Ayyam min Ayati (Giorni della mia vita – nelle - Visit WordPress
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i loro sposi dietro le sbarre, i padri, le madri e i vecchi che avevano perduto il<br />
sangue del loro sangue… Le loro grida e lacrime mi trafiggevano il cuore.<br />
Mi sentii allora responsabile <strong>della</strong> loro sofferenza e <strong>della</strong> loro afflizione… e<br />
co<strong>min</strong>ciai ad offire quel poco che potevo.<br />
Tuttavia, le orde di affamati si moltiplicavano di giorno in giorno, come quelle<br />
degli indigenti. La scolarizzazione dei bambini i cui genitori erano stati vittime<br />
<strong>della</strong> dittatura de regime necessitava di parecchi mezzi (scuola, vestiti, cibo,<br />
materiale scolastico, ecc.). I proprietari degli alloggi reclamavano il<br />
pagamento degli affitti. Il problema si aggravava, si estendeva, ed il fardello<br />
era sempre più penoso da portare. Le cose si deteriorarono ancora di più un<br />
anno e mezzo dopo. Più esattamente, a metà dell'anno 1956, quando dei<br />
gruppi di detenuti furono liberati ed ebbero sensibilmente bisogno di aiuto per<br />
assicurare la loro sussistenza. A quel tempo, non si trovava nel nostro bel<br />
paese, l'Egitto, sinistrato da coloro che avevano montato questo colpo di stato<br />
maledetto, nessuno veramente cosciente dei suoi doveri e dei suoi obblighi nei<br />
confronti di questi poveretti. Al contrario, numerosi ulamâ' e capi spirituali<br />
non esitavano a disfarsi dei poveri militanti islamici, soltanto per godere di<br />
considerazione presso i potenti.<br />
Tutti erano passivi e si rassegnavano ad assistere agli avvenimenti come<br />
semplici spettatori. Anche quelli che avevano pietà di noi nel loro cuore, non<br />
osavano dimostrare la loro compassione, talmente temevano gli anatemi e le<br />
rappresaglie del potere tirannico del despota Nasser.<br />
E quando le cose si aggravarono sensibilmente per me, al punto tale da non<br />
vedere alcuna via d'uscita alla situazione in cui mi trovavo, andai a trovare il<br />
mio professore, lo shaykh Muhammad Uden, una delle rare personalità <strong>della</strong><br />
moschea si Al-Azhar ad aver conservato la sua integrità. Avevo in effetti<br />
l'abitudine di consultarlo per tutto ciò che riguardava la causa dell'Islâm e i<br />
differenti do<strong>min</strong>ii del patrimonio culturale islamico.<br />
Inoltre, era tra coloro che pensavano che la non-fusione delle Donne<br />
Musulmane potesse essere enormemente più utile e benefica ai Fratelli<br />
Musulmani, piuttosto che la sua integrazione in seno all'organizzazione.<br />
Sapeva che avevo fatto giuramento d'alleanza in favore dell'Imâm Hasan Al-<br />
Banna, e benediceva e sosteneva la <strong>mia</strong> azione. Sapeva anche che ero rimasta<br />
fedele alla causa anche dopo l'assassinio dell'Imâm Al-Banna.<br />
Mi sedetti e co<strong>min</strong>ciai a parlargli del dramma delle famiglie dei martiri e dei<br />
detenuti. Mi ascoltava con compassione e provando molto dolore. Ter<strong>min</strong>ai<br />
l'esposizione presentando dei progetti sui quali avevo riflettuto nel limite dei<br />
miei mezzi. Ritenevo che non fosse abbastanza esprimere dolore e<br />
compassione, mentre piaghe aperte continuavano a far soffrire numerose<br />
famiglie di martiri e di combattenti dell'Islâm che non avevano altri scopi se<br />
non quello di innalzare più in alto e più lontano la parola di Allah.<br />
Stimavo anche, nella <strong>mia</strong> qualità di presidente dell'associazione delle Donne<br />
Musulmane, di poter fornire il mio aiuto alle famiglie dei Fratelli Musulmani,<br />
nel limite dei miei mezzi.<br />
Mi abbracciò la testa piangendo e mi disse: "Non esiti a prestare ogni aiuto<br />
possibile, e che Allah l'aiuti e conduca i suoi passi sulla retta via".<br />
Gli chiarii quindi la <strong>mia</strong> posizione nei confronti dell'organizzazione dei Fratelli<br />
Musulmani, e la fiducia assoluta di cui godevo presso tutte le donne membro<br />
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