Marzabotto non dimentica Walter Reder PDF

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02.06.2013 Views

senza alcun male. Non avevo più forza nelle braccia. Feci altri cento metri di corsa per giungere alla tana di Sad (un prigioniero indiano), la trovai piena di gente, li pregai di prendermi dentro con loro, ma nessuno si mosse per la paura di essere visti dai tedeschi. C'era la Maria, le chiesi di assistermi un poco: mi mancava il respiro e in certi momenti non capivo più niente, ma per molto tempo nessuno si curò di me. Poi Carluccio mi venne vicino: ero insanguinata e sporca, facevo spavento. Mi guardò e disse con Mazzanti: «Come è ridotta non vivrà di certo!» Sentivo in bocca l'odore del sangue. «Bisogna morire», pensavo, e mi venne in mente con disperazione la mia bambina. Allora strappai un fazzoletto e lo misi sulla ferita della spalla, e di nuovo pregai Maria che mi aiutasse, ma lei mi rispose: «Finché tutto non è calmo non ci muoviamo altrimenti ci ammazzano anche noi». In quel momento vedemmo molti tedeschi in fila che passavano. La gente scappava, ma io non potevo. Pregai Carluccio di nascondermi, e lui prese dei rami di ginepro secco e mi copri. Mi sentivo malissimo, morivo dalla sete. Si mise a piovere forte e io mi bagnavo la bocca con l'acqua che grondava dagli spini. Poi non capii più niente, e credo di essere stata senza conoscenza per molte ore, perché quando aprii gli occhi c'era intorno una gran calma. Carluccio era rimasto, mi aiutò a raggiungere una tana: ero tutta bagnata di pioggia, e avevo la febbre alta. Pensavo alla morte dei miei. Non sapevo più niente di nessuno, neppure se mio marito si era salvato. Sentii ad un tratto parlare tedesco, balzai fuori dal rifugio, corsi nel bosco sotto la pioggia. Durante la notte mi trovò mio marito. Sapeva già tutto, non mi disse una parola, mi coprì con un panno di lana. Più tardi mi disse: «Qui fa freddo per te». Mi portò via, non so dove; qualcuno mi medicò le ferite più gravi. Dopo sei giorni tutta la montagna era occupata dalle SS. E continuava a piovere. Di nuovo tutti scappammo nel bosco; c'erano tante donne con i bambini, si sentiva sparare da tutte le parti. Verso sera io e mio marito cercammo di ripararci sotto un albero, avevamo l'impressione di essere stati scoperti, perché le pallottole fischiavano a pochi metri di distanza. Così fino a tardi. Poi venne una notte cosi 169

uia che pareva di non averne mai vista una uguale, e non trovammo più la strada del rifugio. Allora cominciò sopra di noi uno scoppiare di cannonate come la grandine. Si vedevano i lampi anche con gli occhi chiusi. Ci mettevamo qua e là sotto gli alberi più grossi, per ripararci dalle schegge che spesso troncavano i rami. Non so come ci siamo salvati. Mio marito tentò la sorte; andò da solo a cercare la strada, gli riuscì di trascinarmi fino a un rifugio e mascherò l'entrata con frasche e sassi. Rimanemmo là dentro tre giorni senza mangiare né bere, e senza alcuna cura. Il quarto giorno mio marito decise di uscire in cerca di viveri, ritornò dopo molto tempo, tutto bagnato fradicio e senza niente. Mi portò via con sé: non mi reggevano le gambe e lui pure era sfinito. Si mise a scavare la terra con un coltello, fece un buco dove stavamo appena rannicchiati, ma dopo qualche ora di pioggia dirotta la terra cedette e rimanemmo quasi sepelliti. Sentimmo piangere un bimbo, andammo verso quel pianto. C'era un gruppo di gente dispersa e affamata. Aldo ci fece coraggio, trovò la via verso il rifugio grande, dove avevamo lasciato tutta la nostra roba. Portò del pane, portò pure il mio sacco pieno di roba da mangiare. Ma qualcuno aveva preso il mio pane, e vi aveva messo in cambio delle pagnotte ammuffite che non si potevano mangiare. Mi addormentai così, senza coperte. Al mattino del 12 ottobre sentii chiamarmi con un filo di voce: era un compagno che si era messo, con altri quattro, in un. nascondiglio fatto da loro, un po' più lontano. Era ferito, e mi disse che una granata era caduta davanti al rifugio e uno di loro era morto. Lui e un altro erano feriti. Andai da loro, medicai i feriti come potevo con un paio di forbici tagliai via tutta la carne nera, morta, li fasciai alla meglio. Passai giorni terribili, fra i lamenti degli altri e il dolore delle mie stesse ferite. Un'altra volta fummo scoperti dai tedeschi. Ero insieme con molta gente. Ci portarono via tutti gli uomini, rimanemmo solo noi donne con i bimbi. I tedeschi ci tormentarono portandoci via tutto. Alle ragazze puntarono contro la rivoltella perché andassero con loro: ormai sembravano bestie. L'11 novembre dovemmo lasciare il nostro rifugio e fuggire. Fummo costretti ad attraversare i campi perché le 170

senza alcun male. Non avevo più forza nelle braccia. Feci altri cento<br />

metri di corsa per giungere alla tana di Sad (un prigioniero indiano),<br />

la trovai piena di gente, li pregai di prendermi dentro con loro, ma<br />

nessuno si mosse per la paura di essere visti dai tedeschi. C'era la<br />

Maria, le chiesi di assistermi un poco: mi mancava il respiro e in certi<br />

momenti <strong>non</strong> capivo più niente, ma per molto tempo nessuno si<br />

curò di me. Poi Carluccio mi venne vicino: ero insanguinata e sporca,<br />

facevo spavento. Mi guardò e disse con Mazzanti: «Come è ridotta<br />

<strong>non</strong> vivrà di certo!» Sentivo in bocca l'odore del sangue. «Bisogna<br />

morire», pensavo, e mi venne in mente con disperazione la mia<br />

bambina. Allora strappai un fazzoletto e lo misi sulla ferita della<br />

spalla, e di nuovo pregai Maria che mi aiutasse, ma lei mi rispose:<br />

«Finché tutto <strong>non</strong> è calmo <strong>non</strong> ci muoviamo altrimenti ci ammazzano<br />

anche noi».<br />

In quel momento vedemmo molti tedeschi in fila che passavano.<br />

La gente scappava, ma io <strong>non</strong> potevo. Pregai Carluccio di nascondermi,<br />

e lui prese dei rami di ginepro secco e mi copri. Mi sentivo<br />

malissimo, morivo dalla sete. Si mise a piovere forte e io mi bagnavo<br />

la bocca con l'acqua che grondava dagli spini. Poi <strong>non</strong> capii più<br />

niente, e credo di essere stata senza conoscenza per molte ore,<br />

perché quando aprii gli occhi c'era intorno una gran calma. Carluccio<br />

era rimasto, mi aiutò a raggiungere una tana: ero tutta bagnata<br />

di pioggia, e avevo la febbre alta. Pensavo alla morte dei miei. Non<br />

sapevo più niente di nessuno, neppure se mio marito si era salvato.<br />

Sentii ad un tratto parlare tedesco, balzai fuori dal rifugio, corsi nel<br />

bosco sotto la pioggia.<br />

Durante la notte mi trovò mio marito. Sapeva già tutto, <strong>non</strong> mi<br />

disse una parola, mi coprì con un panno di lana. Più tardi mi disse:<br />

«Qui fa freddo per te». Mi portò via, <strong>non</strong> so dove; qualcuno mi medicò<br />

le ferite più gravi.<br />

Dopo sei giorni tutta la montagna era occupata dalle SS. E continuava<br />

a piovere. Di nuovo tutti scappammo nel bosco; c'erano tante<br />

donne con i bambini, si sentiva sparare da tutte le parti. Verso sera<br />

io e mio marito cercammo di ripararci sotto un albero, avevamo<br />

l'impressione di essere stati scoperti, perché le pallottole fischiavano a<br />

pochi metri di distanza. Così fino a tardi. Poi venne una notte cosi<br />

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