Marzabotto non dimentica Walter Reder PDF

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02.06.2013 Views

San Martino ove si era recato per assistere all'inumazione dei cadaveri ancora insepolti. «Non erano uomini validi e tanto meno partigiani» — fece osservare commosso il sacerdote a un capitano che assisteva l'opera dei becchini, indicando i corpi ormai disfatti di tante donne e di tanti fanciulli. Bastò quella frase a segnare la sua condanna. Il capitano nazista lo guardò con disprezzo e lo freddò con una scarica di mitra a bruciapelo. Il «monco» che aveva organizzato e diretto l'intero ciclo delle «operazioni di polizia» in Versilia, in Garfagnana e tra i calanchi di Marzabotto, costretto a render conto a un Tribunale di quella interminabile catena di delitti, schiacciato da ogni parte dal peso delle accuse, investito dalle grida dei superstiti e dal disprezzo del pubblico, continuò a difendersi con irritante ostinazione trincerandosi dietro le «ragioni di guerra» e le «esigenze del servizio». Sprezzante, insensibile, altero, incapace di avvertire per un solo istante la voce del sentimento, mai, per tutta la durata del dibattito, il suo volto fu sfiorato da un velo di commozione o di rimorso, mai i suoi occhi ebbero un riflesso di pietà. Neppure mentre sfilavano di fronte a lui le madri singhiozzanti per rievocare il supplizio dei loro figli, neppure mentre l'oste di San Terenzio, gli puntò il dito contro il petto gridandogli con un groppo di. pianto nella voce: «Vergognati, assassino!». E quando — alla fine della severa requisitoria del Procuratore Generale che aveva chiesto per lui la fucilazione alla schiena — un maresciallo dei carabinieri, vedendolo lievemente agitato, gli domandò se fosse emozionato per la condanna che lo attendeva, lui rispose: «No, sono preoccupato perché non riesco più a trovare la mia penna stilografica». Il discepolo prediletto delle scuole hitleriane, l'esponente della «razza pura», l'araldo del terzo Reich, era riuscito a spegnere in sé fino all'ultima scintilla di umanità. Da quel momento il caso del «monco» (che sopravvive alla imperdonabile vergogna delle sue colpe, nella cella di un carcere romano) interessava più il patologo che lo storico. Ognuno di noi ha incontrato centinaia di ufficiali come lui sulle strade sconvolte dalla guerra, ha udito il suono sferzante dei loro comandi, ha sussultato all'eco dei loro pesanti passi ritmati che rimbalzava la notte sui muri dei nostri rifugi. 117

Tuttavia la criminalità di Reder e il fanatismo bestiale dei suoi soldati non avrebbero potuto portare tanti lutti e tante rovine nel nostro Paese se la guerra non avesse offerto all'uno e agli altri l'occasione di impugnare le armi. E forse v'è qualcosa di vero nell'attenuante che Reder invocò dai giudici dichiarando: «Ero un ufficiale e obbedivo a degli ordini». La storia di Marzabotto è anche la storia di Varsavia, di Lidice, di Oradour sur Glane, di Peisberg, di Cuneo, di Bassano, dei cento e cento villaggi smantellati dalle armate naziste. Ed è anche la storia della Corea, dell'Indocina, di tutti i paesi travolti dalla bufera della guerra. Quando la guerra sconvolge il cuore degli uomini, nessuno sa mai in quale abisso di abiezione essi possano sprofondare. Soltanto impedendo che i governi si gettino allo sbaraglio rifiutando le vie della ragione, soltanto smascherando i falsi profeti prima che essi annunzino dall'alto delle loro torri il tempo di uccidere, si potranno frenare gli impulsi criminali di tutti i Reder del mondo, costringendo a costruire per la vita quelle mani smaniose di seminare la morte. Altrimenti in ogni conflitto, su ogni fronte, ci saranno sempre dei Reder che aggiungeranno agli orrori delle battaglie le nefandezze della loro anima perversa. Il «Faro del Martirio» acceso nel decennale della strage sul colle di Marzabotto valga ad illuminare questa semplice verità e a ravvivare la speranza negli uomini che attendono, dopo tanto sangue, un'era di sereno lavoro, una stagione nuova di civiltà e di clemenza. (Da: Emilia, n. 2, 1955). 118

Tuttavia la criminalità di <strong>Reder</strong> e il fanatismo bestiale dei suoi soldati<br />

<strong>non</strong> avrebbero potuto portare tanti lutti e tante rovine nel nostro<br />

Paese se la guerra <strong>non</strong> avesse offerto all'uno e agli altri l'occasione di<br />

impugnare le armi. E forse v'è qualcosa di vero nell'attenuante che<br />

<strong>Reder</strong> invocò dai giudici dichiarando: «Ero un ufficiale e obbedivo a<br />

degli ordini».<br />

La storia di <strong>Marzabotto</strong> è anche la storia di Varsavia, di Lidice, di<br />

Oradour sur Glane, di Peisberg, di Cuneo, di Bassano, dei cento e<br />

cento villaggi smantellati dalle armate naziste. Ed è anche la storia<br />

della Corea, dell'Indocina, di tutti i paesi travolti dalla bufera della<br />

guerra.<br />

Quando la guerra sconvolge il cuore degli uomini, nessuno sa mai<br />

in quale abisso di abiezione essi possano sprofondare. Soltanto impedendo<br />

che i governi si gettino allo sbaraglio rifiutando le vie della ragione,<br />

soltanto smascherando i falsi profeti prima che essi annunzino<br />

dall'alto delle loro torri il tempo di uccidere, si potranno frenare gli<br />

impulsi criminali di tutti i <strong>Reder</strong> del mondo, costringendo a costruire<br />

per la vita quelle mani smaniose di seminare la morte. Altrimenti in<br />

ogni conflitto, su ogni fronte, ci saranno sempre dei <strong>Reder</strong> che aggiungeranno<br />

agli orrori delle battaglie le nefandezze della loro anima<br />

perversa.<br />

Il «Faro del Martirio» acceso nel decennale della strage sul colle di<br />

<strong>Marzabotto</strong> valga ad illuminare questa semplice verità e a ravvivare<br />

la speranza negli uomini che attendono, dopo tanto sangue, un'era di<br />

sereno lavoro, una stagione nuova di civiltà e di clemenza.<br />

(Da: Emilia, n. 2, 1955).<br />

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