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statti attento da me - Amlo

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predisposizione di Gioggiò alla paranoia, l’unico modo per far sì che si<br />

di<strong>me</strong>nticasse di averlo incontrato al Gazebar, era rendere anche lui<br />

quell’incontro un incontro sgradevole, il più sgradevole possibile.<br />

“No iamm Marchetie’, mi devi dire qualchecosa? Se mi devi dire<br />

qualchecosa dim<strong>me</strong>la iamm, nun fa’ ‘o scem’ iamm.”<br />

Marco si alzò e lo guardò negli occhi:<br />

“Gioggiò, quello che ti devo dire già lo sai. Capisci a <strong>me</strong>.”<br />

E lenta<strong>me</strong>nte, scientifica<strong>me</strong>nte, gli girò le spalle e si diresse verso la<br />

smart, con passo non così sicuro co<strong>me</strong> avrebbe voluto, mannaggia al<br />

campari e gin. Si aspettava che Gioggiò lo chiamasse, o addirittura lo<br />

rincorresse, così entrando nella smart buttò un occhio, ma il<br />

com<strong>me</strong>rcialista era sparito. Volatilizzato.<br />

Meglio. Adesso quel fesso imparanoiato avrebbe passato il resto della<br />

serata a chiedersi cosa avesse voluto dire, e si sarebbe fatto mille film<br />

nella capa, uno più drammatico dell’altro. Marco era pronto a<br />

scom<strong>me</strong>ttere che ora co<strong>me</strong> ora, Gioggiò avesse pochissima voglia di<br />

parlare con chicchessia del loro imbarazzante incontro al Gazebar. Non<br />

si sentiva in colpa; la vita, cari miei era una giungla, e solo i pre<strong>da</strong>tori<br />

sopravvivevano. Bisognava essere più forti e più fichi degli altri, perché<br />

la mattina quando ti svegli devi scegliere se essere leone o gazzella<br />

eccetera eccetera. Questo pensava, e lo pensava ossessiva<strong>me</strong>nte,<br />

ripetendolo co<strong>me</strong> un mantra <strong>me</strong>zzo sbronzo, per impedirsi di pensare alla<br />

guagliuncella che gli aveva <strong>da</strong>to la sola, brutta stronza, brutta<br />

muccusiella del cazzo, quando, proprio <strong>me</strong>ntre stava per <strong>me</strong>ttere il cd di<br />

Jazzmatazz nello stereo, sentì tuppettiare al finestrino della smart.<br />

“Uè.”<br />

Non lo sentì vera<strong>me</strong>nte, il uè, ma riconobbe la faccia che faceva capolino<br />

<strong>da</strong>l vetro semichiuso, e pensò che lui, quella faccia, ancora non l’aveva<br />

vista ridere.<br />

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