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Guida all’ascolto<br />
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folkloristica che assume un sapore naturalistico, subito riportato alla realtà dello stile<br />
rossiniano che domina nel variato gioco al quale successivamente la melodia s’abbandona.<br />
Il quarto e ultimo episodio si apre con un’inattesa fanfara: la famosa “cavalcata” ripropone<br />
la “formula” rossiniana, ma con spirito ben distaccato dalle precedenti soluzioni. Questo<br />
effetto prodigioso, tutto intessuto di contrasti ritmici e strumentali, è tuttavia ottenuto da<br />
Rossini con un tema da lui precedentemente composto per un passo doppio scritto per<br />
una banda militare, durante il suo soggiorno a Vienna nel 1822. L’esperienza strumentale<br />
di Rossini ha un valore specifico, poiché è la più intima espressione di un “carattere”<br />
musicale: essa chiarisce il suo stile operistico che non è mai vocale, senza essere, nello<br />
stesso tempo, strumentale e polifonico, che non è teatrale senza che la sua teatralità si<br />
giustifichi nel dialogo strumentale.<br />
Luigi Rognoni<br />
due lettere di Gioachino Rossini<br />
ho vestito la parola libertà nel mio Guglielmo tell<br />
Passy de Paris, 19 giugno 1864 […] E voglio per Dio che fraternizziamo con quella<br />
effusione del cuore che è ognora calda negli Italiani, sebbene alcuni miserabili miei<br />
concittadini mi abbian fatta riputazione di “codino”! ignorando gl’infelici che nella mia<br />
adolescenza artistica musicai con fervore e successo le seguenti parole (nell’Italiana in<br />
Algeri, 1813, Recitativo Pensa alla patria dell’atto II, ndr): Vedi per tutta l’Italia / Rinascere<br />
gli esempi / D’ardire e di valor! / Quanto valgan gli Italiani / Al cimento si vedrà!<br />
E poscia nel 1815, venuto il re Murat a Bologna, con sante promesse, composi l’Inno<br />
dell’Indipendenza, che fu eseguito al teatro Cantavalli. In quest’Inno si trova la parola<br />
“Indipendenza”, che sebbene poco poetica, ma intuonata da me colla mia canora voce di<br />
quell’epoca!, e ripetuta dal popolo, cori, etc., destò vivo entusiasmo […]. Per distruggere<br />
poi l’epiteto di codino, dirò per finire che ho vestito la parola libertà nel mio Guglielmo<br />
Tell a modo di far conoscere quanto io sia caldo per la mia patria e pei nobili sentimenti<br />
che la investono. Vi scrivo tutti questi particolari e vi do sì a lungo la pena di leggermi,<br />
perché ho ragioni di supporre che non mi avete in gran concetto politicamente parlando;<br />
e onde abbiate in mano un’arme per difendermi.<br />
come si compone un’Ouverture<br />
[senza data] Aspettate fino alla sera del giorno fissato per la rappresentazione. Nessuna<br />
cosa eccita più l’estro come la necessità, la presenza d’un copista, che aspetta il vostro<br />
lavoro e la ressa d’un impresario in angustie, che si strappa a ciocche i capelli. Ho<br />
composto l’ouverture dell’Otello in una cameretta del palazzo Barbaja, senz’altra cosa<br />
che un piatto di maccheroni e con la minaccia di non poter lasciare la camera, vita<br />
durante finché non avessi scritto l’ultima nota. Ho scritto l’ouverture della Gazza ladra il<br />
giorno della prima rappresentazione sotto il tetto della Scala, dove fui messo in prigione<br />
dal direttore, sorvegliato da quattro macchinisti, che avevano l’ordine di gettare il mio<br />
testo originale dalla finestra, foglio a foglio, ai copisti, i quali l’aspettavano abbasso<br />
per trascriverlo. In difetto di carta da musica, avevano ordine di gettare me stesso dalla<br />
finestra. Pel Barbiere feci meglio: non composi ouverture, ma ne presi una che destinava<br />
ad un’opera semiseria chiamata Elisabetta. Il pubblico fu arcicontento. Ho composto<br />
l’ouverture del Conte Ory stando a pesca, coi piedi nell’acqua, in compagnia del signor<br />
Aguado, mentre costui parlava di finanze spagnuole. Quella del Guglielmo Tell fu scritta<br />
in circostanze presso a poco simili. Quanto al Mosé non ne feci alcuna.<br />
[da Luigi Rognoni, Rossini, Guanda, Parma, 1956, pp. 14 e 26-27]