quasi un milione in contanti considerò alla luce fioca<br />

della torcia elettrica semiscarica.<br />

La prima cosa che vide con chiarezza furono le banconote<br />

fra le sue mani. Poi si voltò in piena luce, perché<br />

qualcuno dietro di lui aveva premuto l’interruttore e illuminato<br />

la stanza, i vetri rotti, l’armuà e la sua faccia stupita.<br />

Ora a ripensarci, da solo, nella sua cella, gli parve di<br />

capire che l’eternità poteva significare vivere in una stanza<br />

troppo illuminata. Una stanza dove è necessario schermarsi<br />

gli occhi con la mano. In una costante, feroce, condivisione<br />

della verità.<br />

Per questo lo condannavano. Ergastolo. Prove d’eternità.<br />

Omicidio.<br />

Li frego tutti, mi appendo al soffitto, pensava strappando<br />

il lenzuolo a strisce sottili.<br />

Fine, pensava, fine di tutto e non se ne parla più.<br />

Lui si voltò, non doveva avere un bell’aspetto così illuminato<br />

di colpo come una bestia in mezzo all’autostrada.<br />

Ebbe appena il tempo di pensare che senza occhiali<br />

la vecchia non l’avrebbe riconosciuto.<br />

Io ti conosco, disse lei invece, strizzando gli occhi.<br />

Così anche quel dubbio era scomparso. Per questo si<br />

alzò in piedi e si mosse verso di lei con calma. Tanto<br />

farsi vedere non era più un problema.<br />

78 79


Lei non indietreggiò, anzi minacciò: delinquente, i<br />

risparmi di una vita, disgraziato, vergogna della tua famiglia.<br />

E poi i Santi: San Cristoforo, San Francesco, Sant’Ignazio.<br />

E poi aiuto.<br />

Restò a guardarla per un attimo e smise di avanzare.<br />

Sentiva sulla schiena il fresco di quel maestrale che<br />

riusciva ad entrare dalla finestra forzata. Sarebbe bastato<br />

un balzo all’indietro ed era fuori. Si voltò di scatto si<br />

allungò verso la finestra spalancata.<br />

Ma lei si era mossa con lui, con un’energia inaspettata.<br />

Delinquente, continuava, bastava chiedere. E lo trattenne<br />

per il giubbotto proprio quando aveva già una<br />

gamba fuori dalla finestra.<br />

Fu quel sentirsi tirare a farlo impazzire. Il pavimento<br />

sotto alla finestra era disseminato di vetri rotti.<br />

Che fine avevi fatto, chiese Peppe che lo aspettava sotto<br />

casa.<br />

Scosse la testa cercando di tamponarsi la mano ferita<br />

con un fazzoletto.<br />

Che cosa ti è successo? Chiese Peppe indicando la mano<br />

ferita e gli abiti sporchi di sangue. Hai sgozzato un maiale?<br />

Lui rispose che nulla, che non era nulla, una cazzata,<br />

un incidente.<br />

Sono venuto ad avvisarti che non se ne può fare niente<br />

per domani sera, disse Peppe, meno male che ho incontrato<br />

mia sorella, disse. La vecchia è tornata, disse, è tornata<br />

prima del previsto perché non si sentiva bene.<br />

A lui scappò da ridere, come quella volta che pisciarono<br />

nella cassetta delle elemosine in chiesa. Peppe lo<br />

guardò interdetto. Contento tu, disse, bella fregatura,<br />

vecchia del cazzo.<br />

Così la facciamo finita, disse l’avvocato, è inutile far<br />

spendere altri soldi alla tua famiglia, tanto possibilità di<br />

ottenere una riduzione non ce ne sono, per il momento. E<br />

ridi anche? Chiese spazientito guardandolo negli occhi.<br />

Che hai da ridere, chiese la guardia carceraria aprendo<br />

lo sportellino che lo metteva in contatto con l’interno<br />

della cella.<br />

Niente, niente, si affrettò a dire lui, pensavo che se<br />

non lo dico io che è finita, non è finita, spiegò. La guardia<br />

chiuse lo sportello senza nemmeno rispondere. Questa<br />

volta si era mosso in fretta, aveva fatto giusto in tempo<br />

a nascondere la corda fatta con strisce di lenzuola, e<br />

nessuno l’aveva visto.<br />

80 81


Tredici<br />

Così, per anni, la vita di Jacques si divise, in modo disuguale,<br />

fra due vite che gli era impossibile collegare.<br />

Albert Camus, Il primo uomo<br />

15 anni<br />

Non fare così, diceva senza osare di toccarmi. E seguiva<br />

un silenzio impressionante. Sentivo che mi guardava.<br />

Sentivo i suoi occhi che si appiccicavano alla mia nuca.<br />

Ci conosciamo da troppo tempo, non voglio farti del<br />

male. Non riusciva a mantenere un tono distaccato. Lo<br />

sapevo che mi accusava di aver rovinato tutto.<br />

C’era un mare di stelle e tanto cielo da mettersi a volare.<br />

L’avevo capito, disse. Non so come, da un sacco di piccole<br />

cose. Vedrai che passa, disse. Ora ti sembra che non<br />

riuscirai a superarlo, ma non è così.<br />

Feci un passo in avanti per aumentare la distanza che<br />

ci separava.<br />

Non passa, dissi. Credi che non ci abbia pensato?<br />

Fece un passo in avanti per mettermi una mano sulla<br />

spalla. Quel contatto inatteso mi uccise il respiro. Sono<br />

stanco, dissi. Poi smisi di parlare. Per non piangere.<br />

Voglio che tu sappia che per me non cambia niente.<br />

83


Cambia, pensai. Cambia tutto. Cambia che controllerai<br />

le mie mani e la mia bocca. Cambia che leggerai nelle<br />

mie parole quello che vorrei dirti. Cambia che non potrai<br />

essere così perfetto, così straordinario, così comprensivo.<br />

Questo cambia, pensai. Ora che le cose sono chiare.<br />

Dovevo stare zitto, conclusi.<br />

Lasciare che le cose procedessero senza illusioni, adattarmi<br />

a continuare come sempre; a parlare di calcio e di<br />

donne; a fare lo stronzo al corso; ad aumentare i pesi in<br />

palestra; a cercarmi una ragazza.<br />

Sono cose che si superano, disse lui.<br />

Poi, solo il pomeriggio dopo, si ricordò di un impegno<br />

importante.<br />

Due giorni dopo saltò gli allenamenti.<br />

Il sabato dopo andò a ballare fuori <strong>Nulla</strong> con un’altra<br />

compagnia.<br />

Il lunedì si fece cambiare di banco perché gli era calata<br />

improvvisamente la vista.<br />

Sempre comprensivo, sempre sorridente.<br />

Sempre a fare il cretino con quelle di quarta. Bello<br />

come non era mai stato. Circondato da quella luce che gli<br />

avevo costruito attorno.<br />

Dopo un mese aveva la ragazza fissa. Che mi guardava<br />

storto.<br />

E in palestra cominciarono i sorrisetti, le mossette, le<br />

battute.<br />

Non meritavo tutta questa solitudine.<br />

Che cosa avevo fatto in fondo? Mi ero lasciato fregare<br />

da una notte di cielo stellato e dai suoi occhi e dalle sue<br />

mani e dalla sua voce. Avevo provato a spiccare un volo<br />

temerario in tutto quel cielo.<br />

Siamo tutti accoppiati, mi disse quella sera asciugandosi<br />

dopo la doccia in palestra. Non ti troveresti bene.<br />

Festeggiamo domani per il tuo compleanno. Magari ce<br />

ne andiamo insieme da qualche parte. Le ho già detto<br />

che sono impegnato così possiamo stare insieme tutta la<br />

sera. Ma aveva quel tono imprecisato tra lo scherno e l’affetto.<br />

Una sfumatura che non avevo mai colto con tanta<br />

chiarezza.<br />

Questo era cambiato e sarebbe cambiato per sempre.<br />

Quel non riuscire a precisare la portata delle cose, delle azioni,<br />

delle parole. Quel non riuscire a capire se in lui avesse la<br />

meglio la pena o l’affetto. E vederlo lottare contro qualcosa<br />

che lo allontanava da me. L’infetto, il malato, l’amico.<br />

E poi quell’imbarazzo a fare certe battute, che era peggio<br />

delle battute stesse. Lo sforzarsi di stare con me e contro<br />

di me, perché fosse chiaro che quello che avevo sempre<br />

sognato non si sarebbe avverato mai.<br />

Va bene, dissi, come vuoi, facciamo per domani sera,<br />

ma non è importante.<br />

No, ci tengo veramente, li abbiamo sempre festeggiati<br />

insieme i compleanni.<br />

Come vuoi.<br />

La sera dopo aspettai. Alle dieci era certo che non sarebbe<br />

arrivato. Alle dieci era tutto chiaro.<br />

Tutto quel mentire cominciava a dare i suoi frutti. Cominciava<br />

a sgomberare il campo da qualunque menzogna<br />

successiva. Perché la mia vita sarebbe diventata un’aberrazione,<br />

sarebbe stata aspettare ancora, e ancora, a meno<br />

che non fossi stato disposto ad allevare quella parte di<br />

me che si era allontanata, che avevo smesso di nutrire in<br />

quella notte piena di stelle, quando la verità sembrava<br />

l’unica possibilità per continuare ad esistere. Maledetta<br />

verità. Maledetto anche quel momento in cui gli accostai<br />

le labbra sul collo e lui non mi picchiò, non mi gridò<br />

froscio di merda. Maledetto quello straccio di amore che<br />

si portava dentro che gli fece scuotere la testa e chiedere:<br />

cosa fai? Così, con una dolcezza che era stata peggiore di<br />

un rifiuto.<br />

Io ti amo, avevo detto.<br />

Solo allora si era alzato in piedi, aveva fatto qualche<br />

passo, come per immergersi nella notte stellata.<br />

84 85


E avevo provato a raggiungerlo restando qualche passo<br />

dietro di lui.<br />

Non fare così, ma te l’immagini? Ci conosciamo da<br />

tanto di quel tempo. È assurdo, aveva detto.<br />

L’avevo capito, aveva detto.<br />

Sono cose che passano, aveva detto.<br />

E io tacevo e gridavo. No. Sì. Uccidimi adesso. Dimmi<br />

che niente è impossibile. Abbandonami al mio destino.<br />

Resta. Corri via. Non lasciarmi. Promettimi che nulla<br />

cambierà. Tutto cambierà. Ce la farò. Non ce la farò.<br />

Non ce l’ho fatta.<br />

Quattordici<br />

Penso fermamente che non ci sia nessuno sulla terra che<br />

sentendosi disprezzato non provi disperazione per questo.<br />

Madame du Châtelet, Discorso sulla Felicità<br />

34 anni<br />

Poteva dirmi che l’avrebbe fatto. Abbandonare tutto<br />

intendo. Tutto. Chi lo pensava che sarebbe stato facile.<br />

Solo una stupida poteva pensarlo. E io, problemi tanti,<br />

ma stupida no. Questo non si poteva dire.<br />

Ero una di quelle che si possono definire persone<br />

normali. Bella il giusto, intelligente il giusto, appunto.<br />

Una di quelle a cui non era stato concesso nient’altro<br />

che il trattamento standard. Un fidanzato eterno, eterni<br />

problemi, amici eterni. Una bozza di equilibrio che significava<br />

“quando abbiamo accumulato un po’ di soldi<br />

ci sposiamo”.<br />

Tutto chiaro finora? Dieci anni di fidanzamento in casa.<br />

Con alti e bassi s’intende. Dieci anni passati in un<br />

soffio, nella routine, nei riti quotidiani: a che ora sei pronta,<br />

hai preso la pillola, in macchina non mi va, fai sempre<br />

storie, perché non vuoi venire, non mi rompere…<br />

Dopo dieci anni, di matrimonio non se ne parlava. A<br />

86 87


ipensarci mi viene da dire che è stato tempo sprecato,<br />

accidenti. Solo che ci ho pensato una frazione di secondo<br />

troppo tardi. Quando mi ero trovata, come si dice, a<br />

piedi. Scaricata sull’altare.<br />

Fin qui tutto bene. I drammi del caso insomma. E<br />

pianti a profusione e passare le giornate davanti al telefono<br />

e vivere sulle montagne russe: un giorno alle stelle,<br />

un giorno nella merda. Poi la selezione naturale degli<br />

amici, quelli che stavano dalla sua parte e quelli che<br />

stavano dalla mia.<br />

Qualche pedinamento anche, ora lo posso dire. Quando<br />

usciva dallo studio, quando rientrava a casa, quando<br />

incontrava qualcuno. Per vedere e rendermi conto. Per<br />

capire con chi ero stata sostituita. Gli uomini fanno sempre<br />

così: prendono le decisioni solo quando hanno un’alternativa.<br />

E l’alternativa non era granché…<br />

Un difetto ce l’avevo, e pure grosso: non davo retta.<br />

Era più forte di me, se dovevo sbattere la testa, la sbattevo.<br />

Infatti la voce, in giro, che fossi cornificata intendo,<br />

correva da tempo. Ma io niente, non c’era verso: ero l’unica<br />

che non sapeva nulla. Non volevo saperle queste cose,<br />

non volevo rendermi conto.<br />

Così la certezza, che ero stata lasciata per un’altra,<br />

dopo dieci anni, mi colpì come una frustata. Avevo un<br />

sacco di esibizioni in quel periodo, era il periodo caldo<br />

delle sagre e le prove duravano fino a tardi. E lui non<br />

aveva mai tempo di venire a prendermi, come aveva<br />

sempre fatto.<br />

Apri gli occhi, mi diceva Gavina.<br />

E io, voi non lo conoscete, non date consigli se non<br />

sapete di cosa state parlando.<br />

E lei, io te l’ho detto, era mio dovere di amica, più di<br />

questo non posso fare.<br />

E io, non è di quelli che fa le cose di nascosto, lo<br />

conoscerò dopo dieci anni.<br />

E lei, tutti gli uomini fanno le cose di nascosto.<br />

E io, lui non è come gli altri…<br />

E così via.<br />

Era come gli altri.<br />

La prima volta negò tutto, si fece rosso in viso. Sei<br />

matta, disse, lasciamo perdere questi discorsi.<br />

Non lascio perdere, dissi, se è così me lo devi dire in<br />

faccia.<br />

Sei matta, ripeté.<br />

Poi per una settimana ebbe un sacco da lavorare.<br />

La seconda volta era più aggressivo. Sono stufo di<br />

tutti questi interrogatori, disse.<br />

Allora? Lo incalzai.<br />

Allora niente, vuoi che ti dica che è cosi? Va bene è<br />

così, contenta?<br />

Così come? Domandai, ma già non ero più sicura di<br />

voler sentire la risposta.<br />

Così come dici tu, così tutto quello che dici tu!<br />

Che c’è un’altra? Continuai, sapendo che quei secondi<br />

che mi separavano dalla risposta valevano dieci anni.<br />

Se ti fa piacere… Rispose lui, a sorpresa. Tanto inaspettatamente<br />

che quasi gli fui grata.<br />

La terza volta disse che non poteva continuare a mentire.<br />

Non con me, perlomeno che ero la cosa più bella che<br />

gli fosse capitata.<br />

Disse che non avrebbe voluto ferirmi, mai per niente<br />

al mondo, disse che tutto quello che sapeva lo aveva<br />

imparato da me, disse che in qualunque modo l’avessi<br />

presa, qualunque decisione avessi preso, per lui sarei<br />

rimasta l’esperienza più importante della sua vita.<br />

Disse anche che il nostro rapporto si era, come dire,<br />

bloccato, che eravamo come due giocatori di scacchi in<br />

stallo, come un aereo che aspettava di atterrare, ma continuava<br />

a girare e girare perché l’aeroporto era in preda ai<br />

venti trasversali.<br />

Sei un poeta, risposi con la saliva che era diventata<br />

melassa. Ma non riuscivo ad andarmene. Restavo lì davanti<br />

a lui, lo fissavo senza reagire.<br />

88 89


Se non volessi più vedermi ti capirei, disse, anche se<br />

ne soffrirei molto.<br />

Non ti meriti nemmeno l’aria che respiri, mi sentii<br />

rispondere, non ti meriti nemmeno il disprezzo, sei il<br />

verme più schifoso della terra.<br />

Ti accompagno a casa, disse lui.<br />

Il periodo seguente è legato a una serie di cose di cui<br />

mi vergogno. Gli telefonai, arrivai persino a supplicarlo<br />

e mi consegnai alla sua pietà. Gli dissi cose che non oso<br />

nemmeno ricordare. Vissi come una che è scampata ad<br />

incidente mortale e non ricorda più nulla. Pensai persino<br />

che tutto poteva ricominciare, che si sarebbe stancato<br />

di quell’altra e sarebbe ritornato da me.<br />

Facciamo finta di nulla, vuoi? Gli chiesi un giorno<br />

che, dopo infinite insistenze da parte mia, era venuto a<br />

prendermi finite le prove del gruppo di ballo.<br />

Sei sciupata. Mi rispose.<br />

Non sono stata molto bene negli ultimi tempi. Replicai.<br />

Lui fece un mezzo sorriso. Non pensavo che sarebbe<br />

andata in questo modo, disse.<br />

Era il periodo degli alti e bassi. Ero confusa. Chissà<br />

se questa può essere una giustificazione.<br />

Ci ho provato, ci ho provato con tutta me stessa, incalzai,<br />

ma non ce la faccio. E piansi sul suo petto.<br />

Cogliona. Tonta e cogliona.<br />

Lui mi abbracciò senza stringermi. Mi sposo, disse.<br />

Con una semplicità che rasentava la perfidia.<br />

Ti sposi? Domandai staccandomi da lui come se fossi<br />

stata colpita da fulmine.<br />

È incinta, infierì.<br />

Quello che accadde dopo non potrei raccontarlo<br />

nemmeno se me lo ricordassi.<br />

Ero tornata a casa mia e lui non c’era. Ecco tutto.<br />

Non ci sarebbe mai più stato. Ecco tutto.<br />

Passò un anno prima che potessi guardarmi allo spec-<br />

chio. Vedere i primi capelli bianchi, le rughe, qualche<br />

macchia sulla pelle.<br />

Sono vecchia, dissi a me stessa.<br />

Passò ancora qualche mese, una tintura e una buona<br />

dose di trucco prima che incontrassi l’altro.<br />

Non voglio impegni, chiarii immediatamente, con<br />

te sto bene, ma non voglio impegni.<br />

Andiamo a casa mia che si sta più tranquilli, disse lui.<br />

Sono così contenta, esclamò Gavina. Avevo perso le<br />

speranze con te.<br />

Vacci piano, dissi, non è niente di serio, mi diverte,<br />

ecco tutto.<br />

Mah, sospirò lei, da cosa nasce cosa.<br />

Ci vedevamo senza appuntamenti o cose simili, senza<br />

legami, prendevamo quello di cui avevamo bisogno.<br />

Stavamo insieme con soddisfazione reciproca.<br />

Qualche volta diventava insistente, ma non c’era niente<br />

da fare.<br />

Non rovinare tutto, gli dissi una volta.<br />

Come vuoi, diceva lui. Sei una che le piace di tenere<br />

tutto sotto controllo? Chiese come se volesse farmi un<br />

rimprovero.<br />

Ho le mie ragioni, tagliai.<br />

Dovevo difendermi. Perché cominciavo a pensarlo con<br />

calore.<br />

Presi l’iniziativa. Avevo paura. Non si va avanti in<br />

questo modo, gli dissi una mattina mentre si abbottonava<br />

la camicia.<br />

Chi ti capisce è bravo, rispose lui.<br />

Non fraintendermi, tu sei a posto, sono io che non vado.<br />

Così dici basta? Chiese lui.<br />

Forse è meglio.<br />

Per te forse, ma io? Continuava a fare domande.<br />

Tu cosa?<br />

Io che cosa faccio, mi ritiro in buon ordine e chi si è<br />

visto si è visto?<br />

90 91


L’ultima cosa che avrei voluto era quella di ferirti.<br />

Sentii quello che avevo detto con quel fetente secondo di<br />

ritardo che era la mia maledizione.<br />

E se ti dicessi che non sono d’accordo?<br />

Tu non parli mai se non devi fare una domanda?<br />

Hai ragione, aveva l’aria perplessa di uno a cui avessero<br />

rubato i pantaloni. Hai ragione, allora te lo dico, non<br />

sono d’accordo. Sono questioni di cui bisognerebbe parlare.<br />

Non è che te ne esci che non ci dobbiamo più vedere,<br />

così, e io: occhei come vuoi tu.<br />

Ecco, ti sei offeso.<br />

Ma che razza di persona sei, come ti permetti di calpestare<br />

la gente in questo modo?<br />

Voglio che tu sappia che per me sei stato un’esperienza<br />

importante.<br />

Non me ne può sbattere di meno. Dove ho sbagliato?<br />

Ci risiamo con le domande. Il mio tono era gelido. Ce<br />

l’avevo di fronte e dicevo quello che avrei dovuto dire un<br />

anno e mezzo prima. Facevo quello che avrei dovuto fare<br />

allora.<br />

Solo che si trattava di un altro uomo.<br />

Per questo penso che non fu così bello come l’avevo<br />

pensato. Nel senso che non stavo meglio.<br />

Lo richiamai dopo qualche settimana.<br />

Inutilmente. Era morto.<br />

Come sarebbe morto? Domandai.<br />

Gavina spinse in avanti le labbra come se avesse il<br />

broncio. Non lo sapevi? Era sinceramente stupita. Dicono<br />

che sia stato un incidente. Non voleva calcare su quel<br />

“dicono”, ma lo fece. Ha fatto un volo di venti metri con<br />

la macchina. Non li leggi i giornali?<br />

Non ho mai letto un giornale in vita mia.<br />

I telegiornali?<br />

Lo sai che non guardo la televisione!<br />

Se almeno non sparissi per settimane ci sarebbe modo<br />

di avvisarti quando succedono le cose.<br />

Non sono sparita. Dissi, ma mi stavo giustificando,<br />

era chiaro.<br />

Quanti milioni di parole sprecate, pensai, a fare<br />

progetti, a immaginare un’esistenza magari insieme, a<br />

fare della strategia per arrivare in vantaggio “al dunque”.<br />

Era stata una prova, pensai, era stato un modo per capire,<br />

ne avevo diritto, perché dopo quello che avevo subito<br />

non si poteva pretendere che fossi disponibile, pronta a<br />

rischiare. Avrebbe dovuto insistere, dirmi che lui non era<br />

come quell’altro, chiamarmi di notte, mandarmi dei<br />

fiori, piangere con le mie amiche, giurare e spergiurare,<br />

come fanno tutti gli uomini di questa terra.<br />

Poteva dirmi che l’avrebbe fatto. Abbandonare tutto<br />

intendo. Tutto. Per me. Per me sola. Questo doveva fare.<br />

Illudermi. Invece no. Mi lasciava con una domanda che<br />

non aveva risposta: dove ho sbagliato?<br />

Hai sbagliato a buttarti da quel ponte!<br />

A morire hai sbagliato brutto stronzo!<br />

92 93


Quindici<br />

Mi sentivo troppo stanco per tentare di capire.<br />

José Saramago, Manuale di pittura e di calligrafia<br />

70 anni<br />

Quando leggerete questa lettera io non ci sarò più…<br />

Non è questa la formula? Non è così che ci si congeda?<br />

È così, nella migliore tradizione, quella a cui sono<br />

stato abituato.<br />

I sani principi, quelli che ti accompagnano per tutta<br />

la vita.<br />

Non volevo che finisse in questo modo.<br />

Proverò a spiegarvi come la penso, magari comprenderete.<br />

Pensate ad una grande casa, piena di oggetti, piena<br />

del trascorso di coloro che l’abitavano, in preda ad un<br />

incendio. Pensate all’angoscia di quei poverini che sono<br />

costretti a decidere quali cose devono portarsi dietro per<br />

salvarle dalla distruzione. Pensate al fatto che potrebbero<br />

non riuscire a decidere vagando fra le stanze piene di<br />

fumo, con le fiamme che gli sfiorano il viso, e che in<br />

questa indecisione, in questa mancanza di certezze, rischino<br />

persino di perire loro stessi tra le fiamme.<br />

95


Così la vedo io: abbiamo perso quelle certezze che fanno<br />

sparire dai nostri animi la paura della distruzione e,<br />

per questo, la distruzione ci fa sparire.<br />

Come capita dall’incendio qualcosa si salva: sono oggetti<br />

sparsi, che, per motivi sconosciuti il fuoco risparmia.<br />

Come capita non sono mai gli oggetti che avremmo<br />

voluto salvare, ma felici di poter afferrare almeno una<br />

porzione della nostra Storia, ci stringiamo ad essi ringraziando<br />

il destino, che qualcosa ha salvato, o fingendo di<br />

aver deciso di salvare proprio quelle cose.<br />

Cercate di capire: non c’è stato tempo, non c’è stato<br />

preavviso. Solo vagavo in una città che non riconoscevo.<br />

Progresso dicevano tutti. Vita moderna, vita comoda, tutto<br />

a portata di mano.<br />

Quando sono nato questo era un paese di farabutti, e di<br />

prepotenti. Era un paese di belle menti e di malelingue. Era<br />

un paese di belle donne astute. Era un paese di storie paesane,<br />

di curati saccenti, calzolai proverbiali, banditi feroci.<br />

Un posto dove un matrimonio si festeggiava per una<br />

settimana. Dove c’erano regole non scritte, ma indiscutibili:<br />

il sangue, la parentela, l’olio santo, il silenzio.<br />

Uno spazio senza anticorpi, malato da subito. Attaccabile<br />

da ogni virus. Così straordinariamente ferace di<br />

spiriti eletti. Ruvidi, magari sbrigativi, ma con le mani<br />

d’oro, capaci di intrecciare un verso come l’intestino di<br />

pecora, e farne ghirlande da cuocere a fuoco lento.<br />

Posto di viaggiatori sconcertati, per la scabra eleganza,<br />

per la sagacia sbrigativa, per quel nonnulla che finiva<br />

in uno spuntino o in un bagno di sangue.<br />

I montanari più colti, i più intelligenti che si potessero<br />

trovare.<br />

Questo era. Era così.<br />

Bella fregatura.<br />

Sarebbe stato meglio essere meno intelligenti, meno<br />

colti, e avere un’idea chiara di quanto valesse la pena di<br />

salvare dalla distruzione. Quando sarebbe arrivata.<br />

Perché è arrivata. Sotto la forma ambigua del progresso.<br />

Abbiamo raccolto vecchie foto. Come se avessimo nostalgia<br />

di una stagione felice, che era appena passata. Il<br />

nuovo ci ha confuso. Ci ha fatto perdere la testa. Via<br />

tutto. I vecchi mobili, le vecchie menti.<br />

Zavorre.<br />

Si stava meglio prima? Falso. E difficile da dimostrare.<br />

Impossibile dimostrarlo. Ora mi è chiaro. Nonostante<br />

tutto. Nonostante la sagra annuale, nonostante i gruppi<br />

di ballo, i cori. Nonostante tutto.<br />

Che senso ha? Che cosa ce ne facciamo di questa nostalgia<br />

se l’anima se n’è andata chissà dove?<br />

Era meglio prima? Era diverso. Questo sì. C’era orgoglio.<br />

Quello che è venuto a mancare. Proprio quando si<br />

tenta di riprodurlo a tavolino a furia di sagre, cori, balli<br />

e così via.<br />

Sorridete. Lo fanno anche i miei nipoti e l’hanno fatto<br />

i miei figli, quando parlare di queste cose sembrava<br />

negare il presente.<br />

Non è così. Eravamo pronti lo stesso. Nessuno di noi<br />

credeva alla cicogna per dio!<br />

Nessuno può far finta di non vedere che adesso tutti<br />

hanno le scarpe e un pezzo di pane ce l’hanno tutti. Grazie<br />

a Dio.<br />

Ma allora il pane era un diritto. Caldo di forno, croccante<br />

di cottura e sudore. Era religione, capite? Non<br />

costava nulla, come l’acqua nel deserto.<br />

Io non sono adatto a questi tempi migliori. A questo<br />

presente che ha cambiato idea e ricostruisce un passato<br />

di cose ininfluenti.<br />

Io non sono adatto ad abitare in un posto che potrebbe<br />

essere qualunque posto sulla terra. Perché <strong>Nulla</strong> era<br />

<strong>Nulla</strong>. La riconoscevi passata l’ultima curva. La vedevi<br />

all’ultimo momento con un misto di passione e incertezza.<br />

Ed era persino bello camminarci dentro. Era bello<br />

sentirne il linguaggio, un po’ latino, un po’ spagnolo.<br />

96 97


Ma la lingua separava. Ci toglieva dall’universo mondo.<br />

Ci estraniava dalla patria Italia. E allora ecco questi<br />

intelligenti montanari, questi colti montanari pronti a<br />

vietarne l’uso per i figli. Non sta bene, non è moderno.<br />

Tutti italiani, perlomeno nella lingua, e quando c’era da<br />

far guerra beninteso. Perché da che mondo è mondo due<br />

lingue non sono praticabili a <strong>Nulla</strong>. E quegli zotici, che<br />

nei banchi di scuola diventavano zotici due volte, con<br />

quella sintassi involuta, con tutti quei gerundi e quegli<br />

infiniti, e quelle costruzioni perifrastiche astruse, ci facevano<br />

vergognare. Tranne obbligarci a levarci il cappello<br />

quando diventavano avvocati, principi del foro, merlettai<br />

della lingua, giuristi perfetti, scrittori di rango, pittori<br />

e architetti. Bilingui per forza, a furia di schiaffi, a<br />

furia di sacrifici. E restavano un po’ civili e un po’ selvaggi.<br />

Tranne metterli all’indice. Nati a <strong>Nulla</strong>, per fortuna,<br />

per fatalità anagrafica, finiti chissà come in chissà quale<br />

università in continente e ritornati a casa come materiale<br />

grezzo lavorato altrove. Un po’ nostri, un po’ estranei.<br />

Perché quei montanari tanto intelligenti avrebbero<br />

dovuto sapere che nella lingua non ci sono solo suoni e<br />

termini e frasi. Nella lingua c’è l’anima. E una lignua<br />

separa solo quando uccide l’anima.<br />

Questa era l’anima di questo posto. Questa è la<br />

scommessa perduta. Essere fieri e orgogliosi, per poter<br />

esistere ovunque. Per superare quei pochi metri quadrati<br />

di altipiano senza perdere il profumo dei lecci.<br />

Invece no. Isolati per paura dell’isolamento. Provinciali<br />

per vocazione, per essere entrati da perdenti in<br />

Italia, in Europa, nel mondo.<br />

Periferici per non avere niente da dire, niente da aggiungere<br />

a quello che è stato detto.<br />

Così esco, mi dichiaro sconfitto. Sono stanco. Ci<br />

pensi qualcun altro, qualcun altro più coraggioso di me,<br />

più giovane di me, con meno delusioni alle spalle, con<br />

più voglia di combattere.<br />

Ci pensi il frutto di questa generazione addomesticata.<br />

98 99


Sedici<br />

Ché la morte s’appressa e ‘l viver fugge<br />

Francesco Petrarca, Canzoniere LXXIX<br />

17 anni<br />

Io me la ricordo quella notte, non si vedeva a un palmo.<br />

Mi ricordo tutto. Quasi tutto. E tu avevi paura, tremavi,<br />

chiedevi: sei sicura? Abbassavi lo sguardo come un<br />

piccolo sole spento. Io ti guardavo, guardavo i tuoi occhi<br />

e mi dicevo: tutto qui? Un uomo a venire, un bambino<br />

troppo cresciuto, un complice, un’arma. E togliti questa<br />

roba, sussurravo indicando la tua maglia bianca, brillante,<br />

togliti anche le scarpe. Così, in silenzio, passavano i<br />

minuti mentre ti toglievi le scarpe e la felpa. Il problema<br />

fu di riempire quel silenzio, quei minuti lunghissimi<br />

di vuoto che tu colmavi con domande silenziose. Fuori<br />

dalle finestre era buio pesto, un telo nero ricopriva ogni<br />

cosa. Non deve gridare dissi sfiorandoti le labbra, non<br />

deve gridare. Hai fame? Ti ho chiesto a un certo punto<br />

giocando con i tuoi capelli. Hai fatto segno di no, ma mi<br />

hai stretto i fianchi con le braccia. Forte come un sole<br />

allo zenit porgevi la bocca. Per il bacio chiudevi gli occhi<br />

e respiravi col naso. Entravi nel buio, entravi nella notte<br />

101


senza luna. Mi staccai riportandoti alla luce: hai paura?<br />

Ho chiesto respirandoti sulle labbra. Un poco, hai detto<br />

riproponendo il bacio. Mimavi un dolore acuto, una specie<br />

di sofferenza calda, ma era desiderio di ritornare al<br />

buio. Che ci sono cose che noi donne sappiamo da sempre<br />

e voi maschi da sempre ignorate. Dev’essere capitato<br />

così, appena ci siamo visti, nei corridoio della scuola,<br />

facendo le vasche al Corso, alla sala giochi, al cinema<br />

parrocchiale, chi lo sa? Dev’essere capitato così: io sapevo<br />

chi eri. Ti conoscevo da sempre, conoscevo ogni singolo<br />

millimetro della tua pelle appena esposta alla vita.<br />

Sapevo di te cose che persino tu ignoravi. Sapevo fissarti<br />

non vista, aspettando che il mio sguardo ti avvolgesse.<br />

Sapevo che ti saresti voltato cercandomi fra la gente.<br />

Sapevo che ti saresti rivolto al tuo amico a chiedere: la<br />

conosci quella? Quella ero io. Quella era una luna piena<br />

che ti succhiava luce. E tu astro nascente. La prima volta<br />

che ti ho stretto la mano, tu hai guardato avanti continuando<br />

a camminare, non facevi nulla, lasciavi fare a me.<br />

Rispondevi docile alla pressione delle mie dita. Io ti osservavo:<br />

eri bello di una bellezza tutta tua. Eri bello come<br />

può essere bella l’origine del mondo. Niente di più.<br />

Non è per questo che ti ho scelto. Avresti potuto fermarmi<br />

se fossi stato un uomo, ma non lo sei, non lo sei mai<br />

stato e chissà se lo diventerari a questo punto.<br />

Sono nata in una notte luminosissima, ho lottato perchè<br />

sapevo. Non volevo uscire: troppa luce, troppa fatica,<br />

troppo terrore. E tutti avevano un’aria straordinariamente<br />

felice: che bambina magnifica, che occhi espressivi, che<br />

mani lunghe. Il resto si vive nel silenzio, perchè la mia<br />

vita è stata brace sotto la cenere. La mia vita è stata cercare<br />

di essere; è stata un’indigestione; è stata vedere e sentire<br />

qualcosa che non riuscivo ad afferrare.<br />

Hai troppa fretta, dicevano, vedrai col tempo... E<br />

quante volte ho gridato senza aprir bocca alla mia immagine<br />

davanti allo specchio: ti odio, ti odio, ti odio! Questo<br />

gridavo, che la vita mi sembrava un paio di scarpe strette.<br />

Così imploravo le notti: ti odio, fammi morire.<br />

Ma tutto proseguiva ostinato, giorno dopo giorno. Il<br />

tempo se ne andava per i fatti suoi nella prolissa scansione<br />

dei giorni. Avevo un pensiero costante: volevo che finisse.<br />

Avevo paura di quel <strong>Nulla</strong> travestito da tutto. E<br />

temevo di diventare come mia madre. Che era un modello<br />

terribile, che era sofferenza e gioia insieme, che era<br />

patimento e sacrificio, che era dolcezza, che era una luna<br />

crescente, luminosa, piena di aspettative. Lei avrebbe capito<br />

e sarebbe stata disposta a morire per me. Come quella<br />

volta che, d’improvviso, sentii quel dolore al ventre. E<br />

sangue. Così si compiva quello che sapevo da sempre.<br />

Allora corsi in camera da mia madre e piansi. E mamma<br />

sorrise di un sorriso rotondo. Quello che disse me lo ricordo<br />

bene. È come morire un poco, disse, perchè le<br />

donne custodiscono il mistero della morte: è il prezzo<br />

che devono pagare per dare la vita.<br />

Crebbero i seni, poi fu fingere. Ma forse era solo lasciarsi<br />

vivere. A scuola, in palestra, in parrocchia. A mangiarsi<br />

le sere, a fumarsi i pomeriggi, a bersi le mattine.<br />

A saggiare il limite. A urlare alla notte. Pronta al sacrificio<br />

di me stessa. Che già stavo morendo un poco, da<br />

tempo. E lei, mia madre, era già morta, solo che non lo<br />

sapeva. Mio padre no, lui era sole caldissimo, un mezzogiorno<br />

costante e impietoso. Potenza pura, verità e giustizia.<br />

Lontano, chissà dove. Perchè non sono lui? Perchè<br />

non sono sua? Perchè non ho quello sguardo appagato,<br />

pacificato? Perché se n’è andato? Lui avrebbe potuto<br />

amarmi, ma, come tutti gli uomini, aveva paura. Perchè<br />

il potere degli uomini è non avere nessun potere: è così<br />

che vincono su tutto. Ci fanno credere che la loro debolezza<br />

dipenda da noi, ma loro sono deboli e basta. Seméplice.<br />

Uccidere lui non sarebbe stato necessario. Tempo<br />

perso. Ancora.<br />

102 103


Poi, all’improvviso, sei arrivato tu. Che eri all’inizio<br />

di tutto e respiravi il mio respiro.<br />

Quella notte me la ricordo bene, non era nemmeno<br />

romantica così senza luna, era uno straccio sporco. Abbiamo<br />

fatto l’amore in camera mia e tu hai detto: che<br />

bello sarebbe se fosse così per sempre. E hai detto una<br />

cosa pericolosa, senza saperlo. Io ho ripetuto: così per<br />

sempre? Tu hai guardato l’orologio: a che ora rientra tua<br />

madre? Hai chiesto. Non rientra ti ho risposto, non rientra<br />

più.<br />

Poi, all’improvviso, è finito tutto… e non rientra più.<br />

Mia madre non ha fatto nemmeno in tempo a soffrire. Ci<br />

siamo abbracciati, io ti ho abbracciato. Nella notte che<br />

se ne andava ho visto troppe cose che se ne andavano insieme<br />

a lei. È a quel punto che ci ho pensato: ed è stato<br />

come capire tutto: che non era lei, che non era la libertà,<br />

che non era continuare a colpirla tappandole la bocca per<br />

non farla urlare, che non era nemmeno mia madre quel<br />

corpo a terra immerso nel suo sangue. Io ti ho abbracciato,<br />

tu, come al solito, mi hai guardato stringendo appena<br />

gli occhi. Io mi metto a ridere perché sei strano e non<br />

vuoi che parli. Ti fai tante domande guardando mia madre<br />

a terra. Io le sento che vagano dentro al tuo cervello,<br />

sento che le assapori col palato e cerchi di staccarle dai<br />

denti con la punta della lingua, come una caramella<br />

troppo morbida. Vedi, la cosa peggiore è stata scoprire l’inutilità,<br />

scoprire che tutto quel pensare, e pensare, e pensare,<br />

non aveva prodotto niente… Scoprire che il nemico<br />

non era stato sconfitto. Rido perché ti vedo inquieto,<br />

di un’inquietudine nuova… Tu che avevi creduto ciecamente<br />

ora cominci a dubitare… E la notte sta radunando<br />

le sue cose e il giorno arriva e la luce ritorna e<br />

<strong>Nulla</strong> ritorna alla vita e niente sembra più importante,<br />

nemmeno questa nostra finzione.<br />

104<br />

Poi, all’improvviso, c’è qualcosa di straordinariamente<br />

chiaro nel tuo sguardo: che cosa hai fatto?, chiedi. Così.<br />

Come se avessi capito che, nel flusso stanco delle cose,<br />

tuttavia è impossibile impunemente sopravvivere ad un<br />

corpo massacrato. Ed io lo so cosa resta. Resta di farla finita.<br />

Rivestiti e vai, dico. E tu? Mi chiedi. E io, mi arrangio,<br />

dico. Mi arrangio. Aspetto in piedi di sentire la porta<br />

che si chiude dietro te che te ne vai. Mi guardo intorno<br />

cercando… Cercando un finale plausibile… E tutto mi<br />

sembra chiaro… Solo l’arma resta da trovare…<br />

Poi, all’improvviso…<br />

105<br />

[Bologna, novembre 1999]


Un avvertimento e una preghiera.<br />

Appare persino offensivo nei riguardi del lettore che<br />

debba, in questa mia postilla, chiarire che tutto quello<br />

che ha avuto la pazienza di leggere è frutto di fantasia.<br />

Perché anche il lettore meno accorto sa che uno scrittore<br />

non ha il dovere della verità, ma della verosimiglianza.<br />

Fantasia dunque, invenzione, a cominciare dal luogo<br />

<strong>Nulla</strong> che vuol dire nulla, niente, un posto qualunque.<br />

Ma mentirei se negassi che tanto di quel <strong>Nulla</strong> (l’ambiente,<br />

il linguaggio, certe descrizioni) può essere tradotto<br />

Nùoro. È gioco forza: è il posto dove sono cresciuto, è<br />

il posto che amo di più al mondo. È il mio centro.<br />

Non date nomi e cognomi a personaggi che non ne<br />

hanno.<br />

107<br />

M. F.


NULLA<br />

INDICE<br />

UNO 9<br />

DUE 15<br />

TRE 19<br />

QUATTRO 27<br />

CINQUE 31<br />

SEI 37<br />

SETTE 41<br />

OTTO 47<br />

NOVE 51<br />

DIECI 57<br />

UNDICI 59<br />

DODICI 75<br />

TREDICI 83<br />

QUATTORDICI 87<br />

QUINDICI 95<br />

SEDICI 101<br />

109


Volumi pubblicati:<br />

Tascabili<br />

Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />

Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />

Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />

Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />

Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo<br />

Maria Giacobbe, Il mare<br />

Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio<br />

Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />

Giulio Angioni, L’oro di Fraus<br />

Antonio Cossu, Il riscatto<br />

Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />

Ernst Jünger, Terra sarda<br />

Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni<br />

Luciano Marrocu, Fáulas<br />

Gianluca Floris, I maestri cantori<br />

D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />

Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa<br />

Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò<br />

Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />

Salvatore Niffoi, Cristolu<br />

Narrativa<br />

Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito<br />

Natalino Piras, La Mamma del Sole<br />

Marcello Fois, <strong>Nulla</strong><br />

Francesco Cucca, Muni rosa del Suf<br />

Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi<br />

Bachisio Zizi, Lettere da Orune<br />

Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi: ritratto d’un’infanzia<br />

Giulio Angioni, Il gioco del mondo<br />

Poesia<br />

Giovanni Dettori, Amarante<br />

Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo<br />

Gigi Dessì, Il disegno<br />

Roberto Concu Serra, Esercizi di salvezza<br />

Serge Pey, Nierika o le memorie del quinto sole<br />

110<br />

Saggistica<br />

Bruno Rombi, Salvatore Cambosu, cantore solitario<br />

Dino Manca, Voglia d’Africa. La personalità e l’opera<br />

di un poeta errante<br />

Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio<br />

in Pascale Dessanai<br />

FuoriCollana<br />

Salvatore Cambosu, I racconti<br />

Antonietta Ciusa Mascolo, Francesco Ciusa, mio padre<br />

Alberto Masala, Massimo Golfieri, Mediterranea<br />

I Menhir<br />

Salvatore Cambosu, Miele amaro<br />

Antonio Pigliaru, Il banditismo in <strong>Sardegna</strong>. La vendetta barbaricina<br />

In coedizione con Edizioni Frassinelli<br />

Marcello Fois, Sempre caro<br />

Marcello Fois, Sangue dal cielo<br />

111


Finito di stampare nel marzo 2001<br />

presso Studiostampa Nuoro<br />

per conto delle ©Edizioni Il Maestrale

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!