Marzabotto non dimentica Walter Reder PDF

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02.06.2013 Views

trice. «Sparavano basso — ricordano le due superstiti — per esser sicuri di colpire i bambini». Gli altri, gli adulti, saranno maciullati con un fitto lancio di bombe a mano. Da quel momento i feroci scherani di Reder non si concederanno un istante di riposo: per tre giorni e tre notti continueranno a crepitare le mitraglie, a moltiplicarsi i tonfi sordi delle bombe a mano, a divampare gli incendi, a echeggiare le grida sempre più fioche degli agonizzanti, finché le ultime voci, gli estremi aneliti di vita non si spensero in un deserto di cenere e di sangue. Le stesse scene disumane e strazianti si ripeteranno un po' ovunque su tutto il vasto acrocoro di Marzabotto: a Cerpiano, Caprara, San Martino, Pian di Venola, Sperticano, Cà di Cò, Casone di Rimoneta, Colulla, Pornarino, Pioppe di Salvaro, Maccagnano, San Giovanni, Creda di Grizzana. Come rifare la cronaca delle sevizie, dei saccheggi, delle violenze che precedettero o accompagnarono l'indescrivibile supplizio dei martiri? E come rievocare lo strazio di ognuno dei 1830 innocenti travolti da quell'orgia di barbarico sadismo? Ma basteranno alcune testimonianze dei pochi sopravvissuti a renderci il senso e le proporzioni di quella tragedia. A Caprara 107 persone, tra cui 24 bambini, rinchiusi in un'osteria finiscono inceneriti dai lanciafiamme e 19 donne, legate insieme con lo stesso cappio come sterpi di una fascina, vengono ridotte a brandelli dagli scoppi delle bombe a mano. Una giovane puerpera, sentendo i tedeschi sparare intorno a casa, sebbene fiaccata dal dolore del parto appena concluso, si alza dal letto e si da alla fuga attraverso i campi stringendo al petto il neonato. Non riesce ad andare lontano; due «SS» la raggiungono e la uccidono strappandole poi il piccolo che lanciano in aria per farne bersaglio alle loro pistole. A Colulla, dall'intero nucleo familiare dei Laffi, composto di 18 persone, non si salvò che una donna, orbata da una pallottola di mitra. E fu lei a vedere i nove fanciulli della cascina gettati a bruciare vivi su un rogo di balle di paglia. Inclini come tutti i criminali a cedere agli impulsi più torbidi, i carnefici di Reder si dedicavano con la stessa disinvoltura ad ogni sorta di delitti, dall'omicidio al saccheggio, dal furto allo stupro. In quasi tutte le borgate colpite dal flagello del 56° battaglione, prima di esse- 113

e messi a morte, i martiri furono depredati di quanto possedevano: di anelli, orologi, danaro e addirittura di scarpe e di indumenti. Nel podere Abelle, per ricordare uno degli episodi più raccappriccianti, i nazisti denudano e violentano sull'aia le sorelle Marchi, poi, dopo averle uccise, squartano il figlioletto di sei mesi di una di loro e gettano uno dei due tronconi di tenera carne sanguinolenta sul grembo della madre, e l'altro sul corpo della zia squarciato dall'inguine alla gola con una pugnalata. Eguale scempio è fatto del corpo di Tommasina Marchi e Mercede Bettini di Sperticano crivellate dai coltelli insieme ai loro figlioletti. Lo stesso Reder, deponendo di quando in quando la sua boria di austero ufficiale del «grande Reich», si abbandona ad atti innominabili di violenza sessuale. Accusato dalle vittime, tenterà di scagionarsi di fronte ai giudici asserendo: «Sapete, ero ubriaco». Di quanto accadde a Cerpiano recò ai giudici una agghiacciante testimonianza Antonietta Benni, una religiosa degli Ordini Minori insegnante di asilo. «La mattina del 29 settembre — ella narrò — ero ancora a letto, quando sentii dei colpi di mitra. Mi alzai subito e dissi tra me: 'Questa è una brutta giornata'.. Feci per uscire ma, appena fuori, vidi che stavano bruciando delle case e mi rifugiai in cantina, di dove i tedeschi mi fecero uscire sospingendomi verso l'Oratorio insieme ad altre donne e vecchi rastrellati nei dintorni. Eravamo tutti molto spaventati e il nostro spavento diventò terrore quando comparvero dei militari armati di bombe a mano. 'Gente — dissi io — recitiamo l'atto di dolore perché ci ammazzano tutti'. Avevo appena pronunciato queste parole che udii degli scoppi e caddi svenuta. Quando ripresi conoscenza mi accorsi che il pavimento dell'Oratorio era ricoperto di morti e avvertii le grida soffocate d'una bimba poco discosto da me, Paola Rossi, che singhiozzava sul petto della mamma morta. Da un altro angolo dell'Oratorio si udivano dei fievoli lamenti. Era il piccolo Fernando Piretti che singhiozzava inginocchiato vicino ai cadaveri dei suoi cari. Esortai i bimbi a tacere e a fingersi morti e restai immobile nel mio posto. Di quando in quando entravano i tedeschi posti di sentinella alla porta e finivano a colpi di rivoltella i feriti che invocavano aiuto. Fuori si sentiva una gran confusione: i soldati ubriachi suonavano la fisarmonica e cantavano a squarciagola. Du- 114

trice. «Sparavano basso — ricordano le due superstiti — per esser sicuri<br />

di colpire i bambini». Gli altri, gli adulti, saranno maciullati con<br />

un fitto lancio di bombe a mano.<br />

Da quel momento i feroci scherani di <strong>Reder</strong> <strong>non</strong> si concederanno<br />

un istante di riposo: per tre giorni e tre notti continueranno a crepitare<br />

le mitraglie, a moltiplicarsi i tonfi sordi delle bombe a mano, a divampare<br />

gli incendi, a echeggiare le grida sempre più fioche degli<br />

agonizzanti, finché le ultime voci, gli estremi aneliti di vita <strong>non</strong> si<br />

spensero in un deserto di cenere e di sangue.<br />

Le stesse scene disumane e strazianti si ripeteranno un po' ovunque<br />

su tutto il vasto acrocoro di <strong>Marzabotto</strong>: a Cerpiano, Caprara,<br />

San Martino, Pian di Venola, Sperticano, Cà di Cò, Casone di Rimoneta,<br />

Colulla, Pornarino, Pioppe di Salvaro, Maccagnano, San<br />

Giovanni, Creda di Grizzana. Come rifare la cronaca delle sevizie,<br />

dei saccheggi, delle violenze che precedettero o accompagnarono l'indescrivibile<br />

supplizio dei martiri? E come rievocare lo strazio di<br />

ognuno dei 1830 innocenti travolti da quell'orgia di barbarico sadismo?<br />

Ma basteranno alcune testimonianze dei pochi sopravvissuti a<br />

renderci il senso e le proporzioni di quella tragedia.<br />

A Caprara 107 persone, tra cui 24 bambini, rinchiusi in un'osteria<br />

finiscono inceneriti dai lanciafiamme e 19 donne, legate insieme con<br />

lo stesso cappio come sterpi di una fascina, vengono ridotte a brandelli<br />

dagli scoppi delle bombe a mano. Una giovane puerpera, sentendo<br />

i tedeschi sparare intorno a casa, sebbene fiaccata dal dolore del<br />

parto appena concluso, si alza dal letto e si da alla fuga attraverso i<br />

campi stringendo al petto il neonato. Non riesce ad andare lontano;<br />

due «SS» la raggiungono e la uccidono strappandole poi il piccolo<br />

che lanciano in aria per farne bersaglio alle loro pistole.<br />

A Colulla, dall'intero nucleo familiare dei Laffi, composto di 18<br />

persone, <strong>non</strong> si salvò che una donna, orbata da una pallottola di mitra.<br />

E fu lei a vedere i nove fanciulli della cascina gettati a bruciare<br />

vivi su un rogo di balle di paglia.<br />

Inclini come tutti i criminali a cedere agli impulsi più torbidi, i carnefici<br />

di <strong>Reder</strong> si dedicavano con la stessa disinvoltura ad ogni sorta<br />

di delitti, dall'omicidio al saccheggio, dal furto allo stupro. In quasi<br />

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