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“OOOOOhh, ma che sei scemo? Io non bestemmio mai, e manco le mie<br />
amiche hai capito?”, rispose Opale, co<strong>me</strong> al solito senza guar<strong>da</strong>rlo in<br />
faccia: in quel mo<strong>me</strong>nto fissava l’infinito delle diciassettenni,<br />
materializzatosi stavolta in un punto imprecisato del cruscotto della<br />
Smart.<br />
“Iamm che hai capito. Guar<strong>da</strong> che vi sento a te e alla compagne tue, e<br />
cazzo di qua e pucchiacca di là e culo di sopra e bucchino di sotto!”<br />
“Ma che mi urli scusa? Ma sei scemo?”<br />
“AH! MO’ SO’ SCEMO! MO’ SO’ SCEMO!”<br />
“Guar<strong>da</strong> tu sei popo scemo, guar<strong>da</strong> co<strong>me</strong> te lo dico”, concluse Opale<br />
col tono <strong>da</strong> cassazione riunita, “fermati che siamo arrivati”.<br />
“Siamo arrivati? E che cazzo dobbiamo fare qua mo’?”<br />
Qua, nella fattispecie, era un capannone industriale semiabbandonato,<br />
<strong>da</strong>l quale proveniva un rumore sordo. Ergeva è una parola grossa, quindi<br />
il capannone più che ergersi sembrava seduto, afflosciato co<strong>me</strong> un<br />
chiattone con l’affanno fra i cespugli incolti e i preservativi usati e<br />
abbandonati. Natural<strong>me</strong>nte Opale non gli rispose, ma al<strong>me</strong>no stavolta la<br />
scusa era che era già uscita <strong>da</strong>lla macchina e si era precipitata dentro.<br />
Marco scese, mise l’antifurto e fece per entrare anche lui, quando lei si<br />
affacciò <strong>da</strong>lla saracinesca e gli urlò:<br />
“Porta la busta peffavore!”, causando con quel peffavore la caduta della<br />
mandibola di Marco, ormai triste<strong>me</strong>nte disabituato alla buona<br />
educazione. Soffocò i succhi acidi che gli stavano mangiando la bocca<br />
dello stomaco e si caricò la busta piena di cibo pagato <strong>da</strong> lui. Varcata la<br />
soglia, scoprì con raccapriccio che il rumore che si sentiva <strong>da</strong>lla stra<strong>da</strong><br />
non solo non migliorava, avvicinandosi, ma si trasformava<br />
nell’emissione sonora più sgradevole della terra: la musica reggae<br />
italiana. Fosse stato Totonno (che non aveva mai sopportato i ritmi in<br />
levare: non li capiva, lo innervosivano, chissà perché) al posto suo, o<br />
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