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statti attento da me - Amlo

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3.<br />

In qualche modo se lo era aspettato. Tornato a casa, Totonno posò sul<br />

tavolo della cucina la bustina del gioielliere e si fece un caffé. Si sedette,<br />

prese la tazzina, versò il liquido bollente, ci mise dentro una zolletta di<br />

zucchero e guardò con aria seria la busta con su la scritta Rovetti,<br />

gioiellieri <strong>da</strong>l 1931. Ogni paio d’anni la mamma lo man<strong>da</strong>va <strong>da</strong>i fratelli<br />

Rovetti, due ge<strong>me</strong>lli laidi e ricchionissimi a far regolare l’orologio del<br />

nonno, che essendo un O<strong>me</strong>ga automatico, si rompeva spesso e<br />

volentieri. Secondo Totonno l’orologio si rompeva perché era un<br />

orologio di <strong>me</strong>r<strong>da</strong>, secondo sua mamma si rompeva perché Totonno si<br />

rifiutava di <strong>me</strong>tterselo.<br />

“E che <strong>me</strong> lo <strong>me</strong>tto a fare, ma’? Per far<strong>me</strong>lo fottere?”<br />

“Seee, mo’ si <strong>me</strong>ttono a fottere l’orologio a te”<br />

“Non ti preoccupare ma’ che se lo fottono tale e quale”<br />

“Ma tu sei un giovanotto, mica i mariuoli si <strong>me</strong>ttono appresso a te!<br />

Quelli vanno appresso ai signori se vogliono l’orologio buono.”<br />

“Ma’, qua pure se lasci un cazzo n’terra pure si assettano sopra”.<br />

Questa conversazione si ripeteva sempre uguale <strong>da</strong> anni. Avevano<br />

ragione tutti e due, in realtà. Sua mamma, perché l’orologio del nonno<br />

non era poi questo granché: per carità, bello era bello, e un certo suo<br />

valore ce l’aveva sempre, co<strong>me</strong> no, pure i Rovetti glielo ripetevano<br />

sempre <strong>me</strong>ntre se lo spolpavano con gli occhi, fregandosi le mani; e<br />

anche Totonno aveva ragione: lui era un morto di fa<strong>me</strong>, un disoccupato, e<br />

certe cose non erano fatte per i disoccupati. La verità era che con<br />

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