Ayyam min Ayati (Giorni della mia vita – nelle - Visit WordPress

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154 uscire, affinché possiamo compiere il bene, invece di quel che abbiamo fatto!". (Verrà loro risposto): "Non vi abbiamo dato una vita abbastanza lunga, tale che potesse ricordarsi chi avesse voluto ricordare? Eppure vi era giunto l'ammonitore! Gustate dunque il castigo, ché per gli ingiusti non ci sarà soccorritore" (Corano XXXV. Fâtir, 36-37) I giorni si susseguono e si somigliano… della gente scompare, altri nascono… e la Volontà del Signore si sercita pienamente, nessuno vi si può opporre… Non possiamo far altro che inclinarci e implorare i Signore di venirci in aiuto. La gente si comunicava la notizia del decesso di Nasser. I pianti, i singhiozzi e i lamenti riempivano gli orizzonti. La radio non smetteva di piangere il defunto e di trasmettere, tutto il giorno, commenti e reazioni cosiddetti "spontanei" di ipocriti e altri opportunisti. Fu così che intesi un preteso capo spirituale versare, sulle onde radio, le sue lacrime di coccodrillo in occasione della morte di colui che egli qualificò come protettore della gloria dell'Islâm… Nasser!! Questo sedicente capo spirituale, me ne ricorderò sempre, aveva un giorno giurato, a casa mia, che qualsiasi persona che avesse osato qualificare Nasser come "protettore dell'Islâm", sarebbe divenuto un miscredente! Ma eccolo, ora, si era separato dalla bandiera dell'Islâm, e definiva lui stesso il defunto Presidente dell'Egitto come protettore della religione musulmana! Così si era alienato il mondo temporale e l'Aldilà nello stesso momento. In questo ambiente di lutto, di tristezza e di dolore collettivo, noi apprendemmo la notizia del decesso del Presidente Nasser come poteva apprenderla chiunque avesse anche solo un atomo di fede: Domani sapranno chi è il gran bugiardo, lo sfrontato! (Corano LIV. al-Qamar, 26) La gente cominciò a dire, alla prigione di Al-Qanatir, che noi non avevamo pianto nemmeno un pochino la scomparsa di Nasser. Gli ingiusti approfittarono allora dell'occasione per tornare alla carica: "Ma come…. Voi non piangete la morte di Nasser??? Ma siete delle…!!!" ci dicevano. …si perde la schiuma e resta sulla terra ciò che è utile agli uomini… (Corano XIII. Ar-Ra'd, 17) Come previsto, gli ipocriti e gli opportunisti di tutti i tipi fecero un piacere al capo, caricandoci al massimo di lavoro. Diverse persone cercarono di farci del male in tutti i modi possibili. L'indomani del decesso di Nasser, la porta della cella si aprì e apparve una sorvegliante. Teneva in mano un grosso bastone, e appena ci vide si gettò su di noi per spaccarci la testa! Non le sfuggimmo che per miracolo! Malgrado ciò, l'amministrazione penitenziaria non osò neanche rimproverarla, anzi fu strano che non la ricompensassero per il suo gesto "eroico"!... Quando la mia famiglia venne a trovarmi, raccontai loro del tentativo di aggressione di cui ero stata oggetto. I miei spesero grandi sforzi perché la responsabile fosse punita. Il Pubblico Ministero prese allora in mano la situazione, e avviò la sua istruttoria sulla sorvegliante (come se quest'ultima

155 avesse agito di sua propria iniziativa o fosse stata vittima di una crisi di demenza)… Allora domandai che si ponesse fine all'istruttoria, informando il Pubblico Ministero che la disgraziata sorvegliante era solo lo strumento di forze più importanti. Sarebbe dunque stato assurdo punire una subalterna che non aveva fatto altro che obbedire ad ordini altrui. Era in qualche modo una specie di nuova forma di tortura morale che i nostri aguzzini avevano appena inventato. UNA NUOVA PROVA Il 9 agosto 1971 fu un gran giorno, dovevamo passare attraverso una nuova prova. Lo capii quando una sorvegliante venne rapidamente a cercarmi per portarmi nell'ufficio del direttore. La cosa era insolita, e ciò ci portò a ragionare su cosa potevamo aspettarci da questo fatto. Cosa c'era di nuovo, e di così urgente? Avevano forse "scoperto" che facevamo della "propaganda" per la religione islamica, o era accaduto qualcosa alle nostre famiglie? Diversi punti di domanda e nessuna risposta. Non sapevamo assolutamente cosa ci attendesse. Mi presentai all'ufficio del direttore, e laggiù appresi che avevano deciso di liberarmi. Fu un colpo! Poiché la decisione riguardava solo me che ero stata condannata praticamente all'ergastolo mentre Hamidah, che doveva scontare dieci anni di lavori forzati, sarebbe ancora dovuta restare, e questa volta tutta sola, in questo luogo maledetto… Ciò mi rattristava molto, sentii una grande pena invadermi ed esclamai: "No… No… Ciò non può essere: Non uscirò lasciando mia figlia tutta sola in questa giungla… Siete solo degli ingiusti, siete dei farabutti!!" Il direttore mi chiese di calmarmi e mi informò che si trattava di ordini rigidi, che non poteva in alcun modo rimettere in discussione. Disse: "Sei qui per decisione dall'alto, ed uscirai di qui per decisione dall'alto… E noi siamo sul vostro stesso piano!". Qualche minuto dopo, vidi Hamidah entrare nell'ufficio del direttore. Questi l'aveva convocata perché mi calmasse un po'. Fu una prova difficile. Come, in effetti, potevo uscire e lasciare la mia figlia, Hamidah, col suo viso dolce e il suo sorriso sincero, a soffrire tutta sola in questi luoghi maledetti?... No, no, e ancora no… "No, non l'abbandonerò!". In quanto a lei, non smetteva di ripetermi: "Si calmi, mamma! È un favore da parte di Allah e una Clemenza da parte Sua… Allah non dimentica mai i Suoi servi, mamma… si calmi, si calmi…". Questa situazione durò a lungo. Il direttore della prigione mise allora fine all'incontro ed ordinò a Hamidah di tornare in cella. Ci abbracciammo forte, con le lacrime agli occhi, e all'improvviso mi ritrovai da sola nell'ufficio del direttore, che era uscito per andare a sistemare le formalità per la scarcerazione. Scoppiai in singhiozzi, mentre facevo i primi passi in direzione di casa mia

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avesse agito di sua propria iniziativa o fosse stata vittima di una crisi di<br />

demenza)… Allora domandai che si ponesse fine all'istruttoria, informando il<br />

Pubblico Ministero che la disgraziata sorvegliante era solo lo strumento di<br />

forze più importanti. Sarebbe dunque stato assurdo punire una subalterna che<br />

non aveva fatto altro che obbedire ad ordini altrui. Era in qualche modo una<br />

specie di nuova forma di tortura morale che i nostri aguzzini avevano appena<br />

inventato.<br />

UNA NUOVA PROVA<br />

Il 9 agosto 1971 fu un gran giorno, dovevamo passare attraverso una nuova<br />

prova. Lo capii quando una sorvegliante venne rapidamente a cercarmi per<br />

portarmi nell'ufficio del direttore.<br />

La cosa era insolita, e ciò ci portò a ragionare su cosa potevamo aspettarci da<br />

questo fatto. Cosa c'era di nuovo, e di così urgente? Avevano forse "scoperto"<br />

che facevamo <strong>della</strong> "propaganda" per la religione islamica, o era accaduto<br />

qualcosa alle nostre famiglie? Diversi punti di domanda e nessuna risposta.<br />

Non sapevamo assolutamente cosa ci attendesse.<br />

Mi presentai all'ufficio del direttore, e laggiù appresi che avevano deciso di<br />

liberarmi. Fu un colpo! Poiché la decisione riguardava solo me <strong>–</strong> che ero stata<br />

condannata praticamente all'ergastolo <strong>–</strong> mentre Hamidah, che doveva<br />

scontare dieci anni di lavori forzati, sarebbe ancora dovuta restare, e questa<br />

volta tutta sola, in questo luogo maledetto… Ciò mi rattristava molto, sentii<br />

una grande pena invadermi ed esclamai: "No… No… Ciò non può essere: Non<br />

uscirò lasciando <strong>mia</strong> figlia tutta sola in questa giungla… Siete solo degli<br />

ingiusti, siete dei farabutti!!"<br />

Il direttore mi chiese di calmarmi e mi informò che si trattava di ordini rigidi,<br />

che non poteva in alcun modo rimettere in discussione. Disse: "Sei qui per<br />

decisione dall'alto, ed uscirai di qui per decisione dall'alto… E noi siamo sul<br />

vostro stesso piano!".<br />

Qualche <strong>min</strong>uto dopo, vidi Hamidah entrare nell'ufficio del direttore. Questi<br />

l'aveva convocata perché mi calmasse un po'. Fu una prova difficile. Come, in<br />

effetti, potevo uscire e lasciare la <strong>mia</strong> figlia, Hamidah, col suo viso dolce e il<br />

suo sorriso sincero, a soffrire tutta sola in questi luoghi maledetti?... No, no, e<br />

ancora no… "No, non l'abbandonerò!". In quanto a lei, non smetteva di<br />

ripetermi: "Si calmi, mamma! È un favore da parte di Allah e una Clemenza da<br />

parte Sua… Allah non dimentica mai i Suoi servi, mamma… si calmi, si<br />

calmi…".<br />

Questa situazione durò a lungo. Il direttore <strong>della</strong> prigione mise allora fine<br />

all'incontro ed ordinò a Hamidah di tornare in cella. Ci abbracciammo forte,<br />

con le lacrime agli occhi, e all'improvviso mi ritrovai da sola nell'ufficio del<br />

direttore, che era uscito per andare a sistemare le formalità per la<br />

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di casa <strong>mia</strong>…

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