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02.06.2013 Views

STRUTTURA La struttura del racconto è incorniciata dalle due partenze e dal cammino verso arran e la terra d’oriente (A-A’, 28,10; 29,1). Il tema dell’uscire e andare (hālak) resta sullo sfondo: il protagonista compie il suo esodo che diventa temporaneo esilio. La vicenda avviene in un unico luogo, identificato alla fine, che riceve un nuovo nome. La narrazione centrale è raccolta in due scene: la notte con il sogno e la visione, e il mattino con il rito e il voto di Giacobbe (reazione del patriarca). Alla sera si corica e riceve il sogno, si sveglia e riconosce la presenza; al mattino si alza e compie il rito; il tutto è in relazione alla pietra (C-C’ vv.16-17.18-19; B-B’ vv.11.18-22); il voto si appella alla promessa del Signore durante il sogno (D-D’, vv.13-15.20-22). La promessa della terra riguarda una discendenza che ancora non c’è, ma Dio rivela la sua potenza accompagnando e proteggendo nel cammino. I – La NOTTE Il sogno (vv.10.11-12). A – Giacobbe è costretto ad “uscire” dalla terra per ritornare a arran (v.10). È il percorso inverso a quello di Abramo, il primo esilio, che però gli darà l’occasione di farsi una famiglia, avere figli e beni. L’uscita forzata anticipa l’esperienza dei futuri esuli: là dovranno comprare e vendere, fare figli, nell’attesa del ritorno (cf Ger 29). B – La sosta casuale in un luogo anonimo, si trasformerà in un incontro e luogo definiti che annunciano e preparano il futuro del patriarca e della sua discendenza (v.11). «Tutte le parole della presentazione possono contenere un doppio significato, cultuale o profano: “luogo” è frequentemente un termine tecnico per indicare un luogo di culto; “pietra” sta per un idolo o una stele cultuale; “coricarsi e passare la notte in un luogo” può designare l’incubazione sacra nella speranza di un oracolo. Nella prospettiva di Giacobbe tutto e semplice e profano, nell’intenzione del narratore tutto è insinuato». 33 C – La visione nel sogno (v.12) è foriera di rivelazione (come per Giuseppe, Adamo e lo stesso Abramo). Rappresenta un tempio, una piramide cultica, una zigurrat con un’immensa scalinata che dalla terra raggiunge il cielo. Essa ricorda polemicamente la torre di Babele che rappresentava una sfida a Dio in nome del proprio potere. Può richiamare la zigurrat di Babilonia, detta in sumerico E.TENE.AN.KI, “casa del fondamento del cielo e della terra”, e il cui tempio era chiamato E.SA.GILA, “casa che alza la testa”, cioè si eleva in alto, verso il cielo. Essa è percorsa dai “messaggeri/angeli della divinità” (mal’Ãkê ’eláhîm) che salgono e scendono – non volano – cogliendo e portando orazioni e oracoli. È una specie di processione liturgica che prepara la teofania e la promessa: la scala unisce cielo e terra. L’oracolo (vv.13-15). D – Finalmente appare il Signore con un messaggio diretto, senza intermediari, ed è una promessa. Nel contenuto ripete quello rivolto ad Abramo (vv.13-14). Dio si presenta con il suo nome, Signore-Jhwh, e come il Dio di Abramo e Isacco (i due “Padri” a cui si aggiungerà lo stesso Giacobbe), rinnova il dono della terra e della discendenza (cf 12,1.7; 13,15; 26,3-4 e allo stesso Giacobbe in 25,23). Aggiunge la diffusione di questa nei quattro punti cardinali e ripete il segno della benedizione per tutti i popoli mediante Israele. Dove saranno presenti i discendenti? Il testo non lo dice, ma vi è forse un’evocazione per chi vive in esilio, fuori della terra. 33 L. ALONSO SCHÖKEL, Génesis, p. 132. 102

Il v.15 aggiunge una triplice promessa personale, caratteristica dell’esodo: “sarò con te dovunque andrai – non ti abbandonerò” fino al compimento della promessa (è la presenza). Vi unisce la protezione: il Signore lo accompagnerà nelle sue peregrinazioni (immagine del pastore o “guardiano” di Israele, cf Sal 23; 91,11-12 e 121, Gen 48,15-16), e il ritornello tipico del ciclo di Giacobbe: “ti farò tornare a questo suolo”, quello natio, che resta il centro di riferimento (cf 31,13). La sua parola o promessa garantisce la forza attiva che potrà attuare tutto questo. È la promessa per il patriarca e un segno di speranza per i discendenti: come Dio li aveva condotti un tempo nella terra, avrebbe potuto un giorno riportarvi ancora gli attuali esiliati. La reazione di Giacobbe (vv.16-22) C’ – Riconoscimento e timore (vv.16-17). Destato dal sonno, Giacobbe scopre ciò che prima non sapeva: riconosce la presenza di Dio; riconosce non istituisce o fonda il santuario (cf Abramo Gen 12,8; 13,4). Il riconoscimento prepara il nome che il patriarca darà al luogo (v.19). «Mediante il sogno Giacobbe è passato dall’ignoranza totale (luogo profano) alla scoperta piena (presenza del Signore). Non una divinità pagana, bensì il medesimo Signore sta nel cuore di Canaan. Così Israele andrà scoprendo la presenza del suo Dio nella terra promessa, in luoghi sacri cananei che incorpora nel suo proprio culto del Signore (le proibizioni sono posteriori). E una maniera di prendere possesso e di trasformare tali luoghi sacri è di collegarli ai patriarchi. È qualcosa che Giacobbe-Israele “non sapeva”, e che la parola del Signore andrà rivelando». 34 Il riconoscimento si accompagna al timore, un atteggiamento di rispetto o venerazione religiosa che include paura: è l’aspetto terribile e affascinante dell’incontro con la divinità che consacra e rende terribile un luogo (cf Gen 32,31; Is 6,1-4, Sal 48 e 76). Perciò il luogo stesso è “terribile” (hZ

Il v.15 aggiunge una triplice promessa personale, caratteristica dell’esodo: “sarò con<br />

te dovunque andrai – non ti abbandonerò” fino al compimento della promessa (è la presenza).<br />

Vi unisce la protezione: il Signore lo accompagnerà nelle sue peregrinazioni (immagine<br />

del pastore o “guardiano” di Israele, cf Sal 23; 91,11-12 e 121, Gen 48,15-16), e il<br />

ritornello tipico del ciclo di Giacobbe: “ti farò tornare a questo suolo”, quello natio, che<br />

resta il centro di riferimento (cf 31,13). La sua parola o promessa garantisce la forza attiva<br />

che potrà attuare tutto questo. È la promessa per il patriarca e un segno di speranza per<br />

i discendenti: come Dio li aveva condotti un tempo nella terra, avrebbe potuto un giorno<br />

riportarvi ancora gli attuali esiliati.<br />

La reazione di Giacobbe (vv.16-22)<br />

C’ – Riconoscimento e timore (vv.16-17). Destato dal sonno, Giacobbe scopre ciò che<br />

prima non sapeva: riconosce la presenza di Dio; riconosce non istituisce o fonda il santuario<br />

(cf Abramo Gen 12,8; 13,4). Il riconoscimento prepara il nome che il patriarca darà al<br />

luogo (v.19).<br />

«Mediante il sogno Giacobbe è passato dall’ignoranza totale (luogo profano) alla scoperta<br />

piena (presenza del Signore). Non una divinità pagana, bensì il medesimo Signore<br />

sta nel cuore di Canaan. Così Israele andrà scoprendo la presenza del suo Dio nella terra<br />

promessa, in luoghi sacri cananei che incorpora nel suo proprio culto del Signore (le proibizioni<br />

sono posteriori). E una maniera di prendere possesso e di trasformare tali luoghi<br />

sacri è di collegarli ai patriarchi. È qualcosa che Giacobbe-Israele “non sapeva”, e che la<br />

parola del Signore andrà rivelando». 34<br />

Il riconoscimento si accompagna al timore, un atteggiamento di rispetto o venerazione<br />

religiosa che include paura: è l’aspetto terribile e affascinante dell’incontro con la divinità<br />

che consacra e rende terribile un luogo (cf Gen 32,31; Is 6,1-4, Sal 48 e 76). Perciò il<br />

luogo stesso è “terribile” (hZ

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