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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica - It J Practice Cardiol Dicembre 2007-Marzo 2008 COMPANION (15) per un totale di 1212 pazienti (617 braccio CRT e 595 braccio CRT-D). Nella tabella 2 è mostrato il paragone CRT vs terapia medica ottimale. Gli odds ratio dimostrano una diminuzione significativa delle ospedalizzazioni, della mortalità per tutte le cause e della mortalità cardiaca non improvvisa. Il numero di pazienti da trattare con CRT per evitare una morte è 29 pazienti in 6 mesi (18); in studi con follow-up più prolungati una morte è prevenuta trattando 13 pazienti in 2 anni e 9 pazienti in 3 anni (16). La riduzione della morte improvvisa non è significativa. Questi dati confermano una precedente metanalisi del 2006 che ha valutato l’effetto della sola CRT sulla mortalità in pazienti scompensati (21). Sono stati considerati 5 trial clinici randomizzati per un totale di 2371 pazienti (MUSTIC, MUSTIC-AF, MIRACLE, COMPANION e CARE-HF). La CRT da sola riduce significativamente del 29% la mortalità per ogni causa, con una riduzione assoluta della mortalità del 3.8%. In particolare, per quanto riguarda la causa, la CRT riduce del 38% la morte dovuta a progressione dello scompenso (6.7 vs 9.7%) ma non riduce la morte cardiaca improvvisa (6.4% vs 5.9%). Nella tabella 3 è mostrato il paragone CRT-D vs terapia medica ottimale. Gli odds ratio dimostrano una diminuzione significativa delle ospedalizzazioni, della mortalità globale e della morte improvvisa. La riduzione della mortalità cardiaca non improvvisa non è significativa. Le analisi coincidono dunque sulla diminuzione delle ospedalizzazioni e della mortalità globale, cioè sugli endpoint primari del COMPANION e del CARE-HF. C’è una divergenza (che non stupisce considerando la complessità del problema) su end point secondari come la mortalità cardiaca non improvvisa e la morte improvvisa. In base ai dati del terzo paragone (CRT vs CRT-D), alcuni AA sostengono l’opportunità di associare sempre il defibrillatore al CRT (22): nel gruppo CRT-D infatti vi è una più bassa incidenza di morte cardiaca non improvvisa (12.8% vs 17.1%) e di morte improvvisa (2.9% vs 7.8%). In realtà il trial COMPANION (sui cui dati si basa questo terzo paragone) permette di valutare in modo significativo soltanto differenze tra CRT vs pazienti con terapia medica ottimale e differenze tra CRT-D vs pazienti con terapia medica ottimale; i risultati ottenuti da queste due comparazioni sono a favore sia della CRT sia della CRT-D per quanto riguarda l’endpoint principale, cioè la combinazione di mortalità da ogni causa più ospedalizzazioni. L’eventuale vantaggio dell’associazione sistematica del defibrillatore alla CRT non può essere valutato comparando la CRT-D ai pazienti in terapia medica ottimale bensì comparando la CRT-D alla CRT semplice. Infatti il gruppo di controllo della CRT-D deve essere il gruppo col miglior trattamento disponibile (cioè la CRT con terapia medica ottimale) e non un gruppo con un trattamento del quale è nota la minor efficacia (nel nostro caso la sola terapia medica 24 pur se ottimale). In altri termini, se la CRT determina una riduzione del 30% della mortalità rispetto alla terapia medica e se si vuole dimostrare l’ipotesi che la CRT- D determina una ulteriore riduzione della mortalità (per esempio di un altro 5%) per rilevare tale evento è necessario disegnare un trial molto più numeroso del trial che ha dimostrato la riduzione di mortalità del 30%; molto più numeroso e quindi molto più costoso. Il COMPANION non è stato disegnato con la potenza adeguata per poter rilevare differenze significative tra CRT e CRT-D. I dati che si riferiscono al terzo paragone non sono quindi sufficientemente sicuri, poiché derivano dal solo COMPANION. La mortalità può dunque essere espressa in modi diversi: la mortalità da ogni causa e la mortalità specifica cardiologica (che a sua volta può essere la morte per progressione dello scompenso e la morte improvvisa). C’è una gerarchia degli end-point in ordine all’affidabilità di informazione: 1. la mortalità da ogni causa; 2. la mortalità specifica (nel nostro caso quella cardiologica); 3. eventi clinici non fatali (per esempio infarto miocardico, stroke ecc.); 4. sintomi, segni e misure paracliniche (23). Perché in questi trial è stata scelta la mortalità da ogni causa come endpoint primario (pur se combinato con l’ospedalizzazione)? I motivi sono i seguenti: 1. anche se la valutazione della morte specifica per malattia è teoricamente preferibile, non sempre è facile identificare con accuratezza la causa della morte (per esempio, la morte improvvisa è considerata sinonimo di morte aritmica ma non tutte le morti improvvise sono aritmiche; la morte da progressione dello scompenso, da disfunzione meccanica, può essere rapida, entro pochi minuti, ma non aritmica; viceversa, la morte aritmica può anche non essere improvvisa); la morte per tutte le cause è un’alternativa senza rischio di bias nella classificazione etiologica; basta soltanto sapere che il paziente è morto e quando l’evento è accaduto; 2. lo studio della morte per tutte le cause può intercettare insospettati effetti letali dei trattamenti; 3. in gruppi selezionati (per esempio pazienti con scompenso in classe NYHA III-IV) è verosimile che, nel breve periodo di tempo nel quale si svolge la sperimentazione, la maggior parte delle morti avvenga per motivi cardiovascolari; c’è una certa sovrapposizione quindi tra mortalità da ogni causa e mortalità cardiaca, a differenza di quanto accade negli studi osservazionali di lunga durata; 4. è probabile che le morti per motivi non cardiova-

scolari si suddividano equamente tra i due gruppi selezionati dalla randomizzazione; 5. la valutazione della mortalità specifica cardiovascolare viene pur sempre esplorata come endpoint secondario; in questo caso le discrepanze con l’endpoint primario vanno valutate con prudenza. Il problema comunque è comune ad altre sperimentazioni ed è oggetto di discussioni. BIBLIOGRAFIA 1. Cazeau S, Leclercq C, Lavergne T et al. Multisite stimulation in cardiomyopathies (MUSTIC). Effect of multisite biventricular pacing in patients with heart failure and intraventricular conduction delay. N Engl J Med 2001; 344: 873-80. 2. Abraham WT, Fisher WG, Smith AL et al. Multisite Insync Randomized Clinical Evaluation (MIRACLE). Double-blind, randomized controlled trial of cardiac resynchronization in chronic heart failure. N Engl J Med 2002; 346: 1845-53. 3. Hasan A, Abraham WT. Cardiac resynchronization treatment of heart failure. Annu Rev Med 2007; 58: 63-74. 4. Lozano I, Bocchiardo M, Achtelik M et al. Impact of biventricular pacing on mortality in a randomized crossover study of patients with heart failure and ventricular arrhythmias (VENTAK CHF/CONTAK CD). Pacing Clin Electrophysiol 2000; 23: 1711-2. 5. Molhoek SG, Bax JJ, Van Erven L et al. QRS duration and shortening to predict clinical response to cardiac resynchronization therapy in patients with end-stage heart failure. Pacing Clin Electrophysiol 2004; 27: 308-13. 6. Gerber TC, Nishimura RA, Holmes DR et al. Left ventricular and biventricular pacing in congestive heart failure. Mayo Clin Proc 2001; 76: 803-12. 7. Rajagopalan N, Suffoletto MS, Tanabe M et al. Right ventricular function following cardiac resynchronization therapy. Am J Cardiol 2007; 100: 1434-6. 8. Fruhwald FM, Fahrleitner-Pammer A, Berger R et al. Early and sustained effects of cardiac resynchronization therapy on N-terminal pro-B-type natriuretic peptide in patients with moderate to severe heart failure and cardiac dyssynchrony. Eur Heart J 2007; 28: 1592-7. 9. Wasserman K, Sun XG, Hansen JE. Effect of biventricular pacing on the exercise pathophysiology of heart failure. Chest 2007; 132: 250-61. 10. Molhoek SG, Bax JJ, Bleeker GB et al. Long-term follow-up of cardiac resynchronization therapy in patients with end- 25 E. Enia La risincronizzazione cardiaca. III° I benefici stage heart failure. J Cardiovasc Electrophysiol 2005; 16: 701-7. 11. Jansen AHM, van Dantzig J, Bracke F et al. Improvement in diastolic function and left ventricular filling pressure induced by cardiac resynchronization therapy. Am Heart J 2007; 153: 843-9. 12. St John Sutton M, Plappert T, Hilpisch KE et al Sustained reverse left ventricular structural remodeling with cardiac resynchronization at one year is a function of etiology. Circulation 2006; 113: 266-72. 13. Yu CM, Bleeker GB, Fung JW et al. Left ventricular reverse remodeling but not clinical improvement predicts longterm survival after cardiac resynchronization therapy. Circulation 2005; 112: 1580-6. 14. Vanderheyden M, Mullens W, Delrue L et al. Myocardial gene expression in heart failure patients treated with cardiac resynchronization therapy. JACC 2008; 51: 129-36. 15. Bristow MR, Saxon LA, Boehmer J et al. Comparison of medical therapy, pacing and defibrillation in heart failure (COMPANION). Cardiac resynchronisation therapy with or without an implantable defibrillator in advanced chronic heart failure. N Engl J Med 2004; 350: 2140-50. 16. Cleland J, Daubert JC, Erdmann E et al. The effect of cardiac resynchronization on morbidity and mortality in heart failure (CARE-HF). N Engl J Med 2005; 352: 1539- 49. 17. Cleland JG, Daubert JC, Erdmann E et al. Longer term effects of cardiac resynchronization therapy on mortality in heart failure. CARE-HF trial extension phase. Eur Heart J 2006; 27: 1928-32. 18. Mc Alister FA, Ezekowitz J, Hooton N et al. Cardiac resynchronization therapy for patients with left ventricular systolic dysfunction. A systematic review. JAMA 2007; 297: 2502-14. 19. Auricchio A, Metra M, Gasparini M et al. Long-term survival of patients with heart failure and ventricular conduction delay treated with cardiac resynchronization therapy. Am J Cardiol, 2007; 99: 232-8. 20. National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE). NICE technology appraisal guidance 120. Cardiac resynchronisation therapy for the treatment of heart failure. May 2007. Http://guidance.nice.org.uk. 21. Rivero-Ayerza M, Theuns D, Garcia-Garcia HM et al. Effects of cardiac resynchronization therapy on overall mortality and mode of death. A meta-analysis of randomized controlled trials. Eur Heart J 2006; 27: 2682-8. 22. Friedewald VE, Boehmer JP, Kowal RC et al. The editor’s roundtable. Cardiac resynchronization therapy. Am J Cardiol 2007; 1145-52. 23. Lubsen J, Kirwan BA. Combined endpoints: can we use them? Stat Med 2002; 21: 2959-70.

Giornale Italiano di Cardiologia Pratica - It J Practice Cardiol Dicembre 2007-Marzo 2008<br />

COMPANION (15) per un totale di 1212 pazienti<br />

(617 braccio CRT e 595 braccio CRT-D).<br />

Nella tabella 2 è mostrato <strong>il</strong> paragone CRT vs terapia<br />

medica ottimale. Gli odds ratio dimostrano una dim<strong>in</strong>uzione<br />

significativa delle ospedalizzazioni, della mortalità<br />

per tutte le cause e della mortalità cardiaca non improvvisa.<br />

Il numero di pazienti da trattare con CRT per evitare<br />

una morte è 29 pazienti <strong>in</strong> 6 mesi (18); <strong>in</strong> studi con<br />

follow-up più prolungati una morte è prevenuta trattando<br />

13 pazienti <strong>in</strong> 2 anni e 9 pazienti <strong>in</strong> 3 anni (16).<br />

La riduzione della morte improvvisa non è significativa.<br />

Questi dati confermano una precedente metanalisi del<br />

2006 che ha valutato l’effetto della sola CRT sulla mortalità<br />

<strong>in</strong> pazienti scompensati (21). Sono stati considerati<br />

5 trial cl<strong>in</strong>ici randomizzati per un totale di 2371<br />

pazienti (MUSTIC, MUSTIC-AF, MIRACLE, COMPANION<br />

e CARE-HF). La CRT da sola riduce significativamente<br />

del 29% la mortalità per ogni causa, con una riduzione<br />

assoluta della mortalità del 3.8%. In particolare, per<br />

quanto riguarda la causa, la CRT riduce del 38% la<br />

morte dovuta a progressione dello scompenso (6.7 vs<br />

9.7%) ma non riduce la morte cardiaca improvvisa<br />

(6.4% vs 5.9%).<br />

Nella tabella 3 è mostrato <strong>il</strong> paragone CRT-D vs terapia<br />

medica ottimale. Gli odds ratio dimostrano una<br />

dim<strong>in</strong>uzione significativa delle ospedalizzazioni, della<br />

mortalità globale e della morte improvvisa. La riduzione<br />

della mortalità cardiaca non improvvisa non è significativa.<br />

Le analisi co<strong>in</strong>cidono dunque sulla dim<strong>in</strong>uzione delle<br />

ospedalizzazioni e della mortalità globale, cioè sugli<br />

endpo<strong>in</strong>t primari del COMPANION e del CARE-HF. C’è<br />

una divergenza (che non stupisce considerando la complessità<br />

del problema) su end po<strong>in</strong>t secondari come la<br />

mortalità cardiaca non improvvisa e la morte improvvisa.<br />

In base ai dati del terzo paragone (CRT vs CRT-D),<br />

alcuni AA sostengono l’opportunità di associare sempre<br />

<strong>il</strong> defibr<strong>il</strong>latore al CRT (22): nel gruppo CRT-D <strong>in</strong>fatti vi<br />

è una più bassa <strong>in</strong>cidenza di morte cardiaca non<br />

improvvisa (12.8% vs 17.1%) e di morte improvvisa<br />

(2.9% vs 7.8%). In realtà <strong>il</strong> trial COMPANION (sui cui<br />

dati si basa questo terzo paragone) permette di valutare<br />

<strong>in</strong> modo significativo soltanto differenze tra CRT vs<br />

pazienti con terapia medica ottimale e differenze tra<br />

CRT-D vs pazienti con terapia medica ottimale; i risultati<br />

ottenuti da queste due comparazioni sono a favore sia<br />

della CRT sia della CRT-D per quanto riguarda l’endpo<strong>in</strong>t<br />

pr<strong>in</strong>cipale, cioè la comb<strong>in</strong>azione di mortalità da ogni<br />

causa più ospedalizzazioni. L’eventuale vantaggio dell’associazione<br />

sistematica del defibr<strong>il</strong>latore alla CRT non<br />

può essere valutato comparando la CRT-D ai pazienti <strong>in</strong><br />

terapia medica ottimale bensì comparando la CRT-D<br />

alla CRT semplice. Infatti <strong>il</strong> gruppo di controllo della<br />

CRT-D deve essere <strong>il</strong> gruppo col miglior trattamento<br />

disponib<strong>il</strong>e (cioè la CRT con terapia medica ottimale) e<br />

non un gruppo con un trattamento del quale è nota la<br />

m<strong>in</strong>or efficacia (nel nostro caso la sola terapia medica<br />

24<br />

pur se ottimale). In altri term<strong>in</strong>i, se la CRT determ<strong>in</strong>a<br />

una riduzione del 30% della mortalità rispetto alla terapia<br />

medica e se si vuole dimostrare l’ipotesi che la CRT-<br />

D determ<strong>in</strong>a una ulteriore riduzione della mortalità (per<br />

esempio di un altro 5%) per r<strong>il</strong>evare tale evento è<br />

necessario disegnare un trial molto più numeroso del<br />

trial che ha dimostrato la riduzione di mortalità del<br />

30%; molto più numeroso e qu<strong>in</strong>di molto più costoso.<br />

Il COMPANION non è stato disegnato con la potenza<br />

adeguata per poter r<strong>il</strong>evare differenze significative tra<br />

CRT e CRT-D. I dati che si riferiscono al terzo paragone<br />

non sono qu<strong>in</strong>di sufficientemente sicuri, poiché derivano<br />

dal solo COMPANION.<br />

La mortalità può dunque essere espressa <strong>in</strong> modi<br />

diversi: la mortalità da ogni causa e la mortalità specifica<br />

cardiologica (che a sua volta può essere la morte<br />

per progressione dello scompenso e la morte improvvisa).<br />

C’è una gerarchia degli end-po<strong>in</strong>t <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e all’affidab<strong>il</strong>ità<br />

di <strong>in</strong>formazione:<br />

1. la mortalità da ogni causa;<br />

2. la mortalità specifica (nel nostro caso quella cardiologica);<br />

3. eventi cl<strong>in</strong>ici non fatali (per esempio <strong>in</strong>farto miocardico,<br />

stroke ecc.);<br />

4. s<strong>in</strong>tomi, segni e misure paracl<strong>in</strong>iche (23).<br />

Perché <strong>in</strong> questi trial è stata scelta la mortalità da ogni<br />

causa come endpo<strong>in</strong>t primario (pur se comb<strong>in</strong>ato con<br />

l’ospedalizzazione)?<br />

I motivi sono i seguenti:<br />

1. anche se la valutazione della morte specifica per<br />

malattia è teoricamente preferib<strong>il</strong>e, non sempre è<br />

fac<strong>il</strong>e identificare con accuratezza la causa della<br />

morte (per esempio, la morte improvvisa è considerata<br />

s<strong>in</strong>onimo di morte aritmica ma non tutte le<br />

morti improvvise sono aritmiche; la morte da progressione<br />

dello scompenso, da disfunzione meccanica,<br />

può essere rapida, entro pochi m<strong>in</strong>uti, ma<br />

non aritmica; viceversa, la morte aritmica può<br />

anche non essere improvvisa); la morte per tutte le<br />

cause è un’alternativa senza rischio di bias nella<br />

classificazione etiologica; basta soltanto sapere<br />

che <strong>il</strong> paziente è morto e quando l’evento è accaduto;<br />

2. lo studio della morte per tutte le cause può <strong>in</strong>tercettare<br />

<strong>in</strong>sospettati effetti letali dei trattamenti;<br />

3. <strong>in</strong> gruppi selezionati (per esempio pazienti con<br />

scompenso <strong>in</strong> classe NYHA III-IV) è verosim<strong>il</strong>e che,<br />

nel breve periodo di tempo nel quale si svolge la<br />

sperimentazione, la maggior parte delle morti<br />

avvenga per motivi cardiovascolari; c’è una certa<br />

sovrapposizione qu<strong>in</strong>di tra mortalità da ogni causa<br />

e mortalità cardiaca, a differenza di quanto accade<br />

negli studi osservazionali di lunga durata;<br />

4. è probab<strong>il</strong>e che le morti per motivi non cardiova-

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