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GUIDA RAPIDA DELLA VALDERA - Giacomo Bezzi

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1<br />

GIACOMO BEZZI<br />

<strong>GUIDA</strong> <strong>RAPIDA</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>VALDERA</strong><br />

(un viaggio ideale da Pontedera alle falde del Monte di Volterra<br />

in due itinerari classici )<br />

ultima revisione: 14 Gennaio 2002


INDICE DEI CAPITOLI <strong>DELLA</strong><br />

<strong>GUIDA</strong> <strong>RAPIDA</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>VALDERA</strong><br />

UNO SGUARDO D’INSIEME A TANTI PERCHE’<br />

1 IL PESCATORE ED IL DIRIGIBILE<br />

2 IL PADRE ARNO, L’ERA E GLI ALTRI: FIUMI O TORRENTI?<br />

3 BIENTINA: DALLA PALUDE A SOTEBY’S<br />

4 LE STRADE DEL VALDARNO: INCONTRI RAVVICINATI<br />

5 PONTEDERA: CASTAGNACCIAI E CAMPAGNOLE: DOVE SIETE?<br />

6 DALLA LIBIA ALL’ALASKA...<br />

7 ...E DAI PRIMATI AEREI AL MONOPATTINO A MOTORE<br />

PRIMO ITINERARIO CLASSICO<br />

*******************************<br />

8 PONSACCO E PERIGNANO: LE CITTÀ’ APERTE (ANCHE LA DOMENICA) ED UN<br />

EROE <strong>DELLA</strong> MEDICINA<br />

9 CAMUGLIANO: VILLA MEDICEA CON MUCCHE LIMOUSINES<br />

10 CAPANNOLI:LA VILLA DEL COGNATO DI NAPOLEONE, UNO SCULTORE CIECO E<br />

UNA FABBRICA DI ROSARI<br />

2<br />

11 PECCIOLI: UN CAMPANILE, BENOZZO GOZZOLI, I DINOSAURI ED UNA GITA ALLA<br />

GERUSALEMME CELESTE<br />

12 I VINI E L’OLIO DELLE COLLINE PISANE: SAN TORPE’ O SAINT-TROPEZ?<br />

13 PALAIA: ANDREA PISANO, IL MUSEO CONTADINO ED I TARTUFI<br />

SECONDO ITINERARIO CLASSICO<br />

**********************************<br />

14 LARI: FANTASMI ALL’OMBRA DEL CASTELLO DEI VICARI FIORENTINI<br />

ELOGIO <strong>DELLA</strong> CILIEGIA<br />

15 CASCIANA TERME: I ROMANI, I PISANI ED I LORENA<br />

16 CHIANNI: BOSCHI E PARADISI PER CACCIATORI E FUNGAI E LA PATRIA DELL’IN-<br />

VENTORE DEGLI OCCHIALI DA NASO<br />

ELOGIO <strong>DELLA</strong> CASTAGNA<br />

17 TERRICCIOLA: ANCORA VINI E LE FESTE DELL’UVA


18 LAJATICO: UN ANTESIGNANO DI TANGENTOPOLI, UN UOMO <strong>DELLA</strong> PIETRA ED<br />

UNA BANCA<br />

19 ...E,OVUNQUE, SAGRE E FESTE PER TUTTI: BASTA STARE IN ALLEGRIA<br />

L’AUTORE SENTE IL DOVERE DI RINGRAZIARE:<br />

• Le redazioni di Pisa e Pontedera de “La Nazione”<br />

3


• l’Ufficio -Stampa e Relazioni Esterne del Gruppo Piaggio<br />

• la Fondazione Gerolamo Gaslini<br />

• F.Vallerini e G.Cacigli, coautori di “Ville notevoli del territorio pisano”<br />

• P. Ghelardoni, autore di “Lungo le strade del vino e dell’olio in provincia di Pisa”<br />

• D. Bernanrdini e O.Levati coautori de “La Provincia di Pisa”<br />

• Aldo Santini, autore delle note di viaggio dell’”Arlante Stradale della Toscana”<br />

• + Alessio Ceccanti di Fabbrica per le notizie sul territorio di Pèccioli<br />

• l’Avv. Loriano Orsini di Pontedera<br />

• l’Assessorato alla Cultura del Comune di Ponsacco<br />

• Giovanni Giovannetti, autore di “Che tempi”<br />

• l’Associazione “Il Castello” di Lari<br />

<strong>GUIDA</strong> <strong>RAPIDA</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>VALDERA</strong><br />

UNO SGUARDO D'INSIEME A TANTI PERCHÉ<br />

4


********************************************<br />

1 IL PESCATORE E IL DIRIGIBILE<br />

********************************<br />

5<br />

'è una stazione ferroviaria ove, nell'atrio della biglietteria, ci sono due grandi dipinti un<br />

C<br />

po' ingenui, molto colorati e dalle figure un po' legnose.<br />

Il primo,<br />

a destra di chi entra in stazione, rappresenta un improbabile pescatore di canna<br />

sulle rive di un fosso attraversato, in secondo piano, da un ponte che una targhetta<br />

definisce napoleonico.<br />

Il secondo pannello rappresenta alcuni uomini al lavoro mentre un enorme dirigibile è<br />

fatto uscire da un gran capannone.<br />

Non si tratta, però, della stazione di Friedrichshafen, linda cittadina sulla riva tedesca del Lago di<br />

Costanza ove il Conte Zeppelin faceva i suoi esperimenti sul volo degli aerostati, e ora famosa per<br />

un sofisticato salone nautico dedicato alla vela.<br />

Il perché è presto detto: i napoleonici di ponti là non ne costruirono mai perché, forse, quella fetta<br />

di Svevia è uno dei pochi posti d'Europa dove non arrivarono.<br />

E', invece, la stazione di Pontedera, paesone - ma città dal 1937 - sulla strada ferrata Firenze-Pisa<br />

ai suoi tempi chiamata Leopolda perché‚ fatta costruire da uno degli ultimi Lorena, che collega<br />

direttamente Firenze con la costa tirrenica.<br />

(Detto per inciso, un'altra strada ferrata antecedente collegava - e collega tuttora - Firenze<br />

col Tirreno: è quella che passa per Prato, Pistoia e Lucca terminando a Pisa e che aveva<br />

una diramazione verso una landa sul mare, al cospetto delle Apuane.<br />

Là l'unica presenza umana era un villaggio di pescatori marchigiani ivi rifugiatisi dopo<br />

essere sfuggiti alla dominazione pontificia. Il paesotto, poi, crebbe fino a raggiungere il<br />

rango di una città che oggi tutti conoscono col nome di Viareggio.<br />

I tempi di percorrenza di questa prima linea ferroviaria toscana sono oggi pressappoco<br />

identici a quelli degli anni '40 del 1800: minuto più, minuto meno.)<br />

Infatti, il ponte raffigurato nel pannello del pescatore è quello che in epoca napoleonica sostituì un<br />

precedente manufatto forse medioevale sul fiume Era. Di qui il nome del posto: Ponte d'Era scritto<br />

staccato.<br />

Un po' come Sampierdarena, che qualche purista insiste a scrivere San Pier d'Arena; tutti gli altri,<br />

addirittura, abbreviano: Samp.<br />

Ora tutti scrivono Pontedera, semplicemente così.<br />

Alcuni eruditi locali hanno dedicato al ponticello un concorso di lingua latina che s'intitola, manco<br />

a dirlo, "Certamen Latinum in Ponticulo Erae" e che si tiene tutti gli anni.


2 IL PADRE ARNO, L'ERA E GLI ALTRI: FIUMI O TORRENTI ?<br />

**********************************************************<br />

6


'Era, come tutti gli altri fiumi della Toscana - padre Arno compreso che, sembrerà un<br />

L<br />

assurdo, era navigato fino agli anni '30 di questo secolo - è fiume solo nell'accezione<br />

geografica: cioè un po' d'acqua ce l'ha sempre, e questo fattore lo differenzia da essere<br />

torrente.<br />

Ma gli alluvionologi, che dal 1966 sono legioni, lo hanno classificato "fiume ad<br />

7<br />

andamento torrentizio" che, tradotto dal burocratese, vuole dire che, malgrado secoli di<br />

bonifiche - dai Certosini ai Medici, dai Lorena ai Savoia, dal Regime Fascista alla<br />

Repubblica - ogniqualvolta piove per una settimana, bisogna tener pronta la scialuppa di<br />

salvataggio.<br />

L'Era è affluente di sinistra dell'Arno e riceve le acque di diversi fossi, canali e torrentelli che<br />

provengono da vallicelle messe più o meno a spina di pesce: corsi d'acqua insignificanti, in magra<br />

tutto l'anno e spesso ridotti ad ammassi di sterpi ed a discariche abusive di ogni reliquato del<br />

consumismo, e che, in autunno, s'ingrossano da far paura travolgendo tutto ciò che incontrano.<br />

Dal momento che l'Arno scorre, da Firenze a Bocca d'Arno (Marina di Pisa), da levante verso<br />

ponente, la Valle dell'Era o Valdera è rivolta verso sud, verso le sorgenti del fiume che sono dalle<br />

parti di Volterra, città di vento e di macigno per dirla con l'inevitabile D'Annunzio.<br />

A nord, confluiscono, invece, nella destra dell'Arno, altri canali di bonifica che provengono da<br />

quello che era il Padule di Bièntina che si estende, sempre più a nord, fino alla Lucchesia,<br />

all'altezza di Altopascio.<br />

Cittadina, quest'ultima, ormai nota ai più solo come casello dell'autostrada Firenze-Mare; esce<br />

dall'anonimato autostradale per il fatto d'essere la sede di una delle più grandi industrie del pane<br />

d'Europa.<br />

Il pane toscano - quello senza sale - era conosciuto dai buongustai, dalla Spezia in su, come Pane di<br />

Altopascio, perché proprio di lì era smistato caldo di forno in tutta la Penisola ad interi carri-merci.<br />

E tutti i giorni che il buon Dio metteva in terra.<br />

Ad Altopascio avevano, nel Medioevo, la loro casa madre i misteriosi Cavalieri del Tau: gli<br />

appartenenti, cioè, ad un ordine cavalleresco scomparso da secoli come gli altrettanto misteriosi<br />

Rosacroce e Templari.<br />

Rivive ai nostri giorni nelle manifestazioni folkloristico-religiose della Lucchesia con figuranti che<br />

indossano un mantello bianco con, impressa, una tau (o ti-greca) nera.<br />

Poco oltre Altopascio, sempre nella piana di Lucca ma un po' ad ovest, c'è la zona di Capànnori,<br />

già ricco comune agricolo, ove ora si produce quasi tutta la carta igienica consumata in Europa.


3 DALLA PALUDE A SOTEBY'S<br />

*****************************<br />

8


olto più curiosa è la storia recente di Bièntina, paese alquanto anonimo che, fino a<br />

M<br />

pochi decenni fa, era luogo di malaria e di miseria: agricoltura molto povera data la<br />

magrezza del terreno pantanoso strappato dalle bonifiche alla palude, mezzadri<br />

ignoranti e padroni ancora peggiori, industria neanche a parlarne, commerci ristretti<br />

all'ambulantato.<br />

9<br />

Poi, negli cinquanta di questo secolo, la fuga dalle campagne desolate.<br />

Pochi restarono e si diedero al commercio di cose vecchie comprate per due lire nelle<br />

cascine in via di abbandono.<br />

Nacque, nel frattempo, la manìa per il piccolo antiquariato ed i fiorentini occhiuti di Via di Maggio<br />

scoprirono che a Bièntina si poteva ancora trovare abbondanza di madie e di comò, di sedie im-<br />

pagliate e di armadi, di cassepanche e di vasi da notte di maiolica.<br />

Fu così che arrivò quello che, ai tempi dei legittimi proprietari di quelle carabattole, non c'era mai<br />

stato: il denaro.<br />

Oggi a Bièntina c’è almeno una dozzina di antiquari di un certo livello ed una cifra imprecisabile di<br />

loro colleghi d'alto bordo: non trattano più madie e sedie impagliate delle nonne e delle prozie, ma<br />

mobili inglesi di mogano, oggetti di Sheffield e di british-metal (che in italiano si dice alpacca),<br />

oli ed acquerelli di stucchevoli accademie vittoriane.<br />

Saltano spesso su grosse Mercedes e via, verso l’aeroporto Galilei di Pisa, dove sono buoni clienti<br />

della British Airways.<br />

Poi, una volta a Londra, le immancabili visite alle case d'aste britanniche: qualcuno azzarda e va<br />

anche da Soteby e da Christie.<br />

Da Bièntina fu lanciata, qualche anno fa, quella che sarebbe dovuto essere la prima pay-tv<br />

(televisione a pagamento, o a pago, come dicono da queste parti) italiana.<br />

Chi avesse, insomma, acquistato un decodificatore costruito a Torino avrebbe avuto il diritto di<br />

vedersi tutte le sere certi films che si vedono normalmente in sale poco frequentate dalla gente<br />

normale.<br />

Ci fu una corsa all'accaparramento del decodificatore, ma poi tutto si risolse nel nulla perché‚ era<br />

una fregatura.<br />

Gli organizzatori della prima pay-tv italiana tornarono a fare i vuccumprà televisivi, ed<br />

imperversano tuttora sugli innumerevoli canali privati.<br />

Da quella che doveva essere una palude mefitica, si gettava in Arno, all'altezza di Pontedera e fino<br />

al Medioevo, un braccio di un fiume dal corso incerto, poi interrato, che si chiamava Auser.<br />

Molti chilometri oltre , sempre più a ponente, un altro braccio minore dell'Auser, l'Auserculum (o<br />

piccolo Auser) fu canalizzato e divenne quello che è ora il Serchio, il fiume di Lucca.


10<br />

Sulla piazza principale di Bièntina si tiene ogni quarto finesettimana di ogni mese un minimercato<br />

di robivecchi: è una buona occasione per sbirciare nei negozi degli antiquari, che, per l'occasione,<br />

rimangono aperti sia al sabato sia alla domenica.<br />

A Bièntina è nato da una famiglia di stimati proprietari terrieri Pierfrancesco Pacini-Battaglia.<br />

4 LE STRADE DEL VALDARNO INFERIORE: INCONTRI RAVVICINATI<br />

*****************************************************************


11<br />

Pontedera, oltreché‚ per ferrovia (quaranta minuti da Firenze o dieci minuti da Pisa) si<br />

A<br />

arriva in auto percorrendo la superstrada che proviene da Firenze, e che si diparte<br />

dall'Autostrada del Sole.<br />

Proprio<br />

alla periferia di Pontedera, questa superstrada si divide in una ipsilon:<br />

• un braccio conduce a Pisa e si connette con l'autostrada per Genova, mentre<br />

• l'altro braccio prosegue verso Livorno.<br />

Se e come sarà costruita l'autostrada per Civitavecchia, il collegamento autostradale per Roma sarà<br />

garantito.<br />

La superstrada di cui stiamo parlando ha una storia alquanto tormentata: fu iniziata negli anni '70 e<br />

terminata nel 1990: ci volle, infatti, la legge speciale sulle infrastrutture del Campionato Mondiale<br />

di Calcio per farla terminare. Le notti magiche fecero il resto, sennò la superstrada sarebbe ancora<br />

oggi monca e si arenerebbe un po’ più a Levante, dalle parti di Casteldelbosco - frazione amena<br />

fin che si vuole del comune di Montòpoli, ma niente di più - in una marmellata di autovetture e di<br />

autotreni.<br />

La superstrada Firenze-Pisa e Livorno non è un capolavoro d'ingegneria, e si vede: anzi si sente per<br />

i sobbalzi improvvisi cui uno spesso è soggetto.<br />

Chi, invece, volesse percorrere strade nazionali, non ha che una scelta: che, però, è un vero e<br />

proprio viaggio lungo il Valdarno Inferiore.<br />

E' la strada statale n° 67, pomposamente denominata Tosco-Romagnola, che comincia da Pisa col<br />

chiamarsi Via Fiorentina, ma che a Firenze si chiama Via Pisana.<br />

Prosegue oltre Firenze, travalica l'Appennino e conduce, dopo un percorso defatigante, a Faenza,<br />

nel cuore della Romagna.<br />

Ma, mentre chi sfreccia sulla superstrada non ha neanche il tempo di ammirare il paesaggio, chi<br />

sceglie la Tosco-Romagnola può fare degli incontri quantomeno interessanti.<br />

Provenendo da Pisa, ad esempio, passa per Càscina, paesone agricolo e commerciale notevole,<br />

conosciuto soprattutto come culla di un'ebanisteria ormai d'altri tempi.<br />

E' da Càscina, infatti, che provenivano quei mobili grandi, massicci e tutti intagliati, dei quali i<br />

buoni borghesi italiani andavano fieri: quello stile Savonarola che si vede ancora solo nello studio<br />

di qualche avvocato, ma che le nostre mamme e nonne non esitavano ad accostare, quando non<br />

esistevano ancora gli interior-decorators, a sale e camere laccate della Brianza e cucine fatte<br />

costruire dal falegname di sotto casa.<br />

Provenendo, invece, da Firenze, si possono incontrare città e paesi dove è nato e prosperato tutto<br />

quello che l'ingegno toscano ha saputo produrre e commercializzare nel tempo :<br />

• le Signe, prima, culle del cappello di paglia di Firenze,


12<br />

• Montelupo, poi, patria della terracotta e della maiolica omonima,<br />

• Empoli: fabbriche di fiaschi e bottiglie, prima, poi di impermeabili, di capi di pelle e ora,<br />

chissà perché, di gelati,<br />

• Fucecchio: pelletteria d'alta classe, e la sua quasi dirimpettaia<br />

• San Miniato: culla di dinastie di tartufai e di vinai, ma anche sede dell'Istituto del Dramma<br />

Popolare, che organizza annualmente uno dei festivals teatrali più importanti d'Italia.<br />

E ancora:<br />

• Santa Croce sull'Arno,<br />

• Castelfranco di Sotto e<br />

• Montòpoli in Val d'Arno e le loro frazioni sgranate lungo la strada, con le loro cento e cento<br />

concerie, dove si producono tutto il cuoio e tutte le pelli possibili ed immaginabili.<br />

E, in secondo piano, una miriade di paesini più o meno celebri:<br />

• Vinci, ad esempio, e poi<br />

• Cìgoli,<br />

• Santa Maria a Monte,<br />

• Vicopisano,<br />

• Buti.<br />

E allora si pensa subito a Leonardo.<br />

Ma, poi, vengono in mente tanti altri personaggi e le domande si fanno sempre più pressanti.<br />

* Ma a Fucecchio non c'era nato Indro Montanelli ?<br />

* E Baccio da Montelupo e Lodovico Cardi detto il Cìgoli: chi erano costoro ?<br />

* E Don Backy: non è di Santa Croce ?<br />

* E i fratelli Taviani: non sono di San Miniato ?<br />

* E non c'era un pittore che si faceva chiamare semplicemente l'Empoli ?<br />

* Sì, ma di Empoli era anche Ferruccio Busoni.<br />

* E nella rocca di San Miniato non si uccise Pier delle Vigne?<br />

5 PONTEDERA: CASTAGNACCIAI E CAMPAGNOLE, DOVE SIETE ?<br />

****************************************************************


13<br />

iunti a Pontedera, ci si accorge che è una cittadina industriale e che, come tale, non si<br />

G<br />

presenta con monumenti degni dell'immortalità.<br />

C'è una chiesa dei SS.Jacopo e Filippo con statua lignea di scuola pisana ed una tela del<br />

Cìgoli,<br />

e un Duomo neoclassico che aveva all'origine due torri campanarie ai margini<br />

della facciata. Distrutte nel 1944 mentre il fronte s'era fermato sull'Arno, furono<br />

di parallelepipedo.<br />

sostituite nell'immediato dopoguerra da un orripilante campanile in calcestruzzo a forma<br />

A due passi, la chiesetta ottagonale della Misericordia.<br />

Il Palazzo Pretorio ha ancora gli stemmi dei podestà fiorentini e la torre dell'orologio.<br />

Ma Pontedera è un luogo vivo con un largo margine di buona qualità di vita, anche se si nota che<br />

molte cose sono cambiate troppo rapidamente in questi ultimi anni.<br />

I castagnacciai hanno lasciato il posto a pizzerie e paninoteche; i bar e le fiaschetterie fumiganti a<br />

pubs dove non si beve più il quartino o il caffè corretto, ma si va a prender come aperitivo il<br />

Cartizze di Conegliano.<br />

E dappertutto, sul corso dove i buoni pontederesi vanno tutte le sere a farsi delle vasche, oreficerie<br />

stracariche di gioielli e di swatches, negozietti pieni di cose firmate, agenzie di viaggi con offerte da<br />

capogiro, parrucchieri (scusate, hair-stylists) con negozi grandi come stabilimenti. Poche librerie;<br />

musica e arte meglio sorvolare.<br />

Esiste, invece, un affermato Centro Sperimentale che fa dell'avanguardia teatrale e che coordina<br />

ogni anno una piccola ma succulenta stagione di prosa: spesso ospita anche attori e registi di gran<br />

grido.<br />

A Pontedera era nato Giovanni Gronchi, terzo presidente della Repubblica che rischiò, da morto,<br />

di non aver intitolata - nella sua città natale - neanche una strada di periferia: aveva avuto la<br />

sfortuna di morire quando c'era ancora il Muro.<br />

Da non perdere, girellando nel rione della stazione, un sofisticatissimo negozio di ceramiche, in<br />

parte di produzione propria, che èsito in Via della Misericordia: ci sono delle imitazioni di<br />

terrecotte invetriate robbiane da far la gioia degli architetti che ristrutturano casolari di campagna.<br />

Ma il fulcro di ogni attività della Pontedera di qualche anno fa era il cosiddetto Piazzone, punto<br />

focale del mercato settimanale del venerdì e capolinea di tutte le autocorriere.<br />

Le campagnole dai seni turgidi caricavano sugli imperiali delle corriere, derivate da vecchi 3Ro ed<br />

Esatau-musone che avevano fatto la campagna d'Africa, fagotti pieni di ogni bendiddio acquistato<br />

al mercato, e poi via di nuovo in cascina per una settimana, fra nugoli di fumo acre di nafta<br />

bruciata.


14<br />

Ora il Piazzone, inteso come capolinea di corriere dagli scappamenti fumiganti e dai finestrini di<br />

faesite, non esiste più.<br />

C'è, invece, davanti alla stazione ferroviaria, un asettico piazzale con banchine da dove continuano<br />

a partire ed arrivare autobus arancioni e blu.<br />

Non si sa bene tuttora perché, a suo tempo, il piazzale di cui sopra fu lasciato senza pensiline.<br />

Incuria o dimenticanza ? Certo è che, sotto il solleone d'estate ed al gelo d'inverno, i passeggeri<br />

nell'attesa degli autobus erano trattati piuttosto male.<br />

Ora le pensiline ci sono: saranno anche di alto design perché fatte a mezzaluna ed di acciaio e<br />

perpex, ma non è detto che risolvano granché. Quando piove a raffiche, è consigliabile la cappotta<br />

incerata dei velisti. Ma non ci sono più le campagnole dai seni turgidi. Le hanno sostituite<br />

ragazzotti dall'aria borgatara e pendolari assonnati reduci dai turni della Piaggio.<br />

Da qui parte il nostro viaggio nella Valdera.<br />

Ma, prima occorre fare un passo indietro: tornare al nostro dirigibile.<br />

6 DALLA LIBIA ALL'ALASKA...<br />

****************************


15<br />

l pannello della stazione e che rappresenta un dirigibile non è casuale: Pontedera fu, infatti,<br />

I<br />

nei primi decenni di questo secolo, base aerea per questo tipo di aeromobili.<br />

In un<br />

ampio spazio di terra battuta alla periferia del paese, si alzarono in volo, per una ventina<br />

d'anni,<br />

le aeronavi dell'epoca: prima a scopi militari e poi scientifici.<br />

Infatti,<br />

l'Italia di Giolitti si era data una forza aerea ed un po' su tutto il territorio nazionale<br />

erano nate stazioni di ricovero e di rifornimento dei grandi fusi che, gonfiati di idrogeno e<br />

azionati da potenti motori a benzina, navigavano leggeri come velieri dell'aria.<br />

A Pontedera la base aerea fu essenzialmente militare ed alcuni dirigibili pontederesi parteciparono<br />

nel 1911-12 alla campagna italo-turca in Libia; altri, pochi anni dopo, fecero la loro parte durante la<br />

lunga, interminabile Grande Guerra.<br />

E questo sia sui fronti veneto-friulani, sia come guardia costiera sul Tirreno ed il Mar Li<br />

gure, all'avvistamento di non impossibili attacchi austriaci dal mare, o di qualche sottoma<br />

rino tedesco pronto ad aggredire navi mercantili dell'Entente Cordiale.<br />

Verso la fine del conflitto, uno di questi dirigibili precipitò, forse solo per un guasto mec<br />

canico: perdette la vita l'intero equipaggio.<br />

Le salme furono recuperate e amorosamente sepolte nel cimitero di Pontedera cogli onori<br />

militari.<br />

A distanza di settantacinque anni, nel 1993, i resti degli aviatori furono inumati nel Sacra<br />

rio Militare della Cigna di Livorno, dal momento che era stato impossibile reperire in un<br />

qualunque angolo d'Italia i discendenti di quei giovanotti delle classi ante '99.<br />

Qualche anno dopo, partì poi, sempre dalla base aeronautica di Pontedera, un dirigibile, il Norge,<br />

che sarebbe entrato difilato nei miti degli anni '20, dopo essere stato ribattezzato Italia.<br />

Era il 1926, e l’aerostato, pilotato da Roald Amundsen ed Umberto Nobile raggiunse l'Alaska<br />

dopo aver sorvolato il Polo Nord.<br />

Ma ben presto avvenne il declino del volo con dirigibile: la tragedia del 1937 dell'Hindenburg, a<br />

New York, fece capire che un'era stava terminando.<br />

Anche la base di Pontedera fu dismessa, come molte in Italia ed in Europa.<br />

7 ...E DAI PRIMATI AEREI AL MONOPATTINO A MOTORE<br />

********************************************************


16<br />

a già nel 1924 era avvenuto un fatto nuovo nella storia dell'industria toscana: era stata<br />

M<br />

acquistata dai Piaggio - industriali genovesi dai molti interessi e dai grandi capitali<br />

(carri ferroviari, allesti-menti navali, etc.) - una officina pontederese specializzata in<br />

elaborazione di motori per auto da corsa.<br />

L'auto spinta, si sa, era già un mito: poco lontano, in Versilia, <strong>Giacomo</strong> Puccini ne<br />

era stato un protagonista, prima di morire in Belgio di quello che allora (e ancor oggi)<br />

si chiamava un brutto male.<br />

Ma stava anche nascendo l’aeronautica italiana - civile e militare, s'intende - ed i Piaggio ne<br />

approfittarono: l'officina per motori birrosi divenne presto uno stabilimento per la produzione di<br />

motori per aerei.<br />

La ex fabbrichetta passò a rango di industria: migliaia di dipendenti e centomila metriquadri di<br />

superficie occupata, per produrre motori da 300 fino a 1.500 hp.<br />

Un motore Piaggio, ad esempio, equipaggiò un velivolo Caproni col quale il Col. Mario Pezzi<br />

conquistò il primato mondiale di altitudine con motore a pistoni (17.083 metri s.l.m.), mentre<br />

furono costruite diverse linee di idrovolanti, ed addirittura gestite delle aviolinee per collegare<br />

l'Italia a quello che avrebbe dovuto essere l'Impero.<br />

Ed, in tempi di battute di tacchi, di saluti romani e di paternalismo industriale imperante, vennero le<br />

case - con bagno - per i dipendenti, le colonie marine e montane, il dopolavoro col teatrino e le gite<br />

sociali.<br />

Ma venne anche la seconda guerra mondiale, e tutto lo sforzo produttivo fu mirato alla costruzione<br />

di aerei militari, da caccia, da trasporto e da bombardamento.<br />

Uno di questi ultimi, un quadrimotore sperimentale Piaggio P-108, cadde al suo primo<br />

collaudo - il 7 Agosto 1941 - alla periferia un po' campagnola di una Pisa non ancora mas<br />

sacrata dai bombardamenti alleati. Morirono tutti, meno il secondo pilota che ora fa il far<br />

macista a Fiumicino.<br />

Il capoequipaggio era Bruno Mussolini.<br />

Suo padre gli dedicò un libro molto appassionato ("Parlo con Bruno") che ora si può tro<br />

vare, in brochure, solo su qualche bancarella, ai mercati del piccolo antiquariato.<br />

Ha fatto, come ai tempi del Manzoni, la fine dei tomi austeri della biblioteca di Don Fer<br />

rante.<br />

Poi il '43 e la sconfitta: e poi ancora la tragedia del dopoguerra.<br />

Che fare di stabilimemti rasi al suolo, di motori per aerei che non volavano più, di operai dalle<br />

mani d'oro annichiliti alla disoccupazione ?


La Piaggio si affidò al genio di un ingegnere abruzzese, titolare di cattedra di macchine<br />

all'Università di Pisa, che aveva già collaborato intensamente con l'azienda genovese per la<br />

costruzione di prototipi di strani aerei con una sola elica sul soffitto della carlinga.<br />

Secondo l'ingegnere abruzzese, questi nuovi aerei - denominati a pala rotante e poi elicotteri -<br />

17<br />

avrebbero potuto facilitare non poco le operazioni belliche in certi territori che, come la Cirenaica,<br />

avevano spazi enormi mentre la Regia Aeronautica di benzina ne aveva poca.<br />

Ma i panciuti generali ed ammiragli dei ministeri romani non l'avevano creduto.<br />

Comunque, l'elicottero di Pontedera era stato addirittura già collaudato nell'ottobre del<br />

1930 da un ufficiale pilota pisano, Marinello Nelli - classe 1893, due medaglie d'argento ed<br />

una di bronzo conquistate durante il primo conflitto mondiale; un altro argento, due bronzi<br />

e due croci di guerra, poi, nel periodo 1940-43 - cui la sua città natale ha intitolato una<br />

strada dimenticata di periferia, verso Porta Nuova.<br />

Marinello Nelli morì assassinato - stranezze della storia - ad un'altra Porta Nuova: davanti<br />

alla stazione centrale di Torino, durante la guerra civile, nel terrificante e gelido inverno<br />

del '44.<br />

Ma l'ingegnere abruzzese che lavorava per la Piaggio aveva anche intuito che l'italiano medio<br />

avrebbe voluto muoversi velocemente ed a buon mercato, lasciando in garage i Guzzoni e le Gilera<br />

8-bulloni.<br />

Nel 1946 progettò, e mandò all'esecuzione nel giro di tre soli mesi, una specie di motocicletta con<br />

carrozzeria aerodinamica e azionata da un modesto motorino a due tempi di 98 cc..<br />

Era fatta a monopattino, che in inglese si dice scooter, ma era anche nata la Vespa.<br />

E con essa era rinata la speranza.<br />

Tutta l'Italia andò negli anni '50 in Vespa; e ci andò anche Gregory Peck portando sul sellino<br />

posteriore Audrey Hepburn nelle mitiche "Vacanze Romane".<br />

Ben lanciata commercialmente - si cominciava solo allora a parlar di pubblicità e non più di<br />

réclame, ma il marketing inteso come filosofia della vendita non era ancora sulla bocca di tutti - fu<br />

subito seguita dall'Ape che risolse i problemi del piccolo trasporto, dal fuoribordo Moscone e da<br />

una piccola autovettura chiamata Vespa 400 che non ebbero seguito, e poi dai ciclomotori.<br />

Il resto è storia di questi ultimi decenni.<br />

L'ingegnere abruzzese si chiamava Corradino D'Ascanio, visse a lungo e - se l'Italia non fosse un<br />

paese di ingrati - avrebbe come minimo meritato la nomina a senatore a vita.<br />

Ma questa è una storia parallela a quella di Enzo Ferrari.<br />

La città di Pisa ha dedicato a Corradino D'Ascanio un anonimo piazzale di fronte all’aerostazione:<br />

altra periferia.


18<br />

Enrico Piaggio, ultimo maschio della dinastia genovese, è sepolto dal 1965 nella cappella gentilizia<br />

della villa di Varràmista, a levante di Pontedera, da lui acquistata nel 1958.<br />

Era stata fino al 1876 di proprietà della potente famiglia fiorentina dei Capponi, ed è attri<br />

buita da alcuni a Giuliano da Sangallo e da altri addirittura a Filippo Brunelleschi che<br />

aveva lavorato in zona alla Rocca di Vicopisano.<br />

Enrico Piaggio era nonno materno di Giovanni Alberto Agnelli la cui morte prematura, nel<br />

periodo natalizio del '97, ha commosso tutta l'Italia.<br />

Nella villa di Varràmista, verso la metà del secolo scorso, Gino Capponi - intellettuale e<br />

e patriota, discendente di quel Pier Capponi del quale si parlerà a proposito della battaglia<br />

di Soiana - riceveva via via scrittori, poeti ed altri personaggi della vita culturale della-<br />

renze ancora in bilico tra il granducato lorenese e i fermenti filosabaudi.<br />

Fra questi suoi ospiti ci fu per parecchie settimane anche Alessandro Manzoni che risie<br />

deva a Firenze per risciacquar in Arno il primo testo dei Promessi Sposi.<br />

Prendeva la ferrovia Leopolda e scendeva con tutti i suoi bagagli alla fermata della Rotta :<br />

ì lo attendeva una carrozza dei Capponi.<br />

Il Gruppo Piaggio, dopo le numerose acquisizioni in Italia Gilera e Bianchi, ad esempio) ed<br />

all'Estero (la Puch austriaca, la Motovespa spagnola, la LML indiana etc.) è da considerarsi una<br />

delle poche multinazionali italiane degne di tale nome.<br />

ITINERARIO CLASSICO<br />

***********************<br />

8 PONSACCO E PERIGNANO: CITTÀ APERTE (ANCHE LA DOMENICA) ED UN<br />

EROE <strong>DELLA</strong> MEDICINA


19<br />

****************************************************************************<br />

a segnaletica stradale, dal nostro punto di partenza, indica varie destinazioni: noi<br />

L<br />

seguiremo quella per Volterra.<br />

Sottopassata<br />

la strada ferrata, giungeremo in un quartiere di piccoli condominii e di villini,<br />

molto<br />

piccolo-borghese.<br />

Poco oltre, la zona ospedaliera; poi, l'aperta campagna dominio incontrastrato, d'estate, del<br />

girasole, del sorgo e del mais.<br />

E' pianura piatta per pochi chilometri, fino a che si preannuncia la cittadina di Ponsacco,<br />

che i cartelli comunali indicano come "Città del Mobile e dell'Arredamento".<br />

Ci vuol poco a capirlo, perché la strada (la statale n° 439 detta più semplicemente Volterrana) è<br />

affiancata per centinaia di metri da grandi negozi di ditte mobiliere: parte sono esposizioni di a-<br />

ziende locali produttrici, altri sono entità puramente commerciali.<br />

Infatti Ponsacco è uno dei poli mobilieri più affermati d'Italia, malgrado la sua storia sia a dir poco<br />

recente.<br />

Una storia fatta di falegnami e stipettai che, per nulla affascinati dalle catene di montaggio della<br />

Piaggio, hanno lavorato duro in questi ultimi decenni fino a raggiungere una certa fama, con-<br />

sacrata, ora, anche dalle riviste femminili.<br />

A pochi passi dall'inizio del centro della cittadina, un minigrattacielo ospita da sempre una<br />

campionaria della produzione mobiliera locale che è piuttosto cospicua.<br />

Per dimostrare ciò, si volle addirittura entrare, per un certo verso, nel Guinness dei primati.<br />

A Ponsacco, infatti, fu costruito - nel corso di una delle tante sagre estive che costellano la vita<br />

della Valdera (vedere l'ultimo capitolo della Guida) - il più grande letto del mondo.<br />

Si trattò dell'assemblaggio di 48 reti da letto matrimoniale, un centinaio di materassi, 350<br />

metriquadri di stoffa rigorosamente rossa e blù (i colori dello stemma della cittadina) e due<br />

megacuscini, il tutto a coprire la superficie di 168 metriquadri<br />

di un letto che ha occupato tutta la piazza centrale.<br />

Ponsacco non ha dato i natali a personaggi di quella Storia che solitamente si scrive con la "S"<br />

maiuscola.<br />

Ma un dato è certo: che a Ponsacco visse parte della sua vita operosa di scienziato un precursore di<br />

Louis Pasteur.<br />

Era un medico condotto che si chiamava Eusebio Valli ed era nato a Casciana Alta, attuale<br />

modesta frazione di Lari, il 18 Dicembre 1755.<br />

Era a sua volta figlio di un altro medico condotto, la cui vedova si trasferì a Ponsacco con i figli.


Eusebio Valli realizzò nel 1779, sia pure in maniera del tutto empirica, una sorta di vaccino<br />

20<br />

antirabbico attraverso l'inoculazione della bava dei cani rabbiosi attenuata dal succo gastrico delle<br />

rane. Sperimentò quella specie di siero sia su animali che su uomini ed i risultati gli diedero<br />

ragione.<br />

Ed, animato da uno spirito umanitario non comune a quell'epoca, volle vedere se era possibile<br />

anche combattere e vincere certe malattie tropicali delle quali si parlava nel mondo scientifico ma<br />

che non erano state ancora studiate a fondo.<br />

Partì per l'America Latina - forse con uno di quei brigantini genovesi che portavano oltremare i<br />

primi emigranti italiani - e sbarcò a Cuba non si sa bene in che mese del 1816. Si espose al contagio<br />

della febbre gialla che infestava l’isola caraibica allora colonia spagnola, ma, pochi giorni dopo il<br />

suo esperimento, ne rimase fulminato.<br />

Fu sepolto all'Avana con grandi onori e fu apposta sulla sua tomba una lapide che lo descriveva<br />

come "vìctima de su amor a la Humanidad".<br />

Né cimitero, né tomba né lapide esistono più, inghiottiti dalla febbre edilizia novecentesca.<br />

Una piccola spedizione di ponsacchini, nel '92, andò a Cuba sulle tracce di quel loro compaesano,<br />

misconosciuto benefattore dell'Umanità, per cercare una traslazione della sua salma dall'Avana a<br />

Ponsacco. Ma la spedizione riuscì solo a trovare, sul luogo ove era stato sepolto Eusebio Valli,<br />

una piazza.<br />

La valigetta-farmacia portatile di Eusebio Valli è custodita tuttora presso il Museo annesso<br />

all'Istituto di Storia della Medicina, a Roma.<br />

Casciana Alta gli ha dedicato la sua strada principale, una scuola elementare ed una lapide posta<br />

sulla facciata della sua casa natale.<br />

Lo stemma comunale di Ponsacco è la rappresentazione di un uomo che porta sulla schiena un<br />

grosso sacco.<br />

Di qui tante dicerie: che Ponsacco fosse, ad esempio, il paese dei ladri; ma potrebbe anche darsi<br />

che l'uomo col sacco fosse semplicemente un rigattiere.<br />

Ai primi del nostro secolo, il ponte sulla Càscina - terrificante torrente affluente dell'Era che<br />

attraversa Ponsacco - fu studiato e fotografato per tutti i versi, perché‚ era, per quei tempi,<br />

costruito in un materiale non tanto nuovo, quanto addirittura rivoluzionario: il calcestruzzo.<br />

E, proprio pochi passi prima di questo vetusto ponte più volte rimmodernato, noteremo che la<br />

segnaletica stradale indica che, da qui si possono raggiungere quasi tutti i paesi della Valdera.<br />

Ma - per chi ne avesse voglia - una disgressione di pochi chilometri su di una strada provinciale che<br />

riporta verso Livorno e Pisa, darà la possibilità di verificare uno dei fenomeni commerciali più<br />

significativi e curiosi di questi ultimi tempi.


E' il chilometro di palazzi del mobile che è sorto letteralmente dal nulla nelle vicinanze di Peri-<br />

21<br />

gnano, fino a pochi anni fa anonima frazione del comune di Lari.<br />

E quando si dice palazzi, si intende casamenti grossi come condominii, e per di più tutti zeppi di<br />

camere, di cucine, di bagni completi, di lampadari e lumi, di rustico e di raffinato, di falso antico e<br />

di autentico postmoderno.<br />

Si dice che siano il paradiso di certi architetti ed arredatori fiorentini che non se la rivedono mezza<br />

di poter comprare, facendo solo quattro passi a zigzag, tutto ciò che lo stesso capoluogo di regione<br />

offre solo a rischio di nevrosi da multa.<br />

La domenica, poi, il chilometro d'oro di Perignano assume aspetti da sagra popolare, perché‚ tutte<br />

le giovani coppie (e non solo quelle) delle province di Pisa e Livorno sembrano darvisi appun-<br />

tamento per un giro di compere di cose d'arredamento.<br />

Fra le tante cose belle, infatti, impera anche il banale dell'"aperto anche la domenica; ampio<br />

parcheggio a disposizione della gentile clientela".<br />

All'imbrunire, provenendo dalle buie campagne dei dintorni di Ponsacco, il colpo d'occhio è<br />

formidabile.<br />

Con tutti quei neon, c'è chi è portato a credere di essere arrivato in una specie di Kuwait prima della<br />

cura irakena.<br />

9 CAMUGLIANO: VILLA MEDICEA CON MUCCHE LIMOUSINES<br />

************************************************************<br />

ttraversata Ponsacco e seguita la solita segnaletica per Volterra, ci si accorge che il<br />

A<br />

paesaggio mano a mano diventa mutevole: non più la pianura piatta, ma un accenno di<br />

paesaggio collinare dolce e tranquillante, mentre la strada non è più diritta come un fuso,<br />

ma comincia ad avere un andamento sbisciante.<br />

Prima, s'incontrano sulla destra due cappelline votive (di quelle che nelle Apuane si<br />

chiamano maestà, nella Montagna Pistoiese verginine e nel Genovesato madonnette)


leggermente sopraelevate rispetto al piano stradale, e poi si fa un incontro spettacolare.<br />

E', circondata da un ampio parco recintato, la Villa Medicea di Camugliano.<br />

22<br />

Iniziata da Alessandro dei Medici nel 1533 ed ultimata sotto Cosimo I, ha un aspetto di fortezza, o<br />

meglio di residenza predisposta ad eventuali resistenze ad oltranza.<br />

Infatti era un avamposto mediceo nella Valdera, strappata alla Repubblica Pisana dopo decenni di<br />

assedi, conquiste, ribellioni, battaglie e sangue.<br />

Anche prima, durante il Medioevo, l'intera valle era stata territorio di frontiera, contrastato fra la<br />

Repubblica marinara, i vescovi di Lucca e quelli di Volterra.<br />

La villa ha quattro torri angolari munite di numerose feritoie per consentire il tiro d'infilata degli<br />

archibugieri e divenute, col tempo, elementi caratteristici di una abitazione veramente residenziale.<br />

Questo avvenne nel '600, quando la villa fu acquistata dai marchesi Niccolini, feudatari dei Medici;<br />

da allora fino alla fine del feudalesimo (1832) i Niccolini governarono su Ponsacco e dintorni. Una<br />

lapide nella casa comunale lo ricorda.<br />

La villa di Camugliano è tuttora abitata dai discendenti di quella antica famiglia: è al centro di una<br />

vasta tenuta agricola dove vengono allevate bovine di razza limousine che tutti possono osservare<br />

mentre ruminano tranquille, stravaccate sui prati della grande proprietà.<br />

Spesso vincono premi e coppe in occasione di esposizioni e concorsi.<br />

Nell'ampio parco antistante la villa, troneggia una statua raffigurante Ercole che uccide l'Idra.<br />

L'accesso alla villa è vietato perché è area faunistica e le campagne circostanti sono una delle tante<br />

oasi popolate di uccelli e piccoli mammiferi, dal momento che sono boscose quel tanto che basta.<br />

10 CAPANNOLI : LA VILLA DEL COGNATO DI NAPOLEONE, UNO SCULTORE<br />

CIECO, UNA FABBRICA DI ROSARI E, FORSE, NICCOLÒ PAGANINI<br />

********************************************************************************<br />

*


23<br />

a statale Volterrana prosegue per pochi chilometri e si addentra nel paese di Capànnoli:<br />

L<br />

che non è da confondersi col quasi omonimo Capànnori, che è in Lucchesia e che è già<br />

stato citato come grande produttore di carta igienica.<br />

(Meglio<br />

sarebbe stato se, anche nella segnaletica stradale ufficiale, il comune o l'ANAS<br />

avessero<br />

usato la dizione completa: Capànnoli in Valdera.)<br />

Questo paese, che è capoluogo dell'omonimo comune, è posto su un dolce declivio:<br />

• a destra di chi procede verso Volterra, è sovrastato dal colle di Santo Pietro Belvedere,<br />

ameno paesino che è una terrazza panoramica sulla Valdera da una parte, e sulla valle della<br />

Càscina dall'altra;<br />

• a sinistra, degrada verso l'Era, che scorre fra canneti, pioppeti e grandi tenute agricole.<br />

Il paese di Capànnoli ha andamento lineare (è sgranato, in poche parole, lungo la statale) ed il suo<br />

inizio è dominato da uno stabilimento ove si producono cucine integrate (quelle che, ai primordi,<br />

si chiamavano all'americana) molto famose perché molto eleganti.<br />

Uno dei titolari dell'azienda è addirittura fra i massimi esponenti dell'Assoarredo, l'associazione<br />

degli industriali del arredamento che organizza ogni anno, alla Fiera di Milano, quel mostro di<br />

manifestazione specializzata - chiusa cioè al pubblico generico - che è il Salone del Mobile, forse<br />

primo nel mondo nel suo genere per volume di affari.<br />

A Capànnoli, data l'amenità del luogo, ci sono diverse ville fatte costruire durante i secoli scorsi da<br />

nobili di varia estrazione: una di queste dimore - oggi villa comunale - era di proprietà della<br />

famiglia principesca lucchese dei Baciocchi.<br />

Famiglia resasi famosa nella storia perché ad uno dei suoi discendenti andò sposa Elisa Bonaparte,<br />

la sorella di Napoleone I , che, nel suo breve regno su Lucca, Massa, Carrara e Piombino, si rese<br />

celebre per la sua intraprendenza.<br />

Una principessa-manager, si direbbe ora: ed in quei territori ci sono tuttora parecchi siti a lei<br />

dedicati.<br />

A Lucca è celebre la Porta Elisa, mentre a Carrara esiste tuttora una Via Elisa che nessuno si Š<br />

mai sognato di cancellare dalla toponomastica cittadina: né i codini della Restaurazione n‚ i<br />

mazziniani che li seguirono nell'800.<br />

Elisa Bonaparte ed i Baciocchi ospitarono a Lucca - e forse anche a Capànnoli - Niccolò<br />

Paganini, che era uno dei personaggi alla moda dell'epoca.<br />

Passato il turbine degli anni napoleonici ed entrati in quelli della Restaurazione, il<br />

Genovese fu - ironia della storia - a corte della cognata di Elisa, Maria Luigia d'Asburgo<br />

duchessa di Parma e vedova di Napoleone I, che ne fece il fondatore del locale<br />

conservatorio e delle fortune musicali di quella città.


24<br />

Niccolò Paganini, dopo aver dilapidato fortune immense, morì a Nizza - allora ancora<br />

piemontese - titolare di un negozio di strumenti musicali.<br />

Volle essere sepolto a Parma ed il suo volere ebbe come esecutore l'unico amico genovese<br />

rimastogli: era un avvocato che si chiamava Germi, forse un antenato del regista di "In<br />

nome della Legge" e di "Divorzio all'italiana".<br />

A Capànnoli in Valdera, in una cappella attigua alla chiesa dell'Annunziata sono notevoli due<br />

sculture del Cieco di Gambassi, scultore barocco che lasciò molte tracce di sé in tutta la Toscana e,<br />

come vedremo, anche oltre.<br />

Ma chi era realmente costui ?<br />

Si chiamava Giovanni Gonnelli e nacque a Gambassi, paese della provincia di Firenze non<br />

lontano da Certaldo, nel 1603. C'è mistero intorno alla data della sua morte: secondo<br />

alcuni morì al suo paese nel 1642, mentre, secondo uno storico romano, morì a Roma nel<br />

1656.<br />

Era stato fin da bimbo un abile modellatore in creta e si dedicò per tutta la vita alla<br />

scultura in terracotta, arte che aveva imparato a Firenze dagli ultimi epìgoni della bottega<br />

deI Della Robbia.<br />

Rimase completamente cieco all'età di vent'anni, ma la minorazione non gli fu fatale. I suoi<br />

polpastrelli vedevano ciò che gli occhi spenti neanche scorgevano.<br />

Fu un buon ritrattista oltre che autore di decine di statue di pura devozione e di commit-<br />

tenza ecclesiastica. Lavorò a Firenze ed in tutto il contado fiorentino, e la sua fama arrivò<br />

fino a Roma, ove fu chiamato dalla corte dei Papi per eseguire il ritratto di Urbano VIII.<br />

Nel museo del Prado, a Madrid, un dipinto del Ribèra è intitolato "Ritratto del Cieco di<br />

Gambassi" e ciò dimostra che la celebrità del modellatore toscano, nel '600, doveva<br />

essere universale. Poi, l'oblio.<br />

A Capànnoli esisteva, fino a qualche anno fa, una delle più note ditte italiane produttrici di corone<br />

da rosario, che affidava a domicilio la lavorazione di quegli oggetti di devozione.<br />

Era una fonte di danaro contante per tante donne del paese, ed, ancora oggi, molti corredi delle<br />

vecchie capannolesi sono frutto di quel lavoretto che le impegnava ore ed ore dopo il lavoro dei<br />

campi. Quelle donne si chiamavano le Coronaie, "da non confondersi con le coronarie, roba da<br />

spedale".<br />

Sempre a Capànnoli si svolge in settembre una delle più famose fiere degli uccelli, oggi - per una<br />

moda ricorrente un po' dappertutto - contestate da tutti gli animalisti d'Italia.<br />

Fino a qualche anno fa, però, queste manifestazioni erano amate da tutti coloro che vogliono bene a<br />

quegli animaletti del Creato ai quali parlò San Francesco.


25<br />

Salendo sul piccolo colle di Santo Pietro Belvedere e di qui discendendo per una strada piuttosto<br />

ripida, si arriva ai paesini di Soiana e Soianella, che sovrastano la valletta della Càscina e la zona<br />

pianeggiante di Cèvoli, che è già in comune di Lari.<br />

C'è da fare una scoperta interessante, se non addirittura anomala.<br />

E' la vecchia Villa San Marco di Soiana, località citata più volte come sede di una<br />

abbazia e, poi, di una tenuta con fattorie di proprietà della curia di San Miniato, dal<br />

geografo carrarese Emanuele Repetti.<br />

Durante la Restaurazione egli scrisse una ponderosa storia geografica della Toscana per<br />

conto dei Lorena, ed a quella pubblicazione bisogna far riferimento ancor oggi per la<br />

precisione e la puntualità dei dati in essa contenuti.<br />

Divenuta privata e ristrutturata secondo i gusti imperanti nell'Ottocento, Villa San Marco<br />

ebbe diverse vicissitudini proprietarie: fu addirittura, negli anni cinquanta di questo secolo,<br />

data in comodato ad una comunità di giovani ebrei.<br />

La trasformarono in una scuola agraria, prima di partire tutti quanti a dissodare il Negheb,<br />

badile in una mano e Thompson nell'altra.<br />

Una lapide bilingue ricorda l'inconsueto episodio.<br />

Poi tutto cadde nel degrado più assoluto, fino a che non si insediò nella villa una famiglia<br />

di vignaioli veneti che trattennero per sé solo i poderi e le vigne, vendendo l'edificio<br />

fatiscente ad un industriale dell'elettromeccanica, che sta trasformando l'antica villa in un<br />

albergo.<br />

Un restauro complesso e difficile, perché, durante i lavori, sono state riscoperte le strutture<br />

dell'antica abbazia, con conseguente intervento riparatorio di sovrintendenze varie.<br />

11 PECCIOLI: IL VINO, L'OLIO, BENOZZO GOZZOLI, I DINOSAURI<br />

ED UNA GITA FINO ALLA GERUSALEMME CELESTE<br />

****************************************************************


26<br />

al poggio di Capànnoli in poi, il paesaggio si trasforma nuovamente e diventa collinare.<br />

D<br />

Al di<br />

qua ed al di là del letto dell'Era, sorgono montagnole e colline e, mentre nella<br />

piana<br />

- che fu, nelle ere geologiche ed anche dopo, il Lago di Pèccioli - continuano le<br />

coltivazioni<br />

estensive di mais, frumento, girasole, soia, sorgo, tabacco e<br />

barbabietola,<br />

sulle colline comincia il trionfo della vite e dell'ulivo.<br />

Il terreno è tufaceo e permette le due coltivazioni più classicamente mediterranee.<br />

Tutta la vasta area compresa - oltre Capànnoli - tra Terricciola e i confini con la<br />

provincia di Livorno a ponente, e tra Pèccioli ed i confini con la provincia di Firenze a levante,<br />

compone il grande comprensorio delle Colline Pisane.<br />

Sono queste terre da vino e da olio e le loro produzioni sono piuttosto significanti nell'economia<br />

della provincia di Pisa in particolare, e della Regione Toscana in generale.<br />

Meritano un capitolo a parte, perché da qui sono partite quelle generazioni di vinai e di oliai che<br />

hanno insegnato a buona parte d'Italia a bere il vino ed a condire con l'olio toscani.<br />

Un po' come gli osti della Val di Nièvole - ora in terza e forse quarta generazione - che ebbero il<br />

predominio delle trattorie milanesi, prima dell'invasione delle pizzerie dei meridionali e dei locali<br />

un po' misteriosi dei cinesi.<br />

Lasciata Capànnoli, la strada fila diritta verso il paese di Selvatelle e, poi, verso il bivio della Rosa<br />

(grossi insediamenti commerciali).<br />

Quivi giunti, dopo aver svoltato a sinistra, una strada provinciale diritta come un fuso ci porta ai<br />

brevi tornanti che conducono nell'abitato di Pèccioli.<br />

Che questo bel paese fosse stato un avamposto fortificato fiorentino, con guarnigione fissa a spiare<br />

le mosse di gente sempre in subbuglio come i volterrani, i senesi ed i pisani, lo si nota subito dai<br />

resti - in certi punti ancora ben conservati - delle mura e dei bastioni che circondano il suo cuore.<br />

E che fosse stato anche un paese importante lo dimostrano gli stemmi - in pietra serena, alcuni; altri<br />

in maiolica policroma alla maniera dei Della Robbia - dei capitani del popolo fiorentini che sono<br />

ancora cementati sulla facciata del palazzo pretorio.<br />

Altri stemmi sono tornati alla luce recentemente, proprio nel Palazzo Pretorio di cui sopra,<br />

affrescati in una atrio ora aperto al pubblico e restaurato sapientemente.<br />

C'è di che sbizzarrirsi a scoprire, fra i casati di quei personaggi a metà strada tra il soldato di<br />

ventura ed il governatore di un paese di frontiera, quelli di nobili famiglie fiorentine ultranote a tutti<br />

perché‚ reminiscenze dantesche o di vecchi romanzi di cappa e spada.<br />

Pèccioli ha una bella pieve rudemente romanica intitolata a San Verano che si affaccia sulla<br />

vallata e con un interno rimaneggiato nei secoli.


27<br />

Vi sono, nelle navate, notevoli opere pittoriche di scuola manieristica fiorentina e la rinascimentale<br />

cappella dell'Assunta, con soffitto a cassettoni e rosoni scolpiti.<br />

Il campanile della pieve è tutto un programma: costruito dall'Ing. Bellincioni, pontederese,<br />

nel 1885 su una precedente struttura romanica, ha più l'aspetto del minareto maomettano<br />

che non della torre campanaria di una chiesa cattolica.<br />

E dal momento che, il giorno della sua solenne inaugurazione, apparve in una tinta<br />

grigiastra ed opaca che poco aveva a che vedere con le pietre verrucane ambrate della<br />

struttura della pieve, a qualche bello spirito venne detto che il campanile dell'Ing.<br />

Bellincioni era ricoperto di pelliccia.<br />

Animali da pelliccia in Valdera non ce ne sono, se non si fa eccezione per qualche faina<br />

ruba-galline. Ma il detto è rimasto e l'amenità pure.<br />

Molti dicono che il campanile di Pèccioli, alto e ferrigno com'è, attiri fulmini su tutta la<br />

vallata durante i temporali di fine-estate: ma sono dicerie.<br />

Il comune di Pèccioli ha una superficie molto vasta ed è popolato di frazioni e frazioncine che<br />

meritano un diversivo:<br />

• Fabbrica, la più popolata, con pieve che ospita un dipinto di Lippo Lippi e molte terrecotte<br />

robbiane. La strada comunale che vi conduce è spesso affiancata da cipressi: il colpo d'occhio è<br />

formidabile. A Fabbrica ha sede commerciale una delle più affermate aziende italiane per la<br />

vendita di materiale ottico e fotografico.<br />

• Légoli, ove - in una cappellina appena restaurata e blindata per ovvii motivi - nientemeno che<br />

Benozzo Gozzoli lasciò traccia di sé con una serie di affreschi rappresntanti una drammatica<br />

Deposizione. Si era rifugiato in quelle campagne dall'aria tersa, scappato da Pisa dove<br />

infuriava, mentre stava affrescando il Camposanto Vecchio, una pestilenza.Alcuni storici<br />

affermano, invece, che Benozzo Gozzoli fosse fuggito da Pisa perché fiorentino, durante la<br />

sommossa seguita alla caduta dei Medici del 1495.<br />

Grande affrescatore, allievo del Beato Angelico e suo aiutante a Firenze, Roma ed<br />

Orvieto, ha rischiato di essere oggi solo oggetto di studi di vecchi parrucconi. Ma qualche<br />

anno fa, proprio a Firenze, nel palazzo Medici-Riccardi, fa è stata restaurata in modo<br />

mirabile la cappella ove Benozzo dipinse l’affresco meglio conosciuto come Cavalcata dei<br />

Magi, ove appare un giovanetto a cavallo, che la tradizione vuole sia Lorenzo il Magnifico,<br />

e, fra i vari dignitari, anche Benozzo stesso.<br />

Qualche particolare della cavalcata di palazzo Medici-Riccardi l'abbiamo avuta sott'occhio<br />

un po' tutti quanti, perché, fino a qualche anno fa, appariva nelle cartoline d'auguri di<br />

Natale.


28<br />

Ma non solo a Firenze Benozzo lasciò una Cavalcata di Magi: anche a Volterra - non<br />

lontano da Pèccioli: una trentina di chilometri - in una cappellina laterale del Duomo ve<br />

n'è una. Minuscola quanto affascinante, fa da sfondo a delle statue in terracotta policroma<br />

rappresentanti la Natività ed opera di uno scultore volterrano del '500.<br />

Ma anche a San Gimignano, a Castelfiorentino ed a Certaldo, tutte località poco lontane<br />

da qui, affreschi del buon Benozzo ornano tuttora cappelle e piccoli musei locali.<br />

A Castelfiorentino, addirittura, nelle sale superiodi della biblioteca comunale, ci sono in<br />

esposizione termporanea - in attesa di una sistemazione definitva in un museo ancora da<br />

progettare - degli affreschi di Benozzo che appartevano a due cappelle site ai lati di una<br />

strada ora trafficatissima e percorsa giornalmente da colonne di autotreni.<br />

Per salvare il salvabile, gli affreschi furono staccati e sistemati provvisoriamente nelle sale<br />

della biblioteca.<br />

Un itinerario d'alta cultura facilmente realizzabile - anche con un fai-da-te - dal turista<br />

intelligente.<br />

• Ghizzano, ove, ben oltre il centro abitato, si presenta di sorpresa la Villa Monti, che, come<br />

quella di Camugliano, era più una fortezza che un luogo di villeggiatura.<br />

Con un po' di buona volontà, seguendo strade che, oltre Légoli, si snodano fra campagne ben curate,<br />

non è impossibile raggiungere due luoghi ormai già facenti parte della provincia di Firenze. Sono<br />

ambedue in comune di Montaione, avamposto della Valdelsa, ed ambedue abbastanza celebri per<br />

motivi del tutto opposti fra di loro:<br />

• San Vivaldo, unico Sacro Monte dell'Italia Centrale, perché i Sacri Monti sono in genere nella<br />

zona prealpina, ed il più famoso è senz'altro quello di Varallo Sesia. Sono una serie di cappelle<br />

con la ricostruzione ideale della Gerusalemme che vide gli ultimi giorni della vita terrena del<br />

Nazareno.<br />

E al Sacro Monte di Varallo, retto da francescani, si ispirarono alcuni loro confratelli fiorentini<br />

del '500 che a San Vivaldo avevano un romitorio.San Vivaldo è, quindi, una summa di struggente<br />

misticismo, in un ambiente severamente francescano circondato da una foresta di lecci e di castagni<br />

un tempo inestricabile. Era stata asilo di eremiti e di santi seguaci del Serafico, come fu appunto<br />

quel Vivaldo da San Gimignano che ha dato il nome all'allora irraggiungibile località. Le<br />

diciassette cappelle rimaste - delle trentaquattro originali - contengono ognuna un altorilievo con<br />

figure spesso a grandezza naturale e con raffigurazioni dei vari momenti evangelici della passione<br />

del Cristo. Sono state restaurate da pochi anni, dopo secoli di abbandono, di incuria e di<br />

distruzioni.


29<br />

Gli altorilievi - tutti in terracotta policroma invetriata - sono cinque-seicenteschi ed opere di ignoti<br />

epìgoni della scuola dei Della Robbia: alcuni sono rozzamente ingenui, altri di alto e raffinato<br />

realismo.<br />

Nella bella pieve, restaurata anch'essa dopo anni di abbandono, nella prima cappella laterale destra -<br />

quella che accoglie i resti venerati di San Vivaldo - è da ammirare estasiati un altare in maiolica,<br />

opera anch'esso di uno della dinastia dei Della Robbia e di indubbia efficacia cromatica.<br />

Ma c'è anche<br />

• Castelfalfi, borgo dominato da castello padronale al centro di una tenuta dalle proporzioni<br />

gigantesche. Abbandonato dagli abitanti una cinquantina d'anni fa all'epoca della fuga dalle<br />

campagne, è da tempo in fase di ristrutturazione ad uso di multiproprietà per vacanzieri nordici.<br />

E' dotato di piscina, club-house, ristorante con luci suffuse e manicaretti neanche tanto a buon<br />

mercato e, soprattutto, di un campo da golf da diciotto buche frequentato da chi può permettersele<br />

tutte diciotto in una volta.<br />

Ed, usciti dal cuore di Pèccioli, su una strada in discesa e che passa davanti ad un bel convento di<br />

cappuccini, un'altra delle cose curiose: il Parco Preistorico.<br />

E' dovuto all'iniziativa di un privato che ha voluto ricostruire la vita dei grandi rettili (dinosauri,<br />

tirannosauri, etc.) che avrebbero potuto popolare la vallata se non fosse stata mare.<br />

E lo ha fatto molti anni prima della dinosauromania causata da Jurassic Park.<br />

Che la Valdera fosse mare non ci sono dubbi: ma lo erano anche il Valdarno Inferiore e<br />

quello Superiore, prima o dopo Firenze per chi viaggia da Pontedera verso Levante.<br />

Poco prima di Lastra a Signa, ad esempio, c’è un piccolo abitato che sia chiama La Lisca:<br />

lì confluisce in Arno l’Ombrone Pistoiese, terrore degli autunni valdarnesi.<br />

Lì, non si quando, fu trovato un osso di balena che fu murato nella facciata di una casa.<br />

Poiché si credeva che le balene fossero pesci, l’osso fu preso per una lisca - o resca di<br />

balena: di qui il curioso topònimo.<br />

Nel 1989, poi, una ventina di chilometri più a ponente delle Signe - a Ponte a Elsa dove<br />

finisce la provincia di Firenze ed inizia quella di Pisa - nel corso di uno scasso per la<br />

avvenne un fatto strano.<br />

Un appassionato di paleontologia, il fiorentino Malpassi, scoprì un grosso resto fossile.<br />

Era anch’esso di balena, e ci fu tutto un accorrere di paleontologi dilettanti e di<br />

cattedratici dell’Università di Firenze.<br />

Dopo una primavera ed un’estate di scavi, emersero dalla massa di argilla costole,<br />

scapole,vertebre toraciche e cervicali e branchie mandibolari di un cetaceo che aveva<br />

abitato quella parte del Valdarno Inferiore.


30<br />

E, con quei resti di balena, furono trovati - vicino al suo cranio - anche denti ed ossa fossili<br />

di squalo toro e di Charcadaron Carcarias, un grande e ferocissimo squalo bianco. Se ne<br />

dedusse che i due pescecani avevano attaccato con tanto accanimento il povero cetaceo<br />

naufragato nella melma, da rimetterci qualche dente.<br />

Ancora più a valle, nel territorio di Montòpoli - comune del Valdarno che confina con<br />

quello di Palaia, c’è una zona che gli scienziati hanno definito tout-court unità faunistica:<br />

una zona di piccole colline dove viveva un elefante (l’Amancus Averniensis), antenati dei<br />

cavalli, grandi e feroci felini e persino iene.<br />

Al palato di uno di quegli elefanti i paleontologi trovarono attaccata un’ostrica.<br />

Pare che, terminata l’èra delle boscaglie, anche lì fosse penetrato il mare; lo scheletro<br />

dell’elefante aveva fatto da scoglio, e la povera ostrica vi aveva trovato rifugio.<br />

Ma chi gratta appena un po’ la terra dei poggi del Valdarno Inferiore e della Valdera<br />

rischia di trovare quasi sempre delle conchiglie fossili: magari solo di arselle e di vongole,<br />

ma rigorosamente fossili.<br />

Qualche tempo fa anche nelle immediate vicinze di Pèccioli vi è stato un ritrovamento<br />

archeologico: infatti, nel corso dello scavo di un pozzo largo 4 metri e profondo 100, furono trovati<br />

disposti quasi ritualmente dei cocci che gli archeologi definirono subito residui di offerte votive e<br />

rovine di un tempio.<br />

Questo tempio, rimasto ignorato per più di due millenni, forse era andato distrutto intorno alla metà<br />

del IV secolo a.C. nella parte settentronale della collina di Piccioli, che era interessata movimenti<br />

franosi. Frane che seppellirono il tempio e tutte le cose che gli appartenevano; certo è che l’edificio<br />

era di grandi dimensioni e molto frequentato: non si sa, invece, a qualche divinità fosse dedicato.<br />

Quasi sicuramente era finemente decorato con un frontone in terracotta ed era particolarmente<br />

ricco di arredi, tant’è vero che sono stati ritrovati piattelli, arredi bronzei e piatti attici fra i quali<br />

spicca una grande coppa, databile al 450 a.C., decorata da una scena di offerta su di un’ara nel<br />

tonod interno, ed una scena di danza tutt’intorno. La coppa, e qui si aggiunge mistero a mistero,<br />

reca una specie di firma: Makron.<br />

La tradizione vuole che Makron fosse il soprannome del più celebre pittore ateniese all’epoca delle<br />

guerre persiane.<br />

Oltre Pèccioli si stagliano, sul crinale di una catena di colline desertiche, le torri ed i campanili di<br />

Volterra: di là gli Etruschi ci osservano e ci sorridono nel loro sonno di alabastro.


11 I VINI DELLE COLLINE PISANE: SAN TORPE' O SAINT-TROPEZ ?<br />

*****************************************************************<br />

31<br />

empre partendo da Pèccioli, ma discendendo dalla strada che si diparte dalla Piazza del<br />

S<br />

Carmine (chiesa romanica con rifacimenti ottocenteschi, ma con bella terracotta invetriata<br />

di scuola rob-biana) ci si avvia verso la valle del Roglio, altro torrentaccio da tener<br />

d'occhio in autunno.<br />

Fa bella mostra di sé, nella segnaletica stradale, una targa gialla che indica la distanza<br />

intercorrente tra Pèccioli ed Ellhofen, allegro paesotto vicino a Stoccarda con il quale<br />

Pèccioli è gemellato.


32<br />

I chilometri, dice sempre la targa, sono 951 - e non sono pochi - ma da colà partono annualmente<br />

comitive di tedesconi che, dimenticata la birra, sostituiscono, una volta arrivati qui, il culto di<br />

Gambrino con quello di Bacco.<br />

Poco oltre, iniziano le grandi tenute di proprietà della Fondazione Girolamo Gaslini: sono un<br />

insieme di ben 1480 ettari, a cavaliere tra Pèccioli e Montefòscoli, che è una frazione del finìtimo<br />

comune di Palaia.<br />

70 ettari sono coltivati a vigneto, più di 120 ad oliveto, 900 sono seminativi ed il resto è ancora a<br />

bosco e rifugio di tanti uccelli e piccoli mammiferi.<br />

Le tenute comprendono anche una cappella-santuario detta della Madonna delle Serre, luogo di<br />

pellegrinaggi a fine maggio.<br />

Vi si produce, seguendo le procedure tradizionali abbinate alle più moderne tecnologie e vinifi-<br />

cando in una cantina dalla capacità di 5.000 ettolitri, il meglio del comprensorio delle Colline<br />

Pisane, e cioè:<br />

• il Chianti d.o.c.g.: vino luminoso,di colore rosso rubino tendente al granato, armonico, asciutto<br />

e ricco di fragrante bouquet. E' l'ideale per i piatti di arrosti e di cacciagione che da queste parti<br />

non mancano davvero. Si serve a temperatura ambiente, come<br />

• il Chianti delle Colline Pisane d.o.c.: brillante, dal colore rosso rubino, di profumo e sapore<br />

armonico. Anch'esso è indicato come abbinamento ad arrosti di carni rosse o di selvaggina;<br />

• il Bianco Pisano di San Torpé d.o.c., di colore paglierino e dal gusto secco ed armonico che si<br />

abbina felicemente ad antipasti ed a piatti di pesce. E' uno dei migliori bianchi d'Italia, si serve<br />

fresco, e meriterebbe una migliore promozione da parte degli organismi pubblici locali sorretti<br />

dal contribuente;<br />

• il Vinsanto Bianco Pisano di San Torpé d.o.c, gran vino da dessert o da meditazione, giallo<br />

ambrato, profumato, di sapore pieno e vellutato. E' prodotto facendo appassire su cannicci i<br />

migliori grappoli delle uve bianche: vinificato, il suo mosto invecchia nei caratelli delle<br />

vinsantaie delle tenute.<br />

I vini delle Colline Pisane non avevano una storia precisa fino a qualche decennio fa: solo del<br />

Chianti (d.o.c.g. e d.o.c.) esisteva un disciplinare puntiglioso fin dai tempi dei Medici, perfezionato<br />

da Bettino Ricasoli nel secolo scorso.<br />

Ma il bianco era trattato e commercializzato come tanti altri della Penisola fino a che, nel 1963 -<br />

anno dell'entrata in vigore della legge sulle denominazioni d'origine - si addivenne ad un<br />

disciplinare.<br />

E fu anche trovato un nome che a qualcuno sembrerà un po' esotico: San Torpé, che altri non è che<br />

quel San Torpete Martire un tempo molto venerato nel Pisano.


33<br />

A Pisa, a due passi dal Bagno di Nerone, a Porta a Lucca - cento metri o poco più dalla Piazza dei<br />

Miracoli, alle spalle dell'abside del duomo - esiste una chiesa dedicata a questo santo, che nel Midi<br />

della Francia ricompare sotto il nome di Saint-Tropez.<br />

Di qui il toponimo della località della Costa Azzurra resa celebre negli anni settanta dalle bizzarrie<br />

della mondanità internazionale e da una Brigitte Bardot che non pensava ancora di divenire<br />

un'animalista.<br />

Di quando in quando Pisa e Saint-Tropez si ritrovano con cerimonie religiose e folkloristiche in<br />

programmi-scambio dedicati al loro santo martire.<br />

E fin qui il vino: ma, nelle tenute della Fondazione Gaslini, c’è anche una bella produzione di quell’<br />

• Olio Extravergine di Oliva, che ha ottenuto da poco la IGP (indicazione Geografica Protetta)<br />

come Toscano, e che viene prodotto coi frutti degli olivi, colti sulla pianta e spremuti a freddo<br />

nelle ventiquattr’ore successive alla raccolta.<br />

ELOGIO DELL’OLIO<br />

********************<br />

L’albero dell’olivo vive nelle regioni temperate ed, in condizioni climatiche favorevoli,<br />

diviene una pianta di incredibile longevità; quando è anziana, infatti, può raggiungere<br />

anche alcune decine di metri d’altezza e molti di circonferenza.<br />

Inizia a dare i frutti (le olive) dopo una mezza dozzina d’anni dal suo impianto, ma la sua<br />

produzione giunge al massimo intorno ai trenta-quarant’anni di vita. Richiede, però, una<br />

cura continua a base di concimazioni, trattamenti antiparassitari e potature. Queste ultime<br />

hanno, poi, un effetto benefico sul proprietario delle piante, perché i rami potati possono<br />

essere esitati durante le settimana antecedente la Domenica delle Palme, per essere<br />

venduti agli ingressi delle chiese per la loro benedizione: è una antica tradizione cattolica<br />

che ha radici nel Vangelo.<br />

La raccolta delle olive si chiamava brucatura ed aveva inizio a fine novembre per quelle<br />

maturate precocemente (le morinelle, le leccine, etc. a seconda della cultivar); comunque<br />

mai più tardi del 13 Dicembre, giorno di Santa Lucia. Un proverbio di origine incerta<br />

diceva: “Per Santa Lucia lascia la ghianda e piglia l’ulìa”.<br />

Fino alla seconda guerra mondiale, la frangitura delle olive veniva fatta nei frantoi a<br />

macine annessi alle case coloniche od in quelli pubblici, ma la lavorazione era identica a<br />

quella dei tempi di Omero e di Gesù.<br />

Le olive venivano schiacciate dalle macine o mole cilindriche di pietra e ridotte in una<br />

pasta che veniva a sua volta ingabbiata con la pala in ceste di tessuto vegetale od animale


34<br />

(canapa, crine, giunco) per poi essere poste sotto lo strettoio (o strizzatoio) per sfruttarne<br />

per schiacciamento ogni goccia dell’olio prodotto dalla frangitura.<br />

Le mole venivano mosse da un complicato sistema di viti senza fine (di legno, non essendo<br />

ancora conosciuta l’utilizzazione del ferro e dell’acciaio neanche nei macchinari semplici)<br />

che veniva a sua volta messo in moto prima dagli schiavi, poi da animali pazienti quanto<br />

basta (asini o muli).<br />

Poi, scoperta la forza motrice, le mole venivano azionate prima con l’energia idraulica ed<br />

altrettanto complicati sistemi di gore, bottacci e ruote a pale; infine, con motori a vapore e,<br />

da ultimo, elettrici.<br />

Nel Carrarese, oltre il paese di cavatori di Torano, esistono tuttora i resti di una cava ove<br />

venivano estratti i blocchi destinati ad essere ridotti, a colpi di scalpello, in macine o mole<br />

cilindriche per frantoi e mulini. La pietra, che è stata scavata fino ad un secolo e mezzo fa,<br />

non è marmo perché la cava delle macine è ai margini di quelli che i geometri chiamano<br />

agri marmiferi: è, invece, macigno, quella pietra grigiastra e dura per selciati, lontana<br />

parente della pietra serena con la quale fu costruita Firenze.<br />

Con la lunga macinatura delle olive e della pasta ricavatane, si otteneva così l’olio vergine<br />

(o di prima spremitura a freddo), mentre la pasta rimasta, miscelata ad acqua tiepida,<br />

veniva rivaccinata e riattizzata fino ad ottenere l’olio di sansa, in genere di qualità a dir<br />

poco scadente ma di uso quotidiano fra tutti i ceti sociali, sia per friggere che per condire.<br />

Poi, vennero dall’Europa del Nord gli oli di semi e l’olio di oliva (vergine o di sansa che<br />

fosse) non piacque più. Troppo mediterraneo, troppo meridionale.<br />

Quel che rimaneva dopo l’olio di sansa si chiamava morchia: era un impasto grasso, nero e<br />

piuttosto puzzolente che serviva da lubrificante per i mozzi delle ruote dei carri e dei<br />

barrocci che, in campagna, abbondavano.<br />

Fra i sottoprodotti della frangitura delle olive non si deve dimenticare<br />

• l’olio per illuminazione (o lampante) per quelle fumiganti e non certo profumate lampade che<br />

sono state in uso nelle campagne e nelle periferie delle città toscane fino all’arrivo della<br />

corrente elettrica, e<br />

• la carbonella di sansa, ottenuta facendo carbonizzare i noccioli delle olive; questa carbonella<br />

veniva venduta nei negozi neri dei carbonai e veniva usata per farne la brace degli scaldini<br />

o caldani, unici mezzi di riscaldamento per le mani piene di geloni delle nostre nonne,<br />

Le olive, insomma, erano come il maiale e Verdi: non si butta via niente.


35<br />

Tornando all’olio vergine, scorreva dallo strizzatoio in un gorello per finire in un recipiente<br />

di legno chiamato tinella od ad una conca di terracotta, insieme all’acqua di vegetazione<br />

sulla quale galleggiava.<br />

Veniva quindi raccolto per sfioramento col piatto (o nappo) ed introdotto in barili di legno;<br />

successivamente veniva messo a chiarire per un giorno in altre conche di terracotta pulite<br />

ed asciutte.<br />

Il giorno dopo, calate sul fondo tutte le impurità, l’olio prodotto veniva messo<br />

definitivamente negli orci; i locali dove maturava fino al consumo si chiamavano orciaie ed<br />

erano quello che, per il vino, sono le cantine.<br />

Il conte Girolamo Gaslini - cui è intitolata la fondazione già citata - fu famoso in Italia ed<br />

all'Estero, negli anni trenta di questo secolo, perché finanziò a Genova la realizzazione dell'allora<br />

unico ospedale pediatrico italiano.<br />

Era un lombardo che aveva creato dal nulla un impero agroalimentare e volle dedicare alla memoria<br />

della figlia Giannina, morta adolescente, qualcosa che restasse nei secoli.<br />

L'Istituto Giannina Gaslini occupa tuttora una intera collina a Quarto dei Mille, nel Levante di<br />

Genova e nelle vicinanze di quella baietta ove stettero alla fonda, nella notte tra il 4 ed il 5 Maggio<br />

1860, il Piemonte ed il Lombardo, due piroscafi della Compagnia Marittima Rubattino.<br />

Attendevano l'imbarco dei volontari di tutta Italia che avevano deciso di seguire Giuseppe<br />

Garibaldi nella sua spedizione volta alla annessione al neonato Regno d'Italia della parte<br />

meridionale della Penisola ancora sotto il Regno delle Due Sicilie.<br />

L'ospedale fu inaugurato nel 1938 da Vittorio Emanuele III di Savoia ed è amministrato, con<br />

l'acume che contraddistingue certe antiche istituzioni umanitarie genovesi, dalla Curia di Genova.<br />

13 PALAIA: ANDREA PISANO, IL MUSEO CONTADINO E I TARTUFI<br />

*******************************************************************<br />

roseguendo lungo la valle - se così si può chiamare - del Roglio, ci si inoltra nel territorio<br />

P<br />

di Palaia che confina, a Nord, con la zona di Montòpoli che è già Valdarno, ed a Levante<br />

con quella di Montaione che è l'anticamera della Valle dell’Elsa o Valdelsa.<br />

La zona<br />

intera, ed il suo capoluogo in particolare, avevano - fino alla fuga dalle campagne<br />

degli<br />

anni ‘50 del Novecento - la triste nomèa di essere il paese più povero della provincia<br />

di Pisa: un mondo di miseria e di emarginazione, insomma..<br />

Tant’è vero che qualcuno ricorda il detto: “Peggio Palaia”, che sarebbe come dire che<br />

peggio di così si crepa. Una città brutta? Un rione anonimo? Peggio Palaia.


Allora si dirà che ci sarebbe poco da descrivere su questa vasta area, dominata da grandi fattorie<br />

36<br />

con produzioni sempre più industriali, se, di quando in quando, non ci si imbattesse in cose curiose<br />

se non ad dirittura strane.<br />

• Come le tabaccaie, ad esempio.<br />

Che non sono le tabacchine (o tabaccanti, come addirittura dicono nel Genovesato), cioè le titolari<br />

dei negozi ove si vendono sali, tabacchi, chinino di stato e valori bollati, e che qualcuno<br />

nell'Appennino e nella zona apuana continua a chiamare appalti.<br />

No: sono dei fabbricati, a volte modesti a volte di grandi dimensioni -come quello, ad esempio, che<br />

sorge quasi in riva al Roglio - ove si essiccava il tabacco prodotto dalle fattorie della zona e che<br />

serviva per la produzione dei famosi sigari toscani, che a loro volta venivano confezionati<br />

nell’allora lontana Lucca.<br />

Quelli che non si negavano a nessuno, come le croci da cavaliere del Regno: pare che lo avesse<br />

detto Umberto I di Savoia.<br />

Di questi edifici detti tabaccaie ve ne sono un po’ dappertutto, sparsi nel territorio che va<br />

grossomodo dalla Valdera alla Valdelsa, e cioè oltre San Miniato, dopo aver attraversato tutta la<br />

valle dell’Egola, più semplicemente Valdégola.<br />

Infatti, è proprio in questa zona - forse per il suo microclima, forse per la natura del terreno - che<br />

dall’epoca lorenese è in atto la coltivazione del tabacco. Si tratta, in genere di piccoli poderi spesso<br />

a conduzione familiare; ma ciò non toglie che la coltivazione continui, malgrado lo spopolamento<br />

delle campagne degli anni ‘40-50.<br />

Altre zone produttive del tabacco, in Toscana sono nella Valtiberina e, in genere, in tutta la zona<br />

preappenninica tosco-umbra.<br />

Oggi che va di moda l'archeologia industriale, queste tabaccaie ne sono un validissimo esempio; e<br />

c'è già qualche comitato di architetti che ne prevede la salvaguardia, prima che spariscano fra selve<br />

di rovi.<br />

Tantopiù che Tabaccaia è anche divenuto un topònimo abbastanza frequente in tutta la Toscana.<br />

• Altra cosa a dir poco stravagante: il Tempio di Minerva Medica: che è un tempio greco nella<br />

vera accezione del termine, con tanto di prònao e di interno con ara, ma di costruzione<br />

ottocentesca.<br />

Fu voluto, nel pressi del paese di Montefòscoli, da Andrea Vaccà, ricco possidente del luogo, in<br />

onore di suo padre Francesco che, all'inizio dell'800, fu un medico di buona fama e cattedratico<br />

all'Università di Pisa. La costruzione fu effettuata tutta con materiali del luogo, e da contadini della<br />

tenuta del buon Vaccà, trasformatisi in muratori. Il. loro principale, infatti, volle dar loro una


37<br />

mercede e far loro conoscere il valore del denaro, prima che emigrassero dalla disperazione, forse<br />

fino in America.<br />

Cose analoghe e cogli stessi scopi umanitari fece anche, nelle sue tenute di Sant'Agata, Giuseppe<br />

Verdi che pagava di tasca sua i suoi contadini per la costruzione di fienili e stalle che avrebbe<br />

potuto benissimo far edificare da una qualunque buona impresa edile del luogo.<br />

Sempre a Montefòscoli nacque, nel 1907, Mario Filippeschi, tenore lirico-eroico ed idolo<br />

dei melòmani di mezza Italia negli anni'30-40 di questo secolo.<br />

Aveva lasciato il paesello per studiare canto in città lontane, ma era stato presto scoperto<br />

da fini impresari della lirica degli anni '20, che avevano visto in quel ragazzotto di<br />

provincia dalla voce squillante uno degli eredi di <strong>Giacomo</strong> Lauri-Volpi.<br />

Lo fecero debuttare in Germania, a Colonia, e la sua carriera continuò a lungo, e sempre in<br />

ruoli ove alla potenza vocale la tradizione vuole anche una buona prestanza fisica.<br />

E così, fu, per più di vent'anni, Radamès, Manrico e Calaf, con incursioni avventurose<br />

anche nel repertorio wagneriano.<br />

A due passi dal centro di Palaia, c’è un monumento eccezionale: la pieve di San Martino, una<br />

grande costruzione in laterizio in stile tardo romanico, edificata tra il 1270 ed il 1300.<br />

Progettista, nientemeno che Andrea Pisano (Andrea da Pontedera per i pontederesi), sommo<br />

artista che volle lasciare in queste terre battute dal sole d'estate e dal gelo d'inverno, un capolavoro<br />

immenso che lascia incredulo il visitatore.<br />

Nelle campagne più lontane, invece, è ancora viva la presenza di due ville importantissime dal<br />

punto di vista architettonico e storico:<br />

• la villa di Usigliano del Vescovo, che è nell'omonimo borgo, e che è così chiamata perché‚ era al<br />

centro di una vasta proprietà agricola contesa - tanto per cambiare - per quasi tutto il Medioevo,<br />

tra i vescovi di Lucca e la Repubblica di Pisa. A far da pacieri, dopo il 1406, ci pensarono a<br />

modo loro i feroci fiorentini che avevano sconfitto i Pisani ed erano divenuti padroni anche di<br />

quelle terre, e<br />

• la Villa Torrigiani-Malaspina, a Montecastello - verso Pontedera, cioè - che fu dei Marchesi<br />

Malaspina di Fosdinovo. Poi passò, per una serie di avvicendamenti ereditari, ai Torrigiani di<br />

Firenze che aggiunsero al loro il cognome della dinastia lunigianese.<br />

Dai secoli bui fino agli Estensi ed ai napoleonici, la casata dei Malaspina dominò tutta<br />

l'attuale provincia di Massa e Carrara, e fu, in Europa e fino al settecento, l'ultimo ultimo<br />

baluardo del feudalesimo.<br />

I Malaspina non furono però dei signori sanguinari: si occupavano prevalentemente di<br />

battute di caccia e di difendersi da veleni e pugnali.


38<br />

Di qui i loro castelli in Lunigiana, che sono più fortilizi che abitazioni.<br />

Tutt'intorno a Palaia, una serie di paesini ove non è difficile imbattersi in terrecotte robbiane da<br />

enciclopedia dell'arte, di tenute e di fattorie.<br />

Proseguendo verso Nord, merita una visita il Museo del Lavoro e della Civiltà Rurale, che si<br />

trova a San Gervasio.<br />

E' forse uno dei primi ad essere stato fondato, raccogliendo tutto quello che - attrezzi, macchinari,<br />

utensili, etc. - il consumismo stava per mandare a ramengo.<br />

A due passi dal museo, una cappellina lodevolmente restaurata ospita una rara collezione di<br />

immagini e santini, ricordo di una devozione anticamente radicata in quelle popolazioni, mentre, in<br />

un casolare altrettanto degnamente restaurato, un ristorante offre in menù cucina casalinga<br />

rigorosamente toscana.Il sacro ed il profano che si coniugano teneramente.<br />

San Gervasio è sulla strada per La Rotta, frazione di Pontetedera famosa solo per certi giochi di<br />

parole goliardici.<br />

E nel Palaiese, come del resto in tutta la Valdera, comincia ad affermarsi l'agriturismo, una forma<br />

nuova di turismo da poco tempo codificata da leggi e leggine regionali.<br />

Tutti più o meno ne abbiamo sentito parlare come ospitalità extralberghiera in case coloniche dove<br />

si vive al contatto con la natura e col lavoro dei campi, e si consumano prodotti del luogo.<br />

Ma c'è di più: nel podere Le Capannacce, in località Chiecinella, da qualche anno esiste addirittura<br />

una beauty-farm: brutto anglicismo che sta a significare che, oltre all'agriturismo, in cascina si<br />

praticano terapie fisiche e si seguono corsi di scienza dell'alimentazione sotto controllo medico, per<br />

il benessere del corpo e dello spirito.<br />

Una frazione piuttosto anonima del comune di Palaia, Fòrcoli, che si distende sulla provinciale per<br />

Pontedera che costeggia il torrente Roglio, ha avuto - in questi ultimi anni - l'onore di andar dritta e<br />

filata nel Guinness dei Primati.<br />

Non tanto per qualche sua bellezza sfolgorante, ma perché vi si tiene ogni estate uno strano quanto<br />

inconsueto concorso: quello delle Ciccione.<br />

Le concorrenti provenienti da tutta la Toscana, prima, poi da tutt'Italia ed ora anche dall'Estero, si<br />

combattono - in una serata d'afa e di fumo di bistecche alla brace - il titolo, tentando di spingere<br />

l'ago della bilancia sempre più in su, dove i numeri sono a tre cifre.<br />

Una delle concorrenti degli ultimi anni, poi, si è fatta forte del primato raggiunto a Fòrcoli ed è<br />

passata dal ruolo di casalinga ingombrante a quello di caratterista a Cinecittà.<br />

Guardando al di sopra dell’abitato di Fòrcoli, verso nord si nota un piccolo abitato: si tratta di<br />

Alica, paesino che è stato abbandanato fino a poco tempo fa.


39<br />

Infatti, la fuga dalle campagne degli anni Cinquanta ebbe in questi luoghi effetti terrificanti: si pensi<br />

che ad Alica (che si pronuncia con l’accento sulla prima a) andò in rovina col tempo perfino la<br />

chiesa il cui campanile rimase addirittura senza campane, finite chissà dove.<br />

Nel 1989, però, ci fu un fatto anomalo: ci fu una frana che rischiò di far cadere in una voragine<br />

chiesa e tutto.<br />

Si capì, da parte della Sovrintendenza di Pisa e dei due tecnici del comune di Palaia che la<br />

voragine avrebbe potuto essere stata provocata da un vano sottostante il piccolo edificio. Ci furono<br />

degli scavi, poi intervennero degli speleologi e degli archeologi dilettanti e si addivennne ad una<br />

scoperta sconvolgente: il vano sottostante alla chiesetta di Alica non solo avrebbe potuto essere un<br />

antro abitato o, comunque, usato come magazzino dai padri Etruschi, ma era un sepolcreto - subito<br />

riconosciuto come medioevale - del quale nessuno aveva mai sentito parlare e del quale nessun<br />

documento scritto recava memoria.<br />

Neanche il Repetti sapeva qualcosa di quell’antro.<br />

Ed, ancora più sconvolgente fu il fatto che parecchi resti di corpi umani, scheletri e poche ossa,<br />

furono trovati nell’antro: e tutti acéfali, cioè senza testa.<br />

Di chi erano quei poveri resti? E perché non si era trovato neanche un teschio?<br />

Il mistero è ancora fitto dopo qualche anno dalla scoperta: si parla di soldati longobardi, di<br />

appestati, di una versione medioevale delle foibe dell’Istria.<br />

Intervennero cattedratici dell’Università di Pisa e famosi archeologi di Firenze: nessun risultato<br />

concreto.<br />

Unico risultato: la stampa parlò di Alica, ci fu un risveglio di interesse per quel paesino sconosciuto<br />

ed abbandonato.<br />

Tornò una campana sul campanile della chiesetta con antro misterioso; ci fu un intervento della<br />

Sovrintendenza per il pronto restauro dell’edificio; qualcuno azzardò, ed andò ad abitare ad Alica.<br />

ELOGIO DEL TARTUFO<br />

E qui dovrebbe terminare il nostro viaggio nel Palaiese, se non occorresse aprire una parentesi<br />

gastronomica, perché tutta la vasta zona compresa tra il torrente Roglio ed il fiume Elsa (l'uno<br />

affluente dell'Era e l'altro dell'Arno) è da sempre terra da tartufi.<br />

Questi costosissimi funghi sotterranei, che sono la delizia dei buongustai di mezza Europa, si<br />

trovano in Italia in due specie:<br />

* quello nero, che si raccoglie prevalentemente in Umbria e nelle Marche, e<br />

* quello bianco, raccolto in Toscana, in Emilia e in Piemonte.<br />

E' il più pregiato e, conseguentemente, il più caro.


Alba, nelle Langhe, è, fino a prova contraria, la patria incontrastata del tartufo bianco, e,<br />

profumati di tartufo bianco di Alba, sono alcuni piatti serviti a prezzi da oreficeria in certi<br />

40<br />

ristoranti da amatori che vantano cappelli e forchette varie.<br />

Ma pochi sanno che molti di questi tartufi bianchi langaroli, grattugiati con riti quasi religiosi nei<br />

suddetti locali da affrontare con una molta virilità, provenivano - fino a qualche anno fa - dal<br />

comprensorio delle Colline Pisane.<br />

Succedeva che la zona fosse, sì, ricca di tartufi, ma che né la cultura gastronomica toscana né le<br />

tasche dei consumatori avessero ancora accettato certe sofisticatezze culinarie.<br />

Dato l'alto prezzo pagato e la domanda sempre robusta, non restava, ai tartufai delle Colline Pisane,<br />

che esitare la fatica delle ricerche loro e dei loro cani, sul mercato di Alba.<br />

Ma c'è di più: nel 1954, nella zona interna di Balconevìsi, fu trovato un esemplare da record - forse<br />

iscritto nel Guinness dei Primati - di 2,520 kili. Pare sia stato il più grosso tartufo bianco mai<br />

raccolto nel mondo. Gli fecero fare il giro dell'orbe terracqueo, perché fece tappa ad Alba e, di qui,<br />

attraversò l'Atlantico per finire in dono al presidente degli Stati Unti dell'epoca.<br />

Nei negozi di alta gastronomia del Nord Italia i tartufi bianchi sono sempre stati langaroli, e<br />

capitava quindi che venissero spesso gabbati - in tutta buona fede, s'intende - per prodotti delle<br />

Langhe quelli del ben più modesto Palaiese.<br />

Che non può vantarsi di aver dato i natali ad un Cesare Pavese, ma solo a qualche buon giornalista<br />

di provincia.<br />

Da qualche anno a questa parte, invece, è in corso un'azione di rivalutazione del tartufo bianco<br />

toscano.<br />

Non solo: ogni Novembre si tiene a San Miniato una mostra nazionale del tartufo, ma c'è chi si sta<br />

adoperando per l'ottenimento di una d.o.c. anche per il tartufo bianco delle Colline Pisane.<br />

Termina qui il primo itineario classico.


SECONDO ITINERARIO CLASSICO<br />

**********************************<br />

14 LARI: FANTASMI ALL'OMBRA DEL CASTELLO DEI VICARI FIORENTINI:<br />

ELOGIO <strong>DELLA</strong> CILIEGIA<br />

**********************************************************************<br />

41<br />

al Palaiese, per chi vuole risalire nuovamente la Valdera per un secondo itinerario, non<br />

D<br />

resta che tornare a Ponsacco dal bivio della Cava, località ove è situata un'altra villa<br />

storica.<br />

E' settecentesca,<br />

e fu prima dei Riccardi e poi dei Toscanelli, ed ospita una preziosa<br />

raccolta<br />

di documenti sull'agricoltura locale.<br />

Le strade sono comode e poco battute, per cui si arriva a Ponsacco in un batter d'occhio.<br />

Dal centro di Ponsacco occorre seguire la segnaletica che indica Casciana Terme, e<br />

seguire la strada provinciale che corre lungo la Càscina, altro terrificante affluente dell'Era, incubo<br />

autunnale a tutte le popolazioni di quei luoghi pianeggianti.<br />

Si arriva ben presto in territorio del comune di Lari - già citato per la sua frazione di Perignano -<br />

sempre fra vigneti e frutteti: soprattutto ciliegeti.


42<br />

Non per nulla, Lari è famosa in tutto il Pisano - ed anche altrove - per le sue ciliege e vi si tiene da<br />

una quarantina d'anni, ogni prima domenica di Giugno, una sagra dedicata a queste bacche.<br />

A volte dolcissime a volte asprigne, la saggezza popolare ha loro paragonato cose un po' pi—<br />

immateriali ma meritevoli di altrettanti aggettivi: i baci.<br />

Ora non più, perché il consumismo ha cancellato quasi tutto anche da queste parti; ma, fino a<br />

qualche anno fa, i campagnoli di Lari erano presenti ogni anno, nella piazza antistante<br />

l'arcivescovado di Pisa, con le loro ceste ed i loro panieri di ciliege, il 17 Giugno, giorno di San<br />

Ranieri.<br />

E' la festa patronale della città di Pisa e l'occasione unica per ammirare, la notte antecedente, una<br />

delle più spettacolari luminarie del mondo.<br />

Quando tutti i lungarni di Pisa si illuminano di milioni di lumini tremolanti alla brezza della prima<br />

estate.<br />

ELOGIO <strong>DELLA</strong> CILIEGIA<br />

a coltivazione dei ciliegi ha radici antiche nel territorio di Lari e ci sono titolari di aziende<br />

L<br />

agricole che hanno resistito alla voglia di cambiar vita e far gli operai a Pontedera e<br />

continuano una tradizione che risale - chissà - forse ai Romani.<br />

Ed i ciliegi di Lari continuano imperterriti a fruttificare per la gioia dei buongustai, dal<br />

momento<br />

che le coltivazioni non sono proprio industrializzate, ed i frutti sono ancora<br />

saporiti come Dio comanda. Sono, se così si può dire, ciliege artigianali.<br />

Nulla a che fare, dunque, con le ciliege romagnole che invadono nella tarda primavera<br />

tutte le bancarelle dei mercatini rionali e gli scaffali dei supermercati.<br />

Né, menchemeno, con quelle cilene che ormai sono dappertutto d’inverno, fuoristagione, perché<br />

quando qua è freddo, là è caldo.<br />

In Italia, che si sappia, si coltivano centoventi qualità di ciliege: da quelle nere a quelle bianche, da<br />

quelle acquose ed un po’ mollicce che non sanno di nulla a quelle dure e sode che sono la delizia<br />

del palato.<br />

Bene: di questi centoventi tipi di ciliege, diciannove vengono coltivate a Lari: ed è - arrotondando -<br />

circa un 7% dei cultivar italiani.<br />

Fra i più noti, quelli delle marchiane, dei duroni e delle cosiddette gambolungo.<br />

E per essere, quello di Lari, un territorio piuttosto piccolo, è un primato da non sottovalutare.


43<br />

Con le ciliege fresche si possono ottenere diversi manicaretti, soprattutto nel campo dei desserts:<br />

torte e gelati alla ciliegia vengono ancora preparati con amore da quello che resta dell’esercito delle<br />

massaie italiane.<br />

Diversi sono anche i metodi di conservazione delle ciliege:<br />

• sotto spirito: le bacche si cuociono da sole dopo qualche mese di infusione in spirito a 70° e<br />

passano il loro aroma all’alcool che, così, diventa un liquorino a forte gradazione di tutto<br />

rispetto.Chi ha buona memoria ricorderà che non c’era bar in Italia che non avesse un grosso<br />

barattolo di vetro con le ciliege sottospirito: veniva servita un ciliegia ed un po’ del suo liquore<br />

in bicchierini da vermouth, con, a corredo, uno stecchino da infilzare nel frutto. Era un sostituto<br />

del grappino per gli avventori di quei locali fumiganti dove si giocavano interminabili partite di<br />

briscola, di tressette, di scopone, di scalaquanrata;<br />

• sciroppate: quelle nere cuociono come sopra in uno sciroppo fortemente zuccherato ed, una<br />

volta pronte all’uso, sono usate come decorazione di gelati e di panne montate. Hanno fatto la<br />

fortuna di numerosi liquorifici emiliani che ne hanno invaso tutte le gelaterie di tutte le coste<br />

italiane per la gioia dei celebratori dei riti del gelato dopocena;<br />

• candite: servono come decorazione - rosse come sono - della pasticceria secca e sono gli<br />

ingredienti di numerosi dolciumi casalinghi e, ora, anche industriali.<br />

In Germania, poi, con la distillazione delle ciliege, si produce un liquore a molti noto col nome un<br />

po’ ostrogoto di kirsch.<br />

A primavera, la fioritura dei ciliegi è uno spettacolo della Natura ed i fiori rosa degli alberi fanno la<br />

gioia di fotografi e pittori.<br />

Nella storia dei teatro, chi non ricorda Il giardino dei ciglegi di Gogol?<br />

Ma chi ricorda, invece, Cérisiers roses, canzone francese degli anni quaranta?<br />

Due varianti della ciliegia sono l’amarena e la marasca.<br />

I loro alberi sono coltivati ora anche semindustrialmente, ma è facile trovarli spontanei, e<br />

magari inselvatichiti - a volte a boschi interi - sulle colline e sui monti che, in Liguria,<br />

degradano sul mare.<br />

I loro frutti sono molto simili, all’aspetto, a quelli dei ciliegi; ma sono aspri al limite<br />

dell’acidità, ma sono vere e proprie bombe di vitamina C.<br />

E, mentre le marasche sono di un bel rosso vivo ma alquanto acquose, le amarene sono di<br />

un colore più cupo, tendente al granata, più polpose e di sapore più gradevole.<br />

Nel caso di questi frutti piuttosto fragili, le loro lavorazioni sono più difficili e si limitano<br />

alla loro conservazione sotto sciroppo, con l’uso simile a quello delle ciliege sciroppate.<br />

Le amarene sono, comunque, di base a delle bagne che servono per la produzione di gelati.


44<br />

Le marasche, invece, una volta distillate, sono la base di un liquore una volta famoso ma<br />

ora caduto in disuso: il maraschino.<br />

Era, con le sigarette Macedonia, il prodotto tipico della Zara italiana.<br />

Dopo l’annessione della Dalmazia alla Yugoslavia, la famiglia che deteneva il marchio del<br />

Maraschino di Zara emigrò in Piemonte e, nel dopoguerra, ne riprese la produzione.<br />

Ma i tempi cambiarono e le bottiglie di Maraschino di Zara - verdi, fatte a parallelepipedo<br />

come il Johnny Walker, ma fasciate come i fiaschi del Chianti di paglia di falasco - sono<br />

ora una rarità nei bar italiani.<br />

Amarene e marasche erano consigliate dai vecchi pediatri al posto delle ciliege, perché,<br />

anche se mangiate in quantità, non provocano ai bimbi disturbi intestinali.<br />

Lari ruota intorno ad una possente fortificazione, detta in loco Castello (95 scalini per accedervi)<br />

che era stata una roccaforte al centro del sistema difensivo pisano contro Firenze a Levante, Lucca<br />

a Settentrione e Siena a Meridione, prima della caduta della repubblica marinara del 1406.<br />

In linea con le altre tre rocche - quella di Ripafratta, quella della Verruca e quella di Chianni, che<br />

dominavano rispettivamente le valli del Serchio, dell'Arno e del Cècina - la rocca di Lari ospitava<br />

una guarnigione pisana che poteva abbastanza agevolmente controllare tutto il territorio attual-<br />

mente appartenente alla parte meridionale delle attuali province di Pisa e Livorno.<br />

I fiorentini conquistatori capirono ben presto, dopo il 1406, l'importanza strategica della rocca di<br />

Lari, e la trasformarono nel corso dei secoli nella gigantesca costruzione attuale e ne fecero la sede<br />

del loro potere.<br />

Essa ospitò via via tribunali penali per condannare a qualche giorno di pane e acqua semplici ladri<br />

di galline ed a volte, invece, carceri con segrete e stanze di tortura per processi politici e, che<br />

peggio, per stregoneria.<br />

E poi, dato che il potere fiorentino doveva esprimersi comunque, tanto per cambiare il Castello di<br />

Lari fu anche sede di una di quelle che oggi si chiamano eufemisticamente intendenze di finanza:<br />

tasse, dazi, imposte e gabelle per tutti gli sconfitti.<br />

I vicari fiorentini di stanza a Lari avevano giurisdizione su tutta l'area che va dall'attuale<br />

Pontedera fino a Collesalvetti ed ad un tratto di scogliera della costa tirrenica.<br />

Proprio lì, in un piccolo golfo, pochi decenni più tardi sarebbe stato creato quasi dal nulla<br />

un porto franco sui resti di un improbabile Porto Pisano.<br />

Vi crebbe, in men che non si dica, una nuova città cosmopolita, ricettacolo di ebrei cacciati<br />

dalla Spagna dei Re Cattolici e di avventurieri di ogni specie e risma, attratti dalle<br />

franchigie promesse dalla Signoria.


45<br />

Ora quella città, che i Medici si affrettarono a far fortificare dal loro architetto di fiducia<br />

Bernardo Buontalenti, si chiama Livorno, ed è nota alle persone colte per aver dato non<br />

solo i natali a personaggi moderni come Amedeo Modigliani, Giovanni Fattori e Pietro<br />

Mascagni, ma persino - in pieno settecento - a quel Ranieri de' Calzabigi che fu librettista<br />

di Christoph Willibald Gluck.<br />

Alle persone di stomaco forte, Livorno è invece nota per le triglie in guazzetto, il baccalà<br />

marinato, il cacciucco ed il ponce.<br />

Il suo antico cosmopolitismo è ancora rintracciabile, senza tanti rompicapi, nella sua<br />

toponomastica.<br />

Anche a Lari, malgrado la lontananza - per l'epoca, addirittura siderale - dalla capitale della<br />

Signoria, i vicari fiorentini erano rampolli delle famiglie più in vista della Firenze medicea.<br />

I muri del cortile del Castello di Lari ne sono la testimonianza vivente, perché‚ seguendo l'uso<br />

fiorentino, ogni vicario vi fece cementare il suo stemma di famiglia.<br />

Ce ne sono decine, ed il visitatore non disattento può abbastanza facilmente identificare, come a<br />

Pèccioli, le insegne di casati famosi della fiorentinità: quelle dei Peruzzi, dei Degli Albizi, degli<br />

Strozzi, dei Capponi e dei Pitti.<br />

Chiuso fino a pochi anni fa, oggi il fortilizio di Lari è fruibile a tutti, ed alcuni volonterosi ragazzi<br />

dell'Associazione Culturale "Il Castello" animano una bella visita guidata: una mezzoretta che<br />

vale la spesa.<br />

Si tende un po' all'horror ed al pittoresco imperniandola sui metodi di tortura, con ricca esibizione di<br />

catene, manette e perfino di un orribile straziaseni. Ma occorre sapere che, soprattutto<br />

nel '500, questi metodi di interrogatori erano molto in uso, come attestano certi verbali di processi<br />

tuttora conservati.<br />

Esisteva persino una stanza detta dei Tormenti perché adibita alle torture.<br />

Fu totalmente affrescata da Fra' Bartolomeo della Porta, un frate dell'Ordine dei Predicatori con<br />

buona fama di pittore, tant’è vero che è sua la rara Annunciazione situata nella navata sinistra<br />

della Cattedrale di Volterra.. Purtroppo gli affreschi di questo artista dimenticato furono coperti da<br />

un muratore inesperto, secoli dopo, da alcune grevi mani di calce viva ad uso disinfettante.<br />

Chissà che i dipinti del buon frate non riescano alla luce un giorno o l'altro: ma la tardocrazia delle<br />

sovrintendenze è in agguato, e chissà quando e come il recupero sarà tentato.<br />

Il Castello di Lari rimase sede pretorile e carcere mandamentale anche nei secoli seguenti, e ciò<br />

fino al 1927, quando avvenne il nuovo assetto della province del Regno e furono abrogate sia le<br />

sottoprefetture sia le preture secondarie.


Ma a Lari non c'è solo il Castello: ci sono anche palazzotti del settecento e una pieve con due<br />

sculture di Giovanni Pisano, alcune tele di scuola fiorentina del '500 e un bell'altorilievo in<br />

46<br />

terracotta invetriata, opera di Giovanni della Robbia.<br />

Tanto per gradire.<br />

Secondo la fantasia popolare, si aggira di notte nel Castello di Lari il fantasma di Rosso della<br />

Paola.<br />

Secondo una versione un po' romantica, Rosso della Paola sarebbe stato un nobile locale consi-<br />

derato dai Fiorentini loro nemico perché forse ancora fedele alla Repubblica Marinara di Pisa.<br />

Rosso della Paola era stato rinchiuso nelle segrete del castello e poi ucciso perché‚ la sua presenza<br />

era imbarazzante.C'è chi giura che si lamenti ancora, e, nel corso di sedute spiritiche, la presenza<br />

del suo fantasma pare sia stata confermata.<br />

Secondo un'altra versione, un po' più ideologizzata, Rosso della Paola sarebbe stato il soprannome<br />

di Giovanni Princi, un anarcoide che - quando l'èra del consenso non era ancora nata e la guerra<br />

civile era alle porte - non essendo stato ammesso ad una rappresentazione teatrale, scagliò dalla<br />

rabbia dei sassi contro le finestre della casa di un gerarchetto fascista locale. Imprigionato, durante<br />

uno scatto d'ira dei secondini fu impiccato alle sbarre della cella n° 5 dei Castello dei Vicari.<br />

Il fatto truce accadde nella notte del 16 Dicembre 1923.<br />

Da allora, ogni anno il 16 Dicembre, pare che il fantasma di Giovanni Princi si aggiri fra le mura<br />

del fortilizio.<br />

Sempre nel Castello di Lari, qualche anno fa, è stata rinvenuto per caso dal giovane<br />

archeologo pisano Giovanni Fascetti, un torso togato, appartenente quasi certamente ad<br />

una scultura di epoca romana e portato lì chissà da chi e perché.<br />

Il busto è acefalo, ma si è dimostrato un elemento notevole per chi studia la storia del<br />

periodo etrusco-romano della zona e presenta alcune anomalie: la più evidente è che la<br />

schiena del personaggio effigiato era stata, chissà quando, scavata a mo' di vaschetta.<br />

E, dal momento che il ritrovamento causale era avvenuto nella cappellina del Castello,<br />

tutto farebbe pensare che il busto fosse stato utilizzato, in epoca medioevale, come<br />

acquasantiera.<br />

Ma c'è anche chi controbatte che il torso romano fosse stato scavato più prosaicamente ad<br />

uso di abbeveratoio dei cavalli dei soldati fiorentini di stanza nel castello.<br />

Anche a Lari furono trovate tracce di presenze etrusche, ma gli scavi terminarono nel 1870.<br />

Il già citato Emanuele Repetti, famoso geografo carrarese, nel suo ancor attuale "Dizionario<br />

Geografico, Storico e Fisico della Toscana" scriveva - agli inizi dell'800 - che a Lari erano stati<br />

trovati "idoletti e medaglie antichissime". Dove siano nessun lo sa.


A Lari ha sede amministrativa e produttiva un pastificio che fa pasta di tutti i formati, e la<br />

47<br />

commercializza per il tramite dei negozi di alta gastronomia.<br />

15 CASCIANA TERME: I ROMANI, I PISANI ED I LORENA<br />

******************************************************<br />

roseguendo oltre Lari, si arriva in pochi chilometri all'abitato di Casciana Alta e di qui,<br />

P<br />

dopo una breve discesa, a Casciana Terme, una volta chiamata Bagni di Casciana.<br />

Le acque<br />

di Casciana furono, ovviamente, scoperte dai Romani tant'è vero che, nel<br />

Medioevo,<br />

conservarono il toponimo di Castrum de Aquis, o ad Aquas, poi divenuto<br />

Curtis<br />

Aquisana e di qui, rocambolescamente, Casciana.<br />

Nel 1311, la Repubblica Pisana vi fece costruire un primo stabilimento, poi demolito, per<br />

lo sfruttamento di quelle acque che gli scienziati dei secoli successivi catalogarono come<br />

solfato-alcanino-terrose, efficacissime per la cura delle malattie delle vene.<br />

In seguito, si scoprirono altre proprietà terapeutiche delle acque dei Bagni di Casciana, e le cure si<br />

allargarono alle affezioni artritiche, a quelle bronchitiche e alle malattie ginecologiche.<br />

Si occuparono di queste branche della medicina studiosi famosi ed oggi dimenticati da tutti, classe<br />

medica compresa.<br />

La loro memoria sopravvive qua e là nella toponomastica ottocentesca di alcune città sedi<br />

di università. Come Pisa, ad esempio, che ha una strada intitolata ad Andrea Cesalpino,<br />

famoso clinico dell'età rinascimentale che si occupò - fra le tante cose che furono oggetto<br />

dei suoi studi - delle acque di Casciana.<br />

O, sennò, sopravvivono nelle reminiscenze scolastiche, di quando cioè i ragazzi dei Regi<br />

Ginnasi dovevano imparare almeno i rudimenti dell'anatomia umana: allora scoprirà che<br />

anche Gabriele Falloppio (quello delle tube) studiò, in epoca rinascimentale, le acque dei<br />

Bagni di Casciana. Forse per problemi legati alla sterilità femminile che pare avesse la


48<br />

sua panacea nella acque ferruginose sgorganti dalle falde di quella lontana località<br />

toscana.<br />

Li aveva preceduti, nel Medioevo, Ugolino da Montecatini.<br />

Non inganni il suo casato: la sua località natale doveva essere poco più che un gruppo di<br />

poche povere case sovrastanti i bordi del mefitico padule di Fucecchio che arrivava a<br />

lambire la Valdinièvole, perché si parla dell'attuale Montecatini Alta, unico luogo vivibile<br />

all'epoca. In posizione dominante sulla pianura pistoiese, era indenne dalla malaria.<br />

Le acque di Casciana ebbero, poi, grande fortuna nel settecento sotto i Lorena che credevano<br />

fermamente nelle cure termali, intese, come oggi, come contraltare naturale della medicina ufficiale<br />

fatta di intrugli e di pasticche ammazzafegato.<br />

Le cure termali, infatti, cominciarono ad aver fortuna in Italia proprio nel Settecento sotto:<br />

* i Lorena in Toscana,<br />

* i Dogi nel Veneto,<br />

* i Savoia in Piemonte,<br />

* Maria Teresa d’Asburgo in Lombardia,<br />

* i Papi nell’attuale Emilia-Romagna ed a Fiuggi, in Ciociarìa,<br />

* la Repubblica Aristocratica a Lucca, ed, infine,<br />

* Maria Luisa Bonaparte nel Parmense .<br />

A loro si deve la fortuna di:<br />

* Montecatini, Chianciano e Casciana, in Toscana,<br />

* Abano, Montegrotto e Battaglia, nel Veneto,<br />

* Acqui, Valdieri, Lurisia e Vinadio, in Piemonte,<br />

* San Pellegrino, in Lombardia,<br />

* Bagni di Lucca, ancora in Toscana,<br />

* Salsomaggiore nel Parmense,<br />

* Porretta nell’attuale provincia di Bologna.<br />

Bere o bagnarsi in acque sorgivamente ricche di oligoelementi curativi era la filosofia di quei<br />

regnanti, e bisognava allargarla al popolo.<br />

Non fosse stato così, sarebbero rimasti paesotti dove c'era da morir di sete perché l'acqua era<br />

imbevibile: o purgativa o bollente. Puzzolente comunque.<br />

Dal 1968, le terme settecentesche di Casciana sono rinate a nuova vita dopo le distruzioni del<br />

secondo conflitto mondiale, e, dai primi anni novanta, sono all'avanguardia anche nel campo della<br />

riabilitazione motoria.


Casciana Terme non ha ancora, lontana com'è dalle grandi vie di comunicazione, l'aspetto<br />

mondano e consumistico delle sua ben più' celebri consorelle: è, insomma, una stazione termale<br />

ancora ruspante, senza gioiellerie, senza antiquari, senza nouvelle-cuisine, senza pizzerie<br />

49<br />

falsonapoletane, senza alberghi da presidenti dell'OPEC.<br />

Una noia mortale, dirà qualcuno.<br />

Ma non è vero: perché‚ passare le acque a Casciana può essere un'alternativa alla vita frenetica di<br />

città, alla scoperta di cose curiose che hanno dormito da secoli fra colli e dossi, fra vigneti festosi e<br />

mammelloni desertici.<br />

E visitare borghi medievali, pievi millenarie, fattorie ed aziende vinicole.<br />

Basta seguire la segnaletica e chiedere in giro, perché qui la gente è gentile e sempre pronta a<br />

raccontar aneddoti e dar indicazioni.<br />

Queste escursioni, che uno può fare tutti i giorni, sono piuttosto a buon mercato, sia che si viaggi<br />

con mezzi propri, sia che si usufruisca di quelli pubblici.<br />

Dall'allora Bagni di Casciana partì a cercar fortuna in città - verso la fine dell'ottocento -<br />

Vincenzo Lischi, un tipografo abile quanto geniale. Fondò nel cuore della vecchia Pisa, a<br />

due passi dalla vasariana Piazza dei Cavalieri, uno stabilimento tipografico allora<br />

d'avanguardia che presto divenne una casa editrice di gran nome nella cultura italiana.<br />

Ma non dimenticò le sue origini termali: diede alle stampe, nel 1901, la prima rivista<br />

tecnica del settore, presto allargatasi ai temi della talassoterapia, allora di moda, ed al<br />

nascente turismo.<br />

Era "Terme e Riviere", che esce tuttora, e che è una gloria del giornalismo italiano<br />

specializzato.


16 CHIANNI: BOSCHI E PARADISI PER CACCIATORI E FUNGAI E LA PATRIA<br />

50<br />

DELL'INVENTORE DEGLI OCCHIALI DA NASO:<br />

***************************************************************************<br />

ochi chilometri di provinciale, e c'è Chianni, altro piccolo comune che presenta, al centro<br />

P<br />

del capoluogo, una strana piazza triangolare ed in discesa, chiusa, sullo sfondo, dalla<br />

chiesa parrocchiale.<br />

Sembra,<br />

di primo acchìto, la scenografia di un'opera lirica del periodo realistico:<br />

Cavalleria<br />

o Pagliacci, per intenderci.<br />

Il paese è circondato da grandi e tenebrosi boschi di cerri e da pascoli fioriti: è da sempre,<br />

quindi, paradiso di cacciatori di pelo e di piuma, di boscaioli, di pastori (ora ci sono tanti<br />

sardi), di apicoltori e di fungai.<br />

Questi ultimi ne hanno ben d'onde, perché i boschi sono talmente ampi e generosi da permettere la<br />

nascita di funghi a milioni, durante le stagioni felici: quando, cioè, a fine estate è piovuto molto ma<br />

senza vento.<br />

I boschi e le selve che circondano tutti i paesini dei dintorni sono una vera cuccagna per i fungai,<br />

professionisti e dilettanti.<br />

• I primi sono cercatori del luogo e raccolgono solo porcini, galletti ed ovuli per venderli ai<br />

grossisti di Firenze che li distribuiscono su tutto il territorio nazionale: vanno sul sicuro, perché<br />

il mercato non richiede, per le sue ferree leggi, altri tipi di funghi che non siano quelli a prova di<br />

micologo della USL.<br />

• I secondi, invece, rastrellano quello che resta della raccolta dei fungai professionisti: spesso<br />

durante i finesettimana, quando gli altri sono già passati da un pezzo.


Se sono fortunati, qualche porcino può anche andar a finire nei loro panieri: sennò, si accon-<br />

51<br />

tentano di altri funghi mangerecci che conoscono, ma che spesso sono insipidi e che finiscono in<br />

pentola solo dopo il parere del micologo di cui sopra, reperibile spesso presso i mercati generali.<br />

• Altri ancor più dilettanti ed arrivati qui per sentito dire, raccolgono quello che càpita, non<br />

conoscono la trafila del micologo, e vanno ad arricchire le cronache nere dei quotidiani:<br />

spesso se la cavano con una lavanda gastrica, ma a volte intervengono fattori anomali ed il<br />

trapasso al mondo dei più è assicurato.<br />

Aleggiano fra quei boschi gli spiriti dei campagnoli cari a Renato Fucini.<br />

Che era, sì, maremmano di nascita, ma che a Pisa visse la sua goliardica gioventù e che dalla gente<br />

della provincia pisana trasse i personaggi delle sue Veglie di Neri, una raccolta di novelle famosa<br />

perché quelle più brillanti erano presenti d'obbligo in tutte le antologie dei Regi Ginnasi. Erano<br />

considerate esempi pratici del bello scrivere in italiano: oggi, chissà.<br />

Renato Fucini aveva anagrammato il suo nome ed il suo cognome in Neri Tanfucio: e Neri non è<br />

che il diminutivo di Ranieri, il trovatore fattosi eremita che, una volta santificato, divenne il<br />

patrono di Pisa.<br />

E' sepolto in un paesino vicino a Vinci, e la sua tomba - abbandonata da chi avrebbe dovuto<br />

conservarla - è stata profanata più volte in questi ultimi anni.<br />

Ed a Rivalto, un'amena frazione poco discosta dal capoluogo, si celebra ogni anno, in ottobre, la<br />

festa del marrone.<br />

ELOGIO <strong>DELLA</strong> CASTAGNA<br />

****************************<br />

l marrone è uno dei pochi tipi di castagna che abbiano un mercato certo, perché è più grosso<br />

I<br />

e gustoso delle altre castagne più o meno selvatiche. Per di più, è adatto a varie trasformazioni,<br />

e, prima tra esse, una prelibatezza: i marrons-glacés, che, però, fanno parte di un'altra cultura.<br />

Infatti,<br />

in tutto il territorio di Chianni prospera rigoglioso, in boschi ben tenuti, il castagno.<br />

E' un albero che può raggiungere l'altezza da terra di 30 metri, è molto frondoso ed ha sempre<br />

forme molto regolari. Le sue foglie sono caduche ma molto belle, lanceolate, seghettate e<br />

molto decorative.<br />

I suoi frutti, le castagne, sono nascosti in ricci coperti di aculei che si spaccano da soli al momento<br />

della maturazione.<br />

Vengono raccolti a fine ottobre-primi di novembre e sono stati, dall'antichità e fino a qualche<br />

decennio fa, uno dei pochi alimenti certi delle popolazioni dell'Italia interna, perché venivano<br />

conservati religiosamente e, poi, cucinati in ogni modo.


La conservazione più comune avveniva per essiccazione perché le castagne raccolte nei boschi<br />

52<br />

venivano trasportate in essiccatoi, generalmente posti fuori degli abitati perché fumiganti e puzzo-<br />

lenti.<br />

In Toscana questi piccoli edifici dell'architettura spontanea si chiamano tuttora metati ed erano<br />

costituiti, al loro interno, da un piano superiore ad incannicciata ove venivano stese le castagne, e<br />

da un piano inferiore ove un fuoco bruciava per una ventina di giorni fino a farle seccare.<br />

Una volta secche, le castagne venivano mondate a mano e trasportate ai mulini per ottenerne la<br />

farina.<br />

Spesso le famiglie dei contadini e dei montanari si riunivano al metato sia per controllare<br />

l'andamento dei fuoco, sia per riscaldarsi in comune, sia infine per raccontarsi i fatti del giorno.<br />

Queste riunioni si chiamavano veglie, ed il cantore di queste usanze contadine e montanare della<br />

Toscana dell'Ottocento fu proprio quel Renato Fucini del quale si è parlato più innanzi.<br />

Con le castagne, l'antica fame italica veniva spesso debellata perché sono frutti calorici quanto<br />

basta: infatti, il fenomeno della pellagra che distrusse intere generazioni padane durante l'ottocento,<br />

era qui quasi del tutto sconosciuto, perché la popolazione si cibava essenzialmente di castagne.<br />

Con le castagne fresche si possono ottenere diversi piatti della cucina povera italiana, come:<br />

• le caldarroste, che vengono tuttora preparate dagli ambulanti e vendute in cartocci; in Liguria<br />

si chiamano rustìe e, nella zona delle Apuane, mondoline,<br />

• i ballotti, che sono castagne fresche lessate guscio e tutto in acqua salata con l'aggiunta di<br />

finocchio selvatico,<br />

• le pelate: stesso procedimento, ma le castagne vengono, prima di essere lessate in acqua salata<br />

ed alloro, tolte dal loro guscio. Nel Genovesato si chiamano pièe e, nel Carrarese, chissà perché,<br />

borgadelli.<br />

Con la farina di castagne secche si possono ottenere:<br />

• il castagnaccio: una specie di torta fatta cuocere in forno e condita con olio; alcune varianti<br />

regionali prescrivono anche l'aggiunta di uvetta, pinoli e gherigli di noci;<br />

• i necci: specie di cialde (o cre^pes alla francese) che si ottengono cuocendo la pastella di farina<br />

di castagne in forme di ferro, dette testi, unte con olio o strutto. Si possono consumare con<br />

salsiccia, formaggio o, meglio ancora, ricotta. In Lunigiana si facevano in forme di terracotta ed<br />

erano cotti fra due foglie di castagno: si chiamavano pattone.<br />

• le frittelle: pastella fritta in olio bollente: anche in questo caso alcune ricette regionali aggiun-<br />

gono uvetta o pinoli;<br />

• la polenta, che può essere in due versioni:


- dura, da tagliare a fette col filo di cotone, o<br />

53<br />

- semiliquida, o polentina, usata soprattutto col latte, ed, infine,<br />

- vinata, cioè impastata e cotta nel vino; ma è un piatto caduto in disuso da parecchi decenni.<br />

Nel Genovesato, fino a qualche anno fa e nei negozi che portavano come insegna “torte e<br />

farinata”, si faceva anche la panélla (dalla “e” rigorosamente stretta).<br />

Il procedimento era identico a quello della celebre fainàa genovese - o cecìna in Toscana -<br />

ma, al posto della farina di ceci, veniva usata quella di castagne. Il tutto, come d’obbligo,<br />

passato nel forno a legna in teglie di rame zincato dal diametro di un metro e passa.<br />

Con le castagne secche - che una volta venivano vendute anche in cartocci nelle latterie e venivano<br />

sgranocchiate dai ragazzi del popolo - si ottenevano, sempre nel Genovesato, due piatti che più<br />

poveri di così non si può; erano:<br />

• le rébue: castagne secche fatte bollire e, una volta un po’ ammorbidite, mangiate col loro brodo,<br />

e<br />

• le vegétte, così dette (vecchiette) perché un po’ morbide avevano presso i ragazzi la funzione di<br />

quello che è oggi il chewing-gum.<br />

Dalla parola rébua è forse derivato il casato Rèbora.<br />

Con le castagne, come con la maggior parte dei frutti, si può ottenere anche dell’ottima marmellata.<br />

----------<br />

E, sempre a Rivalto, nacque il Beato Giordano.<br />

Era un umile frate domenicano del Duecento nato ricco e nobile, tant'è vero che era un Corsini.<br />

Visse nella Pisa ancora repubblicana la sua vita povera e tutta dedita alla gente - ed era tanta, forse<br />

troppa - che soffriva di malattie e miseria, dopo essere stato un facondo predicatore.<br />

Aveva predicato non solo in latino, ma anche in volgare, per far conoscere il Verbo anche alla gente<br />

umile che proprio di latino non ne sapeva niente.<br />

Per alleviarne le sofferenze, fondò a Pisa la Compagnia del Crocione che ha tuttora i suoi seguaci<br />

nei confratelli della Misericordia (ma a Pisa tutti dicono Miseriòrdia perché non pronunciano la<br />

"c" dura in mezzo a due vocali) che venerano i resti di Giordano da Rivalto nella chiesa di San<br />

Giuseppe, a due passi da quel Bagno di Nerone che è già stato citato a proposito di San Torpé.<br />

La chiesa poggia su strutture antichissime - ma fu rifatta di sana pianta nel '700 - e dà su di una<br />

piazzetta intitolata proprio a Giordano da Rivalto e molti turisti, anche colti, si chiedono chi fosse<br />

mai stato costui.<br />

Il buon frate ebbe la sua prima sepoltura nella monumentale chiesa di Santa Caterina, ad un<br />

centinaio di metri da quella di San Giuseppe, in un'arca posta ora sotto l'altare maggiore.


Fu anche, a suo modo, un inventore: si deve a lui, ed a certi suoi studi giovanili sull'ottica,<br />

l'invenzione degli occhiali da naso.<br />

Di lui scrive anche Umberto Eco nel Nome della Rosa: il personaggio principale del racconto,<br />

54<br />

Guglielmo da Baskerville, infatti, cita - a proposito degli occhiali che gli servivano per leggere i<br />

testi sacri - un certo frate Giordano dell'Ordine dei Domenicani che aveva conosciuto a Pisa.<br />

Chi vuole dedicare al buon frate una preghiera potrà cogliere l'occasione per ammirare, nella bella<br />

chiesa romanico-gotica pisana di Santa Caterina, sconosciuta al turismo di massa, una drammatica<br />

deposizione di Santi di Tito ed alcune mirabili sculture di Nino Pisano.<br />

Le regole della Misericordia di Pisa, ancorché aggiornate nel 1894, sono pressoché le stesse<br />

dettate nel Duecento da Giordano da Rivalto.


17 TERRICCIOLA: ANCORA VINI, LE FESTE DELL'UVA E L'UCCISIONE DI<br />

PIER CAPPONI.<br />

55<br />

************************************************************************<br />

metà strada fra Casciana Terme e Chianni, un bivio riconduce, in discesa, nella valletta<br />

A<br />

della Càscina, terrificante torrente famoso per i suoi straripamenti autunnali.<br />

Di qui,<br />

dopo una risalita breve e ripida, si arriva a Terricciola, altro ameno paesotto di<br />

vinai<br />

e di cantine scavate nel tufo.<br />

Era già abitato dagli enigmatici padri etruschi, che dovevano aver caro il luogo, tanto da<br />

farcisi seppellire e lasciar beffardamente ai posteri alcuni rebus ancora irrisolti.<br />

Una delle loro urnette è tuttora custodita nella parrocchiale, mentre recentemente si è<br />

scoperto che, sotto la Piazza del Mercato di Terricciola esistevano dei vani disposti a ferro di<br />

cavallo, utilizzati da alcuni proprietari di abitazioni vicine come cantine o, comunque, locali di<br />

sgombero.<br />

Dopo diversi sopralluoghi, si è riusciti a capire che quasi certamente si trattava di una necropoli<br />

etrusca completamente priva da secoli di ogni suppellettile, ma che testimoniava che tra le fine del<br />

VI e gli inizi del V secolo a.C. una comunità dell’aristocrazia rurale etrusca viveva in questi luo-<br />

ghi.<br />

Recentemente, poi, si è scoperto che un cilindro di pietra che tutti avevano scambiato per un<br />

paracarro nient’altro era se non un cippo funerario etrusco. Era ben piantato sul ciclo della strada<br />

che conduce da Selvatelle al centro di Terricciola chissà da quanti secoli.<br />

Nella vicina Badia della frazione di Morrona, è, invece, custodita una tavola (Madonna con<br />

Bambino) del Maestro di San Torpé, artista alquanto misterioso, spesso confuso addirittura con<br />

uno dei Lorenzetti, massimi pittori senesi.<br />

Nel 1989 fu battuta alla Finarte di Milano una minuscola crocifissione su tavola, attribuita a questo<br />

pittore senza identità.<br />

Il quadretto è forse lo stesso che fu presentato nello stand di un grosso antiquario di Montecarlo<br />

(Galérie d’Art Ancien) ad una delle più recenti biennali dell’Antiquariato di Firenze,


svoltasi nel sontuoso Palazzo Corsini dell’omonimo lungarno a cento metri da Ponte Vecchio.<br />

L’antiquario monegasco presentava il Maestro di San Torpé come pittore senese attivo nel<br />

periodo a cavallo tra il Due ed il Trecento.<br />

56<br />

La Badia di Morrona fu un complesso camaldolese già intorno al 1100; le sue strutture<br />

fanno capire che in seguito fu dimora di campagna da diverse famiglie danarose, finché<br />

negli ultimi tempi - e dopo non pochi lavori di restauro - è stata adibita a centro di<br />

agriturismo che fa parte di un consorzio denominato "Toscana più".<br />

La Badia di Morrona appare nelle cronache del '400 al centro di un episodio sanguinoso:<br />

nel 1492 - anno della morte del Lorenzo il Magnifico e del primo viaggio di Cristoforo<br />

Colombo - fu fatta radere al suolo dalle truppe fiorentine al soldo del vescovo di Volterra<br />

Guicciardini, a sua volta complice delle atrocità dei soldati medicei durante il sacco della<br />

città etrusca.<br />

In un'altra frazione poco lontana, Soiana, fu ucciso da una palla di fucile pisano Pier Capponi, che<br />

tutti ricordano come quell'eroe dell'indipendenza della repubblica fiorentina. Fu colui che, dopo la<br />

cacciata dei Medici, pronunciò - davanti all'esercito francese alleato dei deposti e che assediava<br />

Firenze - la frase: "Se suonerete le vostre trombe (per partire all'assalto della città assediata) noi<br />

suoneremo le nostre campane (e faremo sollevare il popolo)".<br />

Il fatto dell'uccisione di Pier Capponi avvenne il 21 settembre 1496, durante un altro assedio molto<br />

meno famoso: quello, appunto, del castello di Soiana la cui guarnigione era rimasta fedele a Pisa,<br />

durante l'ultima rivolta pisana al dominio fiorentino e l'effimera seconda repubblica marinara.<br />

Infatti, un cronista dell'epoca riferisce che il gonfaloniere fiorentino morì "all'assalto di quel forte,<br />

mentre piantava artiglierie, colpito alla fronte da palla di falconetto".<br />

Quella morte - a detta del cronista - era stata predetta da un indovino e la tragedia fece interrompere<br />

l'assedio provocando la ritirata dei fiorentini.<br />

Ma ci fu la vendetta: l'anno successivo il castello di Soiana, abbandonato nel frattempo dai fedeli<br />

della repubblica pisana, fu totalmente distrutto e raso al suolo dalle soldataglie mercenarie al<br />

seguito dell'esercito fiorentino.<br />

Che il vino e tutto quello che attiene al culto di Bacco da queste parti abbia un grande valore, dato<br />

dalla presenza, al centro del paese, dell'Enoteca Provinciale ove sono raccolti i campioni di tutti i<br />

vini prodotti non solo nella Valdera, ma anche nell'intera provincia di Pisa.<br />

Ci sono quelli con la d.o.c.e la d.o.c.g., ma presto ci saranno quelli che avranno ottenuto l’indica-<br />

zione geografica, ai sensi della nuova legge sulle denominazioni dei vini.<br />

E' una bella sala con volta - perché no ? - a botte ed arredata in modo alquanto sobrio, ma che<br />

contiene quanto di più buono e genuino è qui prodotto dal tempo dei sorridenti etruschi.


A settembre, a Terricciola, si tiene una delle ultime feste dell'uva: manifestazioni, queste, che<br />

ebbero il loro momento di celebrità e di forte partecipazione popolare negli anni '20-'30<br />

del nostro strano secolo.<br />

57<br />

Le feste dell'uva erano - in quei decenni di aratri che tracciavano il solco e di spade che lo<br />

difendevano - un segno del consenso popolare ad una visione populistica dell'economia<br />

nazionale.<br />

E da carri allegorici trainati dai buoi dalle lunate corna, vignaioli e massaie rurali<br />

offrivano, al pubblico ed alle autorità impettite, grappoli d'uva da tavola e da vino, fra<br />

frastuoni di bande, corse campestri e cori di alalà.<br />

Poi le cose cambiarono: e, con gli alalà, anche le feste dell'uva e le corse campestri furono<br />

scaraventate nel dimenticatoio.<br />

Da Terricciola, una via in ripida discesa porta nuovamente sulla strada statale volterrana.<br />

18 LAJATICO: UN ANTESIGNANO DI TANGENTOPOLI, UN UOMO <strong>DELLA</strong> PIETRA<br />

E UNA BANCA<br />

*******************************************************************************<br />

eguendo la segnaletica per Volterra e dopo una breve volata, dopo il bivio della Sterza e<br />

S<br />

svoltando a destra, una strada in lieve salita contornata da filari di cipressi porta all'ultimo<br />

paese della Valdera. E’ Lajàtico, comune forse da sempre.<br />

Infatti, il suo centro ruota sul palazzo pretorio, che conserva quasi intatti gli stemmi dei<br />

soliti vicari e capitani del popolo fiorentini che governarono quel territorio per cinquecento<br />

anni ed al quale fu aggiunta, forse nell'Ottocento, l'immancabile torre dell'orologio.<br />

L'edificio risente parecchio di questa ristrutturazione ottocentesca, ma bisogna capire che Lajàtico<br />

fu un importante castello fortificato della Repubblica Pisana che qui aveva una guarnigione che<br />

doveva difendere la Valdera da sempre possibili incursioni dei volterrani, dei senesi e, soprattutto,<br />

dei fiorentini.<br />

Ai quali un notabile del paese, tale Pietro Gaetani, uomo corrotto ed antesignano di Tangentopoli,<br />

vendette il castello pisano.<br />

Onde non lasciar ai posteri memoria della pisanità del luogo, ai fiorentini non rimase altro che<br />

distruggere il castello ed edificare sulle sue macerie il palazzo pretorio che avrebbe ospitato i


58<br />

loro governatori mandati dai vincitori a comandare su quelle lontane terre di frontiera e, soprattutto,<br />

a tassarne gli abitanti.<br />

Anche i vicari fiorentini che si insediarono a Lajàtico, a loro volta, non erano gente dappoco: come<br />

a Pèccioli e Lari erano discendenti o parenti di quelle famiglie della cerchia dei Medici che si erano<br />

impossessate - caduta la Repubblica marinara di Pisa - di tutti i terreni coltivabili della Valdera.<br />

Una lapide, apposta negli anni trenta di questo secolo nel piccolo palazzo pretorio di Lajàtico,<br />

ricorda quegli avvenimenti lontani ed addita tuttora al pubblico ludibrio l'infame Gaetani.<br />

A Lajàtico, alla base di un chiesone parrocchiale ottocentesco dedicato a San Leonardo sono<br />

avvertibili antiche strutture romaniche; qualche decina di passi più avanti, una bella cappella degli<br />

anni venti è dedicata ai caduti della prima guerra mondiale originari di questi luoghi.<br />

Ragazzi che avevano lasciato le loro giovani vite di contadini per andar a morire fra i reticolati sulle<br />

pietraie del Carso o sulle rive insanguinate dell'Isonzo.<br />

Lajàtico, essendo su un poggio, ha l'invidiabile privilegio di possedere alcuni belvedere - o<br />

belleviste come si dice in Liguria - dai quali lo sguardo spazia tutt'intorno.<br />

Però, solo boschi, campagne ben curate e qualche paesino isolato. E, sullo sfondo, Volterra, città<br />

etrusca per eccellenza.<br />

Anche qui, nelle campagne di Lajàtico, gli Etruschi vivevano e si facevano seppellire; ma c'era<br />

stato chi li aveva preceduti.<br />

Anni fa, infatti, fu addirittura trovato - in una località sperduta nelle campagne che circondano il<br />

paese - lo scheletro di un uomo senz'altro dell'età della pietra.<br />

Questo nostro sconosciuto antenato aveva evidentemente precedutogli Etruschi nel scegliere come<br />

luogo di residenza queste terre salubri perché lontane dalle mefitiche maremme della costa.<br />

Lajàtico - paese di calanchi, boschi e prati - ha, però, una sua piccola peculiarità: quella di essere<br />

sede di una banca.<br />

Piccola fino che si vuole, ma banca; e per di più popolare ed agricola, come diceva la sua ragione<br />

sociale e come si conviene in luoghi di campagna.<br />

E ci sono anche qui fior di bancari che, come diceva Gino Bramieri, hanno un'anima.<br />

Un po' prima del paese, in un podere chiamato Serra d'Arco, anni fa ci fu anche un po' di febbre da<br />

petrolio.<br />

Infatti - non si sa bene dopo quali studi geologici - l'AGIP inviò fra le colline di Lajàtico<br />

un'impresa che sondò, fra un immane baccano di perforatrici, per qualche migliaio di metri di<br />

profondità. Poi, cementò tutto.


59<br />

Che si fosse trovato almeno un po' di metano è ovvio; ma, oggi come oggi, sul pozzo di Lajàtico<br />

crescono rigogliosi i girasoli, mentre si sono spente forse per sempre le speranze di una<br />

autosufficienza energetica della Valdera.<br />

Tornati al bivio della Sterza, la segnaletica indica due destinazioni:<br />

• quella per Pontedera, da dove cominciato il nostro viaggio, e<br />

• " " Volterra, città quest'ultima oggetto da sempre di una fertile e dotta letteratura che ha<br />

esaltato le bellezze austere del suo centro medioevale ed ha cercato di risolvere gli enigmi degli<br />

Etruschi che da lassù ci osservano beffardi.<br />

Una breve deviazione - oltrepassata la località Molino d'Era (un albergo e due ristoranti) che Š già<br />

in territorio del comune di Volterra - ci porta nel paesino di Villamagna: nulla di eccezionale<br />

all'infuori di belle campagne e di una pieve romanica.<br />

Ma, anche qui una curiosità: vicino all'ufficetto postale c'è una casa ove, sull'aia, razzolava e<br />

scodinzolava un cinghialotto di pochi mesi che rispondeva al nome di Grillo e faceva le feste a<br />

tutti coloro che lo chiamavano per nome.<br />

Ma non è tutto: i padroni di casa vi accompagneranno allora ad ammirare la madre di Grillo, una<br />

grossa cinghiala di razza ungherese che ha come compagno un maschio di razza maremmana e che<br />

snocciola cucciolate una dietro l'altra.<br />

Un allevamento casalingo di cinghiali, dunque, destinati, una volta macellati, a dar luogo a pro-<br />

sciutti e salami, bistecche e bocconcini, per la gioia dei buongustai e per rimpinguare le casse dei<br />

ristoratori della zona.<br />

Fanno compagnia a questi pelosissimi suini anche cani di varie razze, gatti siamesi e persiani, una<br />

volpe, varie tartarughe, anatre, galline, tacchini e, tanto per dar una pennellata di colore, pavoni<br />

e pavonesse. Un vero e proprio giardino zoologico.<br />

Alla Sterza è nato, da buona ed agiata famiglia del luogo, Andrea Bocelli.


19 ...E OVUNQUE, SAGRE PER TUTTI: BASTA STARE IN ALLEGRIA<br />

60<br />

*************************************************************<br />

l breve viaggio nella Valdera sarebbe finito qui, se l'autore di questo libello non sentisse<br />

I<br />

l'obbligo di aprire ancora una parentesi, e divagare come è suo costume.<br />

Il viaggiatore<br />

accorto avrà notato, lungo i vari itinerari, manifesti multicolori che annunciano,<br />

quando<br />

in un paese quando in un altro, sagre, feste, gare, esposizioni e chi più ne ha più ne<br />

metta,<br />

e deve star attento a luoghi e date.<br />

Ed, aggiunge l'autore, quello di organizzare tutto quello che oggi si chiama - con una parola<br />

del dialetto sociologhese resa popolare dalla tivù - l'aggregazione, sembra essere una delle<br />

peculiarità degli abitanti della Valdera.<br />

Non c'è paese che non organizzi un palio con tanto di comparse in costume, una gara di uomini<br />

forzuti, una abbuffata collettiva, un presepe vivente o una festa pro-Misericordia.<br />

Le Misericordie, in Toscana, sono organizzazioni umanitarie cattoliche di origini<br />

medioevali. Ne abbiamo già parlato a proposito di Giordano da Rivalto, nel capitolo<br />

dedicato a Chianni.<br />

Il nome Misericordie, però, è un eufemismo: altrove si chiamavano Compagnie della<br />

Buona Morte, e tutte quante si occupavano dei funerali della povera gente.<br />

I confratelli delle Misericordie di una volta (ma si parla solo di qualche decennio fa) sono<br />

ancor oggi ricordati per le loro palandrane ed i loro cappucci neri.


61<br />

Poi, divennero anche compagnie di barellerei per il trasporto di malati e feriti, sia in<br />

tempo di pace che in tempo di guerra, sulla falsariga di quelle che in Liguria sono le varie<br />

Croci: verde, rosa, d'oro, bianca, e via elencando, colore più colore meno.<br />

Oggi le Misericordie fanno parte della famiglia del Volontariato e i loro ragazzi<br />

scattano come molle ove c'è bisogno di dar una mano: dalle alluvioni del Valdarno alla<br />

Bosnia.<br />

Ma l'importante, per i valligiani, è star insieme e tornare a viver in comunità dimenticando per<br />

qualche ora la robotica industriale e le nevrosi che ne conseguono.<br />

E facendosi risate omeriche sugli errori di fonetica del povero Adriano Dezan, che qualche anno fa<br />

- inviato speciale della tivù alla Coppa Sabatini - pronunciò, nella foga della telecronaca, Pecciòli<br />

come parola piana e Terrìcciola come parola sdrucciola.

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