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02.06.2013 Views

SETTIMA PARTE IL TRASFERIMENTO ALLA PRIGIONE DI AL-QANATIR IL 5 GIUGNO 146 Prima di questo giorno che nessuno dimenticherà, non avevano smesso, il 3 e il 4 giugno 1967, si aprire e chiudere senza ragione plausibile la porta della nostra cella. Ogni volta, ci chiedevano se non avessimo bisogno di nulla, ciò che era quantomeno inconsueto. Poi sentimmo parlare della guerra e della magnificenza del nostro capo dello stato, che "avrebbe liberato" la Palestina e gli Arabi! Da parte nostra, preferivamo stare zitte. Un giorno, durante una conversazione col medico della prigione, chiesi davanti a lui: "Davvero libereremo la Palestina?" Il suo viso si tese e i suoi tratti si fecero seri, poi mi disse: "Cosa intendi dire con ciò?". Risposi: "Vedremo pure la fine, e capiremo se è dell'odio o dell'amicizia ciò che i tiranni provano per Israele. In ogni modo, siccome è il sionismo mondiale quello che comanda, i dirigenti che gli sono sottomessi non possono far altro che eseguire i suoi ordini. La Palestina non sarà liberata che da parte dell'Islâm, e il giorno in cui governeremo in nome dell'Islâm, quel giorno potremo e sapremo liberare la Palestina, non prima…!" Il 5 giugno 1967 giunse, e nessuno aprì la porta della cella. All'improvviso, arrivò un gigante nero e gridò: "Nasser ha trionfato… Nasser ha trionfato…" Se ne andò per lasciare il posto ad altri che venivano ogni tanto ad insultarci, ogni tanto per comunicarci la notizia della "vittoria" di Nasser, e così via… Dopo la preghiera dell' 'Asr (pomeriggio), Safwat Rubi entrò nella cella come una bestia arrabbiata e si mise a prendermi a calci. Era in tenuta da combattimento, mi sbatté contro il muro e mi schiacciò col piede, dicendo: "Abbiamo trionfato, specie di p…!". Hamidah si alzò e cominciò a dirgli: "Perché? Perché??", ma il sudicio non smetteva di calpestarmi e di picchiarmi, finché svenni. Mi lasciò e ordinò ai soldati che l'accompagnavano di gettare fuori le nostre cose. Poi, ci trascinò fuori dalla cella ripetendomi: "Abbiamo trionfato… Abbiamo trionfato malgrado te; la tua morte è vicina!". Ci fecero salire su un furgoncino dell'esercito pieno di guardie (ufficiali e soldati tutti insieme). Il direttore della prigione militare stava accanto all'autista. Cominciai a lamentarmi dinanzi ad Allah (subhânaHu waTa'ala), e mi sembrava che tutto l'universo si lamentasse insieme a me. Malgrado il fatto che Hamidah mi mettesse in guardia, non potei impedirmi di continuare a lamentarmi ad alta voce.

Ero convinta che mi stessero portando dinanzi al plotone d'esecuzione (come mi aveva detto Safwat Rubi mentre mi picchiava), e recitavo il versetto: Allah ha comprato dai credenti le loro persone e i loro beni (dando) in cambio il Giardino… (Corano IX. At-Tawba, 111) Mi ricordai anche della poesia che dice: Poco importa, se sono ucciso come Musulmano, di riposare su un lato o sull'altro… o ancora: Le dissi, mentre piangeva: Non avere paura di contarmi tra gli eroi… Poiché se chiedi di restare su questa terra Anche soltanto un giorno, Non lo avrai comunque… Porta pazienza sul cammino della morte, porta pazienza… Avere l'eternità non è possibile… All'improvviso il furgoncino si fermò e Hamidah si mise a scuotermi. Aprii gli occhi… Eravamo dinanzi alla prigione femminile di Al-Qanatir. UNA NOTTE, LA MIA ANIMA SUBÌ IL SUPPLIZIO 147 Entrammo nella prigione, e fummo sottoposte ad una perquisizione minuziosa di tutte le nostre cose. Era notte, una donna di nome Inayat ci condusse in una stanza accanto a quella del direttore della prigione. Fummo nuovamente perquisite minuziosamente e ci diedero delle uniformi da prigioniere. La nostra cella era senza porta. Vi era un letto a due piazze, da una parte era tutto sfatto, e dall'altra vi era un cuscino. La camera dava su una sala, in cui vi erano dei dormitori; appresi più tardi che le loro occupanti erano condannate per delitti penali (furto, prostituzione…). Cominciava a far notte fonda, sentimmo l'appello alla preghiera dell''Ishâ'; compimmo le abluzioni e pregammo. Poi cercammo di addormentarci; eravamo molto stanche, ma non riuscivamo lo stesso a prendere sonno. La notte era buia, e la cella scura… I dormitori si erano chiusi sulle loro occupanti… La notte fu molto lunga; non sentivamo che ingiurie, insulti e parolacce, che non facevano altro che ferire ancor più le nostre anime. Per distogliercene, tentammo di tenerci occupate con la recitazione di versetti coranici, pregando Allah (Gloria a Lui, l'Altissimo) di porre fine al nostro calvario e alla nostra prova.

SETTIMA PARTE<br />

IL TRASFERIMENTO ALLA PRIGIONE<br />

DI AL-QANATIR IL 5 GIUGNO<br />

146<br />

Prima di questo giorno che nessuno dimenticherà, non avevano smesso, il 3 e<br />

il 4 giugno 1967, si aprire e chiudere senza ragione plausibile la porta <strong>della</strong><br />

nostra cella.<br />

Ogni volta, ci chiedevano se non avessimo bisogno di nulla, ciò che era<br />

quantomeno inconsueto. Poi sentimmo parlare <strong>della</strong> guerra e <strong>della</strong><br />

magnificenza del nostro capo dello stato, che "avrebbe liberato" la Palestina e<br />

gli Arabi!<br />

Da parte nostra, preferivamo stare zitte. Un giorno, durante una<br />

conversazione col medico <strong>della</strong> prigione, chiesi davanti a lui: "Davvero<br />

libereremo la Palestina?"<br />

Il suo viso si tese e i suoi tratti si fecero seri, poi mi disse: "Cosa intendi dire<br />

con ciò?".<br />

Risposi: "Vedremo pure la fine, e capiremo se è dell'odio o dell'amicizia ciò<br />

che i tiranni provano per Israele. In ogni modo, siccome è il sionismo<br />

mondiale quello che comanda, i dirigenti che gli sono sottomessi non possono<br />

far altro che eseguire i suoi ordini. La Palestina non sarà liberata che da parte<br />

dell'Islâm, e il giorno in cui governeremo in nome dell'Islâm, quel giorno<br />

potremo e sapremo liberare la Palestina, non prima…!"<br />

Il 5 giugno 1967 giunse, e nessuno aprì la porta <strong>della</strong> cella. All'improvviso,<br />

arrivò un gigante nero e gridò: "Nasser ha trionfato… Nasser ha trionfato…"<br />

Se ne andò per lasciare il posto ad altri che venivano ogni tanto ad insultarci,<br />

ogni tanto per comunicarci la notizia <strong>della</strong> "vittoria" di Nasser, e così via…<br />

Dopo la preghiera dell' 'Asr (pomeriggio), Safwat Rubi entrò nella cella come<br />

una bestia arrabbiata e si mise a prendermi a calci. Era in tenuta da<br />

combattimento, mi sbatté contro il muro e mi schiacciò col piede, dicendo:<br />

"Abbiamo trionfato, specie di p…!".<br />

Hamidah si alzò e co<strong>min</strong>ciò a dirgli: "Perché? Perché??", ma il sudicio non<br />

smetteva di calpestarmi e di picchiarmi, finché svenni. Mi lasciò e ordinò ai<br />

soldati che l'accompagnavano di gettare fuori le nostre cose. Poi, ci trascinò<br />

fuori dalla cella ripetendomi: "Abbiamo trionfato… Abbiamo trionfato<br />

malgrado te; la tua morte è vicina!". Ci fecero salire su un furgoncino<br />

dell'esercito pieno di guardie (ufficiali e soldati tutti insieme). Il direttore <strong>della</strong><br />

prigione militare stava accanto all'autista. Co<strong>min</strong>ciai a lamentarmi dinanzi ad<br />

Allah (subhânaHu waTa'ala), e mi sembrava che tutto l'universo si lamentasse<br />

insieme a me. Malgrado il fatto che Hamidah mi mettesse in guardia, non<br />

potei impedirmi di continuare a lamentarmi ad alta voce.

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