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alimentazione. Gli ovini richiedono, invece, altre strutture, servizi,
strumenti.
Non vorremmo, comunque, correre il rischio dell’ennesima
elencazione di opere da realizzare a completamento di pianificazioni
effettuate dai Comuni e dalle Comunità Montane anche in periodi
remoti.
Ci limitiamo a rilevare che alcune contraddizioni nella
gestione delle malghe e degli alpeggi, costrette, vincolate dalle
condizioni del comparto zootecnico, non sono di facile soluzione e
richiedono valutazione pacate, equilibrate, ma al tempo stesso
proiettate verso forme gestionale diverse.
Forme che promuovano un nuovo e più radicato
rapporto fra gli allevatori locali di bovini, e solo in dimensioni
inferiori di ovi-caprini e l’alpeggio.
Forme che valorizzino l’impresa locale e il loro prodotto di
qualità.
Gestire nel miglior modo possibile le malghe e aprirle a
consumatori e turisti agro ambientali richiede che queste siano
gestite in un contesto di sistema intersettoriale e, quindi, con il
massimo coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati che credono
in questo antico e straordinario modello d’allevamento.
Certo il nomadismo viene svolto da alcuni allevatori che hanno
origini Valtrumpline, altri no, in particolare quelli che allevano ovi
caprini. Un capitolo delicato quello del nomadismo, ma che per la
sua funzionalità a l’intero comparto zootecnico e agroalimentare
richiede forme e momenti di particolare approfondimento.
Pur essendo tema strettamente legato alle problematiche
locali, si ritiene che altri soggetti istituzionali potrebbero concorrere
a sostenere un progetto di razionalizzazione delle malghe/alpeggi,
anche attraverso un diverso e finalizzato orientamento delle
risorse pubbliche.
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