Cliccando qui - Damiduck
Cliccando qui - Damiduck Cliccando qui - Damiduck
Novità agosto 2007 La Bestia del Gévaudan Quando il serial killer è un animale di Giovanni Todaro, formato cm 21 x 29, pagg. 278, con 105 illustrazioni Prezzo € 19,90 più spese di spedizione postale Il libro, per scelta dell’autore, non è attualmente reperibile nelle librerie. Chi volesse acquistarlo, potrà richiederlo inviando l’ordine alla casa editrice internazionale www.lulu.com oppure andare direttamente al sito del libro www.lulu.com/content/1133522 Di seguito il piano dell’opera e alcuni capitoli liberamente consultabili
- Page 2 and 3: Capitoli 1 - L’inizio dell’incu
- Page 4 and 5: giorno stesso, il primo di luglio d
- Page 6 and 7: Rivoluzione Francese, che si verifi
- Page 8 and 9: posteriori. I lupi più grandi, com
- Page 10 and 11: cibo, cerca di pascersi di sola car
- Page 12 and 13: la costringe ad andare nella direzi
- Page 14 and 15: avrebbero sfruttato politicamente q
- Page 16 and 17: La Bestia però saltò ancora addos
- Page 18 and 19: capiva la loro miseria e soprattutt
- Page 20 and 21: Per questo motivo molto probabilmen
- Page 22 and 23: La risposta è che non sempre era p
- Page 24 and 25: Nella richiesta inoltrata agli Ammi
- Page 26 and 27: a) Luigi XV avrebbe potuto disinter
- Page 28 and 29: Qualcuno però dovette notare le im
- Page 30 and 31: aveva capito che la Bestia era anco
- Page 32 and 33: Dobbiamo ritenere che in tutto ques
- Page 34 and 35: E’ evidente che i piedi della Bes
- Page 36 and 37: soliti della zona, ma sempre lupo,
- Page 38: misurazione. L’esemplare esaminat
Novità agosto 2007<br />
La Bestia del Gévaudan<br />
Quando il serial killer è un animale<br />
di Giovanni Todaro, formato cm 21 x 29, pagg. 278, con 105 illustrazioni<br />
Prezzo € 19,90 più spese di spedizione postale<br />
Il libro, per scelta dell’autore, non è attualmente reperibile nelle librerie.<br />
Chi volesse ac<strong>qui</strong>starlo, potrà richiederlo inviando l’ordine alla casa editrice internazionale<br />
www.lulu.com oppure andare direttamente al sito del libro www.lulu.com/content/1133522<br />
Di seguito il piano dell’opera e alcuni capitoli liberamente consultabili
Capitoli<br />
1 - L’inizio dell’incubo<br />
2 – Le autorità intervengono<br />
3 – Una strana bestia<br />
4 - L’esercito francese, la monarchia e gli ugonotti<br />
5 - La strage continua<br />
6 - La Bestia decapitatrice<br />
7 - Le ipotesi<br />
8 - La sciabola di un uomo?<br />
9 - La Bestia è ferita?<br />
10 - Gli attacchi continuano<br />
11 - Un territorio difficile<br />
12 – Le armi<br />
13 - Le taglie e le trappole<br />
14 – La Bestia messa in fuga<br />
15 – Si ricompensino i valorosi<br />
16 – Il fallimento di Duhamel<br />
17 – Duhamel sostituito da d’Enneval<br />
18 – I cani<br />
19 – La lotta di Jeanne<br />
20 – d’Enneval in azione<br />
21 – La Bestia uccisa?<br />
22 – Uomini, lupi e Bestie<br />
23 – Antoine sostituisce d’Enneval<br />
24 – Servono altri cani<br />
25 – Un colpo di baionetta!<br />
26 – L’arresto dei Chastel<br />
27 – Un lupo mannaro?<br />
29 – Un lupo colossale<br />
30 – L’oltraggiosa accusa<br />
31 – La Bestia uccisa!<br />
32 – L’esame della Bestia<br />
33 - Nessuna ricompensa per Chastel<br />
34 - Cosa poteva essere la Bestia?<br />
35 – La Bestia di Cusago<br />
2
L’inizio dell’incubo<br />
La prima vittima ufficiale della Bestia fu Jeanne Boulet, una ragazza quattordicenne del villaggio di<br />
Les Ubas, facente parte della parrocchia di Saint Etienne de-Lugdarés. Portava le poche bestie al<br />
pascolo nelle alte radure di quella zona collinare del Gévaudan, coperta di boschi tenebrosi e umidi<br />
la cui continuità era rotta solo da malsane zone paludose e da ampie radure erbose. Oggi l’antico<br />
Gévaudan è suddiviso nei dipartimenti dell’Haute Loire, Cantal, Ardèche e soprattutto della Lozère,<br />
ma allora era il Gévaudan e basta. Jeanne Boulet trascorreva sola le giornate lassù, non sappiamo<br />
fantasticando su cosa, forse su qualche ragazzo che le piaceva e che la corteggiava giù a Les Ubas o<br />
forse persino a Saint Etienne. Del resto fra poco avrebbe compiuto <strong>qui</strong>ndici anni e, per i canoni di<br />
quell’epoca, era già una ragazza da marito. Senza dubbio sperava in un futuro felice, lontano dalla<br />
povertà di quella zona in cui poter mangiare tre volte al giorno delle castagne bollite e qualche<br />
patata era già una speranza di vita da cui la fame perenne era bandita.<br />
Non era solo in quella zona del Massiccio Centrale francese che la povertà era tanto diffusa e<br />
opprimente. In tutta Europa era così, perché i ricchi erano pochi e gli indigenti la stragrande<br />
maggioranza. E così, visto che le bocche da sfamare erano tante e che ognuno doveva fare qualcosa<br />
per guadagnarsi il pane quotidiano, persino i bambini di sette o otto anni venivano mandati a far<br />
pascolare le bestie in zone inospitali e pericolose.<br />
La Francia a quell’epoca contava circa 26 milioni di abitanti, di cui ben 18 milioni erano agricoltori<br />
e allevatori. Solo il 33% della terra era dei piccoli proprietari, che erano in tutto 11 milioni, mentre<br />
il resto era per il 47% della nobiltà e il 20% del clero. Su queste terre si allevavano 2.700.000 buoi<br />
da lavoro, di cui ogni anno ne venivano macellati 200.000 per il consumo cittadino e 100.000 per il<br />
fabbisogno locale, 400.000 buoi da ingrasso, consumati annualmente e pariteticamente fra città e<br />
campagne, 4.000.000 di vacche, con un consumo annuale di 450.000 capi per le città e di soli 6000<br />
per le campagne, 3.000.000 di vitelli, di cui sempre ogni anno 1.500.000 finiva macellato in città e<br />
1.200.000 in campagna, 4.000.000 di maiali, di cui 440.000 fornivano le città e ben 2.000.000 le<br />
campagne e, per finire, 20.000.000 di pecore, di cui ogni anno se ne macellavano 3.750.000 per le<br />
città e 1.500.000 per le campagne.<br />
Perché vi ho fornito tutti questi dati? Per farvi capire tre cose prima di iniziare la nostra storia e<br />
cioè, primo, che l’allevamento in Francia era un attività strategica e fondamentale. Secondo, che in<br />
alcune aree, come appunto il Gévaudan, era l’attività comune su cui si basava l’economia locale.<br />
Terzo, che la povera Jeanne Boulet era uno dei tanti “addetti ai lavori” che davano vita<br />
all’economia locale. Pertanto, la comparsa della Bestia del Gévaudan non colpì solo le vittime e le<br />
loro famiglie, ma causò un terrore diffuso in zona, tanto che molti pastori ridussero o cessarono del<br />
tutto la loro attività, con conseguente calo della produzione zootecnica in un’area che era già<br />
famosa per la povertà e la dura vita dei suoi abitanti. Tanto poteva causare all’epoca un animale,<br />
Bestia o lupo che fosse, come quello che atterrì il Gévaudan per ben quattro anni. Il problema<br />
<strong>qui</strong>ndi non fu solo umano ma sociale, economico e infine politico.<br />
Torniamo a Jeanne Boulet e alle sue vacche al pascolo. La ragazza doveva, forse, sentirsi più sicura<br />
di un bambino di pochi anni lasciato solo lassù con gli armenti, com’era purtroppo la prassi, ma<br />
questo non la confortava di certo, mentre attendeva che passasse anche quella giornata.<br />
Nella zona c’erano molti lupi e Jeanne sapeva bene quella che era la realtà. Il lupo poteva sbucare<br />
all’improvviso dal fitto bosco e attaccare e uccidere non solo gli armenti, ma anche le persone,<br />
specie le donne e i bambini. Non lo facevano tutti i lupi, anzi un tale comportamento era abbastanza<br />
raro, però non si sapeva mai, chissà. Ma l’unica cosa che si poteva sperare del resto era che non<br />
capitasse o, nella peggiore ipotesi, che capitasse altrove e a qualcun altro. Forse Jeanne pensava<br />
anche a questo quel 30 giugno 1764. Ma quella sera non rientrò a casa e la sua famiglia cominciò a<br />
preoccuparsi non vedendola tornare quando cominciavano a calare la tenebre. La cercarono fra gli<br />
alti pascoli, là dove portava sempre gli armenti, e così il suo corpo fu trovato il giorno dopo.<br />
Indubbiamente era stata divorata da una fiera. I miseri resti della povera ragazza furono sepolti il<br />
3
giorno stesso, il primo di luglio del 1764, ma senza che il prete le desse i sacramenti adducendo il<br />
fatto che, prima di essere sbranata, non si era confessata. Un ultimo insulto per un'innocente<br />
sventurata.<br />
Quando la notizia si sparse, tutti pensarono al possibile assassino. Un animale forte e feroce.<br />
Difficile l’orso, del resto ormai raro in quella zona, perché non attacca l’uomo se non provocato e<br />
che se affamato si sarebbe preso con facilità una delle sue ben più sostanziose vacche. Difficile la<br />
lince, che non attacca né l’uomo né le vacche. Questi animali vivevano ancora su quelle montagne,<br />
più in alto, ma a memoria d’uomo nessuno ricordava attacchi alle persone. Rimaneva solo una<br />
belva, la più temuta. Il lupo. Con ogni probabilità la famiglia della ragazza maledì quella vita e<br />
quella povertà, che non permetteva loro neppure di mantenere un cane da pastore, che certo avrebbe<br />
difeso la ragazza e gli armenti. Fatto sta che Jeanne Boulet lassù era rimasta sola contro l’orrore. E<br />
ora quella ragazza, che per i suoi familiari era come un isolato bocciolo di rosa in un mare di boschi<br />
e montagne tenebrose, era stata non colta, ma strappata dalla vita. E quel che rimaneva di quel<br />
bocciolo martoriato giaceva nell’umida terra del cimitero di Saint Etienne.<br />
La Bestia, così sarà chiamata per anni la belva che terrorizzò quella enorme zona montuosa,<br />
probabilmente aveva già fatto vittime umane ma non in modo sistematico e dunque è per questo<br />
motivo che il conto comincia da Jeanne Boulet. Se aveva già ucciso, la notizia non si era diffusa in<br />
periodi e zone in cui le notizie circolavano poco o niente, i giornali erano rari e l’analfabetismo<br />
imperante. Forse non aveva ucciso, ma io credo di sì, tuttavia molto probabilmente aveva già tentato<br />
di farlo. Infatti, collegarono alcuni, non era forse stata attaccata una ragazza nei pressi di Langogne,<br />
una località dell’Ardèche proprio a nord di Saint Etienne, circa un mese prima? Preciso che per altri<br />
studiosi della Bestia l’attacco che sto per descrivervi si verificò invece ai primi di aprile.<br />
Comunque, ecco il fatto.<br />
Era la prima settimana di giugno, forse il 3, e una pastorella che aveva portato al pascolo le sue<br />
mucche nella foresta di Saint Flour de Mercoire era stata aggredita da una grossa belva sbucata<br />
all’improvviso dal bosco. L’attacco era stato tanto repentino che i cani che accompagnavano la<br />
ragazza, evidentemente non grossi e coraggiosi cani da pastore, erano immediatamente fuggiti. La<br />
belva era balzata verso la ragazza, ma fortunatamente le mucche avevano contrattaccato. I bovini si<br />
erano comportati com’è tipico in questi casi se in zona ci sono predatori. Infatti, dove si è perso il<br />
ricordo dei predatori, che siano lupi o altro, le vacche tendono a fuggire e in tal modo le più deboli,<br />
e solitamente i vitelli, rimangono alla mercé del nemico senza che la mandria possa attuare una<br />
strategia organizzata di difesa.<br />
Ma se il predatore è ben conosciuto i bovini, come anche i maiali, sanno come comportarsi e si<br />
riuniscono in cerchio proteggendo i piccoli. La ragazza ebbe la fortuna di essere istintivamente<br />
considerata, in quel frangente, alla pari di un vitello dalle mucche che, a cornate, tennero a distanza<br />
la belva la quale, del resto, doveva conoscere e temere quel tipo di reazione, tanto che stava a<br />
distanza. Però i suoi tentativi, era infatti chiaro che la preda prescelta fosse proprio la ragazza, erano<br />
quelli di fare sbandare la mandria, tanto che continuava a girare attorno e a fare finti attacchi. La<br />
ragazza, non si sa se istintivamente o perché avesse capito che quello era l’unico modo per tentare<br />
di salvarsi la vita, in quel parapiglia cercava di tenersi sempre dietro le vacche, eppure la Bestia più<br />
volte riuscì a insinuarsi, fortunatamente non abbastanza, fra i bovini riuscendo però solo a strappare<br />
alla ragazza le vesti. Ma le vacche tennero duro e rintuzzarono ogni suo assalto.<br />
Casi simili sono documentati in tutta Europa. A San Colombano al Lambro, provincia di Milano, un<br />
lupo, ma era idrofobo, il 15 maggio 1767 azzannò prima cinque persone e dopo attaccò un certo<br />
Raffa. Ma il suo bue, vedendolo in pericolo, corse in sua difesa e respinse la belva, poi uccisa da<br />
Domenico Briocchi e Giovanni Grossi. A Cantù, provincia di Como, il 14 agosto 1809 un pastorello<br />
fu salvato dalla sua mucca che mise in fuga il lupo. Il 28 giugno 1811 un branco di lupi composto<br />
da tre maschi e una femmina adulti, nonché da otto cuccioli di pochi mesi che furono evidentemente<br />
solo spettatori, attaccò quattro vacche al pascolo nella zona di Buronzo, provincia di Vercelli, ma i<br />
lupi riuscirono solo a ferirle leggermente, venendo poi messi in fuga dagli stessi bovini. A Gessate,<br />
provincia di Milano, il 25 aprile 1816 un lupo assalì un gruppo di otto bambini a guardia delle<br />
vacche al pascolo e infine riuscì a addentare più volte la piccola Beatrice Ghiglio, di 8 anni, finché<br />
uno dei bovini non prese a cornate il lupo, salvandola.<br />
4
Anche i maiali, o un singolo maiale, più volte misero in fuga il lupo che aveva attaccato pastorelli e<br />
la cosa è logica, poiché un singolo lupo non è in grado di uccidere una vacca o un maiale adulto, a<br />
meno che questi animali non siano impossibilitati a muoversi. La stessa protezione, anzi ancor di<br />
più, la danno i grossi cani da pastore. Il 22 giugno 1810, in provincia di A<strong>qui</strong>la, una lupa fu assalita<br />
e uccisa dai cani da pastore di un gregge. Ma ci sono stati casi, anche se non frequenti, in cui singoli<br />
cani, e si trattava spesso di maremmani-abruzzesi, hanno ucciso singoli lupi in combattimento.<br />
Tornando alla pastorella di Saint Flour de Mercoire, una volta rientrata in paese sotto la protezione<br />
dei suoi armenti, in quello che senza dubbio fu un percorso da incubo nel timore che la belva<br />
tornasse, la povera pastorella raccontò sotto choc l’episodio, precisando di essere stata assalita non<br />
da un animale qualsiasi ma da “un’enorme belva dal pelo molto folto e rossiccio e dalle zampe<br />
dotate di lunghi artigli”. La bestia sarebbe stata grande come una vacca, con un torace molto largo,<br />
la testa enorme, orecchie diritte e corte e il muso lungo. La coda era lunga e insolitamente sottile e<br />
sulla groppa aveva una striscia nera che andava dalla cima della testa fino alla punta della coda.<br />
Aggiunse che l’animale poteva compiere balzi anche di nove metri, una prestazione che in realtà<br />
nessun lupo è in grado di fare. Ma l'opinione generale fu che si trattasse di un lupo, magari grosso,<br />
che agli occhi di una ragazzina giustamente terrorizzata era sembrato un mostro gigantesco. Su una<br />
cosa però furono tutti d’accordo e cioè che la pastorella era ancora viva solo per un miracolo e,<br />
molto più concretamente, grazie alle sue vacche.<br />
Forse quella belva era la stessa che, una trentina di giorni dopo, aveva ucciso e divorato Jeanne<br />
Boulet. Ora sorge la prima domanda. Cosa mangiò la belva in quel mese, ossia il periodo che<br />
intercorre dall’attacco non riuscito nella foresta di Saint Flour de Mercoire e quello mortale a<br />
Jeanne Boulet? Nella zona del Massiccio Centrale e <strong>qui</strong>ndi anche nel Gévaudan la selvaggina,<br />
inclusa quella grossa, non mancava affatto, solo che era di proprietà in massima parte della nobiltà<br />
la quale possedeva enormi riserve di caccia nelle quali, ovvio, il popolino non poteva accedere per<br />
cacciare.<br />
Non solo, in certe zone, cervi, caprioli e altri ungulati, grazie alla totale protezione accordata dai<br />
nobili, erano divenuti talmente numerosi da danneggiare gravemente le colture della povera gente,<br />
alla quale era severamente vietato di reagire in qualsivoglia modo. Naturalmente la suddetta<br />
protezione non valeva per i nobili ossia i proprietari delle riserve i quali, durante le grandi battute<br />
dell’epoca, facevano veri e propri massacri di cacciagione. La nobiltà cercò in tutti i modi di<br />
incrementare il numero dei selvatici, che poi venivano abbattuti a centinaia di capi alla volta per<br />
solo divertimento. E grazie a questa protezione in alcune zone gli ungulati, soprattutto i cervi,<br />
aumentarono a dismisura, con grave danno alle colture e in ultima analisi ai contadini. Questa<br />
consuetudine non avvenne solo in Francia, ma in tutta Europa.<br />
A nulla servivano le proteste e persino le petizioni della gente affamata. I contadini a quell’epoca,<br />
un po’ in tutta Europa, avevano sovente anche altre limitazioni, come il divieto di costruire muri di<br />
pietra intorno ai coltivi, oppure di superare determinate altezze, il tutto per rendere possibile ai cervi<br />
l’andare a cibarsi dei raccolti. Non solo, era in vigore la cosiddetta "servitù di caccia" grazie alla<br />
quale qualsiasi nobile poteva organizzare battute di caccia sui terreni dei contadini, anche<br />
nell’imminenza dei raccolti. Questo significava che una battuta, con decine di cavalieri, battitori e<br />
mute di cani, poteva distruggere in pochi minuti il lavoro di un anno di una famiglia contadina. A<br />
volte questo era un sistema adottato per costringere i piccoli proprietari a vendere il terreno ai nobili<br />
a prezzi risibili, costringendoli così ad andarsene o a rimanere a servizio come braccianti salariati.<br />
Quando i campi erano invece di proprietà dei nobili, i contadini li lavoravano in base a una sorta di<br />
contratto di affitto che stabiliva che buona parte della produzione spettasse ai proprietari, i quali<br />
esigevano tutto il pattuito, che il raccolto fosse stato calpestato e distrutto o no a causa delle loro<br />
eleganti e grandiose battute di caccia. Tutte angherie che non facevano altro che esasperare sempre<br />
più la povera gente. L’elencazione di questi soprusi sarebbe troppo lunga per questa descrizione.<br />
Ma non dobbiamo del resto considerare “santo” il popolino, perché appena ne ebbe la possibilità<br />
attuò una tale pressione venatoria da spopolare del tutto ampie zone europee, e che molte specie<br />
animali sopravvissero proprio grazie alle aree protette precedentemente istituite e salvaguardate<br />
dalla nobiltà. Comunque, il disprezzo della nobiltà per gli interessi dei contadini e in pratica dei<br />
sudditi di basso lignaggio non fu certo una delle ultime cause dell’odio che poi esplose nella<br />
5
Rivoluzione Francese, che si verificò una ventina d’anni dopo i fatti che raccontiamo ora. Infatti, in<br />
Francia il diritto feudale di caccia cadde solo con la Rivoluzione e in particolare nella famosa seduta<br />
della Costituente, nella nottata del 4 agosto 1789.<br />
Torniamo alla nostra vicenda e alla domanda che ci eravamo fatti. Cosa mangiò la belva in quel<br />
mese, nel periodo che intercorre dall’attacco, fra l’altro non riuscito, nella foresta di Saint Flour de<br />
Mercoire e quello mortale a Jeanne Boulet? Da notare che se invece si accetta che l’attacco sia<br />
avvenuto prima, ossia nella prima settimana di aprile, il periodo si allunga addirittura a 120 giorni o<br />
poco meno. Eppure la Bestia dovette pur mangiare, e poiché in quel periodo non ci risultano stragi<br />
umane come quelle poi perpetrate, dobbiamo ritenere che si cibò di cacciagione e di animali<br />
domestici oppure che venisse alimentata da qualcuno. Ma ci arriveremo dopo.<br />
E’ però strano che una fiera che aveva dimostrato tale accanimento verso le giovani vittime umane,<br />
che ricercava appositamente, in quasi trenta giorni non si sia almeno imbattuta nelle centinaia di<br />
pastorelli indifesi sparsi nel territorio. Forse non tutte le vittime della Bestia furono elencate come<br />
tali perché ritenute semplici sparizioni di persone o perché non denunciate o perché imputate a<br />
comuni lupi. Parrà strana quest’ultima ipotesi, ma è un fatto che all’epoca non fosse poi così raro<br />
l’essere divorati dai lupi. In Francia ogni anno tali vittime erano fra le 30 e le 50, e forse molte di<br />
più.<br />
Comunque, quasi quaranta giorni dopo l’uccisione di Jeanne Boulet ed esattamente l’8 agosto ci fu<br />
la seconda vittima accertata, una ragazza di <strong>qui</strong>ndici anni compiuti abitante nel villaggio di<br />
Masméjean-d’Allier, parrocchia di Puylaurent. Indico la parrocchia perché la suddivisione<br />
territoriale in Comuni allora non esisteva.<br />
La sventurata, lasciata in vita dalla Bestia che non portò fino in fondo l’attacco perché<br />
probabilmente disturbata da qualcosa, quando fu ritrovata da tre taglialegna ormai agonizzante ebbe<br />
la forza di riferire che era stata aggredita da “una bestia orribile, metà lupo e metà tigre, con grandi<br />
artigli e lunga coda”. (continua)<br />
Una strana bestia<br />
In questi casi la prima cosa da farsi è studiare le caratteristiche del luogo dell’aggressione, cercare<br />
impronte e segni e ipotizzare ciò che è avvenuto. Insomma, si analizza, come diciamo oggi, la<br />
“scena del crimine”. La belva doveva essere arrivata lì dal bosco, muovendosi silenziosamente fra<br />
gli alberi come un’ombra e fermandosi dietro un riparo. Dietro aveva la sicurezza del folto, davanti<br />
lo spiazzo delle case. L’animale, appiattito per non farsi vedere da qualcuno, doveva avere<br />
esaminato attentamente tutt’intorno.<br />
I suoi sensi sviluppatissimi gli fornivano un quadro dettagliato della situazione. Le corte orecchie, a<br />
tratti abbassate per la tensione per poi essere alzate e tese in ogni direzione, percepivano i rumori da<br />
centinaia di metri di distanza, bambini che piangevano o giocavano, le galline che raspavano la terra<br />
intorno alle case in cerca di insetti, i maiali e le vacche e le pecore ormai ricondotte nei loro ricoveri<br />
visto che stava calando la sera e che muovendosi provocavano rumori diversi, il parlottio di persone<br />
fuori dalle case e persino dentro. Grazie al suo udito, 20 volte superiore a quello dell’uomo, non gli<br />
sfuggiva nulla. Ma non aveva solo questa capacità. Il suo sensibilissimo naso gli permetteva di<br />
percepire ogni odore, anche il più leggero, e i flussi odorosi che provenivano da ogni direzione, e<br />
specie quando la leggera brezza spirava verso la belva, gli fornivano infinite informazioni,<br />
addirittura impensabili per gli umani. Infatti il suo olfatto era 100 volte superiore a quello<br />
dell’uomo, e solo alcuni cani da caccia lo e<strong>qui</strong>valevano.<br />
La belva, supposero gli uomini esperti che stavano cercando di ricostruire la dinamica dell’attacco,<br />
doveva avere osservato attentamente il villaggio e chissà per quanto tempo. Ma la vista non aveva<br />
le straordinarie capacità degli altri sensi e l’animale poteva distinguere bene i dettagli di un oggetto<br />
o di un animale immobile solo da qualche decina di metri. Ma qualunque cosa si muovesse anche<br />
impercettibilmente e a grande distanza, bene, non gli sfuggiva. È una caratteristica dei predatori.<br />
6
La belva probabilmente si era poi spostata. Un rumore in particolare l’aveva attirata. Veniva da<br />
dietro alcune case, più a lato. Era un rumore sordo, ritmico, ed era quello di una zappa che colpiva<br />
la terra. La belva si alzò e silenziosamente, guardandosi sempre attorno attentamente, andò in quella<br />
direzione. Ora le sue orecchie percepivano meglio anche un rumore molto più leggero, ed era<br />
l’ansare della persona che stava lavorando con la zappa. E l’odore, acre e forte, del sudore della<br />
persona che stava zappando era chiaro e netto. La belva aveva percorso il breve tratto e si era<br />
nascosta lì, forse proprio dietro a quel cespuglio e poi era avanzata fino a quella catasta di legna<br />
tagliata. Forse, perché lì non c’erano impronte perché il terreno era coperto di erba e foglie.<br />
La donna era di spalle, del tutto ignara. L’animale con ogni probabilità considerò che quella donna<br />
fosse facilmente abbattibile, ma che non era del tutto inerme perché quello che teneva in mano e che<br />
faceva rumore quando colpiva il terreno era una specie di bastone. Sapeva che gli umani potevano<br />
difendersi con quello, perché l’aveva provato. Faceva male. E poi quella donna era vicina alla casa<br />
e al villaggio, dove potevano esserci uomini o cani o vacche che avrebbero potuto accorrere in suo<br />
aiuto. La belva capiva che avrebbe dovuto attaccare e uccidere senza che niente e nessuno si<br />
accorgesse di nulla. Si guardò attorno ancora. Non c’era nessuno.<br />
L’odore del fumo e del cibo proveniente dalle case permeava tutto, ma l’odore della donna era più<br />
forte. La belva aveva fame. Schiacciata a terra, allargò le zampe e conficcò istintivamente le unghie<br />
nella terra per fare presa, appiattì le orecchie e balzò in avanti senza emettere alcun suono,<br />
affondando le zampe nella molle terra dell’orto durante la breve corsa. Non sappiamo se la donna si<br />
accorse di nulla, forse no, e la belva allora in un lampo l’azzannò al collo da dietro, atterrandola, e<br />
la povera vittima, con la bocca schiacciata sulla terra, non poté emettere alcun suono. Oppure la<br />
donna si voltò, magari per istinto o perché aveva udito un rumore, ma subito la belva l’azzannò alla<br />
gola. O, ultima possibilità, la donna si era accorta all’ultimo istante del pericolo, ma era rimasta<br />
annichilita e terrorizzata, senza riuscire a gridare o tentare la fuga.<br />
Comunque sia, pensarono gli uomini nel ricostruire il fatto, la morte doveva essere stata istantanea.<br />
La belva allora, constatando come tutto fosse tran<strong>qui</strong>llo e come quel punto fosse riparato, aveva<br />
deciso di non trascinare il corpo della vittima nel più sicuro ma distante bosco e di cibarsi lì. Ecco,<br />
convennero i gendarmi e gli altri presenti, il tutto doveva essere avvenuto così.<br />
Mentre il cadavere veniva portato presso un medico per un primo esame, le autorità, che molto<br />
probabilmente avevano richiesto la presenza e collaborazione dei guardiacaccia locali, si riunirono<br />
per capire il da farsi. Era ormai un caso di emergenza, ma la prima cosa da farsi era capire l’identità<br />
della belva, ormai chiamata da tutti semplicemente la Bestia. Capirne la specie era basilare per<br />
studiare il suo comportamento, come e dove cercarla, come inseguirla o attirarla in trappola, come<br />
ucciderla prima che facesse altre vittime. Perché ormai era chiaro che avrebbe colpito ancora.<br />
Il risultato delle prime osservazioni con ogni probabilità fu: primo, la Bestia era un carnivoro e<br />
gigantesco. Secondo, attaccava e divorava le persone, intesi come donne e bambini. Terzo, dalle<br />
impronte non era un lupo e neppure un cane, perché quelle ritrovate erano semplicemente troppo<br />
grandi, a meno che non fosse un esemplare colossale.<br />
Soprattutto i guardiacaccia, che fra tutti i presenti erano quelli che maggiormente ne sapevano sugli<br />
animali di quelle zone, non poterono confondere quelle impronte con quelle dell’orso, più grandi e<br />
tonde. E poi chi aveva mai sentito di orsi che mangiassero le persone? E neanche erano impronte<br />
della lince, più piccole e che non lasciavano mai segni di artigli sul terreno. Su quelle montagne, ma<br />
più in alto, c’erano ancora rari orsi e linci però è probabile che, secondo i guardiacaccia, quelle<br />
fossero proprio impronte di una fiera come il lupo. Di lupi era pieno ovunque e le conoscevano<br />
bene. Sì, queste sembravano quelle di una fiera simile al lupo, ma molto, molto più grande.<br />
A quell’epoca non c’erano, escludendo pochi naturalisti e biologi di fama che stavano però nelle<br />
grandi città, persone con cognizioni oggi anche elementari sulla vastità e varietà del mondo<br />
animale. Non si sapeva bene come fosse fatto un determinato animale esotico, di che colore fosse,<br />
quante unghie avesse, come fossero le zampe o la coda o qualsiasi altro particolare. Quindi non si<br />
sapeva che i lupi in altre zone lontane come la Siberia potevano essere molto più grandi di quelli<br />
viventi nel Gévaudan, pesanti solitamente 35 - 40 chili, con punte di oltre 45 solo in casi rari. Un<br />
lupo di queste dimensioni lascia impronte di circa 8-11 centimetri di lunghezza e 6,5-10 di<br />
larghezza con le zampe anteriori, e di 8 centimetri di lunghezza e 6-7 di larghezza con le zampe<br />
7
posteriori. I lupi più grandi, come quelli siberiani e artici che nei casi record pesano anche 80 chili,<br />
superano i 13 centimetri di lunghezza per quanto riguarda le zampe anteriori. Anche nel cane le<br />
zampe anteriori sono sempre poco più grandi di quelle posteriori, solo che, a parità di peso e<br />
grandezza, un lupo ha sempre le zampe molto più grandi di quelle di un cane.<br />
A questo punto forse qualcuno fra le autorità riassunse che le impronte, prima mai ritrovate perché<br />
gli attacchi precedenti erano avvenuti su terreni coperti d’erba o sassosi, portavano alla<br />
considerazione che la belva era qualcosa di simile a un lupo, ma molto più grande, che era<br />
ferocissima e con un morso potentissimo, indomabile e crudele, avida di carni umane e di persone<br />
vive e vegete e che forse proveniva da terre lontane ed esotiche.<br />
Del resto le descrizioni raccolte fino ad allora fra la gente raffiguravano un animale strano e mai<br />
visto da quelle parti. Chissà, magari era scappato da qualcuno di quei carrozzoni di girovaghi che<br />
andavano per le piazze di tutto il mondo e facevano esibire piccoli animali e ne mostravano altri<br />
tenuti in gabbia.<br />
Cosa poteva essere <strong>qui</strong>ndi? E qualcuno rispose: forse una iena. Perché la iena? Perché era ritenuta<br />
ferocissima e indomabile, avida di carne umana e così via. Nel dubbio, le autorità fecero pubblicare<br />
dei manifesti sulla misteriosa bestia, affinché la popolazione agisse con cautela. Si citava, oltre alla<br />
enorme ricompensa per l’eventuale abbattimento, che l’animale sarebbe stato di colore marrone-<br />
rossastro con una striscia scura lungo tutto il dorso, simile a una via di mezzo fra una iena e un lupo<br />
ma grande come un asino, spesso con la bocca aperta, con sei artigli per zampa, orecchi diritti e<br />
coda lunga e molto pelosa, e agile come un gatto. Non solo, più che ululare come un lupo aveva un<br />
verso simile al nitrito di un cavallo. Si consigliava inoltre di non avvicinarsi all’animale, visto che<br />
chi l’aveva fatto era morto, e di avvisare subito le autorità.<br />
Insomma, si pensava che la Bestia potesse essere una misteriosa iena. Esistono tre grosse specie di<br />
iene, ma una, la iena striata o ridens, oggi sappiamo che non è affatto aggressiva. Vive in Africa e<br />
Asia. Ha le dimensioni di un normale lupo, essendo lunga circa un metro a parte la coda, alta anche<br />
75 centimetri al garrese e pesante poco più di trenta chili. Poi c’è la iena bruna, che ha su per giù le<br />
stesse dimensioni, ma può superare i quarantacinque chili. All’occasione sia la iena striata che<br />
quella bruna hanno predato dei bambini, ma sono casi rarissimi. La più pericolosa è la iena<br />
maculata, lunga anche 135 centimetri coda esclusa, alta sino a 80 centimetri al garrese e pesante<br />
anche più di settanta chili, se femmina. I maschi sono infatti più piccoli. Ha attaccato più volte<br />
l’uomo, se l’occasione era propizia, ma sono casi molto rari. Ma nessuna iena si è mai comportata,<br />
né nei luoghi d’origine né altrove, come la Bestia del Gévaudan, con una tale ferocia, aggressività e<br />
ricerca predatoria verso l’uomo. Intanto la notizia della Bestia e dei suoi attacchi si diffondeva<br />
velocemente. Nel novembre dello stesso anno la libreria Deschamps di Parigi espose la prima<br />
raffigurazione pittorica, naturalmente di fantasia, della Bestia intenta a divorare una fanciulla. Ma<br />
ne furono prodotte di svariati tipi, tutte di fantasia.<br />
La stessa ipotesi sulla presenza di una feroce iena fu fatta nello stesso secolo in Italia. Infatti, dai<br />
primi di luglio alla fine di settembre del 1792, un caso simile a quello francese del Gévaudan si<br />
verificò nei pressi di Milano. Le vittime, tutte ragazze o pastorelli mandati senza protezione con gli<br />
armenti sui pascoli nonostante fosse vietato dalle autorità come nel caso del Gévaudan, furono dieci<br />
e dunque se facciamo un paragone fra le vittime che fece questa cosiddetta Bestia di Cusago,<br />
appunto dieci in tre mesi, e le almeno cento vittime in trentasei mesi della Bestia del Gévaudan,<br />
notiamo che la cadenza di attacchi mortali è praticamente identica.<br />
Fra l’altro pare che in ambedue i casi le cosiddette Bestie fossero almeno una coppia. Le autorità<br />
milanesi adottarono immediatamente tutte le misure necessarie per eliminare la cosiddetta Bestia,<br />
ritenuta inizialmente non un lupo ma un animale esotico fuggito da un circo, e in particolare una<br />
iena. Notate che da subito in entrambi i casi fu escluso che la belva fosse un lupo, anche per via<br />
delle confuse descrizioni fornite da chi la vide. La Bestia di Cusago, così chiamata dal luogo del<br />
primo attacco, sarebbe stata “lunga due braccia e alta uno e mezzo, come un vitello di ordinaria<br />
grandezza, con la testa simile a quella di un maiale, orecchie da cavallo, peli lunghi e folti sotto il<br />
mento come le capre e il resto del corpo di pelo corto baio rossino sulla groppa e lungo di egual<br />
colore sotto la vita, con la coda lunga arricciata, zampe sottili ma larghe alle estremità con unghie<br />
lunghe, con un grosso petto che va restringendosi posteriormente”.<br />
8
Le autorità milanesi fecero <strong>qui</strong>ndi affiggere nei luoghi pubblici il seguente avviso, “In questo<br />
momento giunge alla notizia della Conferenza Governativa, che la campagna di questo Ducato<br />
trovasi infestata da una feroce bestia di colore cenericcio moscato quasi al nero, della grandezza<br />
di un grosso cane, e dalla quale furono sbranati...(ecc.)”.<br />
Sulla Bestia fu fissata una notevole taglia di 50 zecchini. Intanto circolava fra la gente l’opinione<br />
che tale animale fosse una feroce iena giunta chissà da dove, come raffiguravano del resto varie<br />
stampe subito messe in circolazione in cui la misteriosa belva, enorme e con il manto coperto di<br />
macchie nere come una iena maculata, aveva addirittura in bocca per metà un ragazzo urlante. Ma<br />
chi ne sapeva di più, come un certo Borri, Ispettore delle Cacce del Ducato, da subito giudicò<br />
inverosimile la diceria, chiedendosi da dove avrebbe potuto essere scappata una iena visto che i<br />
controlli fatti negavano che fosse fuggita da qualche zoo o circo. Era giunta invece fin lì da sola,<br />
con le sue zampe, direttamente dalle remote zone dell’Asia o dell’Africa in cui viveva? E perché? E<br />
poi, se per assurdo fosse stato così, un tale ferocissimo animale non avrebbe lasciato una scia di<br />
cadaveri su tutto il percorso? Risultava a qualcuno? No. Era senza dubbio un lupo, concluse Borri,<br />
divenuto antropofago, come già era accaduto altre volte.<br />
E difatti quando la Bestia di Cusago cadde in una fossa scavata da due preti e fu uccisa, risultò<br />
essere solo una lupa molto grande. Pur sottoposta ad autopsia dopo l’abbattimento, non sappiamo<br />
purtroppo le sue esatte misure. Fu comunque descritta lunga due braccia e alta più di un braccio,<br />
anche un braccio e mezzo, ma ritengo che i testimoni per emozione o spavento abbiano aumentato<br />
eccessivamente le misure. Difatti il braccio era una vecchia unità usata per misurare la stoffa e<br />
corrispondeva a 60-70 centimetri di lunghezza. La Bestia di Cusago sarebbe stata dunque lunga,<br />
coda esclusa, fra i 120 e i 140 centimetri, e questo è possibile, ma alta addirittura circa un metro al<br />
garrese. Veramente troppo per un lupo europeo, a livello delle massime dimensioni, però da record,<br />
di un ben più grande lupo siberiano o canadese o artico. Anche se un lupo pesante addirittura 96<br />
chili e alto un metro alla spalla sarebbe stato ucciso da un conte all’inizio del XX secolo nei Paesi<br />
dell’Est, notizia impossibile da verificare.<br />
Comunque i testimoni la descrissero sempre di dimensioni pari ai più grandi esemplari di cani corsi<br />
o da pastore tipo maremmano-abruzzese. Trattandosi di una femmina, e <strong>qui</strong>ndi generalmente più<br />
piccola, ci troveremmo ancora una volta davanti a lupi molto grandi, comunemente segnalati o<br />
abbattuti in Italia fino all’inizio dell’800.<br />
La grandezza di questi lupi potrebbe essere spiegata con l’occasionale accoppiamento dei lupi<br />
presenti in Italia, in Francia o parte dell’Europa con esemplari di lupo siberiani, ben più grandi, che<br />
grazie ai vastissimi e fitti boschi dell’epoca potevano giungere, pur in qualche mese, anche in<br />
luoghi insospettabili. Ma anche lupi probabilmente provenienti da zone meno lontane suscitavano<br />
paura. A Lugano, in Svizzera, in un documento ufficiale si citava, “L’anno antidetto 1500 nella<br />
estate certi lupi rapaci divoravano quante creature potevano havere. Et quantunque potessero<br />
haver comodità de altre bestie, non di meno lasciando le bestie si attaccano a mangiar i fanciulli:<br />
di modo che mangiarno sino al numero di 30 creature. Né vi era huomo così bravo che avesse<br />
ardire solo uscir di casa, se non alquanti insieme accompagnati”. A Buronzo, provincia di Vercelli,<br />
il 28 giugno 1811 il sindaco informava il sottoprefetto di Santhia che un branco, costituito da tre<br />
grossi maschi e una femmina, con otto cuccioli, si era fatto vedere nella baraggia di Castelletto,<br />
assalendo e poi portando via una bambina di nove anni e mezzo sotto gli occhi dei mandriani. Si<br />
ritenne che questi lupi fossero stranieri per via del pelo rosso e irto e della coda piccola e rivolta in<br />
su. A Brescia, il 24 luglio 1811 il prefetto diramò ai comuni del territorio un avviso nel quale<br />
segnalava che detti luoghi “sono da qualche tempo infestati da lupi, alcuni dei quali di<br />
straordinaria grossezza, che oltre all’aver sparso il terrore negli abitanti di quelle campagne,<br />
arrecano pur anco danno alle persone e agli armenti”.<br />
Strani e grandi lupi come quelli citati nel Vercellese il 9 settembre 1816, quando il prefetto scrisse<br />
“Lupi di montagna o della Svizzera, appartenenti a una specie finora non conosciuta in questi Stati<br />
e di una straordinaria ferocia, infestano le campagne e i territori di non pochi paesi, avventandosi<br />
contro le persone”. Stesso allarme in zona il 2 giugno 1817, quando l’intendente della provincia di<br />
Vercelli diramò un avviso che iniziava così, “S’approssima la stagione in cui una razza di lupi, da<br />
soli 8 anni circa conosciuta tra noi, percorre le campagne, e quasi non curando qualunque altro<br />
9
cibo, cerca di pascersi di sola carne umana. Quante siano le donne, e i ragazzi, non che i giovani<br />
già adulti, fatti vittima della ferocia di tali belve possono con dolore rammentarlo gli abitanti delle<br />
comunità confinanti con l’estesissima baraggia della Rovasenda, covile quasi inaccessibile de’<br />
lupi”. Allarme che si ripeté a Rovasenda, sempre provincia di Vercelli, il 14 giugno 1817, quando<br />
nella baraggia fu abbattuto “un lupo di quelli detti della Svizzera, soli conosciuti avidi di carne<br />
umana”.<br />
Lo stesso risulta a Cameri, provincia di Novara, 24 agosto 1817, quando il podestà segnalò al<br />
prefetto che “ieri mattina si è presentato il fittabile della possessione di Boinago in questo<br />
territorio con vari suoi coloni, rappresentandomi che essi là, per la moltitudine di lupi che vengono<br />
dalla valle del Ticino, sono così assoggettati, che non sono quasi più padroni di sortire dal<br />
cascinale coi loro armenti, i quali sebbene custoditi non passa giorno che poco o molto ne soffrano<br />
danno, per cui chiederebbero un’efficace tutela. Alle cinque pomeridiane pure di ieri venne veduta<br />
da diversi di questi custodi di bovine, poco al di sopra del cascinale di Scagliano, una bestia<br />
rassomigliante a un grosso lupo ben messo e pettoruto, con mantello però dissimile avendo una<br />
fascia bianca alle culate e con sottopancia di varie strisce, alla cui vista detti custodi a precipizio<br />
fuggirono, ricoverandosi alcuni nel detto cascinale, da dove venne la stessa osservata in distanza<br />
di circa 200 passi, avendola riconosciuta d’indole feroce”. Insomma, è innegabile che in certi<br />
periodi apparissero lupi ritenuti difformi da quelli usuali, più grandi e temibili.<br />
Comunque sia, da quando la Bestia di Cusago fu abbattuta cessarono gli attacchi, come del resto<br />
avvenne quando Chastel sparò alla Bestia nel Gévaudan. Anche se in entrambi i casi, una piccola<br />
percentuale dei testimoni dichiarò che la belva uccisa non era quella da loro vista.<br />
Comunque, sarà bene chiarire che le tante cronache, un po’ in tutta Europa, che descrivono lupi o<br />
“bestie” grandi come “vitelli di un anno” sono solo assurdità. Pur sapendo che un grande lupo o un<br />
grande cane non potranno mai giungere a tali dimensioni, ho voluto fare una verifica più accurata e<br />
mi sono recato presso alcuni allevamenti. Bene, un grosso lupo o un grosso cane di circa 40<br />
chilogrammi hanno la grossezza del corpo di un vitello appena nato, solo che il vitello è più corto e<br />
più alto avendo in questa fase zampe molto lunghe, come capita del resto a tanti altri animali come i<br />
puledri o gli agnelli.<br />
I più grandi lupi, come quelli artici, siberiani e canadesi, o i più giganteschi cani come gli alani e i<br />
levrieri irlandesi, possono essere alti come un vitello di uno o anche due mesi d’età. Oltre non si va,<br />
anche perché ho misurato un normale vitello di un anno e al garrese arrivava a 160 centimetri ed era<br />
lungo oltre due metri, coda esclusa. Per farvi capire, un grande leone o una grande tigre sono lunghi<br />
quanto il nostro vitellone di un anno ma alti un metro al garrese o poco più. Solo un orso veramente<br />
grande, come quello bianco o un orso bruno kodiac, potrebbe essere alto al garrese come il nostro<br />
vitellone. Ma in Europa certo non ce ne sono mai stati in libertà. Tuttavia, pur ribadendo la mia tesi,<br />
bisogna considerare che a quell’epoca, almeno per quanto riguarda alcune razze, i bovini erano<br />
notevolmente più piccoli di quelli odierni, e da adulti potevano essere la metà di quelli europei<br />
attuali.<br />
Tornando alla nostra vicenda francese, le autorità cominciarono dunque a investigare se fosse stata<br />
segnalata o denunciata in quella zona o nei dintorni la fuga di qualche animale feroce esotico, una<br />
iena o qualunque cosa potesse essere, magari da un circo o da qualche accampamento di girovaghi.<br />
Oppure da parte di qualche privato che per qualsiasi motivo ne detenesse degli esemplari in gabbia.<br />
E nel contempo cominciarono a investigare se in quei mesi c’erano stati altri casi simili nei<br />
dipartimenti e regioni circostanti perché, se veramente c’era in giro una iena o altro, chissà, poteva<br />
anche non essere fuggita in quella zona ed essere arrivata fin lì con le proprie zampe, cercando di<br />
ritrovare la via per le sue zone d’origine o vagando alla ricerca di preda. Ma se fosse stato così, si<br />
pensò, essendo una specie ferocissima e avida di carni umane, lungo il percorso avrebbe dovuto<br />
lasciare una scia di vittime. Qualcuno aveva notizie di siffatte tragedie? No. (continua)<br />
Le ipotesi<br />
10
La Bestia, o meglio una delle Bestie, poiché ritengo che nel Gévaudan in quegli anni ce ne fosse un<br />
piccolo branco o comunque diversi esemplari, era una femmina. Sull’identità dell’animale arriverò<br />
in seguito anche se, sia chiaro, è una mia riflessione e non ho certezze, come chiunque altro. La<br />
Bestia, questa Bestia in particolare, è forse già antropofaga o forse no. Secondo me sì.<br />
Immaginiamo si trattasse di una lupa. Il lupo si accoppia una sola volta l’anno, a differenza del cane<br />
che si accoppia due volte l’anno. L’accoppiamento avviene verso la fine dell’inverno e la<br />
gestazione dura circa due mesi. Una ventina di giorni prima del parto la coppia cerca una tana, per<br />
esempio una cavità rocciosa, la tana allargata di un altro animale come una volpe o un tasso, oppure<br />
ne scava una nuova, e lì la femmina partorisce 4-8 cuccioli del peso di circa 300-400 grammi<br />
ciascuno.<br />
I cuccioli in Italia nascono tra aprile e giugno, ma potrebbe darsi che in una regione più a nord,<br />
umida, piovosa e fredda come il Gévaudan, la cucciolata nasca a giugno. Non voglio dare per<br />
scontato questo, però nulla vieta che la cucciolata della Bestia possa nascere in giugno, che è pur<br />
sempre nel periodo delle nascite dei lupi. I cuccioli, completamente inetti e con capacità sensoriali<br />
scarse, in pratica ciechi e sordi, dipendono all’inizio completamente dalle cure parentali degli adulti.<br />
Per 20 giorni vengono alimentati esclusivamente con il latte materno, poi la madre per circa 40-50<br />
giorni li alimenta sia con latte e sia rigurgitando parte del cibo ingerito. Per quanto riguarda la<br />
Bestia, possiamo <strong>qui</strong>ndi ipotizzare che i suoi cuccioli abbiano quasi due mesi – tre mesi nell’agosto<br />
1764.<br />
Proprio in quel mese cominciano le battute per catturare la fantomatica belva e dopo poco la<br />
situazione peggiora con l’arrivo dei dragoni a cavallo. Non contadini che devono badare al lavoro<br />
nei campi per tutto il giorno e che hanno poco tempo e magari poca voglia di scovare la Bestia, ma<br />
soldati professionisti. Sono lì per quello, sono pagati, hanno cavalli veloci, i fucili, il tempo e sono<br />
in tanti. Ce ne sono ovunque. Chissà quante volte la Bestia li ha osservati da lontano, nascosta nel<br />
bosco o su una montagna. In quel periodo i cuccioli rimangono in attesa di essere capaci di seguire<br />
gli adulti nell’attività venatoria, normalmente sostando in particolari aree, chiamate rendez-vous,<br />
all’interno delle quali aspettano gli adulti di ritorno dalla caccia. A un certo punto, il 7 ottobre,<br />
cominciano le decapitazioni delle vittime. Come mai?<br />
Ci arriviamo. I cuccioli sono nel bosco, relativamente al sicuro, ma mangiano sempre più. La Bestia<br />
senza dubbio ha conoscenza dell’uomo sia come preda ma anche come di un nemico mortale. La<br />
carne ingurgitata e poi rigurgitata davanti ai cuccioli che se ne nutrono, comportamento tipico dei<br />
canidi, non basta. Lo farebbero anche gli altri esemplari del suo branco, ma non ci sono. Forse sono<br />
morti. Oppure si sono dispersi in cerca di cibo e non sono tornati perché spaventati dall’uomo.<br />
O magari lei è sola, ed è proprio lei che darà vita al piccolo nucleo delle cosiddette Bestie. Forse il<br />
padre, un grosso lupo o anche un grande cane inselvatichito con cui si è accoppiata mesi fa, è<br />
morto. Magari il maschio è proprio l’altra Bestia, quella ferita il 5 ottobre dai cacciatori di Lafont e<br />
che è rimasto gravemente ferito e non può cacciare, tanto che la Bestia femmina, la sua compagna,<br />
deve procurare il cibo anche per lui, sempre rigurgitandolo. Ha fatto una vittima umana e dovrebbe<br />
andare e tornare più volte dal cadavere con la carne contenuta nel suo stomaco da rigettare ai<br />
cuccioli e magari anche al maschio, ma sa, chissà magari per esperienza, che ora potrebbero esserci<br />
degli uomini appostati. Non posso dire che conosca i fucili, ma l’istinto potrebbe farle capire che è<br />
pericoloso. Dovrebbe allora fare l’inverso e portare i cuccioli, e forse anche il compagno debilitato,<br />
fino al cadavere. Ma le vittime sono soprattutto pastorelli e i pastori portano pecore e vacche al<br />
pascolo e <strong>qui</strong>ndi in zone aperte, pericolose. In altri casi le vittime sono state uccise nei pressi delle<br />
case, ancora più pericoloso.<br />
La Bestia non si fida. Che fa allora? Tenta di portare la preda, ossia il cadavere, dai cuccioli in<br />
attesa al limitare del bosco. Sollevare con la bocca un corpo umano, anche se di un ragazzo, è molto<br />
faticoso, pesa troppo. Certo, più la vittima è piccola, come un bambino di pochi anni, più è facile.<br />
Ma comunque richiede un notevole sforzo, poiché buona parte delle vittime della Bestia sono<br />
ragazze e ragazzi di 10 – 15 anni, con un peso approssimativo di 30 – 60 chili. Infatti, il lupo<br />
isolato, quando attacca un gregge, afferra una pecora al collo e strattonandola, ma senza ucciderla,<br />
11
la costringe ad andare nella direzione voluta con le sue gambe. Se l’uccidesse sul posto, la pecora<br />
potrebbe essere trascinata solo per pochi metri e i cani da pastore riuscirebbero facilmente a<br />
raggiungere il lupo. Un esempio per tutti: A Zerbolò, il 10 ottobre 1807 il viceprefetto di Vigevano<br />
segnalò che un lupo aveva tratto una pecora da un gregge per divorarsela e a tal fine l’aveva tirata<br />
fin nel bosco per ucciderla. I cani però se ne accorsero e gliela fecero lasciare.<br />
Se voi doveste tirare un corpo sul terreno, fra l’erba alta e i sassi, probabilmente in salita, da dove lo<br />
afferrereste? Allo stinco, credo. Col risultato che l’altra gamba si aprirebbe a ventaglio così come le<br />
braccia, con un grave effetto frenante fra l’erba. Oppure a entrambi gli stinchi, solo che noi umani<br />
abbiamo due mani, ma la Bestia certo no.<br />
A un braccio? Stesso discorso di prima, e <strong>qui</strong>ndi l’animale avrebbe potuto afferrarne solo uno.<br />
Inoltre le ossa del braccio non sono abbastanza forti da resistere alla trazione, se tenute nella bocca<br />
di un grosso carnivoro che, con i denti, stringe forte e dà strattoni. Ci furono dei casi, infatti, in cui<br />
la Bestia staccò un braccio della vittima e fuggì con quello. E da dove afferrereste la vittima allora,<br />
se foste un animale? Dalla testa e precisamente sotto, dal collo, facile da afferrare e in cui la presa è<br />
più salda. Che, strattone dopo strattone, a volte cede. Il corpo rimane lì, la Bestia non sa che fare e<br />
nel dubbio prende l’unica cosa che ha di non troppo pesante. Appunto la testa, portandola ai<br />
cuccioli o abbandonandola quando capirà che non ne vale la pena.<br />
O magari, semplicemente, se il terreno è in salita, la testa rotola giù. Quindi potremmo pensare che,<br />
in alcuni casi la Bestia sia riuscita a trascinare al riparo un corpo, e in altri no, finendo per staccargli<br />
la testa. Probabilmente l’idea di trascinare un corpo al riparo sarà poi stata attuata anche quando non<br />
c’erano cuccioli, per il solo motivo che l’animale al coperto o comunque nascosto si sente più<br />
sicuro. Questo è un comportamento frequentissimo nei predatori e del tutto naturale.<br />
Ecco alcuni casi: Massazza, provincia di Biella, il 31 ottobre 1736. Angelica Maria Francesca<br />
Baijs, 8 anni, mentre raccoglieva legumi con altri bambini in un campo dietro la casa, fu attaccata<br />
da un lupo. La belva la prese per il collo e la trasportò verso il bosco di Vagliona, dove però venne<br />
vista da Giuseppe Badone e dal figlio Carlo, che intervennero con i forconi. Il lupo lasciò la<br />
bambina, che era già morta a causa delle gravissime lesioni al collo. Albiolo, provincia di Como,<br />
1801. Una lupa, uccisa poi a settembre, dopo aver divorato una <strong>qui</strong>ndicina di bambini, il 9 giugno<br />
attaccò Eugenio Bernasconi, 8 anni, lo afferrò alla testa e cominciò a trascinarlo, ma alcune persone<br />
accorsero e la belva abbandonò il bambino, ferito alle guance ma che sopravvisse. A luglio la stessa<br />
lupa aggredì il bambino Giacomo Bottinelli, lo afferrò per il collo e fuggì. Quando ebbe percorso<br />
oltre 100 passi venne però raggiunta dal padre del bambino e allora abbandonò la preda. Il medico<br />
riscontrò sul collo del bambino, che fortunatamente sopravvisse, 19 ferite da dente. Durante una<br />
battuta fu scoperta la tana della lupa, tutta cosparsa di ossa anche umane, ma la belva pur vista<br />
riuscì a fuggire.<br />
Torniamo al Gévaudan. Fino alla ottava vittima conosciuta, quella di Rieutort, la Bestia non aveva<br />
mai staccato teste, mentre dal 7 al 25 ottobre su quattro uccisioni, tre hanno questa orribile<br />
peculiarità. Non solo, nei quattro anni in cui la Bestia agì nello Gévaudan, su circa 116 vittime<br />
accertate, i corpi decapitati sarebbero stati 14. Questi corpi furono ritrovati nel 1764 rispettivamente<br />
il 7 e 15 ottobre, il 25 novembre, il 15 e 21 dicembre. E nel 1765 rispettivamente l’1 e il 23 gennaio,<br />
il 9 febbraio, l’8 marzo, il 4 aprile, il 19 maggio, il 21 giugno e il 21 dicembre. Da questa data,<br />
niente più decapitazioni nonostante la Bestia, ma credo sia meglio dire l’ultima delle Bestie, venga<br />
ufficialmente abbattuta solo il 19 giugno 1767.<br />
Perché? Per capire meglio la cosa affidiamoci ai dati:<br />
Giugno 1764 - 1 vittima, decapitate 0<br />
Luglio – nessuna vittima conosciuta<br />
Gennaio 1766 - nessuna vittima conosciuta<br />
Febbraio - 2 vittime, decapitate 0<br />
12
Agosto - 2 vittime, decapitate 0<br />
Settembre - 7 vittime, decapitate 0<br />
Ottobre - 3 vittime, decapitate 2<br />
Novembre - 1 vittima, decapitata 1<br />
Dicembre - 7 vittime, decapitate 2<br />
Gennaio 1765 - 12 vittime, decapitata 1<br />
Febbraio - 4 vittime, decapitata 1<br />
Marzo - 10 vittime, decapitata 1<br />
Aprile - 8 vittime, decapitate 2<br />
Maggio - 8 vittime, decapitata 1<br />
Giugno - 7 vittime, decapitate 2<br />
Luglio - 2 vittime, decapitate 0<br />
Agosto - 2 vittime, decapitate 0<br />
Settembre - 3 vittime, decapitate 0<br />
Ottobre – nessuna vittima conosciuta<br />
Novembre - nessuna vittima conosciuta<br />
Dicembre - 2 vittime, decapitata 1<br />
Marzo - 3 vittime, decapitate 0<br />
Aprile - 1 vittima decapitate 0<br />
Maggio - 1 vittima, decapitate 0<br />
Giugno - 1 vittima, decapitate 0<br />
Luglio - 2 vittime, decapitate 0<br />
Agosto - 4 vittime, decapitate 0<br />
Settembre - 2 vittime, decapitate 0<br />
Ottobre – 1 vittima, decapitate 0<br />
Novembre – 1 vittima, decapitate 0<br />
Dicembre - nessuna vittima conosciuta<br />
Gennaio 1767 - nessuna vittima conosciuta<br />
Febbraio - nessuna vittima conosciuta<br />
Marzo - 2 vittime, decapitate 0<br />
Aprile - 7 vittime, decapitate 0<br />
Maggio - 7 vittime, decapitate 0<br />
Giugno - 4 vittime, decapitate 0<br />
Totale vittime 116, di cui 14 decapitate<br />
Come possiamo vedere, le decapitazioni avvengono continuativamente solo per nove mesi, con<br />
l’eccezione di un’altra decapitazione sei mesi dopo. Considerando solo i nove mesi (su 37 totali)<br />
dall’ottobre 1764 a giugno ’65 notiamo che c’è qualcosa di strano. Perché la Bestia prima non<br />
decapita, poi lo fa quasi una volta su cinque (da quando inizia a decapitare, lo fa 13 volte su 60<br />
vittime) e poi non la fa più, eccetto un solo caso 6 mesi dopo? E dopo quest’ultimo caso isolato non<br />
lo fa più per ben 18 mesi, quando viene abbattuta.<br />
Forse perché la Bestia, quella Bestia femmina, è stata uccisa nel luglio ’65 e la decapitazione del 21<br />
dicembre è avvenuta a causa di un’altra Bestia e per caso? Oppure questa stessa Bestia è stata<br />
uccisa poco dopo il 21 dicembre 1765, dopo l’ultima decapitazione da trascinamento? In questo<br />
ultimo caso fra l’altro la vittima si trovava in un ampio pascolo in cui erano presenti, sia pur a<br />
distanza, altri pastorelli, i quali accorsero nello spazio di pochi minuti. La belva, conscia di loro,<br />
evidentemente cercò di trasportare il cadavere, ma tirò il corpo con troppa frenesia e violenza con il<br />
risultato di decapitarlo. A questo punto ingoiò la massima quantità di carne possibile e in gran<br />
fretta, per fuggire immediatamente quando i soccorritori erano ormai quasi su di lei.<br />
Comunque, se fosse stata una femmina, i suoi cuccioli in quel periodo e cioè in dicembre sarebbero<br />
già stati grandi e quasi autonomi ma forse la Bestia aveva ormai imparato che quello era un buon<br />
modo per portare al riparo le sue vittime. Lei lo faceva, gli altri no. Possibile l’ipotesi? Forse sì o<br />
forse no. Ma c’è un’altra ipotesi, che vi spiegherò fra poco.<br />
Qualche appassionato della vicenda del Gévaudan spiega queste mutilazioni, delle teste ma anche di<br />
seni e di altre parti del colpo, tranciate come da una lama di rasoio, immaginando che la Bestia<br />
fosse di una specie sconosciuta o esotica, un alieno, un sadico o chissà che. Io non ci credo affatto.<br />
Considerando però che ormai sono passati quasi due secoli e mezzo, che sia la Bestia e sia i<br />
testimoni sono passati a miglior vita e che <strong>qui</strong>ndi dubito si riesca a fare piena luce sulla vicenda,<br />
ogni ipotesi vale quanto l’altra. C’è sempre da imparare nella vita. Tuttavia, ripeto che a mio parere<br />
le 14 decapitazioni, che statisticamente rappresentano oltre il 12% delle vittime conosciute della<br />
Bestia, che sono 116, e <strong>qui</strong>ndi sono effettivamente tante, possono essere spiegate più<br />
semplicemente.<br />
Qualcuno asserisce che la Bestia non agisse da sola e che ci fosse in zona anche uno o più serial<br />
killer che uccideva persone dando poi la colpa alla belva. Quindi, uno o più pazzi assassini umani<br />
che, rimasti in speranzosa attesa di un qualche evento, sarebbero rimasti buoni senza uccidere<br />
nessuno per anni. E che poi, spuntata fortunatamente la Bestia, abbiano colto l’occasione per<br />
sfogare a usura i propri istinti omicidi o sadici. Non ci credo. Per altri invece molte vittime<br />
sarebbero state fatte da una setta di cospiratori che, ammazzando e creando tensione sociale in loco,<br />
13
avrebbero sfruttato politicamente quelle stragi. Ma allora perché uccidevano donne e bambini e mai<br />
uomini adulti? Fra l’altro sottolineo che a fianco delle vittime, di tutte le vittime, non fu mai trovata<br />
una sola impronta umana, neppure nel terreno fangoso. Solo impronte della Bestia. Forse questi<br />
fantomatici assassini umani volavano? Qualcuno obietterà che almeno nei villaggi, quando le<br />
vittime furono uccise fra le case, ci saranno pure state delle impronte umane poiché i soccorritori o i<br />
parenti certo si saranno avvicinati ai cadaveri ben prima dell’arrivo dei dragoni o dei gendarmi.<br />
Possibile, anzi molto probabile. Ma la maggior parte delle vittime furono uccise all’aperto, lontano<br />
dai villaggi, e sempre le sole impronte furono quelle della Bestia. Ancora, non ci credo a questi<br />
assassini umani seriali. E’ che sono convinto che spesso le cose avvengano molto più<br />
semplicemente di quanto si pensi, per motivi molto più probabili e possibili.<br />
Pertanto, pur anticipando che la mia tesi non è migliore di qualsiasi altra, dico che a mio parere il<br />
decapitatore di alcune delle vittime, Bestia a parte e almeno in alcuni casi, avrebbe potuto essere un<br />
soldato ed esattamente uno dei dragoni di Duhamel. (continua)<br />
La lotta di Jeanne<br />
Una volta giunti i cani, d’Enneval avrebbe potuto cominciare la caccia, ma si rifiutò di farlo finché<br />
Duhamel non avesse cessato di operare e <strong>qui</strong>ndi di interferire. Questo atteggiamento, che parrà<br />
assurdo quando c’erano in ballo tante vite umane, in realtà è del tutto normale e giusto. Nessun<br />
cacciatore professionista si metteva, o si mette, all’opera se ci sono altri che agiscono<br />
contemporaneamente. Catturare o abbattere un animale di tal tipo, che si tratti di un lupo o di un<br />
leone, significa pianificare attentamente appostamenti, battute, esche e quant’altro, e basta poco per<br />
vanificare tutto.<br />
Se si decideva di non spaventare la belva con battute in una data zona, cercando di attirarla in<br />
agguato, non si doveva temere che altri attuassero battute che avrebbero vanificato tutta la<br />
preparazione. Se si decideva invece di fare battute in una data zona, non si doveva temere che altri<br />
ne facessero un’altra con il risultato di allontanare la Bestia. Inoltre, se per una battuta si utilizzava<br />
la popolazione della zona, ovviamente non c’erano battitori disponibili per l’altra. Insomma, il caos.<br />
Inoltre, non bisogna tralasciare il fatto che se d’Enneval fosse stato il solo a cacciare la Bestia<br />
avrebbe avuto maggiori possibilità di incassare l’iperbolica taglia sull’animale. Certo, anche un<br />
singolo cacciatore o contadino avrebbe potuto fortunosamente o no abbattere l’animale, ma l’ipotesi<br />
era ritenuta difficile da avverarsi.<br />
Per un certo periodo Duhamel fece finta di non aver capito che doveva abbandonare il campo,<br />
evidentemente stizzito dal fatto di essere sostituito a dimostrazione del suo fallimento, mentre<br />
d’Enneval cocciutamente non transigeva sul fatto che doveva essere l’unico, con l’eventuale<br />
collaborazione dei nobili locali, a rimanere in campo. A riguardo di Duhamel bisogna ammettere<br />
che ce la mise tutta, ma non ebbe fortuna e neppure le capacità, visto che era un soldato e non un<br />
cacciatore di belve.<br />
Su di lui il curato di Aumont, Trosselier, scrisse “Si diede molta pena e non fece niente ". Alla fine<br />
d’Enneval, a forza di reclami verbali e scritti, riuscì a far allontanare Duhamel, cosa che però si<br />
verificò solo il 6 aprile. Insomma, ci volle un mese e mezzo, durante il quale la Bestia fece una<br />
strage. La popolazione locale vide con soddisfazione la partenza degli odiati dragoni.<br />
La Bestia intanto continuava il massacro. L’1 marzo una bambina di 8 anni del villaggio di Le Fau,<br />
parrocchia di Brion, fu attaccata proprio davanti al fienile di casa e a poca distanza dal padre.<br />
Questi, urlando, accorse in aiuto della figlia, che la Bestia aveva azzannato e scuoteva ferocemente<br />
come uno straccio. Prima di essere raggiunta la belva fuggì ma la ragazza, orribilmente mutilata e<br />
ricoperta di sangue, morì per le ferite. Il 4 una donna di Ally, in Auvergne, uccisa e divorata in<br />
parte.<br />
14
L’8 fu la volta di una bambina di 10 anni del villaggio di Le Fayet, parrocchia di Albaret-le-Comtal,<br />
divorata al torso, spalla e a un braccio, testa staccata. Da notare che la bambina aveva portato al<br />
pascolo delle pecore, un’ottima e facile preda per un lupo o per la Bestia, eppure la belva si aprì un<br />
passaggio attraverso il gregge di pecore, ignorandole, fino a lei. Evidentemente la Bestia si era<br />
ormai assuefatta alla carne umana e anzi prediligeva proprio quella. E’ un comportamento frequente<br />
fra gli animali antropofagi, anche di altre specie.<br />
Il già citato leopardo di Rudraprayag pareva comportarsi proprio così. Da notare che il felino era<br />
perfettamente sano e <strong>qui</strong>ndi non costretto all’antropofagia perché menomato. In un caso addirittura<br />
sfondò la porta, entrò in una stalla, passò sopra o sotto le capre lì rinchiuse senza attaccarle e uccise<br />
e divorò il pastorello che dormiva all'interno, dall'altra parte del locale.<br />
Il 9 la Bestia uccise una donna di 30 anni del villaggio di Le Ligonès, parrocchia di Ruines en<br />
Margeride. Questa volta la vittima, giovane e robusta, non era sola ma accompagnata dal padre. La<br />
belva le fu addosso in un attimo senza che lei avesse il minimo sentore di pericolo e poi la azzannò<br />
alla gola. Il padre inorridito vide la scena e accorse, mentre la Bestia schiacciava letteralmente al<br />
terreno la vittima. Poi fuggì. Tutto si era svolto in pochi attimi, ma era bastato. La donna, sgozzata,<br />
morì subito. La Bestia aveva evidentemente un morso che non perdonava.<br />
L’11 una bambina di 5 anni, Marie Pougnet, del villaggio di Malavieillettes, parrocchia di Fontans,<br />
stava giocando vicino alla stalla. A un certo punto i familiari si accorsero che era da un po’ che non<br />
la vedevano e non la sentivano e così la cercarono lì attorno, mentre la preoccupazione si tramutava<br />
in terrore e disperazione. Non c’era più. Quando il cadavere fu ritrovato vennero riscontrati<br />
molteplici segni di morsi alla testa e numerose ossa spezzate, nonché il ventre aperto. Era stata in<br />
buona parte divorata. La stessa giornata, nelle vicinanze del castello del conte di Morangiès, intorno<br />
alle 17, l’attacco fu portato invece contro un vigoroso uomo ventenne, il quale si difese<br />
coraggiosamente finché la scena non fu vista da tre paesani, i quali accorsero mettendo finalmente<br />
in fuga l’animale. Il 12 la belva attaccò una ragazza a Saint Alban, ma fu messa in fuga. La ragazza<br />
non fu ferita.<br />
Il 13 la Bestia si avvicinò al villaggio di Albaret-Sainte Marie e notò un bambino che stava<br />
giocando davanti alla porta di casa. Avventarsi, afferrarlo e sollevarlo di peso con le fauci fu un<br />
attimo, ma la scena venne vista dal curato e da alcuni contadini che, essendo vicinissimi, presero<br />
bastoni, vanghe e forconi e si misero a inseguirla. La belva, rallentata dalla preda, che essendo stata<br />
afferrata solo per il vestito era non solo ancora viva ma addirittura illesa, capì che non poteva<br />
farcela. Lasciò allora il bambino, ma la sua ira e frustrazione furono tali che nella fuga, trovandosi<br />
improvvisamente davanti una pecora e un maiale, gli si buttò addosso e li sbranò all’istante.<br />
Ritengo però che il maiale fosse semmai un maialino, poiché se fosse stato un adulto con ogni<br />
probabilità non si sarebbe azzardata a tanto e comunque l’esito non sarebbe stato così scontato e<br />
veloce. Ricordo che i maiali un tempo erano allevati bradi nei boschi e il loro comportamento,<br />
nonché le zanne che non venivano estirpate come si fa oggi, erano molto simili a quelle dei<br />
cinghiali selvatici.<br />
Poi la belva fuggì in direzione di Prunières, dove ancora tentò di predare un bambino, venendo però<br />
per l’ennesima volta messa in fuga prima di riuscire persino a ferire la vittima. Ma la Bestia,<br />
inferocita e determinata, non aveva alcuna intenzione di lasciare perdere. Si diresse <strong>qui</strong>ndi in<br />
direzione del villaggio di La Vessière, parrocchia di Saint Alban, dove si svolse un episodio<br />
terribile e nel contempo eroico, come riferì il curato Béraud in un rapporto inviato il giorno<br />
successivo al vescovo di Mende.<br />
Jeanne Chastang, moglie di Pierre Jouve e madre di sei bambini, intorno a mezzogiorno si trovava<br />
con tre dei suoi figli davanti all’uscio di casa. Stavano mangiando e approfittavano di un pallido<br />
sole per riscaldarsi un po’. Dopo un poco, la donna, di meno di 40 anni, stava rientrando in casa e<br />
davanti a lei aveva il figlio di 6 anni e a fianco la figlia di 9 anni che portava nelle sue braccia il<br />
piccolo fratellino di circa quattordici mesi. All’improvviso Jeanne sentì il rumore di un sasso che<br />
cadeva dal muretto vicino e, girandosi, vide la ragazza afferrata al braccio dalla Bestia e buttata a<br />
terra. Nonostante il terrore la ragazza teneva stretto a sé, per proteggerlo, il fratellino. Jeanne allora,<br />
nonostante fosse di piccola statura e magra, si gettò coraggiosamente sulla Bestia e con la forza<br />
della disperazione riuscì a liberare la figlia, tenendo intanto lontana la belva a calci.<br />
15
La Bestia però saltò ancora addosso alla ragazza pur protetta dalla madre e le scaraventò entrambe<br />
contro il muretto. La donna resistette e allora la belva attaccò l’altro bambino di 6 anni, che era<br />
rimasto lì terrorizzato. La madre ancora intervenne, mentre l’animale afferrava il bambino urlante e<br />
la colpiva a zampate per farle perdere la presa. Mentre stava per scappare con la preda, Jeanne gli<br />
saltò sulla schiena afferrandolo con le braccia e le gambe. Fu gettata a terra, ma ancora balzò<br />
sull’animale, non una sola altra volta ma otto, nove, dieci volte. L’incredibile combattimento infatti<br />
durò quasi mezz’ora. Ferita alle braccia e al petto dalle unghie della belva, azzannata al braccio e<br />
poi alla testa, gettata a terra più volte, Jeanne non demordeva. La Bestia riuscì ad afferrare ancora il<br />
bambino, e stava per saltare una bassa siepe per poi balzare giù da un muretto alto un paio di metri<br />
quando la madre la afferrò per la coda. Entrambi atterrarono sul prato sottostante.<br />
La Bestia perse la preda, ossia il bambino, poi lo ripigliò e lo trasportò verso il bosco. A quel punto<br />
la madre raccolse da terra una grossa pietra, raggiunse l’animale e prese a colpirlo forsennatamente<br />
sulla testa, probabilmente ferendolo viste le macchie di sangue presenti poi sulla pietra. Tuttavia<br />
questo rovesciò ancora la madre e fuggì verso il bosco con il bambino urlante tenuto per la testa,<br />
passando fra fitti cespugli, solo per trovarsi ancora davanti Jeanne che li aveva aggirati e gli<br />
bloccava il passo.<br />
La belva cercò di superarla, ma fu afferrata prima per una zampa e poi per i testicoli, finché,<br />
guaendo e ringhiando per l’ovvio dolore, riuscì infine a liberarsi. Scappò, ma essendo rallentata dal<br />
bambino la madre ancora la raggiunse, altra lotta, altra fuga con la preda. La madre disperata la<br />
inseguì urlando e a quel punto, finalmente, fu udita da due figli più grandi che lavoravano nella<br />
stalla. Il più giovane di questi, che aveva 13 anni, afferrò la sua lancia e accorse, seguito dal suo<br />
cane da pastore che, incredibilmente, non s’era accorto di nulla. Il mastino raggiunse per primo la<br />
belva, si scontrò con lei e la ribaltò a terra, azzannandola alla testa. Intanto giunse anche il ragazzo<br />
che la colpì con la lancia, ma apparentemente la punta non penetrò oppure la belva, lottando con il<br />
cane, non accusò visibilmente il colpo. A questo punto però aveva capito di essere a mal partito e<br />
fuggì verso il bosco, evitando il mastino che ancora la inseguiva. Il bambino ferito intanto, pur<br />
sanguinando terribilmente, corse fra le braccia della madre urlando alla Bestia di lasciarlo. Il povero<br />
bambino credeva ancora di essere fra le fauci della Bestia. Purtroppo le ferite erano troppo gravi e<br />
morì tre giorni dopo. Una tragedia, ne converrete, impressionante.<br />
Attacchi come quelli citati purtroppo si verificarono ovunque. Il 26 giugno 1565 le autorità di Gonzaga,<br />
provincia di Mantova, segnalarono che una donna si era stretta al petto una bambina per proteggerla da un<br />
16
lupo, ma che la belva era riuscita ugualmente ad afferrare la piccola alla gola strappandola alla madre. Il 14<br />
ottobre 1600 a Malnate, provincia di Varese, in pieno giorno un lupo saltò una siepe che proteggeva<br />
una casa e davanti all’uscio della cucina attaccò una donna che aveva in braccio una bambina di 4<br />
anni. La madre si mise a tirare la bambina per i piedi, e lo stesso faceva il lupo che l’aveva afferrata<br />
alla testa, finché riuscì a strapparla fuggendo via con essa. Molti della zona inseguirono il lupo, ma<br />
rinvennero solo il giubbone della vittima.<br />
Per quanto riguarda il Gévaudan, per completezza riportiamo il testo originale del rapporto redatto dal curato<br />
di St Alban sull’attacco: (continua)<br />
Antoine sostituisce d’Enneval<br />
Tornando al Gévaudan, la Bestia, o le Bestie, erano scatenate e divenivano di giorno in giorno<br />
sempre più sfrontate e sanguinarie. Pareva non ci fosse nessuno in grado di fermarle. Il re però la<br />
pensava diversamente e aveva già dato incarico a François Antoine, che aveva la carica di Porta<br />
Archibugio del Re e, cosa più importante, era Grande Louvetier del Regno. In pratica il maggiore<br />
rappresentante della Louvetier, l’organizzazione creata secoli prima proprio per sterminare i lupi.<br />
Insomma, qualche capacità avrebbe dovuto averla. François Antoine, che era già in là con gli anni<br />
essendo sulla sessantina, partì l’8 giugno e giunse prima a Saint Flour e poi il 22 a Malzieu,<br />
accompagnato da uno dei figli e cioè Robert-François Antoine de Beauterne, che aggiungeva al<br />
cognome del padre un titolo ac<strong>qui</strong>sito indipendentemente. Pertanto è errato scrivere Antoine de<br />
Beauterne per riferirsi al padre, unico incaricato dal re, poiché si chiamava François Antoine e<br />
basta. Robert-François Antoine de Beauterne era il figlio e lo accompagnava solamente. Comunque,<br />
François Antoine giunse infine a Saugues con tutto il suo seguito, composto dal figlio, dai domestici<br />
e da quattordici guardiacaccia da lui scelti fra tutti quelli, ed erano già i migliori, messi a sua<br />
disposizione dalle capitanerie reali di Versailles e di Saint-Germain en Laye, e dal duca di Orléans,<br />
dal duca di Penthièvre e dal principe di Condé. Uno di questi guardiacaccia era Rinchard, fra l’altro<br />
nipote di François Antoine e <strong>qui</strong>ndi cugino di Robert-François Antoine de Beauterne.<br />
Ma Antoine portava con sé anche una grande muta di cani molto esperti ed esattamente quaranta<br />
segugi e quattro grandi cani da presa della Louveterie Royale, ognuno dei quali aveva da solo già<br />
ucciso parecchi lupi. Da notare che quattro dei segugi erano ritenuti così validi e preziosi che,<br />
invece di farli camminare come gli altri cani della muta, furono messi dentro dei cesti assicurati a<br />
un basto e trasportati per tutto il viaggio da un mulo. Il 24 il Sottointendente Lafont si incontrò a<br />
Saugues con Antoine, mettendosi a sua disposizione per risolvere qualsiasi problema e gli<br />
comunicò, fra l’altro, che tutte le autorità locali erano pronte a procurare, ovunque lui ritenesse<br />
opportuno, l'alloggio per lui, i suoi uomini, i cavalli e i cani, oltre a fornirgli guide, addetti agli<br />
approvvigionamenti e ai trasporti, operai per scavare le fosse lupaie e per altri lavori, e tiratori e<br />
battitori per le cacce. In più Lafont gli assegnò come supporto e collegamento a tempo pieno<br />
Trophime Lafont, suo fratello. Gli confermò anche che, come predisposto dagli Amministratori di<br />
Auvergne e della Languedoc, erano state preparate parecchie dozzine di petardi che le guardie<br />
avrebbero tirato e fatto esplodere durante le battute per spaventare la Bestia nonché i lupi. Questo<br />
era un efficace sistema molto in uso ovunque.<br />
Antoine decise di distribuire i suoi guardiacaccia nel cuore della zona in cui la Bestia pareva<br />
concentrare i suoi attacchi, <strong>qui</strong>ndi lui e suo figlio il 26 giugno si stabilirono nel villaggio di Sauzet,<br />
parrocchia di Venteuges, quattro guardiacaccia sempre a Venteuges, sette a Combret e gli altri a La<br />
Barthe, nei pressi di Besseyre Saint Mary. Tutti furono ospitati nelle case degli abitanti, che nel loro<br />
caso furono cordiali e molto disponibili, anche perché quei nuovi venuti sembravano molto<br />
rispettosi, onesti e pagavano bene ciò che si forniva loro. Insomma, erano ben diversi dai dragoni.<br />
Lo stesso Antoine fu subito benvoluto perché dimostrava di comprendere i problemi dei contadini,<br />
17
capiva la loro miseria e soprattutto non si comportava in modo altezzoso e sgarbato ma viveva in<br />
mezzo a loro guadagnandosi la loro simpatia.<br />
Successivamente Antoine si trasferì con il suo seguito al castello di Besset, a Besseyre Saint Mary,<br />
che divenne il suo quartier generale e che si trovava sempre nel cuore del territorio di azione della<br />
Bestia. La prima cosa che Antoine fece fu quella d’incontrare d’Enneval e di dirgli che anche lui<br />
aveva ricevuto l’incarico di uccidere la belva. A una probabile domanda sul tema posta da<br />
d’Enneval e cioè su una prossima revoca dell’incarico datogli, cosa che il vecchio cacciatore di lupi<br />
già immaginava e forse addirittura sapeva, ritengo che Antoine gli abbia risposto che lui di quello<br />
non sapeva nulla e che era compito delle autorità. Qualunque cosa fosse stata decisa, l’avrebbero<br />
comunicata loro. Quindi d’Enneval avrebbe continuato ancora le sue ricerche, ma nel contempo lo<br />
stesso avrebbe fatto Antoine.<br />
Ma i due esperti cacciatori credevano ognuno in un metodo diverso. Mentre d’Enneval riteneva<br />
ormai più efficaci le battute, che anzi in quei giorni aumentò ulteriormente re<strong>qui</strong>sendo i contadini,<br />
Antoine era un convinto fautore degli agguati e appostamenti silenziosi, sia notturni che diurni. In<br />
pratica, Antoine la pensava esattamente come il d’Enneval degli inizi, che aveva cominciato proprio<br />
tentando di attirare la belva invece che inseguirla, salvo poi constatare che con questo particolare<br />
animale non funzionava.<br />
Non sappiamo se i due si conoscessero già di persona, ma di fama senz’altro sì. A prescindere dal<br />
carattere, d’Enneval più arcigno e autoritario e Antoine più accomodante e non borioso, erano<br />
entrambi famosi ed esperti cacciatori di lupi e <strong>qui</strong>ndi, dopo l’iniziale diffidenza, avranno discusso<br />
del problema fra tecnici. D’Enneval avrà raccontato con disprezzo di quella gente che certo non lo<br />
aveva favorito nelle cacce e di cui Antoine avrebbe fatto bene a non fidarsi, dei lupi che comunque<br />
aveva abbattuto, della terribile natura di quei luoghi, della strategia usata e naturalmente di quella<br />
belva che aveva vanificato tutti i suoi tentativi e che secondo lui non era un lupo. E che comunque,<br />
a suo parere la Bestia non era una sola. Fra l’altro, gli comunicò d’Enneval, l’ultima volta la Bestia<br />
era stata avvistata da alcuni contadini nei boschi di Lorcières. L’avvistamento era avvenuto intorno<br />
alle 5 del mattino del 22 giugno.<br />
Antoine lo ascoltò e forse in cuor suo pensò che d’Enneval asserisse che non si trattava di un lupo<br />
solo per usare una ovvia scusante e cioè che se lui, esperto e noto cacciatore di lupi, non aveva<br />
ucciso la Bestia, l’unica spiegazione era che ciò non era avvenuto proprio perché non di lupo si<br />
trattava ma di un altro ignoto essere.<br />
Entrambi però sapevano una cosa; la Bestia non massacrava solo le persone, ma anche le<br />
reputazioni. Se non si fosse offerto per questa caccia, d’Enneval, ormai vecchio, sarebbe stato<br />
ricordato come il miglior cacciatore del regno e come colui che aveva ucciso fino ad allora ben<br />
1200 lupi, o almeno così asseriva lui. Ma ora sarebbe stato ricordato solo come il normanno che<br />
aveva fallito contro la Bestia. Una vita di onori cancellata da un singolo animale. Antoine sapeva<br />
che stava correndo lo stesso rischio. D’Enneval poteva essere arcigno quanto si vuole, ma certo era<br />
desideroso che la Bestia fosse finalmente uccisa, se non da lui piuttosto da Antoine. Non credo<br />
infatti che, pur ammettendo una certa rivalità repressa, il vecchio normanno non sperasse che<br />
quell’animale cessasse di esistere. Non era indifferente alle tante tragedie che aveva visto in quel<br />
periodo.<br />
Pertanto, dimostrando di voler collaborare, invitò Antoine e il figlio a partecipare alla loro prossima<br />
caccia, che comunque si rivelò ancora un insuccesso. Non solo, fino alla partenza di d’Enneval e di<br />
suo figlio, i due gruppi di cacciatori collaborarono concretamente fianco a fianco, dimostrando che<br />
la guerra era fra gli uomini e la Bestia e non fra loro. In effetti d’Enneval si dimostrò migliore di<br />
quanto lo ritenessero gli abitanti del luogo e la mia personale opinione di lui è che fece tutto ciò che<br />
qualunque esperto avrebbe tentato di fare. Gli mancò la fortuna, e forse il tempo.<br />
Dopo aver congedato d’Enneval, Antoine incontrò tutti coloro che credeva potessero essergli utili.<br />
Autorità, nobili, guardiacaccia, curati e testimoni, ai quali fece una buona impressione anche per i<br />
modi cortesi e l’esperienza in materia. Poi si informò sulla situazione ed ebbe conferma di ciò che<br />
già d’Enneval gli aveva riferito e cioè che il 21, solo il giorno prima del suo arrivo, la Bestia aveva<br />
fatto ben tre vittime. In un solo giorno! Antoine in seguito, accompagnato da guide locali, perlustrò<br />
18
la zona per capire le caratteristiche e le difficoltà dell’area in cui doveva agire. L’impressione fu<br />
identica a quella provata mesi prima da d’Enneval.<br />
Piccoli villaggi sovrastati dalle vette più elevate dei Monti de La Merguerite e soprattutto dal Monte<br />
Mouchet. Ripide creste costellate da antri e nascondigli naturali intervallate da temibili crepacci e<br />
orride gole come quelle del Desges, una vera faglia naturale che forma una valle quasi inaccessibile,<br />
e alte praterie paludose e impenetrabili foreste chiamate "boschi neri". In mezzo a quelle montagne<br />
tenebrose si stagliava il castello di Chamblard, di proprietà della famiglia del Sottointendente<br />
dell'Auvergne, Boissieu, e nel quale risiedeva Verny de Védrines, un gentiluomo la cui attività<br />
consisteva nella produzione di vetro, grazie ai minerali di cui era ricca la zona e che venivano<br />
estratti in una vicina miniera. Il castello, situato tra Paulhac e Saugues, fu più volte la base o il<br />
luogo di sosta di alcune cacce alla Bestia effettuate sulle erte pendici del Monte Mouchet.<br />
Il clima era oppressivo. Pesanti nevicate in autunno e inverno, piogge continue in primavera e<br />
autunno, impenetrabili nebbie quasi sempre, caldo torrido per brevi periodi. Insomma, come diceva<br />
la gente del luogo, “Nove mesi di inverno e tre mesi di inferno”. Antoine la pensò nello stesso modo<br />
e infatti descrisse la sua impressione in una lettera, "Ho l'onore di farvi osservare, che è da<br />
cinquant' anni che esercito cacce di ogni tipo, tanto in Francia che in Germania, in Piemonte e nei<br />
Pirenei, eppure io non ho mai visto un paese simile a questo e così difficile!”.<br />
Antoine organizzò subito delle cacce con i suoi uomini e con il supporto dei nobili locali, le cui<br />
offerte venivano finalmente ben accettate. Inoltre le autorità misero a sua disposizione anche i<br />
carabinieri, ossia gendarmi a cavallo che, a differenza degli odiati dragoni, erano ben visti e che<br />
soprattutto erano composti in buona parte da arruolati di quelle zone. Inoltre Antoine, nel limite del<br />
possibile, cercava di svolgere il suo compito evitando di arrecare danni ai contadini, se appena era<br />
possibile operare in modo diverso senza pregiudicare l’esito delle cacce. Insomma, aveva riguardo<br />
per la povera gente. Cosa che invece, a quanto si scrisse, non fece d’Enneval che nel frattempo<br />
aveva se possibile aumentato ancor più le sue battute.<br />
Ma neppure le cacce di Antoine né i suoi cani riuscirono a ottenere risultati, se non quello, già<br />
notevole, di tenere in soggezione la Bestia. Evidentemente era tanto furba da capire quando gli<br />
uomini diventavano troppo frequenti e pericolosi e così si rintanava nel fitto dei boschi, predando<br />
con ogni probabilità animali e non uomini. Che attaccasse anche animali è ovvio poiché dal 21<br />
giugno passarono tredici giorni senza che ci fosse alcun attacco all’uomo, e nel contempo l’animale<br />
dovette pur alimentarsi. La pressione di Antoine e dei suoi uomini aggiunta a quella di d’Enneval<br />
intanto era stata soverchiante e in quei giorni neppure i comuni lupi si erano fatti vedere. Antoine<br />
non si limitò a battere e perlustrare la zona, ma dispose i suoi uomini, e in particolare i quattordici<br />
esperti guardiacaccia che aveva portato con sé, a coppie nei punti in cui riteneva più probabile<br />
potesse mostrarsi la Bestia.<br />
Il fatto che li utilizzasse la notte e non di giorno, stupì abbastanza la gente in quanto si sapeva che la<br />
Bestia di norma attaccava con la luce e non con le tenebre. Perché la Bestia facesse così è chiaro: di<br />
notte i pastorelli stavano al sicuro nelle case mentre era di giorno che portavano gli armenti nei<br />
pascoli. Ma è ovvio che questo fosse stato valutato da subito da Antoine, il quale non è detto che<br />
non abbia appostato cacciatori anche di giorno. Ma la scelta di Antoine ci fa capire comunque che<br />
era convinto che la Bestia fosse un lupo, e i lupi vanno in caccia soprattutto al crepuscolo, ossia<br />
sono più attvi nella tarda serata e poco prima dell’alba. Solo che in quei giorni nulla si vide e nulla<br />
si sentì.<br />
Ma il 4 luglio ci fu un’altra vittima, Marguerite Oustallier, 68 anni, del villaggio di Broussoles,<br />
parrocchia di Lorcières. Era quasi mezzogiorno quando l’anziana donna, che stava custodendo le<br />
sue vacche al pascolo in compagnia di una bambina dodicenne, fu attaccata dalla Bestia, che la<br />
sgozzò e le mutilò orrendamente una guancia. Anzi, la bambina fu senza dubbio miracolata, poiché<br />
ritengo che la vittima prescelta fosse proprio lei, visto che la Bestia prediligeva i giovani. Senza<br />
dubbio la belva era già nascosta nei paraggi pronta all’attacco, quando le due donne notarono che le<br />
vacche erano entrate in un vicino campo di grano. La bambina allora corse a scacciarle da lì e così<br />
inconsapevolmente si allontanò dalla belva nascosta e in più si avvicinò alle vacche che, come<br />
sappiamo, erano perfettamente in grado di attaccare la belva e metterla in fuga.<br />
19
Per questo motivo molto probabilmente la belva non attaccò anche la ragazza, la quale una volta<br />
portate indietro le vacche, senza che si fosse accorta ancora di nulla, si trovò davanti all’orribile<br />
scena. Terrorizzata, continuando a urlare, la bambina scappò in cerca d’aiuto. Nelle vicinanze c’era<br />
un uomo che, accortosi di quanto stava avvenendo, corse contro la belva brandendo un nodoso<br />
bastone, tuttavia la Bestia non solo non fuggì ma lo attaccò girandogli attorno con la consueta<br />
tecnica. L’animale non voleva evidentemente lasciare la sua preda, e cioè l’anziana donna uccisa,<br />
ed era inferocita. L’uomo si trovò a mal partito ma fortunatamente sopraggiunsero i soccorsi. La<br />
belva fuggì. Quello stesso pomeriggio il mostro si avvicinò al villaggio di Julianges e attaccò,<br />
ferendola, la figlia del maniscalco, ma fu messa ancora una volta in fuga.<br />
Nonostante i buoni propositi, accadde quello che già si era verificato più volte con Duhamel e<br />
d’Enneval, ossia la segnalazione non fu affatto veloce. Antoine infatti fu avvertito dell'omicidio<br />
solo l'indomani a mezzogiorno. Il cadavere non era stato rimosso e già nei pressi si erano appostati<br />
alcuni dei suoi guardiacaccia, in agguato. In virtù di questo Antoine giunse con i suoi uomini e i<br />
cani sul luogo dell’attacco solo intorno all'alba del 6 luglio. Esaminò il corpo, che già stava<br />
evidentemente decomponendosi, e constatò che la Bestia, essendo stata disturbata dall’arrivo dei<br />
soccorritori, ne aveva mangiato ben poco. Gli abiti della donna erano stati in parte stracciati a morsi<br />
e il suo cappello si trovava lì vicino. Il terreno intorno mostrava grandi chiazze di sangue<br />
raggrumato e che formavano una lunga striscia. Infatti il cadavere era stato trascinato dalla belva<br />
per un certo tratto, forse nel tentativo di portarlo in un punto più sicuro per divorarlo. Ricordate la<br />
mia ipotesi su alcune decapitazioni e cioè che siano avvenute per trascinamento? E’ <strong>qui</strong>ndi assodato<br />
che la Bestia lo facesse e che questa conseguenza potrebbe aver portato in alcuni casi al distacco<br />
della testa o di un braccio.<br />
Il terreno era erboso e <strong>qui</strong>ndi non trovò impronte, ma poco più in là c’era un punto nel quale il<br />
terreno era sgombro ma duro. Pertanto non c’era l’impronta delle zampe ma solo i segni di unghie,<br />
a buona distanza una dall’altra. Antoine sul fatto scrisse, “Abbiamo visto molto sangue, il suo<br />
cappello e i suoi abiti straziati ed abbiamo riconosciuto che era stata trascinata per quattro tese.<br />
Là dove il campo era duro, ho visto solamente le unghie di un grande lupo". La tesa era un’antica<br />
unità di misura di lunghezza, oscillante fra 1,70 m. e 2 m., pari all’apertura delle braccia, appunto,<br />
tese. Poco dopo ad Antoine riferirono che la Bestia quel giorno aveva anche attaccato una bambina<br />
di Julianges, e cioè la figlia del maniscalco, fortunatamente solo ferita grazie all’intervento di alcuni<br />
uomini. Antoine era stupito dal comportamento di questo animale.<br />
Mentre era ancora lì, arrivò tutto ansimante un console di Lorcières, dicendogli che tutto il villaggio<br />
era in allarme per gli urli di una bestia. Antoine immediatamente spronò il cavallo e galoppò verso<br />
Lorcières, con tutta la sua truppa e i suoi segugi, ma l’animale era già scomparso. L'esame delle<br />
tracce però rivelò il passaggio di un grande lupo, al quale si era poi aggiunta una lupa, che il<br />
maschio aveva con ogni probabilità richiamato proprio con gli urli, ossia gli ululati, uditi in paese.<br />
Le grandi impronte, o meglio i segni delle sue unghie, lasciate dalla Bestia che aveva ucciso due<br />
giorni prima la vecchia donna parevano coincidere con le grosse impronte lasciate da questo lupo<br />
maschio. Ovvio cosa pensò Antoine. “E se la cosiddetta Bestia non fosse altro che un grande lupo,<br />
magari insieme alla compagna e a qualcuno dei suoi figli?”. Del resto, più volte era stato descritto<br />
un animale, probabilmente la Bestia, che camminava con uno o più cuccioli a fianco o che quando<br />
si allontanava veniva raggiunto da loro. In un caso un cucciolo era stato visto avvicinarsi alla Bestia<br />
e leccarle il muso, forse nel tentativo di farle rigurgitare il cibo come normalmente fanno i canidi.<br />
Se era così, la Bestia stava allevando i suoi cuccioli con carne umana, insegnando loro che l’uomo<br />
era una preda da cacciare. E se era così, prossimamente ci sarebbero state in giro parecchie Bestie<br />
antropofaghe. Anzi, forse ce n’erano già.<br />
Antoine appostò allora dei tiratori in quella zona, preferendo evitare di fare una battuta sapendo che<br />
un animale inseguito è capace di fuggire a chilometri di distanza e più, mentre un animale ben<br />
nutrito non si allontana molto e tende a rimanere in zona se non disturbato. Ma uno dei peggiori<br />
nemici era il tempo, dal suo arrivo praticamente aveva piovuto tutti i giorni oppure c’era stata una<br />
pesante nebbia che non permetteva di vedere neppure a pochi metri di distanza. Ecco cosa scrisse<br />
Antoine in una lettera del 27 luglio 1765:<br />
20
"Les pluies, les brouillards épais <strong>qui</strong> règnent tous les matins et <strong>qui</strong> durent souvent jusqu'au soir, les<br />
foins, les blés <strong>qui</strong> ne peuvent être récoltés qu'à la fin d'août, les habitants <strong>qui</strong> y sont occupés, ce <strong>qui</strong><br />
fournit toutes leurs ressources, tout cela retarde beaucoup toutes nos opérations."<br />
In italiano:<br />
"Le piogge, le spesse nebbie che regnano tutte le mattine e che durano spesso fino a sera, il fieno, il<br />
grano che non possono essere raccolti se non alla fine di agosto, gli abitanti che sono occupati in<br />
ciò che fornisce tutte le loro risorse, tutto questo ritarda molto tutte le nostre operazioni."<br />
Intanto la Bestia aveva cercato più volte di fare altre prede. Due suore clarisse di La Besse il 10<br />
luglio, salvate appena in tempo dai contadini, e due pastorelli il 17. Questi ultimi due ebbero la<br />
fortuna di vedere per tempo la belva mentre correva verso di loro e immediatamente si<br />
arrampicarono agilmente su un albero. L’animale, ringhiante anche per la rabbia di vedersi sfuggire<br />
la preda, tentò di salire anch’essa sull’albero, ma ovviamente senza riuscirci, e poi prese a balzare in<br />
alto.<br />
Ma i ragazzi erano fuori dalla sua portata. Non doma, la Bestia si accoccolò come un grosso cane lì<br />
sotto e si mise in attesa. Ogni tanto ringhiava e guardava in alto. Ansimava forte, con la bocca<br />
aperta e la lingua pendente, in quella calda giornata di luglio. I bambini ebbero modo di vederla<br />
bene, il lungo corpo gigantesco che si irrobustiva sempre più fino ad avere nelle spalle e nel collo<br />
una forma taurina, la gigantesca e sgraziata testa dalle corte orecchie, il pelo duro e fitto, le zampe<br />
grosse quanto le braccia di un uomo e che terminavano in giganteschi e sproporzionati piedi dalle<br />
unghie incredibilmente lunghe. Poi, d’improvviso, l’animale sparì e i ragazzi cominciarono a<br />
pensare che se ne fosse finalmente andata, anche se diffidavano. E fecero bene perché al loro<br />
minimo movimento riapparve la belva, ancora più furiosa. Fortunatamente, dopo ore di attesa con il<br />
cuore in gola, apparve un cavaliere che caricò i bambini in groppa e li portò a casa. La belva non si<br />
era mostrata.<br />
A seguito di questi recenti tentativi di predazione, Antoine pensò che forse doveva organizzare<br />
subito una battuta, ma, come appunto si legge nella lettera di prima, sapeva che ormai era giunto il<br />
periodo della fienagione e che presto si sarebbero falciati i campi, soprattutto di segale. Antoine, per<br />
non disturbare troppo i contadini in una fase cruciale del raccolto, si era ripromesso di non fare<br />
battute e <strong>qui</strong>ndi di non usare i contadini come battitori se non la domenica e nei giorni festivi,<br />
durante i quali non lavoravano.<br />
Un giorno a d’Enneval arrivò la lettera, ormai attesa, delle autorità che gli comunicavano la<br />
cessazione dell’incarico e così il vecchio cacciatore e suo figlio il 18 luglio, fra l’evidente<br />
soddisfazione e il sarcasmo della gente, partirono per tornare umiliati e furenti in Normandia.<br />
Grazie al personale interessamento di Antoine, il re concesse comunque a d’Enneval una rendita<br />
annua di 350 franchi.<br />
Pochi giorni dopo, esattamente il 21 luglio, Claude Biscarrat, un bambino di soli 9 anni di Auvers,<br />
fu mandato dai genitori a recuperare le vacche che erano rimaste al pascolo. Claude aveva paura,<br />
ma lo si mandò lo stesso. Tutta la vicenda della Bestia, la sua ferocia, il numero dei morti, qualsiasi<br />
aspetto di questa storia viene semplicemente annichilito da un fatto: lo straordinario coraggio di<br />
quei bambini e la straordinaria povertà dei loro genitori che consapevolmente mandavano i loro figli<br />
incontro a una probabile morte semplicemente perché costretti dalla necessità. Se voi o io, uomini<br />
adulti e forti, sapessimo che c’è in zona, magari nascosto proprio dietro gli alberi davanti a noi o<br />
sotto il muretto che delimita il campo, una bestia feroce, una belva che veramente, realmente da<br />
anni uccide e mangia le persone, andremmo avanti anche di un solo passo? Dopo magari aver visto i<br />
resti di un nostro amico o di un parente o di un conoscente fatto a pezzi, divorato? Ebbene, sono<br />
sicuro di no. Ma quei bambini lo facevano, praticamente disarmati, e non solo una volta ma tutti i<br />
giorni e ognuno di quei giorni avrebbe potuto essere l’ultimo. Con il cuore in gola, trepidanti,<br />
magari piangenti, ebbene andavano. Voi vi domanderete perché questi bambini non andassero<br />
sempre in gruppo per meglio difendersi.<br />
21
La risposta è che non sempre era possibile, non sempre i pascoli potevano sostentare tutti gli<br />
armenti colà portati eccezionalmente e riuniti. E neppure si può pensare che tutti i genitori di quei<br />
ragazzi fossero dei debosciati ai quali non interessasse nulla di loro, perché non è così. Tutti<br />
dovevano fare qualcosa per far sì che la famiglia potesse in qualche modo campare e in ultima<br />
analisi quello di custodire le bestie al pascolo era l’unico compito non pesante e alla portata di un<br />
bambino. Mettetevi nei panni di quei genitori e capirete l’orrore dato dalla Bestia del Gévaudan per<br />
ben quattro anni.<br />
Claude Biscarrat andò al pascolo a recuperare le vacche, ma passava il tempo e non tornava.<br />
Calarono le tenebre e nulla ancora. Lo si cercò al buio ma senza risultato. Era scomparso. Il mattino<br />
dopo in un pascolo furono trovati i suoi zoccoli, e più avanti gli abiti che, per alcuni dei testimoni,<br />
sarebbero stati intatti. Il corpo non c’era. Ma c’erano ancora le stesse, enormi impronte. Fu lo<br />
stesso Antoine, durante una battuta svoltasi tre giorni dopo, il 24, a trovare infine ciò che rimaneva<br />
del corpo del povero bambino. Nudo, una coscia interamente spolpata, l’altra a metà, così come la<br />
schiena. I reni mancavano, e il collo era spezzato, anche se la testa non si era staccata. La belva<br />
l’aveva evidentemente trascinato per il collo, come già avvenuto con altre vittime, ma questa volta<br />
la testa non si era staccata. Sul ventre aveva gli orribili segni lasciati da quattro grandi zanne.<br />
Il giorno dopo fu la volta di Marguerite Soulier, una ragazza di 25 anni, che fu attaccata vicino a<br />
Chabanol. Ma nei pressi c’era un uomo intento a falciare il fieno, Etienne Magné, che subito<br />
accorse brandendo la terribile arma. La belva fuggì, mentre la donna non riportò alcuna ferita. Il 27<br />
altro tentativo di attacco a tre bambini di Ruynes, ma un gruppo di contadini intervenne in tempo.<br />
Il 29 invece la Bestia uccise e divorò un bambino a Sauzet. Passarono alcuni giorni e parve l’inizio<br />
di una tregua o magari persino la fine dell’incubo. Gli unici movimenti su quelle montagne parvero<br />
essere solo quelli delle vacche al pascolo con i loro campanacci al collo, delle capre e pecore nelle<br />
radure e dei pastorelli che trepidanti le custodivano. I cacciatori a cavallo continuarono senza sosta<br />
a perlustrare l’enorme zona, i cani a cercare piste, i guardiacaccia a stare nascosti con le armi<br />
pronte. Ma niente, nessuna belva, nessun attacco. Che fosse morta, magari caduta in qualche<br />
trappola o avvelenata?<br />
No, e lo dimostrò il 3 agosto, nei pressi di Servières. Verso le 20, la Bestia vide un uomo e una<br />
donna che falciavano l’erba e, poco distante da loro, un bambino che giocava in un vicino fosso. La<br />
belva si avvicinò strisciando bassa fra l’erba e all’improvviso balzò all’attacco, afferrando con le<br />
fauci la vittima, che si chiamava Pierre Roussel, di 5 anni. Immediatamente, con un urlo disperato, i<br />
genitori accorsero ma la belva, che teneva il bambino serrato fra le fauci e sollevato da terra, riuscì<br />
ugualmente a saltare tre muretti di pietra alti circa un metro.<br />
Sarebbe riuscita a fuggire con la preda se proprio davanti a lei non fosse apparso un altro uomo,<br />
vicino di casa dei Roussel, che prese a colpirla con la baionetta mentre il suo cane si gettava<br />
ferocemente contro la belva. Questa, pressata dai colpi di baionetta, dai morsi del cane e dall’arrivo<br />
dei Roussel armati di falce, si sentì in trappola. Inoltre, col bambino ancora in bocca, non poteva<br />
difendersi o contrattaccare. Preferì allora fuggire, abbandonando il bambino, ormai svenuto e ferito<br />
alla testa, a una guancia e a una spalla. Ma si salvò e guarì.<br />
Il 6 agosto altro attacco. Guillaume Lèbre e Etienne Crozatier, di 16 e 18 anni, lungo il ruscello del<br />
Gorguière, vicino a Marcillac, furono attaccati, ma dovettero la vita all’intervento dei loro buoi. Il<br />
giorno successivo, il 7, a essere attaccati furono Pierre Cellier e sua moglie, che stavano mietendo a<br />
Longchamp, vicino a Chabanol. La Bestia, che evidentemente stava spiando i due da tempo in<br />
attesa dell’occasione propizia, attaccò la donna appena allontanatasi per andare a prendere la<br />
colazione, poggiata lì vicino. Ma il pronto intervento del marito e di altri contadini la fece fuggire.<br />
Antoine intanto continuava nelle ricerche e il giorno dopo, il 9, trovò tracce della belva nel bosco di<br />
Servières. Inseguita dai cani per ore, fra astuti tentativi di depistaggio dell’animale e adeguate<br />
contromisure dei cani che comunque non la mollavano, la belva sfrecciò veloce procedendo sulle<br />
ripide pendici verso il Monte Mouchet. Antoine allora ritenne che, continuando a darle una caccia<br />
serrata, la belva avrebbe potuto abbandonare del tutto la zona, come del resto già aveva fatto nei<br />
primi mesi della sua comparsa nella zona di St.Flour de Mercoire. E se l’avesse fatto, la zona delle<br />
ricerche si sarebbe ulteriormente allargata. Avrebbe dovuto cominciare tutto da capo. E <strong>qui</strong>ndi<br />
22
Antoine, intorno alle 17, ordinò di interrompere la battuta, fra lo stupore della popolazione locale<br />
che lo accompagnava come battitori.<br />
Fu un errore, anche se solo apparentemente. Infatti verso le 19, mentre Antoine si stava rinfrescando<br />
nel suo appartamento presso il castello del Besset, sentì all’esterno un forte clamore. Erano gli<br />
abitanti di La Besseyre-St-Mary, forconi e baionette alla mano, che avevano invaso<br />
tumultuosamente il castello, protestando proprio contro Antoine. Cos’era successo? Che, pur<br />
inseguita per tutto il giorno, la Bestia non solo non si era allontanata, ma addirittura era tornata<br />
indietro e li aveva seguiti fino al castello. E lì aveva scorto Jeanne Anglade, una robusta ventenne<br />
del villaggio di Pompeyren, che ignara stava filando. La giovane, attaccata alle spalle, era stata<br />
uccisa immediatamente. Gli abitanti del villaggio allora avevano ritenuto Antoine responsabile,<br />
accusandolo che se non avesse interrotto la battuta la donna non sarebbe morta.<br />
Non solo, alcuni, superstiziosi e creduloni al massimo grado, si misero a gridare che la Bestia aveva<br />
fatto quell’incredibile affronto ad Antoine consapevolmente. Lo aveva sfidato, uccidendo la ragazza<br />
a soli 500 metri di distanza dal castello e da Antoine stesso! Anzi, ora, continuarono quelli, la Bestia<br />
sarebbe stata ancora più sanguinaria per rivalsa! Ma naturalmente nessun animale agisce con tale<br />
malefica astuzia e premeditazione. Neppure la Bestia. Pertanto la mia opinione è che la Bestia<br />
inseguita e cacciata non fosse la stessa Bestia che uccise Jeanne Anglade.<br />
Antoine subito reagì nel modo più logico e iniziò seduta stante un'improvvisata battuta con 600<br />
battitori, 117 uomini armati e tutti i suoi 44 cani, ai quali se ne aggiunsero altri 60 messi a<br />
disposizione dai nobili locali. Tutti quegli uomini e soprattutto tutti i cani attraversarono i boschi<br />
latrando, cercano piste ovunque, trovandole, riperdendole. La Bestia evidentemente era maestra nel<br />
far perdere le sue tracce. Lo fece anche questa volta e la battuta fu un insuccesso. Antoine, come<br />
d’Enneval prima di lui, era costernato e nei rapporti che inviò a Luigi XV dovette ammettere che<br />
l’impresa era effettivamente difficilissima.<br />
Aveva notato anche un’altra cosa: i cani che aveva non bastavano e peccavano spesso anche sotto<br />
l’aspetto qualitativo. Viste le difficoltà della zona, e per accelerare anche i tempi, ai suoi<br />
quarantaquattro cani e alle molte decine messe a disposizione dai nobili se ne dovevano aggiungere<br />
altri. Ma dato che nelle battute a un determinato numero di segugi doveva essere affiancato un<br />
numero proporzionale di cani da presa o comunque di cani capaci fisicamente di bloccare e anche<br />
uccidere da soli i lupi, ecco che i suoi quattro grandi cani della Louveterie Royale non bastavano.<br />
In zona c’erano molti cani di questo tipo, ma finora non avevano dato grande prova di efficienza.<br />
Inoltre, non è che qualsiasi cane avrebbe potuto essere unito a un gruppo di cani già consolidato,<br />
perché non avrebbe saputo cosa fare se non attaccare lite con tutti gli altri. La muta di cani invece<br />
deve essere formata da esemplari che si conoscano, collaborino fra loro e fra i quali si sia instaurata<br />
una chiara gerarchia. Oppure da cani che siano addestrati a cooperare una volta messi in muta, che<br />
si conoscano o no.<br />
Antoine sapeva che in Italia esisteva una razza di cani ritenuta validissima contro lupi e orsi, ed<br />
erano i maremmani-abruzzesi, simili ai grandi cani francesi da montagna dei Pirenei ma un poco<br />
meno pesanti e <strong>qui</strong>ndi più adatti a stare al passo dei segugi negli inseguimenti. Tanto che in Italia si<br />
usavano mute di grossi cani addestrati a inseguire e attaccare la grossa selvaggina, come orsi e<br />
cinghiali, utilizzando esemplari di cane corso, un molosso agile e veloce, a volte unendoli ad altri<br />
come il maremmano-abruzzese. Fra l’altro questi ultimi gli erano stati offerti, provenienti dal Regno<br />
di Napoli, proprio per risolvere quella situazione nel Gévaudan. Francamente, a me la cosa pare<br />
curiosa. Primo perché i buoni cani, anche simili a quelli italiani, in Francia non mancavano. E poi<br />
non credo che potessero essere così determinanti perché anche in Italia, nello stesso periodo, ci<br />
furono casi di lupi o Bestie antropofaghe, anche in Abruzzo che è la terra di origine di questi cani da<br />
pastore, e non mi risulta che tali vicende siano mai state risolte dai cani citati o da altri. Per altro, se<br />
per tale caccia avessi dovuto scegliere io, avrei senza dubbio preferito i cani corsi, ben più veloci e<br />
terribili nella presa e nella lotta. Un chiarimento, i cani corsi non c’entrano nulla con la Corsica.<br />
Sono in tutto e per tutto una razza italiana, simile al mastino napoletano ma più leggeri pesando una<br />
cinquantina di chili e sono originari dell’Italia meridionale. “Corso” infatti, in calabrese, significa<br />
“forte”.Fatto sta che Antoine, già ai primi di agosto aveva spedito una lettera alle autorità<br />
concernente l’invio anche di un ulteriore gruppo di cani.<br />
23
Nella richiesta inoltrata agli Amministratori di Auvergne e della Languedoc, Antoine specificò<br />
innanzi tutto che fino ad allora tutte le tracce individuate nei luoghi degli attacchi della Bestia non<br />
offrivano nessuna differenza col piede di un grande lupo. Considerando poi la natura della zona,<br />
estremamente accidentata, con profondi burroni e scarpate, forti dislivelli, paludi e boschi, Antoine<br />
chiese il rinforzo in cani, dettagliando che gli necessitavano un segugio, tre buoni cani per lupi ma<br />
in grado di correre bene, due cani abbaiatori e tre grandi, rustici e forti levrieri. Inoltre richiedeva<br />
che insieme ai cani venissero inviati tre guardiacaccia di sua fiducia, e cioè Maréchaux, Chabeau e<br />
Duvaux, e dodici soldati più un ufficiale di fanteria, necessari per dirigere e inquadrare i contadini<br />
durante le battute e per impedirgli, perché capitava anche quello, che scappassero o abbandonassero<br />
il posto loro assegnato. Lafont appoggiò naturalmente tutte le richieste di Antoine, che apprezzava<br />
riconoscendogli attivismo, zelo e devozione per l’incarico, tanto che diceva, “sarebbe molto<br />
spiacevole che accadesse qualche incidente a cotanto gentiluomo! ". La dettagliata richiesta di<br />
Antoine a proposito dei cani rispecchiava perfettamente quella che era la composizione di ogni<br />
muta di cani. Là dove ancora si usano le mute di cani per la caccia, queste sono formate da cani<br />
ognuno con diverse “specializzazioni”, anche se tutti sono resistenti e determinati.<br />
Per quanto riguarda le specializzazioni, di solito le buone mute sono formate da un cane esperto e di<br />
buon fiuto come un segugio per trovare e seguire la traccia, da altri più veloci per inseguire il<br />
selvatico, di altri che abbiano l’ardore di affrontare l’avversario costringendolo ad arrampicarsi o<br />
spingerlo e trattenerlo in un punto senza vie di fuga e magari ancora un altro che sia un grande<br />
abbaiatore in modo da richiamare in quel punto l’uomo frastornando intanto l’animale bloccato.<br />
Anche se in generale ognuno di questi cani sa fare un poco di quello che fanno gli altri, l’unione di<br />
queste diverse specializzazioni rende veramente efficace una muta. E quando uno di questi cani<br />
viene a mancare, tutto il gruppo ne risente ed è necessario sostituirlo con un altro esemplare con<br />
analoghe capacità.<br />
Mentre Antoine aspettava i rinforzi, un aiuto arrivò con un gentiluomo dell'Alto Vivarais, il conte<br />
Antoine Tournon, il quale venne a unirsi ad Antoine proprio nei primi giorni di agosto e con tutto il<br />
suo e<strong>qui</strong>paggio. Aveva portato con sè un bracchiere, tre addetti venatori e una muta di diciannove<br />
cani, condotta da due valletti. I due uomini fraternizzarono e da allora collaborarono sempre<br />
insieme nell’impresa. Certo, alla luce dell’efficacia dei cani in questa storia, sarebbe interessante<br />
capire i rapporti esistenti in quell’area fra cani e lupi, Bestia inclusa. A quanto si percepisce dalla<br />
documentazione pare che i cani da pastore fossero numerosi nel Gévaudan e liberi di circolare<br />
autonomamente anche lontano dai paesi.<br />
Ci fu il caso di un contadino, che stava coraggiosamente ma anche imprudentemente finendo di<br />
falciare il grano nonostante fosse ormai notte, confidando evidentemente sul chiaro di luna che<br />
rischiarava intorno a sé. Bene, l’uomo a un certo punto notò che qualcosa avanzava nel grano verso<br />
di lui e pensò che si trattasse del suo cane che lo raggiungeva. Si trattava invece della Bestia, che<br />
però fu tenuta a distanza dal contadino a colpi di falce, finiti invariabilmente a vuoto ma che fecero<br />
capire alla belva che era meglio lasciar perdere quella pericolosa preda. L’uomo infine scappò a<br />
casa e per riprendersi dal terrore ci mise ore. Tutto questo comunque fa capire che era normale che i<br />
cani, lupi o Bestia circolanti, andassero tran<strong>qui</strong>llamente a zonzo senza temere alcunché. Eppure<br />
questo comportamento avrebbe dovuto portarli più o meno frequentemente allo scontro con i lupi,<br />
che se ne hanno la possibilità predano i cani. Ma a quanto pare questo accadeva con cani da caccia o<br />
di piccole dimensioni, tanto che il cacciatore Mercier di Mende utilizzò parecchie carcasse<br />
avvelenate di cani contro la Bestia.<br />
Del resto è altrettanto strano che la Bestia entrasse impunemente e si aggirasse tran<strong>qui</strong>llamente nei<br />
villaggi senza allarmare i cani e senza esserne attaccata, cosa che in tali casi avviene sempre. E,<br />
ribadisco, questo avviene sempre, sia che in prossimità delle case o di un gregge si aggiri un lupo o<br />
un cane o un ibrido di lupo e cane. Gli scontri fra cani e la Bestia ci furono, ma pare senza troppa<br />
convinzione da ambo le parti. Il mastino della famiglia Jouve in ultima analisi attaccò la Bestia che<br />
aveva aggredito Jeanne Jouve e suo figlio, nonostante il rumore di una lotta durata oltre mezz’ora,<br />
solo quando fu aizzato da uno dei figli e a quel punto la belva fuggì. Durante la battuta dell’11<br />
agosto, trattata di seguito, alcuni cani da pastore avevano attaccato la Bestia ma solo perché questa<br />
fuggendo dai cacciatori era quasi finita involontariamente fra gli armenti al pascolo. Un’altra volta<br />
24
la Bestia era apparsa addirittura alla gente che stava partecipando al funerale di una sua vittima e<br />
alcuni cani, non si sa se aizzati o di propria iniziativa, la inseguirono fin nel bosco, riuscendo<br />
evidentemente a raggiungerla. Si disse che i cani una volta tornati mostravano i segni dei denti della<br />
belva sui loro collari antilupo, ma questa è senza dubbio una sciocchezza che solo chi non ha mai<br />
visto tali collari potrebbe affermare.<br />
Infatti erano totalmente in metallo e solo a volte di duro cuoio, anche se questo tipo non veniva<br />
solitamente usato perché era più largo e sfregando e comprimendo il pelo e la pelle del cane gli<br />
causava irritanti infiammazioni. E certo i denti non incidono il metallo. E anche se fosse stato di<br />
cuoio, mai i denti della Bestia o di un lupo avrebbero potuto arrivare fino al collare, essendo questo<br />
sempre totalmente ricoperto di molte e acuminate punte, lunghe anche più di 6-7 centimetri e <strong>qui</strong>ndi<br />
più dei denti di un lupo. Visto che questi cani arrivarono, secondo ciò che disse la gente, ad avere<br />
uno scontro fisico con la Bestia, ci sono solo due possibilità: o in realtà abbandonarono<br />
l’inseguimento dopo poco oppure, ancora una volta, non furono abbastanza determinati per portare<br />
a fondo l’attacco. In altri scontri avvenuti in Italia e documentati, i cani maremmani-abruzzesi o i<br />
cani corsi, in gruppo o anche da soli, avevano spesso ucciso il lupo. La mia sensazione, priva di<br />
qualsiasi fondamento etologico, è che fra cani e lupi, Bestia inclusa, si fosse ormai instaurata una<br />
sorta di “pace armata”. (continua)<br />
L’oltraggiosa accusa<br />
L’accusa, molto grave, si basava sul semplice fatto che Antoine aveva comunicato la notizia<br />
dell’abbattimento della Bestia con un rapporto inviato a Ballain Villiers, Amministratore<br />
dell'Auvergne e dunque Governatore Generale di tutta la Provincia. E allora, direte voi? Il fatto è<br />
che la data era quella del 20 settembre 1765. E dunque, visto che la Bestia era stata abbattuta solo il<br />
giorno dopo, il 21, come faceva Antoine a sapere il giorno prima che l’avrebbe fatto? Inoltre, come<br />
mai il grande lupo proveniente dai Carpazi ed esposto ai Jardin des Plantes de Paris, insomma lo<br />
zoo della città, che i cittadini ben conoscevano anche per i suoi ululati udibili tutt’intorno, era<br />
misteriosamente scomparso dalla sua gabbia proprio nel mese di settembre? E come mai il famoso<br />
soccorso, quello chiesto pressantemente da Antoine e giunto il 18 settembre, comprendeva dei carri<br />
con gabbie accuratamente coperte? Tutto molto strano.<br />
L’accusa <strong>qui</strong>ndi ipotizzava che Antoine fosse stato inviato nel Gévaudan, con la connivenza di<br />
amicizie molto potenti, oggi diremmo “molto in alto”, con lo scopo di uccidere un qualsiasi animale<br />
chiudendo il caso e facendo cessare così le critiche nazionali e internazionali sulla vicenda. Che<br />
avesse fatto prendere, sempre grazie a potenti appoggi, il povero lupo dello zoo di Parigi e averlo<br />
fatto trasportare in una gabbia, insieme con il trasporto dei cani da caccia richiesti, fino al luogo in<br />
cui fu liberato alla chetichella dai suoi guardiacaccia e poi ammazzato a fucilate da lui stesso e dai<br />
suoi in una battuta accuratamente orchestrata. Ergo, Antoine era un truffatore.<br />
L’accusatore, Bès de Bessière, naturalmente non osò dire che Antoine era d’accordo con il re,<br />
perché se l’avesse fatto come minimo sarebbe finito seduta stante e permanentemente nelle galere<br />
francesi.<br />
Questa tesi fanta-politica è sposata da diversi studiosi della Bestia del Gévaudan, che la ritengono<br />
molto probabile. Ebbene, io non sono fra questi anche se voglio sottolineare che, benché io sia<br />
ormai in là con gli anni, certo non vissi all’epoca e <strong>qui</strong>ndi non ho certezze di alcun tipo da offrire.<br />
Come del resto gli altri. Cercherò di spiegare perché non ci credo, anche se non voglio con ciò<br />
asserire che re e governanti vari, di ieri e di oggi, non sarebbero disposti a far cose del genere per<br />
rimanere al posto di comando.<br />
Anzi, farebbero molto peggio e molti l’hanno fatto concretamente. Ecco il mio parere, ammesso che<br />
vi interessi:<br />
25
a) Luigi XV avrebbe potuto disinteressarsi della vicenda, visto che di simili casi, più o meno<br />
gravi, se ne verificarono in tutta Europa. A livello nazionale c’erano problemi ben peggiori<br />
e che causavano vittime continuamente e in numero incomparabilmente più alto, basti solo<br />
pensare alle carestie, e che pure venivano accettate con fatalismo dalla popolazione. Magari<br />
Luigi XV avrebbe potuto far perlustrare la zona dai gendarmi locali giusto per far vedere<br />
che qualcuno c’era, e fermarsi lì. Qualcuno gli avrebbe fatto, chessò, causa per questo?<br />
b) Le critiche che giungevano dall’estero, e soprattutto dall’Inghilterra, avrebbero potuto<br />
mettere in difficoltà Luigi XV? No, e del resto anche l’Inghilterra avrebbe potuto essere<br />
accusata o presa in giro dai francesi per una miriade di altri problemi, come tutti i regni<br />
dell’epoca. Francesi e inglesi si sono fatti la guerra per secoli, ammazzandosi a vicenda con<br />
reciproca soddisfazione, figuriamoci se qualche presa in giro propagandistica sarebbe stata<br />
presa sul serio da qualcuno.<br />
c) Antoine mi pare una persona seria, almeno da quel che se ne ricava dai documenti<br />
disponibili. Certo, con la censura che c’era, è ovvio che sia rimasta agli atti solo una<br />
versione “buonista”. Eppure, a istinto, lo ritengo persona scrupolosa e dignitosa, che mai si<br />
sarebbe prestato a una simile montatura, anche perché avrebbe ben saputo che non<br />
uccidendo la vera Bestia avrebbe comunque fatto prima o poi la figura del fallito.<br />
d) Con tutti i cani strani disponibili e magari di razze sconosciute o dai colori e pelo strani<br />
oppure tutti i lupi catturabili ovunque, voi avreste prelevato proprio quello dello zoo di<br />
Parigi, che tutti erano abituati a vedere e che conoscevano? E allora, perché non prelevare, o<br />
procurarsi, un esemplare di specie esotica dallo zoo o da altrove e magari proprio una iena,<br />
visto che tutti dicevano che la Bestia pareva proprio un siffatto animale? E poi chi dice che<br />
il lupo dei Carpazi dello zoo fosse veramente gigantesco come quello ucciso da Antoine? I<br />
lupi dei Carpazi hanno più o meno le dimensioni di quelli allora viventi in Francia o Italia.<br />
e) E il grande lupo nero ucciso da Rinchard, da dove veniva allora? Anche lui da un altro zoo?<br />
Mi sembra più probabile che nel Gévaudan si aggirassero alcuni esemplari anomali di lupo,<br />
probabilmente dello stesso piccolo branco, magari discendenti da accoppiamenti con lupi<br />
siberiani provenienti dall’Est, e questo avrebbe potuto accadere, o alla lontana anche con<br />
grandi cani inselvatichiti. Inoltre, se fosse stata una truffa, perché non dichiarare con forza<br />
che proprio quel grande lupo nero era la Bestia? Per il suo colore? Ma le descrizioni della<br />
Bestia includevano praticamente tutto e <strong>qui</strong>ndi lo si sarebbe accettato come la Bestia. Perché<br />
aspettarne un’altra? A quel punto bastava mandare un corriere e fare tornare indietro il<br />
trasporto con i nuovi cani (e l’ipotetico lupo da abbattere).<br />
f) Se quello ucciso fosse stato il lupo dello zoo, da dove venivano la femmina e i cuccioli poi<br />
abbattuti, anche loro dallo zoo? Ma nello zoo non risulta ci fossero anche femmina e<br />
cuccioli insieme. Forse che questo lupo avrebbe messo su famiglia nell’arco di solo qualche<br />
giorno? O si pensa che il lupo liberato abbia bellamente e con molta fortuna incontrato<br />
subito una disponibile lupa con già tanto di prole?<br />
g) Avete mai provato a mettere insieme, anche se naturalmente non nella stessa gabbia o non<br />
sullo stesso carro ma comunque nello stesso convoglio, un lupo e una muta di cani<br />
addestrati proprio a cacciare i lupi? Credete che i cani non l’avrebbero fiutato e che non<br />
sarebbero andati in escandescenze per tutto il viaggio, rischiando così di morire per<br />
l’eccitazione e in particolare di torsione intestinale, come tante volte capita? I carri e le<br />
gabbie potevano essere coperti per una quantità di motivi, per esempio per ripararli dai raggi<br />
del sole che a settembre possono essere ancora ben cocenti, anche nel Gévaudan.<br />
26
h) Nel caso fosse stata effettivamente una truffa, che motivo ci sarebbe stato per Antoine di<br />
inviare il giorno prima la lettera con la notizia della sua uccisione? C’era qualche scadenza<br />
inprorogabile? Non mi risulta. E Antoine sarebbe stato così sprovveduto da non sapere che<br />
nella vita, e in special modo quando si ha a che fare con i lupi, nulla è detto che vada<br />
esattamente come si spera? Che ci possono essere degli inconvenienti improvvisi? Gli<br />
sarebbe stato sufficiente uccidere il lupo e poi spedire la lettera con tutta calma e sicurezza.<br />
Con ogni probabilità la spiegazione è da ricercarsi fra le più semplici. Forse, ammesso che la<br />
storia sia vera, aveva sbagliato semplicemente la data sulla lettera. A me è capitato.<br />
i) Se fosse stata una truffa ben orchestrata, perché rimanere in zona e continuare le battute<br />
ancora per 41 giorni?<br />
j) Se fosse stata una truffa, voi avreste fatto sparire il lupo imbalsamato o l’avreste fatto girare<br />
per dieci anni in tutta la Francia, Parigi inclusa, con il rischio che qualcuno notasse che<br />
sembrava proprio quello dello zoo?<br />
Come avrete capito, per me non ci fu nessuna truffa. Con ogni probabilità Antoine, a sentire<br />
quell’accusa, si sentì oltraggiato, ma alla fine la cosa scemò e non ebbe seguito. E il re<br />
semplicemente non ne tenne conto. Tutto il Gévaudan lentamente riprese la vita di un tempo,<br />
ragazze e ragazzi ripresero a portare le bestie sui pascoli, i bambini a giocare davanti a casa e i<br />
mercati e le fiere ad essere nuovamente frequentati da commercianti, contadini, ragazze in cerca di<br />
marito e ragazzi ispirati dallo stesso desiderio nonché da quello di bere un po’ di vinello scadente<br />
nelle taverne finalmente e nuovamente gremite. I gendarmi ripresero le consuete attività, i cacciatori<br />
riconsegnarono le armi ricevute in prestito per eliminare la Bestia e i lupi rimasti… furono al centro<br />
di una notevole campagna di avvelenamenti raccomandata dal Controllore Generale delle Finanze,<br />
Laverdy, e organizzata anche nel Gévaudan per eliminare quelli sopravvissuti, campagna che però<br />
ebbe esito deludente.<br />
Insomma, era tutto tran<strong>qui</strong>llo, tanto che Etienne Lafont in una lettera scritta il 26 novembre<br />
all'Amministratore della Languedoc assicurò che, “Non si sente parlare più di nulla che abbia a che<br />
fare con la Bestia ". Altrove, sempre in Francia ed esattamente nel Soissonnais, nel Verdunois e nel<br />
Forez, ci furono altri attacchi di lupi con persone divorate, ma si trattava di zone del nord, a<br />
centinaia e centinaia di chilometri dal Gévaudan. Non c’entravano <strong>qui</strong>ndi nulla con la nostra<br />
vicenda.<br />
L’autunno aveva portato le solite piogge, nebbie e infine nevicate e a dicembre la zona era nella<br />
morsa del gelo, con una coltre bianca che copriva ogni dove e che piegava molti rami degli alberi<br />
fino a spezzarli. Nonostante le tante uccisioni perpetrate dall’uomo, i lupi non erano scomparsi dal<br />
Gévaudan e ogni tanto se ne udiva l’ululato lamentoso e se ne scoprivano le piste nella neve alta,<br />
un’unica striscia confusa che non permetteva di capire quanti ne fossero passati.<br />
I lupi infatti avanzano nella neve alta uno dietro l’altro, seguendo la scia e <strong>qui</strong>ndi sfruttando gli<br />
sforzi del primo esemplare, che diventa una sorta di apripista. Ma i cacciatori esperti sapevano che<br />
per capire di quanti lupi fosse formato un branco bastava seguire la pista fin dove i lupi avevano<br />
curvato e allora, proprio lì, il branco si era aperto con una serie di singole piste che si<br />
ricongiungevano subito dopo nella solita e unica pista.<br />
Quando il lupo era isolato e se la neve si era ghiacciata dopo il suo passaggio le impronte<br />
risultavano nette, con il grosso cuscinetto plantare centrale ben nitido, due tozzi polpastrelli laterali<br />
e due leggermente più avanzati al centro. Davanti a ogni polpastrello o dito, a circa un centimetro di<br />
distanza, si vedeva netto il segno dell’unghia, nella neve una sorta di foro di forma triangolare.<br />
Distinguere una singola impronta o anche una pista di un lupo da quella di un grosso cane, come<br />
sapevano gli esperti, era praticamente impossibile, visto che non era affatto vero che solo i lupi<br />
camminassero in modo da lasciare una scia di impronte perfettamente in linea. Alcuni pensavano<br />
infatti che i cani invece lasciassero una scia di impronte più laterali e distanziate fra le zampe<br />
sinistre e destre. Non era vero. Dipendeva solo da esemplare ad esemplare.<br />
27
Qualcuno però dovette notare le impronte di un particolare esemplare, a volte isolato e altre in<br />
coppia, che si aggirava fra quei boschi e pianure d’alta quota completamente innevate. Che fosse un<br />
cane o un lupo, doveva certamente essere grosso, molto grosso. Anzi, gigantesco.<br />
All’inizio di dicembre corse voce che un animale aveva attaccato, esattamente il 2 di quel mese, due<br />
bambini sul versante meridionale del Monte Mouchet, ma la notizia fu ridimensionata dalle autorità<br />
perché da sempre si sapeva che i lupi in quel periodo erano molto affamati e che all’occasione<br />
potevano cercare di fare vittime inconsuete come i bambini. Questo era sempre accaduto e lo si<br />
sapeva, ma non era certo da paragonare con la sistematica strage che aveva fatto l’ormai defunta e<br />
terribile Bestia. Eppure la gente non era convinta della spiegazione. I due ragazzi, Jean Couret, di<br />
14 anni, e Vidal Tournaix, di 7, si trovavano nei pascoli di La Besseyre-St-Mary, quando una belva<br />
aveva attaccato improvvisamente, afferrando con le fauci il più piccolo all’altezza dei reni e<br />
fuggendo con la sua preda. Jean allora la rincorse e infine la raggiunse cercando di strapparle<br />
l’amico a colpi di baionetta, ma la belva contrattaccò ferocemente. Fortunatamente nei pressi<br />
c’erano alcuni uomini che accorsero urlando e l'animale fuggì senza potere fare vittime. Vidal, pur<br />
gravemente ferito, sopravvisse, ma a Jean le autorità, visto che la Bestia era ufficialmente morta,<br />
non riconobbero alcun premio per il suo coraggioso intervento. Quelle persone comunque si<br />
convinsero che si trattava proprio della Bestia.<br />
Il 10 dicembre la Bestia attaccò due donne vicino Lachamp, ma un taglialegna provvidenzialmente<br />
vicino arrivò subito. La belva non fuggì e allora l’uomo le vibrò un terribile colpo d’ascia alla testa<br />
che senza dubbio l’avrebbe uccisa se l’animale non avesse evitato di misura il fendente. L’uomo<br />
continuò l’assalto con tale furia che la belva abbandonò subito lo scontro. Ma quattro giorni dopo<br />
un uomo adulto fu assalito e ferito gravemente malgrado l’immediato intervento dei soccorritori.<br />
Il 21 dicembre negli ampi pascoli sopra il villaggio di Marcillac, parrocchia di Lorcières, si<br />
trovavano sparsi ragazzi e ragazze, ognuno in custodia dei propri animali che in quel punto, nelle<br />
zone libere da un velo di neve, riuscivano a trovare stentatamente ancora di che alimentarsi. Benché<br />
più o meno sparsi, i pastorelli erano tutti in vista e così all’improvviso qualcuno notò che le pecore<br />
di un piccolo gregge stavano scappando, disperdendosi. Era la zona in cui avevano visto Agnes<br />
Mourgues, di 9 anni. Aveva parlato brevemente anche con qualcuno di loro prima di avviarsi in<br />
quel punto, non troppo distante ma neppure troppo vicino perché altrimenti le bestie tutte<br />
raggruppate non avrebbero trovato cibo a sufficienza.<br />
Corsero tutti lì e trovarono la bambina, o almeno quel che ne restava. Era quasi completamente<br />
nuda, come quand’era nata, con addosso pochi resti stracciati dei suoi abiti. Tutt’intorno grandi<br />
impronte, brani di vestiti stracciati e un'enorme chiazza di sangue che risaltava orrendamente sulla<br />
neve. La belva aveva completamente ignorato le pecore e si era gettata solo su di lei e dopo averla<br />
uccisa, nonostante la bambina avesse tentato di difendersi con alcune pietre che si trovavano ancora<br />
lì intorno, aveva prima tentato di trascinarla al riparo ma poi aveva ingollato a brani e velocemente<br />
ampi pezzi del suo corpo, in buona parte divorato. Del resto, da quando le pecore erano scappate a<br />
quando gli altri ragazzi, baionette alla mano, erano arrivati sul posto, erano passati solo pochi<br />
minuti. La testa era stata staccata e ora si trovava a sei metri di distanza dal cadavere. Se non fosse<br />
stata uccisa, pensò qualcuno, pareva proprio essere un altro assassinio della Bestia.<br />
Arrivarono i genitori, disperati. Arrivarono parenti, amici e vicini. Arrivarono i gendarmi, e i loro<br />
rapporti furono scritti lo stesso giorno, e lo stesso fece il curato di Lorcières, che preparò il triste<br />
ufficio della sepoltura per il giorno successivo. E proprio il giorno del funerale, alcuni pastori<br />
videro la Bestia, ritornata sul luogo dell'attacco. La inseguirono, e ovunque si sentissero le loro urla<br />
di avvertimento, “la Béte, la Béte!”, gli uomini abbandonavano le loro incombenze e si lanciavano<br />
in caccia. L’inseguirono fino a Clavières. La Bestia fuggendo si diresse fin dentro il villaggio,<br />
sfrecciando fra le case, balzando nelle strette strade fra il latrato dei cani e infine spuntò nella piazza<br />
della chiesetta locale. I paesani, che stavo uscendo proprio in quel momento dopo aver assistito alla<br />
messa domenicale, tornarono dentro e si barricarono, mentre le campane prendevano a suonare per<br />
dare l’allarme. Altri si rifugiarono ovunque potessero, nella taverna, nelle case. La belva li ignorò e<br />
fuggì.<br />
28
Ancora una volta i rapporti finirono alle autorità, che rimasero sbigottite davanti alla notizia. Ma la<br />
Bestia non era stata uccisa? Com’era possibile? E chi avrebbe avuto il coraggio di dare la notizia al<br />
re? C’era un’altra Bestia o si trattava di un semplice attacco da parte di un lupo? Le autorità<br />
pertanto decisero di soprassedere in attesa di nuovi elementi. Intanto i gendarmi e i guardiacaccia<br />
locali avrebbero perlustrato il territorio, ma con discrezione, senza far atti che potessero far pensare<br />
che ci si trovava nuovamente in uno stato di piena emergenza. Il 23 furono attaccate due ragazze di<br />
Julianges, e una di queste fu atterrata davanti agli occhi dell’amica terrorizzata. Cercava di<br />
difendersi e urlava, mentre alcuni uomini correvano in suo aiuto. La Bestia li vide e, afferrata la<br />
vittima, fuggì trascinandosela dietro fin nel bosco. La notte stava ormai calando e le ricerche non<br />
poterono essere fatte. Il giorno dopo furono ritrovate solo le braccia e le gambe, talmente spolpate<br />
che il curato di Julanges non ritenne quei poveri resti sufficienti per poter procedere a un regolare<br />
atto di sepoltura.<br />
La paura era tornata nel Gévaudan perché, se non si trattava della Bestia incontestabilmente morta<br />
come asserivano le autorità, certo c’era un’altra belva che uccideva in modo simile i paesani. Ogni<br />
tanto nei boschi si trovavano resti umani, ma non si capiva a chi fossero appartenuti perché non<br />
tutte le sparizioni, magari avvenute molti mesi prima, venivano attribuite ufficialmente alla Bestia.<br />
E a volte i resti erano talmente scarsi che li si raccoglieva e per trasportarli li si metteva in una sola<br />
calza. Ma in tal caso alcuni preti, come nel caso citato prima di Julianges, si rifiutarono di<br />
autorizzare i riti di sepoltura adducendo il fatto che quei poveri resti erano troppo scarsi. E’<br />
probabile che le vittime della Bestia siano state sensibilmente di più di quanto risulti dagli atti<br />
ufficiali. E allora si tornò a guardarsi intorno preoccupati, che si fosse nei villaggi o fuori, e si<br />
limitarono al massimo le attività esterne.<br />
Tutto era divenuto silenzioso e immoto. Solo una figura aveva ripreso ad aggirarsi, sola, avvolta in<br />
un pesante mantello per proteggersi dal gelo e incurante delle tenebre e delle bufere di neve, e con<br />
una baionetta in mano. La gente la guardava da lontano, bisbigliando fra loro, chiedendosi se fosse<br />
pazza o estremamente coraggiosa. Ricordate? Si trattava di Julienne Denis. L’anno prima la Bestia<br />
aveva attaccato sua sorella Jeanne vicino a Malzieu, ma era stata salvata dal fratello Jacques. Era<br />
diventata però pazza la povera Jeanne e allora lei, Julienne, aveva deciso di dare la caccia per<br />
sempre alla belva e di ucciderla per il male che aveva fatto. Dopo che Antoine aveva ucciso il<br />
gigantesco lupo la sua anima in<strong>qui</strong>eta si era placata perché vendetta era stata fatta, ma ora la ragazza<br />
29
aveva capito che la Bestia era ancora là e che il suo giuramento non era stato assolto. La videro<br />
anche il 24 dicembre aggirarsi lontana dalle case, nonostante fosse la vigilia di Natale. Poi<br />
scomparve e vane furono le ricerche del fratello Jacques e degli altri. Una settimana dopo furono<br />
trovati alcuni resti irriconoscibili di quella che era stata, probabilmente, Julienne.<br />
Poi più nulla, solo agli inizi del gennaio 1766 un bambino di 8 anni di La Vesseyre, ferito ma<br />
soccorso in tempo dal padre e da un giovane uomo, Pierre Cérubeuil. Per il resto tutto quel mese<br />
passò senza uccisioni e neppure avvistamenti. Che fine aveva fatto la Bestia? Forse, pensarono i<br />
paesani, avevano ragione le autorità quando ribadivano che la Bestia era stata uccisa l’anno prima.<br />
E le ultime vittime erano state causate dai lupi, come purtroppo ogni tanto avveniva. Noi però<br />
sappiamo che si trattava invece della Bestia, o meglio di una delle Bestie rimaste e che forse era<br />
l’ultima.<br />
Poiché gli attacchi letali in questo periodo furono pochi, appare chiaro che la Bestia si alimentasse<br />
anche d’altro, altrimenti sarebbe morta di fame. Probabilmente, a quanto pare, prediligeva la carne<br />
umana fra tutte, visto che spesso ignorò le pecore per uccidere dei bambini, ma alla bisogna si<br />
nutriva di tutto ciò che trovasse e che potesse sopraffare. Questa Bestia, ma forse anche tutte le altre<br />
che prima facevano parte del suo piccolo branco, o meglio nucleo familiare, erano con certezza<br />
estremamente astute, prudenti e anche intelligenti.<br />
Pertanto ritengo che dopo le massicce battute e gli abbattimenti attuati da Antoine, la Bestia<br />
superstite o le Bestie superstiti si siano istintivamente ritirate nei luoghi più lontani e meno<br />
frequentati vivendo di ciò che trovavano in natura ed evitando accuratamente l’uomo, tranne nei<br />
pochi casi prima descritti. Prevalse pertanto l’istintiva prudenza finché non apparve chiaro che si<br />
era ristabilita una situazione di tran<strong>qui</strong>llità e <strong>qui</strong>ndi ricca di proficue e facili predazioni umane.<br />
Agli inizi di febbraio fu uccisa una ragazza presso Julianges, mentre il 12 fu attaccato un bambino<br />
sempre di Julianges, che ebbe la presenza di spirito di buttarsi sotto il ventre della sua vacca.<br />
Mentre il bovino teneva a distanza la belva con le corna, sopraggiunsero i soccorritori. Il 14 a<br />
Lorcières, la mugnaia Jeanne Delmas stava rompendo il ghiaccio sulla riva del fiume Ribeyre<br />
quando la Bestia si fece sotto. La robusta e coraggiosa donna tentò di colpire l’animale con la<br />
zappa, ma questo evitò il colpo e l’azzannò al collo e a una guancia. Tuttavia la vittima, seppur<br />
ferita, riuscì a calci e pugni a tenerla lontana, finché riuscì a sollevarsi e a correre fino a casa.<br />
Sopravvisse. E a fine febbraio, sempre a Lorcières, ci fu un’altra vittima, una bambina.<br />
Il 4 marzo fu ucciso Jean Bergougnoux, 9 anni, del villaggio di Montchauvet, parrocchia di<br />
Servières. Afferrato dalla belva verso le 8 del mattino, fu trascinato nel bosco ancora vivo, ma i<br />
soccorritori erano dietro all’animale e lo costrinsero ad abbandonare la preda ancora viva che<br />
tuttavia, ferita alla gola, morì mezz’ora dopo. Il 14 marzo fu la volta di Marie Bompart, 8 anni,<br />
villaggio di Ligonès, parrocchia di St Privat du Fau. La bambina fu afferrata mentre era davanti a<br />
casa e soprattutto sotto gli occhi del padre, che subito, aiutato da un mandriano, si mise a<br />
rincorrerla. I due uomini dopo due chilometri raggiunsero la Bestia, che era in difficoltà a causa del<br />
peso della bambina. La Bestia allora, frustrata e inferocita vedendo gli uomini approssimarsi, si<br />
sfogò rabbiosamente contro la bambina azzannandola al ventre e scuotendola come uno straccio.<br />
Poi fuggì in una gola impenetrabile. La povera vittima, sventrata, morì fra le braccia del padre.<br />
Il 20 dello stesso mese Antoine Salsettes fu attaccato vicino a Julianges, mentre si trovava in groppa<br />
al suo cavallo. L’uomo ebbe il suo daffare a mantenersi in sella, mentre la belva tentava veloci<br />
attacchi contro di lui e il cavallo spaventato, ma fu infine soccorso da un uomo, Jean-Pierre<br />
Pourcher, fra l’altro avo dell'abate Pourcher che molto tempo dopo scrisse un dettagliato libro sulla<br />
Bestia del Gévaudan. A fine marzo la Bestia uccise un bambino nella zona di Montgrand.<br />
Poi di nuovo sembrò sparire e per una ventina di giorni non ci furono né attacchi né avvistamenti.<br />
Almeno, fino al 17 aprile, quando Marguerite Lèbre, di 7 anni, e sua sorella Isabeau, di 10, furono<br />
attaccate dalla Bestia. Come avrete notato, nonostante l’effettivo pericolo e le esortazioni e gli<br />
ordini delle autorità i bambini venivano comunque mandati in giro da soli. La belva trasportò<br />
Margherite verso i boschi di Montoussier, ma fu raggiunta dallo zio delle bambine e da quattro<br />
uomini. La vittima fu allora abbandonata, ma i morsi dell’animale alla testa, che fra l’altro lì l’aveva<br />
afferrata per trascinarla, le avevano strappato metà del volto e fratturato il cranio. La sorte della<br />
povera bambina, nonostante le disperate cure, era segnata e morì alcuni giorni dopo.<br />
30
Il 21 aprile un gruppo di cacciatori trovò le impronte fresche della belva nella zona di Clavières e le<br />
seguì grazie anche ai due cani che avevano con loro. Una volta sguinzagliati, i due segugi si<br />
inoltrarono nel bosco e riuscirono a prendere contatto con la Bestia, ma questa li attaccò con tale<br />
ferocia che non solo i cani fuggirono, salvandosi così probabilmente la vita, ma ne furono talmente<br />
terrorizzati che, una volta tornati dai padroni, si rifiutarono semplicemente di continuare la caccia. Il<br />
24 la belva, sempre nella zona di Clavières, aggredì un pastore, fortunatamente soccorso in tempo.<br />
Insomma, da quando Antoine era partito, all’inizio di novembre, i morti erano già otto e le autorità<br />
dovevano reagire e così in una riunione che si tenne il 24 marzo a Marvejols, il Sottointendente<br />
della Languedoc Etienne Lafont riassunse ed espose gli ultimi drammi e comunicò che la campagna<br />
di avvelenamento dei lupi, ritenuti i responsabili delle nuove stragi, sarebbe stata potenziata usando<br />
vari tipi di esche e soprattutto carcasse di cani avvelenati con la noce vomica, e cioè la stricnina,<br />
nonché con altri stratagemmi allora in uso come i bocconi di carne imbottiti di taglienti frammenti<br />
di vetro e con spugne fritte nell’olio, quest’ultimo un sistema famoso ma la cui efficacia è molto<br />
dubbia. Gli avvelenamenti però non ottennero i risultati sperati, poiché fu ritrovato un solo giovane<br />
lupo, morto nei pressi di Montchauvet. (continua)<br />
La Bestia di Chastel<br />
L’animale ucciso da Chastel senza alcun dubbio era una delle Bestie dello Gévaudan e anzi<br />
certamente fu l’ultima delle Bestie, poiché dopo il suo abbattimento non ci furono più né attacchi né<br />
vittime. Analizziamo ora le sue caratteristiche fisiche.<br />
La grandezza, pari a quella di un vitello di un anno.<br />
Le misure della Bestia di Chastel:<br />
- Lunghezza dalla radice della coda fino all’inizio della testa: tre piedi, (97,2 cm).<br />
- Dall’inizio della testa fino tra i due grandi angoli degli occhi, sei pollici (16,2 cm).<br />
- Dai grandi angoli degli occhi fino alla fine del naso, cinque pollici (13,5 cm).<br />
- Larghezza orizzontale del collo, otto pollici sei linee (22,9 cm).<br />
- Larghezza delle spalle, undici pollici (29,7 cm).<br />
- Larghezza della schiena alla radice della coda, otto pollici e sei linee (23 cm)<br />
- Lunghezza dell'omero, otto pollici quattro linee (22,5 cm).<br />
- Lunghezza del braccio anteriore, otto pollici (21,6 cm).<br />
- Lunghezza dell'ultima articolazione fino alle unghie, sette pollici sei linee (20,3 cm).<br />
- Lunghezza gambe posteriori dalla prima alla seconda articolazione, sette pollici e due linee<br />
(19,4 cm).<br />
- Lunghezza dalla seconda alla terza articolazione fino alle unghie, dieci pollici (27 cm).<br />
- Lunghezza del pene, sette pollici (18,9 cm).<br />
La Bestia uccisa da Chastel era <strong>qui</strong>ndi lunga 128,7 centimetri, più 54 centimetri di coda. Quindi in<br />
totale 182,7 centimetri. Era alta al garrese 76,8 centimetri. Pesava 109 libbre, che non sappiamo<br />
bene quanti chilogrammi fossero perché allora, come in altri Paesi, non c’era stata ancora una<br />
unificazione internazionale delle unità di misura. Pertanto in Francia, a seconda della località, la<br />
libbra poteva variare da 453 a 489 grammi. Ecco allora che, basandoci sui 453 grammi a libbra,<br />
questo lupo pesava 49,3 chili. Se si considera invece la libbra da 489 grammi, il peso era di 53,3<br />
chili. Attenzione, da morto. Non bisogna infatti dimenticare che la Bestia una volta uccisa rimase a<br />
terra per un certo tempo e che poi fu trasportata fino al luogo in cui fu esaminata.<br />
31
Dobbiamo ritenere che in tutto questo tempo il sangue, almeno quattro litri, defluì in buona parte<br />
dalla ferita. Pertanto l’animale da vivo doveva pesare non meno di 53,3 chili o persino 57,3 chili,<br />
secondo i conteggi di cui sopra. Si trattava <strong>qui</strong>ndi di un lupo fuori taglia, ma ancora ben inferiore al<br />
gigantesco lupo ucciso da Antoine, che era poco più lungo, raggiungendo una lunghezza totale di<br />
185 centimetri, coda inclusa. Probabilmente il corpo era lungo intorno ai 135-140 centimetri. Ma<br />
aveva un’altezza al garrese parecchio superiore, ben 86,5 centimetri, e <strong>qui</strong>ndi lo sovrastava al<br />
garrese di ben 8 centimetri, che non è poco. E pesava 143 libbre, ossia almeno 65 chilogrammi, ma<br />
da morto e <strong>qui</strong>ndi aggiungendo i circa 5 litri di sangue che aveva perso dopo l’abbattimento,<br />
raggiungeva almeno i 70 chili o, sempre con il diverso calcolo sulle libbre, anche 75. Pertanto la<br />
Bestia pesava quasi venti chili meno del colossale lupo di Antoine. Per intenderci, la differenza che<br />
c’è fra un cane di razza alano e un rottweiler o, per fare un altro esempio, fra un pastore tedesco e<br />
un cocker.<br />
Anche il lupo dal manto nero ucciso dal guardiacaccia Rinchard (continua)<br />
Le impronte gigantesche.<br />
Le misure della Bestia di Chastel:<br />
- Larghezza dei piedi anteriori, quattro pollici e sei linee (12,2 cm).<br />
- Lunghezza dei piedi anteriori dall’inizio del cuscinetto plantare alla fine delle dita, unghie<br />
incluse, sei pollici (16,2 cm).<br />
Il lupo ha grossi piedi, notevolmente più grandi di quelle di un cane di pari dimensioni. Ricordo che<br />
il termine esatto infatti è piede, in quanto la zampa è tutto l’arto, anche se usualmente i non addetti<br />
ai lavori chiamano zampa il piede. Anzi, spesso lo faccio anch’io, evidentemente perché non sono<br />
un tecnico. Come capita anche fra gli uomini, con la testa, le mani o i piedi, o in altre specie, anche<br />
nei lupi alcuni esemplari possono avere piedi più o meno grandi di altri. Perfino di dimensioni<br />
abnormi, pur rientrando ovviamente in certi limiti. Fra questi senza dubbio rientra la Bestia uccisa<br />
da Chastel, i cui piedi anteriori erano lunghi 16,2 e larghi 12,2 centimetri e dunque di dimensioni<br />
spropositate. Per farvi capire quanto fossero grandi farò una serie di esempi con le relative misure,<br />
sempre dei piedi anteriori, mettendo fra parentesi il peso dell’esemplare misurato:<br />
cane di razza lupo italiano, 7,5 cm x 6,2 (34 kg.)<br />
cane di razza pastore del Caucaso, 8x 7,2 (50<br />
kg.)<br />
lupo appenninico, 9 x 7,5 (40 kg.)<br />
lupo siberiano e artico, 13 x 11 (65 kg.)<br />
sciacallo dorato, 6 x 4,8 (15 kg.)<br />
iena bruna, 10 x 8,5 (45 kg.)<br />
iena maculata, 11,5 x 9,5 (65 kg.)<br />
lince europea, lunghezza 5,7 x 7 (22 kg.)<br />
leopardo, 9 x 8,5 (60 kg.)<br />
puma, 9 x 8,8 (60 kg.)<br />
giaguaro, lunghezza 7,5 x 9 (59 kg.)<br />
ghepardo, 11,5 x 10 (55 kg.)<br />
orso bruno, artigli esclusi, 12,5 x 12,5 ( 150 kg.)<br />
tigre reale, leone 17 x 15 (250 kg.)<br />
Queste misure si riferiscono alle impronte e <strong>qui</strong>ndi le dimensioni dei piedi sono superiori, pur se<br />
non di molto. Come avrete notato grazie a questi dati, la Bestia di Chastel aveva piedi<br />
incredibilmente grandi. Con piedi di questa grandezza, gli artigli avrebbero potuto essere lunghi<br />
anche 3 centimetri, ma certo “non un dito”, o meglio dire “non come un dito della mano” come<br />
raccontavano alcune persone. Artigli di simile lunghezza li avrebbe solo un orso di qualche <strong>qui</strong>ntale<br />
di peso. L’eccezionale grandezza dei piedi anteriori di questa Bestia, senza alcun dubbio e in<br />
32
assoluto le più grandi di cui abbia notizie o dati sia per quanto riguarda i lupi e sia i cani, possono<br />
spiegare perché tutti i testimoni descrivessero la belva come avente zampe, intese come l’arto<br />
intero, di estrema grossezza e robustezza. Con piedi così grandi la zampa doveva necessariamente<br />
essere proporzionalmente adeguata, altrimenti l’animale avrebbe avuto difficoltà nel muoversi<br />
agilmente e non avrebbe potuto avere l’incredibile mobilità, resistenza e scioltezza dimostrate molte<br />
volte.<br />
Di seguito vedrete i disegni del piede della Bestia a grandezza naturale, confrontata con quelli di un<br />
normale lupo e di un cane di pari dimensioni. Ricordandovi che i disegni si basano esattamente su<br />
misure accertate, preparatevi a stupirvi.<br />
Le stesse impronte paragonate fra loro: lupo, cane, Bestia di Chastel<br />
33
E’ evidente che i piedi della Bestia sono abnormi e mostruosi per quanto riguarda le dimensioni.<br />
Questo particolare non è mai stato analizzato con la necessaria attenzione, eppure è di fondamentale<br />
importanza. La Bestia di Chastel <strong>qui</strong>ndi aveva la grande testa inusualmente larga, il collo<br />
conseguentemente molto robusto così come tutto l’avantreno, i piedi giganteschi con unghie<br />
proporzionatamente lunghe e per ultimo le zampe spropositatamente grosse e robuste, proprio a<br />
causa della grandezza dei piedi, anche se non sappiamo se l’animale le avesse già così fin dalla<br />
nascita o se si siano irrobustite con gli anni proprio per le difficoltà locomotorie. A mio parere<br />
nacque così. In pratica tutta la conformazione anteriore del corpo della Bestia era insolitamente<br />
grande e robusta. La spiegazione a questo punto potrebbe essere che l’esemplare fosse affetto, come<br />
a volte capita sia negli uomini sia negli animali, da una mutazione, un gigantismo che aveva colpito<br />
solo parte del corpo, almeno stando a quanto emerge dai dati e dalle misure in nostro possesso. Non<br />
è escluso che la Bestia fosse affetta da acromegalia.<br />
Ho chiesto consiglio al biologo Pasquale Maggese, il quale a proposito così si è espresso:<br />
“Per gigantismo non s’intende una statura o un’altezza al garrese superiore alla media, quanto<br />
invece un eccessivo accrescimento del corpo, con conservazione delle armoniche proporzioni tra le<br />
sue parti. Il gigantismo può essere fisiologico ed avere basi genetiche, come nel caso di genitori<br />
alti da cui nascano figli alti, oppure patologico e in tal caso indica uno stato morboso dovuto a una<br />
cronica ipersecrezione dell’ormone somatotropo (GH) in soggetti giovani, le cui cartilagini ed ossa<br />
sono ancora in grado, sotto lo stimolo dell’ormone, di svilupparsi in lunghezza. Nella quasi totalità<br />
dei casi, la causa va ricercata in un tumore ipofisario, l’adenoma, secernente GH. Più raramente,<br />
l'ipersecrezione sarebbe ectopica e <strong>qui</strong>ndi proverrebbe da strutture diverse dall'ipofisi, che è per<br />
l’appunto l'organo preposto alla produzione di GH”. Riconducendo la questione al caso della<br />
Bestia di Chastel, è utile chiedersi quale tipo di gigantismo potrebbe averla contraddistinta. Si<br />
trattava forse di gigantismo ereditario e fisiologico, oppure da surplus di GH e patologico?”<br />
(continua)<br />
Come spiegavo prima, il mal funzionamento dell’ipofisi può dar origine a diverse malattie e tra<br />
queste appunto l’acromegalia e cioè l’anormale crescita delle parti terminali delle ossa: mani, piedi,<br />
ossa frontali, mandibolari. Come presentavano molte delle persone descritte prima e come<br />
presentava infatti anche la Bestia di Chastel, con abnormi piedi, zampe, mandibola, mascella e in<br />
generale tutta la testa. L’acromegalia, benché rara, a quanto si sa si verifica anche fra gli animali,<br />
inclusi i gatti e i cani e, probabilmente, anche i lupi. Quindi, alla luce dei dati e delle misure che<br />
abbiamo, ritengo che la “mostruosità” della Bestia di Chastel potrebbe essere addebitata proprio a<br />
questa malattia. E’ solo un’ipotesi, ma possibile. Di seguito, grazie alla cortesia del dottor Federico<br />
Fracassi, del Dipartimento Clinico Veterinario dell’Università degli Studi di Bologna, ecco alcune<br />
rare foto di un cane dalmata acromegalico. L’esemplare nelle prime foto è normale, nelle seguenti si<br />
nota la trasformazione dovuta all’acromegalia. Si ringrazia sentitamente il dr. Fracassi per avere<br />
messo gentilmente a disposizione queste rare fotografie. (continua)<br />
I denti.<br />
Le misure della Bestia di Chastel:<br />
- Lunghezza dei canini superiori, un pollice e tre linee (3,6 cm).<br />
- Lunghezza dei canini inferiori, un pollice e tre linee, (3,4 cm).<br />
- Lunghezza degli incisivi inferiori, sei linee (1,3 cm).<br />
- Lunghezza dei due incisivi superiori, detti <strong>qui</strong>nto e sesto canino, un pollice e una linea (2,9<br />
cm).<br />
Ma c’è qualcosa che non va nelle misure verbalizzate dal notaio Marin. Sotto ho riportato alcune<br />
fotografie del cranio di un grosso lupo e confrontandole con i dati possiamo notare le differenze (o<br />
gli errori di Marin). Infatti a proposito dei denti dice, “Larghezza dei mâchelières (i canini)<br />
inferiori, un pollice tre linee,…”. Si tratta di 3,4 cm. Evidentemente c’è un errore, questa è la<br />
lunghezza. A meno che questa misura non sia la circonferenza alla base dei canini, misura possibile.<br />
34
Di seguito scrive, “Lunghezza degli incisivi, un pollice tre linee…”. Ancora 3,4 cm. Altro errore.<br />
Gli incisivi non potevano certo essere lunghi quanto i canini, tanto che gli stessi incisivi inferiori,<br />
pur più corti di quelli sopra, sono indicati così “…Lunghezza dei mâchelières inferiori, sei linee”,<br />
ossia 1,3 cm. Anche il dato “…Lunghezza dei machelières superiori, un pollice una linea…” lascia<br />
dubbiosi. Per machelières superiori nel verbale si intendono i due incisivi esterni detti <strong>qui</strong>nto e<br />
sesto canino, che in genere sono effettivamente di tutto rispetto, ma che in questo caso sono quasi<br />
lunghi come i canini veri e propri e cioè 2,9 cm contro 3,6 cm. Insomma, solo 7 mm. di differenza.<br />
Di solito il <strong>qui</strong>nto e sesto canino sono circa la metà in lunghezza dei canini veri e propri, come si<br />
potrà notare osservando le fotografie sottostanti del cranio di un lupo.<br />
Se le misure fossero state veramente quelle indicate da Marin, in pratica la Bestia avrebbe avuto,<br />
quanto a lunghezza, quattro canini superiori e due inferiori, cosa impossibile. Come possiamo<br />
notare nella fotografia sopra, i cosiddetti <strong>qui</strong>nto e sesto canino sono poco più lunghi degli incisivi<br />
superiori. Pertanto, ritengo che Marin, o chi per esso, fece uno sbaglio indicando 2,9 cm. al posto di<br />
1,9 cm. Per quanto riguarda le misure dei canini superiori descritte da Marin, “…di due grandi<br />
uncini distanziati dagli incisivi e dell'altezza di un pollice quattro linee (3,6 cm) e di un diametro di<br />
sei linee (1,3 cm)…” le misure sono proporzionalmente corrette se rapportate a un esemplare di<br />
quelle dimensioni. La lunghezza dei denti della Bestia di Chastel è notevole, ma non eccezionale.<br />
Per fare un esempio, limitandosi ai soli canini, un lupo di circa 30 – 35 kg. ha canini lunghi 2,6 -2,9<br />
cm. Un cane pastore tedesco, di circa 2,4 cm. I cani molossoidi hanno canini più corti.<br />
Visto che alcuni si ostinano a supporre che la Bestia di Chastel non fosse un lupo, quando tutti<br />
coloro che la esaminarono la descrissero proprio come uno “strano lupo”, <strong>qui</strong>ndi diverso da quelli<br />
35
soliti della zona, ma sempre lupo, sarà bene chiarire che l’esemplare in questione aveva 42 denti. La<br />
formula dentaria della Bestia è quella di un canide, essendo: I 3/3, C 1/1, P 4/4, M 2/3<br />
Specificando, nella mascella superiore aveva 20 denti, ossia 6 incisivi, 2 grandi canini e 6 molari<br />
(nel XVIII secolo non si distinguevano i premolari dai molari) su ogni lato. La mascella inferiore<br />
aveva 22 denti, e cioè 6 incisivi, 2 canini e 7 molari (vale quanto detto sopra) su ogni lato.<br />
Insomma, in totale 42, e con una formula dentaria da canide. Pertanto non poteva essere un felide,<br />
poiché questi hanno 30 denti, e solo talvolta 28. Neppure uno ienide, in quanto questi hanno 34<br />
denti e solo talvolta 32. Neanche un mustelide, che ne hanno 34, 36 o 38.<br />
Da escludere anche i procionidi, che hanno 36 o 38 denti, e neppure i viverridi, con 40 denti. La<br />
dentatura con 42 denti è appannaggio degli ursidi e della maggior parte dei canidi, fatta eccezione<br />
per alcune specie molto particolari, fra cui il dhole o cuon, e l'otocione. Gli esempi fatti poc’anzi<br />
non tengono fra l’altro conto delle dimensioni dei diversi animali, talvolta molto lontane da quelle<br />
della Bestia, o del fatto che in Francia non vivessero neppure. La Bestia di Chastel era <strong>qui</strong>ndi, senza<br />
alcun dubbio, un canide.<br />
La potenza del morso<br />
La Bestia, come abbiamo visto, era dotata di una terribile potenza nel morso ed era in grado di<br />
provocare ferite devastanti e mutilazioni in pochi istanti. Poiché ritengo l’esemplare di Chastel<br />
senza alcun dubbio responsabile di molti degli attacchi ed uccisioni, si potrebbe ipotizzare che<br />
proprio la sua particolare e abnorme conformazione della testa, e <strong>qui</strong>ndi della mascella, della<br />
mandibola e infine di muscoli masseteri particolarmente sviluppati, avrebbe potuto fornirgli questa<br />
estrema potenza nel morso. Ho pertanto fornito i dati del rapporto Marin al prof. Bernardino Ragni,<br />
famoso scienziato esperto in canidi dell’Università di Perugia, e gli ho chiesto un parere a riguardo.<br />
“La minuziosa descrizione effettuata dal notaio reale Marin coincide perfettamente con la specie<br />
Canis lupus (cane o lupo) ed è senz'altro compatibile con un “plus variante” della estrema<br />
variabilità morfo-dimensionale tipica della specie Canis lupus. La descrizione fenotipica ricavabile<br />
dallo stesso rapporto ritengo sia compatibile, sia con quella di un grosso lupo, morfologicamente<br />
un "po' strano", sia con un altrettanto strano cane che, perché no, con un ibrido tra le due forme<br />
conspecifiche. Il lupo è una specie dimensionalmente molto variabile e in cui, con l’aumentare<br />
delle dimensioni, l’arcata zigomatica tende ad aumentare in progressione allometrica,<br />
naturalmente entro i limiti della variabilità specifica”. (continua)<br />
Pertanto, possiamo dire che se la Bestia di Chastel fosse stata un ibrido cane/lupo, tale incrocio non<br />
gli avrebbe dato nel complesso particolari benefici, né per quanto riguarda un morso<br />
particolarmente letale, né per altri aspetti, come l’agilità, la resistenza, la vista, il rapporto<br />
peso/potenza o altro. Al massimo gli avrebbe dato una maggiore mole nel caso di un accoppiamento<br />
lupo/cane di grande taglia, ma con la perdita delle eccelse qualità di cui sopra e tutte<br />
contemporaneamente presenti. Per capirci, un segugio potrà avere più fiuto di un lupo, ma sarà<br />
meno forte e veloce, un levriero sarà più veloce, ma avrà meno fiuto e così via.<br />
C’è però un’altra considerazione da farsi, in virtù di ulteriori dati sull’autopsia fatta sulla Bestia e<br />
comunicati in una lettera inviata da Langeac il 6 luglio 1767<br />
“… la testa era mostruosa, di una forma quadrata, molto più larga e più lunga di quella di un lupo<br />
ordinario, il muso era un poco ottuso, gli orecchi diritti e larghi alla loro base, gli occhi neri e<br />
caratterizzati da una membrana molto singolare. Era un prolungamento dei muscoli inferiori<br />
dell'occhio. Queste membrane servivano a ricoprire a sua volontà le due orbite, rialzandosi e<br />
infilandosi sotto le palpebre.<br />
L'apertura della bocca era molto grande, i denti incisivi simili a queste di un cane, i grossi denti<br />
stretti ed impari, il collo molto largo e forte, ricoperto di un pelo rude, estremamente lungo e folto,<br />
con una banda trasversale nera discendente fino alle spalle, il treno posteriore abbastanza<br />
somigliante a quello di un lupo, eccetto l'enorme grossezza, le gambe davanti più corte di quelle di<br />
dietro, più snelle che quelle di un lupo ordinario, così come il davanti della testa era coperta di un<br />
pelo feroce, raso e liscio, precisamente del colore di quello di un capriolo, il pelo del corpo molto<br />
spesso e lungo, di un colore grigiastro macchiato di nero. L'animale aveva sul petto una grande<br />
36
macchia a forma di cuore (…). Prendemmo la decisione di scarnirla per conservare il suo<br />
scheletro. (...). Ciò che notammo, con stupore, fu la testa. Dopo averla aperta e avere sollevato i<br />
tegumenti comuni, vedemmo una cresta ossea che cominciava dall'occipitale. Aveva circa 15 linee<br />
di altezza e si concludeva sul frontale, sempre diminuendo. Togliemmo una massa di carne<br />
muscolosa che pesava più di 6 libbre che ricopriva i parietali. Questi muscoli finivano i loro<br />
legamenti alla mascella inferiore ed agli occhi. Allor quando tutte queste parti carnose furono<br />
tolte, questa testa, così mostruosa nello stato naturale, offrì solamente una scatola ossea un poco<br />
più grossa del pugno”.<br />
Da questa lettera possiamo desumere vari particolari importanti, ossia:<br />
1) Non viene mai messo in discussione che la Bestia sia un lupo, ma si sottolinea che è diverso<br />
dai normali lupi, come nei passaggi, “più lunga di quella di un lupo ordinario”, “il treno<br />
posteriore abbastanza somigliante a quello di un lupo, eccetto l'enorme grossezza”, “più<br />
snelle che quelle di un lupo ordinario”.<br />
2) La Bestia ha soprattutto una testa abnorme, così come tutto l’avantreno molto robusto. E in<br />
particolare ha una cresta sagittale sul cranio, che molti animali hanno, inclusi cani e lupi, e<br />
che serve da ancoraggio ai muscoli che azionano la mandibola. Questa cresta nel caso della<br />
Bestia nel punto più alto raggiunge le 15 linee d’altezza, pari a oltre 3,3 cm. Notevole, anche<br />
se in linea con le proporzioni di un animale che da vivo superava il mezzo <strong>qui</strong>ntale.<br />
La cresta sagittale dello stesso lupo vista da dietro.<br />
3) Ecco il dato più strano. I chirurghi asportano una massa di carne muscolosa, ossia i muscoli<br />
masseteri e i temporali, di oltre 6 libbre e cioè almeno tre chilogrammi! Ciò significa che i<br />
muscoli masseteri, uno per lato della testa, e i muscoli temporali, anche loro uno per lato,<br />
rappresentavano circa il 5,5% del peso totale dell’animale.<br />
Non avendo dati specifici, ho allora chiesto aiuto al dottor Federico Fracassi, del Dipartimento<br />
Clinico Veterinario dell’Università degli Studi di Bologna, il quale mi ha confermato che non ci<br />
sono dati attinenti il peso di questi muscoli nei canidi. Ma il dottor Fracassi, che fra l’altro ha svolto<br />
particolari studi proprio sull’acromegalia dei canidi, ha a sua volta chiesto lumi alla sezione di<br />
Anatomia della sua facoltà, la quale dovendo già fare l’autopsia a un cane ha proceduto a questa<br />
37
misurazione. L’esemplare esaminato era un cane maschio adulto di razza bulldog, di 22<br />
chilogrammi e deceduto in buono stato di nutrizione. Ebbene, il peso di ogni massetere era di 70g,<br />
<strong>qui</strong>ndi i due masseteri pesavano un totale di 140 g, Se si considera che i due muscoli temporali,<br />
sebbene di forma diversa, hanno all’incirca lo stesso peso, se ne desume che questo cane fra<br />
masseteri e temporali arrivava a meno di 300 grammi, meno dell’1,3% del peso corporeo!<br />
Da notare che il bulldog è un cane molossoide universalmente famoso per la sua terribile forza delle<br />
mascelle, in grado di esercitare una pressione di circa 130 chilogrammi. So che il calcolo è empirico<br />
ma se anche si considerasse che la Bestia pesava oltre il doppio di questo bulldog, anche<br />
raddoppiando, e aggiungendo ancora qualcosa, il peso del bulldog, non si arriverebbe ai 700<br />
grammi (continua)<br />
Ora, matematicamente la Bestia, con muscoli di tal tipo tre volte più grandi, avrebbe potuto forse,<br />
pur teoricamente, sviluppare una forza di oltre 700 chilogrammi, <strong>qui</strong>ndi pari o superiore a quella<br />
sviluppata da una iena maculata. Due cose balzano subito all’occhio: muscoli di tale tipo e peso si<br />
possono trovare solo nei grandi esemplari di orso bruno o tigre siberiana. E secondo, visto che il<br />
cranio della Bestia, una volta scarnificato, risultò essere non dico piccolo ma normale, questo<br />
significa che la belva era mostruosamente deforme ma che aveva una testa perfettamente<br />
funzionante e terribilmente letale. Tuttavia questa caratteristica non avrebbe ancora potuto darle la<br />
capacità di decapitare le vittime con un sol morso per il semplice motivo che la forza delle mascelle<br />
si esprime soprattutto sui denti ferini, <strong>qui</strong>ndi in fondo alla bocca, che non era abbastanza grande per<br />
azzannare un collo umano e potersi poi richiudere. Insomma, non poteva per semplici motivi di<br />
capienza. Ma senza dubbio quando la bocca, azionata da quegli enormi muscoli, si chiudeva con<br />
quei micidiali denti e subiva una trazione spropositata grazie al potente e muscoloso collo, tutto ciò<br />
che di carneo veniva azzannato era destinato ad essere tranciato di netto.<br />
A proposito del cranio, descritto come normale (e piccolo se confrontato alla testa della Bestia<br />
prima di essere scarnificata) nell’autopsia appena descritta, rammento che già il cranio di un<br />
normale lupo, a parità di grandezza, è notevolmente più grande di quello di un cane, inclusi i<br />
molossoidi. (continua)<br />
Novità agosto 2007<br />
La Bestia del Gévaudan<br />
Quando il serial killer è un animale<br />
di Giovanni Todaro, formato cm 21 x 29, pagg. 278, con 105 illustrazioni<br />
Prezzo € 19,90 più spese di spedizione postale<br />
Il libro, per scelta dell’autore, non è attualmente reperibile nelle librerie.<br />
Chi volesse ac<strong>qui</strong>starlo, potrà richiederlo inviando l’ordine alla casa editrice internazionale<br />
www.lulu.com oppure andare direttamente al sito del libro www.lulu.com/content/1133522<br />
38