Marzabotto non dimentica Walter Reder PDF

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02.06.2013 Views

vato, perché uno pubblico non si conosce. È noto, invece, che per molti anni la DC e i cattolici disertarono le celebrazioni dell'eccidio. È stato solo negli anni Settanta, per merito di alcuni sacerdoti e, in particolare, della «Comunità di fede e Resistenza», presieduta da monsignor Luciano Gherardi, che la chiesa bolognese ha preso coscienza piena dell'eccidio e ha aperto processi di beatificazione dei sacerdoti uccisi dalle SS e delle comunità cancellate da Monte Sole. Nell'estate del 1984 la zona dell'eccidio è stata addirittura affidata alla tutela spirituale della comunità religiosa di don Giuseppe Dossetti, a cura della quale sarà costruito un santuario. È vero che il vescovo, di Bologna, Giacomo Biffi, nel momento in cui prendeva coscienza — nell'estate del 1984 — del dramma di Monte Sole, ha voluto fare un più che discutibile parallelo tra i sacerdoti uccisi dai nazifascisti e quelli caduti dopo la Liberazione — definendoli tutti «vittime di ideologie contrapposte, ma egualmente anticristiane e perciò disumane», — ma, quel che conta, è che la strage di Marzabotto sia diventata finalmente memoria storica di tutta la comunità bolognese. In ogni caso va detto che il merito maggiore di questa presa di coscienza della chiesa spetta al defunto vescovo Enrico Manfredini. Fu lui che nel 1983 si recò a Marzabotto proprio per visitare i luoghi del massacro. In quell'occasione — anche questo va ricordato — pronunciò un discorso del tutto diverso da quello del suo successore. Non so se tutti gli atti compiuti negli ultimi anni dalla chiesa bolognese per ricuperare il martirio dei cittadini di Marzabotto e per ottenere la liberazione di Reder — per un cristiano il perdono per un torto subito e la salvezza di un'anima sono doveri — debbano essere letti tenendo presente questo complesso di colpa. Sicuramente ci deve essere stata una regia tra Roma, Bologna e Gaeta. 5) Reder abiura il nazismo e chiede perdono Il 20 ottobre 1984 «Civiltà cattolica», il prestigioso quindicinale dei gesuiti, pubblicò un articolo di padre Giuseppe De Gennaro per sollecitare la concessione della grazia a Reder. Subito dopo, Reder scrisse due lettere. Una al papa, per sollecitare 43

un suo passo presso il governo italiano, e l'altra al gesuita per ringraziarlo di quanto aveva fatto, subito diffusa dalla Radio vaticana. «Non potrò mai dimenticare — scrisse a De Gennaro — le cose che lei ha detto in modo così chiaro e generoso. Mi affido al Signore con tutta la mia rassegnazione e con tutta l'angoscia dei miei ricordi di un tempo così tragico per tutti, per i miei soldati e anche per me. Questa angoscia non mi lascierà mai e soltanto la fede nella quale sono oggi ben fermo mi permette di sentirmi ancora in qualche modo vivo». Dopo avere espresso il desiderio di tornare in patria, così proseguiva Reder: «Tanto avrei anche la speranza che qualcuno della popolazione di Marzabotto potesse pensare di me dopo quarant'anni da quei terribili giorni della guerra e dopo questa mia così lunga pena, un poco come si pensa di un fratello infelice, ritrovato dopo tanto tempo. Questo non nella dimenticanza dei caduti dalla loro e dalla nostra parte, né cancellando gli errori compiuti nella tempesta in cui perdettero la vita, ma nella comune venerazione della loro memoria». Invitandolo a far conoscere la sua lettera a don Zanini e agli abitanti di Marzabotto, concludeva auspicando la «riconciliazione» tra tutti. Nessuno può, in buona fede, giudicare se le parole di Reder siano o no sincere. Se — come sostiene — è un credente, possono essere anche sincere. Ma non sta a noi giudicare. L'ho già detto. Nei risvolti del suo animo non possiamo guardare. Certo, stona un po', falso e anche ingiustificato quel modo di accomunare le vittime e gli aguzzini. Credo che sia difficile anche per un cattolico accettare un simile concetto. Subito dopo Reder, — la cui lettera fu resa nota in dicembre — altri personaggi intervennero pubblicamente. Il vescovo Biffi, il 20 dicembre, in un messaggio alla comunità bolognese, chiese la grazia per Reder. «La chiesa di Bologna, — disse — che ha già perdonato da sempre, invita tutti i suoi figli, comunque e da chiunque siano stati colpiti e offesi, a liberarsi da ogni risentimento e da ogni pensiero amaro». Aggiunse che perdono non può essere confuso con condono e di avere la certezza di essere «in perfetta comunione di spirito con i nostri cinque sacerdoti uccisi» dalle SS di Reder. 44

un suo passo presso il governo italiano, e l'altra al gesuita per ringraziarlo<br />

di quanto aveva fatto, subito diffusa dalla Radio vaticana.<br />

«Non potrò mai <strong>dimentica</strong>re — scrisse a De Gennaro — le cose<br />

che lei ha detto in modo così chiaro e generoso. Mi affido al Signore<br />

con tutta la mia rassegnazione e con tutta l'angoscia dei miei ricordi<br />

di un tempo così tragico per tutti, per i miei soldati e anche per me.<br />

Questa angoscia <strong>non</strong> mi lascierà mai e soltanto la fede nella quale<br />

sono oggi ben fermo mi permette di sentirmi ancora in qualche modo<br />

vivo».<br />

Dopo avere espresso il desiderio di tornare in patria, così proseguiva<br />

<strong>Reder</strong>: «Tanto avrei anche la speranza che qualcuno della popolazione<br />

di <strong>Marzabotto</strong> potesse pensare di me dopo quarant'anni da<br />

quei terribili giorni della guerra e dopo questa mia così lunga pena,<br />

un poco come si pensa di un fratello infelice, ritrovato dopo tanto<br />

tempo. Questo <strong>non</strong> nella <strong>dimentica</strong>nza dei caduti dalla loro e dalla<br />

nostra parte, né cancellando gli errori compiuti nella tempesta in cui<br />

perdettero la vita, ma nella comune venerazione della loro memoria».<br />

Invitandolo a far conoscere la sua lettera a don Zanini e agli abitanti<br />

di <strong>Marzabotto</strong>, concludeva auspicando la «riconciliazione» tra<br />

tutti.<br />

Nessuno può, in buona fede, giudicare se le parole di <strong>Reder</strong> siano<br />

o no sincere. Se — come sostiene — è un credente, possono essere<br />

anche sincere. Ma <strong>non</strong> sta a noi giudicare. L'ho già detto. Nei risvolti<br />

del suo animo <strong>non</strong> possiamo guardare.<br />

Certo, stona un po', falso e anche ingiustificato quel modo di accomunare<br />

le vittime e gli aguzzini. Credo che sia difficile anche per un<br />

cattolico accettare un simile concetto.<br />

Subito dopo <strong>Reder</strong>, — la cui lettera fu resa nota in dicembre — altri<br />

personaggi intervennero pubblicamente. Il vescovo Biffi, il 20 dicembre,<br />

in un messaggio alla comunità bolognese, chiese la grazia<br />

per <strong>Reder</strong>. «La chiesa di Bologna, — disse — che ha già perdonato<br />

da sempre, invita tutti i suoi figli, comunque e da chiunque siano stati<br />

colpiti e offesi, a liberarsi da ogni risentimento e da ogni pensiero<br />

amaro». Aggiunse che perdono <strong>non</strong> può essere confuso con condono<br />

e di avere la certezza di essere «in perfetta comunione di spirito con i<br />

nostri cinque sacerdoti uccisi» dalle SS di <strong>Reder</strong>.<br />

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