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Brochure CYPMED - Arsia

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Contributo del Cipresso alla Valorizzazione<br />

Economica ed Ambientale del Territorio<br />

FIRENZE, OTTOBRE 2004


SOMMARIO<br />

Presentazione Pag. 5<br />

C. Chiostri, P. Raddi<br />

L’importanza del cipresso nell’area mediterranea Pag. 7<br />

R. Serra, M. Tognotti, G. Di Loreto<br />

Il cipresso comune (Cupressus sempervirens L.): Pag. 13<br />

caratteristiche botaniche, distribuzione, ecologia<br />

M. Intini, G. Della Rocca<br />

Gestione selvicolturale dei boschi di cipresso in aree naturali e naturalizzate Pag. 23<br />

A. Faini, G. Della Rocca<br />

Note sulla selvicoltura del cipresso in Portogallo Pag. 29<br />

J. Varela, N. Santos, A. Frutuoso, F. Caetano, P. Ramos<br />

Piantagioni: tecniche di impianto e postimpianto Pag. 32<br />

A. Faini, M. Moraldi<br />

Malattie del cipresso Pag. 48<br />

A. Panconesi, M. Intini<br />

Fitofagi del cipresso Pag. 62<br />

C. Parrini<br />

La bonifica fitosanitaria del cipresso Pag. 71<br />

C. Parrini, A. Panconesi, R. Danti, A. Guidotti, F. Puleri, P. Toccafondi<br />

Miglioramento genetico del cipresso: risultati della ricerca e prospettive Pag. 83<br />

R. Danti, P. Raddi, A. Panconesi<br />

Il valore economico del cipresso: Pag. 86<br />

1 - Produzione vivaistica - M. Moraldi<br />

2 - Paesaggio e ambiente - G. Della Rocca<br />

3 - Il legno di cipresso - G. Nocentini<br />

Recupero aree di cava Pag. 94<br />

R. Danti, P. Raddi, A. Panconesi, G. Della Rocca<br />

Cupressus bonsai: nuova fonte di reddito per il vivaismo Pag. 96<br />

M. Intini<br />

Gli oli essenziali di cipresso: Pag. 99<br />

1 - Produzione, mercato e prospettive - Véronique Agnel<br />

2 - L’uso terapeutico dell’olio essenziale del cipresso comune<br />

nel Mediterraneo orientale - M. Intini<br />

3


PRESENTAZIONE<br />

Con i forti cambiamenti in atto nella struttura agricola, nell’urbanizzazione e nelle vie di comunicazione,<br />

gli alberi forestali stanno sempre più assumendo nuovi ruoli, importanti nell’occupare terreni ex-coltivi<br />

e zone marginali, nel recuperare situazioni ambientali difficili, nel rendere più gradevoli gli spazi invasi da<br />

costruzioni e nel bordare e separare le sedi stradali. A queste nuove funzioni dell’albero forestale vanno<br />

ricordate quelle già note: produrre legno ed estratti per l’industria cosmetica e farmaceutica, limitare<br />

l’erosione dei suoli, trattenere l’acqua, ridurre la vegetazione del sottobosco e quindi diminuire i rischi di<br />

incendio.<br />

In particolare le specie forestali autoctone della regione MedOcc (Mediterraneo Occidentale), come il<br />

cipresso, sono molto adatte alle condizioni pedoclimatiche dei paesi di questa area geografica di cui ne<br />

caratterizzano anche l’economia rurale ed il paesaggio.<br />

Il progetto Interreg III B MedOcc «Les cyprès et leur polyvalence dans la réhabilitation de l’environnement<br />

et du paysage méditerranéen» (acronimo: CypMed) prende, come specie di riferimento, il cipresso<br />

(Cupressus sempervirens) e mira a valutarne tutte le potenzialità, a tutelare la diversità genetica del<br />

patrimonio naturale del cipresso indigeno nei paesi sud-orientali del Mediterraneo, a valorizzare le sue<br />

attitudini di specie arborea pioniera, a incrementare ulteriormente la tolleranza del cipresso all’aridità<br />

estiva prolungata, ai terreni aridi, poveri, argillosi e calcarei. Con il cipresso vengono effettuate piantagioni<br />

forestali per la produzione di legname di ottima qualità, per la protezione del suolo dall’erosione e per<br />

contenere lo sviluppo del sottobosco e quindi ridurre la frequenza degli incendi, sono allestiti filari frangivento<br />

per la salvaguardia delle produzioni qualitative e quantitative di impianti orticoli e frutticoli, è sostenuta<br />

un’importante attività vivaistica che vende 5 milioni di cipressi innestati, mentre altri 5 milioni di semenzali<br />

sono distribuiti dai vivai forestali.<br />

In base a tali motivazioni il progetto <strong>CYPMED</strong> ha cercato anche di dimostrare che l’utilizzo dei cipressi<br />

selezionati per la resistenza al cancro da Seiridium cardinale nel corso di precedenti progetti della Comunità<br />

Europea, risponde alle esigenze degli utilizzatori per realizzare nuove piantagioni forestali, frangivento<br />

e ornamentali, garantendo al tempo stesso una gestione sostenibile delle risorse secondo uno sviluppo<br />

equilibrato e durevole senza influire in modo significativo sulla variabilità genetica della specie.<br />

Questo obiettivo generale viene perseguito attraverso obiettivi più specifici che mirano a:<br />

- dimostrare il valore economico e sociale del cipresso per risolvere problemi legati alla protezione del<br />

suolo, alla produzione di legno di qualità, all’incremento qualitativo e quantitativo delle produzioni<br />

agricole protette con fasce frangivento;<br />

- fornire ai vivaisti materiale genetico superiore da commercializzare nell’area mediterranea;<br />

- fornire alle istituzioni pubbliche e private indirizzi tecnici per la protezione e la valorizzazione delle<br />

aree naturali del patrimonio cipressicolo e di alcune cipressete naturalizzate;<br />

- valutare l’impatto economico delle aree pilota dimostrative Cypmed nei diversi ambienti, ma anche<br />

sul paesaggio e sul turismo.<br />

Il progetto Cypmed (vedi seconda di copertina) conta in Italia, oltre allo Chef de File, 8 Unità Operative (3<br />

in Toscana, 1 in Umbria, 1 in Campania, 1 in Sicilia, 2 in Sardegna), 3 in Francia (Corsica, regione Paca,<br />

Languedoc-Roussillon) ed 1 in Portogallo (regione d’Algarve).<br />

Il progetto Cypmed è stato finanziato per un totale di 1.912.400,00 dalla Comunità Europea e dagli Stati<br />

Nazionali, compresa un’assegnazione complessiva di 236.000,00 a carico delle Unità Operative<br />

(finanziamenti complementari).<br />

Il progetto Cypmed, oltre ad allestire parcelle sperimentali dimostrative nelle diverse regioni MedOcc, ha<br />

lo scopo di coordinare, con un metodo di lavoro ed un linguaggio comune, i partner e di integrare al meglio<br />

le loro attività, evitando la sovrapposizione di compiti e lo spreco di risorse. Altro obiettivo fondamentale<br />

del Cypmed è quello di attivare tra i partner e tra gli utenti del cipresso un’attività permanente di trasferimento<br />

delle conoscenze e di divulgazione delle innovazioni. Nell’ambito di quest’ultimo compito l’ARSIA<br />

5


ha messo in rete sia l’attività del CypMed (www.cypmed.cupressus.org), per la valorizzazione e la diffusione<br />

dei risultati acquisiti, sia il programma di corsi di formazione per tecnici organizzati dal Cypmed a<br />

cadenza trimestrale.<br />

La pubblicazione della brochure “Contributo del Cipresso alla Valorizzazione Economica ed Ambientale<br />

del Territorio” è stata fortemente voluta dall’ARSIA e dalle Unità Operative del CypMed.<br />

Per evitare o ridurre possibili errori nella gestione degli impianti, il CypMed ha inteso pubblicare<br />

questo volume, che rappresenta un importante strumento di comunicazione e diffusione delle principali e<br />

più aggiornate acquisizioni tecnico-scientifiche sul cipresso che possono essere applicate da tutti quei<br />

soggetti interessati alla coltivazione e diffusione del cipresso, specie con forti e interessanti potenzialità<br />

per lo sviluppo rurale e per la salvaguardia ecologica del paesaggio, della storia e delle civiltà dei paesi<br />

mediterranei.<br />

C. Chiostri – ARSIA, Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale, Firenze<br />

P. Raddi – Chef de File CypMed, Istituto per la Protezione delle Piante del CNR, Firenze<br />

6


L’IMPORTANZA DEL CIPRESSO NELL’AREA MEDITERRANEA<br />

Reginaldo Serra, Massimo Tognotti, Giuseppina Di Loreto<br />

Provincia di Livorno<br />

Il cipresso tra storia, mitologia e arte<br />

La diffusione del cipresso comune (Cupressus sempervirens L.) nell’area mediterranea è andata di pari<br />

passo con la migrazione delle civiltà umane da est a ovest. L’uomo lo ha coltivato fin dalla più remota<br />

antichità, apprezzandone i pregi del legname, dalle particolari caratteristiche, utilizzato nei più svariati<br />

settori di attività quotidiana. Questa pianta “domestica”, connotata di valenze simboliche e religiose e<br />

frequentemente usata a scopo ornamentale, documenta le dinamiche del popolamento e le modificazioni<br />

insediative e ambientali prodottesi nei tempi. La sua stretta connessione con le popolazioni e il paesaggio<br />

mediterranei ne fa una testimone delle civiltà che si sono succedute in questa area geografica.<br />

In epoca remota i boschi naturali di cipresso ricoprivano aree molto più vaste rispetto a quelle odierne e<br />

costituivano la più comune foresta spontanea del bacino del Mediterraneo, soprattutto nell’attuale Grecia.<br />

Tale era la fama delle foreste di cipresso dell’isola di Creta da far dire che se ne percepisse l’aroma molto<br />

prima di raggiungerla. Per millenni queste formazioni boscate furono oggetto di sfruttamento intenso. Le<br />

popolazioni ne utilizzarono il legname, particolarmente pregiato e ricercato in tutto il bacino del Mediterraneo,<br />

tanto da essere esportato in grande quantità come materiale utilizzato soprattutto per le costruzioni<br />

navali (in cipresso erano costruite la flotta del re cretese Minosse, le flotte egiziane e fenicie, le navi usate<br />

da Alessandro Magno in Babilonia, le navi romane e turche).<br />

Come materiale da costruzione il legno di cipresso era usato anche in ambito civile. Ne sono un esempio<br />

le colonne dei palazzi cretesi di Knossos, Festos e Malia, la cui caratteristica rastrematura verso il basso<br />

veniva ottenuta praticando una particolare tecnica di taglio: il taglio dei tronchi, a circa due metri dal suolo,<br />

determinava, al di sotto della sezione, una crescita dei rami laterali tale da formare la rastrematura. I<br />

tronchi diritti e colonnari venivano utilizzati per le coperture degli edifici. In Grecia il travame delle case<br />

signorili era generalmente in cedro o in cipresso. Tale utilizzo si è mantenuto fino a tutto il sec. XVII,<br />

soprattutto nell’architettura delle abitazioni isolane di Cipro e di Rodi.<br />

Anche presso i romani il legno di cipresso era apprezzato a tal punto che le cipressete avevano un<br />

rendimento tale da essere definite “la dote della figlia” (in Grecia, fino ad epoca recente, si è conservata<br />

l’usanza di piantare piccoli fitti boschetti di cipressi alla nascita di una bambina).<br />

L’elevata stabilità dimensionale e le buone proprietà meccaniche, nonché la durabilità, rendevano il legno<br />

di cipresso particolarmente idoneo all’impiego in ambiente esterno. Le porte dei templi greci, le porte di<br />

ingresso a Costantinopoli e le porte delle basiliche romane venivano realizzate in cipresso. La fama di<br />

questo legno venne rinnovata dai trattatisti rinascimentali, come Leon Battista Alberti, che sostenevano<br />

fosse uno dei migliori legnami da costruzione.<br />

Per l’aroma intenso che agisce da repellente per gli insetti dannosi, venivano realizzati in cipresso i sarcofagi<br />

destinati ad ospitare i corpi imbalsamati delle mummie egizie, ma anche i contenitori per la conservazione<br />

di tessuti e materiali deteriorabili.<br />

Il cipresso simbolo e oggetto di culto<br />

Addomesticato, coltivato e diffuso dall’uomo il cipresso assunse valenze simboliche ed estetiche che si<br />

sono sviluppate in ogni civiltà del Mediterraneo. Le sue caratteristiche (la longevità, la forma, le caratteristiche<br />

del legname, il suo essere sempreverde) ne hanno fatto un elemento presente nella religiosità di<br />

molti popoli antichi. Sul piano simbolico il cipresso è stato sempre identificato come rappresentazione<br />

ambivalente della vita e della morte. Nelle civiltà dell’area medio orientale si ritrova prevalente il significa-<br />

7


Beato Angelico, Annunciazione (1448).<br />

Museo di San Marco, armadio degli argenti, Firenze.<br />

to di simbolo della vita e della divinità<br />

generatrice, mentre in quelle mediterranee,<br />

di origine ellenica, prevalgono<br />

simbologie più legate alla morte e<br />

all’aldilà. Già i Fenici, probabili artefici<br />

dell’introduzione della pianta nell’area italiana,<br />

veneravano il cipresso come rappresentazione<br />

vivente della fiamma. Lo<br />

stesso richiamo alla sacra fiamma del fuoco,<br />

che la chioma del cipresso offriva nella<br />

sua forma slanciata, lo fece venerare nelle<br />

antiche civiltà persiane 600 anni a.C.<br />

Nella Bibbia il cipresso è frequentemente<br />

citato come l’albero sacro, di cui si<br />

narrava fossero costruite la Croce e l’Arca<br />

di Noè. La sua nascita è legata alla<br />

tradizione ebraica secondo la quale prossimo<br />

Adamo alla morte, un angelo consegna<br />

al figlio Sath tre semi, nati dall’albero<br />

del bene e del male, che dovrà seppellire<br />

insieme al padre. E’ così che dalla tomba<br />

di Adamo nascono tre alberi: il cedro, il<br />

cipresso, l’olivo.<br />

Da simbolo religioso, quale era nelle sue<br />

terre di origine, il cipresso, nelle culture<br />

più occidentali, acquistò anche valenze diverse, altrettanto simboliche, legate al culto dei morti. Per la sua<br />

caratteristica di essere un sempreverde, dal legno pressoché incorruttibile, fu eletto a simbolo dell’immortalità.<br />

Nella mitologia greca e in quella romana il cipresso era presente nella duplice veste di simbolo di potenza<br />

e di virilità (lo scettro impugnato dalla mano sinistra di Zeus e le frecce dell’arco di Eros erano fabbricate<br />

di questo legno) e di simbolo degli dei dell’aldilà. In questa accezione assunse il significato di pianta<br />

funebre, era infatti consacrato ad Hades (Plutone, Dio degli inferi e dei morti).<br />

Il più celebre richiamo della mitologia greca al cipresso è quello legato al mito di Kuparissos, narrato da<br />

Ovidio nelle Metamorfosi. Kuparissos, bellissimo giovinetto, caro ad Apollo, ucciso involontariamente il<br />

cervo da lui stesso allevato, fu preso da dolore e disperazione inconsolabili e, invocato agli dei “quale dono<br />

supremo, di lasciarlo sempre nel pianto”, fu tramutato dal Dio in un cipresso. Anche un altro mito greco,<br />

quello di Eteocle (figlio di Edipo), narra del cipresso nato dalla pietà degli dei per il dolore umano. Vittima<br />

della maledizione che aveva colpito l’intera discendenza del padre, Eteocle fu ucciso nel corso di una lotta<br />

in cui lui e il fratello gemello si sgozzarono a vicenda. La pietà verso il dolore delle figlie di Eteocle per la<br />

morte del padre, spinse Gea, la madre terra, a trasformarle in cipressi.<br />

Il cipresso era simbolo del lutto anche nella civiltà etrusca e in quella romana. Alcuni autori classici romani<br />

(Orazio, Marco Terenzio Varrone) danno conferma della sua associazione al culto dei morti. Tale valenza<br />

di simbolo funebre ha dimostrato tutta la sua potenza e longevità, rimanendo inalterata nel tempo. Sebbene<br />

la tradizione funeraria sia mutata con le civiltà, la simbologia funebre associata a questa pianta, tramandata<br />

da culture e civiltà mediterranee diverse, è arrivata fino ad oggi, inalterata, attraversando due millenni.<br />

Quale elemento del culto funerario precristiano-pagano, il cipresso si è trasferito nella tradizione cristiana.<br />

Nel corso del sec. XIX si è definito il suo utilizzo nell’ambito dei luoghi sacri e di sepoltura. Lì dove le<br />

caratteristiche climatiche erano favorevoli alla crescita, ma anche nei contesti meno idonei, in tutti i paesi<br />

a religione cristiana dell’area mediterranea (in Italia, in Grecia, in Spagna, nelle regioni mediterranee della<br />

8


Teatro di Dionisio nell’acropoli di Atene.<br />

Francia, fino alle coste atlantiche del Portogallo), i cipressi<br />

divennero la costante dei plessi cimiteriali e oggi<br />

costituiscono esemplari secolari monumentali.<br />

Nelle aree archeologiche, in Grecia e in Italia, con l’intento<br />

di evocare atmosfere di sacralità, si è diffuso un<br />

peculiare utilizzo di queste conifere, chiamate a fare<br />

da scenario a templi, rovine, teatri, ridisegnando percorsi<br />

e indicando punti di vista privilegiati. Nei siti<br />

archeologici greci e romani in Italia, a Pompei, a Roma,<br />

sulle sacre rocce dell’Acropoli di Atene, a Delfi,<br />

Olimpia, Knossos, Mistra, i cipressi si sposano con le<br />

pietre delle rovine storiche.<br />

Il cipresso nell’arte e nei giardini<br />

Nell’iconografia artistica la presenza dell’immagine del cipresso testimonia l’evolversi della sua diffusione,<br />

le modalità di impiego presso le diverse culture e i diversi significati attribuitigli.<br />

Nella cultura islamica dell’impero Turco Ottomano il cipresso veniva impiegato come pianta ornamentale<br />

nei giardini e la sua immagine era frequentemente raffigurata nell’arte e nell’artigianato. Cipressi stilizzati<br />

sono rappresentati su piastrelle di ceramica, miniature, mosaici; raffigurati in oggetti di artigianato, incensieri<br />

e porta profumi; riprodotti su tessuti e tappeti.<br />

Nel paesaggio italiano la presenza più storicizzata del cipresso si registra nell’ambito delle pievi e dei<br />

conventi. La Pieve, affiancata da cipressi isolati o in piccoli gruppi, era immagine frequente nella campagna<br />

italiana del Trecento. La chioma affusolata costituiva un segnale di identificazione che si poteva<br />

scorgere anche da lontano e distinguere fra la vegetazione boschiva. Vi era inoltre la consuetudine di<br />

utilizzare il cipresso nell’hortus conclusus monastico e conventuale. La sua introduzione nel chiostro<br />

segna una tappa fondamentale nel processo che lo vede assumere valori simbolici cristiani. La tradizione<br />

di seppellirvi i monaci, sia per ragioni pratiche sia per offrire temi di meditazione, estendeva a questo luogo<br />

la presenza del cipresso, propria dei luoghi di sepoltura.<br />

A partire dalla metà del Trecento il cipresso è frequentemente ritratto dagli artisti nella culla della risorgente<br />

arte italiana (la Toscana e l’Umbria). Talmente numerose sono le opere in cui esso figura (specie<br />

nella varietà pyramidalis) che elencarle equivarrebbe a percorrere tutta la storia dell’arte rinascimentale<br />

(da Giotto a Leonardo, dal Trecento al Cinquecento). La frequenza con cui questa conifera viene ritratta<br />

testimonia che, fin da allora, era diffusissima, almeno nell’Italia centrale e costituiva già un segno forte nel<br />

paesaggio. Nella tradizione pittorica rinascimentale, le opere che hanno come soggetto iconografico l’Annunciazione<br />

sono spesso ambientate in giardini murati che richiamano i chiostri monastici. Le scene sono<br />

ambientate nei giardini, all’aperto, oppure, più frequentemente, si svolgono in ambienti chiusi da quinte<br />

architettoniche scenografiche che lasciano intravedere il giardino all’esterno. In altri casi risaltano sullo<br />

sfondo costituito dal muro che delimita il giardino. Molto spesso, oltre lo sfondo architettonico, sono raffigurati<br />

i cipressi, schierati in forma allegorica. Tale convenzione figurativa è presente nelle opere di numerosi<br />

artisti, Filippo Lippi, Alessio Baldovinetti, Francesco Botticini, Beato Angelico. Nell’iconografia del<br />

paesaggio dipinto Benozzo Gozzoli, Piero Della Francesca, Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Raffaello<br />

Sanzio lo raffigurano in maniera più rappresentativa.<br />

Nei giardini il cipresso era presente già in Mesopotamia, (nei famosi giardini pensili di Babilonia), e nell’antica<br />

Persia. I Romani coltivarono il cipresso per scopi agricoli e forestali, ma anche ornamentali,<br />

inserendolo nell’ambito dei giardini della domus italica e della villa urbana, come testimoniano gli affreschi<br />

che ne adornavano le pareti. Nel giardino romano, dove la vegetazione diventa architettura attraverso<br />

la pratica dell’ars topiaria, il cipresso veniva apprezzato per la sua attitudine ad essere potato e ad<br />

9


assumere varie forme. Ma è soprattutto nella Firenze medicea della metà del sec. XV che il cipresso<br />

raggiunge la sua massima valenza decorativa in una particolare tipologia di giardino. Perse le valenze<br />

legate al sacro e i simbolismi funerei, divenne una delle essenze ornamentali privilegiate. La sua forma<br />

definita, la silhouette slanciata ed elegante, il suo essere sempreverde (garanzia di un’immagine ricercata<br />

indipendente dalle stagioni) e, non ultima, la sua adattabilità ad assumere le forme volute dall’arte topiaria,<br />

lo fecero preferire dai trattatisti e teorici del “giardino all’italiana”. In questi giardini il cipresso venne<br />

utilizzato, come un elemento architettonico, per costruire architetture vegetali. Filari di cipressi fiancheggiavano<br />

il viale scenografico lungo l’asse longitudinale del giardino (come a Boboli) o di ingresso alla villa<br />

(come nella villa di Poggio Imperiale a Firenze, o nella villa Torrigiani in lucchesia). Piantumazioni massive<br />

di cipressi si contrapponevano ai “parterres” e alle vasche d’acqua. Cipressi modellati dall’arte topiaria<br />

costituivano quinte vegetali a delimitare “teatri di verzura”, esedre di sfondo a gruppi scultorei e ninfei,<br />

siepi, belvederi (come nelle ville Capponi e Gamberaia a Firenze), labirinti che ospitavano statue e reperti<br />

archeologici o nascondevano specchi d’acqua e fontane (come al centro del giardino della villa di Castello<br />

a Firenze).<br />

Il cipresso nel paesaggio<br />

Nei paesi dell’area mediterranea si sono definiti nel tempo simili inserimenti del cipresso nel paesaggio.<br />

Uno dei più felici e peculiari è quello della campagna toscana. Dall’epoca rinascimentale in poi il cipresso<br />

cominciò ad assumere una valenza estetica di segno territoriale nelle campagne del centro Italia. La sua<br />

sagoma inconfondibile divenne un elemento essenziale e imprescindibile del paesaggio, lì dove le condizioni<br />

climatiche erano più favorevoli e dove la tradizione artistica e il gusto estetico lo avevano sottratto al suo<br />

connotato di pianta simbolo del culto dei morti, per ricondurlo a valenze estetiche più positiviste. Emblema<br />

del paesaggio costruito e voluto dagli uomini, mediazione tra artificio e natura, il cipresso divenne in<br />

Toscana simbolo dell’identità culturale di una regione. Filari di cipressi hanno fiancheggiato per secoli<br />

Val d’Orcia<br />

10


antiche strade lungo le dorsali delle colline, viali di accesso a borghi storici, ad abitazioni padronali o a<br />

semplici casolari contadini, costituendo sistemazioni a scala geografica che hanno raggiunto l’apice nel<br />

viale di Bolgheri reso celebre dai versi di Giosue Carducci nella poesia Davanti San Guido “I cipressi che<br />

a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar..”. Alla diffusione del cipresso nel paesaggio ha<br />

contribuito soprattutto la civiltà contadina, che non ha mai abbandonato il territorio e presso la quale non si<br />

smarrirono tradizioni di antica origine, legate all’uso della pianta. Esemplari isolati o piccoli nuclei di cipressi<br />

segnavano un bivio stradale, un limite poderale, rappresentavano un punto di riferimento per il<br />

viandante, assurgendo a landmark, ossia segnacolo territoriale. Cipressi venivano impiantati attorno a<br />

tabernacoli, chiesette, santuari, edicole votive, croci stradali, espressioni della spiritualità religiosa del<br />

mondo contadino, o in corrispondenza di lapidi, obelischi e cippi commemorativi. Soprattutto nelle Crete<br />

senesi, nel volterrano e nella Val d’Orcia, dove il terreno agricolo e a pascolo si presenta quasi totalmente<br />

privo di vegetazione arborea, lo svettare dei cipressi acquista un peso particolare nello skyliner del paesaggio.<br />

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148.<br />

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cipresso, CNR Regione Toscana, Firenze, p.29.<br />

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Collodi, 15 marzo 1995, Regione Toscana, pp. 44-47.<br />

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Giardino storico e paesaggio, atti del convegno, Bologna 25 gennaio 2002, pp. 2-8.<br />

XENOPOULOS S., ANDREOLI C., PANCONESI A., PINTO GANHAO J., TUSET J.J., 1990.<br />

Importance of cypress. AGRIMED, Antibes (France).<br />

11


Bosco naturale di cipresso in Turchia.<br />

12


IL CIPRESSO COMUNE (Cupressus sempervirens L.)<br />

Caratteristiche botaniche, distribuzione, ecologia<br />

Marcello Intini e Gianni Della Rocca<br />

Istituto per la Protezione delle Piante del CNR, Firenze<br />

Il Cipresso comune (Cupressus sempervirens L.) è un albero sempreverde<br />

che può raggiungere dimensioni ragguardevoli, fino a 35 m<br />

di altezza e oltre un metro di diametro del tronco. Il portamento è<br />

slanciato e molto variabile in conseguenza alla diversa inclinazione<br />

delle ramificazioni, la curvatura di queste e la loro lunghezza relativa<br />

nei diversi ordini. Per questo la chioma, di colore verde scuro, ha un<br />

aspetto molto variabile andando da forme strettamente fastigiate a<br />

forme espanse con rami orizzontali. Per gli stessi motivi anche la densità<br />

della chioma è relativamente variabile.<br />

E’ distinto in due varietà, distinzione basata esclusivamente sulla forma<br />

della chioma: C. sempervirens var. sempervirens (C. s. var. stricta<br />

Ait., C. s. var. pyramidalis Nyman o C. s. var. fastigiata Hansen) e<br />

C. sempervirens var. horizontalis (Miller) Aiton. La prima si distingue<br />

per essere caratterizzata da chioma più o meno appressata e<br />

appuntita, con rami rivolti verso l’alto. Negli individui della var.<br />

horizontalis invece il fusto è ben visibile fino alla sommità, la chioma<br />

è espansa ed i rami sono inseriti sul tronco più o meno orizzontalmente<br />

(Figg. 1-2).<br />

13


La pianta è monoica, cioè con fiori maschili e femminili portati sullo stesso individuo ma separati tra loro.<br />

I fiori maschili (microsporofilli) posti all’estremità di corti rametti, sono riuniti in amenti cilindrici o conetti<br />

terminali. Sono gialli a maturità, prodotti in gran numero, ovoidi, di 4-8 mm, formati da varie coppie di<br />

squame staminali opposte e decussate di forma triangolare arrotondata, ciascuna portante alla base 4-5<br />

sacche polliniche deiscenti longitudinalmente (Figg. 3-4).<br />

14<br />

Il granulo pollinico è sferico,<br />

senza vescicole aerifere, nè<br />

zona di germinazione differenziata<br />

(Fig. 5). L’esina è sottile e<br />

ricoperta da corpi rotondeggianti<br />

(orbicoli) del diametro di 0,6 µm<br />

circa (Fig. 5a). Il polline è di colore<br />

salmone chiaro (Fig. 6).<br />

I fiori femminili (macrosporofilli)<br />

sono solitari o riuniti<br />

in piccoli gruppi, globosi, di colore<br />

verde con riflessi violetti<br />

rosati, portati su un breve<br />

peduncolo. Sono formati da 8-<br />

14 squame opposte e decussate,<br />

ognuna delle quali protegge 8-<br />

20 ovuli ortotropi (Fig. 7).


Lo strobilo, detto comunemente<br />

cono o galbula,<br />

è legnoso, ellissoidaleoblungo,<br />

a volte globoso,<br />

lungo 25-40 mm, largo 15-<br />

30 mm. E’ verde lucido da<br />

giovane e successivamente<br />

marrone-grigio. Le<br />

squame sono a forma di<br />

scudo pentagonale, peltate,<br />

valvari, intimamente<br />

appressate, convesse con<br />

mucrone centrale corto o<br />

depresso e superficie<br />

esterna rugosa a maturità.<br />

Gli strobili all’interno<br />

presentano macchioline<br />

bianche dopo la caduta<br />

dei semi. Le galbule aperte<br />

e vuote, dopo la disseminazione<br />

possono rimanere<br />

sull’albero anche alcuni<br />

anni ed assumono<br />

una colorazione grigio<br />

argentea.<br />

I semi sono piccoli (lunghi<br />

3-5 mm e larghi 2-3 mm),<br />

ovali o allungati, irregolari,<br />

di color marrone<br />

rossiccio, a superficie depressa,<br />

con ala marginale<br />

rudimentale ridotta ad una<br />

cresta. L’ilo è chiaro,<br />

oblungo e posto all’estremità<br />

della faccia basale<br />

dei semi. Verso la base del<br />

seme si trovano anche alcune<br />

borse resinifere quasi<br />

completamente rac-<br />

Fig. 8) Macrosporofilli in vari stadi di sviluppo; Fig. 9) Galbule di 3 mesi di età; Figg. 10-11-12) Galbule a vari stadi di<br />

sviluppo. I coni maturi si aprono rimanendo sui rami e lasciando cadere i piccoli semi; Fig. 13) Semi contenuti in una<br />

galbula. Ciascuna galbula può produrre 80-100 semi.<br />

15


chiuse nel tegumento. Il peso di 1000<br />

semi è di circa 5-8 grammi.<br />

La germinazione è facile ma lenta.<br />

La plantula ha 2 cotiledoni lunghi 12-<br />

14 mm, larghi 1,5-2 mm, appiattiti e<br />

di color verde brillante sulla pagina<br />

inferiore. I cotiledoni non sono<br />

provvisti di canali resiniferi ed hanno<br />

gli stomi solo nella pagina superiore.<br />

L’ipocotile è di colore rosso ocraceo<br />

(Fig. 14).<br />

Ritidoma<br />

Il ritidoma sul tronco è dapprima sottile,<br />

liscio, e con l’età diviene marrone<br />

- grigio chiaro, leggermente solcato<br />

longitudinalmente, fibroso, persistente,<br />

mai spesso (Fig. 15). All’interno il<br />

ritodoma è bruno-rossastro e fortemente<br />

appressato alla corteccia. Nei<br />

rami principali è simile a quello del<br />

fusto, ma più irregolare, più scuro,<br />

tendente al bruno e meno compatto;<br />

la parte superficiale può infatti staccarsi<br />

in pezzi fibrosi.<br />

16


Apparato radicale<br />

L’apparato radicale è ben sviluppato, definito “a polipo” (Fig. 16). È superficiale ma fornisce un buon<br />

ancoraggio. Nelle radici è stata constatata la presenza di micorrize endotrofiche, abbondanti nelle cellule<br />

degli strati corticali interni.<br />

Legno<br />

Il legno è a grana fine, omogeneo, compatto, privo di canali resiniferi, aromatico, con raggi uniseriati molto<br />

sottili (Fig. 17). Il duramen ha colore bruno chiaro, l’alburno è bianco giallastro. La densità media è di 0,61<br />

17


ed è facilmente lavorabile. Il legno di cipresso è estremamente durabile (soprattutto sott’acqua) ed è<br />

considerato imputrescibile e inattaccabile da insetti e funghi.<br />

Distribuzione<br />

L’areale autoctono del cipresso comune è proprio delle zone montuose semiaride del sud-est della regione<br />

mediterranea (Fig. 18). L’area di diffusione originale è assai estesa ma molto frammentaria e spesso si<br />

incontrano relitti storici o boschi molto degradati in avanzata regressione ad opera dell’uomo (disboscamenti,<br />

pascolo, incendi). Le manifestazioni attuali sono mere reliquie di<br />

boschi molto estesi in passato e scomparsi in epoca storica. Boschi<br />

naturali si trovano in Iran dove a nord è presente la var. indica<br />

Royle nei pressi di Rasht, ad est presso Gorgan, a nord sulle<br />

Silhouette di esemplari adulti di C.<br />

sempervirens var. horizontalis vegetanti<br />

sulla Montagna Verde (Jebel Akhdar)<br />

in Cirenaica.<br />

montagne di Elbruz e a sud nella zona del Golfo Persico di Firuzabad; in Turchia (Tauro meridionale, Anatolia<br />

centrale, Bitinia e Cilicia) dove vive tra i 1100 ed i 2000 m di quota; nel Libano tra 1100 e 1700 m; in Siria; in<br />

Palestina dove rimangono due boschi naturali ad est del fiume Giordano, uno a Gilead, l’altro nelle zone<br />

montuose di Edom; a Cipro fino a 1000 m dove forma vaste e dense foreste nelle montagne a nord dell’isola<br />

alla quale si dice abbia dato anche il nome; a Creta dal livello del mare fino a 1600 m (dove manifesta il<br />

massimo range di distribuzione altitudinale); nel sud della Grecia (M. Parnaso e Peloponneso meridionale) e<br />

nelle isole egee (Rodi, Samos, Leukos e Milos fino a 1500 m di altitudine); in Cirenaica (Libia) sul Jebel<br />

Akhdar (Montagna Verde) dove raggiunge dimensioni colossali (30-35 m di altezza e 80-100 cm di diametro)<br />

(Fig. 19); in Tunisia nella<br />

zona della dorsale<br />

tunisina (Kanguet ez<br />

Zelga, Jb. Kessere, Lb.<br />

Essatour) e Maktar dove<br />

è presente la forma<br />

numidica (Fig. 20).<br />

Mentre le foreste naturali<br />

furono oggetto di<br />

sfruttamento intenso, il<br />

cipresso fu esteso e coltivato<br />

in tutti i paesi<br />

circummediterranei a<br />

scopo soprattutto religioso-ornamentale.<br />

18


In Grecia oltre che nelle zone già menzionate dove è autoctono, il cipresso è diffuso pressochè in tutto il<br />

resto del paese. Nelle isole ioniche (Cefalonia, Zacinto, Lefkada e Corfù) esistono formazioni seminaturali.<br />

Negli altri paesi del sud Europa la sua presenza è esclusivamente antropogenica. In Italia, considerata la<br />

seconda patria del cipresso, è diffuso e naturalizzato nella zona del Lauretum e della sottozona calda del<br />

Castanetum. Gruppi di cipresso si possono osservare lungo tutto il litorale tirrenico dalla Liguria fino alla<br />

Calabria e alla Sicilia. Le zone dove è maggiormente diffuso e coltivato sono la Toscana (provincie di<br />

Firenze, Siena, Pisa), l’Umbria, sui Colli Euganei e attorno ai maggiori laghi del nord Italia (lago di Garda<br />

specialmente). In Italia centrale si trova fino a 500-700 m di quota, mentre nel meridione e nelle isole si<br />

può trovare anche fino ad 800 m s.l.m. In Francia è diffusissimo in Linguadoca e Provenza. In Portogallo<br />

è diffuso in piccoli gruppi sparsi in tutto il paese, ed è usato come specie ornamentale o per la costituzione<br />

di siepi frangivento. In Spagna è stato introdotto recentemente ed è quasi esclusivamente localizzato nei<br />

pressi degli edifici religiosi (monasteri o cimiteri) o in parchi e giardini (La Alhambra di Granada). Sempre<br />

in Spagna dagli inizi del 1900 è stato piantato come frangivento; ancora più recentemente sono nati i primi<br />

impianti forestali.<br />

Oggigiorno si può trovare il cipresso comune nei cinque continenti essendo stato introdotto in Arabia,<br />

India, Cina, Vietnam, Sud Africa, Oceania, Cile ed altre località delle Americhe, in Europa fino in Irlanda,<br />

Scozia ed Inghilterra, e nelle Azzorre, Canarie, ecc.<br />

Ecologia<br />

La specie è adattata a climi con distribuzione delle precipitazioni molto irregolari. Il cipresso si caratterizza<br />

anche per la grande capacità di regolare la traspirazione, infatti le foglie sono abbondantemente ricoperte<br />

di cere e sono di piccole dimensioni, squamiformi, embricate ed appressate le une alle altre, con numero di<br />

stomi ridotto. Inoltre l’elevato potenziale osmotico che contraddistingue il cipresso gli permette di mantenere<br />

un metabolismo ridotto al minimo per molto tempo e ciò gli permette di sopravvivere per lunghi<br />

periodi siccitosi. Il cipresso è in grado di riprendere assai velocemente l’attività vegetativa quando le<br />

condizioni idriche lo permettono. Infatti in climi freschi si comporta come una specie a rapido accrescimento<br />

ed a crescita continua. Considerando l’insieme delle proprie caratteristiche ecologiche il cipresso<br />

può essere quindi classificato specie xerofila, dotata di estrema rusticità ed assai plastica. Riesce a sopravvivere<br />

anche in stazioni con piovosità di soli 200 mm/anno, anche se per stabilirvisi necessita di annate<br />

più piovose. L’optimum vegetazionale si ha comunque dove le precipitazioni sono comprese tra i 700 ed i<br />

1200 mm/anno con siccità estiva ben marcata. Per far fronte alla siccità edafica, il cipresso non reagisce<br />

cercando acqua in profondità ma sviluppa enormemente e superficialmente il proprio apparato radicale<br />

per assicurarsi un approvvigionamento idrico immediato e sufficiente in caso di precipitazioni anche scarse.<br />

La superficialità dell’apparato radicale sembrerebbe indicare anche una certa necessità di aerazione.<br />

E’ specie relativamente termofila anche se le zone di origine sono localizzate preferibilmente in montagna.<br />

La specie è sensibile ai freddi in gioventù, mentre quando è allo stato adulto può sopportare temperature<br />

abbastanza rigide. Puric (1967) riporta che a Belgrado tutti gli esemplari di C. sempervirens di un viale<br />

avevano sopportato senza danni anche temperature di -20°C.<br />

La resistenza al calore è ammirevole, tollerando le massime estive delle più calde zone mediterranee. I<br />

boschi spontanei residui si collocano nel piano mediterraneo semiarido sottozona temperata o fredda. Il<br />

cipresso è una specie molto plastica rispetto alla natura del suolo, può vegetare anche su terreni argillosi,<br />

scistosi e rocce eruttive. E’ capace di sopravvivere anche su suoli pietrosi, scheletrici, aridi o compatti. Il<br />

cipresso sopporta anche terreni con calcare attivo non accusando fenomeni di clorosi (carenza di ferro).<br />

Soffre solo terreni sabbiosi sciolti ed i terreni ad elevato ristagno idrico. Il cipresso produce un abbondante<br />

lettiera che però non migliora le caratteristiche fisico-chimiche del suolo. La mancanza di copertura morta<br />

secca al suolo e la scarsità della vegetazione erbacea e arbustiva del sottobosco delle cipressete riduce i<br />

rischi e la diffusione degli incendi. Anche nei confronti della reazione del suolo il cipresso è assai ubiquitario<br />

incontrandosi sia su terreni acidi che basici. La rinnovazione nei boschi naturali non è elevatissima ma<br />

migliora negli anni piovosi; i semenzali prediligono la protezione degli stessi individui adulti circostanti<br />

19


durante i primi anni di vita. Nei confronti della luminosità, il cipresso<br />

è classificato specie eliofila o di mezz’ombra. Il cipresso<br />

ha inoltre una notevole capacità di rigenerazione della chioma<br />

che gli permette di superare danni acuti da aerosol marino, gelo,<br />

siccità, e morso del bestiame. Nei giovani individui questa sorprendente<br />

attitudine a ricostituire rapidamente la parte epigea ogni<br />

qualvolta venga sottoposto a potature anche energiche e mutilatrici<br />

è assai nota e sfruttata nel giardinaggio per formare siepi o pareti<br />

verdi (Ars topiaria) (Figg. 21-22).<br />

Il cipresso si è anche dimostrato resistente all’inquinamento atmosferico,<br />

in grado di tollerare concentrazioni di SO 2 e fluoruri<br />

maggiori rispetto ad altre specie arboree come il castagno, il noce<br />

e il pino domestico.<br />

Il cipresso comune (C. sempervirens var. stricta) ha la particolarità di essere così avvolto dalla vegetazione da apparire<br />

come privo di rami. Tale pecularietà viene evidenziata maggiormente nell’arte topiaria.<br />

20


Nei boschi naturali la forma orizzontale è quella dominante (Fig. 23). In natura il cipresso generalmente<br />

non costituisce popolamenti puri eccetto nell’isola di Creta dove forma boschetti monospecifici o in associazione<br />

con Acer sempervirens L. A Cipro si associa col pino d’Aleppo, a Rodi con il pino Bruzio così<br />

come in Siria dove si mescola anche con specie tipiche dell’alta macchia mediterranea. In Turchia si trova<br />

assieme a Pinus brutia, Pinus nigra e Cedrus libani.<br />

Non ricaccia né dalla ceppaia né dalle radici ma è dotato di eccezionale longevità. Nei boschi residuali non<br />

sono rari esemplari di 200-500 anni. Si stima che le sue capacità di sopravvivenza arrivino potenzialmente<br />

a qualche migliaio di anni. Tra i più vecchi cipressi europei si annoverano: i cipressi di Santoroso a Schio<br />

(Vicenza) piantati per ricordare la morte di Orso, Principe di Carlo Magno undici secoli fa, il cipresso di S.<br />

Francesco nel Convento dei francescani di Verrucchio (Forlì), piantato dal Santo nel 1213 ed il cipresso<br />

millenario di Somma Lombarda.<br />

Cupressus sempervirens var. horizontalis nel suo habitat naturale in Turchia.<br />

21


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Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste.<br />

22


GESTIONE SELVICOLTURALE DEI BOSCHI DI CIPRESSO<br />

IN AREE NATURALI E NATURALIZZATE<br />

Antonio Faini (1) , Gianni Della Rocca (2)<br />

Boschi naturali di cipresso<br />

Occorre innanzitutto fare una distinzione tra le aree naturali, dove il cipresso è autoctono, e le aree<br />

naturalizzate dove il cipresso, introdotto da tempi lontani, si è ben adattato ed è quindi in grado di<br />

riprodursi.<br />

Sulle remote montagne semi-aride di Iran, Turchia, Grecia continentale, Creta e Cipro si trovano le maggiori<br />

formazioni naturali di cipresso, ultimi lembi quasi inaccessibili di estesi boschi che dovevano, in<br />

passato, ricoprire vaste zone delle montagne di tutti i paesi che si affacciano sul bacino del mediterraneo.<br />

Queste foreste spesso si presentano poco dense, crescono in condizioni ecologiche limite anche per il<br />

rustico cipresso di cui è presente esclusivamente la var. horizontalis.<br />

L’importanza ambientale e naturalistica di questi boschi, se pur relitti di cipressete ben più ampie delle<br />

attuali, è oggi considerevole; il loro patrimonio genetico è una garanzia irrinunciabile per il futuro della<br />

specie. Solo recentemente molti di questi boschi sono stati inclusi in parchi o riserve biogenetiche e messi<br />

sotto tutela dalle competenti autorità dei rispettivi paesi; tuttavia si deve far fronte ancora a pressioni<br />

antropiche che, se pur diminuite rispetto al passato, non sono cessate; tagli abusivi, incendi dolosi e pascolo<br />

di frodo sono ancora praticati, se pur con minore intensità.<br />

L’attività selvicolturale in queste aree è da considerarsi sporadica o limitata talvolta a tagli sanitari a tutela<br />

e conservazione di questi boschi.<br />

Boschi naturalizzati di cipresso<br />

Il cipresso si trova naturalizzato in molte aree della Grecia continentale, nelle isole Cicladi e Ioniche, in<br />

molte zone della Turchia, in quasi tutta la zona costiera nord africana, in Portogallo, Spagna, Francia e<br />

soprattutto in Italia (Fig. 1). Le caratteristiche ecologiche del cipresso, la sua rusticità, l’ubiquitarietà, il<br />

pionierismo e la plasticità, giustificano perfettamente perché questa specie sia stata, nei secoli, tanto<br />

diffusa e coltivata verso<br />

occidente e perché<br />

essa si sia ben adattata<br />

in molti paesi. In<br />

quelli mediterranei, il<br />

cipresso ha assunto e<br />

assume una grande<br />

importanza forestale, e<br />

risulta addirittura quasi<br />

insostituibile quando<br />

si debbano affrontare<br />

problemi di rimboschimento<br />

in zone caldoaride<br />

e su terreni poveri<br />

e argillosi, degradati,<br />

erosi, in stato<br />

Fig. 1<br />

regressivo, in aree<br />

marginali e calanchive.<br />

(1) Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale, Firenze<br />

(2) Istituto per la Protezione delle Piante del CNR, Firenze<br />

23


La selvicoltura del cipresso<br />

In Italia non sono presenti boschi naturali di cipresso. Cipressete di piccola estensione si trovano sulle<br />

colline costiere tirreniche, dalla Liguria alla Calabria ed in Sicilia (Fig. 2); quelle più ampie e produttive<br />

sono localizzate in Italia centrale soprattutto in Toscana vicino a Firenze, Siena e Pisa dove il cipresso<br />

assume una grande importanza anche dal punto di vista paesaggistico, diventando uno degli alberi simbolo<br />

della Regione.<br />

In Toscana i boschi di cipresso o a prevalenza di cipresso occupano in totale 4960 ettari (IFRT 91) di cui:<br />

- fustaie coetanee ha 1952<br />

- fustaie disetanee ha 16<br />

- fustaie irregolari ha 1936<br />

- fustaie giovani ha 272<br />

- rimboschimenti ha 784<br />

Da evidenziare nel comune di Fontegreca (Caserta) la presenza di una cipresseta (Fig. 3) di 70 ettari già<br />

Fig. 2 - Cipresseta in provincia di Enna.<br />

segnalata a partire dal 1506 e meglio conosciuta come “il bosco degli Zappini”. Non è chiara la sua origine<br />

ma rappresenta l’unico esempio in Italia di formazione boschiva costituita eslusivamente da individui della<br />

var. horizontalis. Il progetto CypMed ha come obbiettivo quello di evidenziare, basandosi su marcatori<br />

genetici, la diversità genetica o meno di questa popolazione con quella delle aree naturali. In Italia settentrionale<br />

il cipresso si trova per lo più intorno ai laghi il cui microclima favorevole garantisce il suo sviluppo.<br />

Tecniche selvicolturali<br />

Importanti specie forestali, conifere e latifoglie come pini, abeti, faggio, castagno e querce, sono state<br />

oggetto, ormai da molti decenni, di approfonditi studi e ricerche selvicolturali che hanno consentito di<br />

mettere a punto specifiche tecniche di gestione dei boschi di queste specie, molto diffusi nelle varie regioni<br />

italiane.<br />

Per quanto concerne il cipresso, fino ad oggi utilizzato prevalentemente per finalità protettive in<br />

rimboschimenti di alcune aree difficili, per ornamento, per alberature urbane e periurbane trascurando, a<br />

torto, le sue potenzialità produttive di ottimo legno, non esistono indirizzi e norme selvicolturali definite e<br />

consolidate, basate su studi e metodologie da applicare alle piantagioni di cipresso per migliorare il prodotto<br />

“legno”.<br />

24<br />

Fig. 3 - Cipresseta di Fontegreca<br />

(Caserta).


Tipologie di boschi di cipresso<br />

Arretini e Cappelli (1998) distinguono diverse tipologie di boschi di cipresso:<br />

- cipressete pure disetanee e coetanee,<br />

- cipressete miste suddivise in boschi coetanei e disetanei.<br />

La cipresseta pura disetanea rappresenta la condizione climax del cipresso in molte zone del proprio<br />

areale di indigenato e nelle aree dove si è naturalizzato; a questa condizione tendono, col tempo, anche<br />

gli impianti artificiali realizzati in condizioni di suolo arido, quasi denudato con rocce affioranti in cui<br />

sono poche le specie erbacee ed arbustive che accompagnano il cipresso.<br />

La cipresseta pura coetanea è invece sempre di origine artificiale e deriva da rimboschimenti recenti.<br />

Le cipressete miste comprendono tipologie assai diverse tra loro con proprie caratteristiche floristicovegetazionali;<br />

quelle coetanee, sempre di origine artificiale, sono il risultato di rimboschimenti realizzati<br />

in terreni di buona fertilità, tali da poter permettere la consociazione del cipresso con altre specie come:<br />

- il pino marittimo e il pino domestico su terreni silicei, su galestri e scisti marnosi;<br />

- il pino d’Aleppo nelle zone più calde e nei terreni calcarei;<br />

- il pino nero e pino laricio, il cipresso dell’Arizona e lusitanica oppure il cedro dell’Atlante e cedro<br />

deodara.<br />

Talvolta nelle piantagioni si eseguivano anche semine di leccio, roverella o cerro; in alcune cipressete si<br />

poteva diffondere naturalmente l’orniello e, meno frequentemente, l’olmo campestre, il carpino nero e<br />

alcuni aceri.<br />

Maggiormente rappresentativi sono i boschi misti disetanei di cipresso con specie quercine (cerro,<br />

roverella e leccio), sottoposte a ceduazioni. Assieme al pino domestico, impiantato per produzione di pinoli<br />

e per la resina, i cipressi costituiscono una specie (componente) importante dei cedui coniferati per eccellenza<br />

in Toscana, nonché dei cedui composti (soprassuoli forestali con coesistenza del ceduo e della<br />

fustaia) in cui le matricine sono costituite sia da buoni soggetti di querce che da cipressi. L’abbandono o la<br />

riduzione di pratiche selvicolturali (es. le ceduazioni) in queste formazioni forestali ha portato spesso alla<br />

rarefazione del cipresso dovuta per lo più alla forte concorrenza naturale esercitata delle altre specie<br />

forestali.<br />

Forma di governo, turno e trattamento:<br />

Le fustaie disetanee e/o coetanee, pure e/o miste, rappresentano le forme di governo applicabili alle<br />

formazioni forestali di cipresso.<br />

Fino ad oggi l’utilizzo delle cipressete è avvenuto solo occasionalmente con piccole tagliate regolando<br />

l’intensità dei tagli in base al tipo di bosco, allo sviluppo della cipresseta e al progresso della rinnovazione,<br />

secondo turni di utilizzazione, cioè di taglio delle piante “mature”, di 60-80 anni che dipendono da vari<br />

fattori come le esigenze produttive dell’azienda, l’andamento del mercato del legno, gli assortimenti legnosi<br />

richiesti, la fertilità della stazione.<br />

A titolo indicativo per cipressete di età superiore ai 50 anni possono essere proposte le seguenti classi di<br />

fertilità (I.F.R.T. 1991):<br />

o I classe 20-23 metri di altezza media<br />

o II classe 16-19 metri di altezza media<br />

o III classe 13-19 metri di altezza media<br />

Nel bosco di cipresso puro disetaneo il taglio saltuario classico, sembra essere la forma di trattamento<br />

più appropriata da ripetere ogni 15 anni o più, in relazione alle condizioni stazionali con rilascio di una<br />

provvigione maggiore di 70 m3 /ha. (Arretini e Cappelli, 1998).<br />

Bernetti (1987) indica per la Toscana che in cipressete di circa 100 anni potrebbero essere praticati tagli<br />

prelevando quantità non superiori a 20-30 m3 ad ettaro da ripetersi ogni 15-30 anni sulla stessa parcella. I<br />

tagli dovrebbero essere eseguiti in quelle aree dove la presenza di rinnovazione del cipresso possa garantire<br />

la sostituzione delle piante abbattute, altrimenti occorrerebbe procedere alla piantagione artificiale.<br />

25


Nel bosco puro coetaneo è da escludere il taglio raso che avrebbe ripercussioni estremamente<br />

negative da un punto di vista idrogeologico e sul paesaggio. Solo in tarda età, a seconda della dinamica<br />

evolutiva del bosco, si potrà valutare eventualmente l’applicazione di moderati tagli di orientamento che<br />

dovranno tendere verso la costituzione di un bosco disetaneo o di un bosco misto, nel caso sia presente la<br />

rinnovazione naturale di altre specie.<br />

Il trattamento delle cipressete miste coetanee non dovrebbe essere molto diverso da quello riservato ai<br />

boschi misti coetanei. Nel caso il cipresso sia la specie che si vuole valorizzare, bisogna tenere conto che<br />

in genere l’incremento in altezza del cipresso, rapido per primi 10-15 anni, diventa poi lento ed è quasi<br />

insignificante dopo i 40 anni; pertanto dopo 35-40 anni bisogna evitare che il cipresso rimanga in una<br />

posizione dominata che ne impedirebbe un’ulteriore crescita.<br />

Nelle cipressete miste coetanee si sconsiglia l’uso di un turno fisso e vengono invece suggeriti diradamenti<br />

prudenti e selettivi da eseguire periodicamente, senza schemi prestabiliti, avendo cura ogni volta di verificare<br />

e prendere in considerazione l’effetto dell’intervento precedente. I tagli dovranno:<br />

- dare stabilità al soprassuolo;<br />

- eliminare piante morte, malate o deperienti (tagli sanitari);<br />

- creare condizioni favorevoli alla progressiva rinnovazione delle specie.<br />

Con i tagli, oltre a salvaguardare prioritariamente il cipresso, si dovranno preservare le latifoglie, si dovrà<br />

mantenere e favorire lo sviluppo del sottobosco ed eliminare eventuali specie invadenti. Tali interventi<br />

selvicolturali in questi soprassuoli hanno anche<br />

un’importantissima funzione di protezione<br />

idrogeologica e ambientale; ogni intervento di taglio<br />

a raso con rinnovazione artificiale posticipata<br />

è da escludere perché potrebbe innescare importanti<br />

fenomeni regressivi.<br />

Nei casi di cipressete miste disetanee è applicabile<br />

il taglio saltuario con diametro di recidibilità di 22-<br />

30 cm e periodi di curazione (intervallo di tempo<br />

fra i tagli) di 10-15 anni crescenti con il diminuire<br />

della fertilità della stazione. L’importante è valutare<br />

alcune caratteristiche delle latifoglie presenti<br />

(età, sviluppo vegetativo e densità) che, se rile-<br />

vanti, potrebbero far pensare a soprassuoli ormai<br />

orientati a divenire dei boschi di latifoglie da trattare<br />

anche a scapito del cipresso.<br />

Per la realizzazione degli interventi selvicolturali<br />

Fig. 4 - Cipresseta di Monte Morello (Firenze).<br />

indicati è comunque sempre necessario verificarne l’ammissibilità da parte di Regolamenti Forestali, Prescrizioni<br />

di Massima e di Polizia Forestale o altre norme in materia.<br />

Rinnovazione naturale: la rinnovazione del cipresso avviene gradualmente e si avvantaggia di un moderato<br />

ombreggiamento, che mantiene una maggiore umidità del suolo, e di substrati particolari, come terreni<br />

erosi e/o sassosi con poche erbe, dove altre specie forestali, meno rustiche, possono incontrare serie<br />

limitazioni per rinnovarsi naturalmente. La presenza di un cotico erboso denso può favorire anche la<br />

rinnovazione di altre specie forestali (specie quercine, orniello ecc.) che possono limitare fortemente lo<br />

sviluppo e l’affermazione dei giovani cipressi (Bernetti, 1987).<br />

Rimboschimenti: molti rimboschimenti con cipresso, puro o misto con pino nero, pino d’aleppo, cedro<br />

dell’atlante o altre specie, sono stati realizzati a partire dal 1800 ed hanno interessato in genere aree<br />

marginali con terreni poveri. In Toscana il primo rimboschimento con cipresso venne fatto nella prima<br />

metà dell’ottocento dal conte Bourbon del Monte alla fattoria Le Falle fra le località Sieci e Compiobbi<br />

vicino a Firenze su suoli calcarei; altri rimboschimenti realizzati in Regione (es. Monte Morello) hanno<br />

fatto scuola e sono serviti per lo più per valorizzare i terreni peggiori, in particolare quelli calcarei con suoli<br />

26


superficiali, dove il cipresso è stato piantato per fini produttivi e protettivi, con distanze di impianto piuttosto<br />

strette, circa 2x2 m.<br />

Successivamente sono stati effettuati altri rimboschimenti nelle colline calcaree del veronese, nella regione<br />

gardesana, nelle Marche e in Umbria. Anche nel Mezzogiorno si hanno degli esempi molto ben riusciti<br />

come a Monte Pellegrino vicino Palermo, in provincia di Ragusa, nella foresta di Badia di Paola in Calabria<br />

e nel sud della Sardegna.<br />

Cure colturali: in genere le cipressete non sono state sottoposte a cure colturali ed i diradamenti sono stati<br />

lasciati alla selezione naturale ed alle “vicissitudini di un bosco in stazione scadente” (Bernetti,1995). In<br />

quelle pure coetanee con una densità di 2000-2500 p/ha in passato erano talvolta previsti, a partire da 20-30<br />

anni, diradamenti moderati per avere una densità finale di circa 800-1200 p/ha. I diradamenti, oltre a<br />

favorire l’accrescimento diametrico delle piante, possono rappresentare anche uno strumento di bonifica<br />

delle cipressete nei casi in cui vengono eliminate anche le piante attaccate da cancro.<br />

Potature di produzione possono essere praticate solo su piante promettenti, cioè sane, con tronco dritto<br />

e ben conformato, al fine di contenere i nodi nei primi 8-10 cm di fusto, per un altezza di almeno 2,5-3 m,<br />

e per migliorare notevolmente la qualità del legno; tali interventi aumentano però i rischi di attacchi di<br />

cancro.<br />

Produzioni: le produzioni legnose di cipressete realizzate su terreni marginali sono in genere limitate:<br />

- una cipresseta di 80 anni con una densità di 800-1200 piante ettaro, con altezza media di 15-20<br />

metri e diametro medio di 20-25 cm può avere una massa commerciale di 150-300 m 3 /ettaro<br />

(Pavari, 1934);<br />

- cipressete delle colline a nord di Firenze, di 40-50 anni di età, con diametri medi modesti e con<br />

rare piante più alte di 18 metri, difficilmente superano i 100 m 3 /ettaro (Poggesi, 1976);<br />

- cipressete coetanee in stazioni favorevoli di 60-80 anni presentano incrementi medi annui di 2-3<br />

m 3 , che scendono a 1,5-2 nelle cipressete disetanee in peggiori condizioni. In terreni particolarmente<br />

fertili gli incrementi possono raggiungere i valori di 8-9 m 3 /anno (DREAM).<br />

Boschi da seme<br />

I boschi da seme sono, per definizione, formazioni preferibilmente autoctone o naturalizzate, di estensione,<br />

età e struttura tali da assicurare una buona impollinazione incrociata e abbondante fruttificazione. Altre<br />

caratteristiche dei boschi da seme sono quelle di essere stati selezionati perché formati da piante vigorose<br />

ed esenti da attacchi parassitari, con buone e costanti caratteristiche morfologiche e produttive. Con<br />

Legge n° 269/73 è stato istituito il libro nazionale dei boschi da seme (LNBS) per la produzione di seme<br />

certificato, per le qualità sopra elencate, in modo da coprire il fabbisogno nazionale; la suddetta legge è<br />

stata abrogata con nuovo decreto legislativo del 10-11-2003 n° 386 “attuazione della Direttiva 1999/105/<br />

CE, relativa alla commercializzazione dei materiali forestali di moltiplicazione”. Per quanto riguarda il<br />

Cupressus sempervirens i boschi da seme istituiti sono tre, tutti in Toscana; due sono situati in provincia<br />

di Firenze (Val Marina-Calenzano, Sesto F.no) e uno in provincia di Siena (Sant’Agnese-Castellina in<br />

Chianti). La Regione Toscana, in applicazione della propria Legge Forestale n° 39/2002 e s.m. ed in<br />

particolare dell’art. 78, che prevede l’istituzione del Libro Regionale dei Boschi da Seme, sta procedendo<br />

a verificare le congruenza delle caratteristiche di tali boschi da seme di cipresso con i requisiti di idoneità<br />

richiesti dalla suddetta direttiva europea.<br />

Gli interventi realizzabili in questi tipi “speciali” di boschi devono essere estremamente limitati e dovrebbero<br />

tendere a favorire le piante con caratteristiche adatte (“piante plus”) e la rinnovazione qualora ve ne sia<br />

bisogno; essi consistono essenzialmente nel taglio di alcuni soggetti deperienti o malati, oppure che non<br />

presentino le caratteristiche qualitative desiderate. In realtà molti di questi boschi sono lasciati quasi<br />

sempre all’evoluzione naturale e gli interventi di taglio fitosanitario sono stati realizzati con lo scopo di<br />

bonificare il bosco dalla presenza del cancro. Uno dei pericoli per questi boschi è l’inquinamento genetico<br />

dovuto all’afflusso di polline da altri boschi vicini di peggiori caratteristiche.<br />

27


Bibliografia<br />

ALEXANDRIAN D., 1992. Essences forestieres. Guide technique du forestier méditerranéenne français.<br />

Cemagref, Aix-en-Provence.<br />

ARRETINI C., CAPPELLI F., 1998. Aspetti selvicolturali delle cipressete. In: Il nostro amico cipresso, a<br />

cura di Roversi P.F. e Covassi M.V. Atti della giornata di studio e aggiornamento sulle avversità del<br />

Cupressus sempervirens L., Firenze 14 Maggio 1998.<br />

AA.VV., 1990. Selvicoltura e dendrometria. Ed. DREAM, Ponte a Poppi (AR), pp. 91-93.<br />

AVENA G., 1966. Il cipresso. L’Italia Forestale e Montana, 4: 218-230.<br />

BERNETTI G., 1987. I Boschi della Toscana. Quaderni di Monti e Boschi n° 4 . Ed. Giunta Regionale<br />

Toscana-Edagricole, Bologna, pp 139-143.<br />

BERNETTI G., 1995. Selvicoltura speciale UTET (Torino).<br />

DE PHILIPPIS A., BERNETTI G., 1990. Selvicoltura speciale. Cusl Firenze, pp. 223.<br />

GAMBI G., 1983. Le cipressete. Scheda in Monti e Boschi, 5.<br />

GELLINI R., GROSSONI P., 1996. Botanica forestale. Vol. I. Ed. CEDAM, Padova , pp. 229-237.<br />

PAVARI A., 1931. Il cipresso. L’Alpe, 6: 331-342.<br />

PAVARI A., 1954. Cipresso. In Monti e Boschi, numero speciale dedicato alle conifere italiane, 11/12:<br />

565-570.<br />

POGGESI A., 1976. L’opera di rimboschimento sui colli fiorentini. Provincia di Firenze. Collana di studi<br />

su problemi urbanistici 4.<br />

REGIONE TOSCANA GIUNTA REGIONALE, 1998. Boschi e macchie di Toscana. I tipi forestali.<br />

Edizione Regione Toscana, pp. 358.<br />

TUSET BARRANCHINA J.J., HINAREJOS MONTERO C., 1995. Enfermedades del cipres. Ediciones<br />

Mundi-Prensa, pp. 70.<br />

28


NOTE SULLA SELVICOLTURA DEL CIPRESSO IN PORTOGALLO<br />

Varela J. (1) , Santos N. (1) , Frutuoso A. (1) , Caetano F. (2) , Ramos P. (2)<br />

Distribuzione<br />

Le specie del genere Cupressus non sono autoctone in Portogallo. Le specie più comuni sono il Cupressus<br />

lusitanica Miller (detto cipresso di Buçaco o cedro di Buçaco) e il Cupressus sempervirens L. (cipresso<br />

comune), utilizzate per fini protettivi del suolo e ornamentali (in particolare nei giardini delle case signorili)<br />

e piantate nei cimiteri, soprattutto il cipresso comune, e associate a monumenti e luoghi sacri.<br />

Il Cupressus lusitanica, la specie più diffusa nel nostro paese, ed originaria del Messico è stata introdotta<br />

in Portogallo fin dalle scoperte portoghesi d’oltre mare. Questa specie si è adattata molto bene nelle zone<br />

centro-settentrionali del Portogallo, trovando le migliori condizioni di sviluppo nelle aree ecologiche con<br />

una forte influenza atlantica, perché è particolarmente sensibile alla ridotta umidità relativa dell’aria in<br />

estate.<br />

Tuttavia, il C. lusitanica può tollerare condizioni di estrema aridità del suolo. È sovente consociato con la<br />

quercia nelle zone temperate-umide, continentale arida e fredda e umida-calda . Attualmente, questa<br />

specie è molto utilizzata per fini forestali oltre che per fini ornamentali e per filari di protezione (fasce<br />

frangivento) in agricoltura.<br />

Il cipresso comune è diffuso nei bioclimi mediterranei e semi-aridi o subumidi ad eccezione di quelli con<br />

inverni freddi. Il cipresso comune è utilizzato per impianti frangivento per la protezione di colture e per<br />

piantagioni forestali per la produzione di legno o come protezione del suolo, per impianti ornamentali (in<br />

particolare la varietà pyramidalis, fastigiata) soprattutto nei cimiteri.<br />

In termini selvicolturali, l’uso di queste specie nel corso del tempo è molto ridotta in Portogallo.<br />

La sua diffusione interessa solo alcune zone situate a Buçaco (Foresta pubblica), nelle montagne di Sintra<br />

e di Montejunto, nel Parco Forestale di Monsanto (a Lisbona) e a Reboredo (Foresta pubblica purtroppo<br />

percorsa dagli incendi del 2003). Tuttavia, negli ultimi 20 anni, si è notato un incremento considerevole di<br />

nuove piantagioni di C. sempervirens e di C. lusitanica. Fra il 1994 e il 1999, sono state realizzate<br />

piantagioni, nell’ambito dei programmi comunitari, con una media di 670 ha/anno di Cupressus sempervirens,<br />

un po’ ovunque nel paese, soprattutto nella regione di Trás-os-Montes e Alto Douro e in Algarve. Si<br />

constata un interesse crescente per le specie di cipresso per la produzione di legno.<br />

Selvicoltura<br />

Oltre agli usi più comuni come piante ornamentali o come filari di protezione delle colture, i cipressi stanno<br />

suscitando un crescente interesse forestale. Per la loro alta rusticità e plasticità e per il loro adattamento<br />

ad una molteplicità di condizioni edaficoclimatiche i cipressi vengono impiegati per il rimbschimento di<br />

aree marginali. Oltre alla funzione protettiva i cipressi producono legno di buona qualità e di alta durabilità.<br />

La riduzione dei rischi di incendio in impianti di cipresso dovuta alla assenza quasi totale del sottobosco è<br />

ugualmente un fattore interessante, che potrà favorire il loro uso come specie di compartimentazione.<br />

Piantagione<br />

La piantagione dei cipressi per la costituzione di zone forestali può essere effettuata seguendo uno dei<br />

seguenti modelli:<br />

- costituzione di impianti forestali per la produzione di legno: piantagioni con distanze di impianto non<br />

superiori a 3m x 3m, corrispondenti ad un rimboschimento di 1.111 piante/ha.;<br />

(1) Direcção Geral das Florestas<br />

(2) Instituto Superior de Agronomia e Laboratório de Patologia Vegetal “Veríssimo de Almeida”<br />

29


- costituzione di piantagioni forestali miste, associando il cipresso ed il pino P. pinea, P. halepensis e P.<br />

sylvester. Le distanze di impianto possono variare fra 3m x 3m e 4m x 2,5m (queste ultime distanze sono<br />

consigliabili qualora si utilizzi il pino domestico, con alternanza delle specie su ogni fila).<br />

- separazione di piantagioni con altre specie: il cipresso può essere utilizzato per creare delle zone di<br />

discontinuità nelle piantagioni di pino domestico e di pino silvestre, così come nelle piantagioni di una sola<br />

specie di latifoglie (la quercia da sughero o l’eucalipto). Il Cupressus sempervirens può essere utilizzato<br />

nelle zone più aride e il Cupressus lusitanica nelle zone più umide (il C. lusitanica è sensibile alla scarsa<br />

umidità relativa dell’aria in estate).<br />

- costituzione di fasce di protezione (frangivento) seguendo uno schema di impianto che preveda distanze<br />

sulla fila fra 1m e 1,5m, molto spesso con una sola fila di impianto.<br />

Forma di governo/struttura della piantagione<br />

Le piantagioni di cipresso sono realizzate in Portogallo per formare delle fustaie pure o miste, con taglio<br />

raso e piantagione artificiale successiva, con tagli saltuari quando è possibile approfittare della rinnovazione<br />

naturale.<br />

Cure colturali<br />

Normalmente la densità delle piantagioni di cipresso è superiore a 1.100 piante/ha, secondo le caratteristiche<br />

produttive della stazione. Durante la fase giovanile delle piante bisogna diserbare per controllare gli<br />

arbusti e ridurre i rischi di incendio.<br />

Il tipo di ramatura è essenziale per avere un legno di buona qualità. I rami devono essere fini, lunghi ed<br />

inseriti perpendicolarmente al tronco. Bisogna fare attenzione alla ramatura e favorire la tendenza naturale<br />

dei cipressi a una debole autopotatura. La potatura dei rami deve interessare il terzo inferiore dell’altezza<br />

della pianta in particolare di quelle destinate ai tagli finali. La sramatura va fatta con molta prudenza per<br />

ridurre i rischi di cancro corticale da parte del fungo Seiridium cardinale (Wag) Sutton & Gibson.<br />

La sramatura andrà effettuata sulle piante meglio conformate eliminando quelle con fusto con andamento<br />

delle fibre a spirale, in vista di una densità finale di 600-800 piante/ha (nel caso del C. sempervirens la<br />

densità potrà arrivare fino a 900 piante/ha in certe condizioni; per quanto concerne il C. lusitanica le<br />

caratteristiche della chioma impediscono densità superiori a 600 piante /ha).<br />

La densità finale deve essere valutata in rapporto alle caratteristiche della stazione di riferimento. Se<br />

questa presenta condizioni ecologiche marginali e un’alta densità di piante, gli alberi non raggiungeranno<br />

dimensioni soddisfacenti, ma svolgeranno una migliore funzione protettiva del suolo.<br />

Il turno di taglio dei cipressi varia fra 60 e 80 anni. Per il C. lusitanica non bisogna superare i 60 anni,<br />

essendo alto il rischio di marciume al colletto.<br />

Turno<br />

Bisogna prevedere turni sempre superiori a 60 anni. Dopo il taglio finale, il cipresso può costituire piantagioni<br />

per rinnovazione naturale.<br />

Rinnovo delle piantagioni<br />

Il cipresso, in particolare il C. lusitanica, si rinnova naturalmente nelle condizioni edaficoclimatiche del<br />

Portogallo. Tuttavia la rinnovazione è molto modesta e deve essere integrata con semine o piantagioni<br />

localizzate, per avere un rimboschimento con una densità soddisfacente. Per il C. sempervirens la<br />

rinnovazione naturale è molto difficile, soprattutto nelle zone ombreggiate dalla chioma delle piante prima<br />

del loro taglio.<br />

La rinnovazione può essere aiutata e favorita attraverso tagli più localizzati che permettano di aprire delle<br />

chiarie dove è più facile l’insediamento della rinnovazione naturale che assicurerà un bosco disetaneo<br />

caratterizzato da una struttura meno regolare. In genere è necessario procedere ad impianti artificiali.<br />

30


Produzione di legno<br />

Il legno di cipresso è di eccellente qualità tecnologica e di grande durabilità naturale contro gli agenti<br />

responsabili della degradazione del legno.<br />

I cipressi possono produrre tronchi con dimensioni considerevoli, superando molto spesso i 40 cm di<br />

diametro (in particolare il C. lusitanica) e i 20 m di lunghezza utile.<br />

Il C. lusitanica, nelle condizioni favorevoli (parte atlantica a nord di Tage) può presentare una crescita<br />

superiore a quella del pino silvestre, fra 6 e 8 m 3 /ha/anno.<br />

Malgrado i rapidi accrescimenti iniziali, il C. sempervirens presenta uno sviluppo vegetativo più modesto,<br />

non superando, in media, 3 - 4 m 3 /ha/anno.<br />

Modello di gestione selvicolturale del Cupressus sempervirens<br />

per la produzione di legno (fonte: Correia & Oliveira, 1999)<br />

Bibliografia<br />

CORREIA A.V., OLIVEIRA A.C., . Principais espécies florestais com interesse para Portugal.<br />

Zonas de influência mediterrânica. Estudos e Informação - Direcção Geral das Florestas nº 318,<br />

DGF, Lisbonne, 1999, 119 pp.<br />

SALES LUÍS J., MONTEIRO M.L., GUERRA H., CAÑELLAS I., MONTERO G., DREYFUS P.,<br />

RADDI P., BROFAS G., BOSKOS L., 1999. Chap. 7. Crescimento e produção de povoamentos<br />

de Cupressus. In O Cipreste. Manual Técnico. Ed. Teisier du Cros, Studio Leonardo, Florence:<br />

97-107.<br />

TEISSIER DU CROS E., DUCREY M., BARTHELEMY D., PICHOT C., GIANNINI R., RADDI P.,<br />

ROQUES A., SALES LUÍS J., THIBAUT B. (eds.), 1999. Cypress. A practical handbook. Ed.<br />

Teissier du Cros, Studio Leonardo, Florence, 139 p.<br />

THIBAUT B., CARVALHO A., PARASKEVOPOULOU K., ZANUTTINI R., CHANSON B.,<br />

GÉRARD, J., 1999. Qualidade e utilização da madeira. In O Cipreste. Manual Técnico. Ed.<br />

Teissier du Cros, Studio Leonardo, Florence, 109-126.<br />

UVA J. S. (coord.), 2001. Inventário Florestal Nacional. Portugal Continental, 3ª revisão, 1995-<br />

1998, Relatório Final. Direcção de Serviços de Planeamento e Estatística, Direcção-Geral das<br />

Florestas, Lisbonne, 233 pp.<br />

31


PIANTAGIONI: TECNICHE DI IMPIANTO E POSTIMPIANTO<br />

Antonio Faini (*) , Moreno Moraldi (**)<br />

IMPIANTI FORESTALI E ARBORICOLTURA DA LEGNO CON CIPRESSO<br />

La progettazione degli impianti<br />

Le numerose piantagioni forestali, rimboschimenti e impianti di arboricoltura da legno, realizzati recentemente<br />

grazie anche alla disponibilità di incentivi finanziari messi a disposizione da vari regolamenti comunitari<br />

(Reg. CE 2080/92 e 1257/99), hanno dimostrato ancora una volta che una buona progettazione (Fig. 1)<br />

Fig. 1 - Ruolo del progettista (da: Buresti E. e Mori P., 2003)<br />

degli impianti costituisce uno degli elementi principali per la loro affermazione ed il loro sviluppo vegetativo.<br />

Il progettista, che può essere anche lo stesso soggetto che realizza l’impianto, dovrà quindi acquisire<br />

conoscenze su:<br />

• le caratteristiche ambientali locali come il microclima (temperature, precipitazioni, vento,<br />

neve, irregolarità del clima);<br />

• le caratteristiche dell’appezzamento come fattori geomorfologici (quota, esposizione pendenza,<br />

geologia e litologia) e fattori pedologici (pietrosità e rocciosità, erosione superficiale<br />

del terreno, drenaggio, profondità della falda, tessitura, pH, profondità del terreno esplorabile<br />

dalle radici), flora locale e specie indicatrici (es. l’ontano nero e il salice indicano la presenza<br />

di falde superficiali), presenza di fauna che si nutre di vegetali e presenza di patologie vegetali;<br />

(*) Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale, Firenze<br />

(**) UmbraFlor s.r.l. Azienda Vivaistica Regionale, Spello (PG)<br />

32


• le caratteristiche delle specie arboree ed arbustive potenzialmente impiegabili per l’area<br />

di impianto (Fig. 2);<br />

Fig. 2 (da: Buresti E. e Mori P., 2003)<br />

33


• le caratteristiche del contesto socio economico come ad es. le indicazioni degli enti delegati<br />

alla gestione del territorio che possono porre vincoli per la realizzazione di piantagioni forestali,<br />

la cultura inerente l’uso del cipresso per la caratterizzazione del paesaggio, i potenziali sbocchi<br />

di mercato dei prodotti legnosi, gli incentivi pubblici per le piantagioni forestali, la disponibilità<br />

di assistenza tecnica qualificata per una migliore gestione della piantagione;<br />

• le caratteristiche dell’azienda: il tipo di conduzione, la disponibilità e le competenza del<br />

personale da coinvolgere per la piantagione, la disponibilità di macchine ed attrezzature, gli<br />

obiettivi aziendali e gli obiettivi da perseguire con la piantagione, le richieste specifiche dell’imprenditore<br />

agricolo.<br />

Dall’attenta analisi di questi elementi caratteristici deriverà il modulo di impianto (Fig. 3) che è “il risultato<br />

della sintesi, da parte del progettista, di tutte le informazioni raccolte sui fattori che possono influire sul<br />

successo della piantagione” (Buresti, Mori 2003); il modulo di impianto è quindi l’unità minima di superficie<br />

che comprende tutte le specie prescelte indicandone le distanze ed i sesti di impianto (quadro, rettangolo,<br />

quinconce, settonce), nonché la loro distribuzione.<br />

Fig. 3 - Trovato il modulo d’impianto è possibile calcolare il numero di piantine necessarie,<br />

e ricostruire l’intera piantagione ribaltandolo ripetutamente di 180° sui lati (da:<br />

Buresti E. e Mori P., 2003).<br />

34


Il progetto dovrà contenere inoltre uno specifico piano di coltura che fornirà tutte quelle indicazioni tecniche<br />

necessarie per la corretta gestione dell’impianto; in particolare dovrà dare indicazioni sulla preparazione<br />

del terreno, sulle caratteristiche del materiale vivaistico da utilizzare, sugli ausili alla coltivazione (pali<br />

tutori, tipi di protezione delle piante) e sulle tecniche di impianto. Dovranno inoltre essere indicate le cure<br />

colturali necessarie per l’affermazione e lo sviluppo delle piante, come le lavorazioni post impianto del<br />

terreno, le potature, il monitoraggio dell’impianto per controllarne l’accrescimento e le problematiche che<br />

possono insorgere, i diradamenti ed i tagli delle piante per finalità produttive.<br />

La realizzazione degli impianti<br />

La realizzazione di impianti forestali con cipresso, rimboschimenti ed impianti di arboricoltura da legno,<br />

puri o misti con altre specie forestali accessorie (specie che servono per facilitare la conduzione e migliorare<br />

la produzione delle piante principali) , comporta le seguenti operazioni:<br />

• Ordine delle piantine: è necessario che la richiesta delle piantine sia effettuata con largo<br />

anticipo rispetto all’epoca di piantagione verificandone la disponibilità presso i vivai forestali.<br />

L’ordine di acquisto dovrà specificare la specie, la provenienza o il clone, il tipo di allevamento,<br />

le modalità ed i tempi di fornitura, le scadenze. Acquisti affrettati possono non garantire<br />

l’uso di materiale vivaistico adeguato.<br />

• Preparazione del terreno con lavorazioni principali: è consigliabile una lavorazione andante<br />

dell’area di impianto, salvo limitazioni derivanti da acclività eccessive, caratteristiche<br />

del terreno non idonee, normative e regolamenti d’uso del territorio. Nei casi favorevoli potrà<br />

essere eseguita un’aratura andante, con terreno in tempera, cioè con un tenore ottimale di<br />

umidità, alla profondità di almeno 50-70 cm, che migliora le caratteristiche fisiche del terreno<br />

e ne aumenta le capacità di immagazzinamento di acqua; se nei terreni in pendenza l’aratura<br />

viene eseguita a rittochino, cioè secondo la massima pendenza, favorisce il drenaggio delle<br />

acque. Nei terreni argillosi (contenuto di argilla superiore al 45-50%) dove le vecchie lavorazioni<br />

possono aver favorito la formazione di una soletta di aratura, è consigliabile effettuare<br />

un’aratura andante più profonda delle normali lavorazioni per eliminare tale soletta. Sui terreni<br />

limosi, la cui struttura dipende dalla sostanza organica presente, è sconsigliabile effettuare<br />

l’aratura poiché questa riporterebbe in profondità la sostanza organica accumulata negli strati<br />

più superficiali del suolo. La lavorazione del terreno può essere eseguita anche tramite rippatura<br />

o ripuntatura (Fig. 4) ad una profondità di<br />

almeno 50-60 cm; questo intervento effettuato<br />

sui terreni a matrice argillosa con<br />

problemi di ristagno favorisce il drenaggio<br />

profondo delle acque. La rippatura,<br />

contrariamente all’aratura, non comporta<br />

il ribaltamento degli strati del terreno (la<br />

sostanza organica rimane a disposizione<br />

delle piante) e riduce i rischi di erosione<br />

superficiale del terreno. Questo intervento<br />

è sconsigliabile per i terreni sabbiosi<br />

dove provoca una diminuzione della<br />

ritenzione idrica.<br />

Aratura e rippatura andrebbero realizzate<br />

durante l’estate precedente la piantagione.<br />

35<br />

Fig. 4 - Ripuntatore-ripper a tre ancore portato da un<br />

trattore gommato (60-75 kW) (da: Buresti E. e Mori P.,<br />

2003).


• Le concimazioni: non esistono studi ed esperienze consolidate sul reale fabbisogno di elementi<br />

chimico-nutritivi delle specie forestali, compreso il cipresso. E’ consigliabile pertanto<br />

scegliere le specie che meglio si adattano alle caratteristiche pedoclimatiche dell’area di<br />

impianto, evitando costose concimazioni. Se disponibile in azienda può essere utilizzato il<br />

letame che migliora sicuramente la struttura del suolo.<br />

• Le lavorazioni secondarie del terreno: aratura superficiale a 25-30 cm eseguita dopo la<br />

rippatura, frangizollatura pesante dopo l’aratura profonda, ripuntatura superficiale a 25-30<br />

cm di profondità dopo la rippatura, serviranno per eliminare le infestanti e preparare il primo<br />

strato del terreno ad ospitare le nuove piantine.<br />

• Le lavorazioni di affinamento del terreno: erpicature, frangizollature leggere e fresature<br />

servono per affinare il terreno e vanno eseguite immediatamente prima dello squadro e della<br />

piantagione.<br />

• Le sistemazioni idrauliche: la realizzazione di piccole opere di sistemazione superficiale del<br />

terreno (fossetti di<br />

scolo, canaletti,<br />

ecc.), il mantenimento<br />

e il recupero<br />

funzionale di quelle<br />

esistenti (Fig. 5)<br />

sono molto importanti<br />

per evitare fenomeni<br />

di erosione<br />

superficiale e per<br />

ridurre i ristagni<br />

idrici.<br />

• Lo squadro del<br />

terreno: serve per<br />

individuare i punti<br />

in cui saranno messe<br />

a dimora le<br />

piante secondo le<br />

Fig. 5 - Recupero funzionale di un piccolo fosso di scolo delle acque.<br />

distanze e gli<br />

allineamenti prefissati.<br />

Un buono squadro del terreno facilita inoltre le successive cure colturali all’impianto ed<br />

in particolare le lavorazioni meccaniche (zappettature, fresature, sfalci ecc.) che potranno<br />

così essere eseguite senza manovre particolari per evitare le piantine.<br />

• Il trasporto e la conservazione delle piantine: il trasporto delle piantine dal vivaio all’azienda<br />

richiede particolare attenzione per quelle a radice nuda che durante il viaggio devono<br />

essere opportunamente protette dal freddo, dal vento e dal sole per evitare la disidratazione<br />

delle radici. In azienda queste piantine vanno conservate in appositi solchi, detti tagliole ricoprendone<br />

le radici con sabbia o terra fine e proteggendole contro eventuali danni da animali.<br />

Per le piantine in contenitore (vasetto, fitocella ecc.) non esistono particolari problemi per il<br />

trasporto e la conservazione;<br />

36


• Messa a dimora delle piante: la piantagione va effettuata<br />

con terreno in tempera.<br />

Intervento manuale: nei terreni che sono stati opportunamente<br />

lavorati è sufficiente aprire una buca di dimensioni<br />

idonee a contenere l’apparato radicale delle piantine,<br />

da ricoprire poi con terra fine; per le piante a radice<br />

nuda sono da evitare drastiche potature delle radici. Nei<br />

terreni in cui non è stata effettuata la lavorazione andante<br />

(terreni sassosi, troppo acclivi, boscaglie da rinfoltire, aree<br />

con limitazioni o divieti, ecc.) sarebbe opportuno aprire<br />

una buca di circa 40x40x40 cm che, dopo la piantagione,<br />

va riempita con terra fine (Figg. 6 e 7).<br />

Piantagione meccanizzata: in terreni ben lavorati e poco<br />

acclivi è possibile utilizzare anche macchine trapiantatrici<br />

specifiche per il settore forestale.<br />

• Con la piantagione è sempre importante mantenere il colletto<br />

della pianta a livello del terreno evitando piantagioni<br />

troppo profonde o superficiali.<br />

• L’epoca di impianto: per il cipresso l’epoca<br />

più adatta è la tarda estate (agosto-settembre)<br />

e la primavera (aprile). Per le altre<br />

specie il periodo va dall’autunno all’inizio<br />

della primavera, salvo i periodi di gelo.<br />

• Le distanze di impianto: per il cipresso non<br />

sono consigliabili, sulla fila, distanze fra le<br />

piante inferiori a 2 m. La distanza fra le file<br />

dovrà invece consentire la facile<br />

meccanizzazione delle lavorazioni post impianto<br />

e non dovrà essere inferiore a 3 m.<br />

Sarà comunque il progetto della piantagione<br />

ad indicare le distanze più opportune.<br />

• Le consociazioni: è possibile e consigliabile<br />

consociare il cipresso con altre specie, progettando<br />

impianti misti con altre piante principali<br />

appartenenti a diverse specie a legname<br />

pregiato ed inserendo anche piante accessorie<br />

che possono migliorare la fertilità<br />

del terreno (il cipresso per la sua lettiera acida<br />

non migliora il terreno). Queste ultime possono<br />

anche apportare elementi fertilizzanti<br />

come fanno alcune piante azotofissatrici<br />

Figg. 6 e 7 - Apertura di buche a mano per realizzare<br />

un imboschimento di cipresso su suolo roccioso.<br />

(ontano, eleagno ecc), nonché favorire la formazione di fusti dritti e slanciati con rami più<br />

sottili per la concorrenza laterale fra le piante.<br />

• La pacciamatura delle file intere o delle singole piante, da eseguirsi con strisce di film<br />

plastico o con materiali di barriera decomponibili può costituire un valido sistema per il controllo<br />

delle infestanti e contro l’evaporazione di acqua dal suolo.<br />

• I pali tutori: uno sviluppo equilibrato delle piantine forestali compreso il cipresso, non esaltato<br />

da concimazioni intense, non richiede in genere l’uso di pali tutori che aumenterebbero notevolmente<br />

i costi di impianto.<br />

37


• La protezione delle piantine: la presenza di un eccessivo<br />

numero di selvatici, ungulati in particolare, impone in molti<br />

casi la protezione delle piantine, pena il fallimento dell’impianto.<br />

Per limitare o evitare i danni occorre pertanto tutelare<br />

le piante con:<br />

- protezioni individuali (Figg. 8 e 9) tipo<br />

shelter, cioè cilindri di rete in plastica o metallica,<br />

la cui altezza va commisurata al tipo di<br />

danno che possono causare i selvatici presenti<br />

nell’area (per i cervi occorrono protezioni alte<br />

almeno cm 180, per i caprioli non meno di cm<br />

120, per le lepri cm 60) ;<br />

- protezioni collettive (Fig. 10) per la<br />

recinzione di tutto l’appezzamento con rete<br />

alta almeno 2 m (gli ungulati possono tuttavia<br />

superare di slancio ostacoli anche più alti) .<br />

La protezione delle piante contro danni da selvatici, da cui<br />

non è indenne neppure il cipresso, comporta un forte incremento<br />

dei costi di impianto e costituisce un serio limite allo<br />

Fig. 9 - Protezione con rete plastificata in impianto sperimentale<br />

(Progetto CypMed).<br />

sviluppo delle piantagioni forestali ed anche alla<br />

rinnovazione naturale delle specie forestali.<br />

• Le caratteristiche del materiale di impianto:<br />

vanno sempre utilizzate piantine vigorose, sane,<br />

dritte, non esili, con apparato radicale integro, correttamente sviluppato e ricco di capillizio<br />

(Fig. 11). Per quanto concerne il cipresso sono preferibili piantine di 2 o 3 anni prodotte in<br />

contenitore, provenienti dalle più vicine popolazioni di cipresso selezionate e certificate per la<br />

produzione di seme forestale (boschi da seme). In ogni caso è necessario accertarsi se normative<br />

comunitarie, nazionali o regionali impongono vincoli per la scelta del materiale forestale di<br />

propagazione da impiegare per piantagioni forestali.<br />

38<br />

Fig. 8 - Shelter di 120 cm.<br />

Fig. 10 - Protezione collettiva della<br />

piantagione contro cinghiali in un<br />

impianto sperimentale CypMed.


Le cure colturali post impianto<br />

• Il controllo delle infestanti: per favorire un buono sviluppo<br />

delle piantine, già a partire dall’anno di impianto, è<br />

necessario il controllo delle infestanti attraverso una o<br />

più lavorazioni annuali superficiali del terreno, andanti o<br />

localizzate, oppure attraverso uno o più tagli, sempre andanti<br />

e localizzati, delle erbe infestanti. Per rendere più<br />

agevole la meccanizzazione delle operazioni sarebbe opportuno<br />

che la distanza fra le file non fosse inferiore a m<br />

2,5, meglio 3 metri. Affinché il controllo sia efficace, gli<br />

interventi devono essere tempestivi e vanno effettuati<br />

perciò quando le infestanti sono più aggressive e creano<br />

quindi maggiore concorrenza alle giovani piantine, specie<br />

per quanto concerne le disponibilità idriche del terreno.<br />

Tali interventi sono necessari almeno per 3-5 anni dopo<br />

l’impianto.<br />

• Le potature delle piante: in ambito forestale tali interventi<br />

servono principalmente per formare e produrre fusti<br />

diritti ed esenti, possibilmente, da nodi e quindi apprezzati<br />

dal mercato. Particolare attenzione è stata rivolta,<br />

specie da parte di Istituti di Ricerca, alla messa a punto<br />

di sistemi di potatura per piante a legname pregiato come<br />

il noce da legno, che in proposito è stato oggetto di numerosi<br />

studi, sperimentazioni e dimostrazioni in campo. Per<br />

il cipresso, ed in particolare per quelli destinati alla produzione<br />

di legno da opera, non esistono esperienze significative<br />

ed attendibili sulle potature. Poiché il legno di<br />

questa pianta è da sempre considerato di ottima qualità,<br />

potrebbe essere opportuno effettuare le potature su alcune di quelle piante più produttive e<br />

meglio conformate (per es. var. horizontalis) inserite in piantagioni forestali destinate a produrre<br />

anche legname da opera. Prima della ripresa vegetativa vanno effettuate quindi le<br />

potature di formazione tendenti ad eliminare eventuali doppie punte e ad asportare gradualmente<br />

i palchi, prima che i rami raggiungano il diametro massimo di 3 cm. Tali interventi<br />

devono essere effettuati prima che il fusto superi il diametro di 6-8 cm, in modo da contenere<br />

tutti i difetti in un cilindro centrale di 8-10 cm e devono proseguire fino a raggiungere almeno<br />

un’altezza del fusto di 2,5 – 3 metri da terra. L’intervento di recisione comporta certamente,<br />

per le ferite provocate, il rischio di agevolare l’ingresso del cancro, ma consente di produrre<br />

assortimenti legnosi molto remunerativi e ricercati. Questi rischi possono essere ridotti disinfettando<br />

le ferite con prodotti tipo colla poliacetilvinilica cui sia stato aggiunto un anticrittogamico<br />

a base di prodotti benzimidazolici in misura del 1-2%.<br />

• I diradamenti: tali interventi, ove previsti e descritti dal progetto, servono a ridurre gradualmente<br />

la densità dell’impianto forestale e contribuiscono a migliorare la qualità dei fusti di<br />

quelle piante che saranno destinate al taglio a fine ciclo. In genere i diradamenti iniziano<br />

quando le chiome delle piante vicine iniziano a toccarsi evitando così lo sviluppo di fusti troppo<br />

esili, l’irregolarità delle chiome e la riduzione degli incrementi diametrici (accrescimenti del<br />

diametro del fusto). Per le piantagioni di cipresso, pure o miste con o senza specie accessorie,<br />

39<br />

Fig. 11 - Cipresso di due anni<br />

allevato in fitocella.


mancano esperienze consolidate ed attendibili sui diradamenti; tutti gli impianti possono comunque<br />

trarre beneficio dagli interventi colturali menzionati, indispensabili specialmente in<br />

quelli con forti densità iniziali. In tali condizioni i diradamenti di tipo selettivo (si eliminano in<br />

genere le piante difettose, malate, di scarso vigore vegetativo), geometrico (si eliminano ad<br />

es. file di piante alternate ) o misti, comporteranno l’eliminazione, ad ogni intervento, di una<br />

parte delle piante fino al massimo del 50% di quelle presenti. A fine ciclo produttivo, in impianti<br />

puri di cipresso o puri con accessorie, si dovrebbe poter disporre di almeno un centinaio<br />

di piante per produrre assortimenti legnosi remunerativi e cioè tronchi senza difetti e con un<br />

diametro minimo di 30 cm.<br />

• Gli interventi di monitoraggio: dopo l’impianto è importante controllare le condizioni<br />

vegetative delle piantine, che possono necessitare di irrigazioni di soccorso, nonché il loro<br />

stato sanitario, verificando la presenza di danni di tipo biotico o abiotico. Un monitoraggio<br />

attento della piantagione è molto importante per ottimizzare gli interventi di gestione richiesti<br />

per il buon andamento della piantagione.<br />

ALBERATURE, VIALI E FASCE FRANGIVENTO DI CIPRESSO<br />

Realizzare giardini, alberature o viali, utilizzando piante di Cipresso (Figg. 12 e 13), non presuppone una<br />

organizzazione diversa da quella necessaria per eseguire i medesimi interventi con altre specie di piante.<br />

È invece molto importante che i lavori vengano eseguiti esclusivamente nei periodi consigliati e con gli<br />

accorgimenti descritti di seguito.<br />

Fig. 12 - Giardino con cipressi. Fig. 13 - Elegante viale di cipressi in Toscana.<br />

La realizzazione degli impianti<br />

• La scelta delle piante: già in fase di progettazione è indispensabile decidere la tipologia dei<br />

cipressi da mettere a dimora, tenendo conto che i vivaisti dispongono di piante generalmente<br />

ottenute per innesto ed allevate sia in contenitore che in piena terra (Fig. 14). In entrambe le<br />

tipologie di allevamento possiamo facilmente trovare soggetti di altezza compresa fra 1 e 5 metri.<br />

In alcuni vivai sono disponibili esemplari anche molto più alti. E’ consigliabile affidarsi a vivaisti di<br />

provata esperienza nel settore che possano fornire preferibilmente piante resistenti al Seiridium<br />

cardinale (cancro del cipresso). I cipressi resistenti devono essere sempre accompagnati dal<br />

cartellino, con numerazione progressiva, che ne garantisce la rispondenza ai cloni brevettati dall’Istituto<br />

per la Protezione delle Piante del C.N.R.<br />

40


Piante in vaso: per valutare l’attitudine all’impianto delle piante in contenitore è opportuno conoscere<br />

il numero dei passaggi, dal vaso più piccolo a quello<br />

più grande, a cui la pianta di cipresso è stata sottoposta durante<br />

l’allevamento in vivaio. All’aumentare delle operazioni<br />

di rinvaso corrisponde, normalmente, una migliore conformazione<br />

radicale ed una maggiore capacità di superare la<br />

crisi di trapianto dopo la messa a dimora definitiva. Al momento<br />

dell’uscita dal vivaio la pianta deve aver trascorso<br />

almeno una stagione vegetativa completa nello stesso contenitore<br />

con il quale viene consegnata.<br />

Piante con zolla: le piante cresciute in piena terra ed estratte<br />

mediante zollatura devono essere allevate seguendo tutti gli<br />

accorgimenti necessari affinché la maggior parte delle<br />

radici capillari si trovi all’interno della zolla. Le cure colturali<br />

finalizzate a tale scopo, da eseguirsi in vivaio negli anni precedenti<br />

alla messa a dimora definitiva, possono riassumersi<br />

nel taglio delle radici sul posto, nella pre-zollatura o nel trapianto<br />

da una zona all’altra di allevamento. Per agevolare lo<br />

sviluppo di molte radici assorbenti all’interno della zolla è<br />

anche importante che la coltivazione avvenga in terreni non<br />

troppo compatti e che il vivaista assicuri, durante tutte le fasi di allevamento del cipresso, un<br />

rifornimento d’acqua e di elementi nutritivi sempre costante e concentrato sulla parte più superficiale<br />

del suolo. La zolla delle piante allevate in piena terra, dopo l’estrazione dal terreno, deve<br />

essere ben protetta per limitare le perdite di umidità e deve essere mantenuta integra avvolgendola,<br />

sulla parte esterna, con rete in ferro ben tesa o con altri materiali di contenimento. Il tempo<br />

intercorrente fra l’estrazione dal terreno e la successiva messa a dimora deve essere ridotto al<br />

minimo mantenendo le piante, durante tutte le fasi compresa quella di trasporto, ben protette e<br />

riparate sia dal vento che dal caldo.<br />

• Lo stato fitosanitario: lo stato fitosanitario delle piante in uscita dal vivaio deve essere sempre<br />

scrupolosamente controllato dal venditore e possibilmente anche dall’acquirente, scartando i soggetti<br />

che presentano attacchi da agenti di origine biotica od abiotica. La selezione deve essere<br />

particolarmente severa sia per i patogeni suscettibili di diffusione, sia per gli agenti che possano<br />

ridurre o compromettere il rispetto della qualità commerciale.<br />

• L’ordine delle piante: anche per queste piantagioni è necessario che la richiesta delle piante sia<br />

effettuata con largo anticipo rispetto all’epoca di impianto verificandone la disponibilità presso i<br />

vivai di piante ornamentali. L’ordine di acquisto dovrà specificare la specie, il clone o le caratteristiche<br />

estetiche, il tipo di allevamento, le modalità ed i tempi di fornitura, le scadenze. Acquisti<br />

affrettati possono non garantire l’uso di materiale vivaistico adeguato.<br />

• L’epoca di impianto: i periodi più adatti per trapiantare i cipressi sono limitati alla primavera, in<br />

aprile, subito dopo l’inizio della ripresa vegetativa, oppure alla fine dell’estate in agosto-settembre.<br />

Le piante allevate in contenitore possono essere messe a dimora anche in momenti diversi da<br />

quelli ideali, purché alle radici sia garantito un adeguato rifornimento idrico in tutti i periodi, compreso<br />

quello invernale.<br />

41<br />

Fig. 14 - Vivaio di cipressi in pieno<br />

campo.


• La preparazione del terreno: il successo di una piantagione è spesso condizionato dalla preparazione<br />

del terreno. Questa può essere estesa a tutta la superficie o limitata allo spazio occupato<br />

dalle singole piante o dai filari. Nella realizzazione di giardini, oltre alla sistemazione superficiale<br />

del piano di campagna, è consigliabile aprire delle buche, con qualsiasi mezzo escludendo possibilmente<br />

le trivelle meccaniche, più ampie e ben più profonde rispetto allo spazio necessario per<br />

contenere il pane di terra. Nel caso di filari, per fasce frangivento o per altri tipi di barriera, con<br />

distanza delle piante sulla fila non superiore a 3 metri, in alternativa all’apertura di singole buche<br />

è consigliabile scavare un canale per tutta la lunghezza del filare con profondità e larghezza più<br />

ampie di quella del pane di terra delle piante. E’ sempre necessario assicurare il drenaggio dello<br />

scavo facendolo sfociare in un collettore o su un altro punto che assicuri lo scolo delle acque in<br />

eccesso.<br />

• Il riempimento degli scavi e la concimazione: ottimi risultati di attecchimento ed un buono<br />

sviluppo delle piante si ottengono predisponendo le buche od i fossati con una profondità doppia<br />

rispetto all’altezza del pane di terra e riportando sul fondo dello scavo un miscuglio, in parti più o<br />

meno uguali, di terra e letame ben maturo. La sostanza organica, preferibilmente bovina, oltre ad<br />

essere importante per una corretta nutrizione della pianta, costituisce uno stimolo per far scendere<br />

in profondità le radici migliorando così l’ancoraggio naturale della pianta al suolo e favorendo<br />

l’esplorazione di strati di terreno con meno rischi di deficit idrico. Il tutto deve essere ricoperto<br />

con uno strato di sola terra non concimata, dello spessore di circa 10 cm, destinato a separare le<br />

radici dal contatto diretto con il letame. Al termine di questi primi interventi preparatori, la profondità<br />

della buca o dello scavo ancora da riempire deve corrispondere perfettamente all’altezza del<br />

pane di terra della pianta da porre a dimora. Il riempimento delle buche e dei fossati, dopo la<br />

messa a dimora dei cipressi, può essere effettuato con la medesima terra di scavo se questa è di<br />

buona qualità, o con terricci appositamente preparati. Si consiglia di evitare l’utilizzo di componenti<br />

a reazione acida, come ad esempio la torba. Sono altresì da evitare, almeno per il primo<br />

anno, i concimi minerali per il rischio di somministrare elementi nutritivi in sovradosaggio rispetto<br />

alla scarsa capacità di assorbimento della pianta legata alla ridotta estensione delle radici.<br />

• Le distanze di impianto: le distanze fra una pianta e l’altra, all’interno dei parchi e dei giardini,<br />

non sono legate a parametri particolari, ma possono essere definite in relazione agli scopi estetici<br />

che si vogliono ottenere. Quando il cipresso viene utilizzato per costituire un gruppo, di norma<br />

formato da tre piante ravvicinate e destinato a rappresentare un punto di attenzione e di riferimento<br />

sul territorio, le piante vengono generalmente poste a dimora sui vertici di un triangolo<br />

equilatero, idealmente tracciato sul terreno, con lati variabili da 150 a 200 cm.<br />

Per la costituzione di filari aventi fini estetici è opportuno mantenere distanze che lascino spazi<br />

sufficientemente ampi fra una pianta e l’altra, di norma non inferiori ai 3 o 4 metri. Qualora si<br />

intenda mettere a dimora dei filari di cipresso con funzione di siepe od anche di barriera frangivento<br />

e antirumore, è opportuno valutare con molta attenzione le distanze fra una pianta e l’altra tenendo<br />

conto della forma più o meno fastigiata che le piante assumeranno da adulte. In modo del tutto<br />

empirico la distanza fra le piante può essere indicata, mediamente, pari ad un quarto dell’altezza<br />

massima definitiva prevista per il filare. Se ad esempio vogliamo realizzare una barriera da mantenere<br />

potata all’altezza di 6 metri, impiegando cipressi con chioma non troppo stretta come il<br />

clone “Agrimed 1” (Fig. 15) brevettato dall’I.P.P., sarà opportuno mettere a dimora le piante alla<br />

distanza di 1,5 metri. Barriere più efficaci possono essere realizzate piantando i cipressi su due o<br />

più file parallele, con preferenza per la disposizione a quinconce anziché in quadrato. Per migliorare<br />

il risultato dal punto di vista estetico, mantenendo efficaci le funzioni di barriera, la fila più in<br />

vista può essere realizzata con piante di gradevole portamento colonnare come ad esempio il<br />

clone “Bolgheri” (Fig. 16) brevettato dall’IPP.<br />

42


Fig. 15 (a sinistra) - Clone di<br />

cipresso Agrimed.<br />

Fig. 16 (a destra) - Clone di<br />

cipresso Bolgheri.<br />

• Il posizionamento a dimora delle piante: al momento della messa a dimora delle piante in<br />

contenitore deve essere posta particolare attenzione alla separazione del vaso dal pane di terra,<br />

affinché venga evitato sia lo sfaldamento che la perdita di compattezza di quest’ultimo. La disgregazione<br />

pregiudicherebbe il contatto delle radici assorbenti con il terreno circostante ed avrebbe<br />

conseguenze negative sull’attecchimento della pianta. Per le piante in zolla, invece, è opportuno<br />

accertarsi che gli stracci o gli altri materiali di protezione e di contenimento del pane di terra siano<br />

del tipo degradabile e lascino la possibilità alle radici di fuoriuscire. Anche la rete, usata spesso<br />

per mantenere integro il pane di terra, deve essere del tipo facilmente ossidabile, tanto da decomporsi<br />

prima di limitare lo sviluppo delle radici. Nel caso in cui la degradabilità non fosse garantita,<br />

dopo aver posizionato la pianta sulla buca, è necessario eliminare tutte le barriere che avvolgono<br />

la zolla.<br />

È molto importante che il livello d’interramento del cipresso, così come per tutte le altre piante in<br />

genere, corrisponda perfettamente alla zona del colletto o che tale risultato sia comunque raggiunto<br />

dopo i necessari assestamenti del terriccio riportato sulla buca. Per le operazioni di carico,<br />

trasporto e scarico, nonché per depositare la pianta sulla buca, devono essere utilizzati particolari<br />

sistemi di aggancio, di legatura e di fasciatura che non danneggino la corteccia del fusto e le altre<br />

parti della pianta.<br />

• L’ancoraggio delle piante: l’ancoraggio dei cipressi può essere effettuato con paleria o con<br />

sistemi interrati non in vista. Qualora si utilizzino dei pali, la scelta deve ricadere su quelli sufficientemente<br />

robusti e lunghi affinché possano bloccare saldamente il fusto su un punto più in alto<br />

possibile. Possono essere utilizzati diversi metodi, sia a due pali posti in verticale e sormontati da<br />

una traversa in testa (Fig. 17), sia a tre pali inclinati e convergenti, nella sommità, con l’asse<br />

principale della pianta (Fig. 18). In entrambi i sistemi è fondamentale che almeno la quarta parte<br />

della lunghezza dei pali sia ben piantata stabilmente a terra in posizione esterna rispetto al pane di<br />

terra della pianta. I pali tutori devono essere legati in maniera solidale con il fusto del cipresso<br />

utilizzando legacci in plastica dotati di sufficiente elasticità. Per non danneggiare la pianta sono da<br />

evitare le legature realizzate con fili sottili o taglienti, mentre può essere conveniente cingere il<br />

tronco, prima di predisporre il fissaggio, con dei materiali di barriera che evitino lo sfregamento<br />

43


Figg. 17 e 18 - Metodi di ancoraggio<br />

di piante di cipresso<br />

di grosse dimensioni<br />

diretto dei legacci con la corteccia della pianta.<br />

In alternativa ai pali esistono sul mercato degli ancoraggi particolari, da porre in opera al di sotto<br />

del piano di campagna, che possono rendere stabili le piante senza essere visibili all’esterno.<br />

Anche se più costosi rispetto a quelli a vista, tali metodi risultano particolarmente apprezzati in<br />

alcuni ambienti dove l’aspetto estetico supera per importanza quello economico.<br />

Un sistema di ancoraggio sotterraneo, molto economico ed efficace, soprattutto se applicato alle<br />

piante alte fino a 3-4 metri, può essere realizzato predisponendo delle staffe con i tondini in ferro<br />

comunemente usati in edilizia per il cemento armato. Il tondino deve essere tagliato in spezzoni di<br />

lunghezza non inferiore a 3 volte il diametro del pane di terra della pianta da fissare e deve avere<br />

un diametro pari a circa 1/100 della sua lunghezza. Dopo aver ben appuntite le due estremità, si<br />

eseguono due piegature ad angolo retto in modo da formare una staffa a forma di “U” rovesciato<br />

con la parte in alto perfettamente diritta ed i due tratti discendenti atti ad essere conficcati a terra.<br />

Il primo sulla metà del raggio del pane di terra ed il secondo nel suolo compatto, subito fuori dalla<br />

buca predisposta per la pianta. Ciascuna delle due parti da introdurre nel terreno deve essere pari<br />

ad ¼ dell’intera lunghezza del tondino.<br />

Ad esempio, per fissare delle piante con zolla del diametro di cm 60, il tondino deve essere tagliato<br />

in spezzoni lunghi circa cm 180 e deve avere un diametro non inferiore a mm 18. Dopo la piegatura<br />

la parte in piano deve misurare circa 90 cm e le due parti discendenti 45 cm ciascuna. Per<br />

ottenere un buon fissaggio al suolo sono necessarie almeno n. 4 staffe (meglio n. 6) fissate a tutta<br />

profondità, disposte a raggiera e ben distribuite su tutta la circonferenza della buca. Dopo aver<br />

fatto penetrare le staffe sul terreno è sufficiente coprire il tutto con un leggero strato di terra per<br />

rendere l’ancoraggio invisibile all’esterno.<br />

Cure colturali post-impianto<br />

• L’irrigazione: è sempre indispensabile assicurare alle piante una disponibilità costante di acqua,<br />

a livello dell’apparato radicale, per almeno la prima e possibilmente anche per la seconda stagione<br />

vegetativa. Qualora le prime due stagioni invernali, dopo la messa a dimora, fossero caratterizzate<br />

dal ripetersi di giornate ventose o da assenza di precipitazioni, si rende necessario irrigare<br />

anche nella stagione fredda, limitando gli interventi alle ore più calde del giorno. I cipressi neces-<br />

44


sitano, infatti, di un costante ed adeguato rifornimento d’acqua anche in inverno per compensare<br />

l’elevata traspirazione che contraddistingue la specie anche durante il riposo vegetativo.<br />

Irrigazione con tubi drenanti: per migliorare la circolazione dell’aria a contatto con le nuove<br />

radici e per ottenere la massima efficacia negli interventi di irrigazione si consiglia di dotarsi di<br />

spezzoni di tubo forato, dello stesso tipo usato per il drenaggio sotterraneo in agricoltura, da<br />

posizionare all’interno degli scavi (Figg. 19 e 20).<br />

Figg. 19 e 20 - Posizionamento del tubo drenante sotto il pane di terra della pianta.<br />

45


Il tubo, una volta in opera, deve formare<br />

una “U” la cui parte basale deve essere<br />

posta, in orizzontale, subito sotto il pane<br />

di terra della pianta. Le due parti terminali<br />

devono essere posizionate in verticale,<br />

fino ad emergere per qualche centimetro<br />

oltre il piano di campagna (Fig.<br />

21). I due fori d’ingresso devono essere<br />

mantenuti opportunamente chiusi con tappi,<br />

al fine di bloccare l’accesso ad eventuali<br />

insetti o piccoli mammiferi.<br />

Il tubo drenante, del diametro di 50 mm o<br />

più, potrà essere utilizzato sia per le<br />

irrigazioni di soccorso che per far arrivare<br />

gli elementi nutritivi, sciolti in acqua, a<br />

livello delle radici. Anche eventuali impianti<br />

di irrigazione del tipo “a goccia”,<br />

od altri similari a bassa pressione, possono<br />

confluire una parte dell’acqua irrigua<br />

nel tubo drenante. Quando la piantagione<br />

viene effettuata su un fossato, come<br />

prima suggerito per i filari, un solo tubo<br />

Fig. 21 - Irrigazione con tubi drenanti.<br />

drenante può garantire l’irrigazione sotterranea<br />

anche di più piante purché la<br />

parte adagiata in orizzontale, sotto il pane<br />

di terra dei cipressi, sia posta interamente sullo stesso livello.<br />

L’utilizzo del tubo anzidetto, che favorisce la dispersione dei liquidi a diretto contatto delle radici<br />

profonde, consente di ottenere risultati più efficaci e duraturi, rispetto a quelli conseguibili con<br />

qualsiasi altro metodo che limiti la distribuzione dell’acqua alla parte più superficiale del<br />

suolo. I vantaggi più evidenti sono riferiti all’immediatezza dell’effetto, alle minori perdite di<br />

acqua per evaporazione, nonché al maggior accrescimento delle radici più profonde rispetto a<br />

quelle superficiali. Lo sviluppo delle radici in profondità migliora l’ancoraggio naturale della pianta<br />

al suolo e ne riduce l’esposizione agli stress idrici.<br />

• Le potature: le potature di formazione serviranno a dare alla chioma dei cipressi quella conformazione<br />

particolare richiesta da esigenze di tipo estetico e/o funzionale. Gli interventi interesseranno<br />

per lo più la parte periferica e verde della chioma, potranno iniziare dopo il primo anno di<br />

impianto e saranno eseguiti preferibilmente nella tarda estate e cioè durante il periodo di stasi<br />

vegetativa dei cipressi. Questo intervento può richiedere l’uso di piattaforme aeree per arrivare<br />

nella parte più alta della chioma operando in condizioni di sicurezza. Utilizzando i cloni brevettati<br />

dall’I.P.P. del C.N.R., od altre particolari selezioni moltiplicate per via agamica da alcuni vivaisti<br />

specializzati, le potature di formazione non sono in genere necessarie.<br />

• Gli interventi di monitoraggio: dopo l’impianto è importante mantenere una costante attenzione<br />

alle necessità irrigue ed allo stato sanitario delle piante. Deve essere tenuta sotto controllo anche<br />

la stabilità degli alberi, verificando periodicamente la solidità delle legature e dei pali tutori. Questi<br />

ultimi potranno essere tolti solamente dopo 2 o 3 anni dalla piantagione, quando la resistenza dei<br />

Cipressi alle intemperie sarà assicurata dall’ancoraggio delle nuove radici in profondità.<br />

46


Bibliografia<br />

AA. VV., 2003. La bonifica fitosanitaria a tutela del cipresso. ARSIA (FI).<br />

AA. VV., 1995. – Il recupero del cipresso nel paesaggio e nel giardino Storico. Atti del convegno, Regione<br />

Toscana –Giunta Regionale. Collodi (PT).<br />

AA. VV., 1999. Il cipresso. Manuale tecnico. Ed. E. Teissier Du Cros, Studio Leonardo, Firenze. Cap. I, II.<br />

AA.VV., 2003. Progettazione e realizzazione di impianti di arboricoltura da legno, ARSIA (FI).<br />

BERNETTI G., 1987. I Boschi della Toscana. Quaderni di Monti e Boschi n. 4 . Ed. Giunta Regionale<br />

Toscana-Edagricole, Bologna, pp. 139-143.<br />

BURESTI E., MORI P., 2000. Arboricoltura da legno in Provincia di Arezzo: prime indicazioni per una<br />

produzione di pregio. 8-9 Assessorato Agricoltura e Foreste della Provincia di Arezzo.<br />

BURESTI E., MORI P., 2003. Ruolo delle piante, specie e tipologie d’impianto in arboricoltura. Sherwood<br />

n. 98, 15-19. Ed. Compagnia delle Foreste (AR).<br />

BURESTI LATTES E., MORI P., 2004. Conduzione e valutazione degli impianti di arboricoltura da legno.<br />

ARSIA, Firenze.<br />

GELLINI R., 1985. Botanica forestale. Volume primo. Ed. C.E.D.A.M., Padova, pp. 179-194.<br />

REGIONE PIEMONTE, 2001. Arboricoltura da legno, vol. 6. Blu Edizioni, Peveragno, Cuneo.<br />

47


MALATTIE DEL CIPRESSO<br />

Alberto Panconesi e Marcello Intini<br />

Istituto per la Protezione delle Piante del CNR, Firenze<br />

Cancro del cipresso da Seiridium cardinale<br />

La malattia è causata da un microscopico parassita fungino identificato per la prima volta in California nel<br />

1928 su C. macrocarpa.<br />

Inquadramento sistematico:<br />

Anamorfo 1 : Seiridium cardinale Wagener (Sutton & Gibson) 1972, (Deuteromycotina, Coelomycetes);<br />

Syn: Coryneum cardinale Wagener, 1928.<br />

Teleomorfo 2 : Hansen nel 1956 trovò una Leptosphaeria sp. (Ascomycotina, Pleosporales) sulla corteccia<br />

di un ramo morto. Poiché questa specie, mai più ritrovata, non fu correttamente descritta,<br />

rimane tuttora valida la posizione sistematica basata sulla descrizione dell’anamorfo.<br />

Ospiti: Appartengono tutti alla famiglia delle Cupressaceae. Le specie più colpite, fanno parte del genere<br />

Cupressus (C macrocarpa, C. sempervirens, C arizonica, C. lusitanica), Thuja, Juniperus.<br />

Molto sensibili anche alcuni cloni dell’ibrido xCupressocyparis leylandii.<br />

Distribuzione: Dalla California la malattia si è diffusa in tutte le zone di coltivazione del cipresso dei due<br />

emisferi; oggi può essere considerata pandemica.<br />

Identificazione: I primi sintomi della malattia sono l’ingiallimento, l’arrossamento ed il disseccamento di<br />

porzioni più o meno ampie della chioma. Alla base dei disseccamenti è possibile osservare un’area<br />

cancerosa depressa e fessurata dalla quale fuoriescono notevoli quantità di resina.<br />

In primavera e in autunno, sui tessuti corticali uccisi dal patogeno è possibile osservare delle piccole<br />

pustole nere (0,5-1,5 mm) dette acervuli, contenenti migliaia di conidi che sono gli organi di riproduzione<br />

agamica del parassita. I conidi sono formati da 6 cellule, 2 apicali coniche e ialine senza<br />

appendici e quattro intermedie di colore marrone olivaceo.<br />

In coltura la temperatura ottimale di sviluppo del micelio è circa 25-26°C produce vari metaboliti<br />

tossici ma non acido ciclopaldico.<br />

Diffusione: I conidi trasportati dall’acqua piovana o dalle tempeste si depositano sulle cortecce dove<br />

germinano e dove è sufficiente una piccola ferita per permetterne la penetrazione dell’ifa che da<br />

essi si sviluppa. Alcuni insetti (Phloeosinus sp., Laspeiresia cupressana) possono avere un ruolo<br />

attivo nella diffusione della malattia.<br />

Danni: La malattia esprime tutta la sua potenzialità distruttiva in quegli ambienti dove la specie coltivata<br />

non è in perfetta armonia con l’ambiente. Si pensi alla quasi totale distruzione del C. macrocarpa<br />

nell’entroterra californiano e del C. sempervirens nell’isola d’Eubea (Grecia) e all’elevata incidenza<br />

della malattia (70%) in alcune zone della Toscana. Altre specie subiscono danni più o meno<br />

rilevanti a secondo della loro sensibilità e dell’ambiente nel quale sono inserite. Nella popolazione di<br />

alcune specie sensibili esiste una variabilità nella suscettibilità alla malattia che può essere utilizzata<br />

per la selezione di individui resistenti.<br />

Controllo: Nei boschi si consiglia l’abbattimento e distruzione di tutte le piante infette. I tronchi possono<br />

essere utilizzati, previa decorticazione. La bonifica sanitaria è tanto più efficace e meno dispendiosa<br />

quando si interviene alla comparsa delle prime piante infette. L’attesa fa aumentare i costi e<br />

pregiudica il buon esito degli interventi.<br />

Negli impianti ornamentali, può essere utile il risanamento delle piante malate, che consiste nell’eliminare,<br />

tramite potature, tutte le parti infette. Gli interventi sono efficaci solo quando eseguiti alla<br />

comparsa dei primi sintomi. La preparazione tecnica degli operatori è un requisito indispensabile<br />

per la buona riuscita del risanamento.<br />

1) Anamorfo = forma di riproduzione asessuata; 2) teleomorfo = forma di riproduzione sessuata<br />

48


Nei vivai e su giovani impianti ornamentali si consigliano tre trattamenti chimici preventivi, due<br />

primaverili e uno autunnale da effettuare con benzimidazolici (carbendazim o tiofanate-metil); questi<br />

possono essere usati singolarmente o in miscela con prodotti che agiscono per contatto<br />

(diclofluanide, mancozeb).<br />

Si consiglia l’uso di cloni resistenti.<br />

TAVOLA I Seiridium cardinale<br />

Fig. 1 - Disseccamenti e morte di cipressi (C. sempervirens).<br />

Fig. 2 - Cancro con deformazione del fusto e fuoriuscita di resina.<br />

Fig. 3 - Cancro decorticato per evidenziare i tessuti necrotici.<br />

Fig. 4 - Colonie in vitro.<br />

Fig. 5 - Conidi al SEM (Microscopio Elettronico a Scansione).<br />

49


Cancro del cipresso da Seiridium cupressi<br />

Come altre specie di Seiridium causa il cancro del cipresso in alcune aree del mondo. Le varie specie di<br />

Seiridium possono essere presenti contemporaneamente nella stessa zona o, in cancri diversi, anche sulla<br />

stessa pianta.<br />

Inquadramento sistematico:<br />

Anamorfo: Seiridium cupressi (Guba) Boesewinchel, 1983 (Deuteromycotina, Coelomycetes) , Syn.<br />

Monochaetia unicornis (Cooke et Ellis) emend. Ciccarone 1949 = Cryptostictis cupressi Guba,<br />

1961.<br />

Teleomorfo: Lepteutipa cupressi Nattrass et al., Swart, 1973 (Ascomycotina, Amphisphaeriales),<br />

syn. Rhynchosphaeria cupressi Nattrass, Booth e Sutton, 1963.<br />

Ospiti: Alcune specie del genere Cupressus, in particolare C. macrocarpa, C. lusitanica e C.<br />

sempervirens.<br />

TAVOLA II Seiridium cupressi<br />

Fig. 1 - Pianta di C. sempervirens con disseccamento (Cos, Grecia).<br />

Fig. 2 - Conidi al SEM con le caratteristiche sete terminali.<br />

Fig. 3 - Cancro con crepature della corteccia e produzione di resina.<br />

50


Distribuzione: Rara nel mediterraneo (isola di Cos, Grecia), questa specie fungina, il cui inquadramento<br />

sistematico è ancora un po’ incerto, è presente in alcune zone dell’Australia, della Nuova Zelanda<br />

e dell’Africa.<br />

Identificazione: I sintomi della malattia sono del tutto simili a quelli causati dalle altre specie di Seiridium.<br />

Disseccamenti più o meno estesi, cancro corticale ed essudati resinosi. I conidi, le cui cellule basali<br />

e apicali sono provviste di lunghi appendici ialine, sono molto simili a quelli del S. unicorne, anche<br />

se la seta della cellula ialina basale non è ad angolo retto ma segue la curvatura del conidio. Sui<br />

tessuti uccisi dal cancro, insieme agli acervuli è possibile trovare anche la forma ascofora. Delle tre<br />

specie di Seiridium citate, S. cupressi è l’unica a produrre acido ciclopaldico in coltura e ad<br />

incrementare lo sviluppo del processo necrotico anche nei mesi estivi laddove le altrespecie subiscono<br />

un arresto più o meno marcato.<br />

Diffusione: Bufere di acqua e vento, insetti, piccoli roditori e uccelli, sono i principali mezzi di diffusione<br />

delle malattia. È stata fatta l’ipotesi che il patogeno sia stato introdotto nell’isola di Cos dai piccioni<br />

viaggiatori provenienti da paesi africani.<br />

Danni: Sebbene l’aggressività la capacità di diffusione epidemica sia inferiore a quella del S. cardinale,<br />

molti individui delle specie suscettibili possono essere portati a morte. Particolarmente sensibili le<br />

piante utilizzate come frangivento, dato il notevole numero di ferite che si procurano.<br />

Controllo: Nell’isola di Cos l’incremento di piante malate è risultato essere molto modesto per cui si<br />

ritiene problematica una sua diffusione in ambito mediterraneo. Si consiglia comunque di estendere<br />

la sorveglianza negli ambienti più aridi e qualora sia necessario, ricorrere all’immediato abbattimento<br />

e distruzione delle piante infette.<br />

Cancro del cipresso da Seiridium unicorne<br />

Si tratta di un parassita fungino descritto per la prima volta negli U.S.A. nel 1878.<br />

Raramente presente sui cipressi dell’area mediterranea, può essere facilmente confuso<br />

con i congeneri S. cupressi e S. cardinale che manifestano lo stesso quadro<br />

sintomatologico.<br />

Inquadramento sistematico:<br />

Anamorfo: inizialmente descritto come Pestalotia unicornis da Cooke ed Ellis. fu redisposto nel<br />

genere Monochaetia da Saccardo nel 1906 e definitivamente trasferita nel genere Seiridium<br />

(Deuteromycotina, Coelomycetes) da Sutton nel 1975.<br />

Teleomorfo: Sconosciuto.<br />

Ospiti: Il rango degli ospiti non è ristretto alle sole Cupressacee, sulle quali peraltro è causa di cancro, ma<br />

comprende molte altre famiglie botaniche di piante erbacee ed arboree.<br />

Distribuzione: È diffuso in tutto il mondo, ma dato i diversi ospiti interessati e la variabilità morfologica,<br />

tassonomica e colturale della specie è probabile che molte delle segnalazioni fatte siano errate. Il<br />

ceppo rinvenuto su cipresso in Portogallo, per esempio, è dotato di scarsa patogenicità.<br />

Identificazione: I sintomi della malattia, così come le fruttificazioni acervulari, sono identici a quelli<br />

descritti per S. cardinale. I conidi sono costituiti da 6 cellule, 2 apicali ialine provviste di una seta<br />

lunga 3-15 ìm (quella basale è posta ad angolo retto rispetto all’asse del conidio), le 4 cellule<br />

intermedie sono di colore marrone olivaceo.<br />

Temperaura ottimale di crescita del micelio 20°C; produce metaboliti tossici ma non produce acido<br />

ciclopaldico.<br />

Diffusione: Le bufere di acqua e vento dissolvono le masse conidiche e le trasportano sulle piante sane<br />

adiacenti. Insetti, uccelli e piccoli mammiferi possono favorire il trasporto dell’inoculo.<br />

Danni: Talvolta, localmente, sulle siepi frangivento o su singole piante, i danni possono essere anche di<br />

una certa entità e causare la morte di alcune piante; non si raggiungono mai i livelli epidemici del S.<br />

cardinale<br />

Lotta: Si consiglia l’abbattimento e la distruzione delle piante infette ed un eventuale trattamento con<br />

benzimidazolici nei vivai e sulle siepi.<br />

51


Disseccamenti da Phomopsis occulta<br />

Molte Gimnosperme, specialmente quelle appartenenti al genere Cupressus possono essere gravemente<br />

danneggiate da parassiti fungini appartenenti al genere Phomopsis. Fra le specie più comuni e dannose<br />

citiamo la P. juniperovora, presente nel continente nord americano e la P. occulta in europa.<br />

Inquadramento sistematico:<br />

Anamorfo: Phomopsis occulta (Sacc.) Trav.(Deuteromycotina, Sphaeropsidales).<br />

Teleomorfo: Diaporthe eres Nits (Ascomycotina, Valsales).<br />

Ospiti: Attacca varie conifere ma è particolarmente attiva su alcune specie di Cipresso ed in particolare<br />

su C. sempervirens. Il micelio di coltura è bianco, imbrunisce con l’età e produce numerosi sclerozi.<br />

Si differenzia dalla congenere P. juniperovora nella quale il mezzo di coltura assume una colorazione<br />

gialla.<br />

Distribuzione: Europa meridionale e paesi settentrionali del bacino mediterraneo.<br />

Identificazione: I primi sintomi sono l’ingiallimento, arrossamento e disseccamento degli apici vegetativi.<br />

La malattia spesso si blocca nei rami di ordine superiore o per il sopravvenire della stagione estiva.<br />

Sui tessuti uccisi dal cancro si sviluppano i picnidi dai quali durante il periodo umido fuoriescono dei<br />

lunghi cirri ialini che asciugandosi divengono cornei. I cirri sono costituiti da due tipi di picnoconidi<br />

ialini molto caratteristici: tipo á (piccolo, ellissoidale, biguttulato e con apici appuntiti), tipo â (filiforme,<br />

molto lungo e con un apice ricurvo). I tessuti necrotici della corteccia, sono fibrosi, di colore bruno<br />

chiaro, asciutti e privi di essudati resinosi. Raramente si osserva la forma di riproduzione sessuata.<br />

Diffusione: In primavera, sui disseccamenti degli anni precedenti si sviluppano i picnoconidi le cui spore<br />

trasportate dall’acqua vanno a causare le infezioni primarie. Queste, se la stagione è favorevole<br />

(freddo umida) si sviluppano e producono enormi masse di inoculo che determinano livelli di diffusione<br />

epidemica molto elevati.<br />

Danni: Sporadici nel tempo ma talvolta anche molto intensi. Nelle piante adulte causa il disseccamento<br />

degli apici vegetativi, spesso diffuso a tutta la chioma. Nelle giovani piantagioni e sui semenzali (uno<br />

due anni) la malattia può svilupparsi in forma epidemica e causare gravi morie. Nei rami e nel<br />

tronco la malattia può presentarsi anche sotto forma di cancri perenni che alla lunga possono<br />

indebolirne la struttura.<br />

Controllo: Potature di rimonda dei rami secchi, specialmente sulle piante di cipresso che si trovano nei<br />

dintorni dei vivai. Trattamenti chimici con benzimidazolici da coordinare nella comune lotta contro<br />

S. cardinale e Sphaeropsis sapinea f. sp. cupressi.<br />

52


TAVOLA III Phomopsis occulta<br />

Fig. 1 - Disseccamento di getti apicali di C. sempervirens.<br />

Fig. 2 - Necrosi dei tessuti corticali su rametto di C. sempervirens.<br />

Fig. 3 - Rametto di cipresso decorticato per osservare l’imbrunimento dei tessuti necrotizzati.<br />

Fig. 4 - Colonia con presenza delle caratteristiche forme scleroziali.<br />

Fig. 5 - Conidi α (piccoli ed ellissoidali) e β β (filiformi) caratteristici del genere Phomopsis.<br />

53


Cancro da Sphaeropsis sapinea f. sp. cupressi<br />

È un parassita fungino conosciuto da molto tempo ma diffusosi solo recentemente in ambiente mediterraneo.<br />

Inquadramento sistematico<br />

Desta ancora delle perplessità per cui deve essere attentamente riconsiderato.<br />

Anamorfo: Sphaeropsis sapinea f. sp. cupressi; syn. Diplodia pinea f. sp. cupressi; syn. Diplodia<br />

mutila Fr.:Fr. (Deuteromycotina, Sphaeropsidales)<br />

Teleomorfo: Botryosphaeria stevensii Shoemaker (Ascomycotina, Botryosphaeriales).<br />

La forma speciale cupressi, segnalata su C. sempervirens e diffusa in alcuni paesi del mediterraneo<br />

(Israele, Italia e Marocco) è stata recentemente rivista e riconsiderata uguale a D. mutila.<br />

Ospiti: In ambiente mediterraneo il parassita è stato rinvenuto su Cupresus sempervirens, C. arizonica<br />

e Thuja sp.. Sono risultate sensibili all’infezione artificiale C. macrocarpa ed altre specie (Prunoidee,<br />

Pomoidee, Quercia, Pioppo, ecc.) ma non il Pino.<br />

Distribuzione: Diffuso in tutto il mondo su vari ospiti.<br />

Identificazione: Ingiallimento e disseccamento delle foglie e dei rami, necrosi corticale con formazione<br />

di cancri molto allungati e produzione di resina. La sezione trasversale dei rami infetti mostra la<br />

presenza nel legno, al di sotto della corteccia infetta, di un settore triangolare imbrunito.<br />

Sopra i tessuti infetti dei rami, dei coni e dei semi si possono osservare le forme di riproduzione del<br />

parassita, in particolare quella agamica. Questa è costituita da picnidi scuri globosi dal corto collo<br />

contenenti picnoconidi ellissoidali unicellulari (immaturi) o bicellulari (maturi) di colore marrone<br />

olivaceo. In coltura il micelio da luogo a colonie inizialmente bianche in seguito nere e produce<br />

metaboliti tossici.<br />

Diffusione: Agenti meteorici, insetti (Psocotteri).<br />

Danni: Le infezioni causano il disseccamento dei rametti e il cancro sui rami più grossi e sul tronco.<br />

Sebbene molto lentamente le infezioni possono causare la morte delle piante adulte.<br />

L’aggressività del patogeno è fortemente incrementata dallo stress (abbassamenti repentini di temperatura,<br />

stato di siccità eccessiva, trapianto di piante adulte).<br />

Controllo: Nei vivai, dove le piante (particolarmente le più adulte) subiscono stress da trapianto e di<br />

adattamento al vaso, si consiglia di eseguire due trattamenti preventivi, uno prima della rinzollatura<br />

e uno immediatamente dopo il trasferimento in vaso. Questi possono essere effettuati con<br />

benzimidazolici (carbendazim, tiofanate-metil, tiabendazolo) da usare in miscela con prodotti che<br />

agiscono per contatto (ossicloruri, ditiocarbammati).<br />

54


TAVOLA IV Sphaeropsis sapinea f. sp. cupressi<br />

Fig. 1 - Caratteristici cancri allungati su C. sempervirens.<br />

Fig. 2 - Tessuti imbruniti all’interno di un tronco infetto.<br />

Fig. 3 - Picnidio con picnospore immature.<br />

Fig. 4 - Colonie in coltura.<br />

Fig. 5 - Conidi maturi (bicellulari) e immaturi (monocellulari).<br />

55


Tumori da Caliciopsis nigra<br />

I tumori da Caliciopsis, molto simili a quelli di natura batterica, sono causati da un parassita fungino che<br />

fu segnalato per la prima volta negli U.S.A nel 1890.<br />

Inquadramento sistematico:<br />

Teleomorfo: Caliciopsis nigra Schrader ex Fries; syn. Ceratostoma juniperinum Ellis and Ev.; syn.<br />

Corynelia juniperina (Ascomycotina, Coryneliaceae)<br />

Ospiti: Alcune conifere del genere Juniperus e Cupressus<br />

Distribuzione: Presente negli U.S.A. in Europa e in Africa.<br />

Identificazione: Causa dei piccoli tumori del diametro di 0,5-6,0 cm, screpolati e di forma globosa. Questi<br />

determinano il disseccamento dei giovani getti o la distorsione dell’asse vegetativo.<br />

Diffusione: Le spore ed i conidi prodotti abbondantemente sui tessuti tumorali possono essere diffusi<br />

dagli agenti meteorici. La penetrazione è favorita da insetti e dalla presenza di piccole ferite.<br />

Danni: In vivaio e sui giovani impianti i tumori possono determinare un arresto od una alterazione nello<br />

sviluppo delle piantine con conseguente perdita di valore commerciale.<br />

Controllo: Eliminazione e distruzione (fuoco) dei tumori. Nelle zone a rischio si consiglia l’esecuzione di<br />

un trattamento con rameici, specialmente dopo una grandinata.<br />

TAVOLA V Caliciopsis nigra<br />

Fig. 1 - Tumore su rametto di cipresso.<br />

Fig. 2 - Fruttificazioni sulla superficie di un tumore.<br />

Fig. 3 - Teleomorfo (peritecio).<br />

56


Disseccamenti da Pestalotiopsis funerea<br />

La principale caratteristica di questo fungillo è la variabilità, sia nella gamma di ospiti che nel grado<br />

di patogenicità.<br />

Inquadramento sistematico:<br />

Anamorfo: Pestalotiopsis funerea Desm. (Deuteromycotina, Coelomycetes).<br />

Teleomorfo: sconosciuto.<br />

Ospiti: Numerose piante erbacee ed arboree comprese le conifere.<br />

Distribuzione: Tutto il mondo<br />

Identificazione: Le infezioni determinano vari tipi di sintomatologia e di danno in funzione dell’ospite e<br />

degli organi attaccati. Sul cipresso causa il disseccamento delle foglie e dei giovani rametti. Può<br />

essere associata ai tessuti morti da cancro (S. cardinale) e spesso compare anche sulle galbule<br />

necrotizzate e sui giovani semenzali abbattuti dal damping-off.<br />

Diffusione: Agenti meteorici. La penetrazione di P. funerea e/o il suo sviluppo sembra favorito dai repentini<br />

abbassamenti di temperatura che mortificando i tessuti dei getti favoriscono il suo sviluppo. Si<br />

pensa che P. funerea possa vivere anche a livello endofitico per attivarsi solo in determinate condizioni<br />

di debolezza dell’ospite.<br />

Danni: Modesti sul cipresso, gravi sulle thuje stressate dalle operazioni di trapianto.<br />

Controllo: Mantenere la vigoria delle piante. Evitare gli stress idrici e l’eccesso di concimazioni azotate.<br />

TAVOLA VI Pestalotiopsis funerea<br />

Fig. 1 - Giovane rametto di cipresso con fruttificazioni nere.<br />

Fig. 2 - Conidi al SEM con le caratteristiche sete portate sulla cellula apicale.<br />

Fig. 3 - Acervuli e masse conidiche nere erompenti dall’epidermide di un rametto.<br />

57


Disseccamenti da Kabatina thujae<br />

Questo parassita fungino fu isolato per la prima volta nell’Europa settentrionale su alcune specie della<br />

famiglia delle Cupressacee.<br />

Inquadramento sistematico:<br />

Anamorfo: Kabatina thujae (Schneider & von Arx), Deuteromycotina, Coelomycetes.<br />

Ospiti: Sono sensibili alla malattia alcune Cupressacee appartenenti al genere Juniperus, Thuja e<br />

Cupressus. In Italia sono stati colpiti C. arizonica e C. macrocarpa mentre C. sempervirens è<br />

risultato sensibile alle infezioni artificiali.<br />

Distribuzione: Europa centro-settentrionale, Francia e Italia.<br />

Identificazione: Causa l’arrossamento e il disseccamento dei getti apicali. Le infezioni si sviluppano nel<br />

periodo estivo-autunnale per arrestarsi durante l’inverno e riprendere nella primavera successiva<br />

durante la quale si manifestano i sintomi più evidenti. Gli acervuli, che si formano in primavera alla<br />

base dei getti imbruniti, producono uno stroma sul quale si sviluppano dei conidiofori che generano<br />

piccoli conidi ialini unicellulari rotondeggianti. Le siepi, ricche di giovani getti per le frequenti potature,<br />

sono molto sensibili alla malattia. K. thujae forma dei cristalli gialli in coltura, questo è uno dei<br />

caratteri che la distingue dalla congenere K. juniperi.<br />

Diffusione: Agenti meteorici, insetti. È favorita dalla presenza di piccole ferite<br />

Danni: Localizzati agli apici vegetativi ma talvolta molto intensi ed estesi a tutta la chioma<br />

Controllo: Data la sporadicità degli attacchi non sono state studiate particolari misure di difesa.<br />

TAVOLA VII Kabatina thujae<br />

Fig. 1 - Siepe di cipresso con gravi disseccamenti.<br />

Fig. 2 - Picnidi su giovane rametto di cipresso.<br />

58


Marciume radicale fibroso da Armillaria mellea<br />

È uno dei parassiti fungini più comuni e dannosi che si conoscono. Caratteristica la sua grande polifagia e<br />

pericolosità. Attacca indifferentemente piante erbacee, arbustive ed arboree.<br />

Inquadramento sistematico:<br />

Teleomorfo: Armillaria mellea (Vahl., Fr.) Kummer; (Basidiomycotina, Agaricales)<br />

Ospiti: Estremamente polifago<br />

Distribuzione: Diffusa in tutto il mondo<br />

Identificazione: Causa il marciume radicale fibroso e processi di carie bianca sul tronco. Le piante<br />

appassiscono improvvisamente e muoiono. Alla base del tronco, si sviluppano i carpofori eduli<br />

colore miele (detti chiodini) con cappello a lamelle e gambo con anello. Fra la corteccia ed il legno<br />

si sviluppa un feltro miceliale a ventaglio di colore panna e dal caratteristico odore di fungo. Sui<br />

tessuti uccisi dal fungo e nel terreno sono presenti dei cordoni di micelio detti rizomorfe.<br />

Diffusione: Contaminazione per anastomosi radicale o per mezzo delle rizomorfe.<br />

Danni: Causa il disseccamento improvviso e la morte della pianta. Nelle conifere sintomi premonitori<br />

possono essere la presenza di essudati resinosi alla base del tronco o la progressiva riduzione di<br />

crescita. Il marciume dei tessuti alla base del colletto e sull’apparato radicale può determinare la<br />

caduta improvvisa delle piante per cui si rende particolarmente pericolosa nelle alberature cittadine.<br />

Particolarmente attiva la diffusione di Armillaria sulle piante dei filari e delle siepi.<br />

Controllo: Nelle siepi e nei filari eliminare e distruggere le piante infette e quelle contigue insieme alla<br />

ceppaia e ai residui legnosi. Attendere del tempo prima di procedere alla loro sostituzione. Da<br />

evitare il rimboschimento su terreni ex coltivi.<br />

TAVOLA VIII Armillaria mellea<br />

Fig. 1 - Pianta di C. sempervirens completamente imbrunita per un marciume basale.<br />

Fig. 2 - Caratteristici ventagli sottocorticali di micelio biancastro.<br />

Fig. 3 - Rizomorfe in coltura.<br />

Fig. 4 - Carpofori alla base di un cipresso.<br />

59


TAVOLA IX Phellinus torulosus<br />

Fig. 1 - Carpofori alla base di un cipresso.<br />

Fig. 2 - Carie bianca all’interno del cilindro legnoso.<br />

Fig. 3 - Colonia in coltura.<br />

Carie da Phellinus torulosus<br />

Agente patogeno di numerose specie, molto comune sia su latifoglie che su conifere.<br />

Su C. sempervirens è stato identificato per la prima volta in Toscana nel 1995.<br />

Inquadramento sistematico:<br />

Teleomorfo: Phellinus torulosus Pers. (Bourd. et Goultz.), (Basidiomycotina, Polyporales)<br />

Ospiti: Polifago, annovera fra i suoi ospiti numerose specie di conifere e latifoglie.<br />

Distribuzione: In tutto il mondo<br />

Identificazione: Causa la carie bianca del cilindro legnoso, ma può invadere ed uccidere anche<br />

l’apparato radicale. I carpofori del fungo, ampi fino 35-50 cm, sono coriacei pluriennali, grigio<br />

verdastri nella parte superiore e colore cannella nella parte poroide.<br />

Diffusione: Il micelio passa da una pianta malata ad una sana per mezzo delle anastomosi radicali. La<br />

malattia è particolarmente attiva nei boschi misti di latifoglie e conifere; molto spesso sono proprio<br />

le latifoglie, più sensibili, a infettare le conifere. Le piante indebolite da periodi di siccità estrema o<br />

dal passaggio di incendio possono essere più facilmente interessate dal P. torulosus.<br />

Danni: Lento deperimento e morte delle piante. Quando le piante sono in armonia con l’ambiente difficilmente<br />

vengono danneggiate da questo parassita.<br />

Controllo: Mantenere la vigoria delle piante. Nelle alberature ornamentali, qualora si individui una pianta<br />

malata con presenza di carpofori alla base del tronco sarà opportuno eseguire un’attenta indagine<br />

per determinare l’estensione della carie e per decidere gli interventi da eseguire. La presenza di<br />

carpofori su gran parte della circonferenza basale suggerisce l’immediato abbattimento della pianta.<br />

60


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61


FITOFAGI DEL CIPRESSO<br />

Carlo Parrini<br />

Collaboratore esterno dell’Istituto per la Protezione delle Piante<br />

L’AFIDE DEL CIPRESSO (Cinara cupressi Buckton)<br />

L’insetto e i suoi ospiti. Cinara cupressi è un afide corticicolo (Aphididae, Lachninae) le cui forme<br />

attere, responsabili della dannosità, presentano corpo di colore brunastro fornito di numerose e<br />

lunghe setole, misurante 2,7-3,2 mm in lunghezza. Gli individui alati, che compaiono in distinti momenti<br />

del ciclo biologico, hanno dimensioni corporee di poco superiori.<br />

Nella cerchia degli ospiti della C. cupressi sono comprese specie di Cupressus, Juniperus, Thuja,<br />

Cupressocyparis, Chamaecyparis, Callitris, Tetraclinis, Widdringtonia. È nota una diversa suscettibilità<br />

agli attacchi dell’afide fra le cupressacee prima elencate, fra le diverse specie e, non<br />

raramente, anche fra individui della stessa specie.<br />

Distribuzione geografica. C. cupressi si presume originaria dell’area circummediterranea ed è attualmente<br />

segnalata in numerosi paesi europei, in alcuni paesi del Medio Oriente (Turchia, Iraq) e<br />

dell’Africa orientale e australe, nel continente americano (Canada, USA, Colombia) e in India. In<br />

Italia l’afide è stato oggetto di studio sin dall’inizio del secolo scorso ed è attualmente diffuso in tutte<br />

le nostre regioni centromeridionali, nelle isole ed in alcune regioni del Nord.<br />

Biologia. L’afide si riproduce per partenogenesi, senza l’intervento del maschio e il ciclo biologico annuale<br />

si compie attraverso un susseguirsi di generazioni di virginopare attere alle quali, in ben definiti<br />

periodi stagionali, si affiancano le forme alate (anolociclo).<br />

C. cupressi sverna come attera, ridotta in numero e preoccupata solo di sopravvivere ai rigori<br />

invernali. All’uscita dall’inverno (fine febbraio – primi di marzo) inizia a riprodursi<br />

partenogeneticamente e alle generazioni di virginopare attere che si susseguono in periodo primaverile<br />

si addebita la maggiore dannosità. In maggio-giugno fanno la loro comparsa le alate virginopare<br />

che disperdono l’infestazione su altri ospiti. L’evento segna il rarefarsi della presenza della Cinara<br />

sulle chiome dei cipressi. L’afide cerca riparo dalle alte temperature estive fra le anfrattuosità delle<br />

cortecce o nel terreno. In autunno si assiste al ricostituirsi delle colonie dell’afide e ad una seconda<br />

comparsa di forme alate (ottobre-novembre). Nel corso dell’anno solare si riescono a contare 10-<br />

11 generazioni di femmine virginopare attere e alate.<br />

Dannosità. C. cupressi sviluppa le sue colonie sui rametti lignificati dei cipressi (non oltre 1 cm di<br />

diametro) e attraverso la corteccia, tramite il suo apparato boccale pungente-succhiatore, sottrae<br />

linfa. Quando andamenti climatici e stato nutrizionale delle piante ospiti siano favorevoli alla sua<br />

biologia l’afide ha sviluppi massicci e rapidi in periodo primaverile e le sue colonie riescono ad<br />

avvolgere a manicotto i rametti del cipresso (Fig.7), iniziando da quelli più interni alla chioma. Con<br />

l’elevarsi delle temperature già in maggio non tardano a manifestarsi sulle chiome dei cipressi<br />

infestati gli esiti della parassitizzazione, sotto forma di arrossamenti repentini del fogliame di intere<br />

chiome o loro vasti settori, cui seguirà il disseccamento totale del fogliame e dei rametti lignificati<br />

(Figg. 1, 2, 3, 4, 5). I seccumi si palesano uniformemente estesi al rivestimento fogliare, talora in<br />

forma di chiazzature o striature inframezzate da fogliame esente da danno. Più frequenti ed evidenti<br />

nei settori inferiori o medio-inferiori delle chiome ove, di norma, staziona una più consistente<br />

popolazione del fitomizo, con progressiva attenuazione dei danni in senso acropeto.<br />

La melata prodotta in abbondanza dalle folte colonie dell’afide si sparge su fogliame e cortecce e<br />

costituisce substrato ideale per il successivo sviluppo dei funghi nerastri della “fumaggine” (Fig.8)<br />

che interferiscono negativamente nei processi di fotosintesi e negli scambi gassosi, aggravando una<br />

62


1, 2, 3, 4, 5) Manifestazioni di danno su cipressi comuni di varia età originate da sviluppi dell’afide Cinara cupressi.<br />

6) Giovane cipresso ormai devitalizzato da intensa ed estesa infestazione della Cinara.<br />

7) Colonia primaverile di virginopare attere della C. cupressi avvolgente a manicotto un rametto di cipresso comune.<br />

8) Disseccamenti fogliari e legnosi su giovane esemplare di cipresso comune causati da attacco pregresso dell’afide.<br />

La presenza di fumaggine che riveste fusto e rami non lascia dubbi sull’origine delle perdite.<br />

9) I settori inferiori della chioma di cipresso dove, come di norma, si fa più intensa la parassitizzazione dell’afide<br />

evidenziano danni permanenti.<br />

63


condizione fisiologica della pianta già resa precaria dall’attacco del parassita. Su cipressi fortemente<br />

debilitati dalla Cinara è stata frequentemente riscontrata la successiva invasione da parte di<br />

fitofagi secondari (segnatamente Scolitidi del genere Phloeosinus) il cui sviluppo nega ogni possibilità<br />

di ripresa vegetativa alla pianta.<br />

La dannosità dell’afide scaturisce dalla incessante e prolungata sottrazione di linfa e dalle sostanze<br />

tossiche immesse con la saliva nei tessuti dell’ospite nel momento in cui detto succhiatore si nutre.<br />

I cipressi più estesamente e intensamente parassitizzati in occasione di forti pullulazioni della Cinara<br />

(registrate a più riprese in Toscana) possono venire uccisi (Fig. 6). Diversamente, la pronta capacità<br />

di ricaccio estivo riconosciuta al cipresso comune (e negata ai cipressi dell’Arizona, ospiti<br />

preferiti dell’afide) ( Figg. 10, 11, 12) consente, in stagioni successive, un lento ripristino vegetativo<br />

dei rivestimenti fogliari danneggiati. In ogni caso nei settori inferiori delle chiome ove, come anzidetto,<br />

si esercita con maggiore intensità la parassitizzazione della Cinara i disseccamenti legnosi permarranno<br />

a testimoniare la dannosità del minuscolo fitomizo (Fig. 9).<br />

Alle generazioni autunnali dell’afide che dopo la rarefazione estiva vengono a svilupparsi sulle<br />

chiome dei cipressi viene riconosciuta una pericolosità di gran lunga inferiore.<br />

Figg. 10, 11, 12) La dannosità di Cinara cupressi con maggior frequenza si<br />

rende evidente sui cipressi nordamericani (Cupressus arizonica, C. glabra, C.<br />

macrocarpa), suoi ospiti preferiti. Al diffuso impiego ornamentale di dette<br />

cupressacee - C. glabra in particolare - si attribuiscono responsabilità certe<br />

negli spettacolari e periodici incrementi delle popolazioni dell’afide che<br />

coinvolgono anche il cipresso comune.<br />

Difesa. Vi è larga disponibilità, oggigiorno, di sostanze attive molto<br />

efficaci nei confronti dell’afide cinarino del cipresso:<br />

fosforganici e carbammati di vecchia registrazione, piretroidi,<br />

piretrine naturali e altri prodotti di origine naturale, insetticidi-afidici<br />

di sintesi dell’ultima generazione. I prodotti vanno<br />

usati comunque con grande oculatezza, scegliendo fra quelli<br />

a minore tossicità, di minore impatto ambientale e maggiormente<br />

selettivi nei confronti dell’acaro-entomofauna utile e<br />

dopo aver accertato una effettiva infestazione. Si tenga presente<br />

che contro l’afide è ammessa anche l’utilità di getti<br />

forzati di acqua, sufficienti a disaggregare e disperdere le<br />

colonie e così evitare il manifestarsi dei danni sulla vegetazione<br />

del cipresso.<br />

Il successo nella lotta all’afide – che deve essere raggiunto<br />

all’interno delle chiome ove inizia ad ingrossare le sue<br />

colonie – è legato comunque alla tempestività dell’intervento aficida. Si riescono ad evitare danni al<br />

cipresso solo quando si intervenga al primo incrementarsi della popolazione della Cinara, all’uscita<br />

dall’inverno quando inizia la fase riproduttiva. Interventi aficidi tardivi non impediscono affatto la<br />

comparsa dei seccumi di foglie e rametti sui cipressi infestati.<br />

64


SCOLITIDI DEL CIPRESSO (Phloeosinus spp.)<br />

Phloeosinus aubei (Perris), Scolito del cipresso.<br />

L’insetto e i suoi ospiti. P. aubei è un coleottero Scolitide dal corpo bruno-scuro o nerastro, tozzo e<br />

compatto, di piccole dimensioni (mm 2–2,8) (Fig.2). Sono suoi ospiti varie specie di cipresso<br />

(sempervirens, macrocarpa, torulosa), di ginepro (communis, oxycedrus, sabina, phoenicea,<br />

ecc.), di tuia (occidentalis, orientalis). Può inoltre svilupparsi anche su Cephalotaxus fortunei,<br />

Sequoia gigantea, Tetraclinis articulata.<br />

Distribuzione geografica. E’ diffuso in numerosi paesi dell’Europa centro-meridionale (Italia compresa),<br />

in Nord Africa (Algeria, Tunisia, Libia), in Asia Minore, nel Caucaso e in Transcaspia. In Italia<br />

è presente in tutte le aree ove vegeti il cipresso e le altre piante ospiti prima elencate.<br />

Biologia. Il ciclo biologico dello xilofago è stato oggetto in passato di accurate indagini in Toscana. P. aubei,<br />

fitofago secondario, è solito attendere stadi di debilitazione vegetativa dei suoi ospiti per colonizzarli.<br />

Lo Scolitide dopo aver superato l’inverno allo stadio di adulto all’interno di covacci (le gallerie di<br />

maturazione scavate nell’autunno precedente) in primavera (marzo-aprile) è chiamato alla riproduzione.<br />

Sono scelti cipressi in precarie condizioni di vegetazione indotte da cause le più varie<br />

(parassitarie o abiotiche), ma non ancora morti. Sono preferiti i soggetti di 15-20 anni sui quali si<br />

riversano sciami dello Scolitide. Le femmine forano la corteccia dei tronchi e delle grosse branche<br />

e si creano un vestibolo ove sono raggiunte dai maschi e fecondate. La femmina inizia quindi<br />

l’escavazione della galleria materna, fra corteccia e alburno (Fig.4), ai cui lati, all’interno di piccole<br />

cellette, depone le uova. Poi procederà ad un secondo braccio di galleria materna, più breve, iniziato<br />

dal maschio e deporrà altre uova. Le uova deposte in totale mediamente assommano a 40. Le<br />

larve nate dalle uova scavano gallerie che interessano corteccia e parte esterna dell’alburno e<br />

hanno andamento perpendicolare alla galleria ricavata dalla madre (Figg.6, 7). Completato lo sviluppo<br />

larvale e al termine dell’impupamento nel mese di luglio fanno la loro comparsa gli adulti di<br />

prima generazione che dopo aver forato la corteccia (Fig.5) sciamano in gruppo per riversarsi sui<br />

cipressi circostanti in buone condizioni vegetative. Su questi, all’ascella dei rametti (Figg.8, 9) o<br />

lungo l’asse midollare dei getti, scavano gallerie per procurarsi cibo fresco necessario alla loro<br />

maturazione sessuale (gallerie di maturazione). Dopo analoghe modalità di ovodeposizione e di<br />

sviluppo larvale una seconda generazione di adulti sfarfalla in settembre e nelle gallerie di maturazione<br />

trascorrerà l’inverno in attesa della successiva primavera. In Toscana quindi P. aubei compie di<br />

norma due generazioni all’anno. Un ciclo biologico più rallentato è stato accertato nelle nostre<br />

regioni più fredde.<br />

Phloeosinus thujae (Perris)<br />

È specie molto vicina alla precedente, con cerchia di ospiti praticamente identica. Nelle aree settentrionali<br />

e in zone montane della penisola predomina rispetto a P. aubei. Presenta corpo nero<br />

pece, ricoperto da fitta peluria, lungo 1,5-2,4 mm. Per quanto sia più frequente il suo rinvenimento<br />

su tuie e ginepri non raramente rivolge la sua attenzione anche a specie diverse di cipresso, sviluppandosi<br />

di preferenza su piante giovani o rami di esemplari adulti. Diversamente dalla precedente è<br />

specie monovoltina. Diversa anche la modalità di svernamento: come larva prossima alla maturità<br />

entro le gallerie larvali. Generalmente nella prima metà di giugno si ha la comparsa dei primi adulti.<br />

E’ considerata specie meno dannosa della precedente in quanto capace di colonizzare anche piante<br />

già morte e disseccate da tempo.<br />

Phloeosinus armatus (Reitter)<br />

Non si è a conoscenza di ulteriore diffusione sul territorio nazionale di P. armatus, altro Scolitide<br />

segnalato sul cipresso in Liguria da oltre un decennio e che presenta taglia nettamente superiore a<br />

quella delle altre due specie citate (raggiunge in lunghezza 4,7 mm). Completa due generazioni nel<br />

corso dell’anno e sverna allo stadio di adulto. E’ specie attratta in particolare dal C. sempervirens<br />

ed è ritenuta molto più pericolosa rispetto alle congeneri aubei e thujae.<br />

65


1) I deperimenti del cipresso comune provocati dal cancro corticale offrono al Fleosino (Phloeosinus spp.) le più frequenti<br />

opportunità per riprodursi massicciamente.<br />

2) Adulti di Phloeosinus aubei (Perris): femmina (a sinistra) e maschio (da Zocchi, 1956).<br />

3) Cipresso devastato da cancro corticale e prossimo al totale collasso per sviluppi sottocorticali del Fleosino sul fusto. Cipressi<br />

in tale condizione costituiscono ricchi contenitori del pericoloso Scolitide.<br />

4) La fine rosura legnosa visibile all’esterno della corteccia sta ad indicare presenza del Fleosino in attività escavatoria<br />

sottocorticale. Il cipresso non ha scampo.<br />

5) Fori di uscita del Fleosino al termine della sua fase preimmaginale. Gli adulti neosfarfallati si pongono ben presto alla<br />

ricerca di cibo fresco su cipressi ben vegetanti circostanti.<br />

6) Fusto decorticato di cipresso devitalizzato dal Fleosino. È evidente il fitto sviluppo di gallerie di prolificazione scavate fra<br />

corteccia e legno.<br />

7) Gallerie materne e larvali del Fleosino.<br />

8) Tipica erosione all’ascella di rametto di cipresso provocata dal Fleosino. In questa fase è reale il pericolo di trasmissione<br />

dell’agente fungino del cancro corticale.<br />

9) Chioma di cipresso massicciamente colonizzata dal Fleosino in fase di maturazione sessuale.<br />

66


Dannosità degli Scolitidi. Una accresciuta presenza dei Fleosini (e di altri xilofagi) è stata avvertita in<br />

questi ultimi decenni, di pari passo con i disastrosi sviluppi del cancro corticale del cipresso che ha<br />

moltiplicato a dismisura la disponibilità di matrici legnose idonee al loro ciclo biologico (Figg. 1, 3).<br />

Con le loro gallerie di prolificazione sottocorticali riescono spesso a negare ogni possibilità di recupero<br />

anche a quei cipressi solo momentaneamente debilitati da cause avverse. Non meno temibile, invero,<br />

una loro dannosità indiretta, emersa allorché sono state documentate, decenni orsono, responsabilità<br />

certe nella trasmissione in natura, seppure involontaria, dell’agente fungino del cancro corticale. Ciò<br />

viene a realizzarsi quando i Fleosini sciamano da cipressi con perdite legnose provocate dal cancro –<br />

tutt’altro che rari – e si riversano su cipressi circostanti per nutrirsi e maturare le gonadi.<br />

Difesa. In letteratura non sono infrequenti i suggerimenti di intervento chimico (con fosforganici, piretoidi,<br />

ecc..) a protezione delle chiome dei cipressi nel momento in cui si scorgono i primi assalti degli adulti<br />

neoformati dei predetti Scolitidi, evidenziati da incipienti avvizzimenti dei rametti erosi.<br />

Su cipressi sviluppati in altezza le difficoltà tecniche di siffatti interventi e le odierne preoccupazioni di<br />

natura igienico-sanitaria e di impatto ambientale rendono più spesso improponibili dette misure di<br />

controllo dell’infestazione. La lotta ai Fleosini deve esclusivamente basarsi su criteri di prevenzione:<br />

sollecita eliminazione di cipressi (o loro parti) deperienti e seccaginosi, finalizzata a sottrarre materiale<br />

legnoso idoneo al completamento della fase riproduttiva degli insetti (Figg. 10, 11, 12). Costituiscono<br />

misure di prevenzione altrettanto valide anche il mantenimento dei cipressi in buono stato vegetativo e<br />

la loro difesa da quelle avversità (ad esempio la Cinara) che rendono le piante ricercate dai Fleosini.<br />

Figg. 10, 11, 12) Anche al contenimento della dannosità degli xilofagi<br />

del cipresso - dei Fleosini in particolare - sono rivolti gli interventi di<br />

bonifica fitosanitaria in difesa del cipresso dal cancro corticale, finanziati<br />

dalla Amministrazione Regionale Toscana e portati a termine<br />

negli ultimi anni in numerose aree provinciali della Regione.<br />

ALTRI FITOFAGI DEL CIPRESSO<br />

Gli xilofagi. Oltre ai Fleosini è stata prontamente rilevata dagli<br />

studiosi, in Toscana e in altre aree dell’Italia centrale, una<br />

crescente e preoccupante diffusione sul cipresso di altri<br />

insetti xilofagi corticicoli o cortico-lignicoli, di rarefatta presenza<br />

nel passato. Quali fitofagi secondari, l’abbondante<br />

disponibilità di materiale legnoso deperiente o seccaginoso<br />

nelle formazioni ornamentali o forestali del cipresso, resa<br />

dalla perdurante fase epidemica del cancro corticale, ha<br />

offerto irripetibile opportunità di incrementare sensibilmente<br />

la consistenza numerica delle loro popolazioni. Trattasi<br />

di coleotteri Cerambicidi e Buprestidi che di seguito ven-<br />

67


gono solo elencati, senza riportarne morfologia e caratteristiche bio-ecologiche, per le quali si rimanda<br />

alla bibliografia.<br />

Su cipressi debilitati si sono fatti frequenti i rinvenimenti del Buprestide Palmar festiva (Figg. 1, 2)<br />

e dei Cerambicidi Semanotus russicus (Figg. 3, 4) e Poecilium glabratum (Fig. 5). Su esemplari<br />

di cipresso in fase di deperimento avanzato (talvolta su cipressi già morti) si riesce a reperire il<br />

Cerambicide Icosium tomentosum e i Buprestidi Antaxia passerinii e Buprestis cupressi. I predetti<br />

xilofagi nel corso del loro sviluppo larvale, che ha diversa durata nelle varie specie elencate,<br />

scavano gallerie diversamente conformate tra corteccia e legno, talvolta incidendo profondamente<br />

l’alburno o approfondendosi nello xilema, con intuibili esiti sulla vitalità delle piante ospiti.<br />

Le cocciniglie. Carulaspis carueli è fra le cocciniglie infeudate al cipresso quella che ha richiamato la<br />

maggior attenzione da parte degli entomologi, oggetto in passato di accurate indagini morfo-biologiche.<br />

Gli sviluppi del Diaspidide su foglie e parti verdi non legnose (comprese le galbule) possono<br />

produrre ingiallimenti e deperimenti sulla vegetazione parassitizzata. È specie bivoltina nei microclimi<br />

più caldi. Si ammette comunque che la sua maggior pericolosità possa evidenziarsi, in particolare,<br />

nella produzione vivaistica o su giovani cipressi della rinnovazione spontanea. Anche la congenere<br />

C. juniperi, univoltina, può fare occasionali comparse sul cipresso comune, di norma vincolata ai<br />

ginepri. Adattata a climi più freddi sostituisce la precedente in quota.<br />

Lo Pseudococcide Planococcus vovae (Figg. 6-7), noto come cocciniglia farinosa dei ginepri (i<br />

suoi ospiti preferenziali) può farsi notare anche sul cipresso, con maggiore frequenza su soggetti<br />

che crescono in vivaio. L’abbondante produzione di melata, la fumaggine che ne consegue, le<br />

sostanze cerose secrete, i candidi ovisacchi o loro resti conferiscono alta vistosità alle affollate<br />

presenze dello Pseudococcide sulle chiome del cipresso.<br />

Gli eriofidi. L’acaro eriofide Trisetacus juniperinus è riuscito ad assumere negli ultimi anni importanza<br />

crescente, a spese in particolare della produzione vivaistica del cipresso comune (Figg. 8-9). Anche<br />

giovani impianti ornamentali della resinosa potrebbero inizialmente evidenziare, per qualche<br />

tempo, chiome vistosamente alterate nelle parti superiori dalla presenza, all’interno delle gemme,<br />

del minuscolo parassita che con le sue punture di nutrizione provoca deformazione o morte delle<br />

gemme, proliferazione di gemme e conseguenti accestimenti della vegetazione, deformazione o<br />

disseccamenti di apici vegetativi. Con la crescita il cipresso sa difendersi dalla fastidiosa presenza<br />

dell’eriofide.<br />

Ad altro eriofide (Epitrimerus cupressi), di recente venuto ad arricchire l’acarofauna italiana del<br />

cipresso e oggetto di indagini in corso da parte degli specialisti, viene attribuita al momento una<br />

assai minore dannosità.<br />

I defogliatori. Le chiome del cipresso comune possono, occasionalmente, evidenziare gli esiti, raramente<br />

appariscenti, di saltuari sviluppi di insetti defogliatori. Al riguardo si citano alcuni lepidotteri quali il<br />

Tortricide Eulia cupressana, i Geometridi Thera cupressata ed Eupitecia indignata, il Nottuide<br />

Lithophane lapidea, il Limantride Lymantria dispar, il Lasiocampide Dendrolimus pini, ecc.<br />

Dei predetti alcuni risultano legati esclusivamente al cipresso o altre cupressacee; altri, dotati di<br />

vasta polifagia, sul cipresso fanno sporadiche comparse solo in occasione di loro forti pullulazioni su<br />

ospiti maggiormente appetiti. L’attività trofica delle loro larve si esercita a spese di fogliame e<br />

giovani getti. Tutti accomunati da una dannosità alquanto modesta sul cipresso.<br />

Parassiti dei coni e dei semi. I fitofagi che si evolvono a spese di coni (galbule) e semi del cipresso<br />

sono stati oggetto di indagine anche in Italia. Si citano, come più importanti, il lepidottero Tortricide<br />

Pseudococcyx tessulatana, l’eterottero Ligeide Orsillus maculatus, l’imenottero Torimide<br />

Megastigmus wachtli. Minore importanza sembrano rivestire il coleottero Anobide Ernobius<br />

cupressi, il già menzionato eriofide Trisetacus juniperinus, il lepidottero Gelechide Brachyacma<br />

oxycedrella. Con diversa modalità procurano gravi erosioni ai coni e ai semi in essi contenuti o<br />

impediscono la maturazione dei coni e quindi la produzione del seme. Di O. maculatus sono state<br />

accertate anche responsabilità nella diffusione in natura dell’agente fungino del cancro corticale,<br />

affiancandosi al Fleosino, pur con minori responsabilità, in veste di vettore animale della malattia. Si<br />

sospetta che identica incombenza possa essere assolta anche da P. tessulatana.<br />

68


Dannosità degli Scolitidi. Una accresciuta presenza dei Fleosini (e di altri xilofagi) è stata avvertita in<br />

questi ultimi decenni, di pari passo con i disastrosi sviluppi del cancro corticale del cipresso che ha<br />

moltiplicato a dismisura la disponibilità di matrici legnose idonee al loro ciclo biologico (Figg.1, 3).<br />

Con le loro gallerie di prolificazione sottocorticali riescono spesso a negare ogni possibilità di recupero<br />

anche a quei cipressi solo momentaneamente debilitati da cause avverse. Non meno temibile, invero,<br />

una loro dannosità indiretta, emersa allorché sono state documentate, decenni orsono, responsabilità<br />

certe nella trasmissione in natura, seppure involontaria, dell’agente fungino del cancro corticale. Ciò<br />

viene a realizzarsi quando i Fleosini sciamano da cipressi con perdite legnose provocate dal cancro –<br />

tutt’altro che rari – e si riversano su cipressi circostanti per nutrirsi e maturare le gonadi.<br />

Difesa. In letteratura non sono infrequenti i suggerimenti di intervento chimico (con fosforganici, piretoidi,<br />

ecc..) a protezione delle chiome dei cipressi nel momento in cui si scorgono i primi assalti degli adulti<br />

neoformati dei predetti Scolitidi, evidenziati da incipienti avvizzimenti dei rametti erosi.<br />

Su cipressi sviluppati in altezza le difficoltà tecniche di siffatti interventi e le odierne preoccupazioni di<br />

natura igienico-sanitaria e di impatto ambientale rendono più spesso improponibili dette misure di<br />

controllo dell’infestazione. La lotta ai Fleosini deve esclusivamente basarsi su criteri di prevenzione:<br />

sollecita eliminazione di cipressi (o loro parti) deperienti e seccaginosi, finalizzata a sottrarre materiale<br />

legnoso idoneo al completamento della fase riproduttiva degli insetti. Costituiscono misure di prevenzione<br />

altrettanto valide anche il mantenimento dei cipressi in buono stato vegetativo e la loro difesa da<br />

quelle avversità (ad esempio la Cinara) che rendono le piante ricercate dai Fleosini.<br />

ALTRI FITOFAGI DEL CIPRESSO<br />

Gli xilofagi. Oltre ai Fleosini è stata prontamente rilevata dagli studiosi, in Toscana e in altre aree dell’Italia<br />

centrale, una crescente e preoccupante diffusione sul cipresso di altri insetti xilofagi corticicoli o<br />

cortico-lignicoli, di rarefatta presenza nel passato. Quali fitofagi secondari, l’abbondante disponibilità<br />

di materiale legnoso deperiente o seccaginoso nelle formazioni ornamentali o forestali del cipresso,<br />

resa dalla perdurante fase epidemica del cancro corticale, ha offerto irripetibile opportunità<br />

di incrementare sensibilmente la consistenza numerica delle loro popolazioni. Trattasi di coleotteri<br />

Cerambicidi e Buprestidi che di seguito vengono solo elencati, senza riportarne morfologia e caratteristiche<br />

bio-ecologiche, per le quali si rimanda alla bibliografia.<br />

Su cipressi debilitati si sono fatti frequenti i rinvenimenti del Buprestide Palmar festiva (Figg. 1, 2)<br />

e dei Cerambicidi Semanotus russicus (Figg. 3, 4) e Poecilium glabratum (Fig.5). Su esemplari di<br />

cipresso in fase di deperimento avanzato (talvolta su cipressi già morti) si riesce a reperire il<br />

Cerambicide Icosium tomentosum e i Buprestidi Antaxia passerinii e Buprestis cupressi. I predetti<br />

xilofagi nel corso del loro sviluppo larvale, che ha diversa durata nelle varie specie elencate,<br />

scavano gallerie diversamente conformate tra corteccia e legno, talvolta incidendo profondamente<br />

l’alburno o approfondendosi nello xilema, con intuibili esiti sulla vitalità delle piante ospiti.<br />

Le cocciniglie. Carulaspis carueli è fra le cocciniglie infeudate al cipresso quella che ha richiamato la<br />

maggior attenzione da parte degli entomologi, oggetto in passato di accurate indagini morfo-biologiche.<br />

Gli sviluppi del Diaspidide su foglie e parti verdi non legnose (comprese le galbule) possono<br />

produrre ingiallimenti e deperimenti sulla vegetazione parassitizzata. È specie bivoltina nei microclimi<br />

più caldi. Si ammette comunque che la sua maggior pericolosità possa evidenziarsi, in particolare,<br />

nella produzione vivaistica o su giovani cipressi della rinnovazione spontanea. Anche la congenere<br />

C. juniperi, univoltina, può fare occasionali comparse sul cipresso comune, di norma vincolata ai<br />

ginepri. Adattata a climi più freddi sostituisce la precedente in quota.<br />

Lo Pseudococcide Planococcus vovae (Figg. 6-7), noto come cocciniglia farinosa dei ginepri (i<br />

suoi ospiti preferenziali) può farsi notare anche sul cipresso, con maggiore frequenza su soggetti<br />

che crescono in vivaio. L’abbondante produzione di melata, la fumaggine che ne consegue, le<br />

sostanze cerose secrete, i candidi ovisacchi o loro resti conferiscono alta vistosità alle affollate<br />

presenze dello Pseudococcide sulle chiome del cipresso.<br />

67


Gli eriofidi. L’acaro eriofide Trisetacus juniperinus è riuscito ad assumere negli ultimi anni importanza<br />

crescente, a spese in particolare della produzione vivaistica del cipresso comune (Figg. 8-9). Anche<br />

giovani impianti ornamentali della resinosa potrebbero inizialmente evidenziare, per qualche tempo,<br />

chiome vistosamente alterate nelle parti superiori dalla presenza, all’interno delle gemme, del minuscolo<br />

parassita che con le sue punture di nutrizione provoca deformazione o morte delle gemme,<br />

proliferazione di gemme e conseguenti accestimenti della vegetazione, deformazione o disseccamenti<br />

di apici vegetativi. Con la crescita il cipresso sa difendersi dalla fastidiosa presenza dell’eriofide.<br />

Ad altro eriofide (Epitrimerus cupressi), di recente venuto ad arricchire l’acarofauna italiana del<br />

cipresso e oggetto di indagini in corso da parte degli specialisti, viene attribuita al momento una<br />

assai minore dannosità.<br />

I defogliatori. Le chiome del cipresso comune possono, occasionalmente, evidenziare gli esiti, raramente<br />

appariscenti, di saltuari sviluppi di insetti defogliatori. Al riguardo si citano alcuni lepidotteri quali il<br />

Tortricide Eulia cupressana, i Geometridi Thera cupressata ed Eupitecia indignata, il Nottuide<br />

Lithophane lapidea, il Limantride Lymantria dispar, il Lasiocampide Dendrolimus pini, ecc.<br />

Dei predetti alcuni risultano legati esclusivamente al cipresso o altre cupressacee; altri, dotati di<br />

vasta polifagia, sul cipresso fanno sporadiche comparse solo in occasione di loro forti pullulazioni su<br />

ospiti maggiormente appetiti. L’attività trofica delle loro larve si esercita a spese di fogliame e<br />

giovani getti. Tutti accomunati da una dannosità alquanto modesta sul cipresso.<br />

Parassiti dei coni e dei semi. I fitofagi che si evolvono a spese di coni (galbule) e semi del cipresso<br />

sono stati oggetto di indagine anche in Italia. Si citano, come più importanti, il lepidottero Tortricide<br />

Pseudococcyx tessulatana, l’eterottero Ligeide Orsillus maculatus, l’imenottero Torimide<br />

Megastigmus wachtli. Minore importanza sembrano rivestire il coleottero Anobide Ernobius<br />

cupressi, il già menzionato eriofide Trisetacus juniperinus, il lepidottero Gelechide Brachyacma<br />

oxycedrella. Con diversa modalità procurano gravi erosioni ai coni e ai semi in essi contenuti o<br />

impediscono la maturazione dei coni e quindi la produzione del seme. Di O. maculatus sono state<br />

accertate anche responsabilità nella diffusione in natura dell’agente fungino del cancro corticale,<br />

affiancandosi al Fleosino, pur con minori responsabilità, in veste di vettore animale della malattia. Si<br />

sospetta che identica incombenza possa essere assolta anche da P. tessulatana.<br />

68


1) Adulto di Palmar festiva.<br />

2) Larva di P. festiva nella tipica forma vermiforme criptocefala.<br />

3) Adulto di Semanotus russicus sorpreso ancora nella cella pupale al termine della fase preimmaginale.<br />

4) Sviluppo di larghe gallerie sottocorticali scavate da larve di S. russicus.<br />

5) Alburno inciso dalle gallerie di P. glabratum e fori di farfallamento del Cerambicide visibili in branca di cipresso<br />

decorticata.<br />

6) Lo pseudococcide Planococcus vovae col corpo ricoperto da sostanze cerose (cocciniglia farinosa).<br />

7) Forme giovanili di P. vovae che si affollano su rametto di cipresso.<br />

8) La dannosità di Trisetacus juniperinus si fa notare nella produzione vivaistica e nei giovani impianti di cipresso.<br />

9) Disseccamenti di gemme provocati da T. juniperinus.<br />

69


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70


(<br />

LA BONIFICA FITOSANITARIA DEL CIPRESSO (*)<br />

C. Parrini (1) , A. Panconesi (2) , R. Danti (2) , A. Guidotti (3) , F .Puleri (4) , P. Toccafondi (5)<br />

La bonifica fitosanitaria a tutela del cipresso ha come principale finalità quella di assicurare condizioni di<br />

crescita più sane ai popolamenti di cipresso ornamentali e forestali, pubblici e privati. Ciò può essere<br />

ottenuto tramite un’accurata estinzione dei focolai della malattia, altrimenti destinati a promuovere<br />

incessantemente nuove infezioni. Altro importante risultato ottenuto con la bonifica è la valorizzazione del<br />

paesaggio in quanto la scomparsa di chiome di cipresso<br />

devastate dalla malattia o ridotte a ruderi vegetali in<br />

progressivo deterioramento (Fig. 1) non rappresenta più<br />

elemento di disturbo visivo.<br />

AMBITI DI INTERVENTO<br />

I principali ambiti di intervento delle bonifica del cipresso<br />

sono i seguenti:<br />

• Vivai: la bonifica dovrà interessare tutte le piante morte o<br />

ammalate, di qualsiasi età o forma, quale che sia la loro destinazione<br />

finale. Tutte le piante infette devono essere individuate<br />

e bruciate immediatamente per evitare che la malattia<br />

si propaghi alle piante sane circostanti allevate in condizioni<br />

molto favorevoli allo sviluppo del patogeno. La bonifica<br />

serve principalmente ad evitare che la commercializzazione<br />

divenga un veicolo di diffusione della malattia;<br />

inoltre consente di eliminare dal vivaio individui che sono<br />

geneticamente sensibili al cancro che potrebbero essere usati<br />

per la raccolta di materiale riproduttivo (marze, semi).<br />

Fig. 1 - Il cipresso in effige, morto da anni,<br />

chiede solo di essere rimosso.<br />

• Impianti forestali: con questo termine si intendono le formazioni<br />

boscate, pure o miste, di varia estensione. Si consiglia<br />

l’abbattimento di tutte le piante ammalate o morte e la<br />

distruzione immediata di tutta la ramaglia e del materiale infetto di risulta.<br />

• Boschi da seme: la bonifica fitosanitaria assume una particolare rilevanza nei boschi da seme,<br />

ove occorre eliminare dalla popolazione tutti gli individui malati potenzialmente in grado di trasmettere<br />

alle discendenze il carattere “suscettibilità al cancro”.<br />

• Impianti ornamentali: insieme ai boschi costituiscono una parte fondamentale nell’architettura<br />

del paesaggio toscano. Sono costituiti in genere da piccoli nuclei di cipresso (puri o misti), da<br />

piante isolate o disposte in filari, barriere frangivento, siepi, talvolta sottoposti a programmati<br />

interventi di potatura. Per non ridurre eccessivamente il valore ornamentale e la funzionalità di<br />

queste strutture vegetali, alcune delle quali hanno anche un valore storico-monumentale, ogni<br />

singola pianta dovrà essere esaminata e, quando possibile, sottoposta ad interventi di risanamento.<br />

(*) Il presente capitolo riprende sinteticamente alcuni argomenti trattati nel manuale “La bonifica fitosanitaria a tutela<br />

del cipresso” edito da ARSIA nel 2003, AA.VV.<br />

(1) Fitopatologo , Firenze<br />

(2) Istituto Protezione Piante CNR , Firenze<br />

(3) Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale, Firenze<br />

(4) Comune di Arezzo<br />

(5) Libero professionista<br />

71


In tutte queste situazioni la bonifica è finalizzata a ridurre sia la quantità di inoculo che le popolazioni di<br />

Scolitidi capaci di trasportare la malattia sulle piante sane; è per questi motivi che gli interventi devono<br />

essere il più possibile estesi e curati.<br />

LOCALIZZAZIONE DELLE INFEZIONI<br />

Le infezioni possono svilupparsi in qualsiasi zona della pianta,<br />

dal cimale fino al colletto, nelle parti periferiche della chioma o<br />

internamente ad essa (Fig. 2), all’inserzione dei giovani rametti<br />

sull’asse portante o sulla superficie libera del rametto, sui getti<br />

situati nella parte apicale della chioma o sui rami laterali a varie<br />

altezze sulla pianta.<br />

Anche organi<br />

come tronco e<br />

grosse branche,<br />

seppur protetti da<br />

uno spesso strato<br />

di ritidoma (sughero),<br />

per cause<br />

abiotiche (freddo,<br />

grandine, vento,<br />

danni meccanici,<br />

ecc.) o biotiche<br />

(insetti, roditori,<br />

uccelli, ungulati,<br />

ecc.) possono su-<br />

Fig.3 - Sviluppo del processo necrotico su un<br />

cimale: ritardare ulteriormente l’esecuzione<br />

dell’intervento di risanamento potrebbe<br />

mettere a rischio il recupero della pianta.<br />

bire delle ferite che consentono ai propaguli del patogeno di<br />

venire in contatto con i tessuti corticali esposti e di dar luogo<br />

al processo infettivo. Le infezioni possono inoltre arrivare sul<br />

tronco e sulle branche per il progressivo sviluppo del micelio<br />

che dai rami periferici procede in senso centripeto (verso il<br />

fusto) fino a raggiungere l’asse principale della pianta.<br />

Le infezioni, in particolare se localizzate sul cimale della pianta<br />

(Fig. 3) producono molti propaguli che riversandosi nelle zone sottostanti della chioma, possono provocare<br />

nuovi processi infettivi. Per questo motivo ogni ritardo nelle operazioni di risanamento fa aumentare le<br />

possibilità di contaminazione e riduce le possibilità di salvezza della pianta.<br />

Prima di effettuare un taglio di risanamento, è sempre necessario quindi accertare la localizzazione e<br />

l’estensione dell’area necrotica in modo da individuare la parte inferiore non ancora raggiunta dal micelio<br />

del parassita ove recidere convenientemente il ramo o la branca colpita. Come noto, il S. cardinale si<br />

sviluppa eminentemente nei tessuti vivi della corteccia, situati tra il ritidoma e il legno. I tessuti colonizzati<br />

dal micelio del parassita vanno incontro a necrosi e assumono una colorazione bruno rossastra, talvolta<br />

dalla tonalità accesa, e hanno una consistenza pastosa perché impregnati di resina (Fig. 4). Sia in sezione<br />

longitudinale che trasversale i settori di corteccia alterati dall’azione del fungo sono facilmente distinguibili<br />

dalla corteccia sana che appare bianca (Fig. 5). Nei tessuti dei cancri più vecchi, la resina si dissecca, la<br />

corteccia si disidrata completamente e si attacca al legno sottostante divenendo compatta e difficile da<br />

asportare, ostacolando eventuali operazioni di risanamento chirurgico. È opportuno ricordare che nei rami<br />

o nelle branche uccisi dalla Cinara cupressi, la corteccia si disidrata e muore, senza tuttavia assumere la<br />

colorazione e la consistenza di quella morta per il cancro. Inoltre nel caso di disseccamenti afidici, i tessuti<br />

non si deformano (non c’è cancro) e non c’è emissione di resina.<br />

La ricerca delle infezioni, specialmente quelle non ancora sintomatiche, è influenzata anche dall’architettura<br />

della chioma dei cipressi: quelli di tipo fastigiato (Fig. 6: a3, a4) con rami numerosi, assurgenti ed<br />

72<br />

Fig. 2 - Localizzazione schematica delle<br />

infezioni su una pianta e relative possibilità<br />

di risanamento.


Fig. 4 - Sezione trasversale di una branca di cipresso: i tessuti<br />

corticali appaiono necrotici solo in una parte della circonferenza.<br />

appressati al fusto, spesso non consentono<br />

un adeguato ed accurato esame<br />

visivo per ampi tratti della superficie<br />

del tronco. Anche l’affastellamento dei<br />

rami che sovente si riscontra su queste<br />

piante non favorisce l’esatta<br />

l’individuazione del margine dell’area<br />

necrotica la cui delimitazione è assolutamente<br />

necessaria per le successive<br />

operazioni di risanamento. Inoltre<br />

queste piante hanno frequentemente un<br />

tronco con sezione molto irregolare e<br />

con profonde costolature che ostacolano<br />

sia la delimitazione del processo<br />

infettivo che la successiva esecuzione<br />

del risanamento chirurgico.<br />

Nelle piante con rami inseriti orizzontalmente<br />

sul fusto e a chioma larga<br />

(Fig. 6: b1, b2, d1, d2) l’asse principale<br />

è sovente visibile fino al cimale e ciò<br />

consente di individuare le necrosi e la<br />

fuoriuscita di resina su rami e fusto con<br />

una certa facilità anche in assenza dei<br />

classici disseccamenti della chioma.<br />

Quando le infezioni sono molto numerose<br />

e attive significa che le piante sono<br />

particolarmente “sensibili” al patogeno;<br />

in questi casi, nonostante si possa conseguire<br />

il risanamento, le piante<br />

(geneticamente sensibili) rimangono<br />

predisposte a contrarre nuovamente la<br />

malattia (Fig. 7). Inoltre, quando i<br />

disseccamenti sono numerosi e attivi<br />

73<br />

Fig. 5 - Decorticazione superficiale di un cancro che permette<br />

di osservare il confine nell’area necrotica sia in<br />

senso longitudinale che trasversale.<br />

Fig. 6 - Differenti tipi architetturali riscontrabili nelle tre categorie<br />

morfologiche individuate da Berthelemy et al. (1999) in C. sempervirens.


da lungo tempo, è da attendersi che questi siano accompagnati da altre infezioni, non ancora sintomatiche<br />

e per questo di ardua individuazione. Queste infezioni si svilupperanno ed entro breve tempo saranno<br />

visibili sulla chioma, evidenziando l’inutilità degli interventi eseguiti in precedenza. Persistendo con le<br />

potature si rischia pertanto di instaurare una rincorsa al risanamento che comporterà alti costi oltre il<br />

deturpamento estetico della pianta (Fig. 8) che sarebbe più opportuno abbattere.<br />

EVOLUZIONE DEL PROCESSO INFETTIVO<br />

Il disseccamenti hanno inizio solo quando la necrosi, che si è sviluppata nei tessuti corticali, è arrivata a<br />

Fig. 7 - Il numero e il grado di sviluppo delle infezioni<br />

indica la sensibilità di un individuo alla malattia.<br />

circondare completamente l’asse dell’organo colpito. I disseccamenti si possono manifestare durante<br />

tutto l’anno, ma sono particolarmente frequenti ed evidenti durante il periodo primaverile-estivo, più favorevole<br />

allo sviluppo del fungo.<br />

La progressione del processo infettivo e riproduttivo nei tessuti corticali è maggiore negli organi più giovani<br />

della pianta ed è legata alla vigoria e al grado di resistenza individuale. Nelle piante più vecchie e in<br />

quelle che vivono nei terreni più difficili i processi necrotici e riproduttivi si sviluppano con maggior lentezza.<br />

In questi casi le operazioni di risanamento possono avere maggiori possibilità di riuscita.<br />

Lo sviluppo delle strutture riproduttive, che ha luogo sulla superficie dell’area necrotizzata dal parassita,<br />

comprende la formazione, maturazione e apertura degli acervuli e la diffusione dei conidi. La produzione<br />

acervulare è strettamente correlata all’andamento stagionale e dipende dalla temperatura e dal grado di<br />

umidità relativa dell’ambiente; la diffusione dei conidi è legata alla piovosità. Durante l’anno si hanno,<br />

fondamentalmente, due epoche di produzione acervulare, una primaverile, la più importante, ed una autunnale;<br />

in questi periodi anche le possibilità di infezione sono maggiori.<br />

74<br />

Fig. 8 - Pianta di cipresso deturpata in modo<br />

inaccettabile da reiterati interventi di risanamento.


EPOCA DI INTERVENTO<br />

I periodi dell’anno più indicati per effettuare tagli fitosanitari sul cipresso sono quello estivo, caldo e<br />

asciutto, e quello freddo invernale. In questi mesi l’inoculo del fungo nell’ambiente è ridotto al minimo e le<br />

condizioni climatiche risultano meno favorevoli all’insorgenza di nuove infezioni.<br />

TIPI E MODALITÀ DI INTERVENTO<br />

Le principali operazioni effettuate nell’ambito della bonifica fitosanitaria sono essenzialmente rappresentate<br />

dall’abbattimento della pianta e/o dal risanamento della chioma.<br />

Fig. 9 - Cipresseta rada e priva di sottobosco ingombrante.<br />

I tagli dei cipressi infetti non presentano particolari<br />

difficoltà.<br />

Fig. 10 - Esempi di intervento di abbattimento con piattaforma aerea.<br />

Abbattimento: è opportuno abbattere quando:<br />

- le piante infette sono inserite in complessi boscati<br />

ove l’accesso dei mezzi meccanici è difficoltoso o<br />

impossibile;<br />

- le infezioni sono numerose, in continua progressione<br />

e risultano distribuite in varie compagini della chioma<br />

e/o sul tronco.<br />

- l’eliminazione delle parti infette, seppur materialmente<br />

possibile, pregiudica l’aspetto estetico della<br />

pianta;<br />

- l’estensione anche di una sola necrosi localizzata<br />

nella porzione intermedia o inferiore del tronco,<br />

interessa oltre il 50% della circonferenza.<br />

Le tecniche impiegate per l’abbattimento delle<br />

piante definitivamente compromesse dal cancro<br />

corticale, possono differire sostanzialmente in funzione<br />

delle diverse condizioni operative.<br />

Nelle aree boscate o nei luoghi aperti privi di ostacoli<br />

(Fig. 9), si procede di norma all’abbattimento con un<br />

unico taglio alla base della pianta, mentre nelle<br />

restanti situazioni, caratterizzate da limitazioni<br />

cantieristiche di vario genere, si deve obbligatoriamente<br />

ricorrere all’impiego di macchine specifiche<br />

quali le piattaforme aeree.<br />

L’abbattimento con mezzo meccanico<br />

in elevazione (Fig. 10), consiste nella<br />

sramatura totale o parziale della pianta<br />

e nella sezionatura progressiva del fusto,<br />

iniziando dalla parte apicale della<br />

pianta.<br />

Per evitare che i tronchi o toppi sezionati<br />

possano arrecare danni durante la<br />

loro caduta al suolo, nonché per ridurre<br />

i tempi dell’intervento, spesso si affianca<br />

alla piattaforma aerea un autocarro<br />

dotato di braccio idraulico elevatore<br />

(pinza) che consente il caricamento del<br />

tronco direttamente sul pianale del mezzo.<br />

75


La squadra “tipo” per l’esecuzione dell’intervento descritto è costituita da 4-5 operatori, di cui due<br />

posizionati sul cestello aereo e gli altri addetti alla sistemazione della ramaglia e alle altre operazioni del<br />

caso, quali ad es. la regolamentazione del traffico. La presenza contemporanea di due operatori sul<br />

cestello aereo, oltre a sveltire le operazioni taglio, garantisce in generale una maggiore condizione di<br />

sicurezza, in quanto l’addetto alla motosega può dedicarsi e concentrarsi esclusivamente all’operazione<br />

di sezionatura.<br />

Risanamento: é invece possibile risanare quando:<br />

- le piante fanno parte di alberature e formazioni ornamentali e comunque quando si trovano in<br />

contesti facilmente accessibili ai mezzi meccanici;<br />

- non appena la malattia si manifesta nelle parti periferiche della chioma con i primi ingiallimenti<br />

e arrossamenti; il risanamento in questo caso potrà essere eseguito con relativa facilità ed i<br />

risultati sono in genere positivi;<br />

- processi infettivi trascurati si sono estesi interessando progressivamente settori sempre più<br />

ampi della chioma; in questo caso l’intervento potrà sempre essere eseguito, ma le probabilità<br />

di successo risulteranno via via inferiori;<br />

- quando il processo necrotico è situato sul tronco ed interessa un settore di circonferenza inferiore<br />

al 40%, può essere tentato il risanamento con interventi chirurgici appropriati (chirurgia<br />

conservativa) che possono dare risultati soddisfacenti.<br />

Fasi operative del risanamento:<br />

- Delimitazione del margine inferiore dell’area necrotica fino ad individuare il punto in corrispondenza<br />

del quale la corteccia risulta bianca (sana) lungo tutta la circonferenza ;<br />

- Taglio operato su parti sane poste 10-20 cm più in basso rispetto al limite inferiore dell’area<br />

necrotica onde garantirsi dall’eventualità che un tessuto privo di alterazioni macroscopiche sia<br />

già stato raggiunto dalle ife del patogeno. Operando in questo modo, il risanamento di un ramo<br />

o di una branca colpita viene perseguito con maggiori possibilità di successo.<br />

- Disinfezione delle ferite: è sempre raccomandabile provvedere a proteggere le superfici di<br />

taglio mediante lutazione con colla poliacetilvinilica cui sia stato previamente aggiunto un prodotto<br />

anticrittogamico a base di benzimidazolici (es. Carbendazim) in misura dell’1-2 % (10-20 gr /<br />

kg). La frequente disinfezione degli strumenti di taglio con una miscela al 50% di ipoclorito di<br />

sodio e alcol etilico, oppure con sali quaternari dell’ammonio, è parimenti raccomandabile per<br />

evitare che la lama contaminata trasmetta la malattia con i tagli successivi.<br />

- Quando gli interventi sulla chioma sono numerosi è molto probabile che durante i lavori di<br />

risanamento si siano verificate delle ferite che sarebbe opportuno disinfettare con un trattamento<br />

alla chioma (insistendo paricolarmente sul tronco) con benzimidazolici (Carbendazim, 100 gr/<br />

Hl).<br />

L’intervento di risanamento richiede un notevole grado di attenzione e specializzazione, e di norma<br />

prevede l’utilizzo della piattaforma aerea che consente di analizzare al meglio le varie parti della chioma<br />

ed esclude o limita al minimo le ferite prodotte alla piante, come invece spesso accade con l’utilizzo<br />

delle scale.<br />

In tutti i contesti nei quali si interviene con il risanamento individuale, in particolare nei giardini e negli<br />

impianti monumentali, occorre salvaguardare l’aspetto estetico della pianta e la sua funzionalità, rispettandone<br />

la “dignità” e con essa anche quella del contesto in cui è inserita. Si ricorda, inoltre, che al di là<br />

di certi limiti, le operazioni di taglio non si ripercuotono solamente sull’aspetto estetico ma anche su<br />

quello anatomico-fisiologico, fino a compromettere l’equilibrio funzionale e la capacità di recupero.<br />

Occorre ricordare che nel cipresso, come in gran parte delle conifere, i grossi rami e le branche sono<br />

privi di gemme avventizie o latenti e in caso di grossi tagli di risanamento le possibilità di recupero della<br />

vegetazione sono ridotte.<br />

76


Tenuto conto di queste considerazioni, quando il processo necrotico riguarda solo il cimale della pianta,<br />

la tempestiva svettatura dello stesso al di sotto del limite del cancro potrà portare al risanamento e al<br />

buon recupero vegetativo della pianta. Comunque, se in alcuni casi può essere accettabile togliere 2-3<br />

metri di cimale da una pianta di 18-20 m di altezza, non è detto, anzi, è improbabile, che la stessa operazione<br />

possa essere effettuata su una pianta alta 10-12 m.<br />

Eliminazione del materiale di risulta<br />

Il materiale di risulta derivante dagli interventi di abbattimento e di risanamento è costituito principalmente<br />

da due categorie di assortimenti:<br />

• ramaglia e tronchi di dimensione non commerciabile;<br />

• tronchi commerciabili.<br />

La ramaglia e il materiale di dimensione non<br />

commerciabile devono essere eliminati con<br />

l’abbruciamento, o quando ciò non sia possibile, allontanati<br />

dal cantiere di lavoro (Fig. 11), con trasporto in vicine<br />

discariche autorizzate. Per evitare il diffondersi del<br />

fungo responsabile della malattia, lo smaltimento della<br />

ramaglia infetta deve essere eseguito in tempi molto brevi<br />

rispetto alle operazioni di taglio, meglio se effettuato in<br />

contemporanea all’intervento stesso.<br />

Anche i tronchi di dimensione commerciale (con diame-<br />

Fig. 11 - Risanamenti e sramature dei cipressi atterrati<br />

producono ingenti quantitativi di ramaglia. Anche<br />

il loro incenerimento può porre problemi in penuria<br />

di spazi idonei.<br />

COSTI DI INTERVENTO<br />

tro di punta maggiore a 20 cm), devono essere rapidamente<br />

allontanati dal cantiere per evitare la permanenza<br />

del micelio del fungo che rimane vivo anche dopo alcuni<br />

anni dalla morte della pianta, e per prevenire la<br />

proliferazione di insetti corticicoli alcuni dei quali (Scolitidi)<br />

sono dei pericolosi vettori della malattia.<br />

A titolo puramente indicativo si riportano alcuni costi di intervento sostenuti nella provincia di Arezzo<br />

(Italia) per interventi di bonifica fitosanitaria del cipresso eseguiti in differenti condizioni di lavoro.<br />

a) Ambiti di intervento:<br />

a.1) Aree urbane. Aree poste all’interno di centri abitati ove sono presenti infrastrutture od ostacoli<br />

di varia natura che interferiscono e rallentano l’esecuzione delle operazioni di bonifica. In<br />

questa categoria sono compresi anche gli interni delle aree cimiteriali, dove talvolta le piante sono<br />

ubicate in condizioni di difficile accessibilità.<br />

a.2) Aree extraurbane. Aree ubicate fuori dei centri urbani, quali strade vicinali, comunali o provinciali,<br />

dove spesso i cipressi costituiscono viali o alberature di pregio paesaggistico. In queste<br />

aree la bonifica risulta di più agevole esecuzione, rispetto alle aree urbane per la minore presenza di<br />

ostacoli in prossimità delle piante.<br />

a.3) Aree boschive. Formazioni boschive di cipresso in forma pura o misti, fra cui rientrano anche<br />

i “boschi da seme” iscritti al Libro Nazionale Boschi da Seme in Italia.<br />

b) Dimensioni delle piante<br />

In relazione all’età, agli sviluppi diametrici, di altezza e all’espansione delle chiome delle singole<br />

piante, i costi della bonifica, possono risultare più o meno onerosi. Considerato altresì che detti<br />

parametri dendrometrici sono tra loro strettamente correlati, nelle analisi dei costi medi di seguito<br />

proposti, sono state stabilite due classi diametriche di riferimento: fino 50 cm ed oltre.<br />

77


c) Manodopera<br />

Ipotizzando l’esecuzione degli interventi in appalto a ditta specializzata nel settore (ad es. ditte<br />

iscritte all’albo delle imprese agricolo forestali ai sensi della L.R. 36/92), si è fatto riferimento alla<br />

manodopera di cui al contratto nazionale degli operai Agricolo-Forestali con validità fino al 31.12.2002.<br />

I prezzi orari utilizzati si riferiscono alla categoria dell’ operaio forestale specializzato di 3° livello e<br />

all’operaio spec. di 3° livello con funzioni di caposquadra, per prestazioni effettuate durante l’orario<br />

di lavoro.<br />

I prezzi comprendono la retribuzione contrattuale, gli oneri di legge sulla manodopera, le dotazioni<br />

individuali di sicurezza e la normale dotazione di piccoli attrezzi da lavoro. Ipotizzando l’affidamento<br />

a ditta specializzata nel settore è stata inoltre considerata una maggiorazione per spese generali del<br />

15% e del 10% per utili di impresa.<br />

d) Noli<br />

I noli del mezzi meccanici, riportati nelle successive tabelle di analisi, sono da intendersi a ”caldo”<br />

e comprensivi di consumi d’uso e spese generali.<br />

78


Costi di intervento<br />

- Abbattimento di cipresso con diametro fino a 50 cm<br />

Descrizione intervento: abbattimento di cipresso, attaccato da cancro corticale, con impiego di<br />

piattaforma aerea h 20/25 m, consistente nella sezionatura del fusto in toppi di lunghezza variabile,<br />

allontanamento di tutto il materiale di risulta non commerciabile e abbruciamento dello stesso in<br />

spazi idonei o conferimento in discarica autorizzata entro una distanza massima di 15/25 km dal<br />

cantiere di lavoro. Il costo è comprensivo di trasporto del materiale di risulta commerciabile in<br />

luoghi di imposto indicati dalla direzione lavori, dell’acquisizione delle autorizzazioni di legge, della<br />

sistemazione di segnaletica stradale a norma, della preparazione preliminare e messa in sicurezza<br />

del cantiere di intervento e nel ripristino finale a regola d’arte degli spazi utilizzati.<br />

Per diametri maggiori di 50 cm, i prezzi devono essere maggiorati del 20%<br />

- Risanamento di cipresso con diametro fino a 50 cm<br />

Descrizione: Intervento di risanamento della chioma di cipresso comune attaccato dal cancro corticale,<br />

consistente nel taglio delle parti infette con motosega e cesoie, immediata disinfezione delle ferite da<br />

taglio con appositi prodotti. Comprensivo di allontanamento di tutto il materiale di risulta e abbruciamento<br />

dello stesso in spazi idonei o conferimento in discarica autorizzata entro una distanza massima di 15/<br />

25 km dal cantiere di lavoro. L’intervento prevede inoltre l’acquisizione delle autorizzazioni di legge, la<br />

sistemazione di segnaletica stradale a norma, la preparazione preliminare e messa in sicurezza del<br />

cantiere di intervento ed il ripristino finale a regola d’arte degli spazi utilizzati.<br />

79


- Bonifica in aree boschive<br />

Descrizione: Intervento di bonifica fitosaniataria in area boschiva consistente nel taglio di piante<br />

attaccate da cancro corticale, di qualsiasi dimensione ed altezza, sramatura della chioma e sezionatura<br />

del fusto in toppi commerciabili. Totale eliminazione del materiale di risulta non commerciabile<br />

tramite abbruciamento in spazi idonei. L’intervento comprende anche il diradamento selettivo negli<br />

eventuali gruppi di rinnovazione naturale di cipresso e nel taglio di piante che ostacolino il regolare<br />

sviluppo dei cipressi. Esbosco e concentramento con trattore forestale munito di verricello, in luoghi<br />

di imposto, di tutto il materiale commerciabile e marcatura con vernice indelebile delle ceppaie<br />

oggetto di taglio.<br />

Per una migliore esecuzione dei lavori di bonifica è molto importante la vigilanza giornaliera del Direttore<br />

dei Lavori, soprattutto negli interventi di risanamento delle chiome, talvolta eseguiti troppo rapidamente,<br />

che deve ispezionare insieme al personale della ditta le chiome dei vari soggetti da risanare, prima e dopo<br />

l’intervento, evitando se possibile di concentrare la verifica al termine dell’appalto, fase nella quale risulta<br />

poi difficoltoso e oneroso per ambedue le parti correggere interventi eseguiti approssimativamente.<br />

Considerazioni conclusive<br />

La bonifica fitosanitaria è intervento oneroso e di alta complessità sotto il profilo organizzativo ed esecutivo<br />

che richiede buona professionalità a tutti i livelli.<br />

Pertanto le maestranze (direttori dei lavori ed operai) da adibire alle operazioni di risanamento o di<br />

abbattimento dei cipressi colpiti da cancro corticale dovranno possedere nozioni basilari sulla malattia<br />

inerenti le modalità e le vie di contagio, i rapporti ospite-parassita, il modo di svilupparsi del cancro e le<br />

sintomatologie indotte dall’infezione fungina: gli imbrunimenti dei tessuti corticali parassitizzati, le<br />

fruttificazioni acervulari del patogeno, la copiosa resinazione che si origina dalle superfici infette e riga le<br />

cortecce ben oltre i limiti raggiunti dal cancro, ecc.. Gli operatori dovranno essere abili ad individuare lo<br />

sviluppo raggiunto dai cancri lungo l’asse degli organi legnosi onde evitare, nel corso di risanamenti delle<br />

chiome, tagli su cortecce ancora infette con incompleta asportazione di parti cancerose.<br />

Inoltre considerato che il S.cardinale è “patogeno da ferita”, è importante che gli operatori siano abili<br />

anche ad evitare rotture di branche e rami o semplici lacerazioni corticali accidentalmente procurate nel<br />

corso di interventi di risanamento che espongano i cipressi a nuovo contagio, specialmente quando si<br />

opera in periodi stagionali favorevoli, per valori termo-igrometrici, al verificarsi di nuove infezioni.<br />

Le esperienze sulla bonifica del cipresso condotte nella Regione Toscana in attuazione del “Programma<br />

regionale per la difesa del cipresso” del 1991 hanno contribuito ad attenuare la pressione infettiva del<br />

patogeno sul territorio regionale ed hanno rappresentato una preziosa occasione per abilitare a questi<br />

interventi numerose maestranze.<br />

80


Queste esperienze hanno inoltre evidenziato che per assicurare effettive e durature condizioni di sanità<br />

alle formazioni di cipresso bonificate, sarebbe quanto mai opportuno che l’area bonificata, trascorsi uno o<br />

due anni dal primo intervento, venisse sottoposta a nuovo controllo per eliminare nuovi seccumi che nel<br />

frattempo si fossero manifestati sulle chiome dei cipressi e svelare cancri corticali sfuggiti ai tagli precedenti,<br />

perché ancora in prima fase evolutiva nello spessore delle cortecce.<br />

Bibliografia<br />

AA.VV., 2003. La bonifica fitosanitaria a tutela del cipresso. Manuale ARSIA.<br />

DANTI R., 2001. Considerazioni sul cancro corticale del cipresso in Toscana con particolare riferimento<br />

alla bonifica fitosanitaria. Inf.tore fitopatol., n° 7-8, pp 44-50.<br />

PANCONESI A., DANTI R., 1995. Esperienze tecnico-scientifiche nella bonifica del cipresso. In Il<br />

recupero del cipresso nel paesaggio e nel giardino storico, Regione Toscana, Giunta Regionale<br />

[Collodi, 15 marzo 1995], pp. 9-31.<br />

PARRINI C., PANCONESI A., 1991. I metodi di lotta contro il cancro corticale del cipresso. In Il<br />

cipresso, Cnr, Regione Toscana, pp 94-109.<br />

PULERI F., 1996. Bonifica fitosanitario del cipresso: costi di intervento in Toscana. Sherwood, Foreste e<br />

Alberi Oggi, 9: 12-16.<br />

PULERI F., TOCCAFONDI P., 2000. Bonifica del cipresso: aspetti tecnico – operativi in aree urbane e<br />

periurbanee valutazione dei costi degli interventi di bonifica. In Atti del convegno “L’albero e le<br />

aree urbane: convivenza possibile ?” [Fiesole, 20 Febbraio1999], pp 125-133.<br />

VETRALLA G., 1998. Il cipresso in Toscana:aspetti della bonifica fitosanitaria e diffusione. In Il nostro<br />

amico cipresso; Atti della “Giornata di studio e aggiornamento sulle avversità del Cupressus<br />

sempervirens L.” [Firenze, 14 Maggio 1998], Acc. Scienze For., vol. XLVII, pp. 95-100.<br />

81


Chiome colonnari del clone “Bolgheri”, selezionato e brevettato per la resistenza al cancro da Seiridium cardinale.<br />

82


MIGLIORAMENTO GENETICO DEL CIPRESSO:<br />

RISULTATI DELLA RICERCA E PROSPETTIVE<br />

Danti R., Raddi P., Panconesi A.<br />

Istituto per la Protezione delle Piante del CNR, Firenze<br />

Il miglioramento genetico degli alberi forestali richiede generalmente anni di ricerche e ingenti sforzi<br />

economici per produrre risultati applicabili. Tale attività quindi può essere presa in considerazione solo per<br />

specie importanti da un punto di vista commerciale, ecologico, ornamentale e paesaggistico, in presenza di<br />

avversità che ne limitino fortemente l’impiego o ne deprimano il ruolo, quando i mezzi di lotta risultino di<br />

limitata efficacia o eccessivamente onerosi.<br />

Il caso del cipresso appare emblematico in questo senso. Il cancro corticale da Seiridium, dopo la sua<br />

comparsa in Italia risalente al 1951, nel giro di pochi anni aveva già manifestato la sua aggressività e la sua<br />

capacità di diffusione epidemica devastando le formazioni di cipresso soprattutto in Toscana e arrecando<br />

un danno consistente a una componente peculiare del paesaggio e della cultura della regione. Già negli<br />

anni ’70 erano risultati evidenti i limiti di applicabilità della prevenzione chimica e le difficoltà ad intervenire<br />

con la bonifica fitosanitaria in tutte le cipressete interessate dalla malattia. Il programma di miglioramento<br />

genetico del cipresso per la resistenza al cancro corticale da S. cardinale fu così avviato in quegli anni<br />

nell’intento di offrire uno strumento efficace da affiancare alla bonifica fitosanitaria per la difesa e il<br />

ripristino delle formazioni colpite dalla malattia e per poter continuare a contare su questa specie nella<br />

realizzazione di nuovi impianti.<br />

BASE CONOSCITIVA<br />

Lo studio del patosistema ha portato ad importanti acquisizioni sulla biologia di ospite e patogeno e sulla<br />

loro interazione. I punti fondamentali emersi dalle ricerche effettuate sono schematicamente sottoelencati.<br />

– La risposta alle infezioni di S.<br />

cardinale risulta molto diversificata<br />

tra le specie del genere Cupressus.<br />

Infatti, a fronte di alcune specie molto<br />

suscettibili come il C. macrocarpa ed<br />

altre specie filogeneticamente affini,<br />

esistono specie sostanzialmente<br />

resistenti come il C. glabra, il C.<br />

funebris, il C. dupreziana ed altre,<br />

come riportato nella tabella 1.<br />

– Le popolazioni naturalizzate di C.<br />

sempervirens del centro-Italia<br />

mostrano un certo grado di<br />

diversificazione nella risposta al S.<br />

cardinale: l’85% risulta infatti<br />

suscettibile; l’1% risulta resistente,<br />

mostrando la capacità di reagire<br />

efficacemente all’infezione e di<br />

chiudere la lesione necrotica; il<br />

restante 14% mostra un<br />

Tab. 1 - Risposta delle diverse specie del genere Cupressus alle infezioni<br />

di S. cardinale. R: resistente; S: suscettibile; SS: molto suscettibile.<br />

83<br />

comportamento intermedio essendo<br />

dotato di una capacità reattiva che<br />

però non è in grado di arrestare in via


definitiva lo sviluppo del fungo (Fig.1).<br />

– La variabilità della virulenza nella<br />

popolazione del patogeno è sempre<br />

risultata molto ridotta, essenzialmente per<br />

l’assenza della fase sessuata nel ciclo<br />

riproduttivo del fungo.<br />

– Nel cipresso, la resistenza al<br />

cancro causato da S. cardinale è un<br />

meccanismo aspecifico, regolato da una<br />

Fig. 1 – Risposta alle infezioni di S. cardinale rilevata nelle serie di geni, basato sulla capacità della<br />

popolazioni di C. sempervirens naturalizzate in Italia.<br />

pianta di approntare una barriera di<br />

tessuti di reazione in grado di isolare<br />

(compartimentare) la parte infetta e di provvedere poi a cicatrizzare la lesione. Questo meccanismo<br />

di resistenza a controllo poligenico, purtroppo, viene trasmesso solo a una modesta parte delle progenie<br />

ottenute da seme.<br />

– Tra i cipressi che hanno un comportamento intermedio in risposta al cancro corticale, alcuni manifestano<br />

tolleranza alla malattia, poiché riescono a mantenere un buon ritmo di accrescimento e la funzionalità<br />

anche quando interessati da numerosi cancri attivi.<br />

– In C. sempervirens le caratteristiche pedo-climatiche giocano un ruolo importante nella espressione<br />

della resistenza; vale a dire che, in condizioni ambientali diverse, uno stesso genotipo di cipresso può<br />

manifestare un differente comportamento in risposta all’infezione.<br />

– Nel cipresso, anche altri caratteri come il tipo di ramificazione, la forma della chioma, il ritmo di<br />

accrescimento, il periodo e l’abbondanza della fioritura, hanno mostrato di risentire dell’influenza<br />

dell’ambiente, evidenziando una marcata plasticità fenotipica della specie.<br />

RISULTATI OTTENUTI<br />

In base alle acquisizioni progressivamente ottenute, il miglioramento genetico del cipresso è stato indirizzato<br />

a dare un contributo a quelle che sono le principali finalità d’impiego della resinosa: come pianta ornamentale,<br />

per frangivento e come pianta utile nella forestazione.<br />

Quattro cloni di C. sempervirens e uno di C. glabra sono stati selezionati e brevettati per la resistenza al<br />

cancro da S. cardinale. Due dei suddetti cloni, il ‘Bolgheri’ e l’‘Agrimed n.1’, sono commercialmente<br />

affermati: il primo, a chioma colonnare, per realizzare impianti e filari a funzione ornamentale; il secondo,<br />

a ramificazione più aperta, essenzialmente per realizzare filari frangivento.<br />

Il clone ‘Bolgheri’, caratterizzato da uno spiccato accrescimento giovanile, può risentire di abbassamenti<br />

termici primaverili (tardivi) e soffrire il trapianto quando raggiunge certe dimensioni. Le concimazioni e<br />

irrigazioni praticate in vivaio, favorendo il rigoglio vegetativo e la produzione di tessuti parenchimatici,<br />

predispongono altresì il clone a lesioni da gelo e, conseguentemente, ad attacchi di patogeni corticali come<br />

Phomopsis occulta, Pestalotiopsis funerea, Sphaeropsis sapinea f.sp. cupressi (= D. pinea f.sp.<br />

cupressi;). Quest’ultimo, in particolare, è un agente di necrosi corticali su fusto e rami che si manifestano<br />

con spaccature che mettono a nudo il sottostante legno. Questi sintomi sembrano associati a stati di<br />

sofferenza da trapianto e, recentemente, più di un caso è stato segnalato sia in vivaio che in impianti dopo<br />

la messa a dimora. Il clone “Bolgheri” manifesta inoltre una certa sensibilità all’afide Cinara cupressi, i<br />

cui sintomi sono stati sporadicamente osservati in annate favorevoli alla proliferazione del fitomizo.<br />

Un articolato programma di incroci controllati ha permesso di definire i principali parametri genetici della<br />

resistenza e di selezionare un centinaio di cloni con elevata attitudine a trasmettere alla discendenza i<br />

fattori della resistenza. Questo è solo il primo passo verso la produzione di seme migliorato in grado di<br />

generare un’alta percentuale di piante resistenti.<br />

84


PROSPETTIVE<br />

È in corso la procedura per ottenere il brevetto di due nuovi cloni di C. sempervirens var. pyramidalis (a<br />

chioma fastigiata) selezionati per la resistenza al cancro, che saranno a breve distribuiti in commercio.<br />

Altri cloni dello stesso tipo sono attualmente in una promettente fase di studio e andranno nei prossimi anni<br />

ad aggiungersi al materiale già selezionato e brevettato. Negli ultimi anni la selezione di cloni ornamentali<br />

è stata orientata su genotipi caratterizzati da modesta produzione di galbule e di polline per motivi estetici<br />

e per far fronte al fenomeno della intolleranza al polline di cipresso. Sono attualmente in corso ricerche<br />

finalizzate ad individuare cloni il cui polline abbia un potere allergenico ridotto e a indurre la maschiosterilità<br />

nei cloni di più largo impiego. Altri studi sono in corso di svolgimento per definire il grado di<br />

tolleranza al freddo di una serie di cloni resistenti al cancro.<br />

Varietà multiclonali per frangivento possono essere oggi costituite con una serie di cloni già selezionati per<br />

la resistenza al cancro, con ramificazione leggermente aperta che li rende ideali per questo tipo di utilizzo.<br />

Con i cloni resistenti dotati di una marcata attitudine combinatoria generale (GCA) occorrerà allestire<br />

impianti appositamente devoluti alla produzione di seme migliorato, in grado di generare piante in alta<br />

percentuale resistenti al cancro.<br />

Tra le prospettive a breve termine vi sono i risultati che deriveranno dalla sperimentazione in corso di<br />

attuazione nell’ambito del progetto ‘Cypmed’ Interreg III B Medocc. Questo progetto si basa<br />

sull’utilizzazione di cloni selezionati per la resistenza al cancro durante un trentennio di ricerche finanziate<br />

dalla EU sul miglioramento genetico del cipresso (progetti quadriennali ‘Agrimed I e II’, ‘Camar’, ‘Air-<br />

Cypress’, ‘Concerted Action’). Obiettivo del Cypmed è quello di dimostrare il valore economico e sociale<br />

del materiale di cipresso geneticamente migliorato per la protezione del suolo, per la produzione di legname<br />

di qualità, per la costituzione di frangivento a difesa delle produzioni ortofrutticole, per la salvaguardia dei<br />

valori paesaggistici di regioni mediterranee e per l’attività vivaistica.<br />

Il miglioramento di un carattere attraverso la selezione comporta la riduzione della variabilità di tutti gli altri<br />

caratteri, per tale motivo è necessario allargare quanto più possibile la base genetica disponibile. Il<br />

miglioramento genetico del cipresso è, dunque, se si vuole, un’attività senza limiti definiti di tempo e<br />

risultati, che richiede consistenti investimenti finanziari e di personale. Sarebbe auspicabile che la selezione<br />

fosse indirizzata anche verso la resistenza ad altre avversità biotiche, in particolare verso quelle causate<br />

dagli insetti più dannosi.<br />

Bibliografia<br />

AA.VV., 1999. Il Cipresso, Manuale tecnico. Ed. E. Teissier Du Cros. Firenze, Studio Leonardo, 139pp.<br />

AA.VV., 2004. Produzione commerciale di piante di cipresso. Manuale tecnico. Ed. P. Raddi, C. Andreoli,<br />

M. Capuana, R. Danti, M. Intini, M. Moraldi, G. Pacini, A. Panconesi. Firenze, Edizioni Centro<br />

Promozione Pubblicità.<br />

Manion P.D., 1991. Tree disease concepts. Prentice-Hall, Englewood Cliffs, New Jersey.<br />

Panconesi A., Raddi P., 1990. Miglioramento genetico del cipresso per la resistenza al cancro. Una realtà<br />

per rilanciare il cipresso come specie ornamentale e forestale. Cellulosa e Carta, 1.<br />

Ponchet J., Andreoli C., 1989. Histopathologie du chancre cortical du cyprés à Seiridium cardinale. Eur.<br />

J. For. Path., 19: 212-221.<br />

Ponchet J., Andreoli C., 1990. Compartmentalization and reactions in the host. Rep. EUR 12493 EN,<br />

Luxembourg: Comm. Eur. Commun., 96-111.<br />

Raddi P., 1979. Variabilità della resistenza al cancro nell’ambito del cipresso comune (Cupressus<br />

sempervirens) e di altre specie. In “Il cipresso: malattie e difesa”, CEE, ed. V. Grasso e P. Raddi:<br />

185- 202.<br />

85


IL VALORE ECONOMICO DEL CIPRESSO:<br />

1 - PRODUZIONE VIVAISTICA<br />

Moreno Moraldi<br />

Umbraflor Srl, Azienda Vivaistica Regionale, Spello (PG).<br />

L’estesa presenza del Cupressus sempervirens L. nelle Regioni dell’Italia centrale, con una diffusione<br />

più accentuata in Toscana, ha stimolato da tempo immemorabile l’attività di allevamento di questa specie<br />

in vivaio. Molti coltivatori sono ancora oggi fieri di poter disporre di selezioni di cipressi comuni fastigiati o<br />

di particolare bellezza, il cui materiale di moltiplicazione è stato tramandato di padre in figlio da più generazioni.<br />

L’utilizzo in viali importanti ed in ville padronali, ha sempre costituito uno sbocco di mercato particolarmente<br />

remunerativo che ha consentito ai produttori di investire risorse, sia nel reperimento di piante madri di<br />

particolare pregio estetico, sia nel mantenere in vivaio consistenti quantità di cipressi delle diverse classi di<br />

età, fino a disporre di veri e propri esemplari unici di grosse dimensioni.<br />

Oltre alle piante destinate ai giardini ed ai viali vengono prodotte, in vivaio, anche le piantine di Cipresso<br />

destinate al settore forestale (Fig 1). Negli anni passati questo segmento di mercato costituiva una tipica<br />

prerogativa del vivaismo pubblico, mentre oggi anche molti privati hanno allargato le loro produzioni alle<br />

piante per imboschimento. I cipressi destinati alla selvicoltura sono generalmente allevati in contenitore e<br />

vengono venduti al secondo o<br />

massimo al terzo anno di età, quando<br />

hanno raggiunto qualche decimetro<br />

di altezza. Si tratta spesso di<br />

quantitativi consistenti che però non<br />

trovano, sul mercato, una<br />

collocazione costante negli anni, ma<br />

legata alle fasi alterne della<br />

disponibilità di finanziamenti pubblici<br />

indirizzati verso il settore forestale.<br />

Per questo il produttore, già in fase<br />

di programmazione delle produzioni,<br />

deve affrontare tutti i rischi<br />

dell’incertezza sui possibili volumi di<br />

vendita con una previsione dei ricavi<br />

aleatoria e non prevedibile nel<br />

tempo.<br />

La produzione ed il commercio di<br />

molte specie di piante forestali è<br />

regolamentata da una serie di leggi<br />

relative alla certificazione di<br />

provenienza. In particolare, già con<br />

legge 269 del 22 maggio 1973, fu<br />

previsto che tutto il postime di<br />

Cupressus sempervirens L.<br />

destinato ai rimboschimenti fosse<br />

prodotto con sementi raccolte nei<br />

boschi iscritti al Libro Nazionale<br />

Boschi da Seme e che durante tutte<br />

le fasi di allevamento e di trasporto i<br />

materiali di propagazione fossero<br />

Fig. 1 - Piantine di cipresso destinate al rimboschimento.<br />

86


sempre identificabili con cartellini, a loro volta riconducibili al certificato di provenienza. La legge prima<br />

richiamata è stata poi integrata con ulteriori provvedimenti legislativi nazionali e regionali, fino al recente<br />

Decreto legislativo 10 novembre 2003, n. 386, quale attuazione della direttiva 1999/105/CE. Tutte le<br />

disposizioni di legge includono il cipresso nell’elenco delle piante per le quali la certificazione di provenienza<br />

è disciplinata con particolare rigore. I rischi legati alla diffusione del cancro e le operazioni di risanamento<br />

effettuate in passato nei boschi da seme iscritti al L.N.B.S. devono essere di sprone per tutti i vivaisti,<br />

anche per quelli di esperienza meno consolidata, nel rispettare a pieno le norme sulla certificazione per<br />

garantire che nei nostri boschi venga impiantato esclusivamente postime di elevata qualità genetica.<br />

Da oltre un decennio sono presenti sul mercato anche le piante di Cipresso resistenti al Seiridium cardinale,<br />

selezionate dall’IPP del CNR e prodotte da alcuni vivaisti su licenza (Fig. 2). La progressiva conoscenza,<br />

da parte degli utilizzatori, dei cloni brevettati, unita al loro pregio estetico ed alla loro affidabilità sanitaria,<br />

hanno fatto crescere un nuovo segmento produttivo all’interno del mercato del Cipresso con piena<br />

soddisfazione sia dei vivaisti<br />

licenziatari che dell’Istituto di<br />

ricerca detentore del brevetto.<br />

Il vivaio “Il Castellaccio”<br />

della Azienda Vivaistica<br />

Regionale UmbraFlor s.r.l.,<br />

partner del progetto Cyp-<br />

Med, è uno dei produttori, su<br />

licenza, dei cloni selezionati<br />

dall’I.P.P. Per avere un’idea<br />

del valore economico del<br />

Cipresso è importante<br />

conoscere che, solo per<br />

questo vivaio, il settore di<br />

attività legato ai cipressi<br />

resistenti al cancro assicura<br />

l’occupazione di circa 8<br />

persone e rappresenta, al<br />

momento, circa il 20% del<br />

fatturato riferito alle piante<br />

Fig. 2 - Produzione commerciale di piante di cipresso resistenti al Seiridium<br />

cardinale.<br />

87<br />

ornamentali.


2 - PAESAGGIO ED AMBIENTE<br />

Gianni Della Rocca<br />

Istituto per la Protezione delle Piante del CNR, Firenze<br />

Il cipresso ha un notevole valore ed importanza paesaggistico-ambientale.<br />

I più appariscenti impieghi del cipresso sono quelli legati al suo uso come pianta forestale produttiva e<br />

come frangivento.<br />

In zone a clima caldo-arido e battute da brezze (zone litoranee), il cipresso, nella sua varietà horizontalis,<br />

considerata la buona resistenza alla forza impattante del vento, può essere impiegato nella costituzione di<br />

barriere e cortine frangivento a protezione di retrostanti colture agrarie. Oltretutto il cipresso grazie alla<br />

facoltà di rigenerare la chioma in modo efficace e veloce è stato considerato tollerante agli aerosol marini<br />

inquinati da tensioattivi almeno nei confronti di eventi non eccezionali e ripetuti (Moricca et al., 1991).<br />

Dell’importanza forestale è stato già relazionato<br />

precedentemente in un altro capitolo.<br />

Nei rapporti col paesaggio, però, oltre a questi<br />

impieghi, il cipresso si manifesta e si evidenzia<br />

anche per scopi meno massicci.<br />

Il cipresso è spesso impiegato nella ricostituzione<br />

della copertura vegetale in aree degradate, erose,<br />

in quasi assenza di suolo (es. ex-cave) (Fig. 1). In<br />

talune situazioni rappresenta spesso una delle poche,<br />

se non l’unica, specie in grado di assolvere a<br />

questa funzione. Il cipresso è un ottima specie da<br />

utilizzare nella lotta alla desertificazione e nella<br />

stabilizzazione dei versanti, grazie alla sua frugalità,<br />

obiquitarietà e resistenza a condizioni ecologiche<br />

difficili. In alcuni casi limite, il cipresso può<br />

costituire un vero avamposto vegetale contro l’erosione;<br />

anche se non determina una copertura al<br />

suolo totale come altre specie, è sicuramente utile<br />

nella difesa idrogeologica di siti sensibili e soggetti<br />

al denudamento del suolo. Ad esempio, in<br />

Sicilia nella zona di Troina (Enna), con il cipresso<br />

comune sono state rimboschite, negli anni ‘50, le<br />

sommità (800-1100 m) dei rilievi di un bacino<br />

idrografico con l’intento di limitare l’erosione ed il<br />

trasporto a valle di materiale solido che riempirebbe<br />

i bacini artificiali per la raccolta delle acque<br />

meteoriche utilizzata per l’irrigazione o per la produzione di energia elettrica. La scelta della specie è<br />

ricaduta sul cipresso in quanto le peculiari caratteristiche geo-pedologiche, in concomitanza con l’aridità,<br />

rendono queste aree estremamente inospitali ed inadatte per altre specie; a quote inferiori e lungo le linee<br />

di impluvio al posto del cipresso è stato piantato l’Eucalipto.<br />

Anche se la lettiera di cipresso non è considerata miglioratrice del suolo perché difficilmente decomponibile,<br />

questa non ha una grande combustibilità rispetto a quella di altre specie resinose pioniere. Inoltre l’accumulo<br />

al suolo di questa impedisce la formazione di un fitto sottobosco che in situazioni limite caldo-aride<br />

può essere un fattore favorevole alla minore diffusione degli incendi. In situazioni di rocce affioranti la<br />

lettiera di cipresso rappresenta pur sempre l’unico apporto organico al suolo che col tempo può portare<br />

alla formazione di un substrato che possa favorire, anche se lentamente, l’evoluzione della stazione e<br />

l’ingresso di altre specie arboree; in situazioni dove il rischio di incendio non è prioritario questo fatto è<br />

senz’altro utile.<br />

88


La tolleranza all’aridità accompagnata<br />

ad alte temperature è una caratteristica<br />

importante del cipresso che anche nella<br />

torrida estate 2003 non ha riportato<br />

gravi danni in zone pedemontane<br />

toscane, come sulle pendici di M.<br />

Morello, mentre altre specie pioniere,<br />

finora considerate infallibili nei<br />

rimboschimenti come il Pinus nigra,<br />

hanno manifestato morie di gruppo (Fig.<br />

2).<br />

Le caratteristiche morfologiche della<br />

chioma del cipresso, in particolare<br />

quelle della varietà stricta, lo rendono<br />

particolarmente interessante anche<br />

sotto il profilo faunistico. La chioma di<br />

questa varietà è assai densa ed i rami<br />

protesi più o meno verso l’alto appressati al tronco, costituiscono un luogo ideale dove molte specie di piccola<br />

avifauna possono trovare riposo, rifugio e nidificare (Casanova et al., 1991). Nel grossetano in zone private<br />

di vegetazione arborea, gli impianti sperimentali dell’Istituto Protezione Piante CNR hanno sensibilmente<br />

contribuito al ritorno e diffusione di molte specie di avifauna che avevano abbandonato questi luoghi.<br />

Vicino a centri urbani, il bosco di cipresso assolve altresì egregiamente a funzioni turistico-ricreative.<br />

Il cipresso ha assunto inoltre significati legati ad antichi usi nell’ambito agricolo tradizionale. Dai tempi dei<br />

romani e fino ad oggi infatti il cipresso è stato<br />

utilizzato come indicatore di confini di proprietà<br />

(Fig. 3).<br />

Un altro modesto ma importante impiego del cipresso in<br />

Toscana (oggi in abbandono) è quella di sostegno per pagliai.<br />

Si possono osservare ancora vicino alle aie delle case<br />

coloniche in campagna, vecchi cipressi privati dei rami,<br />

tranne un breve ciuffo apicale che costituiscono un’<br />

importante testimonianza della vita contadina.<br />

Il cipresso nel paesaggio assume una elegante funzione<br />

quando impiegato per marcare ed ombreggiare i viali di<br />

accesso alle residenze di campagna o ville soprattutto<br />

nell’Italia centrale (Fig. 4).<br />

Infine, in qualche caso il cipresso è stato utilizzato, negli<br />

anni ’30, anche come alberatura stradale (Figg. 5 e 6).<br />

89


Bibliografia<br />

A.A. V.V., 2002. Il cipresso, storie e miti di Toscana. A cura di Luca Giannelli, Scramasax.<br />

CASANOVA P., CELLINI L., MESSERI P., 1991. L’importanza del cipresso nella nidificazione della<br />

piccola avifauna. In: Il Cipresso, atti del Convegno, 12-13 Dicembre 1991: 41-46.<br />

MORICCA S., GELLINI R., DI LONARDO V., 1991. Risposta di specie di cipresso all’inquinamento<br />

naturale e artificiale. In: Il Cipresso, atti del Convegno, 12-13 Dicembre 1991: 197-205.<br />

PAVARI A., 1934. Monografia del cipresso in Toscana. Regia stazione sperimentale di selvicoltura, Firenze.<br />

POZZANA M. C., 1991. Segno e disegno del cipresso: dalla figurazione al paesaggio e ritorno. In: Il<br />

Cipresso, atti del Convegno, 12-13 Dicembre 1991: 29-38.<br />

VALETTE J. C., 1991. Cupressus arizonica and Cupressus sempervirens inflammabilities in the french<br />

mediterranean area. In: Il Cipresso, atti del Convegno, 12-13 Dicembre 1991: 168-175.<br />

90


3 - IL LEGNO DI CIPRESSO<br />

Gianfranco Nocentini<br />

Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale (A.R.S.I.A.), Firenze<br />

Il legno di cipresso è sempre stato apprezzato ed utilizzato in falegnameria per la realizzazione di mobili,<br />

cassapanche, reliquari ecc. il cui contenuto era preservato grazie alla funzione antitarmica di questo legno,<br />

che è stato ampiamente utilizzato anche per impieghi esterni come costruzioni navali, portoni e finestre; un<br />

occhio attento ed un po’ esperto sa individuare, nei centri di tante città e paesi in particolare della Toscana,<br />

tanti bei portoni e finestre in cipresso che sono ancora stabili ed efficienti, nonostante siano stati realizzati<br />

anche da molti anni (Fig. 1).<br />

91<br />

Caratteristiche tecnologiche<br />

Il legno del cipresso si caratterizza per avere:<br />

• profumo forte e pepato;<br />

• durame color bruno, alburno color giallognolo,<br />

con transizione graduale tra zona tardiva e<br />

primaticcia;<br />

• anelli di accrescimento poco individuabili, sottili<br />

ed irregolari sia come andamento che come<br />

spessore (Fig. 2);<br />

• durabilità naturale elevata che lo rende<br />

resistente agli attacchi di funghi e di insetti e alle<br />

alterazioni degli agenti atmosferici, questo grazie<br />

al suo contenuto in oleoresine;<br />

• stabilità dimensionale elevata;<br />

• qualità estetiche buone.<br />

• la tessitura molto fine e compatta ;<br />

• una fibratura non sempre dritta, spesso elicoidale,<br />

a causa della forma irregolare e cordonata dei<br />

fusti;<br />

• canali resiniferi assenti.<br />

Le buone proprietà meccaniche, su cui influisce la<br />

variabilità genetica della specie, la gestione<br />

selvicolturale e le caratteristiche pedoclimatiche<br />

delle area di vegetazione, variano con il peso<br />

specifico e con il variare del contenuto di umidità<br />

del legno:<br />

• la resistenza a compressione assiale, sempre<br />

al 12% di umidità, può assumere un valore medio<br />

di 500 Kg/cm2 ;<br />

• per la resistenza a flessione statica, si può<br />

assumere il valore medio di 900 Kg/cm 2<br />

;<br />

• il modulo di elasticità a flessione si stima<br />

abbia un valore medio di 12.500 N/mm 2<br />

;<br />

• la massa volumica si aggira, allo stato fresco,<br />

attorno agli 860 Kg/m 3<br />

e a umidità del 12%, si può<br />

assumere come valore medio 620 Kg/m 3<br />

.


Attitudine alla lavorazione e impiego del legname<br />

Il cipresso ha un legno di facile lavorazione sebbene talvolta si possano incontrare difficoltà dovute alla<br />

presenza di nodi e a fibratura elicoidale.<br />

In linea generale:<br />

• la segagione, può essere difficoltosa se il legno ha molti nodi;<br />

• l’essiccazione, va effettuata lentamente e con precauzione al fine di evitare deformazioni e<br />

fessurazioni;<br />

• la sfogliatura non è praticata;<br />

• la tranciatura è possibile su pezzi privi di nodi;<br />

• le unioni con chiodi e viti tengono bene e sono stabili;<br />

• l’incollaggio non presenta particolari problemi;<br />

• la piallatura e il pulimento possono essere difficoltosi specie in presenza di nodi;<br />

• la tinteggiatura e la verniciatura sono di buona riuscita.<br />

Prezzi indicativi del legname<br />

Per quanto concerne i prezzi relativi al legname di cipresso,<br />

commercializzato in Toscana occorre fare una distinzione fra i<br />

prezzi del tondame ed i prezzi del tavolame (fonte sito web della<br />

Compagnia delle Foreste).<br />

Il tondame, cioè i tronchi con diametro in punta maggiore di 22<br />

cm e lunghezza maggiore di 250 cm (Fig. 3), può essere impiegato<br />

per falegnameria e per trancia e spunta i seguenti prezzi:<br />

• i prezzi per uso falegnameria oscillano da un minimo di 100<br />

/t a un massimo di 200 /t;<br />

• i prezzi per uso trancia oscillano da un minimo di 250 /t a<br />

un massimo di 500 /t.<br />

Per ciò che riguarda il tavolame possiamo distinguere tra:<br />

• legname non stagionato il cui prezzo oscilla da un minimo di<br />

465 /m 3<br />

a un massimo 670 /m 3<br />

;<br />

• legname stagionato il cui prezzo oscilla da un minimo di 1100<br />

/m 3<br />

a un massimo di 1.120 /m 3<br />

.<br />

Sarebbe possibile migliorare la remuneratività delle produzioni<br />

legnose delle nuove piantagioni di cipresso attraverso varie strategie<br />

di intervento capaci di :<br />

- produrre materiale vivaistico per le piantagioni forestali con<br />

buona resistenza al cancro e specificatamente selezionato per produrre legname di qualità;<br />

- gestire le piantagioni ed in particolare quelle specializzate da legno con tecniche selvicolturali<br />

idonee a migliorare la qualità del legno con appropriate potature di formazione e produzione e con<br />

diradamenti ben programmati sia per quanto riguarda i tempi che le modalità di intervento;<br />

- migliorare la fase di commercializzazione del legno favorendo la collaborazione e l’associazionismo<br />

fra i produttori che insieme potrebbero immettere sul mercato quantitativi anche consistenti di<br />

legname; ciò potrebbe conferire loro una maggiore forza contrattuale nei confronti degli acquirenti<br />

del legno, rispetto a quella molto più limitata di un singolo imprenditore con pochi tronchi,<br />

anche se di buona o ottima qualità.<br />

92


Bibliografia<br />

AA.VV., 2003. La bonifica fitosanitaria a tutela del cipresso. ARSIA (FI).<br />

AA.VV., 1993. Il sistema foresta-legno in Toscana. Ente Toscano Sviluppo Agricolo Foreste (FI).<br />

AA.VV. 1995. Il recupero del cipresso nel paesaggio e nel giardino storico. Atti del convegno Regione<br />

Toscana - Giunta Regionale. Collodi (PT).<br />

GIORDANO G., 1976. Tecnica delle costruzioni in legno. Vol. II; 379-380. UTET - Torino.<br />

HTTP://www.compagniadelleforeste.it<br />

MORI P., 2002. Valorizzazione del legname tondo. Compagnia delle Foreste, Arezzo.<br />

NARDI BERTI R., 1982. La struttura anatomica del legno ed il riconoscimento dei legnami italiani di<br />

più corrente impiego. Contributi Scientifico Pratici per una migliore conoscenza ed utilizzazione<br />

del legno. Vol XXIV - Istituto per la ricerca sul legno - CNR (FI).<br />

93


RECUPERO AREE DI CAVA<br />

Danti R., Raddi P., Panconesi A., Della Rocca G.<br />

Istituto per la Protezione delle Piante del CNR, Firenze<br />

I siti di cava dismessi o abbandonati, spesso privi di opere di recupero ambientale realizzate o progettate<br />

e talora divenute sede di discarica abusiva, rappresentano un danno ambientale, paesaggistico ed economico<br />

per il territorio, a maggior ragione in quei contesti ove l’ambiente costituisce un fattore di richiamo.<br />

Fino a quando l’attività estrattiva veniva esercitata con mezzi prevalentemente manuali i siti di cava<br />

avevano estensione limitata e i fronti si espandevano lentamente. In tempi più recenti, il ricorso massiccio<br />

a mezzi meccanici ha reso possibile l’escavazione su superfici molto vaste, tali da produrre un danno<br />

Area di cava dismessa, modellata a gradoni e<br />

piantumata con cipressi da seme.<br />

sensibile all’ambiente e al paesaggio. I nuovi, intensivi, sistemi di estrazione da una parte, e la mutata<br />

sensibilità verso l’ambiente dall’altra hanno condotto in tempi recenti tutte le legislazioni regionali a disporre<br />

l’obbligatorietà del recupero dei siti di cava. In Toscana, ad es., vige la L. R. n. 78 del 1998 che<br />

favorisce e incentiva il recupero delle aree di escavazione dismesse e in abbandono e vincola l’autorizzazione<br />

ad esercitare la coltivazione dei materiali di cava o torbiera alla presentazione di un progetto complessivo<br />

che preveda anche la risistemazione per la definitiva messa in sicurezza e il reinserimento ambientale<br />

dell’area.<br />

I siti di cava sono caratterizzati da condizioni pedo-climatiche particolarmente severe che costituiscono un<br />

grosso ostacolo al ricostituirsi di una copertura vegetale uniforme. Il loro recupero risulta spesso problematico<br />

ed è pertanto fondamentale ricorrere a tecniche ed essenze vegetali adatte. Il cipresso comune (Cupressus<br />

sempervirens L.) è certamente una specie di riferimento per la realizzazione di interventi di recupero di<br />

siti degradati in ambiente mediterraneo, in particolar modo nella fascia basale. Il cipresso è noto per la sua<br />

frugalità e la capacità adattativa a terreni nudi, superficiali, aridi, rocciosi e argillosi. Tuttavia è anche una<br />

specie che mostra buoni ritmi di accrescimento quando si trovi a vegetare in terreni caratterizzati da<br />

condizioni edafiche non limitanti. E’ opportuno valutare se, da un punto di vista ecologico e paesaggistico,<br />

l’area oggetto dell’intervento sia vocata ad accogliere il cipresso. Questa specie infatti rappresenta<br />

certamente un utile strumento per il recupero di molte aree marginali ed è anche ben rappresentata nel<br />

territorio dell’Italia centrale, tuttavia il suo impiego non può avvenire indifferentemente, ‘a prescindere’ da<br />

una attenta osservazione. Il recupero deve infatti portare al reinserimento ambientale del sito.<br />

Sistemazione dell’area. Nei siti ove la roccia nuda è predominante sulla superficie dell’area escavata,<br />

la realizzazione dell’impianto deve essere preceduta dal riporto di un adeguato spessore di terreno agrario.<br />

In taluni casi occorrerà provvedere al rimodellamento del profilo.<br />

94<br />

Ricolonizzazione naturale da parte del cipresso di<br />

un’area di cava dismessa.


Scelta del materiale. L’impianto dovrà essere eseguito con postime derivato da seme certificato raccolto<br />

nei boschi iscritti ufficialmente al LNBS (Libro Nazionale dei Boschi da Seme). Per favorire una rapida<br />

copertura del suolo nudo da parte della vegetazione del costituente impianto è consigliabile ricorrere a<br />

cipressi a ramificazione più aperta (Cupressus sempervirens var. horizontalis), caratterizzati da un buon<br />

sviluppo laterale della chioma. E’ meglio evitare l’impiego di cipressi fastigiati, per il modesto sviluppo in<br />

larghezza delle chiome. E’ raccomandabile l’utilizzo di cipressi allevati in contenitore, di dimensioni sufficienti<br />

(1-2 m di altezza) ad evitare che la concorrenza di altre specie, arbustive e arboree, possa comprometterne<br />

lo sviluppo nei primi anni dell’impianto. L’utilizzo di piante di dimensioni maggiori rispetto a quelle indicate<br />

comporta un maggiore stress da trapianto, maggiori difficoltà di attecchimento e un ridotto accrescimento<br />

nell’epoca successiva all’impianto, quando, invece, è importante ottenere una copertura del suolo più<br />

rapida possibile.<br />

Sesto d’impianto. Considerando le dimensioni che le piante raggiungeranno in futuro è consigliabile<br />

seguire un sesto d’impianto di 2,5 x 2,5 m o tutt’al più di 2 x 2 m nei tratti caratterizzati da una maggiore<br />

pendenza, per accelerare la copertura del suolo.<br />

Consociazione. La consociazione con essenze arbustive è arboree è raccomandabile oltreché per<br />

accelerare la copertura del suolo, per favorire l’evoluzione e la biodiversità della cenosi e promuovere la<br />

stabilizzazione dei versanti. La scelta delle essenze da consociare al cipresso deve ad ogni modo scaturire<br />

da una attenta indagine floristico-vegetazionale che evidenzi lo stadio evolutivo delle essenze presenti<br />

nell’area di cava e nella zona circostante e i rapporti tra esse intercorrenti. Tra tutte quelle ritenute idonee<br />

alla stazione, è consigliabile dare la preferenza a specie dotate di caratteri utili, come la capacità azotofissatrice<br />

e umificatrice, la bassa combustibilità, il valore ecologico nei confronti della fauna. Il cipresso andrà<br />

comunque a costituire la prevalenza delle piante che faranno parte della consociazione.<br />

Esecuzione dell’impianto. La piantagione richiede l’apertura di buche sufficientemente grandi (circa<br />

40x40x40 cm) che vanno poi riempite avendo cura che il colletto della pianta venga a trovarsi al livello<br />

della superficie del terreno. I periodi migliori per effettuare l’impianto sono l’autunno (ottobre – novembre)<br />

e il tardo inverno (febbraio – marzo). Per maggiori dettagli sull’impianto e per quanto riguarda l’ancoraggio,<br />

la protezione delle piantine e le cure post-impianto valgono le regole descritte in linea generale in apposito<br />

capitolo.<br />

95


CUPRESSUS BONSAI: NUOVA FONTE DI REDDITO PER IL VIVAISMO<br />

Marcello Intini<br />

Istituto per la Protezione delle Piante del CNR, Firenze<br />

Con l’allevamento “bonsai” il cipresso mantiene tutte<br />

le caratteristiche normali della specie (dimensioni e<br />

colore delle foglie, galbule etc.) ma il suo sviluppo è<br />

educato nella crescita.<br />

Noto soprattutto come pianta ornamentale caratterizzante<br />

il paesaggio mediterraneo, il cipresso comune<br />

(C. sempervirens L.), per la sua eccezionale longevità<br />

ed adattabilità alle potature anche energiche,<br />

analogamente ad altre conifere più note e diffuse -<br />

quali ad esempio il falso cipresso (Chamaecyparis<br />

obtusa), il ginepro giapponese e quello cinese<br />

(Juniperus x media “Blaauw” e J. sargentii) e i Pini<br />

(Pinus mugo, P. parviflora, P. sylvestris e P.<br />

thunbergii) - è specie che ben si presta per la formazione<br />

di bonsai.<br />

Riconosciuto ufficialmente come arte nel 1935 in<br />

Giappone, paese nel quale sono stati codificati i vari<br />

stili e nel quale si sono sviluppati quei canoni stilistici<br />

ed estetici che hanno permesso di trasformare semplici<br />

piante in vaso in capolavori di perfezione ed armonia,<br />

il bonsai occupa attualmente un mercato di<br />

buona rilevanza economica in tutti i Paesi che lo<br />

commercializzano, promuovendo un notevole giro di<br />

affari. Sul mercato al dettaglio un bonsai di 5 anni di<br />

età viene valutato intorno ai 30 ma può raggiungere<br />

quotazioni di ben lunga superiori a seconda del<br />

modo in cui le caratteristiche specifiche della pianta<br />

(radici, tronco e rami) sono state valorizzate dallo stile<br />

e dalla educazione.<br />

Scheda bonsai di Cupressus sempervirens L.<br />

Rinvasi - Ogni due-tre anni in primavera o alla fine dell’estate, con terriccio al 60% e sabbia grossolana<br />

o materiale equivalente al 40%<br />

Potature e legature - È preferibile eseguire i primi grossi interventi alle radici contemporaneamente al<br />

rinvaso e alla riduzione della chioma in estate (fine agosto–inizio settembre). Infittire la parte aerea sia<br />

pizzicando le nuove cacciate ancora tenere che potando con delle forbici durante la stagione vegetativa.<br />

L’anno successivo al rinvaso, dall’autunno alla primavera, si effettueranno legature per posizionare tronco<br />

e rami.<br />

Fertilizzazioni - Una volta al mese dalla primavera all’autunno con concime minerale composto (NPK e<br />

microelementi) specifico per bonsai. Attenersi alle dosi riportate sulla confezione del prodotto commerciale.<br />

Non fertilizzare prima di due-tre mesi dal rinvaso.<br />

96


Note - Trattandosi di una pianta con un buon vigore vegetativo, è opportuno rinvasare sistematicamente<br />

ogni due anni gli esemplari più giovani, ogni tre quelli più vecchi. Evitare che il terriccio rimanga completamente<br />

asciutto e proteggere durante l’inverno. Mentre la forma pyramidalis si presta per costituire<br />

boschetti, l’horizontalis è più adatta per esemplari singoli. È consigliabile ricorrere a cipressi a ramificazione<br />

più aperta, caratterizzati da un buon sviluppo della chioma. È raccomandabile l’utilizzo di materiale<br />

vivaistico geneticamente migliorato per la resistenza al cancro del cipresso.<br />

Bibliografia<br />

BARTON B., 1989. The Bonsai Book. Ebury Press, London.<br />

GIORGI G., 1997. Bonsai. Orsa Maggiore Editrice.<br />

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YOUNG D.S.,1985. Bonsai – The art and technique. Printice Hall, New Jersey.<br />

97


Orto botanico del XV secolo, con vari apparecchi per distillare essenze odorose (Da: “De Arte distillandi”,<br />

Strasburgo, 1500).<br />

98


GLI OLI ESSENZIALI DI CIPRESSO<br />

1 - PRODUZIONE, MERCATO E PROSPETTIVE<br />

Véronique Agnel<br />

Direttrice generale della Società Agnel Sa, 84400 Apt, Francia.<br />

In Francia la Società Agnel produce materie prime aromatiche naturali ad Apt e Valréas in Vancluse, è<br />

specialista in prodotti estratti da piante di provenienza francese (oli essenziali da lavanda, lavandino, salvia<br />

sclarea, dragoncello, semi di carota, semi di prezzemolo, etc.). Questa Società è la principale produttrice<br />

di olio essenziale di cipresso in Francia e rifornisce sia industrie di profumeria e per prodotti per cosmesi<br />

che quelle di aromi naturali. Le industrie di profumeria possono impiegare sia materie prime naturali (oli<br />

essenziali assoluti, resinoidi) che materie prime “identiche a quelle naturali”. A seconda dell’impiego dei<br />

prodotti su indicati si ottengono profumi fini o funzionali. La scelta del prodotto è correlata soprattutto alle<br />

difficoltà incontrate dall’utilizzatore relativamente al costo di produzione dell’olio essenziale, alla regolarità<br />

di approvvigionamento, alla qualità, alla legislazione ed al mercato.<br />

L’olio essenziale di cipresso<br />

Come è stato descritto in dettaglio nel “Le specie di cipresso” (2004) queste specie sono numerose. Per<br />

la maggior parte di queste Pierre-Leandri (2000) ha indicato la composizione degli oli essenziali. Infine<br />

Della Rocca et al. (2004) hanno pubblicato un’estesa ed esaustiva bibliografia sugli oli essenziali delle<br />

specie di cipresso. Inoltre uno degli obiettivi del progetto Interreg III B MedOcc “Les cyprès et leur<br />

polyvalence dans la réhabilitation de l’environnement et du paysage méditerranéen” è quello di valutare<br />

l’attitudine di ogni singola specie di cipresso a produrre oli essenziali in Corsica e di confrontare queste<br />

produzioni con quelle ottenute dalle stesse specie ormai adulte e situate nei campi-collezione in Italia ed in<br />

Francia.<br />

Solo il Cupressus sempervirens è studiato a fondo per la produzione qualitativa e quantitativa di oli<br />

essenziali e per il loro impiego nell’industria per la profumeria e per gli aromi naturali. Scarse sono invece<br />

le notizie sulla produzione di oli essenziali a partire da altre specie di cipresso: il C. lusitanica fornisce oli<br />

per le industrie di saponi in modo economicamente marginale; il C. guadalupensis genera un olio essenziale<br />

con un odore completamente diverso da quello del C. sempervirens; il C. macrocarpa non produce<br />

un olio essenziale commerciabile.<br />

a) Processo di distillazione<br />

Presso la Società Agnel le branche di cipresso sono distillate tali e quali, evitando di usare le più<br />

grosse, in alambicchi mobili da 20 mc, la cui forma e dimensioni sono risultate le più adatte ed<br />

economiche per questa produzione. Non è necessario il trituramento come avviene per altri prodotti<br />

(semi di carota, radici di levistico). La qualità del distillato dipende dall’età delle branche sottoposte<br />

alla distillazione (è sempre preferibile il cascame di potatura di piante giovani) e dai suoi componenti<br />

che devono essere poco volatili ed ottenuti da una sola lunga distillazione. Occorre porre molta<br />

attenzione per non far “bruciare” il prodotto ed evitare così un odore sgradevole. L’olio essenziale<br />

appena distillato ha un odore pronunciato di “bollito”, che occorre eliminare prima di metterlo in<br />

commercio. Questa eliminazione può essere effettuata per aerazione ed invecchiamento naturale o<br />

con un procedimento di rettificazione, che riduce la frazione più volatile al 3-5%.<br />

L’olio essenziale ha un colore giallo-pallido ed il suo odore è quello caratteristico delle branche dalle<br />

quali viene distillato. All’inizio vi è una distillazione di terpeni (la testa), poi, dopo la loro evaporazione,<br />

si mette in evidenza il labdano con caratteristiche più piacevoli ed interessanti per i profumieri.<br />

b) Produzione di oli essenziali da C.sempervirens<br />

La Spagna è la maggior produttrice di oli essenziali con circa 15 tonnellate per anno. L’olio essenziale<br />

prodotto in Spagna è venduto a circa 27 al Kg, il suo odore è molto vicino alla trementina e<br />

meno “legnoso” dell’olio di provenienza francese. Il contenuto in ∆-3-carene è elevato, mentre<br />

quello in cedrolo e germacreme è molto ridotto.<br />

99


La Francia produce annualmente circa 5 tonnellate di oli essenziali dal cipresso con un prezzo di<br />

vendita di 45 al Kg. La Società Agnel è la principale produttrice con circa 3, 5 tonnellate annue.<br />

Il rendimento medio in estratto è dell’0,35%, ovvero lo 0,30% in autunno su branche umide e lo<br />

0,43% in primavera su branche asciutte. Gli oli essenziali da distillazioni effettuate in primavera<br />

sono più ricchi in cedrolo di quelli ottenuti in autunno.<br />

Questo basso rendimento nella distillazione richiede l’impiego di grandi quantità di materiale vegetale<br />

e pone il problema non insignificante del riciclaggio degli scarti organici di lavorazione. In via<br />

sperimentale è allo studio il compostaggio dei residui. Comunque la necessità di grandi masse<br />

vegetali ed il riciclaggio degli scarti fanno parte del processo produttivo e vanno ad incidere sui costi<br />

di produzione degli oli essenziali.<br />

Gli oli essenziali da distillazione di branche di Cupressocyparis leylandii rappresentano il 10%<br />

della produzione della Agnel. Con il materiale di questo cipresso ibrido il rendimento in oli essenziali<br />

è dello 0, 68% (come media) superiore rispetto a quello impiegando materiale di C.sempervirens.<br />

Tuttavia per le sue peculiari caratteristiche analitiche gli oli da C.leylandii non possono essere<br />

commercializzati tali e quali, ma devono essere adeguatamente mescolati con altri oli di diversa<br />

origine per ottenere certe caratteristiche e per ridurne il prezzo.<br />

Il Marocco produce 1-2 tonnellate per anno di oli essenziali da cipresso a seconda delle condizioni<br />

ambientali. Il prezzo dell’olio essenziale marocchino si aggira sui 32 al Kg. La qualità di questa<br />

produzione è diversa da quella francese e spagnola, avendo l’olio prodotto in Marocco una spiccata<br />

fraganza di “pino”.<br />

Produzione biologica<br />

Attualmente la produzione “biologica” degli oli essenziali di cipresso è allo studio nei paesi produttori. Tale<br />

produzione ha finora un volume di scambi molto basso: infatti essa è stimata in Francia in soli 500 Kg per<br />

anno su una produzione mondiale di “biologico” di 1-1, 5 tonnellate. È noto che le branche sottoposte a<br />

distillazione per ottenere oli “biologici” provengono in genere da fasce frangivento poste a protezione di<br />

colture “biologiche”. Affinché il cipresso possa essere considerato come “bio”, è tassativo seguire certe<br />

determinate regole in termini di interventi e trattamenti, ma è necessario anche verificare che le colture<br />

vicine siano state dichiarate “bio” da almeno 3 anni. Questo olio “bio” si utilizza in cosmetica ed anche<br />

nell’aromaterapia. Ma non in profumeria perché il suo costo è circa il doppio di quello convenzionale (in<br />

Francia l’olio “bio” è pagato circa 100 al Kg). Secondo gli operatori di questo mercato la domanda è<br />

assai sostenuta e superiore all’offerta.<br />

Il Mercato: utilizzazione e prospettive<br />

1.Profumeria e cosmetica<br />

L’uso dell’olio essenziale di cipresso in profumeria risale all’epoca romana. Ancora oggi l’olio<br />

essenziale di cipresso assume un’importanza considerevole nella profumeria alcolica- profumeria<br />

fine in contrapposizione con la profumeria funzionale dei saponi e detergenti. In effetti una materia<br />

prima naturale, come gli oli essenziali, risulta essere troppo onerosa per produrre saponi (un prezzo<br />

a Kg per gli oli essenziali superiore a 15 è considerato non conveniente per la produzione di<br />

saponi in quanto la maggior parte dei prodotti di sintesi hanno un prezzo considerevolmente inferiore).<br />

Gli oli essenziali di cipresso sono utilizzati nella linea maschile di profumi Chypre. Alcune industrie<br />

produttrici di profumi preferiscono utilizzare gli oli essenziali rettificati, che, eliminando alcuni terpeni,<br />

fanno risaltare l’aroma dell’ambra grigia e del labdano.<br />

L’olio essenziale di cipresso è utilizzato largamente nella cosmesi per le sue proprietà decongestionanti<br />

delle vie venose e linfatiche e come tonificante vascolare. Per esempio, gli oli essenziali di cipresso<br />

sono impiegati nella gamma di prodotti per “ristorare” le gambe appesantite (ad es., latte per il<br />

corpo della Clarins).<br />

2. Aromaterapia<br />

L’aromaterapia si avvantaggia chiaramente dell’uso di olio essenziale di cipresso “bio” esaltandone<br />

100


le proprietà antispasmodiche, antisettiche e contro la tosse, ovvero per alleviare gli effetti di laringiti,<br />

pertosse, bronchiti, tubercolosi polmonare e pleuriti. Inoltre l’aromaterapia con oli essenziali di<br />

cipresso è considerata come un intervento riequilibrante generale in caso di stress nervoso o di<br />

errata alimentazione.<br />

La richiesta di prodotti “bio” è stata quasi inesistente fino a dieci anni orsono. Attualmente essa<br />

incomincia ad essere interessante e ad essere presa in considerazione da parte dei produttori di oli<br />

essenziali di cipresso. Tale domanda va aumentando e sta interessando sempre più nuovi Paesi<br />

produttori ed utilizzatori.<br />

Oltre all’impiego degli oli essenziali “bio” nell’aromaterapia terapeutica, gli oli essenziali “bio” trovano<br />

uno sbocco interessante nella profumeria naturale. Sono già attive industrie di cosmetici naturali,<br />

che stanno sviluppando profumi a partire da oli essenziali “bio”, come la Società Aveda del<br />

gruppo Esthée Lauder negli Stati Uniti.<br />

3. Richieste ed attese delle Industrie utilizzatrici<br />

- Il cliente deve poter contare sulla quantità di prodotto necessario all’industria e sulla regolarità della<br />

fornitura negli anni. Infatti le industrie per la profumeria, la cosmesi e di aromi alimentari investono<br />

energie umane e finanziare per sviluppare nuovi prodotti basati su oli essenziali naturali. Le industrie<br />

hanno la necessità che siano garantiti l’approvvigionamento della materia prima e la sua qualità<br />

negli anni.<br />

- Il cliente ha necessità che vi sia una certa stabilità nei prezzi del prodotto negli anni, perché i prezzi<br />

troppo fluttuanti del prodotto diminuiscono l’interesse delle imprese per lo sviluppo di nuovi prodotti<br />

con questi oli essenziali di cipresso.<br />

- Il cliente esige una costanza di qualità, del resto regolamentata da norme nazionali ed internazionali<br />

(AFNOR, ISO, FCC, PHARMOCOPÉE, etc). Alcune industrie avanzano loro stesse specifiche<br />

richieste secondo i loro effettivi bisogni: uso in profumeria, come aromi naturali, in cosmetica o<br />

come medicinali. I fornitori-produttori di oli essenziali di cipresso devono essere anche in grado di<br />

controllare la qualità dei loro prodotti che soddisfi in pieno le richieste del cliente utilizzatore.<br />

- Il cliente diventa sempre più esigente, richiedendo una documentazione tecnica (certificati di analisi)<br />

e legislativa relativa ai prodotti (dichiarazione di sicurezza, questionari, certificati di pagamento,<br />

etc.) Questi documenti per serietà commerciale e per legge devono sempre accompagnare il prodotto<br />

fin dal suo primo campionamento.<br />

- Il cliente cerca di instaurare sempre più relazioni di collaborazione tecnica con i fornitori di oli<br />

essenziali di cipresso per far loro preparare “prodotti unici” o “su misura” per soddisfare le sue<br />

necessità specifiche. Il cliente ha la necessità di differenziare le sue creazioni da quelle della concorrenza<br />

e questo fatto è sicuramente favorito dalla disponibilità di materie prime innovative ed<br />

esclusive, che devono seguire le norme e le direttive europee previste su questi prodotti, ad esempio<br />

quelle relative alla valutazione del potere allergenico del prodotto usato in profumeria ed in cosmesi.<br />

Conclusioni<br />

L’olio essenziale di cipresso costituisce una materia prima naturale importante soprattutto per l’industria<br />

della profumeria fine: il suo consumo è sostenuto, costante nel tempo, ma finora non ha avuto l’incremento<br />

atteso.<br />

L’industria per la profumeria è alla ricerca di un olio essenziale di cipresso che presenti un migliore<br />

rapporto “qualità olfattiva-prezzo”. La Francia soffre della concorrenza dei paesi nei quali i costi di produzione<br />

sono inferiori, anche se i prezzi degli oli essenziali pagati dalle industrie per la profumeria sono già<br />

piuttosto bassi. L’economia di mercato degli oli essenziali non sfugge alla regola d’oro, che occorre prima<br />

pensare “a vendere” un prodotto e poi pensare “a produrlo”. Una possibilità di sviluppo economico del<br />

mercato degli oli essenziali di cipresso potrebbe essere data dalla valorizzazione economica di un prodotto<br />

di nicchia (essenze “bio”, ad esempio) e dalla collaborazione stretta tra i produttori di oli essenziali e le<br />

industrie utilizzatrici con la creazione di materie prime esclusive.<br />

101


2 - L’USO TERAPEUTICO DELL’OLIO ESSENZIALE DEL CIPRESSO COMUNE<br />

NEL MEDITERRANEO ORIENTALE<br />

Marcello Intini<br />

Istituto per la Protezione delle Piante del CNR, Firenze<br />

Esiste una tavoletta babilonese di argilla, datata intorno al 1880 a.C., sulla quale è incisa una “commissione”:<br />

olio importato di cedro, mirra e cipresso. Questa dimostra che l’estrazione degli oli essenziali e il commercio<br />

internazionale delle sostanze aromatiche risalgono ad almeno 4000 anni. Lo storico greco Erodoto (484- 425<br />

a.C.), che viaggiò molto, racconta anche che in Assiria le donne “frantumavano con una pietra il legno<br />

degli alberi di cipresso, di cedro e di incenso e ci versavano sopra dell’acqua finchè la poltiglia<br />

acquistava una certa consistenza. Poi se la passavano sul corpo e sulla faccia; e il giorno dopo,<br />

quando se la toglievano, la loro pelle era bellissima e impregnata di un profumo delizioso”. Gli storici<br />

e le cronache d’epoca riportano che nel XVIII secolo a Costantinopoli<br />

gli oli essenziali venivano usati per scopi terapeutici in ampia misura.<br />

Grandi quantità di unguenti aromatizzati con oli essenziali venivano<br />

impiegati per massaggiare il corpo sia nei bagni pubblici, sia in casa.<br />

Venivano applicati esternamente, ma per curare numerose affezioni<br />

interne. Si preparavano in casa o provvedeva alla bisogna lo speziale<br />

del luogo.<br />

Da qualche decennio vengono svolte ricerche su vasta scala sulle<br />

proprietà medicinali degli oli essenziali e si è registrato un notevole<br />

risveglio di interesse per le possibilità farmacologiche delle specie<br />

botaniche in generale. La medicina ha abbandonato da tempo l’idea<br />

che tutti i farmaci possono essere preparati sinteticamente e senza<br />

l’uso di piante ed estratti vegetali. Grazie a questo ritorno alla natura<br />

i farmacisti stanno cercando nuovi rimedi non soltanto in laboratorio<br />

ma anche a partire da piante raccolte nei boschi e nei campi.<br />

Noto nel vicino Oriente come “l’albero simbolo della vita”, il cipresso<br />

comune (Cupressus sempervirens L.) con la sua essenza offre da<br />

tempo immemorabile a quelle popolazioni un valido rimedio a numerose<br />

infermità. I suoi<br />

poteri medicamen-<br />

Ampolle contenenti olio essenziale di<br />

cipresso di produzione turca.<br />

tosi erano infatti<br />

conosciuti e ampiamente<br />

utilizzati sin<br />

dall’antichità. Ippocrate di Cos, medico greco del V-IV<br />

secolo a.C., descrive le sue proprietà di arrestare emorragie<br />

e dissenterie, calmare la tosse e il catarro. In epoca Romana<br />

era molto diffuso un unguento efficace contro la febbre,<br />

noto come “Unguento d’alabastro”, ottenuto dalla<br />

macerazione di coni di cipresso e di altre piante secondo<br />

una ricetta importata dall’Oriente ai tempi di Tito Flavio<br />

Vespasiano (7-79 d.C.).<br />

Oggi l’olio essenziale di cipresso viene estratto dai coni<br />

immaturi e dai rametti raccolti in primavera mediante<br />

distillazione in corrente di vapore. Il materiale vegetale<br />

viene posto in un recipiente capace attraverso cui passa<br />

del vapore. Le essenze evaporano insieme all’acqua e ad<br />

altre sostanze. Poi il distillato viene raffreddato e le<br />

essenze, non essendo idrosolubili, vengono separate<br />

dall’acqua facilmente. Possono essere adottati anche altri<br />

102<br />

Brocchetta in ceramica porta unguenti aromatizzati<br />

con olio essenziale di cipresso (Turchia, XVIII secolo).


metodi; l’alternativa più comune è l’estrazione mediante solventi volatili. Il materiale vegetale viene dilavato<br />

in alcool finchè l’essenza si scioglie nel medesimo. Poi viene separata tramite distillazione ad una<br />

determinata temperatura che fa condensare l’olio e non il solvente. Il liquido prodotto dalla distillazione in<br />

corrente di vapore è di color giallognolo e presenta un’ottimo aroma rinfrescante e balsamico. È un olio<br />

particolarmente ricco di monoterpeni. I costituenti principali sono: carene, sabinene, pinene, limonene,<br />

cedrolo, mircene, terpinolene.<br />

L’essenza di cipresso svolge una spiccata<br />

azione vasocostrittrice e tonificante,<br />

particolarmente utile in caso di fragilità<br />

capillare, vene varicose, cellulite, epistassi,<br />

spasmi vascolari, edemi e disturbi circolatori<br />

in genere. È un eccellente rimedio anche<br />

per chi soffre di sudorazione eccessiva:<br />

poche gocce permettono di contrastare<br />

efficacemente il problema, lasciando<br />

comunque traspirare la pelle.<br />

Possiede buone proprietà antispasmodiche<br />

attive contro tossi spasmodiche, asma,<br />

affezioni polmonari, bronchiti e pertosse.<br />

La discreta azione antisettica lo rende utile<br />

in caso di tagli e ferite aperte.<br />

Dal punto di vista estetico agisce contro i<br />

capelli grassi e oleosi, ripristinando la<br />

Coni immaturi di cipresso comune. La raccolta dei coni e dei<br />

rametti per l’estrazione dell’olio essenziale viene effettuata in<br />

primavera perché in questa stagione sono più ricchi in cedrolo.<br />

In molti paesi asiatici gli oli essenziali ottenuti per distillazione<br />

dalle piante vengono usati con efficacia per curare numerose<br />

affezioni interne. Nella foto: bottigliette contenenti formulati<br />

vari di olio essenziale di cipresso in vendita su un banco all’ingresso<br />

di un ospedale di Antalya, nella Turchia meridionale.<br />

L’olio essenziale di cipresso è indicato principalmente per la<br />

cura dell’asma, della pelle, dissenteria, disturbi epatici, emorragie,<br />

influenza, pertosse, piorrea, reumatismo, tensione nervosa,<br />

vene varicose.<br />

103<br />

regolare attività sebacea; inoltre elimina la<br />

forfora, l’acne ed è un ottimo trattamento<br />

coadiuvante contro gli inestetismi della<br />

cellulite.<br />

Al livello della psiche, infine, il profumo<br />

dell’essenza di cipresso possiede il potere<br />

di sostenere e consolare lo spirito nei<br />

momenti difficili. L’aromaterapia a base di<br />

essenza di cipresso è, di fatto, una<br />

psicoterapia prescritta sin dai tempi antichi<br />

dai medici orientali per sanare le malattie<br />

dell’anima: poche gocce diffuse con<br />

vaporizzatore nell’ambiente rendono<br />

l’atmosfera più piacevole e rilassante,<br />

stimolano la concentrazione e l’attenzione<br />

e, soprattutto, migliorano l’umore ed aiutano<br />

a dissipare le angosce.<br />

Principali proprietà dell’olio essenziale<br />

di cipresso<br />

Antisettico, antisudorifero, astringente,<br />

deodorante, diuretico, epatico, sedativo,<br />

vasocostrittore.<br />

Indicazioni<br />

Asma, cura della pelle, dissenteria, disturbi<br />

epatici, emorragie, influenza, pertosse,<br />

piorrea, reumatismo, tensione nervosa, vene<br />

varicose.


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104

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