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statti attento da me - Amlo

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“Ma chi?”<br />

“Eccoecco, ibbiccànn i soldi giuvino’, e mo’ iatevenne peppiacere<br />

iatevenne” –ansimò la donna, e posò sul banco un mazzo di banconote.<br />

“Signo’, io volevo le marlboro rosse, abbiate pazien..” –provò a<br />

rispondere Antonio.<br />

“Qua stanno le sigarette, pigliataville e jatevenne, peppiacere iatevenne<br />

iatevenne”.<br />

Solo in quel mo<strong>me</strong>nto Totonno realizzò co<strong>me</strong> stava an<strong>da</strong>ndo la cosa, e<br />

final<strong>me</strong>nte capì che la tabaccaia l’aveva pigliato per un rapinatore, per<br />

via del casco. Ora, lui era un tipo onesto, che rubare non aveva mai<br />

rubato, e infatti non era mica entrato nel tabacchino per rubare, lui si<br />

voleva solo comprare un pacchetto di sigarette.<br />

E manco <strong>da</strong> venti: <strong>da</strong> dieci.<br />

Con la testa annebbiata, co<strong>me</strong> quel giorno che si era fatto la pippa<br />

pubblica, allungò la mano, prese i soldi, se li infilò in tasca <strong>me</strong>ntre la<br />

donna indietreggiava, poi le sigarette, e, con tutta calma si girò e uscì.<br />

Il motorino era ancora parcheggiato fuori. Tolse la catena con calma: in<br />

fin dei conti lui mica era entrato per rubare, pistole non ne teneva e<br />

manco coltelli. Mise in moto, aspettandosi <strong>da</strong> un mo<strong>me</strong>nto all’altro l’urlo<br />

dell’autorapinata. Dal suo punto di vista, passò un tempo approssimativo<br />

di sei ore, sei ore e <strong>me</strong>zza. Ovvia<strong>me</strong>nte, in poco più di venti secondi era<br />

in sella allo scoppariello e scompariva all’orizzonte, ignorato <strong>da</strong>l mondo<br />

intero e infa<strong>me</strong>. Era tal<strong>me</strong>nte lontano, quando la tabaccaia uscì <strong>da</strong>l<br />

negozio urlando co<strong>me</strong> un’invasata con le braccia al cielo, che neanche<br />

sentì l’eco delle urla. La scema che lo aveva preso (a lui!) per un<br />

rapinatore correva su e giù per il marciapiede co<strong>me</strong> se avesse un topo<br />

infilato nel culo, e in effetti aveva un culo tal<strong>me</strong>nte grosso che sembrava<br />

ci avesse nascosto dentro un capretto. Urlava:<br />

“Maro’! Marooooooooooooo’! Maroooooooooooooooooooooo’!”<br />

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