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PENTATEUCO 2 PADRI - Home Page FTTR

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nelle lettere di Mari, per indicare l’attraversamento di un fiume al confine di un regno.<br />

Nella notte decisiva Giacobbe non si volta indietro e fa passare tutti, mogli, figli, animali<br />

e beni. L’attraversamento appare come l’invasione militare di un territorio, forse anche un<br />

sacrilegio. Per questo il dio tutelare del fiume, secondo quello che sembra essere il significato<br />

del racconto antico, lo aggredisce.<br />

La lotta (vv.25-26)<br />

Alla fine Giacobbe resta solo come nella notte di Betel (25a). Si potrebbe tradurre:<br />

“restava Giacobbe solo” (da passare). Qui è assalito dal misterioso individuo che sembra<br />

impedirgli il passaggio e ingaggia con lui una lotta: il verbo “lottare”, yËúÃbËq gioca con il<br />

nome del fiume Yabboq (v.25b). rx;V'(h; tAlï[] d[;Þ AMê[i ‘vyai qbeîa'YEw:, “un uomo lottò con lui fino<br />

al sorgere dell’aurora”: I pronomi rendono ambigue le frasi: ‘vyai sta per “uno”, un uomo,<br />

quidam, un tale. Si presenta con il semplice pronome; fino alla fine, la sua identità è oscura,<br />

senza nome e senza volto, avvolto dal buio della notte.<br />

Impressiona la lotta corpo a corpo (vv.25b-26) dall’esito incerto e con il rischio della<br />

vita. La lotta avviene di notte – dura tutta la notte, “fino al sorgere dell’aurora” – simbolo<br />

bivalente, di tenebra e grembo di attesa del nuovo giorno (cf Sal 130). Nel contesto monoteista<br />

la narrazione acquista un significato religioso nuovo, mistico, liberato da idolatria<br />

e mitologia, e si può accostare al misterioso assalto di Dio a Mosè durante il suo pellegrinare<br />

verso l’Egitto (Es 4,24-26) e, per il tema del nome, a Es 3.<br />

La presenza di Dio, che alla fine il patriarca intuisce, appare “terribile”: Giacobbe nasce<br />

come Israele in seguito a un’aggressione di Dio. Sempre l’uomo si confronta e lotta<br />

con Dio, la preghiera stessa diventa lotta: lotta per la non comprensione o la difficoltà di<br />

cogliere i segni divini (è la ricerca di Giobbe o di Geremia con i loro dubbi e le loro domande);<br />

lotta per ottenere la benedizione già promessa, che significa vita; lotta soprattutto<br />

per conoscere il nome sconosciuto. Alla fine è chiamato “Dio” e il patriarca è cosciente di<br />

averlo visto “faccia a faccia” come Mosè (v.31), ma il nome non viene rivelato dal misterioso<br />

assalitore. Il suo svelarsi diventa un re-velare, rimettere un velo.<br />

Chi ha vinto? La lotta è incerta; sembra vincere Giacobbe; perciò l’assalitore gli vibra<br />

un colpo irregolare alla “cavità del femore” che lo azzoppa. 37 Alla fine, lo stesso avversario<br />

lo dichiara vincitore (vv.29-30). La vittoria consiste in quella benedizione strappata<br />

con la lotta: «non ti lascerò se non mi avrai benedetto» (v.27). Della lotta resterà il segno:<br />

sarà claudicante per tutta la vita, ma anche benedetto.<br />

Il tema della vittoria dell’eroe sul demone è frequente nei racconti popolari, ma qui è trasformata.<br />

«In tempi e culture antiche questa lotta può acquisire forma mitica o leggendaria: il dio assume<br />

figura umana, l’eroe ha proporzioni e forza gigantesche; il dio è limitato a un tempo, il tempo<br />

della tenebra, e l’uomo lo vince con una particolare astuzia e gli strappa una concessione. Di<br />

questo rimangono tracce nella narrazione biblica, chiare o ambigue.<br />

In una religione più esigente è forse Dio che piega l’uomo, benché si lasci da lui trattenere. È<br />

Dio stesso che provoca l’uomo alla lotta, alla ricerca insoddisfatta, allo sforzo tenace: alla fine, per<br />

benedirlo. Di questo ci sono pure tracce nella presente narrazione.<br />

In altri tempi la lotta è per il nome: l’autentico e limpido, non quello che si è logorato e svuotato<br />

per l’uso e l’abuso umano. E occorre restare soli a lottare ancora con la realtà misteriosa, per ascoltare<br />

il suo nome, fresco, recentemente pronunciato, dallo stesso. Questo solo appare in germe<br />

dal testo biblico.<br />

37 Cei: “articolazione del femore”; kaf-yerËkô, acetabulum femoris, quo femur cum pelvis coheret (Zorell), è<br />

un eufemismo per indicare le parti genitali.<br />

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