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02.06.2013 Views

Dio benedice, pronuncia o tace il suo nome; benché aver udito la sua parola nel dialogo sia già scoperta della presenza. E dalla lotta l’uomo esce zoppicando, povero pellegrino fino alla terra promessa». 38 Il tema della lotta è ripreso da Osea che denuncia le sopraffazioni attuali di Israele. Egli nel grembo materno soppiantò (‘āqab-Ya‘aqob) il fratello E da adulto lottò (çÂrÂh-yiśrā’ēl) con Dio. Lottò contro l’angelo/messaggero di Dio e vinse, pianse e domandò grazia. Lo ritrovò a Betel e là parlò (dābar) con lui (Os 12,4-5). Qui la vittoria di Giacobbe sembra più logica, ma potrebbe essere anche di Dio; il fatto spiegherebbe la domanda di grazia con il pentimento. Soprattutto, avviene la trasformazione dalla lotta al dialogo. Il dialogo-interrogazione: il nome nuovo (vv.27-30) È fondato su due temi, il nome e la benedizione. Tre volte si susseguono domanda e risposta. Alla prima (lasciami andare) Giacobbe chiede la benedizione (v.27); alla seconda (domanda del nome), il patriarca risponde dicendo il proprio nome, e il contendente glielo cambia dichiarandolo vincitore (vv.28-29); la terza volta è Giacobbe a chiedere il nome all’avversario, ma questi non gli risponde, però lo benedice (v.30). La lotta si risolve nel nome cambiato e nella benedizione accordata, che richiama la promessa di Betel e anche quella della primogenitura ottenuta con l’inganno (Gen 27). Nel nome è la nuova identità di Giacobbe: yiçrÂùËl kÔ¾çÂrÔt úÕm¾ÊlähÔm. Il testo gioca su çarah, “dominare, regnare”, qui inteso con “combattere”,… e vincere. Nel nome il soggetto è Dio: yiçrÂ-’El (cf 35,10), a significare forse “Dio regna, preserva o protegge”, ma l’etimologia è incerta. Giacobbe ha “lottato con Dio e con gli uomini e ha vinto”. Il testo adatta il senso per esprimere la vocazione e l’esperienza del popolo eletto, la lotta e lo sforzo per conoscere il suo Dio, il cui nome porta nel suo nome storico (nome teoforico). Cambiandogli il nome Dio lo considera vassallo, quindi suddito. Perciò, il nome di Dio resta nascosto: non può essere dominato o usato impropriamente (spergiuro o magia). Dio benedice ma non concede tutto quanto Giacobbe ha chiesto. È misterioso e tale rimane; così la distanza tra uomo e Dio. Anche in Gdc 13,18 la stessa domanda posta all’angelo del Signore non ottiene risposta. In modo simile potrebbe essere intesa la risposta a Mosè (Es 3): l’esperienza rivelerà il “Signore con”, non la sua piena identità. Due eziologie (vv.31.32-33) La prima eziologia riguarda il toponimo Penû-’El (o Peni-’El), “volto di Dio”, per aver visto Dio “faccia faccia” (pānîm’el-pānîm). Un miracolo è essere sopravissuto, perché “vedere Dio è morire” (Es 33,20; Gdc 6,22- 23; 13,22-23). Avendo visto Dio faccia a faccia, Giacobbe-Israele potrà vedere ora diversamente anche il volto del fratello. Tra di due incontri, di Dio e del fratello, vi è infatti una interconnessione percepibile nel tema del volto. Io placherò il suo volto con il dono che va davanti a me, e dopo vedrò il suo volto; forse egli rialzerà il mio volto (in segno di riconciliazione). Così il dono andò davanti a lui (Gen 32,21-22). È il progetto di Giacobbe che si prepara a incontrare Esaù che gli viene incontro con 400 armati. Alla fine parla al fratello: 38 » (L. ALONSO SHÖKEL, Génesis, p. 153). 108

Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, accetta dalla mia mano il dono, perché appunto per questo io ho visto il tuo volto come si vede il volto di Dio e tu mi hai gradito. Accetta il mio dono (33,10-11a). Vedere il volto di Dio e vedere quello del fratello è un’esperienza analoga. «Sono venuto alla tua presenza, come si viene alla presenza di Dio» (CEI). «È arduo distinguere tra le due figure. Nel Dio santo vi è qualcosa del fratello adirato. E nel fratello clemente qualcosa del Dio benedicente» 39 . Esau “gradisce” (rÂêÂh) il dono e la persona di Giacobbe con un verbo riferito ai sacrifici graditi a Dio. Potremmo dire che «Dio è visto sul volto del fratello, come è visto nello spazio sacro del tempio (cfr. la formula cultuale “andare al tempio”: Sal 42,3; 17,15; 27,4)» 40 . La “grazia” agli occhi del fratello (Gen 33,8.10.15) richiama la benevolenza con cui Dio ha trattato Giacobbe (ÐÂnan, vv.5.11), il contrario del rifiuto e del rancore. E Giacobbe, che ha appena visto il volto di Dio, guarda diversamente il fratello, il suo rapporto è cambiato. In Gv 4,19-21 e Lc 15,20 chi si riconcilia e opera riconciliazione rende visibile il volto di Dio. Il racconto termina con la seconda eziologia: la proibizione di mangiare il hv, ªN"h; dyGIå - gîd hannšeh o nervo ischiatico Tale precetto non è però contenuto nella legge. Lo zoppicare del patriarca potrebbe significare una specie di pena del contrappasso per il sacrilegio compiuto attraversando il fiume e lottando con la divinità. Ma il testo attuale sembra avere un significato soprattutto mistico: lottare con Dio ferisce. Incontrarlo significa accettare delle ferite e la presenza di un mistero che non sarà mai pienamente svelato. Così ne è derivata una menomazione permanente, una storpiatura, che, d’ora in poi, sarà distintiva di Giacobbe insieme al nome nuovo. 41 Nella teofania Giacobbe ha affrontato Dio che l’aggrediva e, nella tenebra, gli ha resistito (l’avversario deve pregarlo di lasciarlo andare); è stato da lui toccato e ferito nella sua virilità, ma ha vinto e ottenuto un nuovo nome e una benedizione. La storia ora non è più quella di un intrigante e astuto faccendiere, ma quella di un benedetto da Jhwh che cammina con lui e si abbandona alla sua grazia. In ciò è la vittoria di Giacobbe e anche quella di Dio. Tuttavia, la lotta continua così come il mistero. «È terminato il periodo dell’astuto Giacobbe (cfr. 27,36) e comincia la storia di Israele, un popolo che lotta con Dio nella notte oscura della fede vissuta per secoli da Israele: un vincitore che piange e implora grazia (cfr. Os 12,1ss. e Ger 20,8ss). Non ci meravigliamo dunque di trovare diverse preghiere dell’intercessore in Eb 5,6 (mediato da Os 12,5); l’agonia di Gesù nel Getsemani, secondo il discusso passo di Lc 22,42-44; e, più remotamente, l’incontro di Natanaele con Gesù (Gv 1,43-51) e della Maddalena con il Risorto (Gv 20,11-18)». 42 Rinnovato dall’incontro, con una nuova identità e sottomesso a Dio, benché zoppicante, Giacobbe può riprendere il cammino e ritornare alla terra. Con la benedizione gli è accordata una potenza che produce la pace tra lui e il fratello Esaù: può incontrarlo, riconciliarsi con lui e farsi da lui accettare (33,1-17). Superato il pericolo della lotta misteriosa, 39 W. BRUEGGEMANN, Genesi, p. 326. 40 G. BORGONOVO, Genesi, p. 142. 41 «Il nome nuovo non può essere separato dalla nuova lesione, perché questa lesione è l’essenza stessa del nome. Pertanto, l’incontro notturno di Giacobbe è ambivalente. Egli ha penetrato il mistero di Dio come nessun altro prima di lui. Giacobbe ha osato fare ciò che non oserà l’Israele di Mosè (Es 19,21-25; 20,18-20). Ed è prevalso. Ma il suo prevalere è tanto una vittoria quanto una sconfitta. Nell’accostarsi troppo e nel pretendere troppo è in agguato un mistero pericoloso, terribile, che si paga a caro prezzo» (W. BRUEGGEMANN, Genesi, p. 323). 42 G. BORGONOVO, Genesi, p. 141. 109

Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, accetta dalla mia mano il dono, perché appunto per questo<br />

io ho visto il tuo volto come si vede il volto di Dio e tu mi hai gradito. Accetta il mio<br />

dono (33,10-11a).<br />

Vedere il volto di Dio e vedere quello del fratello è un’esperienza analoga. «Sono venuto<br />

alla tua presenza, come si viene alla presenza di Dio» (CEI). «È arduo distinguere tra<br />

le due figure. Nel Dio santo vi è qualcosa del fratello adirato. E nel fratello clemente<br />

qualcosa del Dio benedicente» 39 . Esau “gradisce” (rÂêÂh) il dono e la persona di Giacobbe<br />

con un verbo riferito ai sacrifici graditi a Dio. Potremmo dire che «Dio è visto sul volto<br />

del fratello, come è visto nello spazio sacro del tempio (cfr. la formula cultuale “andare al<br />

tempio”: Sal 42,3; 17,15; 27,4)» 40 . La “grazia” agli occhi del fratello (Gen 33,8.10.15) richiama<br />

la benevolenza con cui Dio ha trattato Giacobbe (ÐÂnan, vv.5.11), il contrario del<br />

rifiuto e del rancore. E Giacobbe, che ha appena visto il volto di Dio, guarda diversamente<br />

il fratello, il suo rapporto è cambiato. In Gv 4,19-21 e Lc 15,20 chi si riconcilia e opera<br />

riconciliazione rende visibile il volto di Dio.<br />

Il racconto termina con la seconda eziologia: la proibizione di mangiare il hv, ªN"h; dyGIå -<br />

gîd hannšeh o nervo ischiatico Tale precetto non è però contenuto nella legge. Lo zoppicare<br />

del patriarca potrebbe significare una specie di pena del contrappasso per il sacrilegio<br />

compiuto attraversando il fiume e lottando con la divinità. Ma il testo attuale sembra<br />

avere un significato soprattutto mistico: lottare con Dio ferisce. Incontrarlo significa accettare<br />

delle ferite e la presenza di un mistero che non sarà mai pienamente svelato. Così<br />

ne è derivata una menomazione permanente, una storpiatura, che, d’ora in poi, sarà distintiva<br />

di Giacobbe insieme al nome nuovo. 41<br />

Nella teofania Giacobbe ha affrontato Dio che l’aggrediva e, nella tenebra, gli ha resistito<br />

(l’avversario deve pregarlo di lasciarlo andare); è stato da lui toccato e ferito nella<br />

sua virilità, ma ha vinto e ottenuto un nuovo nome e una benedizione. La storia ora non è<br />

più quella di un intrigante e astuto faccendiere, ma quella di un benedetto da Jhwh che<br />

cammina con lui e si abbandona alla sua grazia. In ciò è la vittoria di Giacobbe e anche<br />

quella di Dio.<br />

Tuttavia, la lotta continua così come il mistero. «È terminato il periodo dell’astuto<br />

Giacobbe (cfr. 27,36) e comincia la storia di Israele, un popolo che lotta con Dio nella<br />

notte oscura della fede vissuta per secoli da Israele: un vincitore che piange e implora<br />

grazia (cfr. Os 12,1ss. e Ger 20,8ss). Non ci meravigliamo dunque di trovare diverse preghiere<br />

dell’intercessore in Eb 5,6 (mediato da Os 12,5); l’agonia di Gesù nel Getsemani,<br />

secondo il discusso passo di Lc 22,42-44; e, più remotamente, l’incontro di Natanaele con<br />

Gesù (Gv 1,43-51) e della Maddalena con il Risorto (Gv 20,11-18)». 42<br />

Rinnovato dall’incontro, con una nuova identità e sottomesso a Dio, benché zoppicante,<br />

Giacobbe può riprendere il cammino e ritornare alla terra. Con la benedizione gli è accordata<br />

una potenza che produce la pace tra lui e il fratello Esaù: può incontrarlo, riconciliarsi<br />

con lui e farsi da lui accettare (33,1-17). Superato il pericolo della lotta misteriosa,<br />

39 W. BRUEGGEMANN, Genesi, p. 326.<br />

40 G. BORGONOVO, Genesi, p. 142.<br />

41 «Il nome nuovo non può essere separato dalla nuova lesione, perché questa lesione è l’essenza stessa del<br />

nome. Pertanto, l’incontro notturno di Giacobbe è ambivalente. Egli ha penetrato il mistero di Dio come nessun<br />

altro prima di lui. Giacobbe ha osato fare ciò che non oserà l’Israele di Mosè (Es 19,21-25; 20,18-20). Ed<br />

è prevalso. Ma il suo prevalere è tanto una vittoria quanto una sconfitta. Nell’accostarsi troppo e nel pretendere<br />

troppo è in agguato un mistero pericoloso, terribile, che si paga a caro prezzo» (W. BRUEGGEMANN, Genesi,<br />

p. 323).<br />

42 G. BORGONOVO, Genesi, p. 141.<br />

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