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statti attento da me - Amlo

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strunz!) dicendo che lui non aveva bisogno di corsi. I corsi erano per gli altri,<br />

per i compagni del bar. Lui sapeva dire che un vino era fruttato, intuiva i<br />

sentori di sottobosco, le sue froge fre<strong>me</strong>vano ai lievi sentori di vaniglia e di<br />

car<strong>da</strong>momo: le sue narici braccavano il tannino co<strong>me</strong> se <strong>da</strong>vvero avesse<br />

saputo cos’era. Per cui, Don Giovanni aveva capitolato e aveva delegato<br />

Marco all’organizzazione della Cantina. E Marco si era <strong>me</strong>sso<br />

im<strong>me</strong>diata<strong>me</strong>nte al lavoro, che era consistito sostanzial<strong>me</strong>nte nel delegare<br />

tutto a tal Fonzo detto Fofò ‘o ricchione, rappresentante di vini e noto<br />

omosessuale, consegnandogli quasi la <strong>me</strong>tà della cifra che era riuscito a<br />

spillare al padre e dicendogli : -fai tu Fofò, piglia ‘o vino che vuoi, basta che<br />

tiene l’etichetta bella e ‘o no<strong>me</strong> strano, che poi ai clienti lo vendo io, che<br />

quelli so’ fessi-.<br />

In effetti, le bottiglie procurate <strong>da</strong> Fofò, che co<strong>me</strong> tutti i ricchioni aveva<br />

molto gusto (sarà ‘o fatto di tutto quello sburro che ingoiano, pensò<br />

socratica<strong>me</strong>nte Marco), erano all’altezza della situazione: avevano tutti nomi<br />

co<strong>me</strong> Feuertrainer, o Refolo d’epoca, o Gasterbrunner, e etichette co<strong>me</strong><br />

stampe <strong>da</strong> corridoio del dentista.<br />

Marco si dichiarò soddisfatto, abbracciò e baciò Fofò, e cominciò a proporre<br />

i vini ai clienti della Taverna, con toni insie<strong>me</strong> complici e lirici e soprattutto a<br />

prezzi spropositati.<br />

Dopo sei <strong>me</strong>si, aveva venduto la bellezza di sette bottiglie a dodici euro<br />

l’una, e Don Giovanni <strong>me</strong>ditava già di infilargliele su per il culo, co<strong>me</strong><br />

minacciava di fare al<strong>me</strong>no due volte al giorno.<br />

Ma Marco sapeva che la colpa non era sua, né della cantina: la colpa era di<br />

suo padre, che continuava a servire ragù e caciovalli e pasta e ceci. Chi<br />

mangia pasta e ceci non beve Rugia<strong>da</strong> d’asturia, pensava Marco. La parola<br />

d’ordine, alla taverna Don Giovanni, d’ora in poi, sarebbe stata un’altra, a<br />

dispetto degli incassi che continuavano a essere a sei zeri, alla faccia<br />

dell’euro.<br />

La parola era: rinnovare.<br />

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