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Ayyam min Ayati (Giorni della mia vita – nelle - Visit WordPress

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mostrare il suo vero volto di nemico irriducibile dell'Islâm e dei suoi<br />

portavoce, preoccupati per la sua gloria e per la sua rinascita.<br />

Fu così che dei verdetti ingiusti, per la maggior parte delle pene capitali,<br />

furono resi contro i migliori elementi del movimento islamico, come<br />

AbdulQadir Udah, questo grande 'alim (sapiente) dell'università di Al-Azhar,<br />

per la cattura del quale i servizi segreti britannici offrivano nel 1951 la favolosa<br />

(per l'epoca) somma di 10.000 lire egiziane a chiunque lo consegnasse,<br />

secondo la formula consacrata, "vivo o morto", o ancora lo shaykh<br />

Muhammad Farghalli, che offrì al colonizzatore un morto senza che il tesoro<br />

britannico dovesse sborsare la ricompensa promessa, e <strong>–</strong> con lui <strong>–</strong> tanti altri<br />

martiri. Anche il grande combattente, l'Imâm Hasan Al-Hudaybi, fu<br />

condannato alla pena capitale, che non fecero in tempo a fargli subire poiché<br />

una crisi cardiaca acuta lo colse all'improvviso, e venne deciso di trasferirlo a<br />

casa sua. Laggiù, i medici stimarono che non gli restassero altro che poche ore<br />

di <strong>vita</strong>. Nasser decise allora di graziarlo, pensando di poter leggere l'indomani<br />

l'avviso del suo decesso sui giornali. Ma Allah (subhânaHu waTa'ala) aveva<br />

deciso altrimenti, e l'Imâm sopravvisse alla crisi cardiaca e ai suoi detrattori;<br />

la sua ora non era ancora giunta.<br />

L'Imâm poté così rendere enormi servizi molto difficili, per non dire di più.<br />

Lui, il sofferente, diede prova di vigore e di abnegazione per il trionfo <strong>della</strong><br />

verità, e ciò stupì enormemente i suoi torturatori, che decisero allora di<br />

ricondurlo in prigione per fargli subire le peggiori sevizie. Malgrado ciò, egli<br />

rimase irriducibilmente attaccato alla verità e alla sua manifestazione,<br />

proseguendo così il cam<strong>min</strong>o di tutti questi adepti <strong>della</strong> verità, finché poté<br />

assistere a testa alta alla fine di Nasser e <strong>della</strong> sua cerchia malefica.<br />

Era risoluto e non si disfece mai <strong>della</strong> sua deter<strong>min</strong>azione e <strong>della</strong> sua fede in<br />

Dio. Rifiutò sempre la scelta più facile, questa scelta che consiste nel rimanere<br />

a casa propria, ad accontentarsi di rivoltarsi "col cuore", senza mai passare<br />

all'azione, rassegnandosi al male, così come raccomandavano numerose<br />

e<strong>min</strong>enze spirituali dell'epoca…<br />

E mi ricordo benissimo l'attitudine nobile e coraggiosa da lui dimostrata<br />

quando alcuni militanti, la cui capacità di sopportazione era stata messa a<br />

dura prova dalle condizioni di detenzione (prigionia, torture, ricatti… e<br />

sofferenze di ogni genere) furono tentati di scrivere al despota implorando la<br />

sua grazia e la sua amnistia. Andarono dunque a chiedere l'opinione<br />

dell'Imâm Hasan Al-Hudaybi per ottenerne l'avallo. Ma egli rispose: "Io non<br />

odio nessuno per la sua mancanza di deter<strong>min</strong>azione e di risoluzione. Ma vi<br />

dico che mai le cause hanno trionfato con l'aiuto dei disfattisti".<br />

Disse così, lui, un vecchio di ottant'anni. Rimase dunque per lungo tempo<br />

nella prigione di Tarah, e non fu scarcerato se non dopo la morte di Nasser.<br />

Torneremo più avanti sugli avvenimenti del 1965.<br />

GRIDA CHE CHIAMANO AL DOVERE<br />

Nel 1955, mi trovai chiamata al servizio <strong>della</strong> causa islamica senza aver<br />

ricevuto la convocazione. Le grida degli orfani che avevano perduto i loro<br />

padri sotto la tortura, le lacrime delle mogli e delle madri che avevano perduto<br />

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