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- Mamduh Darwish Mustafa Dayri - Muhammad Ahmad Muhammad AbdurRahman - Galal ad-Dîn Bakri Dayssawi - Muhammad AbdulMûti Ibrahim Gazzar - Muhammad Mâmun Yahya Zakariya - Ahmad AbdulHalîm Sirugai - Salah Muhammad Muhammad Khalifah - As-Sayyed Sa'ad ad-Dînn As-Sayyed Sharif - Muhammad AbdulMûti AbdurRahîm - Imam AbdulLatif AbdulFattah Ghayth - Kamal AbdulAzîz Urfi Salam - Fu'ad Hasan Ali Mitwalli - Muhammad Ahmad Bahiri - Hamdi Hasan Saleh - Mustafa AbdulAzîz Khudairi - As-Sayyed Nazîl Muhammad Awdiyah - Mursi Mustafa Mursi - Muhammad Badî AbdulMajid Muhammad Samî - Muhammad AbdulMunayn Shahin - Mahmud Ahmad Fakri - Mahmud Izzat Ibrahim - Salah Muhammad AbdulHaqq - Hilmi Muhammad Sajid Hathut - Ilham Yahya AbdulMajid Badawi - AbdulMunayn AbdurRa'uf Yusuf Arafat - Muhammad AbdulFattah Rizq Sharîf - Zaynab Al-Ghazali Al-Jabîlî - Hamidah Qotb Ibrahim - Muhay ad-Dîn Hilal - Ashmawî Sulayman - Mustafa Alim Ai quali va aggiunto il nome di Ali Ashmawî, considerato dal Pubblico Ministero come testimone oculare. 136 Ci fecero sedere dunque ai banchi degli imputati. I sedicenti magistrati arrivarono. Daqawi fece l'appello, ponendo a tutti la stessa domanda: "Ha qualche obiezione da formulare contro questo Tribunale?" E ciascuno di noi rispondeva: "Non formulo alcuna obiezione sulla persona dei magistrati. Ma non riconosco la validità della legge in nome della quale volete giudicarci oggi, poiché si tratta di una legge ingiusta, e noi non riconosciamo altro che la giustizia, la giustizia divina, quella che ci è stata rivelata da Allah". Una volta terminata tale prassi, disse: "La Corte ha deciso di riservare a Zaynab Al-Ghazali e ad Hamidah Qotb un processo speciale". A queste parole, ci fecero uscire dai banchi degli accusati e ci condussero nell'anticamera del Tribunale. Poi ci riportarono alla prigione militare. Ciò avvenne il 10 aprile 1966. Restammo nelle nostre celle fino al 17 del mese successivo. Poi, quella pagliacciata di giustizia riprese. In effetti, come ho già

sottolineato, questo "processo" non era altro che l'ultimo capitolo di una commedia che volevano persentare allo sventurato popolo d'Egitto. SESTA PARTE LA CORTE! 137 Il 17 maggio 1966, fummo riportate al Tribunale e fatte sedere al banco degli accusati. La Corte era presieduta dal generale Dagawi in compagnia del procuratore della Repubblica e dell'avvocato generale. Vi erano dei giornalisti, giunti ben prima dei magistrati. Cominciarono a filmarci e a farci delle foto. Vi era tra loro un giornalista di nome AbdulAzîm, che già conoscevo, poiché veniva spesso a fare inchieste e reportages sulle attività del segretariato generale delle Donne Musulmane. Mi rivolsi a lui dicendo: "La prego di voler conservare queste foto, può darsi che un giorno ne avremo bisogno, e può darsi che quel giorno sia molto vicino". Mi rispose: "D'accordo", e fu un gesto molto coraggioso da parte sua, anche se non gli impedì di mostrarsi titubante e timoroso. Qualche minuto più tardi, non lo vidi più nella sala del Tribunale. Mi voltai verso i giornalisti dicendo: "Ma cosa state facendo?" In quel momento Dagawi aprì il processo, e mi chiamò. Uscii dunque dal banco degli accusati per rispondere alle sue domande. Esse non avevano assolutamente nulla a che vedere con le mie dichiarazioni durante l'interrogatorio. Non smettevo di replicare: "Ma io non ho mai detto questo, durante l'istruttoria!" Si accontentò allora di due domande, alle quali risposi. Mi chiese: "Hasan Al-Hudaybi ha dichiarato che le quattromila lire egiziane che gli consegnò, lei le aveva rubate a suo marito". Risposi: "Le quattromila lire erano la somma delle aliquote e dei doni fatti dai Fratelli Musulmani a favore delle famiglie dei detenuti, per assicurare la loro sussistenza e la scolarità dei loro bambini. Migliaia di famiglie che Nasser ha gettato nella strada dopo i processi del 1954; ed è la stessa cosa che ho dichiarato durante gli interrogatori, così come durante l'istruttoria". Fu molto scosso dalle mie parole, tremò come se fosse stato morso da uno scorpione e proseguì: "Quando la sua gamba si fratturò, lei aveva molta paura per questo denaro, perché dunque? Quando AbdulFattah Isma'il venne a trovarla all'ospedale, lo inviò a casa sua per prendere possesso del denaro e consegnarlo ad Al-Hudaybi. Perché dunque?" Risposi: "Perché si trattava di fondi che non mi appartenevano, e che erano destinati all'aiuto a famiglie che voi avevate scientemente ridotto alla miseria, con la vostra gestione governativa arbitraria. Questo denaro, io l'avevo in deposito, ma i miei eredi non potevano saperlo; dunque avevo paura che, se fossi morta, avrei lasciato le cose in una confusione totale. Allora decisi, dal mio letto d'ospedale, di incaricare AbdulFattah Isma'il di prenderne possesso e di consegnarlo ad Hasan Al-Hudaybi".

sottolineato, questo "processo" non era altro che l'ultimo capitolo di una<br />

commedia che volevano persentare allo sventurato popolo d'Egitto.<br />

SESTA PARTE<br />

LA CORTE!<br />

137<br />

Il 17 maggio 1966, fummo riportate al Tribunale e fatte sedere al banco degli<br />

accusati. La Corte era presieduta dal generale Dagawi in compagnia del<br />

procuratore <strong>della</strong> Repubblica e dell'avvocato generale. Vi erano dei giornalisti,<br />

giunti ben prima dei magistrati. Co<strong>min</strong>ciarono a filmarci e a farci delle foto. Vi<br />

era tra loro un giornalista di nome AbdulAzîm, che già conoscevo, poiché<br />

veniva spesso a fare inchieste e reportages sulle attività del segretariato<br />

generale delle Donne Musulmane. Mi rivolsi a lui dicendo: "La prego di voler<br />

conservare queste foto, può darsi che un giorno ne avremo bisogno, e può<br />

darsi che quel giorno sia molto vicino". Mi rispose: "D'accordo", e fu un gesto<br />

molto coraggioso da parte sua, anche se non gli impedì di mostrarsi titubante<br />

e timoroso. Qualche <strong>min</strong>uto più tardi, non lo vidi più nella sala del Tribunale.<br />

Mi voltai verso i giornalisti dicendo: "Ma cosa state facendo?"<br />

In quel momento Dagawi aprì il processo, e mi chiamò. Uscii dunque dal<br />

banco degli accusati per rispondere alle sue domande. Esse non avevano<br />

assolutamente nulla a che vedere con le mie dichiarazioni durante<br />

l'interrogatorio. Non smettevo di replicare: "Ma io non ho mai detto questo,<br />

durante l'istruttoria!"<br />

Si accontentò allora di due domande, alle quali risposi.<br />

Mi chiese: "Hasan Al-Hudaybi ha dichiarato che le quattromila lire egiziane<br />

che gli consegnò, lei le aveva rubate a suo marito".<br />

Risposi: "Le quattromila lire erano la somma delle aliquote e dei doni fatti dai<br />

Fratelli Musulmani a favore delle famiglie dei detenuti, per assicurare la loro<br />

sussistenza e la scolarità dei loro bambini. Migliaia di famiglie che Nasser ha<br />

gettato nella strada dopo i processi del 1954; ed è la stessa cosa che ho<br />

dichiarato durante gli interrogatori, così come durante l'istruttoria".<br />

Fu molto scosso dalle mie parole, tremò come se fosse stato morso da uno<br />

scorpione e proseguì: "Quando la sua gamba si fratturò, lei aveva molta paura<br />

per questo denaro, perché dunque? Quando AbdulFattah Isma'il venne a<br />

trovarla all'ospedale, lo inviò a casa sua per prendere possesso del denaro e<br />

consegnarlo ad Al-Hudaybi. Perché dunque?"<br />

Risposi: "Perché si trattava di fondi che non mi appartenevano, e che erano<br />

destinati all'aiuto a famiglie che voi avevate scientemente ridotto alla miseria,<br />

con la vostra gestione governativa arbitraria. Questo denaro, io l'avevo in<br />

deposito, ma i miei eredi non potevano saperlo; dunque avevo paura che, se<br />

fossi morta, avrei lasciato le cose in una confusione totale. Allora decisi, dal<br />

mio letto d'ospedale, di incaricare AbdulFattah Isma'il di prenderne possesso<br />

e di consegnarlo ad Hasan Al-Hudaybi".

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