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02.06.2013 Views

Osservazioni generali Il cammino fa da sfondo a tutta la pericope. Mette in risalto l’obbedienza pronta della fede alla parola del Signore significata nei verbi di movimento e nelle tappe: Andò come gli aveva detto il Signore, uscì da Carran, entrarono nella terra, attraversò (passò per), piantò-levò la tenda – muovere la tenda-viaggiare-emigrare (= continuare ad andare: il verbo nāsa‘ indica lo spostamento nel Neghev). Sono i verbi dell’esodo, soprattutto uscire ed entrare, andare e porre la tenda. Abram non ha una terra fissa. Nel suo andare verso la terra, egli anticipa l’esodo del suo popolo, attraversa il paese da nord a sud fino al Negheb, dove continua la vita da nomade, obbedendo al comando di Dio. È una vita legata alla tenda e ai suoi spostamenti che sembrano quelli della transumanza. I luoghi. Isacco dimorerà soprattutto nel Negheb; Giacobbe vivrà alcune vicende importanti a Sichem (Gen 34-35) 3 e a Betel (“casa di Dio”, cioè santuario, sostituito al precedente nome Luz), dove il patriarca avrà la visione della scala che porta in cielo (Gen 28,10-22) e costruirà un altare a memoria del primo evento (35,6-8). Più difficile è collocare la “quercia di Morēh”: designa un santuario vicino a Sichem collegato a una quercia? Delle querce sono legate a Betel e Sichem: “sotto la quercia presso Sichem” Giacobbe seppellisce gli idoli (Gen 35,1-4), nella parte bassa di Betel, “sotto la quercia”, seppellisce la nutrice di Rebecca, che si chiamerà “Quercia del pianto” (’allôn bakkôt). La “via della Quercia dei Maghi o Indovini” (’ēlôn me‘ônenîm) è dalle parti di Sichem (Gdc 9,37): Morēh potrebbe significare “indovino”, colui che pronuncia un oracolo; sarebbe un albero sacro, oracolare, come sembra essere la palma sotto la quale siede Debora (Gdc 4,5, cf anche TOB). “Le quercie-terebinto di Morēh”, vicino a Galgala, sono menzionate in Dt 11,30, per indicare un santuario di Sichem, dove probabilmente veniva rinnovata annualmente l’alleanza (cf Dt 27,1ss e Gs 24,26). In Gs 24,26 un ms legge Môre’ insieme a mûl Šekem, anziché Gilgal, e la versione Siriaca e un Targum leggono mmr’. Si potrebbe ritenere Morēh un errore del TM, per «la/e quercia/e di Mamre’», dove Abramo pose la tenda di ritorno dall’Egitto (Gen 13,18) e luogo della visione dei tre viandanti (18,1)? Il racconto ha la forma di una vocazione profetica con teofania e rivelazione divina, vocazione-comando e missione, segno e promessa. La parola del Signore mette in moto la vicenda: Dio chiama e promette. È la prima chiamata di Dio. Il patriarca risponderà con prontezza come a un comando “militare”, ma coinvolge la libertà: Vattene-andò. La vocazione richiama per forza e decisione quella di Amos profeta (3,1ss; 7,14-17). La risposta è fonte di benedizione per sé e per le nazioni. 1. Il progetto del Signore: Vattene! – andò 1 Il Signore disse ad Abram: «Vàttene (lek-lekā, vai per te/a te) DALLA tua TERRA (me’arêeka), e dalla tua patria (luogo della tua nascita) e dalla casa di tuo padre, VERSO la TERRA (’el- ’ereê) che io ti indicherò (farò vedere). 2 Farò di te un grande POPOLO e ti benedirò, renderò grande il tuo NOME e diventerai una benedizione. 3 Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò 3 Sichem fu capitale provvisoria del regno del nord 1Re 11-12; fu soprattutto il luogo del patto tra le tribù e il Signore dopo l’entrata nella “terra” (Gs 24). Il NT ricorda Sicar, probabilmente indicandolo stesso luogo, e lo collega al pozzo di Giacobbe (Gv 4,5). 78

e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra (’adamah)». Il testo espone una caratteristica di Abramo che Giosué ricorda a Sichem: «Io presi il padre vostro Abramo da oltre il Fiume (l’Eufrate) e lo feci andare per tutta la terra di Canaan» (Gs 24,3). La sua vita sarà un continuo “andare” attraverso la terra che sarà data ai figli. L’espressione lek-lekā (12,1), come sottolineano le letture ebraiche, significa «va’ per te» o «va’ a te». Compiendo questo gesto egli qualifica la sua identità, trova se stesso, va realizzando la sua personalità, dà unità alla sua persona. La parola di Dio, creatrice nella storia, risuona nel vuoto della sterilità di Sara. È un comando categorico, senza spiegazioni, che provoca separazione. La promessa di Dio è legata a un distacco: Abramo deve abbandonare tutto ciò che è “suo” (’ereê mûledet, la terra natia o terra d’origine, cf Gen 11,28; 24,7; Rt 2,11, cioè patria e casa), tagliare ogni legame. Così ritroverà la propria identità. Parimenti, Israele vivrà nel segno dell’uscita, della separazione, che è anche scoperta: lasciare l’Egitto odiato e amato insieme, perché offre sicurezza; lasciare Babilonia e ritornare alla terra (Sal 136). È l’esodo che deve compiere ogni coppia nel formare una famiglia (Gen 2,22-24; cf Sal 45). È l’esigenza di Gesù nei confronti dei discepoli e di se stesso: lasciare e seguire (Mc 1,16-20; 8,34; Mt 4,12-13.18-22 e parr.). È l’avventura che introduce una nuova identità e prepara la scoperta di nuove mete: un’altra terra, una nuova storia, un futuro diverso e inatteso (un popolo e una discendenza). In cambio della sua terra, Dio indicherà (“farà vedere”) ad Abramo un’altra terra/’ereêêêê (il termine torna 7 volte in questo brano) che il patriarca dovrà attraversare tutta, da nord a sud. All’inizio non è detto quale sia né che gli sarà data; lo saprà solo nella teofania (v.7), dopo essersi affidato alla parola di Dio ed essere entrato in Canaan. Il patriarca obbedisce e va verso la nuova terra per scoprirla (v.4). Così diventa “profeta e padre della fede”. Sarà una fede “fedele” fino al dono del figlio nella prova finale (Gen 22). Perché ogni credente dovrà attendersi la prova (cf Sir 2,1-18) e restare fedele per ottenere salvezza: «Il giusto vivrà per la sua “fede-fedeltà”» (Ab 2,4). Al comando seguono tre promesse (v.2), fecondità, nome e benedizione, che racchiudono il segno del futuro per l’umanità intera. La prima è la promessa della discendenza (cf v.7), accompagnata dalla benedizione (v.3), che permette la continuità della famiglia. Dio, fonte di ogni bene, in cambio della vecchia parentela e famiglia dona la fecondità: Abramo diventerà un grande popolo. In secondo luogo, Dio renderà grande il nome (v.2), avrà cioè una memoria famosa e positiva che è sinonimo di benedizione, in quanto la memoria si perpetua nella famiglia. Popolo e nome saranno opera di Dio non frutto dei progetti e delle strategie di potere degli uomini. Sarà il Signore a rendere grande Abramo, se obbedisce alla sua parola, se cammina davanti a lui: la promessa è condizionata. È l’esatto contrario di Babele: gli abitanti vi si stabiliscono (yāšab, Gen 11,2), costruiscono la città per “farsi un nome” e non “disperdersi” (v.4), concentrando il potere in opposizione al progetto che li voleva “in movimento” (nas‘a, errare-viaggiare-emigrare) e “disseminati”, per riempire tutta la terra (pÂred, nÂpaê, cf 9,19; 10,32; 11,9). Terach padre di Abramo, uscito da Ur del Caldei per andare in Canaan, in realtà si era fermato a mezza via e si era stabilito a Carran (11,31). Ora il figlio riprende il cammino interrotto, affrontando confusione e incertezze (terre nuove e sconosciute), sterilità e rinunce, per riprendere la conquista del mondo. Scegliendo il progetto divino, il patriarca intraprende una strada diversa rispetto all’umanità che l’ha preceduto: 79

e in te si diranno benedette<br />

tutte le famiglie della terra (’adamah)».<br />

Il testo espone una caratteristica di Abramo che Giosué ricorda a Sichem: «Io presi il<br />

padre vostro Abramo da oltre il Fiume (l’Eufrate) e lo feci andare per tutta la terra di Canaan»<br />

(Gs 24,3). La sua vita sarà un continuo “andare” attraverso la terra che sarà data ai<br />

figli. L’espressione lek-lekā (12,1), come sottolineano le letture ebraiche, significa «va’<br />

per te» o «va’ a te». Compiendo questo gesto egli qualifica la sua identità, trova se stesso,<br />

va realizzando la sua personalità, dà unità alla sua persona. La parola di Dio, creatrice<br />

nella storia, risuona nel vuoto della sterilità di Sara. È un comando categorico, senza<br />

spiegazioni, che provoca separazione. La promessa di Dio è legata a un distacco: Abramo<br />

deve abbandonare tutto ciò che è “suo” (’ereê mûledet, la terra natia o terra d’origine, cf<br />

Gen 11,28; 24,7; Rt 2,11, cioè patria e casa), tagliare ogni legame. Così ritroverà la propria<br />

identità. Parimenti, Israele vivrà nel segno dell’uscita, della separazione, che è anche<br />

scoperta: lasciare l’Egitto odiato e amato insieme, perché offre sicurezza; lasciare Babilonia<br />

e ritornare alla terra (Sal 136). È l’esodo che deve compiere ogni coppia nel formare<br />

una famiglia (Gen 2,22-24; cf Sal 45). È l’esigenza di Gesù nei confronti dei discepoli e<br />

di se stesso: lasciare e seguire (Mc 1,16-20; 8,34; Mt 4,12-13.18-22 e parr.). È<br />

l’avventura che introduce una nuova identità e prepara la scoperta di nuove mete: un’altra<br />

terra, una nuova storia, un futuro diverso e inatteso (un popolo e una discendenza).<br />

In cambio della sua terra, Dio indicherà (“farà vedere”) ad Abramo un’altra terra/’ereêêêê<br />

(il termine torna 7 volte in questo brano) che il patriarca dovrà attraversare tutta, da nord<br />

a sud. All’inizio non è detto quale sia né che gli sarà data; lo saprà solo nella teofania<br />

(v.7), dopo essersi affidato alla parola di Dio ed essere entrato in Canaan. Il patriarca obbedisce<br />

e va verso la nuova terra per scoprirla (v.4). Così diventa “profeta e padre della<br />

fede”. Sarà una fede “fedele” fino al dono del figlio nella prova finale (Gen 22). Perché<br />

ogni credente dovrà attendersi la prova (cf Sir 2,1-18) e restare fedele per ottenere salvezza:<br />

«Il giusto vivrà per la sua “fede-fedeltà”» (Ab 2,4).<br />

Al comando seguono tre promesse (v.2), fecondità, nome e benedizione, che racchiudono<br />

il segno del futuro per l’umanità intera.<br />

La prima è la promessa della discendenza (cf v.7), accompagnata dalla benedizione<br />

(v.3), che permette la continuità della famiglia. Dio, fonte di ogni bene, in cambio della<br />

vecchia parentela e famiglia dona la fecondità: Abramo diventerà un grande popolo.<br />

In secondo luogo, Dio renderà grande il nome (v.2), avrà cioè una memoria famosa e<br />

positiva che è sinonimo di benedizione, in quanto la memoria si perpetua nella famiglia.<br />

Popolo e nome saranno opera di Dio non frutto dei progetti e delle strategie di<br />

potere degli uomini. Sarà il Signore a rendere grande Abramo, se obbedisce alla sua<br />

parola, se cammina davanti a lui: la promessa è condizionata. È l’esatto contrario di<br />

Babele: gli abitanti vi si stabiliscono (yāšab, Gen 11,2), costruiscono la città per “farsi<br />

un nome” e non “disperdersi” (v.4), concentrando il potere in opposizione al progetto<br />

che li voleva “in movimento” (nas‘a, errare-viaggiare-emigrare) e “disseminati”, per<br />

riempire tutta la terra (pÂred, nÂpaê, cf 9,19; 10,32; 11,9).<br />

Terach padre di Abramo, uscito da Ur del Caldei per andare in Canaan, in realtà si<br />

era fermato a mezza via e si era stabilito a Carran (11,31). Ora il figlio riprende il<br />

cammino interrotto, affrontando confusione e incertezze (terre nuove e sconosciute),<br />

sterilità e rinunce, per riprendere la conquista del mondo. Scegliendo il progetto divino,<br />

il patriarca intraprende una strada diversa rispetto all’umanità che l’ha preceduto:<br />

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