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Erano, insomma, vestiti fatti per chi viveva un’altra vita e in un altro<br />
mondo; però i prezzi sembravano <strong>da</strong>vvero molto abbor<strong>da</strong>bili, e lui si<br />
soffermò a cercare qualcosa che potesse an<strong>da</strong>rgli bene. Fatti due conti,<br />
con i soldi che aveva stanziato per il maglione in programma, in quel<br />
negozio se ne poteva comprare tre. Stava immobile <strong>da</strong>vanti alla vetrina<br />
<strong>da</strong> più di dieci minuti quando si era sentito chiamare.<br />
“Ehiii”<br />
Si girò, ma non vide nessuno, poi si accorse che la voce veniva<br />
<strong>da</strong>ll’interno del negozio; non se ne era accorto perché la voce era coperta<br />
<strong>da</strong>lla musica a tutto volu<strong>me</strong> che proveniva <strong>da</strong>llo stereo acceso.<br />
Era la com<strong>me</strong>ssa. Una ragazza <strong>da</strong>ll’età indefinibile, al<strong>me</strong>no per Lucio<br />
ma che Marco e Totonno avrebbero cecato im<strong>me</strong>diata<strong>me</strong>nte tra i<br />
ventisette e i trentadue. Portava un paio di jeans strappati e attillatissimi<br />
a vita bassa che, se <strong>da</strong> una parte le facevano vedere l’inizio del culo<br />
(quello che Totonno chiamava il culo <strong>da</strong> idraulico, quando si china sotto<br />
il lavandino e dice signo’ ‘cca sad<strong>da</strong> cagna’ ‘o sifone, senza ca facite),<br />
<strong>da</strong>ll’altra le spaccavano in due la fessa. Panzella rigorosa<strong>me</strong>nte esposta<br />
all’aria, legger<strong>me</strong>nte cascante sul bordo del pantalone, ombelico col<br />
piercing di rigore e magliettiella aderente, due belle zezze toste e al<strong>me</strong>no<br />
tre inizi di tatuaggi in vista. Capello castano e trucco <strong>da</strong> quasi mignotta,<br />
però aveva un bel sorriso sincero, vera<strong>me</strong>nte bello, e fu quello che<br />
attrasse subito Lucio.<br />
“Dai, vieniti a farti un giro dentro, ci sta un sacco di roba bella che non<br />
abbiamo <strong>me</strong>sso in vetrina”.<br />
Lui si schernì, e fece un gesto che voleva dire chiara<strong>me</strong>nte io? Nun è<br />
robba pe’ m<strong>me</strong>, ma lei gli fece di nuovo cenno di entrare, co<strong>me</strong> se lo<br />
conoscesse <strong>da</strong> sempre, e gli sorrise di nuovo.<br />
“Ohh, final<strong>me</strong>nte”, disse lei quando lui decise di entrare, guar<strong>da</strong>ndosi<br />
intorno stupito co<strong>me</strong> si trovasse nel mondo delle <strong>me</strong>raviglie, “io mi<br />
chiamo Patrizia, tanto piacere”, e gli tese la mano.<br />
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