Marzabotto non dimentica Walter Reder PDF

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02.06.2013 Views

Fu un massacro orrendo. Il più grosso compiuto dai nazifascisti in Italia e il secondo tra quelli consumati in Europa. La palma del martirio spetta alla città jugoslava di Kragujevac, in Serbia, dove furono passati per le armi 7.450 persone, tutti uomini e ragazzi perché si trattava di una fucilazione di rappresaglia. Non si conosce il numero esatto delle vittime di Monte Sole, anche perché i tre comuni interessati hanno avuto gli uffici di stato civile distrutti da eventi bellici. Secondo una stima approssimativa, — ma agli abitanti locali vanno aggiunte le numerose famiglie sfollate da Bologna, delle quali si ignora tutto — furono più di mille le persone massacrate dalle SS di Reder. Erano quasi tutte donne, vecchi e bambini. Solo i bambini trucidati — il più piccolo dei quali aveva 24 giorni — sono stati oltre duecento. La cifra di 1830 caduti — indicata nella motivazione della medaglia d'oro, ma in un primo tempo i morti erano stati stimati in oltre duemila — è comprensiva, ammesso e non concesso che sia esatta, di tutti coloro che furono vittime della violenza nazifascista nei venti mesi dell'occupazione. Relativamente pochi furono i partigiani caduti nei giorni del massacro. Come aveva fatto in occasione dei precedenti rastrellamenti la brigata si era ritirata, dopo le prime scaramucce, per evitare scontri diretti con forze più numerose e dotate di armi pesanti. Questa tattica consentì poi, nel dopoguerra, alla pubblicistica neofascista di scrivere che i partigiani avevano abbandonato la popolazione civile, dopo avere provocato i tedeschi. Si tratta di menzogne neppure troppo intelligenti che lasciano il tempo che trovano. Tra i caduti vi era il comandante Musolesi che perse la vita nelle prime ore del 29 in località Cadotto. Sconfitta non sul piano militare, ma, se è possibile dire, su quello familiare — la maggior parte dei partigiani avevano dei parenti tra i civili massacrati — e su quello logistico — con la distruzione dell'intera comunità veniva a mancare l'aiuto e la solidarietà popolare — la brigata Stella rossa Lupo dovette abbandonare Monte Sole. Alcuni reparti si diressero al sud, attraversarono le linee e furono riorganizzati dagli americani, per riprendere a combattere a loro fianco sull'Appennino. Altri volsero al nord e si unirono alla 63 a brigata 21

Bolero Garibaldi, nella zona di Monte S. Pietro, o raggiunsero addirittura Bologna per partecipare a quella che si riteneva l'imminente insurrezione per la liberazione della città. Poi — è noto — il fronte si fermò alle porte di Bologna e l'insurrezione fu rinviata alla primavera. L'eco dell'immenso massacro non tardò ad arrivare in città anche perché, sin dai primi giorni di ottobre, cominciarono a giungere sotto le Due torri centinaia di profughi con il terrore ancora impresso sul viso. Alcuni erano superstiti del massacro, mentre altri, sotto la minaccia delle armi, avevano dovuto sgomberare gli abitati che si trovavano ai piedi di Monte Sole. Per impedire ai partigiani di tornarvi, tedeschi e fascisti avevano fatto terra bruciata e bloccato tutte le strade di accesso. Una plaga agricola un tempo fertile e ridente era stata trasformata in un deserto — con centinaia e centinaia di morti che non ebbero mai una onorata sepoltura — e tale doveva restare. I primi a essere informati della strage furono i dirigenti della Resistenza bolognese perché proprio il giorno 29 il partigiano Sigfrido Amadori — che era solito tenere i collegamenti tra il CUMER (Comando unico militare Emilia-Romagna) e la brigata Stella rossa Lupo — si recò a Marzabotto. Rientrò immediatamente a Bologna e redasse un dettagliato rapporto sul massacro. Perché potesse avere la massima diffusione, il rapporto venne incluso integralmente nel Bollettino che il CUMER pubblicava mensilmente, sia pure dattiloscritto, con le relazioni delle brigate e i documenti ufficiali degli organi militari della Resistenza. Stranamente e incomprensibilmente la notizia del massacro non fu ripresa dai giornali clandestini, che avevano una larga diffusione. Gli ultimi ad essere informati del massacro — almeno ufficialmente, anche se è impossibile credere che non lo avessero saputo prima — furono i gerarchi del fascio repubblichino bolognese, la maggior parte dei quali sostennero in seguito di essere stati ingannati dai tedeschi sia prima che dopo. II 6 o 7 ottobre il prefetto Dino Fantozzi, quando ricevette una prima sommaria informazione sulla strage da Agostino Grava, segretario comunale di Marzabotto, restò incredulo e scettico. Per questo 22

Bolero Garibaldi, nella zona di Monte S. Pietro, o raggiunsero addirittura<br />

Bologna per partecipare a quella che si riteneva l'imminente<br />

insurrezione per la liberazione della città.<br />

Poi — è noto — il fronte si fermò alle porte di Bologna e l'insurrezione<br />

fu rinviata alla primavera.<br />

L'eco dell'immenso massacro <strong>non</strong> tardò ad arrivare in città anche<br />

perché, sin dai primi giorni di ottobre, cominciarono a giungere sotto<br />

le Due torri centinaia di profughi con il terrore ancora impresso sul<br />

viso. Alcuni erano superstiti del massacro, mentre altri, sotto la minaccia<br />

delle armi, avevano dovuto sgomberare gli abitati che si trovavano<br />

ai piedi di Monte Sole.<br />

Per impedire ai partigiani di tornarvi, tedeschi e fascisti avevano<br />

fatto terra bruciata e bloccato tutte le strade di accesso. Una plaga<br />

agricola un tempo fertile e ridente era stata trasformata in un deserto<br />

— con centinaia e centinaia di morti che <strong>non</strong> ebbero mai una onorata<br />

sepoltura — e tale doveva restare.<br />

I primi a essere informati della strage furono i dirigenti della Resistenza<br />

bolognese perché proprio il giorno 29 il partigiano Sigfrido<br />

Amadori — che era solito tenere i collegamenti tra il CUMER (Comando<br />

unico militare Emilia-Romagna) e la brigata Stella rossa Lupo<br />

— si recò a <strong>Marzabotto</strong>. Rientrò immediatamente a Bologna e redasse<br />

un dettagliato rapporto sul massacro.<br />

Perché potesse avere la massima diffusione, il rapporto venne incluso<br />

integralmente nel Bollettino che il CUMER pubblicava mensilmente,<br />

sia pure dattiloscritto, con le relazioni delle brigate e i documenti<br />

ufficiali degli organi militari della Resistenza. Stranamente e incomprensibilmente<br />

la notizia del massacro <strong>non</strong> fu ripresa dai giornali<br />

clandestini, che avevano una larga diffusione.<br />

Gli ultimi ad essere informati del massacro — almeno ufficialmente,<br />

anche se è impossibile credere che <strong>non</strong> lo avessero saputo prima<br />

— furono i gerarchi del fascio repubblichino bolognese, la maggior<br />

parte dei quali sostennero in seguito di essere stati ingannati dai tedeschi<br />

sia prima che dopo.<br />

II 6 o 7 ottobre il prefetto Dino Fantozzi, quando ricevette una<br />

prima sommaria informazione sulla strage da Agostino Grava, segretario<br />

comunale di <strong>Marzabotto</strong>, restò incredulo e scettico. Per questo<br />

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