Ayyam min Ayati (Giorni della mia vita – nelle - Visit WordPress
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siamo sotto il regno di Nasser e abbiamo il diritto di trattarti come vogliamo, specie di cagna…" Poi, si misero a ridere in modo isterico dicendo: "I Fratelli Musulmani sono pazzi, esigono un mandato di perquisizione sotto il regno di Nasser!". Entrarono in casa e si misero a spaccare tutto, nulla fu risparmiato. Li fissavo con disprezzo, guardandoli mentre distruggevano i mobili di casa. Poi, arrestarono mio nipote, Muhammad Muhammad Al-Ghazali, allora studente universitario, che viveva a casa mia come mio figlio, e mi dissero: "Non lasciare la casa". Chiesi: "Questo significa che sono posta sotto residenza sorvegliata?". Risposero: "Sì, fino a nuovo ordine, e sappi che la casa è sorvegliata, se ti muovi sarai arrestata". Credetti che le cose rimanessero a questo punto, poi mia sorella, i suoi figli e suo marito mi vennero a trovare mentre stavo facendo la valigia nell'attesa del mio arresto. Pregai allora il marito di mia sorella di andarsene, per non essere a sua volta arrestato, com'era avvenuto per mio nipote. Invano, perché rifiutò di andarsene nonostante le mie ripetute richieste e la mia insistenza sul fatto che i tempi non erano adatti alle visite di cortesia. Mentre stavamo pranzando, i sicari di Nasser invasero la casa, presero tutto ciò che vi era nel cassone e portarono via più della metà dei documenti del mio ufficio. I miei tentativi di salvare qualche opera di filologia, di teologia e di storia non furono coronati dal successo. Portarono via anche tre edizioni della rivista delle Donne Musulmane, la cui pubblicazione era stata sospesa per decreto militare nel 1958. Confiscarono tutto ciò che vollero, e riguardo al cassone ci furono problemi. In effetti apparteneva a mio marito, anche se avevo preso l'abitudine di deporvi le mie cose. Quando mi chiesero di aprirlo, pretesi che la chiave fosse con mio marito, allora in viaggio. Chiamarono uno dei loro e gli ordinarono di forzare la serratura del cassone. La persona in questione avanzò e aprì la serratura con degli arnesi. Quando chiesi loro di rilasciarmi una ricevuta per tutte le cose sequestrate, mi risposero in tono ironico: "Ma sei pazza o cosa? Pensi di essere furba, stai zitta e non fare difficoltà". Mi arrestarono e mi fecero salire in macchina, dove trovai mio nipote, arrestato all'alba, con uno dei nostri giovani militanti. Chiesi a mio nipote: "Ma cosa succede, Muhammad?". Ma mio nipote non rispose, capii allora che aveva ricevuto istruzioni in questo senso. L'avevano riportato indietro per farsi mostrare la strada, poiché nel frattempo avevano cambiato squadra. La vettura si mise in moto, e si diresse alla prigione militare. Lo compresi a causa del portone orribile della prigione che si aprì per lasciar entrare l'automobile. Poi, mi fecero scendere e un uomo spaventoso mi condusse in un ufficio dove si trovava un altro uomo che gli somigliava in maniera sinistra. Poi andammo in un'altra camera, dove c'era un uomo corpulento, brutto e rozzo, che chiese chi fossi a colui che mi teneva per il braccio. Gli disse il mio nome in tono volgare. Malgrado ciò, ci tenne a rivolgere anche a me la stessa domanda: "Chi sei?" Risposi: "Zaynab Al-Ghazali Al-Jabîlî". Si mise allora a riversare su di me le sue volgarità e le sue ingiurie. 36
Quello che mi teneva per il braccio mi gridò in faccia: "Ehi tu, rispondi alle domande di questo signore". L'altro aveva in effetti smesso di insultarmi. Dissi: "Mi hanno arrestata e hanno confiscato i miei libri e il contenuto del mio cassone. Vi chiedo di elencare tutti i miei effetti in un registro, perché io possa in seguito recuperarli". Il preteso capo, come capii in seguito, era Shams Badran in persona, che mi rispose con arroganza: "Ehi bella… ti massacreremo al più tardi tra un'ora, allora di quali libri e quali oggetti mi parli? Sarai giustiziata in poco tempo, di quali libri e quale cassone parli? Stiamo per sotterrarti, come abbiamo sotterrato centinaia di voi, qui alla prigione militare, specie di cagna!" Non seppi rispondere, talmente le sue parole e le sue ingiurie oltrepassavano la mia capacità di comprensione. Quello che mi teneva per il braccio disse: "Portiamola via" L'altro rispose: "Dove?" Disse: "Lo sanno molto bene!" Mi tirò violentemente nella sua direzione rivolgendomi le peggiori ingiurie… Arrivati dinanzi alla porta, il personaggio brutto e corpulento lo chiamò: mi voltai e vidi come un fumo nero e spesso. Allora cominciai a salmodiare i Nomi di Allah, pregandoLo di calmarmi l'anima e lo spirito dinanzi alla prova che mi attendeva. Quello che mi teneva per il braccio rispose: "Sissignore!" Gli ordinò: "Allora conducila al numero 24 e poi riportamela". Mi portarono in una camera in cui c'erano due uomini seduti attorno a una scrivania, e uno di essi aveva in mano un taccuino che riconobbi immediatamente come quello del fratello AbdulFattah Isma'il. Egli aveva infatti l'abitudine di tirarlo fuori, durante i nostri studi coranici, per annotarvi qualcosa. Seppi così che era stato arrestato, insieme ad altri fratelli che erano riuniti da lui. Mi venne la pelle d'oca ed ebbi paura che i due uomini potessero notarlo. L'appello alla preghiera dell' Asr mi raggiunse, e per grazia di Allah il mio malessere passò. Appena finita la preghiera, sentii l'ordine: "Portatela al numero 24". IL CAMMINO FINO ALLA CAMERA NUMERO 24 Il mio guardiano mi fece uscire tenendomi per il braccio, ed avanzammo accompagnati da due altre guardie armate di fruste. Mi condussero attraverso i corridoi della prigione espressamente perché potessi intravvedere le sevizie che i miei Fratelli Musulmani stavano subendo… Vidi dei fratelli legati a tronchi sospesi nell'aria, che sanguinavano dalla carne nuda. Altri erano lasciati in balìa dei cani, aizzati contro di loro perché li terminassero, dopo le frustate. Altri attendevano, con gli occhi bendati, il loro turno per subire il supplizio. Conoscevo numerosi di questi giovani pii, che erano per me fratelli, figli e amici. Ne riconobbi diversi, e vidi delle cose meravigliose. Vidi questi uomini unici nel loro genere, che l'Islâm aveva onorato enormemente e gratificato del suo alone presso l'Onnipotente, che il 37
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siamo sotto il regno di Nasser e abbiamo il diritto di trattarti come vogliamo,<br />
specie di cagna…"<br />
Poi, si misero a ridere in modo isterico dicendo: "I Fratelli Musulmani sono<br />
pazzi, esigono un mandato di perquisizione sotto il regno di Nasser!".<br />
Entrarono in casa e si misero a spaccare tutto, nulla fu rispar<strong>mia</strong>to. Li fissavo<br />
con disprezzo, guardandoli mentre distruggevano i mobili di casa. Poi,<br />
arrestarono mio nipote, Muhammad Muhammad Al-Ghazali, allora studente<br />
universitario, che viveva a casa <strong>mia</strong> come mio figlio, e mi dissero: "Non<br />
lasciare la casa". Chiesi: "Questo significa che sono posta sotto residenza<br />
sorvegliata?". Risposero: "Sì, fino a nuovo ordine, e sappi che la casa è<br />
sorvegliata, se ti muovi sarai arrestata".<br />
Credetti che le cose rimanessero a questo punto, poi <strong>mia</strong> sorella, i suoi figli e<br />
suo marito mi vennero a trovare mentre stavo facendo la valigia nell'attesa del<br />
mio arresto. Pregai allora il marito di <strong>mia</strong> sorella di andarsene, per non essere<br />
a sua volta arrestato, com'era avvenuto per mio nipote. Invano, perché rifiutò<br />
di andarsene nonostante le mie ripetute richieste e la <strong>mia</strong> insistenza sul fatto<br />
che i tempi non erano adatti alle visite di cortesia.<br />
Mentre stavamo pranzando, i sicari di Nasser invasero la casa, presero tutto<br />
ciò che vi era nel cassone e portarono via più <strong>della</strong> metà dei documenti del mio<br />
ufficio. I miei tentativi di salvare qualche opera di filologia, di teologia e di<br />
storia non furono coronati dal successo. Portarono via anche tre edizioni <strong>della</strong><br />
rivista delle Donne Musulmane, la cui pubblicazione era stata sospesa per<br />
decreto militare nel 1958.<br />
Confiscarono tutto ciò che vollero, e riguardo al cassone ci furono problemi. In<br />
effetti apparteneva a mio marito, anche se avevo preso l'abitudine di deporvi<br />
le mie cose. Quando mi chiesero di aprirlo, pretesi che la chiave fosse con mio<br />
marito, allora in viaggio. Chiamarono uno dei loro e gli ordinarono di forzare<br />
la serratura del cassone. La persona in questione avanzò e aprì la serratura<br />
con degli arnesi. Quando chiesi loro di rilasciarmi una ricevuta per tutte le<br />
cose sequestrate, mi risposero in tono ironico: "Ma sei pazza o cosa? Pensi di<br />
essere furba, stai zitta e non fare difficoltà".<br />
Mi arrestarono e mi fecero salire in macchina, dove trovai mio nipote,<br />
arrestato all'alba, con uno dei nostri giovani militanti. Chiesi a mio nipote:<br />
"Ma cosa succede, Muhammad?". Ma mio nipote non rispose, capii allora che<br />
aveva ricevuto istruzioni in questo senso. L'avevano riportato indietro per<br />
farsi mostrare la strada, poiché nel frattempo avevano cambiato squadra.<br />
La vettura si mise in moto, e si diresse alla prigione militare. Lo compresi a<br />
causa del portone orribile <strong>della</strong> prigione che si aprì per lasciar entrare<br />
l'automobile. Poi, mi fecero scendere e un uomo spaventoso mi condusse in un<br />
ufficio dove si trovava un altro uomo che gli somigliava in maniera sinistra.<br />
Poi andammo in un'altra camera, dove c'era un uomo corpulento, brutto e<br />
rozzo, che chiese chi fossi a colui che mi teneva per il braccio. Gli disse il mio<br />
nome in tono volgare. Malgrado ciò, ci tenne a rivolgere anche a me la stessa<br />
domanda: "Chi sei?"<br />
Risposi: "Zaynab Al-Ghazali Al-Jabîlî".<br />
Si mise allora a riversare su di me le sue volgarità e le sue ingiurie.<br />
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