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I PATRIARCHI<br />

Alcuni racconti mettono in risalto l’esperienza religiosa dei Patriarchi 1 . In particolare,<br />

per Abramo sono fondamentali la chiamata (Gen 12,1-9) e la prova (Gen 22,1-9), inizio e<br />

punto culminante della sua fede. Nel ciclo di Giacobbe sono singolari le due esperienze di<br />

Dio: la manifestazione nel sogno a Bet-El (28,10-22) e la lotta a Penu-El (Gen 32,23-33).<br />

Isacco, il “figlio della promessa”, resta dal punto di vista narrativo, personaggio secondario.<br />

Al contrario, emerge viva e dominante la figura della moglie Rebecca: le promesse<br />

sono realizzate grazie alla sua iniziativa. Il racconto gioca sul nome Isacco, JiêÐaq, “colui<br />

che ride, gioca”, arricchito da scene caratterizzate da fine ironia.<br />

Bibliografia<br />

Commentari:<br />

W. BRUEGGEMANN, Genesi, Claudiana, Torino 2002 (commento recente tradotto in italiano);<br />

G. CAPPELLETTO, Genesi (Capitoli 12-50). Introduzione e commento (Dabar – Logos – Parola), EMP, Padova<br />

2001;<br />

L. ALONSO SCHÖKEL, Pentateuco I – Genesis, Exodo, Ediciones Cristiandad, Madrid 1970.<br />

E. TESTA, Genesi (NVB 1), San Paolo 1999 2 (cf IDEM, Genesi, Marietti, 2 voll, 1969-72);<br />

G. VON RAD, Genesi, Vol. II-III, Paideia, Brescia.<br />

A. WÉNIN, Giuseppe o l’invenzione della fratellanza. Lettura narrativa e antropologica della Genesi, IV Gen<br />

37-50, EDB, Bologna 2007.<br />

Il Ciclo di Abramo e la risposta di fede<br />

Sulla figura di Abramo<br />

W. VOGELS, Abraham. L’inizio della fede. Genesi 12,1-25,11, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1999 (ed.<br />

francese: Abraham et sa légende. Genèse 12,1-25,11, Médiaspaul, Montréal 1996).<br />

J.-L. SKA, Abramo e i suoi ospiti (Collana biblica), Ed Dehoniane, Bologna 2002 (2003).<br />

K.-J. KUSCHEL, La controversia su Abramo. Ciò che divide e ciò che unisce ebrei, cristiani e musulmani<br />

(GdT 245), Queriniana, Brescia 1996 (l’uomo punto d’incontro nelle tre tradizioni monoteiste).<br />

C.M. MARTINI, Abramo nostro padre nella fede, Borla, Roma 1983 (riflessione spirituale sull’esperienza di<br />

Abramo).<br />

A. SEGRE, Abramo, nostro padre, Carucci, Roma 1982 (Abramo nella tradizione ebraica).<br />

Il racconto<br />

Genesi 1-11 presenta due tappe: prima e dopo il diluvio (Gen 1,1-9,19; 9,20-11,32).<br />

Nella seconda sono pochi i racconti, tutto converge a mostrare il raccordo tra Noè e Abramo:<br />

9,18-29 ricorda Sem, antenato di Abramo che viene benedetto e la genealogia dei<br />

figli di Noè, mentre il racconto della torre di Babele (Gen 11,1-9) prepara la migrazione<br />

di Terach e del figlio Abramo che concludono la genealogia di Sem (Gen 11,10-26) ed<br />

“escono” da Ur dei Caldei diretti in Canaan, ma di fatto si fermano in Carran (11,27-32).<br />

Abramo è soprattutto l’uomo che riceve la promessa della terra, di un erede e di un<br />

nome. La narrazione che lo riguarda (12,1-25,11) è racchiusa tra due genealogie: una introduttiva<br />

con la discendenza di Terach e la sua morte (Gen 11,27-32) e una conclusiva<br />

1 Per i caratteri principali del racconto, cf la parte introduttiva in cui ho attinto a L. SKA.<br />

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con la discendenza di Nachor (Gen 22,20-24), seguita dalla tomba dei patriarchi (Gen<br />

23), il matrimonio di Isacco (Gen 24), la discendenza di Chetura e la morte di Abramo<br />

(Gen 25,1-6.7-11). I cc.24-25 preparano la continuazione oltre la morte.<br />

Il racconto ha due punti culminanti: la chiamata, che mette in moto la vicenda narrativa,<br />

e la prova che sembra rimettere tutto in discussione, ma rivela Dio come colui che<br />

mette alla prova e provvede (Gen 12,1-9 e 22,1-19). Al centro vi sono le «peregrinazioni»<br />

con l’esperienza di Dio nei due racconti di rivelazione (Gen 15 e 17). È il lungo cammino<br />

della fede, caratterizzato da “duplicati”; ma non semplici ripetizioni; con le somiglianze<br />

vi sono differenze significative.<br />

Introduzione<br />

* Gen 11,27-32: discendenza di Nachor e suo esodo da Ur a Carran<br />

Il cammino<br />

A – Gen 12,1-9: chiamata di Abramo e sua obbedienza/partenza (ascolto della Parola) – la promessa<br />

paradossale con nuovo programma di vita– “Vattene” – inizio del cammino<br />

B – Gen 12,10-20: Sara è “ consegnata” al Faraone d’Egitto – pericolo della promessa<br />

C – Gen 13-14: relazione con gli “altri” – Abramo e il nipote Lot con le scelte (separazione da Lot<br />

e intercessione di Abramo per Lot) – Abramo e Melchisedek<br />

D – Gen 15: promessa – dubbio di Abramo e alleanza di Dio che si impegna (berît)<br />

E – Gen 16: nascita di Ismaele da Agar (tentativo umano di superare la crisi della sterilità)<br />

D’ – Gen 17: promessa – alleanza di Dio con Abramo – circoncisione<br />

C’ – Gen 18-19: relazione con gli altri – Abramo ospita i tre; il nipote Lot e Sodoma e Gomorra<br />

(intercessione di Abramo per Sodoma, salvezza di Lot e sua discendenza)<br />

B’ – Gen 20: Abramo “consegna” la moglie Sara ad Abimelek di Gerar – nuovo pericolo della promessa<br />

E’ – Gen 21: nascita di Isacco da Sara; cacciata di Agar e Ismaele<br />

A’ – Gen 22,1-19: prova di Abramo e sua obbedienza (timor di Dio) – “Vattene”<br />

Oltre la morte<br />

* Gen 23: Morte e sepoltura di Sara (Macpela)<br />

* Gen 24: Isacco - suo matrimonio (trovò conforto dopo la morte della madre): 1a discendenza<br />

* Gen 25: la discendenza di Keturà (3a moglie) – morte di Abramo – discendenza di Ismaele.<br />

Con Gen 25,19: inizia la “storia di Giacobbe”, figlio di Isacco: la dinastia dell’erede legittimo.<br />

La storia della peregrinazione di Abramo è articolata tra la “chiamata” e la “prova” finale.<br />

In ambedue il patriarca risponde con fede generosa e pronta. Tutto il cammino è<br />

racchiuso in una parola divina: “Vattene” (lett. Va’ a te/per te”, 12,1), ripetuta alla fine<br />

(22,2). 2 Se Dio gli riserva la sua ÐÐÐÐeeeesssseeeedddd (lealtà e benevolenza) impegnandosi con l’alleanza<br />

(berît), Abramo risponde con l’obbedienza della fede. Diventa “nostro padre nella fede”,<br />

modello di riferimento per l’Antico e il Nuovo Testamento. «Guardate ad Abramo vostro<br />

padre», dice Isaia (Is 51,2).<br />

Il NT ha avvalorato il ciclo narrativo di Abramo, vedendovi anticipate le tematiche<br />

principali del vangelo nella fede che salva (Gal 3,8-9, cf Gen 15,6; con Gal 3-4; Rm 4),<br />

con l’interpretazione allegorica del contrasto Isacco/Ismaele, Sara/Agar, Sion/Sinai (Gal<br />

4). In Mt 3,9 i “figli di Abramo” possono sorgere anche dalle pietre. Giovanni propone il<br />

dibattito con i Giudei che si ritengono “figli di Abramo”, però non riconoscono Gesù e<br />

2 Lo schema seguito, con mie sottolineature e integrazioni, parte da W. VOGELS, cit., p.239: – Introduzione<br />

(12,1-9); – il cammino 12,10-23,20: A – Il paese (12,10-13,18); B – La benedizione (14,1-24); C – La discendenza<br />

(15,1-18,16a); B 1 – La benedizione (18,16b-19,29); C 1 – La discendenza (19,30-21,21); B 2 – La<br />

benedizione (21,23-34); C 2 – La discendenza (22,1-24); A 1 – Il paese (23,1-20); – La continuazione al di là<br />

della morte (24,1-25,11).<br />

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dimostrano di fatto di avere un padre diverso, il diavolo; si dichiarano non “figli di prostituzione”,<br />

cioè idolatri, ma non ascoltano le sue parole, mentre «Abramo, vostro padre esultò<br />

nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv 8,33-59). Luca<br />

ricorda che anche Zaccheo, il pubblicano, è figlio di Abramo, anche a lui è offerta la salvezza<br />

(Lc 19,1-10).<br />

Ebrei 11,8-19 ribadisce la fede del patriarca (comprendendovi anche Sara, v.11) e accentua<br />

l’obbedienza incondizionata nella risposta alla vocazione: lascia la patria per una<br />

terra incerta, senza sapere dove sta andando, e vive da nomade, nelle tende, in una terra<br />

straniera, in attesa della “città dalle salde fondamenta”, la città celeste. In tal modo egli<br />

diventa testimone della fede come “fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle<br />

che non si vedono” (v.1). Ne riassume la vita in tre momenti: a) la promessa di una terra<br />

a un popolo senza terra, a uno “straniero” (11,8-10); b) la promessa di un erede a una<br />

coppia sterile (11,11-12: centro della tematica da Gen 18,1-15 fino a Gen 21, perché “nulla<br />

è impossibile al Signore”, Gen 18,14); c) l’ordine di sacrificare Isacco (Eb 11,17-19):<br />

fede è credere che Dio possa “provvedere” oltre che “mettere alla prova” (pensava che<br />

Dio è capace di far risorgere dai morti: per questo lo riebbe e fu un simbolo).<br />

A – La chiamata di Abramo: l’obbedienza alla Parola: Gen 12,1-9<br />

Gen 11,27-32 pone le premesse a tutta la narrazione del ciclo di Abramo con la genealogia<br />

di Terach e soprattutto con l’uscita/esodo di Abramo da Ur di Caldei verso la terra di<br />

Canaan. È il primo esodo verso la terra anticipazione di quello dall’Egitto e del ritorno da<br />

Babilonia a Gerusalemme dopo l’esilio. Dio stesso chiede ad Abramo di uscire dalla terra<br />

natia verso un’altra terra. E nel suo peregrinare il padre tocca i luoghi che diventeranno<br />

importanti per i figli: Sichem, Betel (Giacobbe) e il Negheb (Isacco). È un’esplorazione<br />

anticipata. “Esce” Abramo con il nipote Lot protagonista poi di episodi importanti, con il<br />

padre e con la moglie. Due fatti negativi li accompagnano: la morte di Aran, padre di Lot,<br />

e la sterilità di Sara, moglie di Abramo. Inoltre, la meta non è ancora raggiunta: escono<br />

per andare nella terra di Canaan, ma si stabiliscono ad Harran, dove Terach muore. Il racconto<br />

suscita domande. I progetti umani saranno realizzati? Vi sarà una discendenza? Il<br />

viaggio è interrotto: sarà raggiunta la terra di Canaan?<br />

La vocazione inizia a rispondere a questi quesiti con il comando di partire verso una<br />

nuova terra, non ancora nominata, e con la benedizione, fonte di fecondità, che diventa<br />

promessa di una discendenza e continuerà nel corso di tutto il racconto seguente. Dio realizzerà<br />

i suoi progetti superando i limiti e i progetti umani: chiede obbedienza, ma anzitutto<br />

offre la sua promessa, perché l’uomo si apra al dono e lo accolga. La narrazione si collega<br />

ai racconti precedenti, in particolare all’episodio di Babele (11,1-9), e prepara il piano<br />

per il futuro. La chiamata di Abramo funge dunque da nesso con la storia precedente e<br />

introduce al nuovo ciclo.<br />

Gen 12,1-9: “Vattene/va’ a te dalla tua terra” – vocazione e obbedienza<br />

Struttura. La narrazione è racchiusa tra ordine ed esecuzione: “vattene” - “andò/partìuscì”,<br />

ed è articolata in due fasi:<br />

A – comando-promessa : il progetto di Dio con benedizione (vv.1-3);<br />

B – esecuzione (vv.4-9), articolata in due tappe:<br />

* Uscita ed entrata (esodo) nella terra di Canaan (con verbi di movimento: uscire-andare,<br />

entrare-attraversare): prima tappa (Sichem e quercia di More, vv.4-6);<br />

* Teofania con promessa della terra e discendenza: seconda tappa (Betel-Negheb, vv.7-9).<br />

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Osservazioni generali<br />

Il cammino fa da sfondo a tutta la pericope. Mette in risalto l’obbedienza pronta della<br />

fede alla parola del Signore significata nei verbi di movimento e nelle tappe: Andò come<br />

gli aveva detto il Signore, uscì da Carran, entrarono nella terra, attraversò (passò per),<br />

piantò-levò la tenda – muovere la tenda-viaggiare-emigrare (= continuare ad andare: il<br />

verbo nāsa‘ indica lo spostamento nel Neghev). Sono i verbi dell’esodo, soprattutto uscire<br />

ed entrare, andare e porre la tenda. Abram non ha una terra fissa. Nel suo andare verso la<br />

terra, egli anticipa l’esodo del suo popolo, attraversa il paese da nord a sud fino al Negheb,<br />

dove continua la vita da nomade, obbedendo al comando di Dio. È una vita legata<br />

alla tenda e ai suoi spostamenti che sembrano quelli della transumanza.<br />

I luoghi. Isacco dimorerà soprattutto nel Negheb; Giacobbe vivrà alcune vicende importanti<br />

a Sichem (Gen 34-35) 3 e a Betel (“casa di Dio”, cioè santuario, sostituito al precedente<br />

nome Luz), dove il patriarca avrà la visione della scala che porta in cielo (Gen<br />

28,10-22) e costruirà un altare a memoria del primo evento (35,6-8).<br />

Più difficile è collocare la “quercia di Morēh”: designa un santuario vicino a Sichem collegato<br />

a una quercia? Delle querce sono legate a Betel e Sichem: “sotto la quercia presso Sichem” Giacobbe<br />

seppellisce gli idoli (Gen 35,1-4), nella parte bassa di Betel, “sotto la quercia”, seppellisce la<br />

nutrice di Rebecca, che si chiamerà “Quercia del pianto” (’allôn bakkôt). La “via della Quercia dei<br />

Maghi o Indovini” (’ēlôn me‘ônenîm) è dalle parti di Sichem (Gdc 9,37): Morēh potrebbe significare<br />

“indovino”, colui che pronuncia un oracolo; sarebbe un albero sacro, oracolare, come sembra<br />

essere la palma sotto la quale siede Debora (Gdc 4,5, cf anche TOB). “Le quercie-terebinto di Morēh”,<br />

vicino a Galgala, sono menzionate in Dt 11,30, per indicare un santuario di Sichem, dove<br />

probabilmente veniva rinnovata annualmente l’alleanza (cf Dt 27,1ss e Gs 24,26). In Gs 24,26 un<br />

ms legge Môre’ insieme a mûl Šekem, anziché Gilgal, e la versione Siriaca e un Targum leggono<br />

mmr’. Si potrebbe ritenere Morēh un errore del TM, per «la/e quercia/e di Mamre’», dove Abramo<br />

pose la tenda di ritorno dall’Egitto (Gen 13,18) e luogo della visione dei tre viandanti (18,1)?<br />

Il racconto ha la forma di una vocazione profetica con teofania e rivelazione divina,<br />

vocazione-comando e missione, segno e promessa. La parola del Signore mette in moto la<br />

vicenda: Dio chiama e promette. È la prima chiamata di Dio. Il patriarca risponderà con<br />

prontezza come a un comando “militare”, ma coinvolge la libertà: Vattene-andò. La vocazione<br />

richiama per forza e decisione quella di Amos profeta (3,1ss; 7,14-17). La risposta<br />

è fonte di benedizione per sé e per le nazioni.<br />

1. Il progetto del Signore: Vattene! – andò<br />

1 Il Signore disse ad Abram:<br />

«Vàttene (lek-lekā, vai per te/a te)<br />

DALLA tua TERRA (me’arêeka),<br />

e dalla tua patria (luogo della tua nascita)<br />

e dalla casa di tuo padre,<br />

VERSO la TERRA (’el- ’ereê) che io ti indicherò (farò vedere).<br />

2 Farò di te un grande POPOLO<br />

e ti benedirò,<br />

renderò grande il tuo NOME<br />

e diventerai una benedizione.<br />

3 Benedirò coloro che ti benediranno<br />

e coloro che ti malediranno maledirò<br />

3 Sichem fu capitale provvisoria del regno del nord 1Re 11-12; fu soprattutto il luogo del patto tra le tribù e il<br />

Signore dopo l’entrata nella “terra” (Gs 24). Il NT ricorda Sicar, probabilmente indicandolo stesso luogo, e lo<br />

collega al pozzo di Giacobbe (Gv 4,5).<br />

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e in te si diranno benedette<br />

tutte le famiglie della terra (’adamah)».<br />

Il testo espone una caratteristica di Abramo che Giosué ricorda a Sichem: «Io presi il<br />

padre vostro Abramo da oltre il Fiume (l’Eufrate) e lo feci andare per tutta la terra di Canaan»<br />

(Gs 24,3). La sua vita sarà un continuo “andare” attraverso la terra che sarà data ai<br />

figli. L’espressione lek-lekā (12,1), come sottolineano le letture ebraiche, significa «va’<br />

per te» o «va’ a te». Compiendo questo gesto egli qualifica la sua identità, trova se stesso,<br />

va realizzando la sua personalità, dà unità alla sua persona. La parola di Dio, creatrice<br />

nella storia, risuona nel vuoto della sterilità di Sara. È un comando categorico, senza<br />

spiegazioni, che provoca separazione. La promessa di Dio è legata a un distacco: Abramo<br />

deve abbandonare tutto ciò che è “suo” (’ereê mûledet, la terra natia o terra d’origine, cf<br />

Gen 11,28; 24,7; Rt 2,11, cioè patria e casa), tagliare ogni legame. Così ritroverà la propria<br />

identità. Parimenti, Israele vivrà nel segno dell’uscita, della separazione, che è anche<br />

scoperta: lasciare l’Egitto odiato e amato insieme, perché offre sicurezza; lasciare Babilonia<br />

e ritornare alla terra (Sal 136). È l’esodo che deve compiere ogni coppia nel formare<br />

una famiglia (Gen 2,22-24; cf Sal 45). È l’esigenza di Gesù nei confronti dei discepoli e<br />

di se stesso: lasciare e seguire (Mc 1,16-20; 8,34; Mt 4,12-13.18-22 e parr.). È<br />

l’avventura che introduce una nuova identità e prepara la scoperta di nuove mete: un’altra<br />

terra, una nuova storia, un futuro diverso e inatteso (un popolo e una discendenza).<br />

In cambio della sua terra, Dio indicherà (“farà vedere”) ad Abramo un’altra terra/’ereêêêê<br />

(il termine torna 7 volte in questo brano) che il patriarca dovrà attraversare tutta, da nord<br />

a sud. All’inizio non è detto quale sia né che gli sarà data; lo saprà solo nella teofania<br />

(v.7), dopo essersi affidato alla parola di Dio ed essere entrato in Canaan. Il patriarca obbedisce<br />

e va verso la nuova terra per scoprirla (v.4). Così diventa “profeta e padre della<br />

fede”. Sarà una fede “fedele” fino al dono del figlio nella prova finale (Gen 22). Perché<br />

ogni credente dovrà attendersi la prova (cf Sir 2,1-18) e restare fedele per ottenere salvezza:<br />

«Il giusto vivrà per la sua “fede-fedeltà”» (Ab 2,4).<br />

Al comando seguono tre promesse (v.2), fecondità, nome e benedizione, che racchiudono<br />

il segno del futuro per l’umanità intera.<br />

La prima è la promessa della discendenza (cf v.7), accompagnata dalla benedizione<br />

(v.3), che permette la continuità della famiglia. Dio, fonte di ogni bene, in cambio della<br />

vecchia parentela e famiglia dona la fecondità: Abramo diventerà un grande popolo.<br />

In secondo luogo, Dio renderà grande il nome (v.2), avrà cioè una memoria famosa e<br />

positiva che è sinonimo di benedizione, in quanto la memoria si perpetua nella famiglia.<br />

Popolo e nome saranno opera di Dio non frutto dei progetti e delle strategie di<br />

potere degli uomini. Sarà il Signore a rendere grande Abramo, se obbedisce alla sua<br />

parola, se cammina davanti a lui: la promessa è condizionata. È l’esatto contrario di<br />

Babele: gli abitanti vi si stabiliscono (yāšab, Gen 11,2), costruiscono la città per “farsi<br />

un nome” e non “disperdersi” (v.4), concentrando il potere in opposizione al progetto<br />

che li voleva “in movimento” (nas‘a, errare-viaggiare-emigrare) e “disseminati”, per<br />

riempire tutta la terra (pÂred, nÂpaê, cf 9,19; 10,32; 11,9).<br />

Terach padre di Abramo, uscito da Ur del Caldei per andare in Canaan, in realtà si<br />

era fermato a mezza via e si era stabilito a Carran (11,31). Ora il figlio riprende il<br />

cammino interrotto, affrontando confusione e incertezze (terre nuove e sconosciute),<br />

sterilità e rinunce, per riprendere la conquista del mondo. Scegliendo il progetto divino,<br />

il patriarca intraprende una strada diversa rispetto all’umanità che l’ha preceduto:<br />

79


sarà nomade in una tenda, “esploratore” vagabondo verso una terra che Dio gli indicherà<br />

e gli donerà in futuro. Per questo deve abbandonare tutto ciò che è “suo”.<br />

La terza promessa è personale, di accompagnamento e protezione: essere con lui. Dio<br />

sarà con lui come con i figli (per Giacobbe, cf 28,15, ecc.).<br />

Segno e garanzia della promessa è la benedizione posta al centro della scena (vv.2b-<br />

3). Data all’inizio dell’umanità (Gen 1,27) è rinnovata con Noè dopo il peccato e il diluvio<br />

(9,1) per garantire la vitalità, la capacità di crescere, riprodursi e moltiplicarsi,<br />

sarà promessa anche a Mosè dopo l’infedeltà nel deserto (Es 32,10; Nm 14,12; 9,14).<br />

Ora, dopo la nuova infedeltà dell’umanità con Babele, è rinnovata ad Abramo e in lui<br />

estesa a tutta l’umanità. Lo stesso Abramo diventerà benedizione (il termine è ripetuto<br />

5 volte: 4 x il verbo, 1 x il sostantivo).<br />

In te si diranno/saranno benedette tutte le famiglie della ’adamÂh (il suolo, 12,3b).<br />

Il Dio creatore inaugura un nuova storia di salvezza. La benedizione assume un orizzonte<br />

universale: Abramo sarà segno per tutti: in lui rinasce una nuova umanità, egli diventa<br />

benedizione per tutti i popoli. 4 Può essere vista come principio organizzatore che<br />

connette Abramo a tutta una serie di persone, tra cui il Faraone (12,10-21), Melchisedek<br />

(14,17-24), Ismaele (21,9-21), Moab e Ammon (19,30-38).<br />

Ma per le sue scelte, Abramo sarà anche segno di contraddizione:<br />

Benedirò coloro che ti benediranno;<br />

maledirò coloro che ti malediranno (12,3a).<br />

Egli e il suo popolo saranno punto di riferimento e di decisione. Davanti a loro si dovrà<br />

prendere posizione. Così avviene con i profeti: Isaia è chiamato a percorrere una strada<br />

diversa, è “segno e presagio” per il popolo (Is 8,11-16). In Zac 8,13 il popolo in esilio sarà<br />

ambedue le cose: nella deportazione diventa emblema di maledizione, la restaurazione<br />

sarà segno di benedizione a cui gli stessi gentili si augurerebbero di partecipare.<br />

Come foste oggetto di maledizione fra le genti, o casa di Giuda e di Israele,<br />

così, quando vi avrò salvati, diverrete una benedizione 5 .<br />

2. La risposta di Abramo: il cammino – prima tappa<br />

4 E Abram andò/partì (hÂlak - wayyelek), come gli aveva detto (dibber) il Signore,<br />

e con lui andò (wayyelek) Lot.<br />

– Abram aveva settantacinque anni quando uscì da (jaêÂ’ - b e êe’tô) Carran –<br />

5 Abram prese (lāqaÐ) la moglie Sarai,<br />

e Lot, figlio di suo fratello,<br />

e tutti i beni che avevano acquistati in Carran<br />

e tutte le persone (nefeš) che lì si erano procurate/fatte<br />

e uscirono (wayyeê’û) per andare (laleket) alla TERRA (’arêÂh) DI CANAAN,<br />

ed entrarono (wayyÂbá’û) al PAESE/TERRA (’arêÂh) DI CANAAN<br />

6 e Abram attraversò (‘Âbar b = passare per) la TERRA<br />

fino alla località di Sichem,<br />

fino alla Quercia di More (= 13,18 e 18,1? = le quercie/a di Mamre’)<br />

E il Cananeo allora era NELLA TERRA.<br />

4 La traduzione di 12,3b ebraico ha più possibilità: “si diranno benedette”(Cei), si augureranno di essere benedette<br />

come Abramo; oppure “saranno benedette”, perché la sua scelta si riverserà su tutti. La LXX traduce<br />

in senso decisamente universalistico (cf Sir 44,19-22): è canale di benedizione per tutti.<br />

5 Per le formule positive di benedizione cf Is 19,24-25 (popolo); Ger 4,2; Prov 10,7 (il giusto); Sal 72,17 (il<br />

monarca). Per le formule negative cf Is 65,15; Ger 29,21-24 (i falsi profeti).<br />

80


2.1. La teofania – seconda tappa<br />

7 Il Signore apparve ad Abram e gli disse:<br />

“Alla tua discendenza io darò questo PAESE/TERRA (’ereê)”.<br />

Allora Abram costruì in quel posto un altare al Signore che gli era apparso.<br />

8 Di là passò (wayya‘ateq) alle montagne a oriente di Betel e piantò la tenda (nÂtÂh),<br />

avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente.<br />

Là costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore.<br />

9 Poi Abram levò la tenda (nÂs‘a) per andare (hÂlok) e accamparsi (naso‘a) al Negheb.<br />

Abramo esegue il comando del Signore, compie il suo esodo: escono da Carran ed entrano<br />

in Canaan (vv.4-5). Abramo parte con i suoi beni e tutto il suo clan. Sembrerebbe<br />

non lasciare tutto ciò che è “suo” come esigeva il comando del Signore. Il realtà, è in movimento<br />

l’intera “famiglia” oggetto delle promesse. Il cammino comune prepara la storia<br />

dei capitoli seguenti: anche il nipote ritorna nel ciclo e in rapporto con le medesime promesse,<br />

sviluppate per lui: non sarà l’erede, ma il padre di altri popoli (Gen 13 e 19).<br />

La partenza (v.4), in qualche modo, mette già in atto la benedizione. “Andare come gli<br />

aveva detto il Signore” non è solo obbedienza alla Parola, diventa anche reazione alla<br />

morte. Infatti, ha come compagni di viaggio due segnati dalla morte - la moglie sterile e<br />

Lot figlio orfano del fratello defunto! Il ricordo dell’età di Abramo – 75 anni – potrebbe<br />

sembrare una nota ironica del narratore; però anche il padre aveva 70 anni quando generò<br />

i suoi tre figli (Gen 11,26). La promessa di un figlio (Gen 18) lo farà “ridere” insieme alla<br />

moglie Sara. Ma “l’obbedienza della fede” renderà possibile l’impossibile (18,14), come<br />

in altri casi (Lc 1,37: Elisabetta e Maria, e cf 5,4-11: Pietro “sulla tua parola getterò le reti”).<br />

In quella partenza sta iniziando una nuova era, un mondo nuovo: dalla sterilità nascerà<br />

la vita e da un uomo di 75 anni, segnato dalla morte, sorgerà un popolo. La fede apre<br />

nuovi orizzonti geografici e storici, anche per Lot, il nipote e compagno di viaggio (cf<br />

cc.13-14.19).<br />

Le tappe. I vv.6-9 sviluppano il cammino nel quale viene precisata la promessa della<br />

terra. Abramo continua a credere e con il cammino avanza nelle promesse. Il patriarca<br />

percorre tutta la terra di Canaan, l’attraversa per tappe, la vede, la conosce ed esplora da<br />

nord a sud, fino al Neghev; ne prende simbolicamente possesso. Il Signore ora indica<br />

concretamente e promette: “alla tua discendenza darò questa terra” (v.7b). La terra che<br />

egli sta percorrendo come “straniero” diventerà residenza stabile per i suoi figli. Tuttavia,<br />

non sarà mai un “possesso”, l’avranno solo in uso: la terra resta di Dio. Dovranno viverci<br />

camminando con Dio come il loro padre Abramo.<br />

Nei vv.7-9 avviene un fatto nuovo, esplicativo della promessa: la teofania e gli atti di<br />

culto. La teofania, qui appena accennata, ribadisce direttamente il tema della terra e indirettamente<br />

quello della discendenza; i due temi saranno ripetuti e sviluppati in Gen 15 e<br />

17-18. «Il Signore apparve ad Abramo – Abramo costruì l’altare al Signore». Sembra una<br />

incubazione come nel caso di Giacobbe. La scena cultica soggiacente è decifrabile sulla<br />

base di testi ugaritici: il rito di “incubazione” nello spazio sacro di un tempio, l’apparizione<br />

della divinità o la ricezione di un oracolo, e un atto liturgico (costruire un altare).<br />

La fede si esprime nel culto testimoniato dai due altari eretti da Abramo in onore del Signore.<br />

Il primo è dedicato “al Signore apparso” alla quercia di More, dopo la teofania con<br />

la promessa della terra (v.7). Il secondo è costruito a est di Betel (v.8), separato dagli altari<br />

pagani e in mezzo ad essi: là Abramo adora e invoca il suo Dio, il “Dio dei Padri”. È un<br />

culto senza sacrifici e senza sacerdoti. Il gesto è destinato a preparare l’esperienza di<br />

Giacobbe: a Betel, dopo il sogno notturno innalzerà una stele, riconoscendo in quel luogo<br />

un santuario: è “casa del Signore” (Gen 28, cf 35,1-15; per Sichem, cf Gen 33,18-20;<br />

81


35,1-4). Abramo consacra il luogo cananeo al suo Dio. In mezzo a una terra ostile o ignorante<br />

il Signore ha un adoratore, un altare, uno che invoca il suo nome. Per la fede di<br />

Abramo Dio prende possesso della terra che darà in proprietà al suo popolo. 6<br />

EXCURSUS<br />

1 – LE TEOFANIE: Gen 15,1-21; 17,1-2<br />

1 - Gen 15,1-21 narra l’alleanza con Abramo nel contesto di una grande e misteriosa teofania<br />

(versione detta Jahvista). Lo stile è profetico: lo schema generale richiama ancora i<br />

racconti di “vocazione profetica” con oracoli e dialogo/obiezione tra il Signore e Abramo.<br />

Il patriarca è portatore non solo di promessa e alleanza, ma anche di profezia.<br />

Il racconto è articolato in due parti introdotte ambedue da un annuncio spontaneo di<br />

Dio: vv.1-6.7-21. All’inizio è la parola: «Abramo ricevette la parola del Signore» (15,1-<br />

6), poi la visione (15,7-21), dove il patriarca chiede un segno che sarà la visione stessa<br />

(vv.12ss). I due eventi accentuano promessa e fede (prima parte, cf v.6), alleanza e profezia<br />

(seconda parte).<br />

Parola – promessa (erede) e fede (15,1-6)<br />

Il primo intervento del Signore contiene un oracolo di salvezza: la promessa di un erede.<br />

Dopo il “non temi” che invita ad aver fiducia in un momento di crisi, Dio promette:<br />

“Io sono tuo scudo”: “Io sono” offre in modo criptico il nome divino; l’immagine di Dio<br />

“scudo” è comune soprattutto in ambito liturgico (cf Sal 3,4; 18,3.31; 28,7; 33,20). Aggiunge,<br />

come si trattasse di un lavoratore al suo servizio, che avrebbe ricevuto un “salario”<br />

abbondante, con allusione ai figli (cf Ger 31,16-17).<br />

Nell’obiezione (vv.2-3), Abramo non dubita, ma stabilisce una scala di valori: servono<br />

poco i doni senza figli (lett. “sterile” significa “uomo spogliato”, di figli): un estraneo sarà<br />

erede (un figlio adottato?). La seconda parte del v.2 è difficile da comprendere. Allude<br />

forse a costumi antichi (hurriti?): “un servo nato in casa” (ben-mešeq) o un “servo del mio<br />

casato”? Eliezer è nome o si tratta di ’elê‘ezer: El è per me aiuto? Damasco, dammešeq è<br />

certo un nome. Il testo sembra giocare sui due termini, ben-mešeq e dammešeq.<br />

La replica del Signore assicura Abramo con promessa rinnovata e segno cosmico interpretato.<br />

Un vero figlio di Abramo sarà erede dei suoi beni, come è vero che Dio è creatore<br />

di tutte le stelle: così sarà numerosa la stirpe di Abramo. Nel cap. 16 questi farà un<br />

suo tentativo di superare la sterilità mediante la schiava Agar.<br />

La prima scena si conclude con il silenzio di Abramo interpretato come atto di fede:<br />

«Abramo credette al Signore che glielo accreditò come giustizia» (v.6). È una riflessione<br />

teologica del redattore che contiene un’asserzione sul senso della fede. È tema tipicamente<br />

profetico (cf 1Sam 15,22; Os 6,6; Am 5,21; Is 1,10-20): rappresenta l’atteggiamento<br />

fondamentale, la fiducia totale nel Signore (cf Is 7,9b; 28,16), che caratterizza l’intera<br />

tradizione su Abramo e lo rende “padre di tutti i credenti”.<br />

Questa fede è “accreditata” (Ðāšab) sul conto di Abramo come “giustizia”. Il termine<br />

ha una connotazione commerciale ma anche cultuale: è il giudizio dei sacerdoti circa la<br />

perfezione di un sacrificio (Lv 7,18; 17,14; Nm 18,27). La fede è la sua giustizia il suo diritto,<br />

il credito che egli vanta di fronte a Dio e giustifica o rende giusta la sua vita, prezioso<br />

più di ogni opera e di ogni sacrificio.<br />

• Paolo si appella a questo versetto per affermare che la giustificazione è fondata sulla<br />

fede e non sulle opere della legge (Rm 4). In tal modo Abramo è reso giusto, riceve<br />

6 L. ALONSO SCHÖKEL, Génesis, p. 62.<br />

82


con ciò una garanzia per l’atto ultimo della salvezza nel giorno del giudizio (Gal 3;<br />

Rm 4 e cf 1,15-16). Oppure, se Abramo è sempre soggetto: “Lo ritenne per sé un segno<br />

favorevole”; la giustizia è l’esito favorevole dell’oracolo.<br />

• Ma la fede di Abramo lo porta anche ad azioni giuste (Gen 18,19 e 22,1-19). Giacomo<br />

si appella al medesimo verso per dire che una fede senza opere è morta (Gc 2,14-16).<br />

Visione – alleanza e profezia (la terra) (15,7-21)<br />

La riflessione teologica chiude la prima parte e apre la seconda: la fede predispone<br />

Abramo ad accogliere le promesse di Dio. In questa seconda parte infatti la parola di Dio<br />

rinnova la promessa riguardo alla terra e celebra l’alleanza. Se prima la fede era risposta<br />

alla promessa, ora la fede precede l’alleanza che viene celebrata in un rito grandioso e in<br />

un contesto di rivelazione che la parola esplicita. La ricerca storico critica vede due inserzioni,<br />

una prima del rito – una profezia sul futuro – e una finale, con esplicazione che enumera<br />

i popoli. Numerosi paralleli legano questa parte alla prima.<br />

Inizia con la parola di Dio che si presenta e qualifica con il nome (“Io sono il Signore/Jhwh”)<br />

e si fa conoscere ricordando il passato (ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei –<br />

l’esodo): richiama l’inizio della storia di Abramo, prima ancora della sua chiamata, per<br />

annunciare poi il futuro (darti in possesso questa terra). Abramo anticipa l’esodo della sua<br />

discendenza che sarà esplicitata al v.13. Troviamo, dopo la guerra (Gen 14), per la prima<br />

volta, la parola “pace” (šālôm), il sogno di tutta la discendenza di Abramo.<br />

Abramo chiede un segno: «Come posso sapere che ne avrò il possesso?». La domanda<br />

introduce il rito degli animali squartati a metà che sarà accompagnato dal segno: passare<br />

in mezzo (vv.9-11.17). Un simile rito è attestato in Geremia 34,18.<br />

Gli uomini che hanno trasgredito la mia alleanza, perché non hanno eseguito i termini<br />

dell’alleanza che avevano concluso in mia presenza, io li renderò come il vitello che spaccarono<br />

in due passando fra le due metà.<br />

Il rito equivale a un giuramento: chi passa in mezzo agli animali squartati e infrange<br />

l’alleanza, patirà la medesima loro sorte. A questo sembra alludere il verbo “tagliarekÂrat<br />

l’alleanza”. Abramo però prepara solo gli animali, non passa in mezzo; vi passa Dio<br />

che impegna se stesso, spontaneamente. La morte di Abramo non invaliderà le promesse,<br />

perché i successori ne continueranno la storia (cf vv.15-16).<br />

Il rito è accompagnato da una visione-sogno, una specie di “incubazione” che tocca<br />

Abramo e lo trasporta in una rivelazione superiore: «Quando il sole stava per tramontare,<br />

un sonno profondo (tardemāh) cadde su Abram ed ecco un terrore e una grande tenebra<br />

l’assalì» (v.12). Il termine tardemāh è il medesimo di Gen 2,21 che prepara la scoperta e<br />

il riconoscimento di Eva da parte di Adamo. Per Giobbe questo stato, unito al terrore, per<br />

la presenza misteriosa della divinità o dei suoi segni, è strumento di rivelazione (Gb 4,12-<br />

16 e 33,15-16, cf 1 Sam 26,12 e, senza il termine, 1Sam 3 e 1Re 3 che hanno i tratti<br />

dell’incubazione).<br />

La promessa (vv.13-16) assume lo schema di storia della salvezza, in forma di profezia<br />

futura (cf v.1): Egitto, liberazione, possesso della terra (vv.18b-19). La sua funzione può essere<br />

quella di un “prologo storico” con il quale inizia l’alleanza classica (cf Dt 1-4; Gs 24).<br />

Come alleanza, infatti, viene interpretata (v.18a) la scena grandiosa e misteriosa del v.17:<br />

Dio passa, senza immagine precisa, come fuoco e luce che illumina ma può anche consumare,<br />

e come tenebra e fumo. Dio è luminoso e oscuro, si manifesta ma resta indicibile, come<br />

appare nella doppia nube dell’esodo, lucente da abbagliare o tenebrosa e impenetrabile (cf Es<br />

3,2; 13,21; 19,18).<br />

83


2 - Gen 17,1-22 rappresenta la versione sacerdotale dell’alleanza con Abramo. Questi aveva<br />

cercato nel frattempo una soluzione umana alla sua sterilità: la schiava Agar che resta incinta.<br />

Nasce Ismaele che viene allontanato con la madre per la mancanza di rispetto verso Sara<br />

(Gen 16). A 99 anni, a indicare il carattere miracoloso della promessa, Abramo riceve una<br />

nuova apparizione in cui riprende il primo posto l’iniziativa divina – la sua parola – che aveva<br />

determinato la creazione e l’alleanza con Noè. Contenuto dell’alleanza è la fecondità e la<br />

terra (vv.5-8), con un segno, la circoncisione: è istituzione con promesse e condizioni anche<br />

per i discendenti (vv.9-14).<br />

Struttura: La parte centrale è segnata da due promesse ad Abramo e Sara, in forma di<br />

dittico, con il cambiamento del nome (vv.3b-8; 15-21). Il testo inizia con una formula di rivelazione<br />

(v.1b), una condizione/impegno: cammina alla mia presenza con integrità (tammîm,<br />

1c), e la promessa: alleanza e discendenza (v.2). La teofania si conclude al v.22, quando<br />

Dio si ritira, dopo aver parlato con Abramo.<br />

Nella formula di rivelazione, “Io sono”, il Signore si presenta con il nome di “DIO SHAD-<br />

DAY”, legato probabilmente a un antico titolo e santuario, che le traduzioni hanno reso con<br />

“Dio Onnipotente” (Pantocrator). Insieme vi troviamo nascosto anche il nome sinaitico: “Io<br />

sono…”. È un richiamo a Gen 12,1-4, ma anche alle dieci parole: le due alleanze sono in<br />

parallelo.<br />

Dt 5,5-7 Gen 17,1<br />

A) v.5: e (Jhwh) disse (le’mōr) A) e (Jhwh) disse (wayyō’mer)<br />

B) v.6: Io sono Jhwh tuo Dio… B) Io sono ’El Šadday<br />

C) v.7: Non avere altri dei di fronte a me C) cammina davanti a me e sii integro<br />

Come al Sinai, l’alleanza è preceduta dalla rivelazione del Nome e seguita da un impegno:<br />

Dio chiede fedeltà nell’agire (cammina). L’integrità (tammîm), se riferita a Dio,<br />

significa l’impegno totale, senza inganno (cf Is 38,3). Perciò la promessa dell’alleanza riflette<br />

la sua iniziativa. L’integrità chiesta all’uomo esige onestà nell’onorare gli impegni,<br />

lealtà, risposta con tutta la vita. Avremmo dunque una specie di compendio dei dieci comandamenti.<br />

Tammîm è una delle qualità riconosciute da Dio in Noè. Forse perché Abramo<br />

non si è sempre comportato così? Di fatto aveva compiuto azioni umane, aveva<br />

costruito i suoi progetti. Ora deve essere disponibile in tutto a Dio.<br />

Abramo si prostra in segno di riconoscimento e adorazione, ossia di accettazione<br />

(v.3). Dio risponde illustrando la promessa di una discendenza che sarà “moltitudine”<br />

(v.4) e cambiando il nome (v.5-8): Abràm diventa Abraham e Saray Sara (vv.15-22, cf<br />

Gn 32,29 e 35,10 per Giacobbe). Il significato filologico non tiene, ma il racconto ne dà<br />

una versione popolare per indicare una situazione nuova: nell’imposizione del nome Abramo<br />

e Sara sono posti sotto il vassallaggio di Dio, sono a suo servizio. Dio che stabilisce<br />

e concede il patto (heqîm, vv.7.19.21; natan, v.2), chiede l’osservanza a lui e alla discendenza<br />

(šāmar, vv.9-10), compreso il segno della circoncisione (vv.11-14).<br />

Da questo atteggiamento potrà avverarsi l’impossibile. Dio farà superare il “sorriso”<br />

che Abramo non trattiene di fronte alla promessa di un figlio da Sara, pur prostrandosi<br />

ancora a terra (v.17); anche Sara riderà (êaÐaq), ma il Signore ribadirà la sua promessa<br />

che puntualmente si realizzerà (Gen 18,12-15). Il patriarca non deve attendersi solo la salute<br />

di Ismaele (vv.18.20); un nuovo figlio, Isacco (JiêÐaq), nascerà proprio da Sara (v.19)<br />

e con lui Dio continuerà l’alleanza: sarà il vero erede (v.21). Il tema della discendenza si<br />

accorda ora alla situazione familiare. Attraverso le vicende e le teofanie il patriarca sta<br />

entrando progressivamente nel piano di Dio che raggiungerà il culmine nella prova: la richiesta<br />

dell’unico figlio (Gen 22).<br />

84


2. LA RELIGIONE DEI PATRIARCHI<br />

1) La religione dei PP<br />

a) Nomi divini: “il Dio di mio padre”, ha’el (Gn 31,5.29; 43,23; 46,3; 50,17; Es 3,6;<br />

15,2; 18,4): la formula può richiamare il “Dio parente” dei PP, il “Dio di mio/tuo padre”,<br />

cioè il Dio personale, della famiglia, del parente immediato, che il figlio sceglie<br />

come suo Dio e che riceve un culto esclusivo all’interno del gruppo. Presuppone un<br />

ambiente nomade (cf ad es. Gn 49,24-25). Riconoscendo ’El, Dio di suo padre, Abramo<br />

ritorna alle origini; riprendendo la vita degli antenati nomadi, lo può riconoscere<br />

in ogni luogo (cf Gdt 5,1).<br />

* La radice ’el è intesa in vario modo: ’ûl, “essere potente”; ’ālāh, “essere preso da timore-riverenza”<br />

(cf pāḥad ’el, Gb 31,23, in Viganò, p.30), donde ’ālāh, “adorare”, o ’ālāh<br />

II, “seguire”, colui che ogni uomo cerca di raggiungere, il traguardo di ogni uomo.<br />

Nessuna derivazione ha un fondamento sicuro 7 .<br />

* Quanto alla forma, incontriamo, oltre ’Elôhîm o ’El, ’Elat (f.)/’Elôt, ’Elim, ’Eloah.<br />

Uniti a un nome (nomi teoforici), sia Jhwh che ’El indicano vicinanza, parentela. Originariamente<br />

il nome dei PP era seguito da ’El: yiṣḥaq’el, “El ha sorriso”, ya‘aqob’el, “El<br />

protegge”, yiśra’el, “El è diritto” 8 .<br />

* Storia: ’El era anticamente la suprema divinità cananea, poi soppiantato da Ba‘al. Egli<br />

rappresentava il “toro”, a indicare la sua potenza generativa. Il termine servì, in seguito a<br />

indicare la divinità in genere, ossia l’essere divino 9 .<br />

* Uso del nome: YHWH ’EL (Es 3) rappresenta il nome completo del Dio di Israele.<br />

Secondo Viganò vuol significare la supremazia assoluta ed esclusiva assunta da<br />

YHWH nella religione ebraica, e in pari tempo mostrare che YHWH assorbì e sintetizzò<br />

in sé alcune delle peculiari caratteristiche del grande dio El. Di conseguenza è il grande<br />

Dio trascendente e Santo, ma nello stesso tempo, inserendosi nel concetto personale<br />

del PP, si mostrerà Dio vicino al suo popolo, colui che è in mezzo ai suoi e marcia<br />

in testa alle sue truppe.<br />

Da dove trae origine e quale è l’etimologia? Presentiamo l’opera di De Moor che tenta<br />

di rispondere 10 .<br />

• Egli tende a valorizzare i PP rispetto a Mosè. Vi è continuità nella divinità adorata dai<br />

PP e quella di Mosè. In articolate analisi, anche questo autore pone YHWH in stretta<br />

relazione con El e Baal – soprattutto in stretta simbiosi con El –, due divinità di cui ha<br />

assunto le funzioni.<br />

7 Cf W.H. SCHMIDT, in E. JENNI-C. WESTERMANN, Dizionario teologico dell’AT, Marietti, Torino 1978.<br />

8 Cf H. CAZELLES, «Essai sur le pouvoir de la Divinité à Ugarit et en Israel», Ugaritica VI (1969) 30.39-40.<br />

9 Cf oltre a CAZELLES, cit., W.F. ALBRIGHT, Archeology andd the Religion of Israel, Baltimore 1953, pp.72-<br />

74; M. DAHOOD, Ancient Semitic Deities in Syria and Palestine, in S. MOSCATI (ccur.), Le antiche divinityà<br />

semitiche, Roma 1958, pp.65-98; M. Pope, El in the Ugaritic Texts, Leiden 1955.<br />

10 Cf J.C. DE MOOR, The Rise of Yahwism. The Roots of Israelite Monotheism. Revised and Enlarged Edition<br />

(BETL 91), University Press - Uitgeverij Peeters, Leuven 1997 (pp.XV-445), nota di G.L. PRATO, RivBib 48<br />

(2/2000) 199-209, che serve a un buon orientamento; E. STOLZ, Einführung in den biblischen Monotheismus<br />

[Die Theologie], Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1996; R.K. GNUSE, No Other Gods. Emergent<br />

Monotheism in Israel [JSOT.S 241], Sheffield Academic Press, Sheffield 1997; O. LORETZ, Des Gottes<br />

Einzigkeit. Ein altorientalisches Argumentationsmodell zum «Schma Iisrael, Wissenschaftliche Buchgesellschaft,<br />

Darmstadt 1997; G.A.ALT, The God of the Fathers, in Essys on Old Testament History and Religio,<br />

Oxford 1966, pp.1-17; O. EISSFELDT, «El and Yahweh», in JSS 1 (1956) 19-37; R. DE VAUX, «El et Baal, le<br />

Dieu des Pères et Yahweh», in Ugaritica VI (1969) 501-517; L. VIGANÒ, Nomi e titoli di YHHW alla luce del<br />

semitico del Nord-Ovest (Biblica et Orientalia 31), Roma 1976.<br />

85


• È nome teoforo da una forma verbale e un soggetto [El] che in genere è il nome proprio,<br />

tipo yqtl (forma qal) della radice hwy (poi hyh) intesa in forma iussiva: «Possa [la<br />

divinità] essere presente [in funzione di aiuto]» (cf p. 326). YHWH è forma apocoristica<br />

o abbreviata; già la scuola americana (Cross, Freedman) postulava un hifil completando<br />

la formula con un oggetto, identificato in sebaôt = «El che fa essere (= crea) gli<br />

eserciti (celesti)». De Moor non discute il senso preciso o connotazioni semantiche<br />

della radice hwy; ma per si possono trovare tracce della formula originale<br />

nell’espressione biblica “dio dei padri”, yh(hw)-’l’l(h) ’byk, da cui deriva ’ny yhwh<br />

’lhy ’brhm ’byk, «Io sono Yhwh, il Dio di tuo padre Abramo» (pp.334).<br />

• Chi era in origine questa divinità? De Moor scarta una connessione diretta tra “il dio<br />

dei padri” e ’l’b (“dio padre” non “dio del padre”). Giustifica in qualche modo le origini<br />

del nome divino nell’ambito di un culto degli antenati; si attiene perciò all’ambito<br />

funerario del culto agli antenati in cui tale nome compare.<br />

YHWH-EL è il nome di un antenato divinizzato di una delle tribù protoisraelitiche;<br />

il nome divino a lui attribuito non indicherebbe altro che un aspetto di El. Perciò non è<br />

un dio straniero, fuso con El in Canaan, ma una manifestazione di El sin dall’inizio.<br />

Mentre a Ugarit questo El ha ceduto a Baal, nel Sud di Canaan si è conservato preminente,<br />

e anzi ha accentuato la sua esclusività. Comunque non è possibile dire quando<br />

una divinità YHWH-EL abbia avuto le sue origini, né quando l’antenato che portava<br />

questo nome sia vissuto: si può pensare all’inizio del II millennio, certo molto tempo<br />

prima delle testimonianze (scritte) di un culto di YHWH. In conclusione, pertanto,<br />

«circa il tempo di inizio l’origine storica dello yahvismo resta irraggiungibile»<br />

(p.333).<br />

Il culto è attestato nei racconti dei PP e collegato in particolare nell’uso delle stele<br />

e nell’aniconismo, anche in Lv 16 o in altri testi sparsi, come Gn 49,6 cf vv-5-6<br />

(p.356), usati per attestare l’attività dei proto-israeliti come Apiru. Anche attraverso il<br />

culto degli antenati YHWH-El avrebbe rafforzato il suo esclusivismo (ma determinante<br />

fu l’influsso della religione di Amarna). La differenza specifica di Israele consiste nella<br />

sacralità delle sue istituzioni, tra cui l’alleanza con il popolo, anziché attraverso un<br />

sovrano. Salva così la peculiarità delle origini e la diversità del Dio YHWH di Israele.<br />

«Nei confronti di questa ipotesi (nonostante i dubbi che può suscitare) va riconosciuto<br />

che anche se il processo originario da cui è derivato il nome divino è di tipo evemeristico,<br />

non è l’eroe umano ma la divinità racchiusa nel nome quella che è stata<br />

venerata come tale: in ultima analisi si tratta del dio El sopravvissuto nella funzione<br />

espressa dal verbo che lo accompagna, divenuta a sua volta nome autonomo di divinità<br />

(YHWH)» (Prato, p.208).<br />

b) luoghi di culto e nomi divini<br />

• Sichem – ’El ba‘al berît (Gen 33,18-20): situato fuori delle mura; legato a Giacobbe<br />

che vi eresse un altare a “El Dio di Israele”.<br />

• Betel (Gen 12,8; 28,10ss), ’El Betel-Luz (35,7 cf 31,13): fuori città tra Betel e ‘Ai<br />

(Gen 12,8). Era luogo sacro (Gn 28,10ss), che Giacobbe riconosce. Vi compie un rito<br />

arcaico: sotterramento degli idoli sotto la quercia e rinuncia agli dei stranieri, cambio<br />

di abiti (Gn 33,1-7.9-15). È atto di fede nell’unico Dio d’Israele. Il luogo fu consacrato<br />

a “’El-Betel”, perché là Dio si era rivelato e gli aveva dato il nome “Israele”. È il<br />

“Signore dell’alleanza” (cf Gdc 8,33; 9,4.46; Gs 24). Sarà oggetto di culto sincretista<br />

e come tale rimproverato da Osea (4,15; 5,8; 10,5: Bet-Aven) che del patriarca ritiene<br />

tratti negativi (12,4s.13).<br />

86


• Mamre (Gen 18): collegato ad Abramo, fuori di Ebron. Gli scribi in Gn 18,1 hanno<br />

corretto il testo originale, “la quercia”, con “il querceto” (cf TM) e mescolarono le indicazioni<br />

geografiche per combattere, senza successo, un culto sincretista che durerà<br />

sin dopo l’era cristiana.<br />

• Beersheva (Gn 26,33, cf 21,22ss) – ’el ‘ôlam: è un pozzo fuori città, collegato a Isacco<br />

(Gn 26,33, cf 21,22ss). Il nome divino “l’Antico o “l’Eterno”, cioè “dalla lunga fedeltà”<br />

(Gn 21,33) richiama Ba‘al Berit (Signore dell’alleanza), con allusione al giuramento.<br />

È il Dio che suggellò il patto fra Abramo e il re di Gerar Sabimelek (Gn<br />

21,22-34): «E piantò un tamarisco a Beersheva e qui invocò il nome di JHWH, El ‘Olam»<br />

(v.33).<br />

Fonti extra bibliche ne attestano l’esistenza:<br />

Iscrizione protosinaitica: ’el du ‘olami (cf W.F. Albright, The Proto-Sinaitic Inscriptions<br />

and their Deciphrement, Cambridge, Mass. 1969, pp.13.24.32.42).<br />

Ugarit: «E il Vincitore Ba‘al rispose loro: “Certo colui che ci ha generato è l’Eterno,<br />

certo l’Immortale è colui che ci ha portato alla luce”» (UT 76 [CTA 10]: III:5-7; Karatepe<br />

(Fenicia).<br />

Arslan Tash: «Elat l’Eterna (’lt ‘lm) ha tagliato il patto con noi, Ashera ha tagliato il<br />

patto con noi» (linee 9-11). Si può affermare che ‘Olam corrisponde all’antica divinità<br />

solare della cosmogonia fenicia Oulom(os), di cui parla Damascio (in Egitto il dio Re,<br />

il Sole, è chiamato nb hhh, “maestro dell’eternità”. Baruk 4,10: «Ho veduto la schiavitù<br />

dei miei figli e delle mie figlie, che l’Eterno (¿ ák§íéïò) mandò loro» (cf Gn 21,33).<br />

L’assimilazione nella Bibbia di El ‘Olam con JHWH «non ha cancellato le caratteristiche<br />

dell’antica divinità semitica né in particolare quella del “Dio intelligibile” (divinità<br />

solare, ndr) di Damascio; JHWH ’El ‘Olam rimane legato alla creazione (cf Sal<br />

40,28; 89,3 e in particolare Prov 8,23) e all’alleanza (cf Gn 21,33; 2Sam 23,5; Sal<br />

110,4; 119,11.142.144.160 a confronto con Arslan Tash), conserva le qualità di difensore<br />

e protettore dai nemici (Karatepe II,18ss e Dt 33,27; Sal 12,8; 31,2; 52,11; 71,1;<br />

73,12) e, infine, mantiene e sviluppa il concetto della regalità divina di JHWH (Fer<br />

10,10: il “Re eterno” va collegato con l’epiteto di ’El “re, padre di anni” – mlk ’abu<br />

sanima – (cf F.M. Cross in HTR 55 [1962] 236 e n.46, cf Sal 24,7.9; 145,1)» (L. VI-<br />

GANÒ, cit., pp.126s).<br />

• La tradizione sacerdotale: ’el šadday, sadu, “montagna” (assiro), tradotto “Onnipotente”<br />

(Es 6,24). È il nome del dio degli amorrei, sadu rabu, “la grande montagna” (cf il<br />

Safon, “nord”, monte a nord di Ugarit, sede di un santuario famoso; il termine è applicato<br />

al monte Sion, luogo del tempio, Sal 48,3). Mosè identificò JHWH con il “Dio<br />

di suo padre” e lo adorava nei luoghi dove passava. Così Šadday non è più il re degli<br />

amorrei, ma El Onnipotente.<br />

• Altri nomi divini: ’el ‘elion (Gn 14): pone in risalto la maestà divina, terribile e potente<br />

(domina i fenomeni fisici), giudice supremo dell’universo (controlla i cieli e la<br />

terra, protegge, è benefattore) (cf VIGANO, cit. pp.34s); pahad, “Terrore” (per Albright<br />

“Parente”) di Isacco (Gn 31; 42,53); ’el ro’i, “Dio della visione” (cf Gn 16,13 e<br />

il pozzo di Lahai Roi, “il Vivente mi vede”, 16,14; 24,62; 25,11); ’abir, “il potente di<br />

Giacobbe” (addolcimento di ’abbir, “stallone”, Gn 49,24, cf Is 1,24).<br />

In conclusione, luoghi di culto o ipotesi evemeristiche non si identificano con la religione<br />

di Israele. Essi conducono a delineare il Dio personale, il Dio dell’alleanza. I vari<br />

luoghi di culto offrono titoli divini non manifestazioni legate a un particolare luogo quasi<br />

a identificarlo con una divinità o a legare la divinità a quel luogo. I “Santuari” sono occasioni<br />

per percepire ulteriormente le qualità o gli attributi divini. Perciò ’El Shadday di-<br />

87


venta Dio “Onnipotente” o Dio ‘Olam, l’Eterno, dalla lunga fedeltà. In ogni luogo il fedele<br />

può adorare il “suo Dio” che lo segue e lo protegge, verso il quale si impegna con fedeltà.<br />

c) usanze religiose e relazioni con le “alture” (cf Os 12,3-4; 10,5; 6,10). Sono: altari di<br />

pietre rozze: erano le “case di Dio” (bet-’el, i betìli); alberi o pali sacri (Gn 12,6; 18,1;<br />

21,33); stele commemorative (spesso ricordo di ubicazione di tombe).<br />

La forma sincretistica che assunsero queste forme a contatto con la cultura cananea,<br />

fece reagire negativamente soprattutto il profeti dell’VIII secolo.<br />

3)- I PP e la rivelazione monoteistica = monoteismo pratico<br />

* Adesione pratica ed esclusiva al proprio Dio (= monoteismo pratico e monolatria, ossia<br />

scelta di una sola divinità): «Io sono ’El Šadday, cammina alla mia presenza e sii perfetto»<br />

(Gn 16,1-2). Sono vissuti in presenza del loro Dio e hanno praticato fedelmente la<br />

morale corrispondente alle loro condizioni sociologiche (cf Gn 15,6).<br />

* Alleanza ed “elezione”: i due termini sono anacronistici, ma il loro contenuto corrisponde<br />

a realtà.<br />

* Il monoteismo pratico fu una tappa provvidenziale verso il monoteismo dei profeti.<br />

88


Betili in Sardegna Pranu Muttedu presso Goni<br />

Betili a Rinaghju Sartene Corsica<br />

Betilo trasportato da quadriga, di Eliogabalo<br />

89


B – Il sacrificio interdetto – la ‛Aqedah di Isacco: Gen 22,1-19<br />

Questo episodio ha fatto scorrere molto inchiostro e creato discussioni tra gli stessi<br />

rabbini. Vi è ritornato Elie Wiesel. 11 Dal punto di vista della storia delle religioni, il racconto<br />

sembra affermare che Dio non esige sacrifici umani, ma la sottomissione, mentre<br />

accetta la sostituzione con sacrifici di animali. Di fatto, la pratica dei sacrifici di bambini<br />

era diffusa nell’ambiente ed è attestata in molti passi della Bibbia. 12<br />

Una particolare interpretazione è quella di Marie Balmary che, su un piano più antropologico,<br />

si interroga sul senso preciso della richiesta di Dio. Con André Chouraqui, che<br />

a sua volta fa riferimento a Rashi, seguito da Andé Wenin, essa traduce letteralmente ‘ālāh<br />

con “far salire”, che nella lingua corrente significa “offrire in sacrificio-olocausto”.<br />

Leggendo il testo in senso filologico, non c’è alcun riferimento al sacrificio, ma semplicemente<br />

l’ordine di far salire Isacco sulla montagna per un sacrificio. Si tratta allora di un<br />

terribile malinteso, di un meccanismo inconscio, in cui Abramo proietta il proprio modo<br />

dispotico di vivere il potere paterno che corrisponde a non lasciar vivere i figlio? 13<br />

Nel contesto attuale il racconto assume il carattere di prova ossia di esperimento culminante<br />

e drammatico di un percorso spirituale, come è attestato dall’autore nel primo<br />

verso. Gen 22,1 diventa perciò la chiave di lettura del racconto che si conclude ai vv.15-<br />

18: “perché tu hai fatto questo”. È l’ultima, suprema “prova della fede”, «quando il figlio<br />

della carne dovette essere compreso come figlio della fede». 14 Il tema della prova, a verifica<br />

di ciò che è nel cuore dell’uomo, ritorna in Dt 8,3-6; Sir 2,1-18; Sap 3,1ss; 1Pt 4,12-<br />

13; Gc 1,2-4.<br />

Il tema della prova di Abramo è ripreso nella lettera agli Ebrei (11,17-19), accentuando<br />

la sua fede nella risurrezione. Ma già Siracide unisce la vocazione e la prova finale.<br />

(Abramo) stabilì questa alleanza nella propria carne (cf Gen 17,23-27)<br />

e nella prova fu trovato fedele (Gen 22,1ss).<br />

Per questo Dio gli promise con giuramento<br />

di benedire i popoli nella sua discendenza (Gen 12,3; 19,17-18)… (Sir 44,20-21).<br />

1Mac 2,52, nel il discorso di Mattatia prima di morire, unisce Gen 15,6 e 22,1ss.<br />

Abramo non fu trovato forse fedele nella tentazione (cf Gen 22,1),<br />

e ciò non gli fu accreditato come giustizia? (cf Gen 15,6).<br />

11 E. WIESEL, Sei riflessioni sul Talmud (Saggi Bompiani), Milano 2000, “La ‘Aqedah rivisitata”, pp. 3-27.<br />

Ma anche Kirkegaard, in Timore e tremore, avverte questo fatto con molto turbamento: Abramo, pieno di<br />

compassione per il figlio, cerca di salvare la sua fede prima della sua vita. Che Isacco abbandoni pure il padre,<br />

ma non Dio. All’interpretazione del racconto è stato dedicato un volume: E. NOORT – E. TIGCHELAAR<br />

(edd.), The Sacrifice of Isaac: The Aqedah (Genesis 22) and its Interpretations (Themes in Biblical Narrative<br />

4), Brill, Leiden-Boston-Cologne 2002; cf anche A. WENIN, Isacco o la prova di Abramo. Approccio narrativo<br />

a Genesi 22, Cittadella editrice, Asssi 2005 (ed. francese, Isaac ou l’épreuve d’Abraham. Approche narrative<br />

de Genèse 22, Editions Lessius, Bruxelles 1999); M. BALMARY, Le sacrifice interdit, Grasset, Paris 1986;<br />

R. LACK, «Le sacrifice d’Isaac – Analyse structurale de la couche élohiste dans Gn 22», in Biblica 56 (1975)<br />

1-12; H. LINARD DE GUERTECHIN, «A partir d’une lecture du sacrifice d’Isaac (Genese 22)» in Lumen Vitae 38<br />

(1987) 302-322 (lettura a partire da una analisi psicanalitica); J.-L. SKA, «Gn 22,1-19. Essai sur le niveaux de<br />

lecture», in Biblica 69 (1988) 324-339; C. SAVASTA, «Schemi e strutture in Gen 22,1-19», in Rivista Biblica<br />

Italiana 42 (1994) 179-192.<br />

12 Attestazione di sacrifici di Bambini nei popoli circostanti, cf Dt 12,31; Lv 18,21; 20,2; 2Re 3,27; 17,31;<br />

proibizione condanna in Israele: Dt 12,31; 2Re 16,3; 21,6; Ger 7,31; 32,35; Ez 16,29; 20,25; Mi 6,6-7; Sal<br />

107,38.<br />

13 Cf M. BALMARY, Le sacrifice interdit, Paris 1986, p.198, e H. LINARD DE GUERTECHIN, «A partir d’une lecture<br />

du sacrifice d’Isaac (Gn 22)», in Lumen Vitae 38 (1983) 302-322., in particolare, pp. 312-313.<br />

14 G. BORGONOVO, La Bibbia, Piemme, p.116.<br />

90


In una rappresentazione dialettica, Dio appare colui che “mette alla prova” e chiede<br />

sacrifici, e insieme colui che “provvede” e apre al futuro con la promessa finale (vv.15-<br />

18), che riprende Gen 12,2; 15,5; 16,10 e diventa premio per l’obbedienza della fede: Abramo<br />

ottiene benedizione per sé e per i popoli (22,15-18, cf Gen 12,3). La prova diventa<br />

verifica del cuore di Abramo, ma anche rivelazione: una nuova esperienza di Dio che<br />

cambia i protagonisti.<br />

A 8 Dopo queste cose, DIO MISE ALLA PROVA/TENTÒ (nissāh) Abramo e gli disse:<br />

“Abramo, [Abramo – LXX]!”.<br />

Rispose: “Eccomi!”.<br />

9 Riprese:<br />

“Prendi - ti prego (-na’)- tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco,<br />

e VATTENE (hālak – lek-lekā) nella terra di Moria (ùel¾ùereê hammáriyyÂh)<br />

e FALLO SALIRE LÀ PER UN OLOCAUSTO su uno dei monti che io ti dirò”.<br />

B 3 Abramo si alzò di buon mattino, sellò il suo asino,<br />

prese con sé due servi e suo figlio Isacco, preparò la legna per l’olocausto<br />

si alzò e andò (wayāqom wayēlek) verso il luogo che Dio gli aveva detto.<br />

4 Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide (rā’āh) quel luogo.<br />

5 E Abramo disse ai suoi servi:<br />

“Fermatevi qui con l’asino;<br />

io e il ragazzo andremo (nēlkah) fin lassù, ci prostreremo e ritorneremo (nāšûbāh)<br />

da voi”.<br />

6 Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco,<br />

prese in mano il fuoco e il coltello,<br />

e proseguirono/andarono (wayyēlkû) loro due insieme.<br />

7 Isacco si rivolse ad Abramo suo padre e disse:<br />

“Padre mio!”.<br />

Rispose: “Eccomi, figlio mio”.<br />

Riprese:<br />

“Ecco, il fuoco e la legna,<br />

ma dov’è l’agnello per l’olocausto?”.<br />

8<br />

Abramo rispose:<br />

“Dio stesso provvederà per sé (yir’eh-lô - rā’āh)<br />

l’agnello per l’olocausto, figlio mio! ”.<br />

E proseguirono/andarono (wayyēlkû) loro due insieme.<br />

9 E arrivarono (bô’ – wayyābō’û) al luogo che Dio gli aveva indicato;<br />

qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna,<br />

LEGÒ (wayyaúÃqod) il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna.<br />

10 E Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio.<br />

A’ 11 Ma l’ANGELO DEL SIGNORE lo chiamò dal cielo e gli disse:<br />

“Abramo, Abramo!”.<br />

Rispose: “Eccomi!”.<br />

12<br />

L ’angelo disse:<br />

“Non stendere la mano contro il ragazzo<br />

e non fargli alcun male!<br />

cf vv.1-2<br />

ORA SO (yada‘) CHE TEMI DIO (yara’) e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico<br />

figlio”.<br />

13<br />

Allora Abramo alzò gli occhi e vide (rā’āh) un ariete impigliato con le corna in un cespuglio.<br />

Abramo andò a prendere l’ariete e LO FECE SALIRE PER UN OLOCAUSTO invece del figlio.<br />

91


14 Abramo chiamò quel luogo: “Il Signore provvede (rā’āh – yir’eh)”,<br />

perciò oggi si dice: “Sul monte il Signore provvede/è apparso” (rā’āh - yËrÂùËh).<br />

15 E l’ANGELO DEL SIGNORE chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta 16 e disse:<br />

“Giuro per me stesso, oracolo del Signore:<br />

perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio,<br />

7 io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza,<br />

come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza<br />

si impadronirà delle città dei nemici.<br />

18 Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu<br />

hai obbedito alla mia voce” (cf Gen 12,3).<br />

19 Poi Abramo tornò (wayyāšob) dai suoi servi;<br />

e si alzarono e andarono insieme (wayyāqûmû wayyēlkû, cf vv.3.5) verso Bersabea<br />

e Abramo abitò (yašab - wayyēšeb) a Bersabea.<br />

STRUTTURA<br />

La struttura del racconto esprime soprattutto la tensione tra la prova e il suo superamento.<br />

È Dio stesso che mette alla prova o tenta; alla fine è “l’angelo del Signore”, cioè<br />

una sua rappresentazione, che interviene.<br />

* Alla prova (introduzione, v. 1a) e al comando (vv.1b-2), segue l’esecuzione (vv.3-10);<br />

* conclude l’episodio il duplice intervento dell’angelo del Signore al quale Abramo risponde<br />

con la medesima obbedienza (vv.11-14.15-18).<br />

* Il v.19 conclude la scena con il ritorno.<br />

«All’inizio del capitolo Dio dispone la prova, alla fine la conclude: è la cornice,<br />

l’iniziativa, il punto di vista superiore che lo include tutto e lo illumina con luce obliqua.<br />

Al centro il protagonista realizza la prova, in modo che la sua conoscenza limitata è parte<br />

della prova. Così la narrazione ottiene una certa ironia e ambiguità ricercata dall’autore.<br />

L’autore narra con magistrale economia: sottolineando il tema filiale, accelerando o ritardando<br />

il tempo narrativo, interponendo silenzi» 15 .<br />

Tutto il racconto è segnato da intrecci e ritorni di verbi e termini. In particolare, ritorna<br />

come fatto di stile il “vedere-rā’āh, legato al luogo del sacrificio, che richiama forse<br />

l’antico racconto eziologico di un luogo di culto (preisraelitico?) il cui nome poteva suonare:<br />

“(Dio) vede/provvede (yir’eh)” o “(Dio) appare (yērā’ēh)” (v.14). Un autore successivo<br />

ha voluto collegarlo al monte Moria (mryh) che, secondo 2Cr 3,1, era l’antico nome<br />

della collina del tempio di Gerusalemme, mettendo in relazione i due monti con i sacrifici.<br />

Anche Abramo “vede” il monte di lontano, sguardo silenzioso, interrogativo, forse di<br />

attesa; alla fine “vede” l’ariete, e il vedere diventa rivelazione.<br />

Altro stilema importante è l’andare (hÂlak). Il verbo, associato a Isacco e collegato al<br />

luogo dell’olocausto (vv.3.5.6.8.13), segna le tappe del cammino spirituale dei protagonisti.<br />

Al comando di andare segue l’esecuzione, prima insieme con i servi, poi i due da soli,<br />

infine il ritorno con il gruppo che si riunisce e prosegue verso una nuova dimora e una<br />

nuova tappa. La struttura di questo brano è strettamente somigliante con il racconto della<br />

vocazione (Gen 12). 16<br />

15 L. ALONSO SCHÖKEL, Génesis, p. 98.<br />

16 Riporto lo schema di A. WENIN, cit, pp.58-59.<br />

92


Genesi 12 Genesi 22<br />

1 Adonai disse ad Abram:<br />

«Vattene dalla tua terra e dal luogo della tua nascita-patria<br />

e dalla casa di tuo padre<br />

verso la terra che ti farò vedere,<br />

2 perché io faccia di te una grande nazione<br />

e che io ti benedica<br />

e renda grande il tuo nome<br />

e che ti diventi benedizione<br />

3 e che io benedica coloro che ti benedicono<br />

– ma colui che ti disprezza, maledirò –<br />

e che in te acquistino-per-sé-benedizione<br />

tutte le famiglie del suolo». Cf 22,16-18<br />

4 E Abram se ne andò<br />

come gli aveva detto Adonai,<br />

E Lot se andò con lui.<br />

Ora Abram aveva settantacinque anni<br />

Alla sua uscita da Carrai.<br />

5 E Abram PRESE Sarai sua moglie [cf 11,31]<br />

e Lot, figlio di suo fratello<br />

e tutti gli acquisti che avevano acquistato<br />

e l’essere che avevano fatto in Carrabn<br />

e uscirono per andare nella terra di Canaan,<br />

e vennero nella terra di Canaan Cf 22,3<br />

+ un altare in More<br />

dopo che Adonai sia stato visto<br />

e che abbia ripetuto la promessa<br />

di una terra e di una discendenza (vv.6-7)<br />

La prova (v.1a)<br />

2 E (Elohin) disse:<br />

«PRENDI tuo figlio, il tuo unico, che tu ami, Isacco,<br />

e vattene verso la terra del Moriya [= della visione]<br />

e fallo salire là per un olocausto<br />

su una delle montagne che ti dirò.<br />

16 E disse:<br />

«Su di me faccio giuramento – oracolo di Adonai:<br />

sì: poiché hai fatto questa parola<br />

e non hai risparmiato il tuo figlio unico,<br />

17 sì, benedire io ti benedirò<br />

e moltiplicare io moltiplicherò la tua discendenza Cf<br />

12,2-3<br />

come le stelle del cielo<br />

e come la sabbia che è in riva al mare, e la tua discendenza<br />

prenderà possesso<br />

della porta dei tuoi nemici,<br />

18 e acquisteranno-per-sé-benedizione,<br />

nella tua discendenza<br />

tutte le nazioni della terra<br />

perché hai ascoltato la mia voce<br />

3 E al mattino presto, Abramo sellò il suo asino<br />

e PRESE i suoi due ragazzi CON SÉ e Isacco suo figlio, Cf<br />

12,4-5<br />

e tagliò della legna d’olocausto, e si alzò e se ne andò<br />

al luogo che gli aveva detto Elohim.<br />

+ un altare in Moriya<br />

prima che Adonai sia visto<br />

e che ripeta la promessa<br />

di una discendenza e di una vittoria (vv.9.14.17-18)<br />

Il racconto inizia collegando esplicitamente l’evento con i fatti precedenti: la nascita di<br />

Isacco, l’allontanamento di Agar e Ismaele, il contrasto con Abimelech per il pozzo e il<br />

giuramento con l’invocazione del nome del Signore, ’El ‘ôlam. Il “bambino” è ora un<br />

“ragazzo” (22,12), quindi almeno adolescente.<br />

Tutto il cammino di Abramo era stata una prova: dalla partenza dalla propria terra alla<br />

promessa di una posterità da una donna sterile. Ora siamo all’ultima prova, la tentazione<br />

estrema. Il lettore stesso è avvisato di cosa si tratta: Dio vorrebbe veramente il sacrificio<br />

di Isacco, o la richiesta non avrà un altro scopo? Il racconto è illuminato dalla finale che<br />

rivela un punto di vista superiore, il tentativo di far passare il patriarca da una visione puramente<br />

umana, a quella che accoglie il figlio come dono. Una prova simile avviene per<br />

Giobbe e riguarda il suo amore disinteressato per Dio (Gb 1,9).<br />

93


Comando (vv.1b-2).<br />

Alla nuova chiamata di Dio Abramo risponde sempre prontamente e con disponibilità:<br />

“Eccomi! – sono qui” (v.1b): è il ritornello del racconto dall’inizio alla fine (vv.7 e 11).<br />

Anche ora al comando segue l’esecuzione (cf 12,1.4-5 e 22,1.3-10). Chi chiama e tenta è,<br />

letteralmente, “il Dio” (con l’articolo, come in vv.3.9), a sottolineare la trascendenza.<br />

Il comando è articolato nei verbi e nei nomi che indicano il figlio.<br />

• I verbi contengono un triplice comando: prendi, vattene, sacrifica (o fa salire?) (v.2).<br />

«Prendi, ti prego», assume nel discorso un tono familiare, si appella alla libertà, come<br />

in Gen 12,1. Ma il contenuto è drammatico. Il verbo nel racconto è utilizzato sempre<br />

per Isacco e collegato al sacrificio (vv.3.6.10.13). «Vattene» è lo stesso della prima<br />

chiamata (12,1): è l’ordine di lasciare. Ora il patriarca sa dove andare: il luogo del sacrificio<br />

è la terra di Moria, e sa cosa deve fare, «sacrificare il figlio» (così almeno intende<br />

Abramo, v.10). Resta qualche incertezza su quale sia il monte per accentuare<br />

forse ancora l’obbedienza. «La prima volta che Abramo fu invitato a partire dovette<br />

sacrificare il suo passato per cominciare una nuova vita; adesso deve partire per sacrificare<br />

il proprio avvenire, l’oggetto stesso della promessa… Allora Abramo, come figlio,<br />

sacrificava suo padre per Dio; adesso, come padre, sacrifica suo figlio per Dio.<br />

Allora, la sua obbedienza lo ha condotto alla nascita di un figlio; adesso, la sua obbedienza<br />

lo conduce verso la morte di suo figlio». 17 Stranamente manca la madre Sara,<br />

assente in tutto il racconto. 18<br />

• Nel comando Dio dà risalto al tema filiale in quattro spezzoni sintattici che letteralmente<br />

suonano: “il tuo figlio, l’unico, che tu ami, Isacco”. Per il vecchio patriarca è il<br />

figlio della promessa, la promessa fatta carne (in tal senso è di Dio); è l’unico perché<br />

Ismaele è escluso da questa funzione ed è stato allontanato con la madre; è quello che<br />

ama; e ha un nome preciso, Isacco. 19 Dio ha dato la vita, ora la richiede per sé. Abramo<br />

deve sacrificare un figlio che ama, e una promessa compiuta, che pure ama.<br />

L’autore non descrive i sentimenti intimi del Padre, ma il tema filiale – “figlio mio” –<br />

domina la scena, nelle parole di Dio e del padre come nella narrazione dell’autore. La<br />

vera prova è come conciliare l’amore per il proprio figlio e l’obbedienza a Dio.<br />

• Il sostantivo “olocausto” (‘ôlâh), si è notato, non è associato direttamente a Isacco,<br />

benché quest’ultimo non ne risulti mai molto lontano. Il termine è piuttosto legato alla<br />

legna che Isacco porta e all’animale che sarà sacrificato (vv.3.6.7-8.13). 20<br />

Abramo Deve seguire credendo e sperando: accetta l’oscurità della fede. Nel sacrificio<br />

del figlio «Deve sacrificare un’idea già acquisita da Dio e un’esperienza di Dio, per aprirsi<br />

a un’altra nuova attraverso il mistero». 21<br />

17 W. VOGELS, Abraham. L’inizio della fede, p. 203.205.<br />

18 Cf S. BROCK, «Genesis 22: Where Was Sarah?», in The Expository Times 96 (1984), pp. 14-17.<br />

19 Si potrebbe tradurre: “Prendi tuo figlio, l’unico che ami”, non l’unico che hai avuto (c’era anche Ismaele).<br />

Avrebbe commesso una colpa Abramo preferendo Isacco a Ismaele, amando solo Isacco? Qualche tradizione<br />

ebraica vorrebbe vedere un atto di ridimensionamento del patriarca in questa “prova”, che segue a Sodoma e<br />

Gomorra, dove Abramo intercede (con rabbia? – ha’ap) contro Dio, chiedendo se volesse punire tutti, anche i<br />

giusti insieme agli empi (Cf E. WIESEL,cit., p. 16).<br />

20 A. WENIN, Isacco o la prova di Abramo. Approccio narrativo a Genesi 22, Cittadella, Asssi 2005, p. 24.<br />

21 L. ALONSO SCHÖKEL, Génesis, p. 99.<br />

94


Esecuzione (vv.3-10)<br />

È la sezione più lunga e comprende il viaggio (vv.3-5) come risposta al comando, la<br />

domanda di Isacco (vv.6-8), la preparazione del sacrificio (vv.9-10). L’insieme è articolato<br />

secondo una struttura concentrica che pone al centro la domanda del figlio. 22<br />

a- prese… Isacco suo figlio, preparò la legna (v.3a)<br />

b- si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva detto (v.3b)<br />

c- andarono/proseguirono loro due insieme (v.6b)<br />

d- domanda di Isacco (vv.7-8a)<br />

c’- andarono/proseguirono loro due insieme (v.8b)<br />

b’- arrivarono al luogo che Dio gli aveva detto (v.9a)<br />

a’- legò Isacco suo figlio… sopra la legna (v.9b)<br />

Il viaggio – silenzio (vv.3-5). Il silenzio domina, significativo e impressionante. 23 Il<br />

v.3 descrive azioni senza parole: «si alzò di buon mattino (= con prontezza), sellò il suo<br />

asino, prese con sé due servi e suo figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto, e si alzò<br />

e andò verso il luogo che Dio gli aveva indicato». Il racconto riprende gli stessi verbi del<br />

comando divino.<br />

Seguono tre giorni di cammino (v.4) fino al raggiungimento del luogo, tanti quanti il<br />

cammino di Israele prima di recarsi al Sinai (Es 19,3-18; 19,11.16). Con lo sguardo muto<br />

“da lontano” Abramo scorge il luogo del sacrificio. Solo allora ha una parola, verso i servi,<br />

che lascia per avviarsi insieme al figlio (v.5). Nelle sue parole il sacrificio appare un<br />

atto di adorazione: ci prostreremo. Però non parla di sacrificio, esso resta il suo terribile<br />

segreto e peso. La promessa ai servi “ritorneremo da voi” è una pietosa bugia o un’attesa?<br />

Si notano le somiglianze tra il racconto di Isacco e quello della cacciata di Ismaele<br />

(Gen 21,8-21). Il padre agisce esattamente come al momento in cui Dio gli aveva chiesto<br />

di cacciare l’altro figlio (21,14; cf 19,27; 20,8). Agar, la madre, andava con suo figlio<br />

verso la morte (21,14); adesso Abramo, il padre, cammina con suo figlio verso la morte.<br />

Ambedue i figli saranno salvati da Dio.<br />

Verso il luogo – solitudine (vv.6-8). Al silenzio si aggiunge ora la solitudine progressiva:<br />

la comitiva si riduce a due, padre e figlio insieme (cf inclusione tra i vv.6 e 8), soli<br />

nel loro dramma, fino all’apparire dell’angelo (v.11). Anche Mosè era salito da solo sul<br />

monte, lasciandosi dietro il popolo (Es 19,20.24).<br />

Diventano presenti e palpabili gli strumenti del sacrificio (v.6): fuoco e coltello, carico<br />

cosciente e terribile per il padre, con cui si appresterà a colpire il figlio (v.10); la legna,<br />

carico incosciente per il figlio, che la porta e sulla quale sarà legato (v.9).<br />

Il silenzio opprimente è interrotto ancora dal breve dialogo suscitato dal figlio, in cui<br />

risuonano affettuosamente e nudamente: “padre mio – figlio mio” (vv.7-8). Abramo risponde<br />

“Eccomi” al figlio come prima aveva risposto a Dio (cf vv.1b-2: vi appare il medesimo<br />

schema: apostrofe = disse: padre mio; riposta; domanda – risposta). L’ultima parola<br />

di Abramo è “figlio mio” (v.8), e torna il silenzio mentre camminano insieme.<br />

«La risposta di Abramo è calcolata dal narratore. Tre piani, l’ignoranza del figlio, la<br />

risposta del padre che crede di sapere e risponde più di quanto sappia, lo sguardo silenzioso<br />

di Dio che dà altro significato alle parole». 24 Nel detto: “Dio vedrà-provvederà o si<br />

22 W. VOGELS, cit. p. 204.<br />

23 Sul tema cf J. DAVIDSON, Abraham, Akedah and Atonement, in J. MOSSALA (ed.), Creation,Life, and Hope.<br />

Essays in Honor of Jacques B. Doukhan, Andrews University, Berrien Springs (MI) 2000, pp. 49-72, che fa<br />

diversi riferimenti al NT.<br />

24 L. ALONSO SCHÖKEL, Génesis, p. 100.<br />

95


farà vedere (rā’āh, v.8)”, possiamo cogliere un atteggiamento evasivo, ma è contenuta<br />

anche la domanda e l’attesa di una rivelazione; insieme alla totale disponibilità e fiducia<br />

nel Dio delle promesse, vi è forse anche la speranza di una sorpresa, di una qualche visione.<br />

Abramo è sul punto di scoprire qualcosa di importante: egli vede e scruta l’orizzonte:<br />

«alzò gli occhi e vide (rā’āh) il luogo da lontano» (v.4). Alla fine, «alzò gli occhi e vide<br />

(rā’āh) un ariete».<br />

Ebrei interpreterà la risposta del padre come attesa di risurrezione:<br />

Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere dai morti:<br />

per questo lo riebbe e fu come un simbolo (Eb 11,19).<br />

Sul luogo – la preparazione del sacrificio (vv.9-10). Giunto sul posto, Abramo si appresta<br />

a eseguire la terza parte del comando, sacrificare il figlio. Qui la descrizione rallenta<br />

e si sofferma sui gesti senza parole, come all’inizio (v.3). Il movimento narrativo è<br />

concentrato in cinque azioni: costruì l’altare, preparò-collocò la legna, legò Isacco suo<br />

“figlio” e lo pose sull’altare sopra la legna, stese la mano e prese il coltello per sgozzare<br />

suo figlio. Ancora una volta l’ultima parola è “suo figlio”, ripetuta due volte. La tradizione<br />

giudaica ha sottolineato la “legatura” del figlio (‘aqedah).<br />

La parola inattesa - il “sacrificio interdetto” (vv.11-14).<br />

Ritorna la struttura dell’ordine divino iniziale (vv.1b-2) e del dialogo tra padre e figlio<br />

(vv.6-8). Il duplice intervento, ora nella forma dell’angelo del Signore dal cielo (vv.11 e<br />

15), Dio pone fine alla prova e rimette in moto la storia. Egli torna a parlare, chiamando e<br />

ordinando, per impedire l’ultimo gesto:<br />

Non stendere la mano sul ragazzo, e non fargli nulla (v.12a).<br />

Ora so (yāda‘tî) che tu temi/rispetti (yerē’) Dio<br />

e non ti sei riservato il tuo figlio, il tuo unico (v.12b, cf v.2).<br />

Nella prova Abramo si è mostrato rispettoso di Dio, preferendolo al figlio che Dio ha<br />

riservato a sé. «Dio “tentò”, Abramo “rispetta”. Questi due verbi che dominano il testo si<br />

troveranno sulle labbra di Mosè, quando spiegherà al popolo, perché Dio avesse dato loro<br />

i dieci comandamenti (Es 20,20: sono tradotti con “provare” e “temere”). Sono questi i<br />

due soli testi dell’Antico Testamento in cui i due verbi sono usati insieme. Il comando divino<br />

è una prova che invita a una maggiore obbedienza. Abramo sembra avere obbedito<br />

alla legge prima che questa venisse promulgata». 25<br />

Ora il figlio gli viene restituito e ridato in dono. Non era il frutto dell’azione umana<br />

(come Ismaele da Agar), ma il figlio della promessa che Dio gli aveva dato. Doveva accoglierlo<br />

solo come dono. Il testo sembra echeggiare il detto evangelico: «Chi ama il padre<br />

o il figlio… più di me non è degno di me» (Mt 10,37).<br />

Abramo non ha immolato suo figlio, ma lo ha veramente offerto a Dio. Anche se il sacrificio<br />

non è stato eseguito materialmente, la tradizione seguente ha sempre considerato<br />

il gesto di Abramo un sacrificio perfetto, sottolineando soprattutto la radicale disponibilità<br />

di Isacco a quanto il padre stava facendo (cfr. Ag.Ber.). Quando offre, l’uomo benedice<br />

Dio e gli rende grazie per ciò che ha ricevuto: è il sacrificio interiore di riconoscenza e riconoscimento.<br />

Senza un esplicito commento, il racconto oppone di fatto il sacrificio del<br />

capro al sacrificio interiore della fede e obbedienza. È questo che il Signore chiede, questo<br />

Abramo ha offerto, l’altro è solo una espressione esterna.<br />

25 W. VOGELS, cit., p. 207.<br />

96


Dio che ha provato ora “provvede” (vv.13-14) per il sacrificio e “appare” (si manifesta)<br />

ancora, in forma nuova. 26 Il medesimo verbo rā’āh gioca sul duplice significato di<br />

“vedere” e “provvedere” e fa riferimento al Moriah (v.2). Abramo “vede” (rā’āh) un ariete<br />

che diventa il sostituto del figlio. Vi sarà un giorno in cui Dio accetterà il sacrificio<br />

umano come espressione di amore per l’uomo e per salvarlo, perché non c’è amore più<br />

grande che dar la vita per gli amici (Gv 15,13). In segno di amore, il Padre non risparmia<br />

il suo Figlio unico, amato, ma lo consegna per la salvezza del mondo. Così si esprimono<br />

il NT (cf Rm 8,32; Gv 3,16; 1Gv 4,10) e i Padri della chiesa nel tentativo di comprendere<br />

il senso della morte in croce di Gesù.<br />

Il secondo intervento divino (vv.15-18) rinnova le promesse poste all’inizio della storia<br />

di Abramo (Gen 12,1-9) e ripetute nel corso della sua vicenda mediante un oracolo in<br />

stile profetico. Anzi, Dio si impegna con un giuramento che sarà richiamato più volte (cf<br />

Gen 24,7; 26,3; 50,24; Es 13,5.11; Dt 1,8.35). Ritorna il tema di Abramo segno di benedizione<br />

e di contraddizione per tutti i popoli. Si aggiunge la vittoria sui nemici e la conquista<br />

delle loro città. Le promesse sono motivate dall’evento appena narrato: “Perché tu<br />

hai fatto questo…” (v.16, cf v.12). Diventano esplicazione della “prova” annunciata<br />

all’inizio della pericope, sono frutto dell’atteggiamento e dell’azione virtuosa di Abramo.<br />

L’ultima annotazione (v.19) realizza le parole del v.5. Superata la prova, il gruppo si<br />

ricompatta con il ritorno presso i due servi rimasti in attesa, e inizia un nuovo cammino. E<br />

Isacco? Avevano “camminato insieme”. Ora il testo dice che “Abramo tornò”, mentre ai<br />

servi aveva promesso: «Fermatevi… io e il ragazzo… ritorneremo da voi» (v.5). Privato<br />

nella vicenda di qualsiasi iniziativa personale, se non il breve colloquio con il padre, dal<br />

quale aveva ricevuto una risposta evasiva, Isacco alla fine non viene nominato. Li univa il<br />

silenzio, non la consapevolezza. E ora sembra scomparso. Dipende dal fatto che in ogni<br />

caso è stato donato? Oppure, impietrito dalla paura se ne è andato per conto suo, rifugiato<br />

nella tenda della madre, Sara, qui assente, dove si consolerà della sua morte, facendovi<br />

entrare Rebecca? La tradizione talmudica e rabbinica gli attribuisce trentasette anni. Se<br />

fosse vero, obietta Abraham Ibn ’Ezra (Spagna 1089/90 – 1164), la Bibbia avrebbe celebrato<br />

il suo amore per Dio, non quello di Abramo. In ogni caso, la medesima tradizione lo<br />

rende partecipe con una totale accettazione. Anziché fuggire, egli incoraggia il padre a<br />

compiere il volere di Dio, chiedendogli di legarlo all’altare. 27 Il testo non dice nulla in<br />

proposito. Ma è un’immagine che turba; è vittima senza possibilità di ribellione.<br />

Il ritorno a Beerseba-Bersabea, ultima meta del primo viaggio di Abramo (12,9, il Negheb)<br />

e dove era avvenuto il “giuramento” con Abimelek (21,22-24), segna una nuova abitazione<br />

(yāšab) nella terra, inizia una nuova fase orientata al futuro. La prova ha cambiato<br />

tutti. Il patriarca è entrato in una nuova ottica: accoglie il figlio e ogni promessa<br />

come frutto del puro dono di Dio. Riceverà tutto in dono perché tutto ha donato e su tutto<br />

ha preferito Dio, non risparmiando neppure il figlio (Eb 11,17-19, che accentua la fede:<br />

“lo riebbe come simbolo”, lett. parabola, cioè della risurrezione di Cristo).<br />

In conclusione, tra i due eventi – la chiamata (12,1-9) e la prova (22,1-19) – Abramo è<br />

maturato. È stato molto umano, talvolta troppo, a momenti irresponsabile, perfino riprovevole<br />

(12,10-20; 20). Adesso è stato eroico. Completamente si è donato a Dio, riceve<br />

26 Il testo ebraico del v.14 non è chiaro: si può leggere “vede” (yir’eh) o “si fa vedere, si manifesta” (yËrÂ’Ëh),<br />

che gioca con la risposta che Abramo dà al figlio al v.8. Il luogo diventa sacro per l’invocazione del nome,<br />

per il sacrificio offerto e gradito a Dio, come nella prima apparizione (Gen 12,8) e nella visione di Giacobbe<br />

(Gen 28). Cf J.R. DAVILA, «The Name of God at Moriah. An Unpublished Fragment from 4QGenExod a », in<br />

Journal of Biblical Literature 110 (1991), pp. 577-582.<br />

27 Cf E. WIESEL, cit., pp. 14-15.<br />

97


ancora il figlio come dono. È vero che vi è un nesso tra l’obbedienza del patriarca e le<br />

promesse divine. Tuttavia non le “merita” solo per le sue opere, perché esistevano prima<br />

della sua azione. Dio le conferma, così Abramo esce arricchito dalla prova 28 .<br />

Conferma il senso Elie Wiesel, ispirandosi al midrash. «Qualunque cosa Dio fece ad<br />

Abramo fu per il suo bene, per renderlo più forte, dargli più sicurezza. Ora, grazie alle<br />

prove egli sa che la sua fede è illimitata. Ma ciò significa che prima ne era ignaro? Prima<br />

pensava di potere, ora sa che potrà». Dio lo mise alla prova per farlo diventare un simbolo,<br />

un vessillo, in ebraico nes. Se vorrà essere “nes per tutti i popoli” – una guida – deve<br />

prima passare per il nissaiôn, la prova, sopportare tribolazioni. 29 .<br />

Tuttavia, la scena crea qualche turbamento, tanto che la tradizione del Midrash fa intervenire<br />

Satana a seminare dubbi e inganni, a suggerire ribellioni. Però Abramo resta fedele<br />

al Dio della vita: se dà la vita, la può chiedere. Ma la prova va oltre, verso un segno<br />

di anticipazione profetica: Dio non chiede l’uccisione, ma il dono per un servizio fedele.<br />

Sarà lo scopo della liberazione di Israele nell’esodo: “liberato dalla schiavitù per servire”,<br />

ossia dar culto al Signore con tutta la vita, in libertà nella terra donata, obbedendo, al di là<br />

dei sacrifici rituali (cf Dt).<br />

Gen 22,5-12 riflette e anticipa il dramma dell’orto degli ulivi, che ne riprende lo<br />

schema, soprattutto in Luca. Gesù resta solo lasciandosi dietro i discepoli e il Figlio invoca<br />

il Padre: cosciente di quanto sta avvenendo, si rende totalmente disponibile alla volontà<br />

del Padre; anche là un angelo lo consola; alla fine “si alza e va” verso la passione con<br />

una forza nuova, quella del testimone innocente e salvatore, esortando i discepoli a seguirlo.<br />

Per questo i Padri della chiesa hanno accostato i due eventi, leggendo in Isacco il<br />

tipo di Gesù Cristo, la cui offerta interiore e reale avrà come risultato la risurrezione. Così<br />

interpreta le letttera “agli Ebrei”:<br />

Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco,<br />

e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio,<br />

del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome.<br />

Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere dai morti:<br />

per questo lo riebbe e fu come un simbolo (Eb 11,17-19).<br />

28 Cf W. VOGELS, cit., p. 205 e 209.<br />

29 E. WIESEL, cit, p. 11.<br />

98


La storia di Giacobbe e la sua esperienza di Dio<br />

Problemi storico letterari<br />

Il ciclo di Isacco resta tenue, innestato in quello del padre e in quello del figlio. Ora, di<br />

fatto, prende il sopravvento la figura di Giacobbe. In questa parte, la critica storica vede<br />

raccolti diversi materiali, frutto di una lunga tradizione. I materiali proverrebbero soprattutto<br />

dalle tribù del nord, apparentemente legati al santuario di Betel, rielaborati in un ciclo<br />

coerente. Il ciclo di Labano farebbe pensare a un periodo di interazione tra Israeliti e<br />

Aramei (31,44-54); Gen 34 reca tracce di antichi rapporti con gli abitanti di Sichem. 30<br />

La “storia” di Giacobbe è segnata da un conflitto permanente, con il fratello Esaù<br />

prima, poi con lo zio Labano, infine con Dio stesso sul fiume Jabbok. Sempre si conclude<br />

con un accordo e la rappacificazione, dove il patriarca, astuto e ingannevole, esce vincente.<br />

Ma tutto ciò non dipende – come egli comprenderà alla fine – dalla sua astuta abilità,<br />

bensì dalla benedizione del Signore che mantiene fedeltà (’emet) alle promesse fatte ad<br />

Abramo e le rinnova ai “figli”. Se Abramo è collegato alla promessa trasmessa di padre in<br />

figlio (problema intergenerazionale, per assicurarsi una discendenza), nel ciclo di Giacobbe<br />

è accentuata la benedizione, collegata alla prosperità e alla fertilità, ma anche ai<br />

conflitti che ne derivano all’interno della stessa sua generazione e ai rapporti di potere<br />

dentro la famiglia. 31<br />

Alla fine della vita, adottando e benedicendo Giuseppe nei suoi due figli Efraim e Manasse,<br />

il patriarca riconoscerà un triplice titolo a Dio:<br />

«Il Dio alla cui presenza si sono incamminati i miei padri, Abramo e Isacco,<br />

il Dio mio pastore dalla mia nascita fino a oggi,<br />

l’angelo che mi liberò (haggō’ēl) da ogni male» (Gen 48,15-16).<br />

Il titolo richiama Gen 17,1 (il comando di Dio ad Abramo), il secondo è liturgico (Sal<br />

23,1; 78,52; 80,2; Is 40,10-11, ecc.), il terzo, gō’ēl, è più personale e riflette il linguaggio<br />

di Is 40-55 ma anche l’esperienza di tutto Israele nell’esodo. È il Dio che a Betel promette<br />

“sarò con te ovunque andrai”. Tali titoli divini garantiscono il potere e la sua benevolenza<br />

concessi mediante la benedizione.<br />

Lo stile del racconto ha meno preoccupazioni estrinseche. È libero di esprimere un<br />

umorismo malizioso e una moralità discutibile. Non ha remore nel mostrare che Dio sovverte<br />

le regole a favore di Giacobbe, anche se talora il narratore stesso sembra parteggiare<br />

per Esaù; non si preoccupa di descrivere la scaltrezza ingannevole del patriarca e l’indulgenza<br />

di Dio nei confronti di questo “mascalzone” che inganna e prende i fratelli per il<br />

“calcagno”, e i cui ricorsi a Dio sembrano dettati da necessità e opportunità più che da fede<br />

autentica. Alla base della elezione è la “grazia”. La storia è segnata dalla elezione superiore<br />

a ogni merito e a ogni colpa. Solo la presenza divina benedicente garantisce il<br />

30 Cf W. BRUEGGEMANN, Genesi, p. 255s. Gunkel vi riconosce quattro cicli principali di racconti indipendenti:<br />

a) narrazioni su Giacobbe ed Esau (25,19-34; 27,1-45; 27,46-28,9; 32,3-21; 33,1-17; b) su Giacobbe e Labano<br />

(29,19-34; 30,25-31,55); c) i figli di Giacobbe (29,31-30,24); d) incontri teofanici (28,10-22; 32,1-2.22-<br />

32).<br />

31 «Alle storie “orizzontali” di conflitto con Esau, Labano e Rachele fanno da pendant i racconti “verticali”<br />

delle teofanie. Insieme, le une e gli altri mostrano quanto il dono di una benedizione immeritata sia al tempo<br />

stesso sicuro ma anche contrastato» (W. BRUEGGEMANN, Genesi, p. 255s); cf anche F. GARCIA LOPEZ, Pentateuco,<br />

p. 79.<br />

99


uon esito della vicenda. Tuttavia, anche Giacobbe sembra progressivamente mutare il<br />

modo di guardare lo stesso fratello Esau (Gen 35,10-11).<br />

La struttura del racconto di Giacobbe è articolata in cerchi concentrici che vanno dal<br />

conflitto alla riconciliazione. La cornice è data dai racconti su Giacobbe ed Esaù (inizio e<br />

fine) con all’interno le due teofanie; segue il ciclo di Labano che ha al centro la nascita<br />

dei figli. La profezia di elezione (Gen 25,23) e la benedizione dominano il ciclo. Sarà una<br />

elezione contrastata che lo pone in conflitto con tutti: lotterà con Dio e con gli uomini e<br />

vincerà.<br />

A – Esaù/Giacobbe: inimicizia (Gen 25-28) – Bet-’El (Gen 28,10-22)<br />

B – Labano/Giacobbe: accoglienza (29,1-30) – nascita dei figli (29,31-30,24) – conflitto e<br />

inganno reciproco (30,25-31,42) – accordo e alleanza (31,43-32,1);<br />

A’ – Esaù/Giacobbe: riconciliazione (Gen 32-36) – Penu-’El (Gen 32,23-33)<br />

La vicenda di Giacobbe si prolunga poi in quella di Giuseppe e si concluderà con la<br />

benedizione dei figli, la morte e la sepoltura in Egitto (Gen 48-50). Il patriarca però chiede<br />

ai figli la promessa di essere riportato nella terra. Il suo ciclo infatti è collegato al ripetuto<br />

“ritorno alla terra” (Gen 28,13-15, cf anche 31,13 e 33,10). In 46,1-5a inizia il viaggio<br />

verso l’Egitto e Dio promette di accompagnare Giacobbe e poi di farlo “risalire” verso la terra;<br />

prima di morire Giuseppe riprende il motivo annunciando che un giorno Dio condurrà il<br />

suo popolo nella terra promessa ai Padri (50,24).<br />

Il percorso di Giacobbe è segnato, come quello di Abramo, da un duplice, determinante<br />

incontro con il Signore: il sogno di Bet-El (Gen 28,10-22), nel momento in cui fugge<br />

inseguito da Esau, e la lotta di Penu-El, al ritorno, che prepara la riconciliazione con il<br />

fratello (Gen 32,23-33). Ambedue gli incontri avvengono nella notte e si concludono al<br />

mattino. I racconti fanno da cornice a questi due momenti chiave della sua vicenda. Là<br />

Dio si manifesta presente e protettore. I due episodi diventano paradigmatici<br />

nell’esperienza di fede.<br />

A – Giacobbe e il sogno di Betel–“casa di Dio”: visione e voto (Gen 28,10-22)<br />

Il contesto<br />

Giacobbe è costretto a emigrare in seguito alla persecuzione del fratello adirato per la<br />

benedizione della primogenitura che questi aveva carpita al padre con la complicità della<br />

madre. La madre stessa invita il figlio a recarsi a arran presso suo fratello Labàno (Gen<br />

27,1-45). Un secondo motivo (attribuito dalla critica alla tradizione P, ma ormai inserito<br />

in un nuovo canovaccio della storia) spinge i genitori a inviare lontano il figlio perché<br />

sposi una della sua tribù o famiglia, diversamente da Esau che aveva sposato due donne<br />

ittite. Lo stesso Esau si affretta allora a sposare una figlia di Ismaele, Macalat.<br />

Giacobbe dunque, con la benedizione del padre, intraprende il viaggio verso Carran.<br />

Lungo il cammino deve fermarsi a causa della notte. Il sogno, posto al centro del racconto,<br />

trasforma la sosta casuale in un incontro con Dio che gli si manifesta in una grandiosa<br />

teofania cosmica: quel luogo è “casa di Dio, porta del cielo, pietra di Israele”. Dio si manifesta<br />

in un luogo non scelto dall’uomo e di notte, nel sonno, tempo che appartiene a Dio<br />

e non all’uomo (sin da Adamo e Abramo, cf anche Sal 3,6-7 e 4,5.9; nel sonno il Signore<br />

fa il dono ai suoi amici, il dono/eredità dei figli Sal 127).<br />

Il racconto aveva probabilmente una funzione eziologica, teso a spiegare la fondazione<br />

di un santuario noto e significativo per la fede del popolo ebraico (cf Gen 12,8; 35,1-15),<br />

100


attribuendone l’origine al patriarca, anche se sarà in seguito contestato. 32 Vi è anche allusione<br />

ai riti di incubazione con il sogno rivelatore avvenuto in un luogo sacro (cf 1Re 3,4-<br />

15 Salomone a Gabaon, e 2Sam 3 vocazione di Samuele). Il fenomeno è attestato nei testi<br />

di Ugarit e nella tradizione greca. La teoria storico-critica vi scorge il confluire di due<br />

tradizioni (E 1-12.17-18.19b-22; J 13-16.19a). Ma l’autore rielabora l’antico testo con<br />

una nuova finalità data dal nuovo contesto. Inserita nella storia di Giacobbe, mette in luce<br />

la presenza del Signore che rinnova le promesse fatte ai padri (terra e discendenza) e accompagna<br />

e protegge il patriarca nelle vicende che lo attendono nel prossimo futuro (sarò<br />

con te e ti proteggerò). Il santuario di Betel rappresenta il punto di partenza durante la fuga<br />

e il punto di arrivo quando il patriarca ritorna nella sua terra natia.<br />

A 28.10 Giacobbe partì/uscì (yÂêÂù) da Bersabea e andò (hÂlak - wayyelek) verso Carran.<br />

B 11 Casualmente giunse (pÂga‘) in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato;<br />

prese una pietra del luogo, se la pose come guanciale e si coricò (wayiškab) in quel luogo.<br />

C 12 Fece un sogno:<br />

Ed ecco, una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo;<br />

ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa.<br />

D 13 Ed ecco il Signore gli stava davanti e disse:<br />

“Io sono il Signore, il Dio di Abramo tuo padre e il Dio di Isacco.<br />

La terra sulla quale tu sei coricato (šákËb) la darò a te e alla tua discendenza.<br />

14 La tua discendenza sarà come la polvere della terra<br />

e ti estenderai a occidente e ad oriente, a settentrione e a mezzogiorno.<br />

E saranno benedette per te e per la tua discendenza tutte le nazioni della terra.<br />

15 Ed ecco io sono con te e ti proteggerò (šÂmar) dovunque andrai;<br />

e ti farò ritornare in questo paese (ùel¾ h¾ùÃdÂmÂh hazzáùt),<br />

perché non ti abbandonerò senza aver fatto quello che t’ho detto”.<br />

C’ 16 Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse:<br />

“Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo”.<br />

17 Ebbe timore e disse:<br />

“Quanto è terribile questo luogo!<br />

Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo”.<br />

B’ 18 Alla mattina presto Giacobbe si alzò (wayyiaškēm), prese la pietra che si era posta<br />

come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità.<br />

19 E chiamò quel luogo Bet-’el, mentre prima di allora la città si chiamava Luz.<br />

D’ 20 Giacobbe fece questo voto:<br />

“Se Dio sarà con me e mi proteggerà (šÂmar) in questa strada/viaggio dove sto andando<br />

e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi,<br />

21 se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre,<br />

il Signore (Jhwh) sarà il mio Dio (’Elohîm).<br />

22 Questa pietra, che io ho eretta come stele, sarà una casa di Dio (bet ’Elohîm);<br />

di quanto mi darai io ti offrirò la decima”.<br />

A’ 29.1 Poi Giacobbe si mise in cammino (alzò i piedi) e andò (halak) nella terra degli orientali.<br />

32 Cf 1Re 12,26-13,32; Am 4,4; 7,10ss. In Os 4,15; 5,8 e 10,5 è chiamato spregiativamente Bet-’Aven, “casa<br />

di iniquità” per il vitello là adorato; per Os 6,10 è centro di idolatria-prostituzione; Os 12,4-6 condanna lo<br />

stesso patriarca, anche se riconosce la sua conversione in Bet-’El e Penu-’El, riassumendo i due momenti.<br />

101


STRUTTURA<br />

La struttura del racconto è incorniciata dalle due partenze e dal cammino verso arran<br />

e la terra d’oriente (A-A’, 28,10; 29,1). Il tema dell’uscire e andare (hālak) resta sullo<br />

sfondo: il protagonista compie il suo esodo che diventa temporaneo esilio.<br />

La vicenda avviene in un unico luogo, identificato alla fine, che riceve un nuovo nome.<br />

La narrazione centrale è raccolta in due scene: la notte con il sogno e la visione, e il<br />

mattino con il rito e il voto di Giacobbe (reazione del patriarca). Alla sera si corica e riceve<br />

il sogno, si sveglia e riconosce la presenza; al mattino si alza e compie il rito; il tutto è<br />

in relazione alla pietra (C-C’ vv.16-17.18-19; B-B’ vv.11.18-22); il voto si appella alla<br />

promessa del Signore durante il sogno (D-D’, vv.13-15.20-22). La promessa della terra<br />

riguarda una discendenza che ancora non c’è, ma Dio rivela la sua potenza accompagnando<br />

e proteggendo nel cammino.<br />

I – La NOTTE<br />

Il sogno (vv.10.11-12).<br />

A – Giacobbe è costretto ad “uscire” dalla terra per ritornare a arran (v.10). È il percorso<br />

inverso a quello di Abramo, il primo esilio, che però gli darà l’occasione di farsi una<br />

famiglia, avere figli e beni. L’uscita forzata anticipa l’esperienza dei futuri esuli: là dovranno<br />

comprare e vendere, fare figli, nell’attesa del ritorno (cf Ger 29).<br />

B – La sosta casuale in un luogo anonimo, si trasformerà in un incontro e luogo definiti<br />

che annunciano e preparano il futuro del patriarca e della sua discendenza (v.11). «Tutte<br />

le parole della presentazione possono contenere un doppio significato, cultuale o profano:<br />

“luogo” è frequentemente un termine tecnico per indicare un luogo di culto; “pietra” sta<br />

per un idolo o una stele cultuale; “coricarsi e passare la notte in un luogo” può designare<br />

l’incubazione sacra nella speranza di un oracolo. Nella prospettiva di Giacobbe tutto e<br />

semplice e profano, nell’intenzione del narratore tutto è insinuato». 33<br />

C – La visione nel sogno (v.12) è foriera di rivelazione (come per Giuseppe, Adamo e lo<br />

stesso Abramo). Rappresenta un tempio, una piramide cultica, una zigurrat con<br />

un’immensa scalinata che dalla terra raggiunge il cielo. Essa ricorda polemicamente la<br />

torre di Babele che rappresentava una sfida a Dio in nome del proprio potere. Può richiamare<br />

la zigurrat di Babilonia, detta in sumerico E.TENE.AN.KI, “casa del fondamento<br />

del cielo e della terra”, e il cui tempio era chiamato E.SA.GILA, “casa che alza la testa”,<br />

cioè si eleva in alto, verso il cielo. Essa è percorsa dai “messaggeri/angeli della divinità”<br />

(mal’Ãkê ’eláhîm) che salgono e scendono – non volano – cogliendo e portando orazioni<br />

e oracoli. È una specie di processione liturgica che prepara la teofania e la promessa: la<br />

scala unisce cielo e terra.<br />

L’oracolo (vv.13-15).<br />

D – Finalmente appare il Signore con un messaggio diretto, senza intermediari, ed è una<br />

promessa. Nel contenuto ripete quello rivolto ad Abramo (vv.13-14). Dio si presenta con<br />

il suo nome, Signore-Jhwh, e come il Dio di Abramo e Isacco (i due “Padri” a cui si aggiungerà<br />

lo stesso Giacobbe), rinnova il dono della terra e della discendenza (cf 12,1.7;<br />

13,15; 26,3-4 e allo stesso Giacobbe in 25,23). Aggiunge la diffusione di questa nei quattro<br />

punti cardinali e ripete il segno della benedizione per tutti i popoli mediante Israele.<br />

Dove saranno presenti i discendenti? Il testo non lo dice, ma vi è forse un’evocazione per<br />

chi vive in esilio, fuori della terra.<br />

33 L. ALONSO SCHÖKEL, Génesis, p. 132.<br />

102


Il v.15 aggiunge una triplice promessa personale, caratteristica dell’esodo: “sarò con<br />

te dovunque andrai – non ti abbandonerò” fino al compimento della promessa (è la presenza).<br />

Vi unisce la protezione: il Signore lo accompagnerà nelle sue peregrinazioni (immagine<br />

del pastore o “guardiano” di Israele, cf Sal 23; 91,11-12 e 121, Gen 48,15-16), e il<br />

ritornello tipico del ciclo di Giacobbe: “ti farò tornare a questo suolo”, quello natio, che<br />

resta il centro di riferimento (cf 31,13). La sua parola o promessa garantisce la forza attiva<br />

che potrà attuare tutto questo. È la promessa per il patriarca e un segno di speranza per<br />

i discendenti: come Dio li aveva condotti un tempo nella terra, avrebbe potuto un giorno<br />

riportarvi ancora gli attuali esiliati.<br />

La reazione di Giacobbe (vv.16-22)<br />

C’ – Riconoscimento e timore (vv.16-17). Destato dal sonno, Giacobbe scopre ciò che<br />

prima non sapeva: riconosce la presenza di Dio; riconosce non istituisce o fonda il santuario<br />

(cf Abramo Gen 12,8; 13,4). Il riconoscimento prepara il nome che il patriarca darà al<br />

luogo (v.19).<br />

«Mediante il sogno Giacobbe è passato dall’ignoranza totale (luogo profano) alla scoperta<br />

piena (presenza del Signore). Non una divinità pagana, bensì il medesimo Signore<br />

sta nel cuore di Canaan. Così Israele andrà scoprendo la presenza del suo Dio nella terra<br />

promessa, in luoghi sacri cananei che incorpora nel suo proprio culto del Signore (le proibizioni<br />

sono posteriori). E una maniera di prendere possesso e di trasformare tali luoghi<br />

sacri è di collegarli ai patriarchi. È qualcosa che Giacobbe-Israele “non sapeva”, e che la<br />

parola del Signore andrà rivelando». 34<br />

Il riconoscimento si accompagna al timore, un atteggiamento di rispetto o venerazione<br />

religiosa che include paura: è l’aspetto terribile e affascinante dell’incontro con la divinità<br />

che consacra e rende terribile un luogo (cf Gen 32,31; Is 6,1-4, Sal 48 e 76). Perciò il<br />

luogo stesso è “terribile” (hZ


sono in Gen 31,45.49: Giacobbe e Labano erigono una stele a testimonianza dell’alleanza<br />

conclusa; anche i parenti raccolgono pietre formando un “mucchio” sul quale mangiano<br />

insieme (vv.46-47). Labano la chiama in aramaico Y e gar-ŠÂhadïtÂù (TM, sarebbe Sahdûtaù),<br />

Giacobbe la chiama Gal-’Ed, “mucchio della testimonianza”, e anche Mizpa<br />

(MiêpÂh, da êÂpah, “essere di vedetta, sentinella”): i termini alludono ai toponimi Galaad<br />

e Mizpa. Il mucchio (Galaad) e la stele (Mizpa-maêêËbÂh) sono collegate all’impegno a<br />

non maltrattare le figlie, perché «il Signore starà di vedetta (yiêêef) tra me e te quando noi<br />

non ci vedremo più l’un l’altro» (vv.49-50), e alla clausola che vieta ai contraenti di oltrepassare<br />

i confini segnati (vv.51ss). Anche Samuele prende una pietra, dopo aver sconfitto<br />

i Filistei, e la pone tra Mizpa e Iesana, chiamandola Eben-Ezer, “pietra di aiuto”, dicendo:<br />

«Fin qui ci ha soccorso il Signore!».<br />

Il Signore Dio stesso sarà chiamato “roccia/pietra (’eben) di Israele” (Gen 49,24), titolo<br />

che ritorna soprattutto nei salmi (cf Sal 18,3; 31,4, ecc.). Su questa “pietra” il patriarca<br />

fonda la sua fede, imponendo alla fine il nome al luogo, Bet-’El (v.19), precedentemente<br />

alluso al v. 17 con Bet-’Elohîm. Il narratore vi aggiunge una nota archeologica (Luz =<br />

“mandorla”).<br />

Alla fine Giacobbe versa dell’olio sulla sommità della pietra. L’uso sacro dell’olio è<br />

attestato in molteplici contesti e applicato in diverse occasioni. Era l’«olio dell’unzione»<br />

(šemen hammišÐÂh) 35 , per consacrare persone, ma anche oggetti e suppellettili. La pietra<br />

che localizza l’esperienza della presenza divina, contribuisce a definire il luogo (maqôm)<br />

come «santuario» e riceve l’unzione come atto di culto.<br />

Il racconto, che presuppone un’epoca favorevole al santuario, assume dunque la funzione<br />

eziologica di “mito fondatore” di Betel, accreditando la tradizione di pagare la decima<br />

(v.22), attestata anche in Amos (Am 4,4) per perpetuarne il culto e la memoria. Il<br />

santuario fu importante nel periodo dei re, soprattutto con l’avvento di Geroboamo che ne<br />

fa uno dei centri cultuali del regno del nord (1Re 12,28, cf anche Am 7,10-13; Os 10,5 e i<br />

passi ricordati all’inizio), ma era assai antico, un dato confermato dall’archeologia. La<br />

storia di Abramo ne suppone l’esistenza (Gen 12,8; 13,4-5) ed è ricordato in Gdc 20,18-<br />

21,25, dove si attesta la presenza dell’arca (poi il santuario passa a Silo: Gdc 21; 1Sam 1-<br />

7), e in 1Sam 10,3. Sarà distrutto con Giosia nell’ambito della sua riforma centralista<br />

(2Re 23,15ss).<br />

D’ – Il voto (vv.20-22) giustifica la tradizione della decima al santuario e riprende la<br />

promessa del v.15, sottolineando la parte che riguarda la persona del patriarca: «Se Dio è<br />

con me, e mi proteggerà nel viaggio e mi darà cibo e vestiti, e mi ricondurrà in pace (cioè<br />

sano a salvo), a casa di mio padre…». Il linguaggio è commerciale, ma il risultato sarà<br />

l’alleanza (“il Signore sarà il mio Dio” è formula di alleanza) e la pietra-stele come santuario<br />

(~yhi_l{a/ tyBeä), segno della presenza del Signore. “Il Dio di Betel” (31,13; 35,7) è<br />

il “Dio con me” che si fa presente e protegge in tutti i luoghi, e come tale sarà riconosciuto<br />

dal patriarca (31,5.42). È la relazione personale che diviene preponderante per realizzare<br />

il futuro e garantirà il ritorno alla terra. Le tematiche sembrano ritornare in Sal 23: tu<br />

sei con me; mi ristora e conduce, per me imbandisci la tavola; abiterò per sempre nella<br />

casa del Signore.<br />

«Il voto è la rilettura più caratteristica del narratore, il quale ha riutilizzato la memoria<br />

antica, inserendola nel racconto della fuga di Giacobbe (cfr. vv.10s) e anticipandone il<br />

movimento di ritorno. L’eziologia dell’importante santuario di Betel viene sintonizzata<br />

con la finalità del ciclo di Giacobbe e, più in genere, dei racconti patriarcali.<br />

35 Es 25,6; 29,7; 30,23.25.31; 31,11; 35,8.15; 37,29; 39,38; 40,9; Lv 8,2.10.30; 10,7; 21,10.12; Nm 4,16, ecc.<br />

104


Quando Giacobbe sta per abbandonare la terra della promessa e tutto sembra compromesso,<br />

Jhwh gli si manifesta per la prima volta. Nessuna parola di giudizio sul comportamento<br />

tenuto per arrivare sino a quel punto: solo l’irrevocabile assicurazione che<br />

l’antica promessa di Abramo è ancora valida. Bisogna mantenere il paradosso: proprio il<br />

truffatore fuggitivo riceve la parola della stupefacente grazia di Jhwh. Il fatto che il narratore<br />

si astenga da ogni spiegazione o motivazione costituisce un criterio al quale anche il<br />

commentatore deve restare fedele». 36<br />

Ma qualcosa è mutato. Dio è la pietra su cui Giacobbe-Israele può appoggiarsi, anche<br />

se nel voto sembra cercare ancora un… buon affare: “Se Dio…, io”. Non la sua abilità lo<br />

salverà, ma solo la benedizione del Signore. Per questa lotterà fino a rischiare la vita nel<br />

ritorno verso la terra (32,26-33). In Gen 35,1-15 un nuovo incontro del Signore, a Betel,<br />

rinnoverà benedizione e promessa, sigillando il ritorno nella terra. È la coscienza di un<br />

Dio personale che accompagna e protegge, oltre il luogo. Così il sacerdote Ezechiele scoprirà<br />

la presenza del Signore in terra straniera (Ez 1-3). Egli accompagna il suo popolo: la<br />

sua gloria abbandona Gerusalemme per seguire in esilio i deportati; egli stesso sarà loro<br />

“santuario” peregrinante, assicurando una certa permanenza dell’alleanza (Ez 11,16.21).<br />

Contesto<br />

B – La lotta notturna con Dio (Gen 32,23-33)<br />

Il racconto è simmetrico alla teofania di Betel: all’uscita dalla terra il primo e<br />

all’entrata, nel ritorno, il secondo (ha relazione anche con Gen 27, la primogenitura rubata).<br />

Giacobbe, obbedendo all’ordine del Signore, “il Dio di Betel”, apparsogli in un nuovo<br />

sogno-visione, si alza e riprende la strada del ritorno verso la “terra paterna e natia” (Gen<br />

31,11-13), approvato in ciò dalle mogli (vv.14-16). Giungerà ancora a Betel, luogo della<br />

prima rivelazione, dove costruirà un altare chiamando il luogo ’El-Betel, “Dio di Betel”<br />

(Gen 35,1-15); qui avrà una nuova teofania (vv.9-13) con la promessa rinnovata e un<br />

nuovo cambiamento del nome da Giacobbe in Israele (cf 32,29). Dio è chiamato ’El Šadday<br />

come in Gen 17,1 (lo stile è P).<br />

Il racconto del ritorno di Giacobbe è costruito in modo simile all’esodo degli Israeliti:<br />

uscita da un mondo ostile, carico di famiglia e di ricchezza, persecuzione, passaggio di un<br />

fiume, vittoria sui nemici, entrata nella terra. Giacobbe si identifica con Israele, è lui<br />

l’arameo errante del “credo” (Dt 26). Tolte le tende (31,15-18), Giacobbe è inseguito da<br />

Labàno derubato da Rachele, a insaputa del patriarca, del suo terafim ossia gli amuleti o<br />

divinità familiari, garanzia di eredità. Con astuzia la donna li nasconde e Labano non riesce<br />

a scoprire nulla. Allora questi conclude un patto di alleanza con Giacobbe (31,19-54).<br />

Quindi la famiglia può ripartire e giunge a Macanaim, “due accampamenti” (32,1-3).<br />

Resta il problema del fratello Esaù che vuole vendicarsi per la privazione della primogenitura,<br />

avvenuta con astuzia e inganno e con la complicità della madre Rebecca. Giacobbe,<br />

spaventato e angosciato, invoca il Signore (32,10-13), decide di passare la notte in<br />

quel luogo e invia doni al fratello per placarne il furore (32,14-22). Alla fine ci sarà la riconciliazione<br />

(Gen 33). Durante la notte, fa passare il fiume Jabbok alla famiglia e resta<br />

solo (vv.23-25). Qui avviene la misteriosa lotta fino all’aurora (vv.26-33) che interrompe<br />

il racconto dell’incontro con Esaù; in realtà, lo prepara, maturando in Giacobbe un nuovo<br />

sguardo verso il fratello.<br />

36 G. BORGONOVO, Genesi, p. 130.<br />

105


A 23 Durante quella notte egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici figli e<br />

passò il guado dello Iabbok.<br />

24 Li prese, fece loro passare il torrente e fece passare anche tutti i suoi averi.<br />

B 25 Giacobbe rimase solo<br />

e un uomo (’îš) lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora.<br />

26 Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all’articolazione del femore (cavità del<br />

femore)<br />

e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con<br />

lui.<br />

C 27 Quegli disse:<br />

“Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora”.<br />

Giacobbe rispose:<br />

“Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto! (barak)”.<br />

28 Gli domandò: “Come ti chiami?”.<br />

Rispose:<br />

“Giacobbe”.<br />

29 Riprese:<br />

“Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele (yiçrÂùËl), perché hai combattuto (kîçÂrÔtÂ)<br />

con Dio e con gli uomini e hai vinto!”.<br />

30 Giacobbe allora gli chiese:<br />

“Dimmi il tuo nome”.<br />

Gli rispose:<br />

“Perché mi chiedi il nome?”.<br />

E qui lo benedisse (barak).<br />

B’ 31 Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuel<br />

“Perché – disse – ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva”.<br />

A’ 32 Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuel e zoppicava all’anca.<br />

33 Per questo gli Israeliti, fino ad oggi, non mangiano il nervo sciatico, che è sopra<br />

l’articolazione del femore,<br />

perché quegli aveva colpito l’articolazione del femore (cavità del femore) di Giacobbe<br />

nel nervo sciatico.<br />

STRUTTURA<br />

Il brano inizia con una nota sulla famiglia e termina ricordando l’oggi dei suoi discendenti,<br />

gli Israeliti; al centro è un dibattito con richieste e domande, il cambiamento del<br />

nome e la benedizione (vv.27-30). Il nome del luogo, il passaggio del fiume, lo zoppicare<br />

di Giacobbe e la proibizione alimentare concludono il racconto che contiene perciò due<br />

eziologie: la fondazione del santuario di Penuel e la proibizione di mangiare il nervo ischiatico.<br />

Le parole del patriarca in Gen 32,21 sono interessanti per l’insistenza sulla parola<br />

“volto”, pānîm in ebraico; letteralmente suona: «Placherò il suo volto (pānāyw) con<br />

il dono che va davanti al mio volto (pānāy), poi vedrò il suo volto (pānāyw); forse alzerà<br />

il mio volto (pānāy)», cioè mi userà benevolenza. L’insistenza prepara il nome Penû-’El,<br />

“volto di Dio”, a ricordo della nuova visione. Al v.22 “passa prima di lui – sopra il suo<br />

volto (di Giacobbe) – il dono”.<br />

Il passaggio dello Iabbok (vv.23-24.)<br />

Il passaggio del fiume (oggi Nahr Ez-Zerka) è il superamento di una frontiera, un<br />

momento decisivo e delicato come il passaggio del Giordano per Israele all’entrata nella<br />

terra. “Passare il guado dello Iabbok” (qBo)y: rb:ï[]m; taeÞ rboê[]Y:w:)) è una formula tecnica, attestata<br />

106


nelle lettere di Mari, per indicare l’attraversamento di un fiume al confine di un regno.<br />

Nella notte decisiva Giacobbe non si volta indietro e fa passare tutti, mogli, figli, animali<br />

e beni. L’attraversamento appare come l’invasione militare di un territorio, forse anche un<br />

sacrilegio. Per questo il dio tutelare del fiume, secondo quello che sembra essere il significato<br />

del racconto antico, lo aggredisce.<br />

La lotta (vv.25-26)<br />

Alla fine Giacobbe resta solo come nella notte di Betel (25a). Si potrebbe tradurre:<br />

“restava Giacobbe solo” (da passare). Qui è assalito dal misterioso individuo che sembra<br />

impedirgli il passaggio e ingaggia con lui una lotta: il verbo “lottare”, yËúÃbËq gioca con il<br />

nome del fiume Yabboq (v.25b). rx;V'(h; tAlï[] d[;Þ AMê[i ‘vyai qbeîa'YEw:, “un uomo lottò con lui fino<br />

al sorgere dell’aurora”: I pronomi rendono ambigue le frasi: ‘vyai sta per “uno”, un uomo,<br />

quidam, un tale. Si presenta con il semplice pronome; fino alla fine, la sua identità è oscura,<br />

senza nome e senza volto, avvolto dal buio della notte.<br />

Impressiona la lotta corpo a corpo (vv.25b-26) dall’esito incerto e con il rischio della<br />

vita. La lotta avviene di notte – dura tutta la notte, “fino al sorgere dell’aurora” – simbolo<br />

bivalente, di tenebra e grembo di attesa del nuovo giorno (cf Sal 130). Nel contesto monoteista<br />

la narrazione acquista un significato religioso nuovo, mistico, liberato da idolatria<br />

e mitologia, e si può accostare al misterioso assalto di Dio a Mosè durante il suo pellegrinare<br />

verso l’Egitto (Es 4,24-26) e, per il tema del nome, a Es 3.<br />

La presenza di Dio, che alla fine il patriarca intuisce, appare “terribile”: Giacobbe nasce<br />

come Israele in seguito a un’aggressione di Dio. Sempre l’uomo si confronta e lotta<br />

con Dio, la preghiera stessa diventa lotta: lotta per la non comprensione o la difficoltà di<br />

cogliere i segni divini (è la ricerca di Giobbe o di Geremia con i loro dubbi e le loro domande);<br />

lotta per ottenere la benedizione già promessa, che significa vita; lotta soprattutto<br />

per conoscere il nome sconosciuto. Alla fine è chiamato “Dio” e il patriarca è cosciente di<br />

averlo visto “faccia a faccia” come Mosè (v.31), ma il nome non viene rivelato dal misterioso<br />

assalitore. Il suo svelarsi diventa un re-velare, rimettere un velo.<br />

Chi ha vinto? La lotta è incerta; sembra vincere Giacobbe; perciò l’assalitore gli vibra<br />

un colpo irregolare alla “cavità del femore” che lo azzoppa. 37 Alla fine, lo stesso avversario<br />

lo dichiara vincitore (vv.29-30). La vittoria consiste in quella benedizione strappata<br />

con la lotta: «non ti lascerò se non mi avrai benedetto» (v.27). Della lotta resterà il segno:<br />

sarà claudicante per tutta la vita, ma anche benedetto.<br />

Il tema della vittoria dell’eroe sul demone è frequente nei racconti popolari, ma qui è trasformata.<br />

«In tempi e culture antiche questa lotta può acquisire forma mitica o leggendaria: il dio assume<br />

figura umana, l’eroe ha proporzioni e forza gigantesche; il dio è limitato a un tempo, il tempo<br />

della tenebra, e l’uomo lo vince con una particolare astuzia e gli strappa una concessione. Di<br />

questo rimangono tracce nella narrazione biblica, chiare o ambigue.<br />

In una religione più esigente è forse Dio che piega l’uomo, benché si lasci da lui trattenere. È<br />

Dio stesso che provoca l’uomo alla lotta, alla ricerca insoddisfatta, allo sforzo tenace: alla fine, per<br />

benedirlo. Di questo ci sono pure tracce nella presente narrazione.<br />

In altri tempi la lotta è per il nome: l’autentico e limpido, non quello che si è logorato e svuotato<br />

per l’uso e l’abuso umano. E occorre restare soli a lottare ancora con la realtà misteriosa, per ascoltare<br />

il suo nome, fresco, recentemente pronunciato, dallo stesso. Questo solo appare in germe<br />

dal testo biblico.<br />

37 Cei: “articolazione del femore”; kaf-yerËkô, acetabulum femoris, quo femur cum pelvis coheret (Zorell), è<br />

un eufemismo per indicare le parti genitali.<br />

107


Dio benedice, pronuncia o tace il suo nome; benché aver udito la sua parola nel dialogo<br />

sia già scoperta della presenza. E dalla lotta l’uomo esce zoppicando, povero pellegrino<br />

fino alla terra promessa». 38<br />

Il tema della lotta è ripreso da Osea che denuncia le sopraffazioni attuali di Israele.<br />

Egli nel grembo materno soppiantò (‘āqab-Ya‘aqob) il fratello<br />

E da adulto lottò (çÂrÂh-yiśrā’ēl) con Dio.<br />

Lottò contro l’angelo/messaggero di Dio e vinse,<br />

pianse e domandò grazia.<br />

Lo ritrovò a Betel<br />

e là parlò (dābar) con lui (Os 12,4-5).<br />

Qui la vittoria di Giacobbe sembra più logica, ma potrebbe essere anche di Dio; il fatto<br />

spiegherebbe la domanda di grazia con il pentimento. Soprattutto, avviene la trasformazione<br />

dalla lotta al dialogo.<br />

Il dialogo-interrogazione: il nome nuovo (vv.27-30)<br />

È fondato su due temi, il nome e la benedizione. Tre volte si susseguono domanda e<br />

risposta. Alla prima (lasciami andare) Giacobbe chiede la benedizione (v.27); alla seconda<br />

(domanda del nome), il patriarca risponde dicendo il proprio nome, e il contendente<br />

glielo cambia dichiarandolo vincitore (vv.28-29); la terza volta è Giacobbe a chiedere il<br />

nome all’avversario, ma questi non gli risponde, però lo benedice (v.30). La lotta si risolve<br />

nel nome cambiato e nella benedizione accordata, che richiama la promessa di Betel e<br />

anche quella della primogenitura ottenuta con l’inganno (Gen 27).<br />

Nel nome è la nuova identità di Giacobbe: yiçrÂùËl kÔ¾çÂrÔt úÕm¾ÊlähÔm. Il testo gioca su<br />

çarah, “dominare, regnare”, qui inteso con “combattere”,… e vincere. Nel nome il soggetto<br />

è Dio: yiçrÂ-’El (cf 35,10), a significare forse “Dio regna, preserva o protegge”, ma<br />

l’etimologia è incerta. Giacobbe ha “lottato con Dio e con gli uomini e ha vinto”. Il testo<br />

adatta il senso per esprimere la vocazione e l’esperienza del popolo eletto, la lotta e lo<br />

sforzo per conoscere il suo Dio, il cui nome porta nel suo nome storico (nome teoforico).<br />

Cambiandogli il nome Dio lo considera vassallo, quindi suddito. Perciò, il nome di<br />

Dio resta nascosto: non può essere dominato o usato impropriamente (spergiuro o magia).<br />

Dio benedice ma non concede tutto quanto Giacobbe ha chiesto. È misterioso e tale rimane;<br />

così la distanza tra uomo e Dio. Anche in Gdc 13,18 la stessa domanda posta<br />

all’angelo del Signore non ottiene risposta. In modo simile potrebbe essere intesa la risposta<br />

a Mosè (Es 3): l’esperienza rivelerà il “Signore con”, non la sua piena identità.<br />

Due eziologie (vv.31.32-33)<br />

La prima eziologia riguarda il toponimo Penû-’El (o Peni-’El), “volto di Dio”, per aver<br />

visto Dio “faccia faccia” (pānîm’el-pānîm).<br />

Un miracolo è essere sopravissuto, perché “vedere Dio è morire” (Es 33,20; Gdc 6,22-<br />

23; 13,22-23). Avendo visto Dio faccia a faccia, Giacobbe-Israele potrà vedere ora diversamente<br />

anche il volto del fratello. Tra di due incontri, di Dio e del fratello, vi è infatti<br />

una interconnessione percepibile nel tema del volto.<br />

Io placherò il suo volto con il dono che va davanti a me, e dopo vedrò il suo volto; forse egli<br />

rialzerà il mio volto (in segno di riconciliazione). Così il dono andò davanti a lui (Gen<br />

32,21-22).<br />

È il progetto di Giacobbe che si prepara a incontrare Esaù che gli viene incontro con<br />

400 armati. Alla fine parla al fratello:<br />

38 » (L. ALONSO SHÖKEL, Génesis, p. 153).<br />

108


Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, accetta dalla mia mano il dono, perché appunto per questo<br />

io ho visto il tuo volto come si vede il volto di Dio e tu mi hai gradito. Accetta il mio<br />

dono (33,10-11a).<br />

Vedere il volto di Dio e vedere quello del fratello è un’esperienza analoga. «Sono venuto<br />

alla tua presenza, come si viene alla presenza di Dio» (CEI). «È arduo distinguere tra<br />

le due figure. Nel Dio santo vi è qualcosa del fratello adirato. E nel fratello clemente<br />

qualcosa del Dio benedicente» 39 . Esau “gradisce” (rÂêÂh) il dono e la persona di Giacobbe<br />

con un verbo riferito ai sacrifici graditi a Dio. Potremmo dire che «Dio è visto sul volto<br />

del fratello, come è visto nello spazio sacro del tempio (cfr. la formula cultuale “andare al<br />

tempio”: Sal 42,3; 17,15; 27,4)» 40 . La “grazia” agli occhi del fratello (Gen 33,8.10.15) richiama<br />

la benevolenza con cui Dio ha trattato Giacobbe (ÐÂnan, vv.5.11), il contrario del<br />

rifiuto e del rancore. E Giacobbe, che ha appena visto il volto di Dio, guarda diversamente<br />

il fratello, il suo rapporto è cambiato. In Gv 4,19-21 e Lc 15,20 chi si riconcilia e opera<br />

riconciliazione rende visibile il volto di Dio.<br />

Il racconto termina con la seconda eziologia: la proibizione di mangiare il hv, ªN"h; dyGIå -<br />

gîd hannšeh o nervo ischiatico Tale precetto non è però contenuto nella legge. Lo zoppicare<br />

del patriarca potrebbe significare una specie di pena del contrappasso per il sacrilegio<br />

compiuto attraversando il fiume e lottando con la divinità. Ma il testo attuale sembra<br />

avere un significato soprattutto mistico: lottare con Dio ferisce. Incontrarlo significa accettare<br />

delle ferite e la presenza di un mistero che non sarà mai pienamente svelato. Così<br />

ne è derivata una menomazione permanente, una storpiatura, che, d’ora in poi, sarà distintiva<br />

di Giacobbe insieme al nome nuovo. 41<br />

Nella teofania Giacobbe ha affrontato Dio che l’aggrediva e, nella tenebra, gli ha resistito<br />

(l’avversario deve pregarlo di lasciarlo andare); è stato da lui toccato e ferito nella<br />

sua virilità, ma ha vinto e ottenuto un nuovo nome e una benedizione. La storia ora non è<br />

più quella di un intrigante e astuto faccendiere, ma quella di un benedetto da Jhwh che<br />

cammina con lui e si abbandona alla sua grazia. In ciò è la vittoria di Giacobbe e anche<br />

quella di Dio.<br />

Tuttavia, la lotta continua così come il mistero. «È terminato il periodo dell’astuto<br />

Giacobbe (cfr. 27,36) e comincia la storia di Israele, un popolo che lotta con Dio nella<br />

notte oscura della fede vissuta per secoli da Israele: un vincitore che piange e implora<br />

grazia (cfr. Os 12,1ss. e Ger 20,8ss). Non ci meravigliamo dunque di trovare diverse preghiere<br />

dell’intercessore in Eb 5,6 (mediato da Os 12,5); l’agonia di Gesù nel Getsemani,<br />

secondo il discusso passo di Lc 22,42-44; e, più remotamente, l’incontro di Natanaele con<br />

Gesù (Gv 1,43-51) e della Maddalena con il Risorto (Gv 20,11-18)». 42<br />

Rinnovato dall’incontro, con una nuova identità e sottomesso a Dio, benché zoppicante,<br />

Giacobbe può riprendere il cammino e ritornare alla terra. Con la benedizione gli è accordata<br />

una potenza che produce la pace tra lui e il fratello Esaù: può incontrarlo, riconciliarsi<br />

con lui e farsi da lui accettare (33,1-17). Superato il pericolo della lotta misteriosa,<br />

39 W. BRUEGGEMANN, Genesi, p. 326.<br />

40 G. BORGONOVO, Genesi, p. 142.<br />

41 «Il nome nuovo non può essere separato dalla nuova lesione, perché questa lesione è l’essenza stessa del<br />

nome. Pertanto, l’incontro notturno di Giacobbe è ambivalente. Egli ha penetrato il mistero di Dio come nessun<br />

altro prima di lui. Giacobbe ha osato fare ciò che non oserà l’Israele di Mosè (Es 19,21-25; 20,18-20). Ed<br />

è prevalso. Ma il suo prevalere è tanto una vittoria quanto una sconfitta. Nell’accostarsi troppo e nel pretendere<br />

troppo è in agguato un mistero pericoloso, terribile, che si paga a caro prezzo» (W. BRUEGGEMANN, Genesi,<br />

p. 323).<br />

42 G. BORGONOVO, Genesi, p. 141.<br />

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Giacobbe supera facilmente il pericolo esterno; l’incontro con il volto di Dio prepara anche<br />

il faccia a faccia con il fratello. L’esperienza raccoglie il duplice amore. Con ambedue<br />

Giacobbe sperimenta la riconciliazione e la grazia, avverte di essere stato risparmiato<br />

e assapora la benedizione.<br />

L’antenato è immagine del popolo che da lui nascerà, anticipatore delle sue esperienze<br />

storiche e spirituali. Zoppicante e benedetto, a sua volta, potrà benedire i figli, ma prima<br />

la famiglia dovrà avere la forza di affrontare gelosie e divisioni, emigrazioni dalla terra e<br />

riconciliazioni. È la storia di Giuseppe, che si concluderà con le benedizioni e la morte<br />

del patriarca (Gen 37-50).<br />

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