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Quando Giacobbe sta per abbandonare la terra della promessa e tutto sembra compromesso,<br />

Jhwh gli si manifesta per la prima volta. Nessuna parola di giudizio sul comportamento<br />

tenuto per arrivare sino a quel punto: solo l’irrevocabile assicurazione che<br />

l’antica promessa di Abramo è ancora valida. Bisogna mantenere il paradosso: proprio il<br />

truffatore fuggitivo riceve la parola della stupefacente grazia di Jhwh. Il fatto che il narratore<br />

si astenga da ogni spiegazione o motivazione costituisce un criterio al quale anche il<br />

commentatore deve restare fedele». 36<br />

Ma qualcosa è mutato. Dio è la pietra su cui Giacobbe-Israele può appoggiarsi, anche<br />

se nel voto sembra cercare ancora un… buon affare: “Se Dio…, io”. Non la sua abilità lo<br />

salverà, ma solo la benedizione del Signore. Per questa lotterà fino a rischiare la vita nel<br />

ritorno verso la terra (32,26-33). In Gen 35,1-15 un nuovo incontro del Signore, a Betel,<br />

rinnoverà benedizione e promessa, sigillando il ritorno nella terra. È la coscienza di un<br />

Dio personale che accompagna e protegge, oltre il luogo. Così il sacerdote Ezechiele scoprirà<br />

la presenza del Signore in terra straniera (Ez 1-3). Egli accompagna il suo popolo: la<br />

sua gloria abbandona Gerusalemme per seguire in esilio i deportati; egli stesso sarà loro<br />

“santuario” peregrinante, assicurando una certa permanenza dell’alleanza (Ez 11,16.21).<br />

Contesto<br />

B – La lotta notturna con Dio (Gen 32,23-33)<br />

Il racconto è simmetrico alla teofania di Betel: all’uscita dalla terra il primo e<br />

all’entrata, nel ritorno, il secondo (ha relazione anche con Gen 27, la primogenitura rubata).<br />

Giacobbe, obbedendo all’ordine del Signore, “il Dio di Betel”, apparsogli in un nuovo<br />

sogno-visione, si alza e riprende la strada del ritorno verso la “terra paterna e natia” (Gen<br />

31,11-13), approvato in ciò dalle mogli (vv.14-16). Giungerà ancora a Betel, luogo della<br />

prima rivelazione, dove costruirà un altare chiamando il luogo ’El-Betel, “Dio di Betel”<br />

(Gen 35,1-15); qui avrà una nuova teofania (vv.9-13) con la promessa rinnovata e un<br />

nuovo cambiamento del nome da Giacobbe in Israele (cf 32,29). Dio è chiamato ’El Šadday<br />

come in Gen 17,1 (lo stile è P).<br />

Il racconto del ritorno di Giacobbe è costruito in modo simile all’esodo degli Israeliti:<br />

uscita da un mondo ostile, carico di famiglia e di ricchezza, persecuzione, passaggio di un<br />

fiume, vittoria sui nemici, entrata nella terra. Giacobbe si identifica con Israele, è lui<br />

l’arameo errante del “credo” (Dt 26). Tolte le tende (31,15-18), Giacobbe è inseguito da<br />

Labàno derubato da Rachele, a insaputa del patriarca, del suo terafim ossia gli amuleti o<br />

divinità familiari, garanzia di eredità. Con astuzia la donna li nasconde e Labano non riesce<br />

a scoprire nulla. Allora questi conclude un patto di alleanza con Giacobbe (31,19-54).<br />

Quindi la famiglia può ripartire e giunge a Macanaim, “due accampamenti” (32,1-3).<br />

Resta il problema del fratello Esaù che vuole vendicarsi per la privazione della primogenitura,<br />

avvenuta con astuzia e inganno e con la complicità della madre Rebecca. Giacobbe,<br />

spaventato e angosciato, invoca il Signore (32,10-13), decide di passare la notte in<br />

quel luogo e invia doni al fratello per placarne il furore (32,14-22). Alla fine ci sarà la riconciliazione<br />

(Gen 33). Durante la notte, fa passare il fiume Jabbok alla famiglia e resta<br />

solo (vv.23-25). Qui avviene la misteriosa lotta fino all’aurora (vv.26-33) che interrompe<br />

il racconto dell’incontro con Esaù; in realtà, lo prepara, maturando in Giacobbe un nuovo<br />

sguardo verso il fratello.<br />

36 G. BORGONOVO, Genesi, p. 130.<br />

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