Ayyam min Ayati (Giorni della mia vita – nelle - Visit WordPress
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150 Il secondo Califfo dell'Islâm, 'Umar ibn Al-Khattâb (che Allah sia soddisfatto di lui) disse: "Se i Musulmani trionfano, è perché i loro nemici disobbediscono ad Allah. Altrimenti, mai avremmo potuto vincerli, poiché siamo meno numerosi di loro e peggio armati di loro. Così, se ci fossimo abbassati allo stesso livello di disobbedienza, essi ci avrebbero vinti". A causa del vostro allontanamento dal Libro e dalla Sunnah, siete stati sconfitti, maledetti e più volte umiliati. Disobbedire ad Allah significa esporsi alle umiliazioni, alla miseria, alla sconfitta, all'indebolimento, e – più importante ancora – al castigo dell'Onnipotente, all'Inferno eterno, così come è detto nel Sublime Corano: …Quando poi vi giungerà una guida da parte Mia… chi allora la seguirà non si svierà e non sarà infelice… Chi si sottrae al Mio Monito, avrà davvero una vita miserabile e sarà resuscitato cieco nel Giorno della Resurrezione. Dirà: "Signore! Perché mi hai resuscitato cieco quando prima ero vedente?". (Allah) risponderà: "Ecco, ti giunsero i Nostri segni e li dimenticasti; alla stessa maniera oggi sei dimenticato". Compensiamo così il trasgressore che non crede ai segni del suo Signore. In verità il castigo dell'Altra vita è più severo e durevole (Corano XX. Tâ-Hâ, 123-127) La voce di Hamidah interruppe la mia riflessione. Ero seduta accanto a lei in una cella chiusa. Il rumore dei pianti, delle grida e dei lamenti giungeva fino a me! Vivemmo a lungo, Hamidah ed io, in questa camera la cui porta si apriva raramente. Non sapevamo praticamente nulla di ciò che accadeva intorno a noi. Un giorno, riuscimmo ad ottenere di nascosto un pacchetto di sigarette; queste sigarette dovevano aprire un po' il cuore della nostra crudele sorvegliante, e con esso la porta della cella! Così potemmo informarci un po' e intrattenere dei rapporti col vicinato. Accanto alla nostra cella, ve ne era un'altra occupata da una madre e dal suo figlio bastardo. La cella dinanzi a noi era occupata da una donna che viveva i suoi ultimi giorni in prigione, affetta da una grave malattia, la tubercolosi. Vicino a lei, un vasto dormitorio le cui occupanti soffrivano tutte di gravi malattie contagiose. In fondo all'edificio, c'erano i bagni che frequentavamo tutte quante, benché alcune donne soffrissero appunto di malattie contagiose. All'altra estremità dell'edificio, vi erano donne di cui non potemmo determinare l'identità. In effetti, erano sistemate in stanze pulite e addirittura confortevoli, e disponevano di bagni in cui le norme igieniche erano rispettate. Venimmo a sapere ciò, perché le nostre compagne di sventura chiamavano quella zona della prigione "Hilton". Avevamo molta fame, e una detenuta ci offrì un po' di cibo. Questo gesto ci commosse molto, avevamo realizzato che, malgrado la sua crudeltà, la giungla conservava ancora un po' d'umanità. Chiedemmo alla sorvegliante di autorizzarci ad andare ai bagni dell' "Hilton", per la loro puliza materiale e morale (intendendo con ciò il fatto di non dover ascoltare ingiurie e parolacce), ma la sorvegliante ci rispose: "Le toilettes dell'
151 "Hilton" sono riservate alla signora dottoressa e alle ebree!". Quando volli saperne di più, mi spiegò: "Sì, delle signore ebree… la signora Marcelle e la signora Lucie… e altre. Stanno là, vivono agiatamente, e nessuno può dar loro fastidio né negar loro la minima richiesta… Come se fossero a casa loro, anche un po' meglio! Sono sospettate di spionaggio per lo stato di Israele". Aggiunse poi: "Parlatene alla signora dottoressa… Può darsi che vi autorizzerà ad utilizzare quei bagni". Dopo aver esaminato la questione col direttore della prigione, finirono per rigettare la mia domanda, col pretesto che le suddette toilettes erano strettamente riservate… alle detenute ebree! LE NOSTRE NEMICHE GIURATE SONO PIÙ UMANE DI… Ci rimettemmo alla Volontà di Allah, e ci tenevamo occupate con la recitazione e la lettura dei versetti del Corano. Un giorno, mentre vivevo questi momenti spirituali in compagnia della mia sorella e figlia, Hamidah Qotb, una donna alta e bionda entrò nella nostra cella, ci salutò e chiese: "È lei la signora Zaynab Al-Ghazali Al-Jabîlî?". Risposi: "Sì". Proseguì: "Mi chiamo Marcelle e sono una detenuta politica. Beninteso tra voi e noi vi sono divergenze fondamentali: io sono Ebrea e voi siete Musulmane… Ma l'anima umana conserva sempre un po' della sua umanità, soprattutto nei momenti difficili. Nulla vieta, quindi, che tra voi e noi vi siano rapporti amichevoli all'interno della prigione. All'esterno siamo nemiche giurate, e solo la guerra e la lotta potranno fare da arbitro… qui, attraversiamo una situazione difficile e penosa per tutte noi. Sono venuta a trovarvi all'insaputa dell'amministrazione, per offrirvi di cooperare nel nostro interesse comune". La ringraziammo per il suo gesto, ed ella proseguì: "Noi abbiamo delle possibilità per ciò che riguarda il cibo. Dunque lo divideremo con voi, e farò in modo di farvi arrivare solo del cibo a voi lecito. In ogni modo, anche noi Ebree non mangiamo la carne di porco!". Marcelle si mise allora a portarci un po' di cibo, e la cosa più importante fu che riuscì ad ottenere per noi l'autorizzazione ad utilizzare i bagni dell' "Hilton". Hamidah si sentiva un po' in imbarazzo per il trattamento che ci veniva riservato, per l'intermediario di un'Israelita… Allora le dissi: "Allah ci invia il Suo aiuto tramite chi vuole… Allah Ta'ala non complica le cose ai Suoi servi, e non li lascia per sempre nel bisogno e nelle difficoltà. In ogni modo, non abbiamo altra scelta che quella di coabitare e coesistere nel migliore dei modi possibili con tutte le componenti dell'umanità, finché ciò non entri in contraddizione con l'Islâm e i suoi precetti fondamentali". Un altro esempio d'umanità ci fu dato in questa giungla, per l'intermediario di una donna medico cristiana, che ci aiutava ogni tanto. Ciò ci commosse molto e rafforzò la nostra fede nella nostra religione.
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Il secondo Califfo dell'Islâm, 'Umar ibn Al-Khattâb (che Allah sia soddisfatto<br />
di lui) disse: "Se i Musulmani trionfano, è perché i loro nemici disobbediscono<br />
ad Allah. Altrimenti, mai avremmo potuto vincerli, poiché siamo meno<br />
numerosi di loro e peggio armati di loro. Così, se ci fossimo abbassati allo<br />
stesso livello di disobbedienza, essi ci avrebbero vinti".<br />
A causa del vostro allontanamento dal Libro e dalla Sunnah, siete stati<br />
sconfitti, maledetti e più volte umiliati. Disobbedire ad Allah significa esporsi<br />
alle umiliazioni, alla miseria, alla sconfitta, all'indebolimento, e <strong>–</strong> più<br />
importante ancora <strong>–</strong> al castigo dell'Onnipotente, all'Inferno eterno, così come<br />
è detto nel Sublime Corano:<br />
…Quando poi vi giungerà una guida da parte Mia… chi allora la seguirà<br />
non si svierà e non sarà infelice… Chi si sottrae al Mio Monito, avrà<br />
davvero una <strong>vita</strong> miserabile e sarà resuscitato cieco nel Giorno <strong>della</strong><br />
Resurrezione. Dirà: "Signore! Perché mi hai resuscitato cieco quando<br />
prima ero vedente?".<br />
(Allah) risponderà: "Ecco, ti giunsero i Nostri segni e li dimenticasti; alla<br />
stessa maniera oggi sei dimenticato". Compensiamo così il trasgressore<br />
che non crede ai segni del suo Signore. In verità il castigo dell'Altra <strong>vita</strong> è<br />
più severo e durevole (Corano XX. Tâ-Hâ, 123-127)<br />
La voce di Hamidah interruppe la <strong>mia</strong> riflessione. Ero seduta accanto a lei in<br />
una cella chiusa. Il rumore dei pianti, delle grida e dei lamenti giungeva fino a<br />
me!<br />
Vivemmo a lungo, Hamidah ed io, in questa camera la cui porta si apriva<br />
raramente. Non sapevamo praticamente nulla di ciò che accadeva intorno a<br />
noi.<br />
Un giorno, riuscimmo ad ottenere di nascosto un pacchetto di sigarette;<br />
queste sigarette dovevano aprire un po' il cuore <strong>della</strong> nostra crudele<br />
sorvegliante, e con esso la porta <strong>della</strong> cella! Così potemmo informarci un po' e<br />
intrattenere dei rapporti col vicinato. Accanto alla nostra cella, ve ne era<br />
un'altra occupata da una madre e dal suo figlio bastardo. La cella dinanzi a noi<br />
era occupata da una donna che viveva i suoi ultimi giorni in prigione, affetta<br />
da una grave malattia, la tubercolosi. Vicino a lei, un vasto dormitorio le cui<br />
occupanti soffrivano tutte di gravi malattie contagiose. In fondo all'edificio,<br />
c'erano i bagni che frequentavamo tutte quante, benché alcune donne<br />
soffrissero appunto di malattie contagiose.<br />
All'altra estremità dell'edificio, vi erano donne di cui non potemmo<br />
deter<strong>min</strong>are l'identità. In effetti, erano sistemate in stanze pulite e addirittura<br />
confortevoli, e disponevano di bagni in cui le norme igieniche erano rispettate.<br />
Venimmo a sapere ciò, perché le nostre compagne di sventura chiamavano<br />
quella zona <strong>della</strong> prigione "Hilton".<br />
Avevamo molta fame, e una detenuta ci offrì un po' di cibo. Questo gesto ci<br />
commosse molto, avevamo realizzato che, malgrado la sua crudeltà, la giungla<br />
conservava ancora un po' d'umanità.<br />
Chiedemmo alla sorvegliante di autorizzarci ad andare ai bagni dell' "Hilton",<br />
per la loro puliza materiale e morale (intendendo con ciò il fatto di non dover<br />
ascoltare ingiurie e parolacce), ma la sorvegliante ci rispose: "Le toilettes dell'