Marzabotto non dimentica Walter Reder PDF

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02.06.2013 Views

levano seminare il terrore, sfogare il loro odio sul popolo, dimostrare quello che era veramente il nazismo senza la maschera: come tutti sanno 1830 furono i massacrati a Marzabotto e dintorni e fra questi persino dei bimbi di pochi giorni. La notte ci permise di vedere tutta la montagna disseminata di falò: erano le case bruciate, i luoghi delle stragi. I tedeschi non avevano ancora vinto la battaglia contro la «Stella Rossa»; in molte zone si erano ritirati nei punti di partenza e da entrambe le parti, in quelle ore, si raccolsero i morti e noi cercavamo di curare alla meglio i feriti, che erano molti. Dal mattino non avevamo avuto notizia del Lupo e certo non l'avremmo più visto. Mario Musolesi era morto in combattimento, a C adotto, dove il comando fu accerchiato. I nostri combatterono fino all'ultimo per contrastare la marcia del terrore di Reder e della sua banda di seviziatori e di assassini. Mori sempre a Cadotto anche Gamberini, un comandante di compagnia, mentre il vice comandante Gianni Rossi, ferito alle braccia e a un piede riusci miracolosamente a salvarsi grazie all'aiuto dei contadini che riuscirono a sottrarlo alle ricerche dei tedeschi e a curarlo. A notte inoltrata, i primi colpi dei cannoni alleati, appostati in prossimità di Creda di Castiglione de' Pepoli, cominciarono a battere la zona di Monte Sole, che erroneamente ritenevano fosse già occupata dai tedeschi, mietendo ancora vittime fra i civili e uccidendo altri partigiani. Ritornata la calma sull'intero versante del Setta, si attese l'alba del 30 settembre, un giorno di nuove battaglie e rappresaglie naziste ancora più feroci. Poi una parte della Brigata si uni agli alleati e un'altra parte raggiunse, in vari gruppi, le «basi» partigiane di Bologna, in tempo per partecipare alle battaglie del novembre... (Da: L. Bergonzini, La Resistenza a Bologna, Volume terzo, p. 308, 1970). 163

lettere dalla germania: «c'è stato davvero il massacro a marzabotto?» di remigio barbieri Un certo ingegner Friederick Rainer, austriaco di Klagenfurt, ha scritto una sdegnata lettera al sindaco di Marzabotto per sollecitarlo a farla finita con il «sedicente massacro» attribuito alla «unità militare comandata dal maggiore Reder», e sostiene che mai l'ufficiale suo compatriota ed i granatieri della 16 a divisione SS hanno fatto ingresso nel «villaggio». È invece vero, precisa Rainer, che nella zona vi fu una operazione di polizia, nel corso della quale «non fu evitabile la perdita di duecento borghesi armati e non armati», ragione per cui gli abitanti di Marzabotto «farebbero bene» a rendere giustizia al detenuto Reder, in modo che egli possa ottenere la libertà.- Chi può essere costui? Un ex SS? Un nostalgico che non ha capito niente della tragedia del suo paese? Un «nuovo nazista»? Un cittadino comune frastornato dalla campagna di stampa tesa a rivalutare i criminali di guerra Kappler e Reder? Il sindaco Cruicchi ci mostra alcune delle farneticanti missive: «Ormai possediamo un ampio campionario di tipi — egli risponde — e credo che tutto l'arco degli interrogativi vi sia compreso. Impressiona comunque, nella lettura di questi atroci messaggi, la ricorrente affermazione secondo cui la strage non è mai avvenuta e che qualche vittima civile fu il prezzo doloroso e inevitabile di un intervento contro banditi e terroristi: è una vecchia tesi, che nei due paesi d'oltralpe è tornata ultimamente d'attualità, col rilancio da parte del diffusissimo quotidiano. Die Welt. C'è gente insomma, che subisce passivamente e completamente la campagna di stampa, e ci scrive lettere co- 164

levano seminare il terrore, sfogare il loro odio sul popolo, dimostrare<br />

quello che era veramente il nazismo senza la maschera: come tutti<br />

sanno 1830 furono i massacrati a <strong>Marzabotto</strong> e dintorni e fra questi<br />

persino dei bimbi di pochi giorni. La notte ci permise di vedere tutta<br />

la montagna disseminata di falò: erano le case bruciate, i luoghi delle<br />

stragi. I tedeschi <strong>non</strong> avevano ancora vinto la battaglia contro la<br />

«Stella Rossa»; in molte zone si erano ritirati nei punti di partenza e<br />

da entrambe le parti, in quelle ore, si raccolsero i morti e noi cercavamo<br />

di curare alla meglio i feriti, che erano molti. Dal mattino <strong>non</strong><br />

avevamo avuto notizia del Lupo e certo <strong>non</strong> l'avremmo più visto.<br />

Mario Musolesi era morto in combattimento, a C adotto, dove il comando<br />

fu accerchiato. I nostri combatterono fino all'ultimo per contrastare<br />

la marcia del terrore di <strong>Reder</strong> e della sua banda di seviziatori<br />

e di assassini. Mori sempre a Cadotto anche Gamberini, un comandante<br />

di compagnia, mentre il vice comandante Gianni Rossi, ferito<br />

alle braccia e a un piede riusci miracolosamente a salvarsi grazie<br />

all'aiuto dei contadini che riuscirono a sottrarlo alle ricerche dei tedeschi<br />

e a curarlo.<br />

A notte inoltrata, i primi colpi dei can<strong>non</strong>i alleati, appostati in<br />

prossimità di Creda di Castiglione de' Pepoli, cominciarono a battere<br />

la zona di Monte Sole, che erroneamente ritenevano fosse già occupata<br />

dai tedeschi, mietendo ancora vittime fra i civili e uccidendo altri<br />

partigiani. Ritornata la calma sull'intero versante del Setta, si attese<br />

l'alba del 30 settembre, un giorno di nuove battaglie e rappresaglie<br />

naziste ancora più feroci. Poi una parte della Brigata si uni agli alleati<br />

e un'altra parte raggiunse, in vari gruppi, le «basi» partigiane di<br />

Bologna, in tempo per partecipare alle battaglie del novembre...<br />

(Da: L. Bergonzini, La Resistenza a Bologna, Volume terzo, p. 308, 1970).<br />

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