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Novità agosto 2007 La Bestia del Gévaudan Quando il serial killer è un animale di Giovanni Todaro, formato cm 21 x 29, pagg. 278, con 105 illustrazioni Prezzo € 19,90 più spese di spedizione postale Il libro, per scelta dell’autore, non è attualmente reperibile nelle librerie. Chi volesse acquistarlo, potrà richiederlo inviando l’ordine alla casa editrice internazionale www.lulu.com oppure andare direttamente al sito del libro www.lulu.com/content/1133522 Di seguito il piano dell’opera e alcuni capitoli liberamente consultabili

Novità agosto 2007<br />

La Bestia del Gévaudan<br />

Quando il serial killer è un animale<br />

di Giovanni Todaro, formato cm 21 x 29, pagg. 278, con 105 illustrazioni<br />

Prezzo € 19,90 più spese di spedizione postale<br />

Il libro, per scelta dell’autore, non è attualmente reperibile nelle librerie.<br />

Chi volesse ac<strong>qui</strong>starlo, potrà richiederlo inviando l’ordine alla casa editrice internazionale<br />

www.lulu.com oppure andare direttamente al sito del libro www.lulu.com/content/1133522<br />

Di seguito il piano dell’opera e alcuni capitoli liberamente consultabili


Capitoli<br />

1 - L’inizio dell’incubo<br />

2 – Le autorità intervengono<br />

3 – Una strana bestia<br />

4 - L’esercito francese, la monarchia e gli ugonotti<br />

5 - La strage continua<br />

6 - La Bestia decapitatrice<br />

7 - Le ipotesi<br />

8 - La sciabola di un uomo?<br />

9 - La Bestia è ferita?<br />

10 - Gli attacchi continuano<br />

11 - Un territorio difficile<br />

12 – Le armi<br />

13 - Le taglie e le trappole<br />

14 – La Bestia messa in fuga<br />

15 – Si ricompensino i valorosi<br />

16 – Il fallimento di Duhamel<br />

17 – Duhamel sostituito da d’Enneval<br />

18 – I cani<br />

19 – La lotta di Jeanne<br />

20 – d’Enneval in azione<br />

21 – La Bestia uccisa?<br />

22 – Uomini, lupi e Bestie<br />

23 – Antoine sostituisce d’Enneval<br />

24 – Servono altri cani<br />

25 – Un colpo di baionetta!<br />

26 – L’arresto dei Chastel<br />

27 – Un lupo mannaro?<br />

29 – Un lupo colossale<br />

30 – L’oltraggiosa accusa<br />

31 – La Bestia uccisa!<br />

32 – L’esame della Bestia<br />

33 - Nessuna ricompensa per Chastel<br />

34 - Cosa poteva essere la Bestia?<br />

35 – La Bestia di Cusago<br />

2


L’inizio dell’incubo<br />

La prima vittima ufficiale della Bestia fu Jeanne Boulet, una ragazza quattordicenne del villaggio di<br />

Les Ubas, facente parte della parrocchia di Saint Etienne de-Lugdarés. Portava le poche bestie al<br />

pascolo nelle alte radure di quella zona collinare del Gévaudan, coperta di boschi tenebrosi e umidi<br />

la cui continuità era rotta solo da malsane zone paludose e da ampie radure erbose. Oggi l’antico<br />

Gévaudan è suddiviso nei dipartimenti dell’Haute Loire, Cantal, Ardèche e soprattutto della Lozère,<br />

ma allora era il Gévaudan e basta. Jeanne Boulet trascorreva sola le giornate lassù, non sappiamo<br />

fantasticando su cosa, forse su qualche ragazzo che le piaceva e che la corteggiava giù a Les Ubas o<br />

forse persino a Saint Etienne. Del resto fra poco avrebbe compiuto <strong>qui</strong>ndici anni e, per i canoni di<br />

quell’epoca, era già una ragazza da marito. Senza dubbio sperava in un futuro felice, lontano dalla<br />

povertà di quella zona in cui poter mangiare tre volte al giorno delle castagne bollite e qualche<br />

patata era già una speranza di vita da cui la fame perenne era bandita.<br />

Non era solo in quella zona del Massiccio Centrale francese che la povertà era tanto diffusa e<br />

opprimente. In tutta Europa era così, perché i ricchi erano pochi e gli indigenti la stragrande<br />

maggioranza. E così, visto che le bocche da sfamare erano tante e che ognuno doveva fare qualcosa<br />

per guadagnarsi il pane quotidiano, persino i bambini di sette o otto anni venivano mandati a far<br />

pascolare le bestie in zone inospitali e pericolose.<br />

La Francia a quell’epoca contava circa 26 milioni di abitanti, di cui ben 18 milioni erano agricoltori<br />

e allevatori. Solo il 33% della terra era dei piccoli proprietari, che erano in tutto 11 milioni, mentre<br />

il resto era per il 47% della nobiltà e il 20% del clero. Su queste terre si allevavano 2.700.000 buoi<br />

da lavoro, di cui ogni anno ne venivano macellati 200.000 per il consumo cittadino e 100.000 per il<br />

fabbisogno locale, 400.000 buoi da ingrasso, consumati annualmente e pariteticamente fra città e<br />

campagne, 4.000.000 di vacche, con un consumo annuale di 450.000 capi per le città e di soli 6000<br />

per le campagne, 3.000.000 di vitelli, di cui sempre ogni anno 1.500.000 finiva macellato in città e<br />

1.200.000 in campagna, 4.000.000 di maiali, di cui 440.000 fornivano le città e ben 2.000.000 le<br />

campagne e, per finire, 20.000.000 di pecore, di cui ogni anno se ne macellavano 3.750.000 per le<br />

città e 1.500.000 per le campagne.<br />

Perché vi ho fornito tutti questi dati? Per farvi capire tre cose prima di iniziare la nostra storia e<br />

cioè, primo, che l’allevamento in Francia era un attività strategica e fondamentale. Secondo, che in<br />

alcune aree, come appunto il Gévaudan, era l’attività comune su cui si basava l’economia locale.<br />

Terzo, che la povera Jeanne Boulet era uno dei tanti “addetti ai lavori” che davano vita<br />

all’economia locale. Pertanto, la comparsa della Bestia del Gévaudan non colpì solo le vittime e le<br />

loro famiglie, ma causò un terrore diffuso in zona, tanto che molti pastori ridussero o cessarono del<br />

tutto la loro attività, con conseguente calo della produzione zootecnica in un’area che era già<br />

famosa per la povertà e la dura vita dei suoi abitanti. Tanto poteva causare all’epoca un animale,<br />

Bestia o lupo che fosse, come quello che atterrì il Gévaudan per ben quattro anni. Il problema<br />

<strong>qui</strong>ndi non fu solo umano ma sociale, economico e infine politico.<br />

Torniamo a Jeanne Boulet e alle sue vacche al pascolo. La ragazza doveva, forse, sentirsi più sicura<br />

di un bambino di pochi anni lasciato solo lassù con gli armenti, com’era purtroppo la prassi, ma<br />

questo non la confortava di certo, mentre attendeva che passasse anche quella giornata.<br />

Nella zona c’erano molti lupi e Jeanne sapeva bene quella che era la realtà. Il lupo poteva sbucare<br />

all’improvviso dal fitto bosco e attaccare e uccidere non solo gli armenti, ma anche le persone,<br />

specie le donne e i bambini. Non lo facevano tutti i lupi, anzi un tale comportamento era abbastanza<br />

raro, però non si sapeva mai, chissà. Ma l’unica cosa che si poteva sperare del resto era che non<br />

capitasse o, nella peggiore ipotesi, che capitasse altrove e a qualcun altro. Forse Jeanne pensava<br />

anche a questo quel 30 giugno 1764. Ma quella sera non rientrò a casa e la sua famiglia cominciò a<br />

preoccuparsi non vedendola tornare quando cominciavano a calare la tenebre. La cercarono fra gli<br />

alti pascoli, là dove portava sempre gli armenti, e così il suo corpo fu trovato il giorno dopo.<br />

Indubbiamente era stata divorata da una fiera. I miseri resti della povera ragazza furono sepolti il<br />

3


giorno stesso, il primo di luglio del 1764, ma senza che il prete le desse i sacramenti adducendo il<br />

fatto che, prima di essere sbranata, non si era confessata. Un ultimo insulto per un'innocente<br />

sventurata.<br />

Quando la notizia si sparse, tutti pensarono al possibile assassino. Un animale forte e feroce.<br />

Difficile l’orso, del resto ormai raro in quella zona, perché non attacca l’uomo se non provocato e<br />

che se affamato si sarebbe preso con facilità una delle sue ben più sostanziose vacche. Difficile la<br />

lince, che non attacca né l’uomo né le vacche. Questi animali vivevano ancora su quelle montagne,<br />

più in alto, ma a memoria d’uomo nessuno ricordava attacchi alle persone. Rimaneva solo una<br />

belva, la più temuta. Il lupo. Con ogni probabilità la famiglia della ragazza maledì quella vita e<br />

quella povertà, che non permetteva loro neppure di mantenere un cane da pastore, che certo avrebbe<br />

difeso la ragazza e gli armenti. Fatto sta che Jeanne Boulet lassù era rimasta sola contro l’orrore. E<br />

ora quella ragazza, che per i suoi familiari era come un isolato bocciolo di rosa in un mare di boschi<br />

e montagne tenebrose, era stata non colta, ma strappata dalla vita. E quel che rimaneva di quel<br />

bocciolo martoriato giaceva nell’umida terra del cimitero di Saint Etienne.<br />

La Bestia, così sarà chiamata per anni la belva che terrorizzò quella enorme zona montuosa,<br />

probabilmente aveva già fatto vittime umane ma non in modo sistematico e dunque è per questo<br />

motivo che il conto comincia da Jeanne Boulet. Se aveva già ucciso, la notizia non si era diffusa in<br />

periodi e zone in cui le notizie circolavano poco o niente, i giornali erano rari e l’analfabetismo<br />

imperante. Forse non aveva ucciso, ma io credo di sì, tuttavia molto probabilmente aveva già tentato<br />

di farlo. Infatti, collegarono alcuni, non era forse stata attaccata una ragazza nei pressi di Langogne,<br />

una località dell’Ardèche proprio a nord di Saint Etienne, circa un mese prima? Preciso che per altri<br />

studiosi della Bestia l’attacco che sto per descrivervi si verificò invece ai primi di aprile.<br />

Comunque, ecco il fatto.<br />

Era la prima settimana di giugno, forse il 3, e una pastorella che aveva portato al pascolo le sue<br />

mucche nella foresta di Saint Flour de Mercoire era stata aggredita da una grossa belva sbucata<br />

all’improvviso dal bosco. L’attacco era stato tanto repentino che i cani che accompagnavano la<br />

ragazza, evidentemente non grossi e coraggiosi cani da pastore, erano immediatamente fuggiti. La<br />

belva era balzata verso la ragazza, ma fortunatamente le mucche avevano contrattaccato. I bovini si<br />

erano comportati com’è tipico in questi casi se in zona ci sono predatori. Infatti, dove si è perso il<br />

ricordo dei predatori, che siano lupi o altro, le vacche tendono a fuggire e in tal modo le più deboli,<br />

e solitamente i vitelli, rimangono alla mercé del nemico senza che la mandria possa attuare una<br />

strategia organizzata di difesa.<br />

Ma se il predatore è ben conosciuto i bovini, come anche i maiali, sanno come comportarsi e si<br />

riuniscono in cerchio proteggendo i piccoli. La ragazza ebbe la fortuna di essere istintivamente<br />

considerata, in quel frangente, alla pari di un vitello dalle mucche che, a cornate, tennero a distanza<br />

la belva la quale, del resto, doveva conoscere e temere quel tipo di reazione, tanto che stava a<br />

distanza. Però i suoi tentativi, era infatti chiaro che la preda prescelta fosse proprio la ragazza, erano<br />

quelli di fare sbandare la mandria, tanto che continuava a girare attorno e a fare finti attacchi. La<br />

ragazza, non si sa se istintivamente o perché avesse capito che quello era l’unico modo per tentare<br />

di salvarsi la vita, in quel parapiglia cercava di tenersi sempre dietro le vacche, eppure la Bestia più<br />

volte riuscì a insinuarsi, fortunatamente non abbastanza, fra i bovini riuscendo però solo a strappare<br />

alla ragazza le vesti. Ma le vacche tennero duro e rintuzzarono ogni suo assalto.<br />

Casi simili sono documentati in tutta Europa. A San Colombano al Lambro, provincia di Milano, un<br />

lupo, ma era idrofobo, il 15 maggio 1767 azzannò prima cinque persone e dopo attaccò un certo<br />

Raffa. Ma il suo bue, vedendolo in pericolo, corse in sua difesa e respinse la belva, poi uccisa da<br />

Domenico Briocchi e Giovanni Grossi. A Cantù, provincia di Como, il 14 agosto 1809 un pastorello<br />

fu salvato dalla sua mucca che mise in fuga il lupo. Il 28 giugno 1811 un branco di lupi composto<br />

da tre maschi e una femmina adulti, nonché da otto cuccioli di pochi mesi che furono evidentemente<br />

solo spettatori, attaccò quattro vacche al pascolo nella zona di Buronzo, provincia di Vercelli, ma i<br />

lupi riuscirono solo a ferirle leggermente, venendo poi messi in fuga dagli stessi bovini. A Gessate,<br />

provincia di Milano, il 25 aprile 1816 un lupo assalì un gruppo di otto bambini a guardia delle<br />

vacche al pascolo e infine riuscì a addentare più volte la piccola Beatrice Ghiglio, di 8 anni, finché<br />

uno dei bovini non prese a cornate il lupo, salvandola.<br />

4


Anche i maiali, o un singolo maiale, più volte misero in fuga il lupo che aveva attaccato pastorelli e<br />

la cosa è logica, poiché un singolo lupo non è in grado di uccidere una vacca o un maiale adulto, a<br />

meno che questi animali non siano impossibilitati a muoversi. La stessa protezione, anzi ancor di<br />

più, la danno i grossi cani da pastore. Il 22 giugno 1810, in provincia di A<strong>qui</strong>la, una lupa fu assalita<br />

e uccisa dai cani da pastore di un gregge. Ma ci sono stati casi, anche se non frequenti, in cui singoli<br />

cani, e si trattava spesso di maremmani-abruzzesi, hanno ucciso singoli lupi in combattimento.<br />

Tornando alla pastorella di Saint Flour de Mercoire, una volta rientrata in paese sotto la protezione<br />

dei suoi armenti, in quello che senza dubbio fu un percorso da incubo nel timore che la belva<br />

tornasse, la povera pastorella raccontò sotto choc l’episodio, precisando di essere stata assalita non<br />

da un animale qualsiasi ma da “un’enorme belva dal pelo molto folto e rossiccio e dalle zampe<br />

dotate di lunghi artigli”. La bestia sarebbe stata grande come una vacca, con un torace molto largo,<br />

la testa enorme, orecchie diritte e corte e il muso lungo. La coda era lunga e insolitamente sottile e<br />

sulla groppa aveva una striscia nera che andava dalla cima della testa fino alla punta della coda.<br />

Aggiunse che l’animale poteva compiere balzi anche di nove metri, una prestazione che in realtà<br />

nessun lupo è in grado di fare. Ma l'opinione generale fu che si trattasse di un lupo, magari grosso,<br />

che agli occhi di una ragazzina giustamente terrorizzata era sembrato un mostro gigantesco. Su una<br />

cosa però furono tutti d’accordo e cioè che la pastorella era ancora viva solo per un miracolo e,<br />

molto più concretamente, grazie alle sue vacche.<br />

Forse quella belva era la stessa che, una trentina di giorni dopo, aveva ucciso e divorato Jeanne<br />

Boulet. Ora sorge la prima domanda. Cosa mangiò la belva in quel mese, ossia il periodo che<br />

intercorre dall’attacco non riuscito nella foresta di Saint Flour de Mercoire e quello mortale a<br />

Jeanne Boulet? Nella zona del Massiccio Centrale e <strong>qui</strong>ndi anche nel Gévaudan la selvaggina,<br />

inclusa quella grossa, non mancava affatto, solo che era di proprietà in massima parte della nobiltà<br />

la quale possedeva enormi riserve di caccia nelle quali, ovvio, il popolino non poteva accedere per<br />

cacciare.<br />

Non solo, in certe zone, cervi, caprioli e altri ungulati, grazie alla totale protezione accordata dai<br />

nobili, erano divenuti talmente numerosi da danneggiare gravemente le colture della povera gente,<br />

alla quale era severamente vietato di reagire in qualsivoglia modo. Naturalmente la suddetta<br />

protezione non valeva per i nobili ossia i proprietari delle riserve i quali, durante le grandi battute<br />

dell’epoca, facevano veri e propri massacri di cacciagione. La nobiltà cercò in tutti i modi di<br />

incrementare il numero dei selvatici, che poi venivano abbattuti a centinaia di capi alla volta per<br />

solo divertimento. E grazie a questa protezione in alcune zone gli ungulati, soprattutto i cervi,<br />

aumentarono a dismisura, con grave danno alle colture e in ultima analisi ai contadini. Questa<br />

consuetudine non avvenne solo in Francia, ma in tutta Europa.<br />

A nulla servivano le proteste e persino le petizioni della gente affamata. I contadini a quell’epoca,<br />

un po’ in tutta Europa, avevano sovente anche altre limitazioni, come il divieto di costruire muri di<br />

pietra intorno ai coltivi, oppure di superare determinate altezze, il tutto per rendere possibile ai cervi<br />

l’andare a cibarsi dei raccolti. Non solo, era in vigore la cosiddetta "servitù di caccia" grazie alla<br />

quale qualsiasi nobile poteva organizzare battute di caccia sui terreni dei contadini, anche<br />

nell’imminenza dei raccolti. Questo significava che una battuta, con decine di cavalieri, battitori e<br />

mute di cani, poteva distruggere in pochi minuti il lavoro di un anno di una famiglia contadina. A<br />

volte questo era un sistema adottato per costringere i piccoli proprietari a vendere il terreno ai nobili<br />

a prezzi risibili, costringendoli così ad andarsene o a rimanere a servizio come braccianti salariati.<br />

Quando i campi erano invece di proprietà dei nobili, i contadini li lavoravano in base a una sorta di<br />

contratto di affitto che stabiliva che buona parte della produzione spettasse ai proprietari, i quali<br />

esigevano tutto il pattuito, che il raccolto fosse stato calpestato e distrutto o no a causa delle loro<br />

eleganti e grandiose battute di caccia. Tutte angherie che non facevano altro che esasperare sempre<br />

più la povera gente. L’elencazione di questi soprusi sarebbe troppo lunga per questa descrizione.<br />

Ma non dobbiamo del resto considerare “santo” il popolino, perché appena ne ebbe la possibilità<br />

attuò una tale pressione venatoria da spopolare del tutto ampie zone europee, e che molte specie<br />

animali sopravvissero proprio grazie alle aree protette precedentemente istituite e salvaguardate<br />

dalla nobiltà. Comunque, il disprezzo della nobiltà per gli interessi dei contadini e in pratica dei<br />

sudditi di basso lignaggio non fu certo una delle ultime cause dell’odio che poi esplose nella<br />

5


Rivoluzione Francese, che si verificò una ventina d’anni dopo i fatti che raccontiamo ora. Infatti, in<br />

Francia il diritto feudale di caccia cadde solo con la Rivoluzione e in particolare nella famosa seduta<br />

della Costituente, nella nottata del 4 agosto 1789.<br />

Torniamo alla nostra vicenda e alla domanda che ci eravamo fatti. Cosa mangiò la belva in quel<br />

mese, nel periodo che intercorre dall’attacco, fra l’altro non riuscito, nella foresta di Saint Flour de<br />

Mercoire e quello mortale a Jeanne Boulet? Da notare che se invece si accetta che l’attacco sia<br />

avvenuto prima, ossia nella prima settimana di aprile, il periodo si allunga addirittura a 120 giorni o<br />

poco meno. Eppure la Bestia dovette pur mangiare, e poiché in quel periodo non ci risultano stragi<br />

umane come quelle poi perpetrate, dobbiamo ritenere che si cibò di cacciagione e di animali<br />

domestici oppure che venisse alimentata da qualcuno. Ma ci arriveremo dopo.<br />

E’ però strano che una fiera che aveva dimostrato tale accanimento verso le giovani vittime umane,<br />

che ricercava appositamente, in quasi trenta giorni non si sia almeno imbattuta nelle centinaia di<br />

pastorelli indifesi sparsi nel territorio. Forse non tutte le vittime della Bestia furono elencate come<br />

tali perché ritenute semplici sparizioni di persone o perché non denunciate o perché imputate a<br />

comuni lupi. Parrà strana quest’ultima ipotesi, ma è un fatto che all’epoca non fosse poi così raro<br />

l’essere divorati dai lupi. In Francia ogni anno tali vittime erano fra le 30 e le 50, e forse molte di<br />

più.<br />

Comunque, quasi quaranta giorni dopo l’uccisione di Jeanne Boulet ed esattamente l’8 agosto ci fu<br />

la seconda vittima accertata, una ragazza di <strong>qui</strong>ndici anni compiuti abitante nel villaggio di<br />

Masméjean-d’Allier, parrocchia di Puylaurent. Indico la parrocchia perché la suddivisione<br />

territoriale in Comuni allora non esisteva.<br />

La sventurata, lasciata in vita dalla Bestia che non portò fino in fondo l’attacco perché<br />

probabilmente disturbata da qualcosa, quando fu ritrovata da tre taglialegna ormai agonizzante ebbe<br />

la forza di riferire che era stata aggredita da “una bestia orribile, metà lupo e metà tigre, con grandi<br />

artigli e lunga coda”. (continua)<br />

Una strana bestia<br />

In questi casi la prima cosa da farsi è studiare le caratteristiche del luogo dell’aggressione, cercare<br />

impronte e segni e ipotizzare ciò che è avvenuto. Insomma, si analizza, come diciamo oggi, la<br />

“scena del crimine”. La belva doveva essere arrivata lì dal bosco, muovendosi silenziosamente fra<br />

gli alberi come un’ombra e fermandosi dietro un riparo. Dietro aveva la sicurezza del folto, davanti<br />

lo spiazzo delle case. L’animale, appiattito per non farsi vedere da qualcuno, doveva avere<br />

esaminato attentamente tutt’intorno.<br />

I suoi sensi sviluppatissimi gli fornivano un quadro dettagliato della situazione. Le corte orecchie, a<br />

tratti abbassate per la tensione per poi essere alzate e tese in ogni direzione, percepivano i rumori da<br />

centinaia di metri di distanza, bambini che piangevano o giocavano, le galline che raspavano la terra<br />

intorno alle case in cerca di insetti, i maiali e le vacche e le pecore ormai ricondotte nei loro ricoveri<br />

visto che stava calando la sera e che muovendosi provocavano rumori diversi, il parlottio di persone<br />

fuori dalle case e persino dentro. Grazie al suo udito, 20 volte superiore a quello dell’uomo, non gli<br />

sfuggiva nulla. Ma non aveva solo questa capacità. Il suo sensibilissimo naso gli permetteva di<br />

percepire ogni odore, anche il più leggero, e i flussi odorosi che provenivano da ogni direzione, e<br />

specie quando la leggera brezza spirava verso la belva, gli fornivano infinite informazioni,<br />

addirittura impensabili per gli umani. Infatti il suo olfatto era 100 volte superiore a quello<br />

dell’uomo, e solo alcuni cani da caccia lo e<strong>qui</strong>valevano.<br />

La belva, supposero gli uomini esperti che stavano cercando di ricostruire la dinamica dell’attacco,<br />

doveva avere osservato attentamente il villaggio e chissà per quanto tempo. Ma la vista non aveva<br />

le straordinarie capacità degli altri sensi e l’animale poteva distinguere bene i dettagli di un oggetto<br />

o di un animale immobile solo da qualche decina di metri. Ma qualunque cosa si muovesse anche<br />

impercettibilmente e a grande distanza, bene, non gli sfuggiva. È una caratteristica dei predatori.<br />

6


La belva probabilmente si era poi spostata. Un rumore in particolare l’aveva attirata. Veniva da<br />

dietro alcune case, più a lato. Era un rumore sordo, ritmico, ed era quello di una zappa che colpiva<br />

la terra. La belva si alzò e silenziosamente, guardandosi sempre attorno attentamente, andò in quella<br />

direzione. Ora le sue orecchie percepivano meglio anche un rumore molto più leggero, ed era<br />

l’ansare della persona che stava lavorando con la zappa. E l’odore, acre e forte, del sudore della<br />

persona che stava zappando era chiaro e netto. La belva aveva percorso il breve tratto e si era<br />

nascosta lì, forse proprio dietro a quel cespuglio e poi era avanzata fino a quella catasta di legna<br />

tagliata. Forse, perché lì non c’erano impronte perché il terreno era coperto di erba e foglie.<br />

La donna era di spalle, del tutto ignara. L’animale con ogni probabilità considerò che quella donna<br />

fosse facilmente abbattibile, ma che non era del tutto inerme perché quello che teneva in mano e che<br />

faceva rumore quando colpiva il terreno era una specie di bastone. Sapeva che gli umani potevano<br />

difendersi con quello, perché l’aveva provato. Faceva male. E poi quella donna era vicina alla casa<br />

e al villaggio, dove potevano esserci uomini o cani o vacche che avrebbero potuto accorrere in suo<br />

aiuto. La belva capiva che avrebbe dovuto attaccare e uccidere senza che niente e nessuno si<br />

accorgesse di nulla. Si guardò attorno ancora. Non c’era nessuno.<br />

L’odore del fumo e del cibo proveniente dalle case permeava tutto, ma l’odore della donna era più<br />

forte. La belva aveva fame. Schiacciata a terra, allargò le zampe e conficcò istintivamente le unghie<br />

nella terra per fare presa, appiattì le orecchie e balzò in avanti senza emettere alcun suono,<br />

affondando le zampe nella molle terra dell’orto durante la breve corsa. Non sappiamo se la donna si<br />

accorse di nulla, forse no, e la belva allora in un lampo l’azzannò al collo da dietro, atterrandola, e<br />

la povera vittima, con la bocca schiacciata sulla terra, non poté emettere alcun suono. Oppure la<br />

donna si voltò, magari per istinto o perché aveva udito un rumore, ma subito la belva l’azzannò alla<br />

gola. O, ultima possibilità, la donna si era accorta all’ultimo istante del pericolo, ma era rimasta<br />

annichilita e terrorizzata, senza riuscire a gridare o tentare la fuga.<br />

Comunque sia, pensarono gli uomini nel ricostruire il fatto, la morte doveva essere stata istantanea.<br />

La belva allora, constatando come tutto fosse tran<strong>qui</strong>llo e come quel punto fosse riparato, aveva<br />

deciso di non trascinare il corpo della vittima nel più sicuro ma distante bosco e di cibarsi lì. Ecco,<br />

convennero i gendarmi e gli altri presenti, il tutto doveva essere avvenuto così.<br />

Mentre il cadavere veniva portato presso un medico per un primo esame, le autorità, che molto<br />

probabilmente avevano richiesto la presenza e collaborazione dei guardiacaccia locali, si riunirono<br />

per capire il da farsi. Era ormai un caso di emergenza, ma la prima cosa da farsi era capire l’identità<br />

della belva, ormai chiamata da tutti semplicemente la Bestia. Capirne la specie era basilare per<br />

studiare il suo comportamento, come e dove cercarla, come inseguirla o attirarla in trappola, come<br />

ucciderla prima che facesse altre vittime. Perché ormai era chiaro che avrebbe colpito ancora.<br />

Il risultato delle prime osservazioni con ogni probabilità fu: primo, la Bestia era un carnivoro e<br />

gigantesco. Secondo, attaccava e divorava le persone, intesi come donne e bambini. Terzo, dalle<br />

impronte non era un lupo e neppure un cane, perché quelle ritrovate erano semplicemente troppo<br />

grandi, a meno che non fosse un esemplare colossale.<br />

Soprattutto i guardiacaccia, che fra tutti i presenti erano quelli che maggiormente ne sapevano sugli<br />

animali di quelle zone, non poterono confondere quelle impronte con quelle dell’orso, più grandi e<br />

tonde. E poi chi aveva mai sentito di orsi che mangiassero le persone? E neanche erano impronte<br />

della lince, più piccole e che non lasciavano mai segni di artigli sul terreno. Su quelle montagne, ma<br />

più in alto, c’erano ancora rari orsi e linci però è probabile che, secondo i guardiacaccia, quelle<br />

fossero proprio impronte di una fiera come il lupo. Di lupi era pieno ovunque e le conoscevano<br />

bene. Sì, queste sembravano quelle di una fiera simile al lupo, ma molto, molto più grande.<br />

A quell’epoca non c’erano, escludendo pochi naturalisti e biologi di fama che stavano però nelle<br />

grandi città, persone con cognizioni oggi anche elementari sulla vastità e varietà del mondo<br />

animale. Non si sapeva bene come fosse fatto un determinato animale esotico, di che colore fosse,<br />

quante unghie avesse, come fossero le zampe o la coda o qualsiasi altro particolare. Quindi non si<br />

sapeva che i lupi in altre zone lontane come la Siberia potevano essere molto più grandi di quelli<br />

viventi nel Gévaudan, pesanti solitamente 35 - 40 chili, con punte di oltre 45 solo in casi rari. Un<br />

lupo di queste dimensioni lascia impronte di circa 8-11 centimetri di lunghezza e 6,5-10 di<br />

larghezza con le zampe anteriori, e di 8 centimetri di lunghezza e 6-7 di larghezza con le zampe<br />

7


posteriori. I lupi più grandi, come quelli siberiani e artici che nei casi record pesano anche 80 chili,<br />

superano i 13 centimetri di lunghezza per quanto riguarda le zampe anteriori. Anche nel cane le<br />

zampe anteriori sono sempre poco più grandi di quelle posteriori, solo che, a parità di peso e<br />

grandezza, un lupo ha sempre le zampe molto più grandi di quelle di un cane.<br />

A questo punto forse qualcuno fra le autorità riassunse che le impronte, prima mai ritrovate perché<br />

gli attacchi precedenti erano avvenuti su terreni coperti d’erba o sassosi, portavano alla<br />

considerazione che la belva era qualcosa di simile a un lupo, ma molto più grande, che era<br />

ferocissima e con un morso potentissimo, indomabile e crudele, avida di carni umane e di persone<br />

vive e vegete e che forse proveniva da terre lontane ed esotiche.<br />

Del resto le descrizioni raccolte fino ad allora fra la gente raffiguravano un animale strano e mai<br />

visto da quelle parti. Chissà, magari era scappato da qualcuno di quei carrozzoni di girovaghi che<br />

andavano per le piazze di tutto il mondo e facevano esibire piccoli animali e ne mostravano altri<br />

tenuti in gabbia.<br />

Cosa poteva essere <strong>qui</strong>ndi? E qualcuno rispose: forse una iena. Perché la iena? Perché era ritenuta<br />

ferocissima e indomabile, avida di carne umana e così via. Nel dubbio, le autorità fecero pubblicare<br />

dei manifesti sulla misteriosa bestia, affinché la popolazione agisse con cautela. Si citava, oltre alla<br />

enorme ricompensa per l’eventuale abbattimento, che l’animale sarebbe stato di colore marrone-<br />

rossastro con una striscia scura lungo tutto il dorso, simile a una via di mezzo fra una iena e un lupo<br />

ma grande come un asino, spesso con la bocca aperta, con sei artigli per zampa, orecchi diritti e<br />

coda lunga e molto pelosa, e agile come un gatto. Non solo, più che ululare come un lupo aveva un<br />

verso simile al nitrito di un cavallo. Si consigliava inoltre di non avvicinarsi all’animale, visto che<br />

chi l’aveva fatto era morto, e di avvisare subito le autorità.<br />

Insomma, si pensava che la Bestia potesse essere una misteriosa iena. Esistono tre grosse specie di<br />

iene, ma una, la iena striata o ridens, oggi sappiamo che non è affatto aggressiva. Vive in Africa e<br />

Asia. Ha le dimensioni di un normale lupo, essendo lunga circa un metro a parte la coda, alta anche<br />

75 centimetri al garrese e pesante poco più di trenta chili. Poi c’è la iena bruna, che ha su per giù le<br />

stesse dimensioni, ma può superare i quarantacinque chili. All’occasione sia la iena striata che<br />

quella bruna hanno predato dei bambini, ma sono casi rarissimi. La più pericolosa è la iena<br />

maculata, lunga anche 135 centimetri coda esclusa, alta sino a 80 centimetri al garrese e pesante<br />

anche più di settanta chili, se femmina. I maschi sono infatti più piccoli. Ha attaccato più volte<br />

l’uomo, se l’occasione era propizia, ma sono casi molto rari. Ma nessuna iena si è mai comportata,<br />

né nei luoghi d’origine né altrove, come la Bestia del Gévaudan, con una tale ferocia, aggressività e<br />

ricerca predatoria verso l’uomo. Intanto la notizia della Bestia e dei suoi attacchi si diffondeva<br />

velocemente. Nel novembre dello stesso anno la libreria Deschamps di Parigi espose la prima<br />

raffigurazione pittorica, naturalmente di fantasia, della Bestia intenta a divorare una fanciulla. Ma<br />

ne furono prodotte di svariati tipi, tutte di fantasia.<br />

La stessa ipotesi sulla presenza di una feroce iena fu fatta nello stesso secolo in Italia. Infatti, dai<br />

primi di luglio alla fine di settembre del 1792, un caso simile a quello francese del Gévaudan si<br />

verificò nei pressi di Milano. Le vittime, tutte ragazze o pastorelli mandati senza protezione con gli<br />

armenti sui pascoli nonostante fosse vietato dalle autorità come nel caso del Gévaudan, furono dieci<br />

e dunque se facciamo un paragone fra le vittime che fece questa cosiddetta Bestia di Cusago,<br />

appunto dieci in tre mesi, e le almeno cento vittime in trentasei mesi della Bestia del Gévaudan,<br />

notiamo che la cadenza di attacchi mortali è praticamente identica.<br />

Fra l’altro pare che in ambedue i casi le cosiddette Bestie fossero almeno una coppia. Le autorità<br />

milanesi adottarono immediatamente tutte le misure necessarie per eliminare la cosiddetta Bestia,<br />

ritenuta inizialmente non un lupo ma un animale esotico fuggito da un circo, e in particolare una<br />

iena. Notate che da subito in entrambi i casi fu escluso che la belva fosse un lupo, anche per via<br />

delle confuse descrizioni fornite da chi la vide. La Bestia di Cusago, così chiamata dal luogo del<br />

primo attacco, sarebbe stata “lunga due braccia e alta uno e mezzo, come un vitello di ordinaria<br />

grandezza, con la testa simile a quella di un maiale, orecchie da cavallo, peli lunghi e folti sotto il<br />

mento come le capre e il resto del corpo di pelo corto baio rossino sulla groppa e lungo di egual<br />

colore sotto la vita, con la coda lunga arricciata, zampe sottili ma larghe alle estremità con unghie<br />

lunghe, con un grosso petto che va restringendosi posteriormente”.<br />

8


Le autorità milanesi fecero <strong>qui</strong>ndi affiggere nei luoghi pubblici il seguente avviso, “In questo<br />

momento giunge alla notizia della Conferenza Governativa, che la campagna di questo Ducato<br />

trovasi infestata da una feroce bestia di colore cenericcio moscato quasi al nero, della grandezza<br />

di un grosso cane, e dalla quale furono sbranati...(ecc.)”.<br />

Sulla Bestia fu fissata una notevole taglia di 50 zecchini. Intanto circolava fra la gente l’opinione<br />

che tale animale fosse una feroce iena giunta chissà da dove, come raffiguravano del resto varie<br />

stampe subito messe in circolazione in cui la misteriosa belva, enorme e con il manto coperto di<br />

macchie nere come una iena maculata, aveva addirittura in bocca per metà un ragazzo urlante. Ma<br />

chi ne sapeva di più, come un certo Borri, Ispettore delle Cacce del Ducato, da subito giudicò<br />

inverosimile la diceria, chiedendosi da dove avrebbe potuto essere scappata una iena visto che i<br />

controlli fatti negavano che fosse fuggita da qualche zoo o circo. Era giunta invece fin lì da sola,<br />

con le sue zampe, direttamente dalle remote zone dell’Asia o dell’Africa in cui viveva? E perché? E<br />

poi, se per assurdo fosse stato così, un tale ferocissimo animale non avrebbe lasciato una scia di<br />

cadaveri su tutto il percorso? Risultava a qualcuno? No. Era senza dubbio un lupo, concluse Borri,<br />

divenuto antropofago, come già era accaduto altre volte.<br />

E difatti quando la Bestia di Cusago cadde in una fossa scavata da due preti e fu uccisa, risultò<br />

essere solo una lupa molto grande. Pur sottoposta ad autopsia dopo l’abbattimento, non sappiamo<br />

purtroppo le sue esatte misure. Fu comunque descritta lunga due braccia e alta più di un braccio,<br />

anche un braccio e mezzo, ma ritengo che i testimoni per emozione o spavento abbiano aumentato<br />

eccessivamente le misure. Difatti il braccio era una vecchia unità usata per misurare la stoffa e<br />

corrispondeva a 60-70 centimetri di lunghezza. La Bestia di Cusago sarebbe stata dunque lunga,<br />

coda esclusa, fra i 120 e i 140 centimetri, e questo è possibile, ma alta addirittura circa un metro al<br />

garrese. Veramente troppo per un lupo europeo, a livello delle massime dimensioni, però da record,<br />

di un ben più grande lupo siberiano o canadese o artico. Anche se un lupo pesante addirittura 96<br />

chili e alto un metro alla spalla sarebbe stato ucciso da un conte all’inizio del XX secolo nei Paesi<br />

dell’Est, notizia impossibile da verificare.<br />

Comunque i testimoni la descrissero sempre di dimensioni pari ai più grandi esemplari di cani corsi<br />

o da pastore tipo maremmano-abruzzese. Trattandosi di una femmina, e <strong>qui</strong>ndi generalmente più<br />

piccola, ci troveremmo ancora una volta davanti a lupi molto grandi, comunemente segnalati o<br />

abbattuti in Italia fino all’inizio dell’800.<br />

La grandezza di questi lupi potrebbe essere spiegata con l’occasionale accoppiamento dei lupi<br />

presenti in Italia, in Francia o parte dell’Europa con esemplari di lupo siberiani, ben più grandi, che<br />

grazie ai vastissimi e fitti boschi dell’epoca potevano giungere, pur in qualche mese, anche in<br />

luoghi insospettabili. Ma anche lupi probabilmente provenienti da zone meno lontane suscitavano<br />

paura. A Lugano, in Svizzera, in un documento ufficiale si citava, “L’anno antidetto 1500 nella<br />

estate certi lupi rapaci divoravano quante creature potevano havere. Et quantunque potessero<br />

haver comodità de altre bestie, non di meno lasciando le bestie si attaccano a mangiar i fanciulli:<br />

di modo che mangiarno sino al numero di 30 creature. Né vi era huomo così bravo che avesse<br />

ardire solo uscir di casa, se non alquanti insieme accompagnati”. A Buronzo, provincia di Vercelli,<br />

il 28 giugno 1811 il sindaco informava il sottoprefetto di Santhia che un branco, costituito da tre<br />

grossi maschi e una femmina, con otto cuccioli, si era fatto vedere nella baraggia di Castelletto,<br />

assalendo e poi portando via una bambina di nove anni e mezzo sotto gli occhi dei mandriani. Si<br />

ritenne che questi lupi fossero stranieri per via del pelo rosso e irto e della coda piccola e rivolta in<br />

su. A Brescia, il 24 luglio 1811 il prefetto diramò ai comuni del territorio un avviso nel quale<br />

segnalava che detti luoghi “sono da qualche tempo infestati da lupi, alcuni dei quali di<br />

straordinaria grossezza, che oltre all’aver sparso il terrore negli abitanti di quelle campagne,<br />

arrecano pur anco danno alle persone e agli armenti”.<br />

Strani e grandi lupi come quelli citati nel Vercellese il 9 settembre 1816, quando il prefetto scrisse<br />

“Lupi di montagna o della Svizzera, appartenenti a una specie finora non conosciuta in questi Stati<br />

e di una straordinaria ferocia, infestano le campagne e i territori di non pochi paesi, avventandosi<br />

contro le persone”. Stesso allarme in zona il 2 giugno 1817, quando l’intendente della provincia di<br />

Vercelli diramò un avviso che iniziava così, “S’approssima la stagione in cui una razza di lupi, da<br />

soli 8 anni circa conosciuta tra noi, percorre le campagne, e quasi non curando qualunque altro<br />

9


cibo, cerca di pascersi di sola carne umana. Quante siano le donne, e i ragazzi, non che i giovani<br />

già adulti, fatti vittima della ferocia di tali belve possono con dolore rammentarlo gli abitanti delle<br />

comunità confinanti con l’estesissima baraggia della Rovasenda, covile quasi inaccessibile de’<br />

lupi”. Allarme che si ripeté a Rovasenda, sempre provincia di Vercelli, il 14 giugno 1817, quando<br />

nella baraggia fu abbattuto “un lupo di quelli detti della Svizzera, soli conosciuti avidi di carne<br />

umana”.<br />

Lo stesso risulta a Cameri, provincia di Novara, 24 agosto 1817, quando il podestà segnalò al<br />

prefetto che “ieri mattina si è presentato il fittabile della possessione di Boinago in questo<br />

territorio con vari suoi coloni, rappresentandomi che essi là, per la moltitudine di lupi che vengono<br />

dalla valle del Ticino, sono così assoggettati, che non sono quasi più padroni di sortire dal<br />

cascinale coi loro armenti, i quali sebbene custoditi non passa giorno che poco o molto ne soffrano<br />

danno, per cui chiederebbero un’efficace tutela. Alle cinque pomeridiane pure di ieri venne veduta<br />

da diversi di questi custodi di bovine, poco al di sopra del cascinale di Scagliano, una bestia<br />

rassomigliante a un grosso lupo ben messo e pettoruto, con mantello però dissimile avendo una<br />

fascia bianca alle culate e con sottopancia di varie strisce, alla cui vista detti custodi a precipizio<br />

fuggirono, ricoverandosi alcuni nel detto cascinale, da dove venne la stessa osservata in distanza<br />

di circa 200 passi, avendola riconosciuta d’indole feroce”. Insomma, è innegabile che in certi<br />

periodi apparissero lupi ritenuti difformi da quelli usuali, più grandi e temibili.<br />

Comunque sia, da quando la Bestia di Cusago fu abbattuta cessarono gli attacchi, come del resto<br />

avvenne quando Chastel sparò alla Bestia nel Gévaudan. Anche se in entrambi i casi, una piccola<br />

percentuale dei testimoni dichiarò che la belva uccisa non era quella da loro vista.<br />

Comunque, sarà bene chiarire che le tante cronache, un po’ in tutta Europa, che descrivono lupi o<br />

“bestie” grandi come “vitelli di un anno” sono solo assurdità. Pur sapendo che un grande lupo o un<br />

grande cane non potranno mai giungere a tali dimensioni, ho voluto fare una verifica più accurata e<br />

mi sono recato presso alcuni allevamenti. Bene, un grosso lupo o un grosso cane di circa 40<br />

chilogrammi hanno la grossezza del corpo di un vitello appena nato, solo che il vitello è più corto e<br />

più alto avendo in questa fase zampe molto lunghe, come capita del resto a tanti altri animali come i<br />

puledri o gli agnelli.<br />

I più grandi lupi, come quelli artici, siberiani e canadesi, o i più giganteschi cani come gli alani e i<br />

levrieri irlandesi, possono essere alti come un vitello di uno o anche due mesi d’età. Oltre non si va,<br />

anche perché ho misurato un normale vitello di un anno e al garrese arrivava a 160 centimetri ed era<br />

lungo oltre due metri, coda esclusa. Per farvi capire, un grande leone o una grande tigre sono lunghi<br />

quanto il nostro vitellone di un anno ma alti un metro al garrese o poco più. Solo un orso veramente<br />

grande, come quello bianco o un orso bruno kodiac, potrebbe essere alto al garrese come il nostro<br />

vitellone. Ma in Europa certo non ce ne sono mai stati in libertà. Tuttavia, pur ribadendo la mia tesi,<br />

bisogna considerare che a quell’epoca, almeno per quanto riguarda alcune razze, i bovini erano<br />

notevolmente più piccoli di quelli odierni, e da adulti potevano essere la metà di quelli europei<br />

attuali.<br />

Tornando alla nostra vicenda francese, le autorità cominciarono dunque a investigare se fosse stata<br />

segnalata o denunciata in quella zona o nei dintorni la fuga di qualche animale feroce esotico, una<br />

iena o qualunque cosa potesse essere, magari da un circo o da qualche accampamento di girovaghi.<br />

Oppure da parte di qualche privato che per qualsiasi motivo ne detenesse degli esemplari in gabbia.<br />

E nel contempo cominciarono a investigare se in quei mesi c’erano stati altri casi simili nei<br />

dipartimenti e regioni circostanti perché, se veramente c’era in giro una iena o altro, chissà, poteva<br />

anche non essere fuggita in quella zona ed essere arrivata fin lì con le proprie zampe, cercando di<br />

ritrovare la via per le sue zone d’origine o vagando alla ricerca di preda. Ma se fosse stato così, si<br />

pensò, essendo una specie ferocissima e avida di carni umane, lungo il percorso avrebbe dovuto<br />

lasciare una scia di vittime. Qualcuno aveva notizie di siffatte tragedie? No. (continua)<br />

Le ipotesi<br />

10


La Bestia, o meglio una delle Bestie, poiché ritengo che nel Gévaudan in quegli anni ce ne fosse un<br />

piccolo branco o comunque diversi esemplari, era una femmina. Sull’identità dell’animale arriverò<br />

in seguito anche se, sia chiaro, è una mia riflessione e non ho certezze, come chiunque altro. La<br />

Bestia, questa Bestia in particolare, è forse già antropofaga o forse no. Secondo me sì.<br />

Immaginiamo si trattasse di una lupa. Il lupo si accoppia una sola volta l’anno, a differenza del cane<br />

che si accoppia due volte l’anno. L’accoppiamento avviene verso la fine dell’inverno e la<br />

gestazione dura circa due mesi. Una ventina di giorni prima del parto la coppia cerca una tana, per<br />

esempio una cavità rocciosa, la tana allargata di un altro animale come una volpe o un tasso, oppure<br />

ne scava una nuova, e lì la femmina partorisce 4-8 cuccioli del peso di circa 300-400 grammi<br />

ciascuno.<br />

I cuccioli in Italia nascono tra aprile e giugno, ma potrebbe darsi che in una regione più a nord,<br />

umida, piovosa e fredda come il Gévaudan, la cucciolata nasca a giugno. Non voglio dare per<br />

scontato questo, però nulla vieta che la cucciolata della Bestia possa nascere in giugno, che è pur<br />

sempre nel periodo delle nascite dei lupi. I cuccioli, completamente inetti e con capacità sensoriali<br />

scarse, in pratica ciechi e sordi, dipendono all’inizio completamente dalle cure parentali degli adulti.<br />

Per 20 giorni vengono alimentati esclusivamente con il latte materno, poi la madre per circa 40-50<br />

giorni li alimenta sia con latte e sia rigurgitando parte del cibo ingerito. Per quanto riguarda la<br />

Bestia, possiamo <strong>qui</strong>ndi ipotizzare che i suoi cuccioli abbiano quasi due mesi – tre mesi nell’agosto<br />

1764.<br />

Proprio in quel mese cominciano le battute per catturare la fantomatica belva e dopo poco la<br />

situazione peggiora con l’arrivo dei dragoni a cavallo. Non contadini che devono badare al lavoro<br />

nei campi per tutto il giorno e che hanno poco tempo e magari poca voglia di scovare la Bestia, ma<br />

soldati professionisti. Sono lì per quello, sono pagati, hanno cavalli veloci, i fucili, il tempo e sono<br />

in tanti. Ce ne sono ovunque. Chissà quante volte la Bestia li ha osservati da lontano, nascosta nel<br />

bosco o su una montagna. In quel periodo i cuccioli rimangono in attesa di essere capaci di seguire<br />

gli adulti nell’attività venatoria, normalmente sostando in particolari aree, chiamate rendez-vous,<br />

all’interno delle quali aspettano gli adulti di ritorno dalla caccia. A un certo punto, il 7 ottobre,<br />

cominciano le decapitazioni delle vittime. Come mai?<br />

Ci arriviamo. I cuccioli sono nel bosco, relativamente al sicuro, ma mangiano sempre più. La Bestia<br />

senza dubbio ha conoscenza dell’uomo sia come preda ma anche come di un nemico mortale. La<br />

carne ingurgitata e poi rigurgitata davanti ai cuccioli che se ne nutrono, comportamento tipico dei<br />

canidi, non basta. Lo farebbero anche gli altri esemplari del suo branco, ma non ci sono. Forse sono<br />

morti. Oppure si sono dispersi in cerca di cibo e non sono tornati perché spaventati dall’uomo.<br />

O magari lei è sola, ed è proprio lei che darà vita al piccolo nucleo delle cosiddette Bestie. Forse il<br />

padre, un grosso lupo o anche un grande cane inselvatichito con cui si è accoppiata mesi fa, è<br />

morto. Magari il maschio è proprio l’altra Bestia, quella ferita il 5 ottobre dai cacciatori di Lafont e<br />

che è rimasto gravemente ferito e non può cacciare, tanto che la Bestia femmina, la sua compagna,<br />

deve procurare il cibo anche per lui, sempre rigurgitandolo. Ha fatto una vittima umana e dovrebbe<br />

andare e tornare più volte dal cadavere con la carne contenuta nel suo stomaco da rigettare ai<br />

cuccioli e magari anche al maschio, ma sa, chissà magari per esperienza, che ora potrebbero esserci<br />

degli uomini appostati. Non posso dire che conosca i fucili, ma l’istinto potrebbe farle capire che è<br />

pericoloso. Dovrebbe allora fare l’inverso e portare i cuccioli, e forse anche il compagno debilitato,<br />

fino al cadavere. Ma le vittime sono soprattutto pastorelli e i pastori portano pecore e vacche al<br />

pascolo e <strong>qui</strong>ndi in zone aperte, pericolose. In altri casi le vittime sono state uccise nei pressi delle<br />

case, ancora più pericoloso.<br />

La Bestia non si fida. Che fa allora? Tenta di portare la preda, ossia il cadavere, dai cuccioli in<br />

attesa al limitare del bosco. Sollevare con la bocca un corpo umano, anche se di un ragazzo, è molto<br />

faticoso, pesa troppo. Certo, più la vittima è piccola, come un bambino di pochi anni, più è facile.<br />

Ma comunque richiede un notevole sforzo, poiché buona parte delle vittime della Bestia sono<br />

ragazze e ragazzi di 10 – 15 anni, con un peso approssimativo di 30 – 60 chili. Infatti, il lupo<br />

isolato, quando attacca un gregge, afferra una pecora al collo e strattonandola, ma senza ucciderla,<br />

11


la costringe ad andare nella direzione voluta con le sue gambe. Se l’uccidesse sul posto, la pecora<br />

potrebbe essere trascinata solo per pochi metri e i cani da pastore riuscirebbero facilmente a<br />

raggiungere il lupo. Un esempio per tutti: A Zerbolò, il 10 ottobre 1807 il viceprefetto di Vigevano<br />

segnalò che un lupo aveva tratto una pecora da un gregge per divorarsela e a tal fine l’aveva tirata<br />

fin nel bosco per ucciderla. I cani però se ne accorsero e gliela fecero lasciare.<br />

Se voi doveste tirare un corpo sul terreno, fra l’erba alta e i sassi, probabilmente in salita, da dove lo<br />

afferrereste? Allo stinco, credo. Col risultato che l’altra gamba si aprirebbe a ventaglio così come le<br />

braccia, con un grave effetto frenante fra l’erba. Oppure a entrambi gli stinchi, solo che noi umani<br />

abbiamo due mani, ma la Bestia certo no.<br />

A un braccio? Stesso discorso di prima, e <strong>qui</strong>ndi l’animale avrebbe potuto afferrarne solo uno.<br />

Inoltre le ossa del braccio non sono abbastanza forti da resistere alla trazione, se tenute nella bocca<br />

di un grosso carnivoro che, con i denti, stringe forte e dà strattoni. Ci furono dei casi, infatti, in cui<br />

la Bestia staccò un braccio della vittima e fuggì con quello. E da dove afferrereste la vittima allora,<br />

se foste un animale? Dalla testa e precisamente sotto, dal collo, facile da afferrare e in cui la presa è<br />

più salda. Che, strattone dopo strattone, a volte cede. Il corpo rimane lì, la Bestia non sa che fare e<br />

nel dubbio prende l’unica cosa che ha di non troppo pesante. Appunto la testa, portandola ai<br />

cuccioli o abbandonandola quando capirà che non ne vale la pena.<br />

O magari, semplicemente, se il terreno è in salita, la testa rotola giù. Quindi potremmo pensare che,<br />

in alcuni casi la Bestia sia riuscita a trascinare al riparo un corpo, e in altri no, finendo per staccargli<br />

la testa. Probabilmente l’idea di trascinare un corpo al riparo sarà poi stata attuata anche quando non<br />

c’erano cuccioli, per il solo motivo che l’animale al coperto o comunque nascosto si sente più<br />

sicuro. Questo è un comportamento frequentissimo nei predatori e del tutto naturale.<br />

Ecco alcuni casi: Massazza, provincia di Biella, il 31 ottobre 1736. Angelica Maria Francesca<br />

Baijs, 8 anni, mentre raccoglieva legumi con altri bambini in un campo dietro la casa, fu attaccata<br />

da un lupo. La belva la prese per il collo e la trasportò verso il bosco di Vagliona, dove però venne<br />

vista da Giuseppe Badone e dal figlio Carlo, che intervennero con i forconi. Il lupo lasciò la<br />

bambina, che era già morta a causa delle gravissime lesioni al collo. Albiolo, provincia di Como,<br />

1801. Una lupa, uccisa poi a settembre, dopo aver divorato una <strong>qui</strong>ndicina di bambini, il 9 giugno<br />

attaccò Eugenio Bernasconi, 8 anni, lo afferrò alla testa e cominciò a trascinarlo, ma alcune persone<br />

accorsero e la belva abbandonò il bambino, ferito alle guance ma che sopravvisse. A luglio la stessa<br />

lupa aggredì il bambino Giacomo Bottinelli, lo afferrò per il collo e fuggì. Quando ebbe percorso<br />

oltre 100 passi venne però raggiunta dal padre del bambino e allora abbandonò la preda. Il medico<br />

riscontrò sul collo del bambino, che fortunatamente sopravvisse, 19 ferite da dente. Durante una<br />

battuta fu scoperta la tana della lupa, tutta cosparsa di ossa anche umane, ma la belva pur vista<br />

riuscì a fuggire.<br />

Torniamo al Gévaudan. Fino alla ottava vittima conosciuta, quella di Rieutort, la Bestia non aveva<br />

mai staccato teste, mentre dal 7 al 25 ottobre su quattro uccisioni, tre hanno questa orribile<br />

peculiarità. Non solo, nei quattro anni in cui la Bestia agì nello Gévaudan, su circa 116 vittime<br />

accertate, i corpi decapitati sarebbero stati 14. Questi corpi furono ritrovati nel 1764 rispettivamente<br />

il 7 e 15 ottobre, il 25 novembre, il 15 e 21 dicembre. E nel 1765 rispettivamente l’1 e il 23 gennaio,<br />

il 9 febbraio, l’8 marzo, il 4 aprile, il 19 maggio, il 21 giugno e il 21 dicembre. Da questa data,<br />

niente più decapitazioni nonostante la Bestia, ma credo sia meglio dire l’ultima delle Bestie, venga<br />

ufficialmente abbattuta solo il 19 giugno 1767.<br />

Perché? Per capire meglio la cosa affidiamoci ai dati:<br />

Giugno 1764 - 1 vittima, decapitate 0<br />

Luglio – nessuna vittima conosciuta<br />

Gennaio 1766 - nessuna vittima conosciuta<br />

Febbraio - 2 vittime, decapitate 0<br />

12


Agosto - 2 vittime, decapitate 0<br />

Settembre - 7 vittime, decapitate 0<br />

Ottobre - 3 vittime, decapitate 2<br />

Novembre - 1 vittima, decapitata 1<br />

Dicembre - 7 vittime, decapitate 2<br />

Gennaio 1765 - 12 vittime, decapitata 1<br />

Febbraio - 4 vittime, decapitata 1<br />

Marzo - 10 vittime, decapitata 1<br />

Aprile - 8 vittime, decapitate 2<br />

Maggio - 8 vittime, decapitata 1<br />

Giugno - 7 vittime, decapitate 2<br />

Luglio - 2 vittime, decapitate 0<br />

Agosto - 2 vittime, decapitate 0<br />

Settembre - 3 vittime, decapitate 0<br />

Ottobre – nessuna vittima conosciuta<br />

Novembre - nessuna vittima conosciuta<br />

Dicembre - 2 vittime, decapitata 1<br />

Marzo - 3 vittime, decapitate 0<br />

Aprile - 1 vittima decapitate 0<br />

Maggio - 1 vittima, decapitate 0<br />

Giugno - 1 vittima, decapitate 0<br />

Luglio - 2 vittime, decapitate 0<br />

Agosto - 4 vittime, decapitate 0<br />

Settembre - 2 vittime, decapitate 0<br />

Ottobre – 1 vittima, decapitate 0<br />

Novembre – 1 vittima, decapitate 0<br />

Dicembre - nessuna vittima conosciuta<br />

Gennaio 1767 - nessuna vittima conosciuta<br />

Febbraio - nessuna vittima conosciuta<br />

Marzo - 2 vittime, decapitate 0<br />

Aprile - 7 vittime, decapitate 0<br />

Maggio - 7 vittime, decapitate 0<br />

Giugno - 4 vittime, decapitate 0<br />

Totale vittime 116, di cui 14 decapitate<br />

Come possiamo vedere, le decapitazioni avvengono continuativamente solo per nove mesi, con<br />

l’eccezione di un’altra decapitazione sei mesi dopo. Considerando solo i nove mesi (su 37 totali)<br />

dall’ottobre 1764 a giugno ’65 notiamo che c’è qualcosa di strano. Perché la Bestia prima non<br />

decapita, poi lo fa quasi una volta su cinque (da quando inizia a decapitare, lo fa 13 volte su 60<br />

vittime) e poi non la fa più, eccetto un solo caso 6 mesi dopo? E dopo quest’ultimo caso isolato non<br />

lo fa più per ben 18 mesi, quando viene abbattuta.<br />

Forse perché la Bestia, quella Bestia femmina, è stata uccisa nel luglio ’65 e la decapitazione del 21<br />

dicembre è avvenuta a causa di un’altra Bestia e per caso? Oppure questa stessa Bestia è stata<br />

uccisa poco dopo il 21 dicembre 1765, dopo l’ultima decapitazione da trascinamento? In questo<br />

ultimo caso fra l’altro la vittima si trovava in un ampio pascolo in cui erano presenti, sia pur a<br />

distanza, altri pastorelli, i quali accorsero nello spazio di pochi minuti. La belva, conscia di loro,<br />

evidentemente cercò di trasportare il cadavere, ma tirò il corpo con troppa frenesia e violenza con il<br />

risultato di decapitarlo. A questo punto ingoiò la massima quantità di carne possibile e in gran<br />

fretta, per fuggire immediatamente quando i soccorritori erano ormai quasi su di lei.<br />

Comunque, se fosse stata una femmina, i suoi cuccioli in quel periodo e cioè in dicembre sarebbero<br />

già stati grandi e quasi autonomi ma forse la Bestia aveva ormai imparato che quello era un buon<br />

modo per portare al riparo le sue vittime. Lei lo faceva, gli altri no. Possibile l’ipotesi? Forse sì o<br />

forse no. Ma c’è un’altra ipotesi, che vi spiegherò fra poco.<br />

Qualche appassionato della vicenda del Gévaudan spiega queste mutilazioni, delle teste ma anche di<br />

seni e di altre parti del colpo, tranciate come da una lama di rasoio, immaginando che la Bestia<br />

fosse di una specie sconosciuta o esotica, un alieno, un sadico o chissà che. Io non ci credo affatto.<br />

Considerando però che ormai sono passati quasi due secoli e mezzo, che sia la Bestia e sia i<br />

testimoni sono passati a miglior vita e che <strong>qui</strong>ndi dubito si riesca a fare piena luce sulla vicenda,<br />

ogni ipotesi vale quanto l’altra. C’è sempre da imparare nella vita. Tuttavia, ripeto che a mio parere<br />

le 14 decapitazioni, che statisticamente rappresentano oltre il 12% delle vittime conosciute della<br />

Bestia, che sono 116, e <strong>qui</strong>ndi sono effettivamente tante, possono essere spiegate più<br />

semplicemente.<br />

Qualcuno asserisce che la Bestia non agisse da sola e che ci fosse in zona anche uno o più serial<br />

killer che uccideva persone dando poi la colpa alla belva. Quindi, uno o più pazzi assassini umani<br />

che, rimasti in speranzosa attesa di un qualche evento, sarebbero rimasti buoni senza uccidere<br />

nessuno per anni. E che poi, spuntata fortunatamente la Bestia, abbiano colto l’occasione per<br />

sfogare a usura i propri istinti omicidi o sadici. Non ci credo. Per altri invece molte vittime<br />

sarebbero state fatte da una setta di cospiratori che, ammazzando e creando tensione sociale in loco,<br />

13


avrebbero sfruttato politicamente quelle stragi. Ma allora perché uccidevano donne e bambini e mai<br />

uomini adulti? Fra l’altro sottolineo che a fianco delle vittime, di tutte le vittime, non fu mai trovata<br />

una sola impronta umana, neppure nel terreno fangoso. Solo impronte della Bestia. Forse questi<br />

fantomatici assassini umani volavano? Qualcuno obietterà che almeno nei villaggi, quando le<br />

vittime furono uccise fra le case, ci saranno pure state delle impronte umane poiché i soccorritori o i<br />

parenti certo si saranno avvicinati ai cadaveri ben prima dell’arrivo dei dragoni o dei gendarmi.<br />

Possibile, anzi molto probabile. Ma la maggior parte delle vittime furono uccise all’aperto, lontano<br />

dai villaggi, e sempre le sole impronte furono quelle della Bestia. Ancora, non ci credo a questi<br />

assassini umani seriali. E’ che sono convinto che spesso le cose avvengano molto più<br />

semplicemente di quanto si pensi, per motivi molto più probabili e possibili.<br />

Pertanto, pur anticipando che la mia tesi non è migliore di qualsiasi altra, dico che a mio parere il<br />

decapitatore di alcune delle vittime, Bestia a parte e almeno in alcuni casi, avrebbe potuto essere un<br />

soldato ed esattamente uno dei dragoni di Duhamel. (continua)<br />

La lotta di Jeanne<br />

Una volta giunti i cani, d’Enneval avrebbe potuto cominciare la caccia, ma si rifiutò di farlo finché<br />

Duhamel non avesse cessato di operare e <strong>qui</strong>ndi di interferire. Questo atteggiamento, che parrà<br />

assurdo quando c’erano in ballo tante vite umane, in realtà è del tutto normale e giusto. Nessun<br />

cacciatore professionista si metteva, o si mette, all’opera se ci sono altri che agiscono<br />

contemporaneamente. Catturare o abbattere un animale di tal tipo, che si tratti di un lupo o di un<br />

leone, significa pianificare attentamente appostamenti, battute, esche e quant’altro, e basta poco per<br />

vanificare tutto.<br />

Se si decideva di non spaventare la belva con battute in una data zona, cercando di attirarla in<br />

agguato, non si doveva temere che altri attuassero battute che avrebbero vanificato tutta la<br />

preparazione. Se si decideva invece di fare battute in una data zona, non si doveva temere che altri<br />

ne facessero un’altra con il risultato di allontanare la Bestia. Inoltre, se per una battuta si utilizzava<br />

la popolazione della zona, ovviamente non c’erano battitori disponibili per l’altra. Insomma, il caos.<br />

Inoltre, non bisogna tralasciare il fatto che se d’Enneval fosse stato il solo a cacciare la Bestia<br />

avrebbe avuto maggiori possibilità di incassare l’iperbolica taglia sull’animale. Certo, anche un<br />

singolo cacciatore o contadino avrebbe potuto fortunosamente o no abbattere l’animale, ma l’ipotesi<br />

era ritenuta difficile da avverarsi.<br />

Per un certo periodo Duhamel fece finta di non aver capito che doveva abbandonare il campo,<br />

evidentemente stizzito dal fatto di essere sostituito a dimostrazione del suo fallimento, mentre<br />

d’Enneval cocciutamente non transigeva sul fatto che doveva essere l’unico, con l’eventuale<br />

collaborazione dei nobili locali, a rimanere in campo. A riguardo di Duhamel bisogna ammettere<br />

che ce la mise tutta, ma non ebbe fortuna e neppure le capacità, visto che era un soldato e non un<br />

cacciatore di belve.<br />

Su di lui il curato di Aumont, Trosselier, scrisse “Si diede molta pena e non fece niente ". Alla fine<br />

d’Enneval, a forza di reclami verbali e scritti, riuscì a far allontanare Duhamel, cosa che però si<br />

verificò solo il 6 aprile. Insomma, ci volle un mese e mezzo, durante il quale la Bestia fece una<br />

strage. La popolazione locale vide con soddisfazione la partenza degli odiati dragoni.<br />

La Bestia intanto continuava il massacro. L’1 marzo una bambina di 8 anni del villaggio di Le Fau,<br />

parrocchia di Brion, fu attaccata proprio davanti al fienile di casa e a poca distanza dal padre.<br />

Questi, urlando, accorse in aiuto della figlia, che la Bestia aveva azzannato e scuoteva ferocemente<br />

come uno straccio. Prima di essere raggiunta la belva fuggì ma la ragazza, orribilmente mutilata e<br />

ricoperta di sangue, morì per le ferite. Il 4 una donna di Ally, in Auvergne, uccisa e divorata in<br />

parte.<br />

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L’8 fu la volta di una bambina di 10 anni del villaggio di Le Fayet, parrocchia di Albaret-le-Comtal,<br />

divorata al torso, spalla e a un braccio, testa staccata. Da notare che la bambina aveva portato al<br />

pascolo delle pecore, un’ottima e facile preda per un lupo o per la Bestia, eppure la belva si aprì un<br />

passaggio attraverso il gregge di pecore, ignorandole, fino a lei. Evidentemente la Bestia si era<br />

ormai assuefatta alla carne umana e anzi prediligeva proprio quella. E’ un comportamento frequente<br />

fra gli animali antropofagi, anche di altre specie.<br />

Il già citato leopardo di Rudraprayag pareva comportarsi proprio così. Da notare che il felino era<br />

perfettamente sano e <strong>qui</strong>ndi non costretto all’antropofagia perché menomato. In un caso addirittura<br />

sfondò la porta, entrò in una stalla, passò sopra o sotto le capre lì rinchiuse senza attaccarle e uccise<br />

e divorò il pastorello che dormiva all'interno, dall'altra parte del locale.<br />

Il 9 la Bestia uccise una donna di 30 anni del villaggio di Le Ligonès, parrocchia di Ruines en<br />

Margeride. Questa volta la vittima, giovane e robusta, non era sola ma accompagnata dal padre. La<br />

belva le fu addosso in un attimo senza che lei avesse il minimo sentore di pericolo e poi la azzannò<br />

alla gola. Il padre inorridito vide la scena e accorse, mentre la Bestia schiacciava letteralmente al<br />

terreno la vittima. Poi fuggì. Tutto si era svolto in pochi attimi, ma era bastato. La donna, sgozzata,<br />

morì subito. La Bestia aveva evidentemente un morso che non perdonava.<br />

L’11 una bambina di 5 anni, Marie Pougnet, del villaggio di Malavieillettes, parrocchia di Fontans,<br />

stava giocando vicino alla stalla. A un certo punto i familiari si accorsero che era da un po’ che non<br />

la vedevano e non la sentivano e così la cercarono lì attorno, mentre la preoccupazione si tramutava<br />

in terrore e disperazione. Non c’era più. Quando il cadavere fu ritrovato vennero riscontrati<br />

molteplici segni di morsi alla testa e numerose ossa spezzate, nonché il ventre aperto. Era stata in<br />

buona parte divorata. La stessa giornata, nelle vicinanze del castello del conte di Morangiès, intorno<br />

alle 17, l’attacco fu portato invece contro un vigoroso uomo ventenne, il quale si difese<br />

coraggiosamente finché la scena non fu vista da tre paesani, i quali accorsero mettendo finalmente<br />

in fuga l’animale. Il 12 la belva attaccò una ragazza a Saint Alban, ma fu messa in fuga. La ragazza<br />

non fu ferita.<br />

Il 13 la Bestia si avvicinò al villaggio di Albaret-Sainte Marie e notò un bambino che stava<br />

giocando davanti alla porta di casa. Avventarsi, afferrarlo e sollevarlo di peso con le fauci fu un<br />

attimo, ma la scena venne vista dal curato e da alcuni contadini che, essendo vicinissimi, presero<br />

bastoni, vanghe e forconi e si misero a inseguirla. La belva, rallentata dalla preda, che essendo stata<br />

afferrata solo per il vestito era non solo ancora viva ma addirittura illesa, capì che non poteva<br />

farcela. Lasciò allora il bambino, ma la sua ira e frustrazione furono tali che nella fuga, trovandosi<br />

improvvisamente davanti una pecora e un maiale, gli si buttò addosso e li sbranò all’istante.<br />

Ritengo però che il maiale fosse semmai un maialino, poiché se fosse stato un adulto con ogni<br />

probabilità non si sarebbe azzardata a tanto e comunque l’esito non sarebbe stato così scontato e<br />

veloce. Ricordo che i maiali un tempo erano allevati bradi nei boschi e il loro comportamento,<br />

nonché le zanne che non venivano estirpate come si fa oggi, erano molto simili a quelle dei<br />

cinghiali selvatici.<br />

Poi la belva fuggì in direzione di Prunières, dove ancora tentò di predare un bambino, venendo però<br />

per l’ennesima volta messa in fuga prima di riuscire persino a ferire la vittima. Ma la Bestia,<br />

inferocita e determinata, non aveva alcuna intenzione di lasciare perdere. Si diresse <strong>qui</strong>ndi in<br />

direzione del villaggio di La Vessière, parrocchia di Saint Alban, dove si svolse un episodio<br />

terribile e nel contempo eroico, come riferì il curato Béraud in un rapporto inviato il giorno<br />

successivo al vescovo di Mende.<br />

Jeanne Chastang, moglie di Pierre Jouve e madre di sei bambini, intorno a mezzogiorno si trovava<br />

con tre dei suoi figli davanti all’uscio di casa. Stavano mangiando e approfittavano di un pallido<br />

sole per riscaldarsi un po’. Dopo un poco, la donna, di meno di 40 anni, stava rientrando in casa e<br />

davanti a lei aveva il figlio di 6 anni e a fianco la figlia di 9 anni che portava nelle sue braccia il<br />

piccolo fratellino di circa quattordici mesi. All’improvviso Jeanne sentì il rumore di un sasso che<br />

cadeva dal muretto vicino e, girandosi, vide la ragazza afferrata al braccio dalla Bestia e buttata a<br />

terra. Nonostante il terrore la ragazza teneva stretto a sé, per proteggerlo, il fratellino. Jeanne allora,<br />

nonostante fosse di piccola statura e magra, si gettò coraggiosamente sulla Bestia e con la forza<br />

della disperazione riuscì a liberare la figlia, tenendo intanto lontana la belva a calci.<br />

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La Bestia però saltò ancora addosso alla ragazza pur protetta dalla madre e le scaraventò entrambe<br />

contro il muretto. La donna resistette e allora la belva attaccò l’altro bambino di 6 anni, che era<br />

rimasto lì terrorizzato. La madre ancora intervenne, mentre l’animale afferrava il bambino urlante e<br />

la colpiva a zampate per farle perdere la presa. Mentre stava per scappare con la preda, Jeanne gli<br />

saltò sulla schiena afferrandolo con le braccia e le gambe. Fu gettata a terra, ma ancora balzò<br />

sull’animale, non una sola altra volta ma otto, nove, dieci volte. L’incredibile combattimento infatti<br />

durò quasi mezz’ora. Ferita alle braccia e al petto dalle unghie della belva, azzannata al braccio e<br />

poi alla testa, gettata a terra più volte, Jeanne non demordeva. La Bestia riuscì ad afferrare ancora il<br />

bambino, e stava per saltare una bassa siepe per poi balzare giù da un muretto alto un paio di metri<br />

quando la madre la afferrò per la coda. Entrambi atterrarono sul prato sottostante.<br />

La Bestia perse la preda, ossia il bambino, poi lo ripigliò e lo trasportò verso il bosco. A quel punto<br />

la madre raccolse da terra una grossa pietra, raggiunse l’animale e prese a colpirlo forsennatamente<br />

sulla testa, probabilmente ferendolo viste le macchie di sangue presenti poi sulla pietra. Tuttavia<br />

questo rovesciò ancora la madre e fuggì verso il bosco con il bambino urlante tenuto per la testa,<br />

passando fra fitti cespugli, solo per trovarsi ancora davanti Jeanne che li aveva aggirati e gli<br />

bloccava il passo.<br />

La belva cercò di superarla, ma fu afferrata prima per una zampa e poi per i testicoli, finché,<br />

guaendo e ringhiando per l’ovvio dolore, riuscì infine a liberarsi. Scappò, ma essendo rallentata dal<br />

bambino la madre ancora la raggiunse, altra lotta, altra fuga con la preda. La madre disperata la<br />

inseguì urlando e a quel punto, finalmente, fu udita da due figli più grandi che lavoravano nella<br />

stalla. Il più giovane di questi, che aveva 13 anni, afferrò la sua lancia e accorse, seguito dal suo<br />

cane da pastore che, incredibilmente, non s’era accorto di nulla. Il mastino raggiunse per primo la<br />

belva, si scontrò con lei e la ribaltò a terra, azzannandola alla testa. Intanto giunse anche il ragazzo<br />

che la colpì con la lancia, ma apparentemente la punta non penetrò oppure la belva, lottando con il<br />

cane, non accusò visibilmente il colpo. A questo punto però aveva capito di essere a mal partito e<br />

fuggì verso il bosco, evitando il mastino che ancora la inseguiva. Il bambino ferito intanto, pur<br />

sanguinando terribilmente, corse fra le braccia della madre urlando alla Bestia di lasciarlo. Il povero<br />

bambino credeva ancora di essere fra le fauci della Bestia. Purtroppo le ferite erano troppo gravi e<br />

morì tre giorni dopo. Una tragedia, ne converrete, impressionante.<br />

Attacchi come quelli citati purtroppo si verificarono ovunque. Il 26 giugno 1565 le autorità di Gonzaga,<br />

provincia di Mantova, segnalarono che una donna si era stretta al petto una bambina per proteggerla da un<br />

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lupo, ma che la belva era riuscita ugualmente ad afferrare la piccola alla gola strappandola alla madre. Il 14<br />

ottobre 1600 a Malnate, provincia di Varese, in pieno giorno un lupo saltò una siepe che proteggeva<br />

una casa e davanti all’uscio della cucina attaccò una donna che aveva in braccio una bambina di 4<br />

anni. La madre si mise a tirare la bambina per i piedi, e lo stesso faceva il lupo che l’aveva afferrata<br />

alla testa, finché riuscì a strapparla fuggendo via con essa. Molti della zona inseguirono il lupo, ma<br />

rinvennero solo il giubbone della vittima.<br />

Per quanto riguarda il Gévaudan, per completezza riportiamo il testo originale del rapporto redatto dal curato<br />

di St Alban sull’attacco: (continua)<br />

Antoine sostituisce d’Enneval<br />

Tornando al Gévaudan, la Bestia, o le Bestie, erano scatenate e divenivano di giorno in giorno<br />

sempre più sfrontate e sanguinarie. Pareva non ci fosse nessuno in grado di fermarle. Il re però la<br />

pensava diversamente e aveva già dato incarico a François Antoine, che aveva la carica di Porta<br />

Archibugio del Re e, cosa più importante, era Grande Louvetier del Regno. In pratica il maggiore<br />

rappresentante della Louvetier, l’organizzazione creata secoli prima proprio per sterminare i lupi.<br />

Insomma, qualche capacità avrebbe dovuto averla. François Antoine, che era già in là con gli anni<br />

essendo sulla sessantina, partì l’8 giugno e giunse prima a Saint Flour e poi il 22 a Malzieu,<br />

accompagnato da uno dei figli e cioè Robert-François Antoine de Beauterne, che aggiungeva al<br />

cognome del padre un titolo ac<strong>qui</strong>sito indipendentemente. Pertanto è errato scrivere Antoine de<br />

Beauterne per riferirsi al padre, unico incaricato dal re, poiché si chiamava François Antoine e<br />

basta. Robert-François Antoine de Beauterne era il figlio e lo accompagnava solamente. Comunque,<br />

François Antoine giunse infine a Saugues con tutto il suo seguito, composto dal figlio, dai domestici<br />

e da quattordici guardiacaccia da lui scelti fra tutti quelli, ed erano già i migliori, messi a sua<br />

disposizione dalle capitanerie reali di Versailles e di Saint-Germain en Laye, e dal duca di Orléans,<br />

dal duca di Penthièvre e dal principe di Condé. Uno di questi guardiacaccia era Rinchard, fra l’altro<br />

nipote di François Antoine e <strong>qui</strong>ndi cugino di Robert-François Antoine de Beauterne.<br />

Ma Antoine portava con sé anche una grande muta di cani molto esperti ed esattamente quaranta<br />

segugi e quattro grandi cani da presa della Louveterie Royale, ognuno dei quali aveva da solo già<br />

ucciso parecchi lupi. Da notare che quattro dei segugi erano ritenuti così validi e preziosi che,<br />

invece di farli camminare come gli altri cani della muta, furono messi dentro dei cesti assicurati a<br />

un basto e trasportati per tutto il viaggio da un mulo. Il 24 il Sottointendente Lafont si incontrò a<br />

Saugues con Antoine, mettendosi a sua disposizione per risolvere qualsiasi problema e gli<br />

comunicò, fra l’altro, che tutte le autorità locali erano pronte a procurare, ovunque lui ritenesse<br />

opportuno, l'alloggio per lui, i suoi uomini, i cavalli e i cani, oltre a fornirgli guide, addetti agli<br />

approvvigionamenti e ai trasporti, operai per scavare le fosse lupaie e per altri lavori, e tiratori e<br />

battitori per le cacce. In più Lafont gli assegnò come supporto e collegamento a tempo pieno<br />

Trophime Lafont, suo fratello. Gli confermò anche che, come predisposto dagli Amministratori di<br />

Auvergne e della Languedoc, erano state preparate parecchie dozzine di petardi che le guardie<br />

avrebbero tirato e fatto esplodere durante le battute per spaventare la Bestia nonché i lupi. Questo<br />

era un efficace sistema molto in uso ovunque.<br />

Antoine decise di distribuire i suoi guardiacaccia nel cuore della zona in cui la Bestia pareva<br />

concentrare i suoi attacchi, <strong>qui</strong>ndi lui e suo figlio il 26 giugno si stabilirono nel villaggio di Sauzet,<br />

parrocchia di Venteuges, quattro guardiacaccia sempre a Venteuges, sette a Combret e gli altri a La<br />

Barthe, nei pressi di Besseyre Saint Mary. Tutti furono ospitati nelle case degli abitanti, che nel loro<br />

caso furono cordiali e molto disponibili, anche perché quei nuovi venuti sembravano molto<br />

rispettosi, onesti e pagavano bene ciò che si forniva loro. Insomma, erano ben diversi dai dragoni.<br />

Lo stesso Antoine fu subito benvoluto perché dimostrava di comprendere i problemi dei contadini,<br />

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capiva la loro miseria e soprattutto non si comportava in modo altezzoso e sgarbato ma viveva in<br />

mezzo a loro guadagnandosi la loro simpatia.<br />

Successivamente Antoine si trasferì con il suo seguito al castello di Besset, a Besseyre Saint Mary,<br />

che divenne il suo quartier generale e che si trovava sempre nel cuore del territorio di azione della<br />

Bestia. La prima cosa che Antoine fece fu quella d’incontrare d’Enneval e di dirgli che anche lui<br />

aveva ricevuto l’incarico di uccidere la belva. A una probabile domanda sul tema posta da<br />

d’Enneval e cioè su una prossima revoca dell’incarico datogli, cosa che il vecchio cacciatore di lupi<br />

già immaginava e forse addirittura sapeva, ritengo che Antoine gli abbia risposto che lui di quello<br />

non sapeva nulla e che era compito delle autorità. Qualunque cosa fosse stata decisa, l’avrebbero<br />

comunicata loro. Quindi d’Enneval avrebbe continuato ancora le sue ricerche, ma nel contempo lo<br />

stesso avrebbe fatto Antoine.<br />

Ma i due esperti cacciatori credevano ognuno in un metodo diverso. Mentre d’Enneval riteneva<br />

ormai più efficaci le battute, che anzi in quei giorni aumentò ulteriormente re<strong>qui</strong>sendo i contadini,<br />

Antoine era un convinto fautore degli agguati e appostamenti silenziosi, sia notturni che diurni. In<br />

pratica, Antoine la pensava esattamente come il d’Enneval degli inizi, che aveva cominciato proprio<br />

tentando di attirare la belva invece che inseguirla, salvo poi constatare che con questo particolare<br />

animale non funzionava.<br />

Non sappiamo se i due si conoscessero già di persona, ma di fama senz’altro sì. A prescindere dal<br />

carattere, d’Enneval più arcigno e autoritario e Antoine più accomodante e non borioso, erano<br />

entrambi famosi ed esperti cacciatori di lupi e <strong>qui</strong>ndi, dopo l’iniziale diffidenza, avranno discusso<br />

del problema fra tecnici. D’Enneval avrà raccontato con disprezzo di quella gente che certo non lo<br />

aveva favorito nelle cacce e di cui Antoine avrebbe fatto bene a non fidarsi, dei lupi che comunque<br />

aveva abbattuto, della terribile natura di quei luoghi, della strategia usata e naturalmente di quella<br />

belva che aveva vanificato tutti i suoi tentativi e che secondo lui non era un lupo. E che comunque,<br />

a suo parere la Bestia non era una sola. Fra l’altro, gli comunicò d’Enneval, l’ultima volta la Bestia<br />

era stata avvistata da alcuni contadini nei boschi di Lorcières. L’avvistamento era avvenuto intorno<br />

alle 5 del mattino del 22 giugno.<br />

Antoine lo ascoltò e forse in cuor suo pensò che d’Enneval asserisse che non si trattava di un lupo<br />

solo per usare una ovvia scusante e cioè che se lui, esperto e noto cacciatore di lupi, non aveva<br />

ucciso la Bestia, l’unica spiegazione era che ciò non era avvenuto proprio perché non di lupo si<br />

trattava ma di un altro ignoto essere.<br />

Entrambi però sapevano una cosa; la Bestia non massacrava solo le persone, ma anche le<br />

reputazioni. Se non si fosse offerto per questa caccia, d’Enneval, ormai vecchio, sarebbe stato<br />

ricordato come il miglior cacciatore del regno e come colui che aveva ucciso fino ad allora ben<br />

1200 lupi, o almeno così asseriva lui. Ma ora sarebbe stato ricordato solo come il normanno che<br />

aveva fallito contro la Bestia. Una vita di onori cancellata da un singolo animale. Antoine sapeva<br />

che stava correndo lo stesso rischio. D’Enneval poteva essere arcigno quanto si vuole, ma certo era<br />

desideroso che la Bestia fosse finalmente uccisa, se non da lui piuttosto da Antoine. Non credo<br />

infatti che, pur ammettendo una certa rivalità repressa, il vecchio normanno non sperasse che<br />

quell’animale cessasse di esistere. Non era indifferente alle tante tragedie che aveva visto in quel<br />

periodo.<br />

Pertanto, dimostrando di voler collaborare, invitò Antoine e il figlio a partecipare alla loro prossima<br />

caccia, che comunque si rivelò ancora un insuccesso. Non solo, fino alla partenza di d’Enneval e di<br />

suo figlio, i due gruppi di cacciatori collaborarono concretamente fianco a fianco, dimostrando che<br />

la guerra era fra gli uomini e la Bestia e non fra loro. In effetti d’Enneval si dimostrò migliore di<br />

quanto lo ritenessero gli abitanti del luogo e la mia personale opinione di lui è che fece tutto ciò che<br />

qualunque esperto avrebbe tentato di fare. Gli mancò la fortuna, e forse il tempo.<br />

Dopo aver congedato d’Enneval, Antoine incontrò tutti coloro che credeva potessero essergli utili.<br />

Autorità, nobili, guardiacaccia, curati e testimoni, ai quali fece una buona impressione anche per i<br />

modi cortesi e l’esperienza in materia. Poi si informò sulla situazione ed ebbe conferma di ciò che<br />

già d’Enneval gli aveva riferito e cioè che il 21, solo il giorno prima del suo arrivo, la Bestia aveva<br />

fatto ben tre vittime. In un solo giorno! Antoine in seguito, accompagnato da guide locali, perlustrò<br />

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la zona per capire le caratteristiche e le difficoltà dell’area in cui doveva agire. L’impressione fu<br />

identica a quella provata mesi prima da d’Enneval.<br />

Piccoli villaggi sovrastati dalle vette più elevate dei Monti de La Merguerite e soprattutto dal Monte<br />

Mouchet. Ripide creste costellate da antri e nascondigli naturali intervallate da temibili crepacci e<br />

orride gole come quelle del Desges, una vera faglia naturale che forma una valle quasi inaccessibile,<br />

e alte praterie paludose e impenetrabili foreste chiamate "boschi neri". In mezzo a quelle montagne<br />

tenebrose si stagliava il castello di Chamblard, di proprietà della famiglia del Sottointendente<br />

dell'Auvergne, Boissieu, e nel quale risiedeva Verny de Védrines, un gentiluomo la cui attività<br />

consisteva nella produzione di vetro, grazie ai minerali di cui era ricca la zona e che venivano<br />

estratti in una vicina miniera. Il castello, situato tra Paulhac e Saugues, fu più volte la base o il<br />

luogo di sosta di alcune cacce alla Bestia effettuate sulle erte pendici del Monte Mouchet.<br />

Il clima era oppressivo. Pesanti nevicate in autunno e inverno, piogge continue in primavera e<br />

autunno, impenetrabili nebbie quasi sempre, caldo torrido per brevi periodi. Insomma, come diceva<br />

la gente del luogo, “Nove mesi di inverno e tre mesi di inferno”. Antoine la pensò nello stesso modo<br />

e infatti descrisse la sua impressione in una lettera, "Ho l'onore di farvi osservare, che è da<br />

cinquant' anni che esercito cacce di ogni tipo, tanto in Francia che in Germania, in Piemonte e nei<br />

Pirenei, eppure io non ho mai visto un paese simile a questo e così difficile!”.<br />

Antoine organizzò subito delle cacce con i suoi uomini e con il supporto dei nobili locali, le cui<br />

offerte venivano finalmente ben accettate. Inoltre le autorità misero a sua disposizione anche i<br />

carabinieri, ossia gendarmi a cavallo che, a differenza degli odiati dragoni, erano ben visti e che<br />

soprattutto erano composti in buona parte da arruolati di quelle zone. Inoltre Antoine, nel limite del<br />

possibile, cercava di svolgere il suo compito evitando di arrecare danni ai contadini, se appena era<br />

possibile operare in modo diverso senza pregiudicare l’esito delle cacce. Insomma, aveva riguardo<br />

per la povera gente. Cosa che invece, a quanto si scrisse, non fece d’Enneval che nel frattempo<br />

aveva se possibile aumentato ancor più le sue battute.<br />

Ma neppure le cacce di Antoine né i suoi cani riuscirono a ottenere risultati, se non quello, già<br />

notevole, di tenere in soggezione la Bestia. Evidentemente era tanto furba da capire quando gli<br />

uomini diventavano troppo frequenti e pericolosi e così si rintanava nel fitto dei boschi, predando<br />

con ogni probabilità animali e non uomini. Che attaccasse anche animali è ovvio poiché dal 21<br />

giugno passarono tredici giorni senza che ci fosse alcun attacco all’uomo, e nel contempo l’animale<br />

dovette pur alimentarsi. La pressione di Antoine e dei suoi uomini aggiunta a quella di d’Enneval<br />

intanto era stata soverchiante e in quei giorni neppure i comuni lupi si erano fatti vedere. Antoine<br />

non si limitò a battere e perlustrare la zona, ma dispose i suoi uomini, e in particolare i quattordici<br />

esperti guardiacaccia che aveva portato con sé, a coppie nei punti in cui riteneva più probabile<br />

potesse mostrarsi la Bestia.<br />

Il fatto che li utilizzasse la notte e non di giorno, stupì abbastanza la gente in quanto si sapeva che la<br />

Bestia di norma attaccava con la luce e non con le tenebre. Perché la Bestia facesse così è chiaro: di<br />

notte i pastorelli stavano al sicuro nelle case mentre era di giorno che portavano gli armenti nei<br />

pascoli. Ma è ovvio che questo fosse stato valutato da subito da Antoine, il quale non è detto che<br />

non abbia appostato cacciatori anche di giorno. Ma la scelta di Antoine ci fa capire comunque che<br />

era convinto che la Bestia fosse un lupo, e i lupi vanno in caccia soprattutto al crepuscolo, ossia<br />

sono più attvi nella tarda serata e poco prima dell’alba. Solo che in quei giorni nulla si vide e nulla<br />

si sentì.<br />

Ma il 4 luglio ci fu un’altra vittima, Marguerite Oustallier, 68 anni, del villaggio di Broussoles,<br />

parrocchia di Lorcières. Era quasi mezzogiorno quando l’anziana donna, che stava custodendo le<br />

sue vacche al pascolo in compagnia di una bambina dodicenne, fu attaccata dalla Bestia, che la<br />

sgozzò e le mutilò orrendamente una guancia. Anzi, la bambina fu senza dubbio miracolata, poiché<br />

ritengo che la vittima prescelta fosse proprio lei, visto che la Bestia prediligeva i giovani. Senza<br />

dubbio la belva era già nascosta nei paraggi pronta all’attacco, quando le due donne notarono che le<br />

vacche erano entrate in un vicino campo di grano. La bambina allora corse a scacciarle da lì e così<br />

inconsapevolmente si allontanò dalla belva nascosta e in più si avvicinò alle vacche che, come<br />

sappiamo, erano perfettamente in grado di attaccare la belva e metterla in fuga.<br />

19


Per questo motivo molto probabilmente la belva non attaccò anche la ragazza, la quale una volta<br />

portate indietro le vacche, senza che si fosse accorta ancora di nulla, si trovò davanti all’orribile<br />

scena. Terrorizzata, continuando a urlare, la bambina scappò in cerca d’aiuto. Nelle vicinanze c’era<br />

un uomo che, accortosi di quanto stava avvenendo, corse contro la belva brandendo un nodoso<br />

bastone, tuttavia la Bestia non solo non fuggì ma lo attaccò girandogli attorno con la consueta<br />

tecnica. L’animale non voleva evidentemente lasciare la sua preda, e cioè l’anziana donna uccisa,<br />

ed era inferocita. L’uomo si trovò a mal partito ma fortunatamente sopraggiunsero i soccorsi. La<br />

belva fuggì. Quello stesso pomeriggio il mostro si avvicinò al villaggio di Julianges e attaccò,<br />

ferendola, la figlia del maniscalco, ma fu messa ancora una volta in fuga.<br />

Nonostante i buoni propositi, accadde quello che già si era verificato più volte con Duhamel e<br />

d’Enneval, ossia la segnalazione non fu affatto veloce. Antoine infatti fu avvertito dell'omicidio<br />

solo l'indomani a mezzogiorno. Il cadavere non era stato rimosso e già nei pressi si erano appostati<br />

alcuni dei suoi guardiacaccia, in agguato. In virtù di questo Antoine giunse con i suoi uomini e i<br />

cani sul luogo dell’attacco solo intorno all'alba del 6 luglio. Esaminò il corpo, che già stava<br />

evidentemente decomponendosi, e constatò che la Bestia, essendo stata disturbata dall’arrivo dei<br />

soccorritori, ne aveva mangiato ben poco. Gli abiti della donna erano stati in parte stracciati a morsi<br />

e il suo cappello si trovava lì vicino. Il terreno intorno mostrava grandi chiazze di sangue<br />

raggrumato e che formavano una lunga striscia. Infatti il cadavere era stato trascinato dalla belva<br />

per un certo tratto, forse nel tentativo di portarlo in un punto più sicuro per divorarlo. Ricordate la<br />

mia ipotesi su alcune decapitazioni e cioè che siano avvenute per trascinamento? E’ <strong>qui</strong>ndi assodato<br />

che la Bestia lo facesse e che questa conseguenza potrebbe aver portato in alcuni casi al distacco<br />

della testa o di un braccio.<br />

Il terreno era erboso e <strong>qui</strong>ndi non trovò impronte, ma poco più in là c’era un punto nel quale il<br />

terreno era sgombro ma duro. Pertanto non c’era l’impronta delle zampe ma solo i segni di unghie,<br />

a buona distanza una dall’altra. Antoine sul fatto scrisse, “Abbiamo visto molto sangue, il suo<br />

cappello e i suoi abiti straziati ed abbiamo riconosciuto che era stata trascinata per quattro tese.<br />

Là dove il campo era duro, ho visto solamente le unghie di un grande lupo". La tesa era un’antica<br />

unità di misura di lunghezza, oscillante fra 1,70 m. e 2 m., pari all’apertura delle braccia, appunto,<br />

tese. Poco dopo ad Antoine riferirono che la Bestia quel giorno aveva anche attaccato una bambina<br />

di Julianges, e cioè la figlia del maniscalco, fortunatamente solo ferita grazie all’intervento di alcuni<br />

uomini. Antoine era stupito dal comportamento di questo animale.<br />

Mentre era ancora lì, arrivò tutto ansimante un console di Lorcières, dicendogli che tutto il villaggio<br />

era in allarme per gli urli di una bestia. Antoine immediatamente spronò il cavallo e galoppò verso<br />

Lorcières, con tutta la sua truppa e i suoi segugi, ma l’animale era già scomparso. L'esame delle<br />

tracce però rivelò il passaggio di un grande lupo, al quale si era poi aggiunta una lupa, che il<br />

maschio aveva con ogni probabilità richiamato proprio con gli urli, ossia gli ululati, uditi in paese.<br />

Le grandi impronte, o meglio i segni delle sue unghie, lasciate dalla Bestia che aveva ucciso due<br />

giorni prima la vecchia donna parevano coincidere con le grosse impronte lasciate da questo lupo<br />

maschio. Ovvio cosa pensò Antoine. “E se la cosiddetta Bestia non fosse altro che un grande lupo,<br />

magari insieme alla compagna e a qualcuno dei suoi figli?”. Del resto, più volte era stato descritto<br />

un animale, probabilmente la Bestia, che camminava con uno o più cuccioli a fianco o che quando<br />

si allontanava veniva raggiunto da loro. In un caso un cucciolo era stato visto avvicinarsi alla Bestia<br />

e leccarle il muso, forse nel tentativo di farle rigurgitare il cibo come normalmente fanno i canidi.<br />

Se era così, la Bestia stava allevando i suoi cuccioli con carne umana, insegnando loro che l’uomo<br />

era una preda da cacciare. E se era così, prossimamente ci sarebbero state in giro parecchie Bestie<br />

antropofaghe. Anzi, forse ce n’erano già.<br />

Antoine appostò allora dei tiratori in quella zona, preferendo evitare di fare una battuta sapendo che<br />

un animale inseguito è capace di fuggire a chilometri di distanza e più, mentre un animale ben<br />

nutrito non si allontana molto e tende a rimanere in zona se non disturbato. Ma uno dei peggiori<br />

nemici era il tempo, dal suo arrivo praticamente aveva piovuto tutti i giorni oppure c’era stata una<br />

pesante nebbia che non permetteva di vedere neppure a pochi metri di distanza. Ecco cosa scrisse<br />

Antoine in una lettera del 27 luglio 1765:<br />

20


"Les pluies, les brouillards épais <strong>qui</strong> règnent tous les matins et <strong>qui</strong> durent souvent jusqu'au soir, les<br />

foins, les blés <strong>qui</strong> ne peuvent être récoltés qu'à la fin d'août, les habitants <strong>qui</strong> y sont occupés, ce <strong>qui</strong><br />

fournit toutes leurs ressources, tout cela retarde beaucoup toutes nos opérations."<br />

In italiano:<br />

"Le piogge, le spesse nebbie che regnano tutte le mattine e che durano spesso fino a sera, il fieno, il<br />

grano che non possono essere raccolti se non alla fine di agosto, gli abitanti che sono occupati in<br />

ciò che fornisce tutte le loro risorse, tutto questo ritarda molto tutte le nostre operazioni."<br />

Intanto la Bestia aveva cercato più volte di fare altre prede. Due suore clarisse di La Besse il 10<br />

luglio, salvate appena in tempo dai contadini, e due pastorelli il 17. Questi ultimi due ebbero la<br />

fortuna di vedere per tempo la belva mentre correva verso di loro e immediatamente si<br />

arrampicarono agilmente su un albero. L’animale, ringhiante anche per la rabbia di vedersi sfuggire<br />

la preda, tentò di salire anch’essa sull’albero, ma ovviamente senza riuscirci, e poi prese a balzare in<br />

alto.<br />

Ma i ragazzi erano fuori dalla sua portata. Non doma, la Bestia si accoccolò come un grosso cane lì<br />

sotto e si mise in attesa. Ogni tanto ringhiava e guardava in alto. Ansimava forte, con la bocca<br />

aperta e la lingua pendente, in quella calda giornata di luglio. I bambini ebbero modo di vederla<br />

bene, il lungo corpo gigantesco che si irrobustiva sempre più fino ad avere nelle spalle e nel collo<br />

una forma taurina, la gigantesca e sgraziata testa dalle corte orecchie, il pelo duro e fitto, le zampe<br />

grosse quanto le braccia di un uomo e che terminavano in giganteschi e sproporzionati piedi dalle<br />

unghie incredibilmente lunghe. Poi, d’improvviso, l’animale sparì e i ragazzi cominciarono a<br />

pensare che se ne fosse finalmente andata, anche se diffidavano. E fecero bene perché al loro<br />

minimo movimento riapparve la belva, ancora più furiosa. Fortunatamente, dopo ore di attesa con il<br />

cuore in gola, apparve un cavaliere che caricò i bambini in groppa e li portò a casa. La belva non si<br />

era mostrata.<br />

A seguito di questi recenti tentativi di predazione, Antoine pensò che forse doveva organizzare<br />

subito una battuta, ma, come appunto si legge nella lettera di prima, sapeva che ormai era giunto il<br />

periodo della fienagione e che presto si sarebbero falciati i campi, soprattutto di segale. Antoine, per<br />

non disturbare troppo i contadini in una fase cruciale del raccolto, si era ripromesso di non fare<br />

battute e <strong>qui</strong>ndi di non usare i contadini come battitori se non la domenica e nei giorni festivi,<br />

durante i quali non lavoravano.<br />

Un giorno a d’Enneval arrivò la lettera, ormai attesa, delle autorità che gli comunicavano la<br />

cessazione dell’incarico e così il vecchio cacciatore e suo figlio il 18 luglio, fra l’evidente<br />

soddisfazione e il sarcasmo della gente, partirono per tornare umiliati e furenti in Normandia.<br />

Grazie al personale interessamento di Antoine, il re concesse comunque a d’Enneval una rendita<br />

annua di 350 franchi.<br />

Pochi giorni dopo, esattamente il 21 luglio, Claude Biscarrat, un bambino di soli 9 anni di Auvers,<br />

fu mandato dai genitori a recuperare le vacche che erano rimaste al pascolo. Claude aveva paura,<br />

ma lo si mandò lo stesso. Tutta la vicenda della Bestia, la sua ferocia, il numero dei morti, qualsiasi<br />

aspetto di questa storia viene semplicemente annichilito da un fatto: lo straordinario coraggio di<br />

quei bambini e la straordinaria povertà dei loro genitori che consapevolmente mandavano i loro figli<br />

incontro a una probabile morte semplicemente perché costretti dalla necessità. Se voi o io, uomini<br />

adulti e forti, sapessimo che c’è in zona, magari nascosto proprio dietro gli alberi davanti a noi o<br />

sotto il muretto che delimita il campo, una bestia feroce, una belva che veramente, realmente da<br />

anni uccide e mangia le persone, andremmo avanti anche di un solo passo? Dopo magari aver visto i<br />

resti di un nostro amico o di un parente o di un conoscente fatto a pezzi, divorato? Ebbene, sono<br />

sicuro di no. Ma quei bambini lo facevano, praticamente disarmati, e non solo una volta ma tutti i<br />

giorni e ognuno di quei giorni avrebbe potuto essere l’ultimo. Con il cuore in gola, trepidanti,<br />

magari piangenti, ebbene andavano. Voi vi domanderete perché questi bambini non andassero<br />

sempre in gruppo per meglio difendersi.<br />

21


La risposta è che non sempre era possibile, non sempre i pascoli potevano sostentare tutti gli<br />

armenti colà portati eccezionalmente e riuniti. E neppure si può pensare che tutti i genitori di quei<br />

ragazzi fossero dei debosciati ai quali non interessasse nulla di loro, perché non è così. Tutti<br />

dovevano fare qualcosa per far sì che la famiglia potesse in qualche modo campare e in ultima<br />

analisi quello di custodire le bestie al pascolo era l’unico compito non pesante e alla portata di un<br />

bambino. Mettetevi nei panni di quei genitori e capirete l’orrore dato dalla Bestia del Gévaudan per<br />

ben quattro anni.<br />

Claude Biscarrat andò al pascolo a recuperare le vacche, ma passava il tempo e non tornava.<br />

Calarono le tenebre e nulla ancora. Lo si cercò al buio ma senza risultato. Era scomparso. Il mattino<br />

dopo in un pascolo furono trovati i suoi zoccoli, e più avanti gli abiti che, per alcuni dei testimoni,<br />

sarebbero stati intatti. Il corpo non c’era. Ma c’erano ancora le stesse, enormi impronte. Fu lo<br />

stesso Antoine, durante una battuta svoltasi tre giorni dopo, il 24, a trovare infine ciò che rimaneva<br />

del corpo del povero bambino. Nudo, una coscia interamente spolpata, l’altra a metà, così come la<br />

schiena. I reni mancavano, e il collo era spezzato, anche se la testa non si era staccata. La belva<br />

l’aveva evidentemente trascinato per il collo, come già avvenuto con altre vittime, ma questa volta<br />

la testa non si era staccata. Sul ventre aveva gli orribili segni lasciati da quattro grandi zanne.<br />

Il giorno dopo fu la volta di Marguerite Soulier, una ragazza di 25 anni, che fu attaccata vicino a<br />

Chabanol. Ma nei pressi c’era un uomo intento a falciare il fieno, Etienne Magné, che subito<br />

accorse brandendo la terribile arma. La belva fuggì, mentre la donna non riportò alcuna ferita. Il 27<br />

altro tentativo di attacco a tre bambini di Ruynes, ma un gruppo di contadini intervenne in tempo.<br />

Il 29 invece la Bestia uccise e divorò un bambino a Sauzet. Passarono alcuni giorni e parve l’inizio<br />

di una tregua o magari persino la fine dell’incubo. Gli unici movimenti su quelle montagne parvero<br />

essere solo quelli delle vacche al pascolo con i loro campanacci al collo, delle capre e pecore nelle<br />

radure e dei pastorelli che trepidanti le custodivano. I cacciatori a cavallo continuarono senza sosta<br />

a perlustrare l’enorme zona, i cani a cercare piste, i guardiacaccia a stare nascosti con le armi<br />

pronte. Ma niente, nessuna belva, nessun attacco. Che fosse morta, magari caduta in qualche<br />

trappola o avvelenata?<br />

No, e lo dimostrò il 3 agosto, nei pressi di Servières. Verso le 20, la Bestia vide un uomo e una<br />

donna che falciavano l’erba e, poco distante da loro, un bambino che giocava in un vicino fosso. La<br />

belva si avvicinò strisciando bassa fra l’erba e all’improvviso balzò all’attacco, afferrando con le<br />

fauci la vittima, che si chiamava Pierre Roussel, di 5 anni. Immediatamente, con un urlo disperato, i<br />

genitori accorsero ma la belva, che teneva il bambino serrato fra le fauci e sollevato da terra, riuscì<br />

ugualmente a saltare tre muretti di pietra alti circa un metro.<br />

Sarebbe riuscita a fuggire con la preda se proprio davanti a lei non fosse apparso un altro uomo,<br />

vicino di casa dei Roussel, che prese a colpirla con la baionetta mentre il suo cane si gettava<br />

ferocemente contro la belva. Questa, pressata dai colpi di baionetta, dai morsi del cane e dall’arrivo<br />

dei Roussel armati di falce, si sentì in trappola. Inoltre, col bambino ancora in bocca, non poteva<br />

difendersi o contrattaccare. Preferì allora fuggire, abbandonando il bambino, ormai svenuto e ferito<br />

alla testa, a una guancia e a una spalla. Ma si salvò e guarì.<br />

Il 6 agosto altro attacco. Guillaume Lèbre e Etienne Crozatier, di 16 e 18 anni, lungo il ruscello del<br />

Gorguière, vicino a Marcillac, furono attaccati, ma dovettero la vita all’intervento dei loro buoi. Il<br />

giorno successivo, il 7, a essere attaccati furono Pierre Cellier e sua moglie, che stavano mietendo a<br />

Longchamp, vicino a Chabanol. La Bestia, che evidentemente stava spiando i due da tempo in<br />

attesa dell’occasione propizia, attaccò la donna appena allontanatasi per andare a prendere la<br />

colazione, poggiata lì vicino. Ma il pronto intervento del marito e di altri contadini la fece fuggire.<br />

Antoine intanto continuava nelle ricerche e il giorno dopo, il 9, trovò tracce della belva nel bosco di<br />

Servières. Inseguita dai cani per ore, fra astuti tentativi di depistaggio dell’animale e adeguate<br />

contromisure dei cani che comunque non la mollavano, la belva sfrecciò veloce procedendo sulle<br />

ripide pendici verso il Monte Mouchet. Antoine allora ritenne che, continuando a darle una caccia<br />

serrata, la belva avrebbe potuto abbandonare del tutto la zona, come del resto già aveva fatto nei<br />

primi mesi della sua comparsa nella zona di St.Flour de Mercoire. E se l’avesse fatto, la zona delle<br />

ricerche si sarebbe ulteriormente allargata. Avrebbe dovuto cominciare tutto da capo. E <strong>qui</strong>ndi<br />

22


Antoine, intorno alle 17, ordinò di interrompere la battuta, fra lo stupore della popolazione locale<br />

che lo accompagnava come battitori.<br />

Fu un errore, anche se solo apparentemente. Infatti verso le 19, mentre Antoine si stava rinfrescando<br />

nel suo appartamento presso il castello del Besset, sentì all’esterno un forte clamore. Erano gli<br />

abitanti di La Besseyre-St-Mary, forconi e baionette alla mano, che avevano invaso<br />

tumultuosamente il castello, protestando proprio contro Antoine. Cos’era successo? Che, pur<br />

inseguita per tutto il giorno, la Bestia non solo non si era allontanata, ma addirittura era tornata<br />

indietro e li aveva seguiti fino al castello. E lì aveva scorto Jeanne Anglade, una robusta ventenne<br />

del villaggio di Pompeyren, che ignara stava filando. La giovane, attaccata alle spalle, era stata<br />

uccisa immediatamente. Gli abitanti del villaggio allora avevano ritenuto Antoine responsabile,<br />

accusandolo che se non avesse interrotto la battuta la donna non sarebbe morta.<br />

Non solo, alcuni, superstiziosi e creduloni al massimo grado, si misero a gridare che la Bestia aveva<br />

fatto quell’incredibile affronto ad Antoine consapevolmente. Lo aveva sfidato, uccidendo la ragazza<br />

a soli 500 metri di distanza dal castello e da Antoine stesso! Anzi, ora, continuarono quelli, la Bestia<br />

sarebbe stata ancora più sanguinaria per rivalsa! Ma naturalmente nessun animale agisce con tale<br />

malefica astuzia e premeditazione. Neppure la Bestia. Pertanto la mia opinione è che la Bestia<br />

inseguita e cacciata non fosse la stessa Bestia che uccise Jeanne Anglade.<br />

Antoine subito reagì nel modo più logico e iniziò seduta stante un'improvvisata battuta con 600<br />

battitori, 117 uomini armati e tutti i suoi 44 cani, ai quali se ne aggiunsero altri 60 messi a<br />

disposizione dai nobili locali. Tutti quegli uomini e soprattutto tutti i cani attraversarono i boschi<br />

latrando, cercano piste ovunque, trovandole, riperdendole. La Bestia evidentemente era maestra nel<br />

far perdere le sue tracce. Lo fece anche questa volta e la battuta fu un insuccesso. Antoine, come<br />

d’Enneval prima di lui, era costernato e nei rapporti che inviò a Luigi XV dovette ammettere che<br />

l’impresa era effettivamente difficilissima.<br />

Aveva notato anche un’altra cosa: i cani che aveva non bastavano e peccavano spesso anche sotto<br />

l’aspetto qualitativo. Viste le difficoltà della zona, e per accelerare anche i tempi, ai suoi<br />

quarantaquattro cani e alle molte decine messe a disposizione dai nobili se ne dovevano aggiungere<br />

altri. Ma dato che nelle battute a un determinato numero di segugi doveva essere affiancato un<br />

numero proporzionale di cani da presa o comunque di cani capaci fisicamente di bloccare e anche<br />

uccidere da soli i lupi, ecco che i suoi quattro grandi cani della Louveterie Royale non bastavano.<br />

In zona c’erano molti cani di questo tipo, ma finora non avevano dato grande prova di efficienza.<br />

Inoltre, non è che qualsiasi cane avrebbe potuto essere unito a un gruppo di cani già consolidato,<br />

perché non avrebbe saputo cosa fare se non attaccare lite con tutti gli altri. La muta di cani invece<br />

deve essere formata da esemplari che si conoscano, collaborino fra loro e fra i quali si sia instaurata<br />

una chiara gerarchia. Oppure da cani che siano addestrati a cooperare una volta messi in muta, che<br />

si conoscano o no.<br />

Antoine sapeva che in Italia esisteva una razza di cani ritenuta validissima contro lupi e orsi, ed<br />

erano i maremmani-abruzzesi, simili ai grandi cani francesi da montagna dei Pirenei ma un poco<br />

meno pesanti e <strong>qui</strong>ndi più adatti a stare al passo dei segugi negli inseguimenti. Tanto che in Italia si<br />

usavano mute di grossi cani addestrati a inseguire e attaccare la grossa selvaggina, come orsi e<br />

cinghiali, utilizzando esemplari di cane corso, un molosso agile e veloce, a volte unendoli ad altri<br />

come il maremmano-abruzzese. Fra l’altro questi ultimi gli erano stati offerti, provenienti dal Regno<br />

di Napoli, proprio per risolvere quella situazione nel Gévaudan. Francamente, a me la cosa pare<br />

curiosa. Primo perché i buoni cani, anche simili a quelli italiani, in Francia non mancavano. E poi<br />

non credo che potessero essere così determinanti perché anche in Italia, nello stesso periodo, ci<br />

furono casi di lupi o Bestie antropofaghe, anche in Abruzzo che è la terra di origine di questi cani da<br />

pastore, e non mi risulta che tali vicende siano mai state risolte dai cani citati o da altri. Per altro, se<br />

per tale caccia avessi dovuto scegliere io, avrei senza dubbio preferito i cani corsi, ben più veloci e<br />

terribili nella presa e nella lotta. Un chiarimento, i cani corsi non c’entrano nulla con la Corsica.<br />

Sono in tutto e per tutto una razza italiana, simile al mastino napoletano ma più leggeri pesando una<br />

cinquantina di chili e sono originari dell’Italia meridionale. “Corso” infatti, in calabrese, significa<br />

“forte”.Fatto sta che Antoine, già ai primi di agosto aveva spedito una lettera alle autorità<br />

concernente l’invio anche di un ulteriore gruppo di cani.<br />

23


Nella richiesta inoltrata agli Amministratori di Auvergne e della Languedoc, Antoine specificò<br />

innanzi tutto che fino ad allora tutte le tracce individuate nei luoghi degli attacchi della Bestia non<br />

offrivano nessuna differenza col piede di un grande lupo. Considerando poi la natura della zona,<br />

estremamente accidentata, con profondi burroni e scarpate, forti dislivelli, paludi e boschi, Antoine<br />

chiese il rinforzo in cani, dettagliando che gli necessitavano un segugio, tre buoni cani per lupi ma<br />

in grado di correre bene, due cani abbaiatori e tre grandi, rustici e forti levrieri. Inoltre richiedeva<br />

che insieme ai cani venissero inviati tre guardiacaccia di sua fiducia, e cioè Maréchaux, Chabeau e<br />

Duvaux, e dodici soldati più un ufficiale di fanteria, necessari per dirigere e inquadrare i contadini<br />

durante le battute e per impedirgli, perché capitava anche quello, che scappassero o abbandonassero<br />

il posto loro assegnato. Lafont appoggiò naturalmente tutte le richieste di Antoine, che apprezzava<br />

riconoscendogli attivismo, zelo e devozione per l’incarico, tanto che diceva, “sarebbe molto<br />

spiacevole che accadesse qualche incidente a cotanto gentiluomo! ". La dettagliata richiesta di<br />

Antoine a proposito dei cani rispecchiava perfettamente quella che era la composizione di ogni<br />

muta di cani. Là dove ancora si usano le mute di cani per la caccia, queste sono formate da cani<br />

ognuno con diverse “specializzazioni”, anche se tutti sono resistenti e determinati.<br />

Per quanto riguarda le specializzazioni, di solito le buone mute sono formate da un cane esperto e di<br />

buon fiuto come un segugio per trovare e seguire la traccia, da altri più veloci per inseguire il<br />

selvatico, di altri che abbiano l’ardore di affrontare l’avversario costringendolo ad arrampicarsi o<br />

spingerlo e trattenerlo in un punto senza vie di fuga e magari ancora un altro che sia un grande<br />

abbaiatore in modo da richiamare in quel punto l’uomo frastornando intanto l’animale bloccato.<br />

Anche se in generale ognuno di questi cani sa fare un poco di quello che fanno gli altri, l’unione di<br />

queste diverse specializzazioni rende veramente efficace una muta. E quando uno di questi cani<br />

viene a mancare, tutto il gruppo ne risente ed è necessario sostituirlo con un altro esemplare con<br />

analoghe capacità.<br />

Mentre Antoine aspettava i rinforzi, un aiuto arrivò con un gentiluomo dell'Alto Vivarais, il conte<br />

Antoine Tournon, il quale venne a unirsi ad Antoine proprio nei primi giorni di agosto e con tutto il<br />

suo e<strong>qui</strong>paggio. Aveva portato con sè un bracchiere, tre addetti venatori e una muta di diciannove<br />

cani, condotta da due valletti. I due uomini fraternizzarono e da allora collaborarono sempre<br />

insieme nell’impresa. Certo, alla luce dell’efficacia dei cani in questa storia, sarebbe interessante<br />

capire i rapporti esistenti in quell’area fra cani e lupi, Bestia inclusa. A quanto si percepisce dalla<br />

documentazione pare che i cani da pastore fossero numerosi nel Gévaudan e liberi di circolare<br />

autonomamente anche lontano dai paesi.<br />

Ci fu il caso di un contadino, che stava coraggiosamente ma anche imprudentemente finendo di<br />

falciare il grano nonostante fosse ormai notte, confidando evidentemente sul chiaro di luna che<br />

rischiarava intorno a sé. Bene, l’uomo a un certo punto notò che qualcosa avanzava nel grano verso<br />

di lui e pensò che si trattasse del suo cane che lo raggiungeva. Si trattava invece della Bestia, che<br />

però fu tenuta a distanza dal contadino a colpi di falce, finiti invariabilmente a vuoto ma che fecero<br />

capire alla belva che era meglio lasciar perdere quella pericolosa preda. L’uomo infine scappò a<br />

casa e per riprendersi dal terrore ci mise ore. Tutto questo comunque fa capire che era normale che i<br />

cani, lupi o Bestia circolanti, andassero tran<strong>qui</strong>llamente a zonzo senza temere alcunché. Eppure<br />

questo comportamento avrebbe dovuto portarli più o meno frequentemente allo scontro con i lupi,<br />

che se ne hanno la possibilità predano i cani. Ma a quanto pare questo accadeva con cani da caccia o<br />

di piccole dimensioni, tanto che il cacciatore Mercier di Mende utilizzò parecchie carcasse<br />

avvelenate di cani contro la Bestia.<br />

Del resto è altrettanto strano che la Bestia entrasse impunemente e si aggirasse tran<strong>qui</strong>llamente nei<br />

villaggi senza allarmare i cani e senza esserne attaccata, cosa che in tali casi avviene sempre. E,<br />

ribadisco, questo avviene sempre, sia che in prossimità delle case o di un gregge si aggiri un lupo o<br />

un cane o un ibrido di lupo e cane. Gli scontri fra cani e la Bestia ci furono, ma pare senza troppa<br />

convinzione da ambo le parti. Il mastino della famiglia Jouve in ultima analisi attaccò la Bestia che<br />

aveva aggredito Jeanne Jouve e suo figlio, nonostante il rumore di una lotta durata oltre mezz’ora,<br />

solo quando fu aizzato da uno dei figli e a quel punto la belva fuggì. Durante la battuta dell’11<br />

agosto, trattata di seguito, alcuni cani da pastore avevano attaccato la Bestia ma solo perché questa<br />

fuggendo dai cacciatori era quasi finita involontariamente fra gli armenti al pascolo. Un’altra volta<br />

24


la Bestia era apparsa addirittura alla gente che stava partecipando al funerale di una sua vittima e<br />

alcuni cani, non si sa se aizzati o di propria iniziativa, la inseguirono fin nel bosco, riuscendo<br />

evidentemente a raggiungerla. Si disse che i cani una volta tornati mostravano i segni dei denti della<br />

belva sui loro collari antilupo, ma questa è senza dubbio una sciocchezza che solo chi non ha mai<br />

visto tali collari potrebbe affermare.<br />

Infatti erano totalmente in metallo e solo a volte di duro cuoio, anche se questo tipo non veniva<br />

solitamente usato perché era più largo e sfregando e comprimendo il pelo e la pelle del cane gli<br />

causava irritanti infiammazioni. E certo i denti non incidono il metallo. E anche se fosse stato di<br />

cuoio, mai i denti della Bestia o di un lupo avrebbero potuto arrivare fino al collare, essendo questo<br />

sempre totalmente ricoperto di molte e acuminate punte, lunghe anche più di 6-7 centimetri e <strong>qui</strong>ndi<br />

più dei denti di un lupo. Visto che questi cani arrivarono, secondo ciò che disse la gente, ad avere<br />

uno scontro fisico con la Bestia, ci sono solo due possibilità: o in realtà abbandonarono<br />

l’inseguimento dopo poco oppure, ancora una volta, non furono abbastanza determinati per portare<br />

a fondo l’attacco. In altri scontri avvenuti in Italia e documentati, i cani maremmani-abruzzesi o i<br />

cani corsi, in gruppo o anche da soli, avevano spesso ucciso il lupo. La mia sensazione, priva di<br />

qualsiasi fondamento etologico, è che fra cani e lupi, Bestia inclusa, si fosse ormai instaurata una<br />

sorta di “pace armata”. (continua)<br />

L’oltraggiosa accusa<br />

L’accusa, molto grave, si basava sul semplice fatto che Antoine aveva comunicato la notizia<br />

dell’abbattimento della Bestia con un rapporto inviato a Ballain Villiers, Amministratore<br />

dell'Auvergne e dunque Governatore Generale di tutta la Provincia. E allora, direte voi? Il fatto è<br />

che la data era quella del 20 settembre 1765. E dunque, visto che la Bestia era stata abbattuta solo il<br />

giorno dopo, il 21, come faceva Antoine a sapere il giorno prima che l’avrebbe fatto? Inoltre, come<br />

mai il grande lupo proveniente dai Carpazi ed esposto ai Jardin des Plantes de Paris, insomma lo<br />

zoo della città, che i cittadini ben conoscevano anche per i suoi ululati udibili tutt’intorno, era<br />

misteriosamente scomparso dalla sua gabbia proprio nel mese di settembre? E come mai il famoso<br />

soccorso, quello chiesto pressantemente da Antoine e giunto il 18 settembre, comprendeva dei carri<br />

con gabbie accuratamente coperte? Tutto molto strano.<br />

L’accusa <strong>qui</strong>ndi ipotizzava che Antoine fosse stato inviato nel Gévaudan, con la connivenza di<br />

amicizie molto potenti, oggi diremmo “molto in alto”, con lo scopo di uccidere un qualsiasi animale<br />

chiudendo il caso e facendo cessare così le critiche nazionali e internazionali sulla vicenda. Che<br />

avesse fatto prendere, sempre grazie a potenti appoggi, il povero lupo dello zoo di Parigi e averlo<br />

fatto trasportare in una gabbia, insieme con il trasporto dei cani da caccia richiesti, fino al luogo in<br />

cui fu liberato alla chetichella dai suoi guardiacaccia e poi ammazzato a fucilate da lui stesso e dai<br />

suoi in una battuta accuratamente orchestrata. Ergo, Antoine era un truffatore.<br />

L’accusatore, Bès de Bessière, naturalmente non osò dire che Antoine era d’accordo con il re,<br />

perché se l’avesse fatto come minimo sarebbe finito seduta stante e permanentemente nelle galere<br />

francesi.<br />

Questa tesi fanta-politica è sposata da diversi studiosi della Bestia del Gévaudan, che la ritengono<br />

molto probabile. Ebbene, io non sono fra questi anche se voglio sottolineare che, benché io sia<br />

ormai in là con gli anni, certo non vissi all’epoca e <strong>qui</strong>ndi non ho certezze di alcun tipo da offrire.<br />

Come del resto gli altri. Cercherò di spiegare perché non ci credo, anche se non voglio con ciò<br />

asserire che re e governanti vari, di ieri e di oggi, non sarebbero disposti a far cose del genere per<br />

rimanere al posto di comando.<br />

Anzi, farebbero molto peggio e molti l’hanno fatto concretamente. Ecco il mio parere, ammesso che<br />

vi interessi:<br />

25


a) Luigi XV avrebbe potuto disinteressarsi della vicenda, visto che di simili casi, più o meno<br />

gravi, se ne verificarono in tutta Europa. A livello nazionale c’erano problemi ben peggiori<br />

e che causavano vittime continuamente e in numero incomparabilmente più alto, basti solo<br />

pensare alle carestie, e che pure venivano accettate con fatalismo dalla popolazione. Magari<br />

Luigi XV avrebbe potuto far perlustrare la zona dai gendarmi locali giusto per far vedere<br />

che qualcuno c’era, e fermarsi lì. Qualcuno gli avrebbe fatto, chessò, causa per questo?<br />

b) Le critiche che giungevano dall’estero, e soprattutto dall’Inghilterra, avrebbero potuto<br />

mettere in difficoltà Luigi XV? No, e del resto anche l’Inghilterra avrebbe potuto essere<br />

accusata o presa in giro dai francesi per una miriade di altri problemi, come tutti i regni<br />

dell’epoca. Francesi e inglesi si sono fatti la guerra per secoli, ammazzandosi a vicenda con<br />

reciproca soddisfazione, figuriamoci se qualche presa in giro propagandistica sarebbe stata<br />

presa sul serio da qualcuno.<br />

c) Antoine mi pare una persona seria, almeno da quel che se ne ricava dai documenti<br />

disponibili. Certo, con la censura che c’era, è ovvio che sia rimasta agli atti solo una<br />

versione “buonista”. Eppure, a istinto, lo ritengo persona scrupolosa e dignitosa, che mai si<br />

sarebbe prestato a una simile montatura, anche perché avrebbe ben saputo che non<br />

uccidendo la vera Bestia avrebbe comunque fatto prima o poi la figura del fallito.<br />

d) Con tutti i cani strani disponibili e magari di razze sconosciute o dai colori e pelo strani<br />

oppure tutti i lupi catturabili ovunque, voi avreste prelevato proprio quello dello zoo di<br />

Parigi, che tutti erano abituati a vedere e che conoscevano? E allora, perché non prelevare, o<br />

procurarsi, un esemplare di specie esotica dallo zoo o da altrove e magari proprio una iena,<br />

visto che tutti dicevano che la Bestia pareva proprio un siffatto animale? E poi chi dice che<br />

il lupo dei Carpazi dello zoo fosse veramente gigantesco come quello ucciso da Antoine? I<br />

lupi dei Carpazi hanno più o meno le dimensioni di quelli allora viventi in Francia o Italia.<br />

e) E il grande lupo nero ucciso da Rinchard, da dove veniva allora? Anche lui da un altro zoo?<br />

Mi sembra più probabile che nel Gévaudan si aggirassero alcuni esemplari anomali di lupo,<br />

probabilmente dello stesso piccolo branco, magari discendenti da accoppiamenti con lupi<br />

siberiani provenienti dall’Est, e questo avrebbe potuto accadere, o alla lontana anche con<br />

grandi cani inselvatichiti. Inoltre, se fosse stata una truffa, perché non dichiarare con forza<br />

che proprio quel grande lupo nero era la Bestia? Per il suo colore? Ma le descrizioni della<br />

Bestia includevano praticamente tutto e <strong>qui</strong>ndi lo si sarebbe accettato come la Bestia. Perché<br />

aspettarne un’altra? A quel punto bastava mandare un corriere e fare tornare indietro il<br />

trasporto con i nuovi cani (e l’ipotetico lupo da abbattere).<br />

f) Se quello ucciso fosse stato il lupo dello zoo, da dove venivano la femmina e i cuccioli poi<br />

abbattuti, anche loro dallo zoo? Ma nello zoo non risulta ci fossero anche femmina e<br />

cuccioli insieme. Forse che questo lupo avrebbe messo su famiglia nell’arco di solo qualche<br />

giorno? O si pensa che il lupo liberato abbia bellamente e con molta fortuna incontrato<br />

subito una disponibile lupa con già tanto di prole?<br />

g) Avete mai provato a mettere insieme, anche se naturalmente non nella stessa gabbia o non<br />

sullo stesso carro ma comunque nello stesso convoglio, un lupo e una muta di cani<br />

addestrati proprio a cacciare i lupi? Credete che i cani non l’avrebbero fiutato e che non<br />

sarebbero andati in escandescenze per tutto il viaggio, rischiando così di morire per<br />

l’eccitazione e in particolare di torsione intestinale, come tante volte capita? I carri e le<br />

gabbie potevano essere coperti per una quantità di motivi, per esempio per ripararli dai raggi<br />

del sole che a settembre possono essere ancora ben cocenti, anche nel Gévaudan.<br />

26


h) Nel caso fosse stata effettivamente una truffa, che motivo ci sarebbe stato per Antoine di<br />

inviare il giorno prima la lettera con la notizia della sua uccisione? C’era qualche scadenza<br />

inprorogabile? Non mi risulta. E Antoine sarebbe stato così sprovveduto da non sapere che<br />

nella vita, e in special modo quando si ha a che fare con i lupi, nulla è detto che vada<br />

esattamente come si spera? Che ci possono essere degli inconvenienti improvvisi? Gli<br />

sarebbe stato sufficiente uccidere il lupo e poi spedire la lettera con tutta calma e sicurezza.<br />

Con ogni probabilità la spiegazione è da ricercarsi fra le più semplici. Forse, ammesso che la<br />

storia sia vera, aveva sbagliato semplicemente la data sulla lettera. A me è capitato.<br />

i) Se fosse stata una truffa ben orchestrata, perché rimanere in zona e continuare le battute<br />

ancora per 41 giorni?<br />

j) Se fosse stata una truffa, voi avreste fatto sparire il lupo imbalsamato o l’avreste fatto girare<br />

per dieci anni in tutta la Francia, Parigi inclusa, con il rischio che qualcuno notasse che<br />

sembrava proprio quello dello zoo?<br />

Come avrete capito, per me non ci fu nessuna truffa. Con ogni probabilità Antoine, a sentire<br />

quell’accusa, si sentì oltraggiato, ma alla fine la cosa scemò e non ebbe seguito. E il re<br />

semplicemente non ne tenne conto. Tutto il Gévaudan lentamente riprese la vita di un tempo,<br />

ragazze e ragazzi ripresero a portare le bestie sui pascoli, i bambini a giocare davanti a casa e i<br />

mercati e le fiere ad essere nuovamente frequentati da commercianti, contadini, ragazze in cerca di<br />

marito e ragazzi ispirati dallo stesso desiderio nonché da quello di bere un po’ di vinello scadente<br />

nelle taverne finalmente e nuovamente gremite. I gendarmi ripresero le consuete attività, i cacciatori<br />

riconsegnarono le armi ricevute in prestito per eliminare la Bestia e i lupi rimasti… furono al centro<br />

di una notevole campagna di avvelenamenti raccomandata dal Controllore Generale delle Finanze,<br />

Laverdy, e organizzata anche nel Gévaudan per eliminare quelli sopravvissuti, campagna che però<br />

ebbe esito deludente.<br />

Insomma, era tutto tran<strong>qui</strong>llo, tanto che Etienne Lafont in una lettera scritta il 26 novembre<br />

all'Amministratore della Languedoc assicurò che, “Non si sente parlare più di nulla che abbia a che<br />

fare con la Bestia ". Altrove, sempre in Francia ed esattamente nel Soissonnais, nel Verdunois e nel<br />

Forez, ci furono altri attacchi di lupi con persone divorate, ma si trattava di zone del nord, a<br />

centinaia e centinaia di chilometri dal Gévaudan. Non c’entravano <strong>qui</strong>ndi nulla con la nostra<br />

vicenda.<br />

L’autunno aveva portato le solite piogge, nebbie e infine nevicate e a dicembre la zona era nella<br />

morsa del gelo, con una coltre bianca che copriva ogni dove e che piegava molti rami degli alberi<br />

fino a spezzarli. Nonostante le tante uccisioni perpetrate dall’uomo, i lupi non erano scomparsi dal<br />

Gévaudan e ogni tanto se ne udiva l’ululato lamentoso e se ne scoprivano le piste nella neve alta,<br />

un’unica striscia confusa che non permetteva di capire quanti ne fossero passati.<br />

I lupi infatti avanzano nella neve alta uno dietro l’altro, seguendo la scia e <strong>qui</strong>ndi sfruttando gli<br />

sforzi del primo esemplare, che diventa una sorta di apripista. Ma i cacciatori esperti sapevano che<br />

per capire di quanti lupi fosse formato un branco bastava seguire la pista fin dove i lupi avevano<br />

curvato e allora, proprio lì, il branco si era aperto con una serie di singole piste che si<br />

ricongiungevano subito dopo nella solita e unica pista.<br />

Quando il lupo era isolato e se la neve si era ghiacciata dopo il suo passaggio le impronte<br />

risultavano nette, con il grosso cuscinetto plantare centrale ben nitido, due tozzi polpastrelli laterali<br />

e due leggermente più avanzati al centro. Davanti a ogni polpastrello o dito, a circa un centimetro di<br />

distanza, si vedeva netto il segno dell’unghia, nella neve una sorta di foro di forma triangolare.<br />

Distinguere una singola impronta o anche una pista di un lupo da quella di un grosso cane, come<br />

sapevano gli esperti, era praticamente impossibile, visto che non era affatto vero che solo i lupi<br />

camminassero in modo da lasciare una scia di impronte perfettamente in linea. Alcuni pensavano<br />

infatti che i cani invece lasciassero una scia di impronte più laterali e distanziate fra le zampe<br />

sinistre e destre. Non era vero. Dipendeva solo da esemplare ad esemplare.<br />

27


Qualcuno però dovette notare le impronte di un particolare esemplare, a volte isolato e altre in<br />

coppia, che si aggirava fra quei boschi e pianure d’alta quota completamente innevate. Che fosse un<br />

cane o un lupo, doveva certamente essere grosso, molto grosso. Anzi, gigantesco.<br />

All’inizio di dicembre corse voce che un animale aveva attaccato, esattamente il 2 di quel mese, due<br />

bambini sul versante meridionale del Monte Mouchet, ma la notizia fu ridimensionata dalle autorità<br />

perché da sempre si sapeva che i lupi in quel periodo erano molto affamati e che all’occasione<br />

potevano cercare di fare vittime inconsuete come i bambini. Questo era sempre accaduto e lo si<br />

sapeva, ma non era certo da paragonare con la sistematica strage che aveva fatto l’ormai defunta e<br />

terribile Bestia. Eppure la gente non era convinta della spiegazione. I due ragazzi, Jean Couret, di<br />

14 anni, e Vidal Tournaix, di 7, si trovavano nei pascoli di La Besseyre-St-Mary, quando una belva<br />

aveva attaccato improvvisamente, afferrando con le fauci il più piccolo all’altezza dei reni e<br />

fuggendo con la sua preda. Jean allora la rincorse e infine la raggiunse cercando di strapparle<br />

l’amico a colpi di baionetta, ma la belva contrattaccò ferocemente. Fortunatamente nei pressi<br />

c’erano alcuni uomini che accorsero urlando e l'animale fuggì senza potere fare vittime. Vidal, pur<br />

gravemente ferito, sopravvisse, ma a Jean le autorità, visto che la Bestia era ufficialmente morta,<br />

non riconobbero alcun premio per il suo coraggioso intervento. Quelle persone comunque si<br />

convinsero che si trattava proprio della Bestia.<br />

Il 10 dicembre la Bestia attaccò due donne vicino Lachamp, ma un taglialegna provvidenzialmente<br />

vicino arrivò subito. La belva non fuggì e allora l’uomo le vibrò un terribile colpo d’ascia alla testa<br />

che senza dubbio l’avrebbe uccisa se l’animale non avesse evitato di misura il fendente. L’uomo<br />

continuò l’assalto con tale furia che la belva abbandonò subito lo scontro. Ma quattro giorni dopo<br />

un uomo adulto fu assalito e ferito gravemente malgrado l’immediato intervento dei soccorritori.<br />

Il 21 dicembre negli ampi pascoli sopra il villaggio di Marcillac, parrocchia di Lorcières, si<br />

trovavano sparsi ragazzi e ragazze, ognuno in custodia dei propri animali che in quel punto, nelle<br />

zone libere da un velo di neve, riuscivano a trovare stentatamente ancora di che alimentarsi. Benché<br />

più o meno sparsi, i pastorelli erano tutti in vista e così all’improvviso qualcuno notò che le pecore<br />

di un piccolo gregge stavano scappando, disperdendosi. Era la zona in cui avevano visto Agnes<br />

Mourgues, di 9 anni. Aveva parlato brevemente anche con qualcuno di loro prima di avviarsi in<br />

quel punto, non troppo distante ma neppure troppo vicino perché altrimenti le bestie tutte<br />

raggruppate non avrebbero trovato cibo a sufficienza.<br />

Corsero tutti lì e trovarono la bambina, o almeno quel che ne restava. Era quasi completamente<br />

nuda, come quand’era nata, con addosso pochi resti stracciati dei suoi abiti. Tutt’intorno grandi<br />

impronte, brani di vestiti stracciati e un'enorme chiazza di sangue che risaltava orrendamente sulla<br />

neve. La belva aveva completamente ignorato le pecore e si era gettata solo su di lei e dopo averla<br />

uccisa, nonostante la bambina avesse tentato di difendersi con alcune pietre che si trovavano ancora<br />

lì intorno, aveva prima tentato di trascinarla al riparo ma poi aveva ingollato a brani e velocemente<br />

ampi pezzi del suo corpo, in buona parte divorato. Del resto, da quando le pecore erano scappate a<br />

quando gli altri ragazzi, baionette alla mano, erano arrivati sul posto, erano passati solo pochi<br />

minuti. La testa era stata staccata e ora si trovava a sei metri di distanza dal cadavere. Se non fosse<br />

stata uccisa, pensò qualcuno, pareva proprio essere un altro assassinio della Bestia.<br />

Arrivarono i genitori, disperati. Arrivarono parenti, amici e vicini. Arrivarono i gendarmi, e i loro<br />

rapporti furono scritti lo stesso giorno, e lo stesso fece il curato di Lorcières, che preparò il triste<br />

ufficio della sepoltura per il giorno successivo. E proprio il giorno del funerale, alcuni pastori<br />

videro la Bestia, ritornata sul luogo dell'attacco. La inseguirono, e ovunque si sentissero le loro urla<br />

di avvertimento, “la Béte, la Béte!”, gli uomini abbandonavano le loro incombenze e si lanciavano<br />

in caccia. L’inseguirono fino a Clavières. La Bestia fuggendo si diresse fin dentro il villaggio,<br />

sfrecciando fra le case, balzando nelle strette strade fra il latrato dei cani e infine spuntò nella piazza<br />

della chiesetta locale. I paesani, che stavo uscendo proprio in quel momento dopo aver assistito alla<br />

messa domenicale, tornarono dentro e si barricarono, mentre le campane prendevano a suonare per<br />

dare l’allarme. Altri si rifugiarono ovunque potessero, nella taverna, nelle case. La belva li ignorò e<br />

fuggì.<br />

28


Ancora una volta i rapporti finirono alle autorità, che rimasero sbigottite davanti alla notizia. Ma la<br />

Bestia non era stata uccisa? Com’era possibile? E chi avrebbe avuto il coraggio di dare la notizia al<br />

re? C’era un’altra Bestia o si trattava di un semplice attacco da parte di un lupo? Le autorità<br />

pertanto decisero di soprassedere in attesa di nuovi elementi. Intanto i gendarmi e i guardiacaccia<br />

locali avrebbero perlustrato il territorio, ma con discrezione, senza far atti che potessero far pensare<br />

che ci si trovava nuovamente in uno stato di piena emergenza. Il 23 furono attaccate due ragazze di<br />

Julianges, e una di queste fu atterrata davanti agli occhi dell’amica terrorizzata. Cercava di<br />

difendersi e urlava, mentre alcuni uomini correvano in suo aiuto. La Bestia li vide e, afferrata la<br />

vittima, fuggì trascinandosela dietro fin nel bosco. La notte stava ormai calando e le ricerche non<br />

poterono essere fatte. Il giorno dopo furono ritrovate solo le braccia e le gambe, talmente spolpate<br />

che il curato di Julanges non ritenne quei poveri resti sufficienti per poter procedere a un regolare<br />

atto di sepoltura.<br />

La paura era tornata nel Gévaudan perché, se non si trattava della Bestia incontestabilmente morta<br />

come asserivano le autorità, certo c’era un’altra belva che uccideva in modo simile i paesani. Ogni<br />

tanto nei boschi si trovavano resti umani, ma non si capiva a chi fossero appartenuti perché non<br />

tutte le sparizioni, magari avvenute molti mesi prima, venivano attribuite ufficialmente alla Bestia.<br />

E a volte i resti erano talmente scarsi che li si raccoglieva e per trasportarli li si metteva in una sola<br />

calza. Ma in tal caso alcuni preti, come nel caso citato prima di Julianges, si rifiutarono di<br />

autorizzare i riti di sepoltura adducendo il fatto che quei poveri resti erano troppo scarsi. E’<br />

probabile che le vittime della Bestia siano state sensibilmente di più di quanto risulti dagli atti<br />

ufficiali. E allora si tornò a guardarsi intorno preoccupati, che si fosse nei villaggi o fuori, e si<br />

limitarono al massimo le attività esterne.<br />

Tutto era divenuto silenzioso e immoto. Solo una figura aveva ripreso ad aggirarsi, sola, avvolta in<br />

un pesante mantello per proteggersi dal gelo e incurante delle tenebre e delle bufere di neve, e con<br />

una baionetta in mano. La gente la guardava da lontano, bisbigliando fra loro, chiedendosi se fosse<br />

pazza o estremamente coraggiosa. Ricordate? Si trattava di Julienne Denis. L’anno prima la Bestia<br />

aveva attaccato sua sorella Jeanne vicino a Malzieu, ma era stata salvata dal fratello Jacques. Era<br />

diventata però pazza la povera Jeanne e allora lei, Julienne, aveva deciso di dare la caccia per<br />

sempre alla belva e di ucciderla per il male che aveva fatto. Dopo che Antoine aveva ucciso il<br />

gigantesco lupo la sua anima in<strong>qui</strong>eta si era placata perché vendetta era stata fatta, ma ora la ragazza<br />

29


aveva capito che la Bestia era ancora là e che il suo giuramento non era stato assolto. La videro<br />

anche il 24 dicembre aggirarsi lontana dalle case, nonostante fosse la vigilia di Natale. Poi<br />

scomparve e vane furono le ricerche del fratello Jacques e degli altri. Una settimana dopo furono<br />

trovati alcuni resti irriconoscibili di quella che era stata, probabilmente, Julienne.<br />

Poi più nulla, solo agli inizi del gennaio 1766 un bambino di 8 anni di La Vesseyre, ferito ma<br />

soccorso in tempo dal padre e da un giovane uomo, Pierre Cérubeuil. Per il resto tutto quel mese<br />

passò senza uccisioni e neppure avvistamenti. Che fine aveva fatto la Bestia? Forse, pensarono i<br />

paesani, avevano ragione le autorità quando ribadivano che la Bestia era stata uccisa l’anno prima.<br />

E le ultime vittime erano state causate dai lupi, come purtroppo ogni tanto avveniva. Noi però<br />

sappiamo che si trattava invece della Bestia, o meglio di una delle Bestie rimaste e che forse era<br />

l’ultima.<br />

Poiché gli attacchi letali in questo periodo furono pochi, appare chiaro che la Bestia si alimentasse<br />

anche d’altro, altrimenti sarebbe morta di fame. Probabilmente, a quanto pare, prediligeva la carne<br />

umana fra tutte, visto che spesso ignorò le pecore per uccidere dei bambini, ma alla bisogna si<br />

nutriva di tutto ciò che trovasse e che potesse sopraffare. Questa Bestia, ma forse anche tutte le altre<br />

che prima facevano parte del suo piccolo branco, o meglio nucleo familiare, erano con certezza<br />

estremamente astute, prudenti e anche intelligenti.<br />

Pertanto ritengo che dopo le massicce battute e gli abbattimenti attuati da Antoine, la Bestia<br />

superstite o le Bestie superstiti si siano istintivamente ritirate nei luoghi più lontani e meno<br />

frequentati vivendo di ciò che trovavano in natura ed evitando accuratamente l’uomo, tranne nei<br />

pochi casi prima descritti. Prevalse pertanto l’istintiva prudenza finché non apparve chiaro che si<br />

era ristabilita una situazione di tran<strong>qui</strong>llità e <strong>qui</strong>ndi ricca di proficue e facili predazioni umane.<br />

Agli inizi di febbraio fu uccisa una ragazza presso Julianges, mentre il 12 fu attaccato un bambino<br />

sempre di Julianges, che ebbe la presenza di spirito di buttarsi sotto il ventre della sua vacca.<br />

Mentre il bovino teneva a distanza la belva con le corna, sopraggiunsero i soccorritori. Il 14 a<br />

Lorcières, la mugnaia Jeanne Delmas stava rompendo il ghiaccio sulla riva del fiume Ribeyre<br />

quando la Bestia si fece sotto. La robusta e coraggiosa donna tentò di colpire l’animale con la<br />

zappa, ma questo evitò il colpo e l’azzannò al collo e a una guancia. Tuttavia la vittima, seppur<br />

ferita, riuscì a calci e pugni a tenerla lontana, finché riuscì a sollevarsi e a correre fino a casa.<br />

Sopravvisse. E a fine febbraio, sempre a Lorcières, ci fu un’altra vittima, una bambina.<br />

Il 4 marzo fu ucciso Jean Bergougnoux, 9 anni, del villaggio di Montchauvet, parrocchia di<br />

Servières. Afferrato dalla belva verso le 8 del mattino, fu trascinato nel bosco ancora vivo, ma i<br />

soccorritori erano dietro all’animale e lo costrinsero ad abbandonare la preda ancora viva che<br />

tuttavia, ferita alla gola, morì mezz’ora dopo. Il 14 marzo fu la volta di Marie Bompart, 8 anni,<br />

villaggio di Ligonès, parrocchia di St Privat du Fau. La bambina fu afferrata mentre era davanti a<br />

casa e soprattutto sotto gli occhi del padre, che subito, aiutato da un mandriano, si mise a<br />

rincorrerla. I due uomini dopo due chilometri raggiunsero la Bestia, che era in difficoltà a causa del<br />

peso della bambina. La Bestia allora, frustrata e inferocita vedendo gli uomini approssimarsi, si<br />

sfogò rabbiosamente contro la bambina azzannandola al ventre e scuotendola come uno straccio.<br />

Poi fuggì in una gola impenetrabile. La povera vittima, sventrata, morì fra le braccia del padre.<br />

Il 20 dello stesso mese Antoine Salsettes fu attaccato vicino a Julianges, mentre si trovava in groppa<br />

al suo cavallo. L’uomo ebbe il suo daffare a mantenersi in sella, mentre la belva tentava veloci<br />

attacchi contro di lui e il cavallo spaventato, ma fu infine soccorso da un uomo, Jean-Pierre<br />

Pourcher, fra l’altro avo dell'abate Pourcher che molto tempo dopo scrisse un dettagliato libro sulla<br />

Bestia del Gévaudan. A fine marzo la Bestia uccise un bambino nella zona di Montgrand.<br />

Poi di nuovo sembrò sparire e per una ventina di giorni non ci furono né attacchi né avvistamenti.<br />

Almeno, fino al 17 aprile, quando Marguerite Lèbre, di 7 anni, e sua sorella Isabeau, di 10, furono<br />

attaccate dalla Bestia. Come avrete notato, nonostante l’effettivo pericolo e le esortazioni e gli<br />

ordini delle autorità i bambini venivano comunque mandati in giro da soli. La belva trasportò<br />

Margherite verso i boschi di Montoussier, ma fu raggiunta dallo zio delle bambine e da quattro<br />

uomini. La vittima fu allora abbandonata, ma i morsi dell’animale alla testa, che fra l’altro lì l’aveva<br />

afferrata per trascinarla, le avevano strappato metà del volto e fratturato il cranio. La sorte della<br />

povera bambina, nonostante le disperate cure, era segnata e morì alcuni giorni dopo.<br />

30


Il 21 aprile un gruppo di cacciatori trovò le impronte fresche della belva nella zona di Clavières e le<br />

seguì grazie anche ai due cani che avevano con loro. Una volta sguinzagliati, i due segugi si<br />

inoltrarono nel bosco e riuscirono a prendere contatto con la Bestia, ma questa li attaccò con tale<br />

ferocia che non solo i cani fuggirono, salvandosi così probabilmente la vita, ma ne furono talmente<br />

terrorizzati che, una volta tornati dai padroni, si rifiutarono semplicemente di continuare la caccia. Il<br />

24 la belva, sempre nella zona di Clavières, aggredì un pastore, fortunatamente soccorso in tempo.<br />

Insomma, da quando Antoine era partito, all’inizio di novembre, i morti erano già otto e le autorità<br />

dovevano reagire e così in una riunione che si tenne il 24 marzo a Marvejols, il Sottointendente<br />

della Languedoc Etienne Lafont riassunse ed espose gli ultimi drammi e comunicò che la campagna<br />

di avvelenamento dei lupi, ritenuti i responsabili delle nuove stragi, sarebbe stata potenziata usando<br />

vari tipi di esche e soprattutto carcasse di cani avvelenati con la noce vomica, e cioè la stricnina,<br />

nonché con altri stratagemmi allora in uso come i bocconi di carne imbottiti di taglienti frammenti<br />

di vetro e con spugne fritte nell’olio, quest’ultimo un sistema famoso ma la cui efficacia è molto<br />

dubbia. Gli avvelenamenti però non ottennero i risultati sperati, poiché fu ritrovato un solo giovane<br />

lupo, morto nei pressi di Montchauvet. (continua)<br />

La Bestia di Chastel<br />

L’animale ucciso da Chastel senza alcun dubbio era una delle Bestie dello Gévaudan e anzi<br />

certamente fu l’ultima delle Bestie, poiché dopo il suo abbattimento non ci furono più né attacchi né<br />

vittime. Analizziamo ora le sue caratteristiche fisiche.<br />

La grandezza, pari a quella di un vitello di un anno.<br />

Le misure della Bestia di Chastel:<br />

- Lunghezza dalla radice della coda fino all’inizio della testa: tre piedi, (97,2 cm).<br />

- Dall’inizio della testa fino tra i due grandi angoli degli occhi, sei pollici (16,2 cm).<br />

- Dai grandi angoli degli occhi fino alla fine del naso, cinque pollici (13,5 cm).<br />

- Larghezza orizzontale del collo, otto pollici sei linee (22,9 cm).<br />

- Larghezza delle spalle, undici pollici (29,7 cm).<br />

- Larghezza della schiena alla radice della coda, otto pollici e sei linee (23 cm)<br />

- Lunghezza dell'omero, otto pollici quattro linee (22,5 cm).<br />

- Lunghezza del braccio anteriore, otto pollici (21,6 cm).<br />

- Lunghezza dell'ultima articolazione fino alle unghie, sette pollici sei linee (20,3 cm).<br />

- Lunghezza gambe posteriori dalla prima alla seconda articolazione, sette pollici e due linee<br />

(19,4 cm).<br />

- Lunghezza dalla seconda alla terza articolazione fino alle unghie, dieci pollici (27 cm).<br />

- Lunghezza del pene, sette pollici (18,9 cm).<br />

La Bestia uccisa da Chastel era <strong>qui</strong>ndi lunga 128,7 centimetri, più 54 centimetri di coda. Quindi in<br />

totale 182,7 centimetri. Era alta al garrese 76,8 centimetri. Pesava 109 libbre, che non sappiamo<br />

bene quanti chilogrammi fossero perché allora, come in altri Paesi, non c’era stata ancora una<br />

unificazione internazionale delle unità di misura. Pertanto in Francia, a seconda della località, la<br />

libbra poteva variare da 453 a 489 grammi. Ecco allora che, basandoci sui 453 grammi a libbra,<br />

questo lupo pesava 49,3 chili. Se si considera invece la libbra da 489 grammi, il peso era di 53,3<br />

chili. Attenzione, da morto. Non bisogna infatti dimenticare che la Bestia una volta uccisa rimase a<br />

terra per un certo tempo e che poi fu trasportata fino al luogo in cui fu esaminata.<br />

31


Dobbiamo ritenere che in tutto questo tempo il sangue, almeno quattro litri, defluì in buona parte<br />

dalla ferita. Pertanto l’animale da vivo doveva pesare non meno di 53,3 chili o persino 57,3 chili,<br />

secondo i conteggi di cui sopra. Si trattava <strong>qui</strong>ndi di un lupo fuori taglia, ma ancora ben inferiore al<br />

gigantesco lupo ucciso da Antoine, che era poco più lungo, raggiungendo una lunghezza totale di<br />

185 centimetri, coda inclusa. Probabilmente il corpo era lungo intorno ai 135-140 centimetri. Ma<br />

aveva un’altezza al garrese parecchio superiore, ben 86,5 centimetri, e <strong>qui</strong>ndi lo sovrastava al<br />

garrese di ben 8 centimetri, che non è poco. E pesava 143 libbre, ossia almeno 65 chilogrammi, ma<br />

da morto e <strong>qui</strong>ndi aggiungendo i circa 5 litri di sangue che aveva perso dopo l’abbattimento,<br />

raggiungeva almeno i 70 chili o, sempre con il diverso calcolo sulle libbre, anche 75. Pertanto la<br />

Bestia pesava quasi venti chili meno del colossale lupo di Antoine. Per intenderci, la differenza che<br />

c’è fra un cane di razza alano e un rottweiler o, per fare un altro esempio, fra un pastore tedesco e<br />

un cocker.<br />

Anche il lupo dal manto nero ucciso dal guardiacaccia Rinchard (continua)<br />

Le impronte gigantesche.<br />

Le misure della Bestia di Chastel:<br />

- Larghezza dei piedi anteriori, quattro pollici e sei linee (12,2 cm).<br />

- Lunghezza dei piedi anteriori dall’inizio del cuscinetto plantare alla fine delle dita, unghie<br />

incluse, sei pollici (16,2 cm).<br />

Il lupo ha grossi piedi, notevolmente più grandi di quelle di un cane di pari dimensioni. Ricordo che<br />

il termine esatto infatti è piede, in quanto la zampa è tutto l’arto, anche se usualmente i non addetti<br />

ai lavori chiamano zampa il piede. Anzi, spesso lo faccio anch’io, evidentemente perché non sono<br />

un tecnico. Come capita anche fra gli uomini, con la testa, le mani o i piedi, o in altre specie, anche<br />

nei lupi alcuni esemplari possono avere piedi più o meno grandi di altri. Perfino di dimensioni<br />

abnormi, pur rientrando ovviamente in certi limiti. Fra questi senza dubbio rientra la Bestia uccisa<br />

da Chastel, i cui piedi anteriori erano lunghi 16,2 e larghi 12,2 centimetri e dunque di dimensioni<br />

spropositate. Per farvi capire quanto fossero grandi farò una serie di esempi con le relative misure,<br />

sempre dei piedi anteriori, mettendo fra parentesi il peso dell’esemplare misurato:<br />

cane di razza lupo italiano, 7,5 cm x 6,2 (34 kg.)<br />

cane di razza pastore del Caucaso, 8x 7,2 (50<br />

kg.)<br />

lupo appenninico, 9 x 7,5 (40 kg.)<br />

lupo siberiano e artico, 13 x 11 (65 kg.)<br />

sciacallo dorato, 6 x 4,8 (15 kg.)<br />

iena bruna, 10 x 8,5 (45 kg.)<br />

iena maculata, 11,5 x 9,5 (65 kg.)<br />

lince europea, lunghezza 5,7 x 7 (22 kg.)<br />

leopardo, 9 x 8,5 (60 kg.)<br />

puma, 9 x 8,8 (60 kg.)<br />

giaguaro, lunghezza 7,5 x 9 (59 kg.)<br />

ghepardo, 11,5 x 10 (55 kg.)<br />

orso bruno, artigli esclusi, 12,5 x 12,5 ( 150 kg.)<br />

tigre reale, leone 17 x 15 (250 kg.)<br />

Queste misure si riferiscono alle impronte e <strong>qui</strong>ndi le dimensioni dei piedi sono superiori, pur se<br />

non di molto. Come avrete notato grazie a questi dati, la Bestia di Chastel aveva piedi<br />

incredibilmente grandi. Con piedi di questa grandezza, gli artigli avrebbero potuto essere lunghi<br />

anche 3 centimetri, ma certo “non un dito”, o meglio dire “non come un dito della mano” come<br />

raccontavano alcune persone. Artigli di simile lunghezza li avrebbe solo un orso di qualche <strong>qui</strong>ntale<br />

di peso. L’eccezionale grandezza dei piedi anteriori di questa Bestia, senza alcun dubbio e in<br />

32


assoluto le più grandi di cui abbia notizie o dati sia per quanto riguarda i lupi e sia i cani, possono<br />

spiegare perché tutti i testimoni descrivessero la belva come avente zampe, intese come l’arto<br />

intero, di estrema grossezza e robustezza. Con piedi così grandi la zampa doveva necessariamente<br />

essere proporzionalmente adeguata, altrimenti l’animale avrebbe avuto difficoltà nel muoversi<br />

agilmente e non avrebbe potuto avere l’incredibile mobilità, resistenza e scioltezza dimostrate molte<br />

volte.<br />

Di seguito vedrete i disegni del piede della Bestia a grandezza naturale, confrontata con quelli di un<br />

normale lupo e di un cane di pari dimensioni. Ricordandovi che i disegni si basano esattamente su<br />

misure accertate, preparatevi a stupirvi.<br />

Le stesse impronte paragonate fra loro: lupo, cane, Bestia di Chastel<br />

33


E’ evidente che i piedi della Bestia sono abnormi e mostruosi per quanto riguarda le dimensioni.<br />

Questo particolare non è mai stato analizzato con la necessaria attenzione, eppure è di fondamentale<br />

importanza. La Bestia di Chastel <strong>qui</strong>ndi aveva la grande testa inusualmente larga, il collo<br />

conseguentemente molto robusto così come tutto l’avantreno, i piedi giganteschi con unghie<br />

proporzionatamente lunghe e per ultimo le zampe spropositatamente grosse e robuste, proprio a<br />

causa della grandezza dei piedi, anche se non sappiamo se l’animale le avesse già così fin dalla<br />

nascita o se si siano irrobustite con gli anni proprio per le difficoltà locomotorie. A mio parere<br />

nacque così. In pratica tutta la conformazione anteriore del corpo della Bestia era insolitamente<br />

grande e robusta. La spiegazione a questo punto potrebbe essere che l’esemplare fosse affetto, come<br />

a volte capita sia negli uomini sia negli animali, da una mutazione, un gigantismo che aveva colpito<br />

solo parte del corpo, almeno stando a quanto emerge dai dati e dalle misure in nostro possesso. Non<br />

è escluso che la Bestia fosse affetta da acromegalia.<br />

Ho chiesto consiglio al biologo Pasquale Maggese, il quale a proposito così si è espresso:<br />

“Per gigantismo non s’intende una statura o un’altezza al garrese superiore alla media, quanto<br />

invece un eccessivo accrescimento del corpo, con conservazione delle armoniche proporzioni tra le<br />

sue parti. Il gigantismo può essere fisiologico ed avere basi genetiche, come nel caso di genitori<br />

alti da cui nascano figli alti, oppure patologico e in tal caso indica uno stato morboso dovuto a una<br />

cronica ipersecrezione dell’ormone somatotropo (GH) in soggetti giovani, le cui cartilagini ed ossa<br />

sono ancora in grado, sotto lo stimolo dell’ormone, di svilupparsi in lunghezza. Nella quasi totalità<br />

dei casi, la causa va ricercata in un tumore ipofisario, l’adenoma, secernente GH. Più raramente,<br />

l'ipersecrezione sarebbe ectopica e <strong>qui</strong>ndi proverrebbe da strutture diverse dall'ipofisi, che è per<br />

l’appunto l'organo preposto alla produzione di GH”. Riconducendo la questione al caso della<br />

Bestia di Chastel, è utile chiedersi quale tipo di gigantismo potrebbe averla contraddistinta. Si<br />

trattava forse di gigantismo ereditario e fisiologico, oppure da surplus di GH e patologico?”<br />

(continua)<br />

Come spiegavo prima, il mal funzionamento dell’ipofisi può dar origine a diverse malattie e tra<br />

queste appunto l’acromegalia e cioè l’anormale crescita delle parti terminali delle ossa: mani, piedi,<br />

ossa frontali, mandibolari. Come presentavano molte delle persone descritte prima e come<br />

presentava infatti anche la Bestia di Chastel, con abnormi piedi, zampe, mandibola, mascella e in<br />

generale tutta la testa. L’acromegalia, benché rara, a quanto si sa si verifica anche fra gli animali,<br />

inclusi i gatti e i cani e, probabilmente, anche i lupi. Quindi, alla luce dei dati e delle misure che<br />

abbiamo, ritengo che la “mostruosità” della Bestia di Chastel potrebbe essere addebitata proprio a<br />

questa malattia. E’ solo un’ipotesi, ma possibile. Di seguito, grazie alla cortesia del dottor Federico<br />

Fracassi, del Dipartimento Clinico Veterinario dell’Università degli Studi di Bologna, ecco alcune<br />

rare foto di un cane dalmata acromegalico. L’esemplare nelle prime foto è normale, nelle seguenti si<br />

nota la trasformazione dovuta all’acromegalia. Si ringrazia sentitamente il dr. Fracassi per avere<br />

messo gentilmente a disposizione queste rare fotografie. (continua)<br />

I denti.<br />

Le misure della Bestia di Chastel:<br />

- Lunghezza dei canini superiori, un pollice e tre linee (3,6 cm).<br />

- Lunghezza dei canini inferiori, un pollice e tre linee, (3,4 cm).<br />

- Lunghezza degli incisivi inferiori, sei linee (1,3 cm).<br />

- Lunghezza dei due incisivi superiori, detti <strong>qui</strong>nto e sesto canino, un pollice e una linea (2,9<br />

cm).<br />

Ma c’è qualcosa che non va nelle misure verbalizzate dal notaio Marin. Sotto ho riportato alcune<br />

fotografie del cranio di un grosso lupo e confrontandole con i dati possiamo notare le differenze (o<br />

gli errori di Marin). Infatti a proposito dei denti dice, “Larghezza dei mâchelières (i canini)<br />

inferiori, un pollice tre linee,…”. Si tratta di 3,4 cm. Evidentemente c’è un errore, questa è la<br />

lunghezza. A meno che questa misura non sia la circonferenza alla base dei canini, misura possibile.<br />

34


Di seguito scrive, “Lunghezza degli incisivi, un pollice tre linee…”. Ancora 3,4 cm. Altro errore.<br />

Gli incisivi non potevano certo essere lunghi quanto i canini, tanto che gli stessi incisivi inferiori,<br />

pur più corti di quelli sopra, sono indicati così “…Lunghezza dei mâchelières inferiori, sei linee”,<br />

ossia 1,3 cm. Anche il dato “…Lunghezza dei machelières superiori, un pollice una linea…” lascia<br />

dubbiosi. Per machelières superiori nel verbale si intendono i due incisivi esterni detti <strong>qui</strong>nto e<br />

sesto canino, che in genere sono effettivamente di tutto rispetto, ma che in questo caso sono quasi<br />

lunghi come i canini veri e propri e cioè 2,9 cm contro 3,6 cm. Insomma, solo 7 mm. di differenza.<br />

Di solito il <strong>qui</strong>nto e sesto canino sono circa la metà in lunghezza dei canini veri e propri, come si<br />

potrà notare osservando le fotografie sottostanti del cranio di un lupo.<br />

Se le misure fossero state veramente quelle indicate da Marin, in pratica la Bestia avrebbe avuto,<br />

quanto a lunghezza, quattro canini superiori e due inferiori, cosa impossibile. Come possiamo<br />

notare nella fotografia sopra, i cosiddetti <strong>qui</strong>nto e sesto canino sono poco più lunghi degli incisivi<br />

superiori. Pertanto, ritengo che Marin, o chi per esso, fece uno sbaglio indicando 2,9 cm. al posto di<br />

1,9 cm. Per quanto riguarda le misure dei canini superiori descritte da Marin, “…di due grandi<br />

uncini distanziati dagli incisivi e dell'altezza di un pollice quattro linee (3,6 cm) e di un diametro di<br />

sei linee (1,3 cm)…” le misure sono proporzionalmente corrette se rapportate a un esemplare di<br />

quelle dimensioni. La lunghezza dei denti della Bestia di Chastel è notevole, ma non eccezionale.<br />

Per fare un esempio, limitandosi ai soli canini, un lupo di circa 30 – 35 kg. ha canini lunghi 2,6 -2,9<br />

cm. Un cane pastore tedesco, di circa 2,4 cm. I cani molossoidi hanno canini più corti.<br />

Visto che alcuni si ostinano a supporre che la Bestia di Chastel non fosse un lupo, quando tutti<br />

coloro che la esaminarono la descrissero proprio come uno “strano lupo”, <strong>qui</strong>ndi diverso da quelli<br />

35


soliti della zona, ma sempre lupo, sarà bene chiarire che l’esemplare in questione aveva 42 denti. La<br />

formula dentaria della Bestia è quella di un canide, essendo: I 3/3, C 1/1, P 4/4, M 2/3<br />

Specificando, nella mascella superiore aveva 20 denti, ossia 6 incisivi, 2 grandi canini e 6 molari<br />

(nel XVIII secolo non si distinguevano i premolari dai molari) su ogni lato. La mascella inferiore<br />

aveva 22 denti, e cioè 6 incisivi, 2 canini e 7 molari (vale quanto detto sopra) su ogni lato.<br />

Insomma, in totale 42, e con una formula dentaria da canide. Pertanto non poteva essere un felide,<br />

poiché questi hanno 30 denti, e solo talvolta 28. Neppure uno ienide, in quanto questi hanno 34<br />

denti e solo talvolta 32. Neanche un mustelide, che ne hanno 34, 36 o 38.<br />

Da escludere anche i procionidi, che hanno 36 o 38 denti, e neppure i viverridi, con 40 denti. La<br />

dentatura con 42 denti è appannaggio degli ursidi e della maggior parte dei canidi, fatta eccezione<br />

per alcune specie molto particolari, fra cui il dhole o cuon, e l'otocione. Gli esempi fatti poc’anzi<br />

non tengono fra l’altro conto delle dimensioni dei diversi animali, talvolta molto lontane da quelle<br />

della Bestia, o del fatto che in Francia non vivessero neppure. La Bestia di Chastel era <strong>qui</strong>ndi, senza<br />

alcun dubbio, un canide.<br />

La potenza del morso<br />

La Bestia, come abbiamo visto, era dotata di una terribile potenza nel morso ed era in grado di<br />

provocare ferite devastanti e mutilazioni in pochi istanti. Poiché ritengo l’esemplare di Chastel<br />

senza alcun dubbio responsabile di molti degli attacchi ed uccisioni, si potrebbe ipotizzare che<br />

proprio la sua particolare e abnorme conformazione della testa, e <strong>qui</strong>ndi della mascella, della<br />

mandibola e infine di muscoli masseteri particolarmente sviluppati, avrebbe potuto fornirgli questa<br />

estrema potenza nel morso. Ho pertanto fornito i dati del rapporto Marin al prof. Bernardino Ragni,<br />

famoso scienziato esperto in canidi dell’Università di Perugia, e gli ho chiesto un parere a riguardo.<br />

“La minuziosa descrizione effettuata dal notaio reale Marin coincide perfettamente con la specie<br />

Canis lupus (cane o lupo) ed è senz'altro compatibile con un “plus variante” della estrema<br />

variabilità morfo-dimensionale tipica della specie Canis lupus. La descrizione fenotipica ricavabile<br />

dallo stesso rapporto ritengo sia compatibile, sia con quella di un grosso lupo, morfologicamente<br />

un "po' strano", sia con un altrettanto strano cane che, perché no, con un ibrido tra le due forme<br />

conspecifiche. Il lupo è una specie dimensionalmente molto variabile e in cui, con l’aumentare<br />

delle dimensioni, l’arcata zigomatica tende ad aumentare in progressione allometrica,<br />

naturalmente entro i limiti della variabilità specifica”. (continua)<br />

Pertanto, possiamo dire che se la Bestia di Chastel fosse stata un ibrido cane/lupo, tale incrocio non<br />

gli avrebbe dato nel complesso particolari benefici, né per quanto riguarda un morso<br />

particolarmente letale, né per altri aspetti, come l’agilità, la resistenza, la vista, il rapporto<br />

peso/potenza o altro. Al massimo gli avrebbe dato una maggiore mole nel caso di un accoppiamento<br />

lupo/cane di grande taglia, ma con la perdita delle eccelse qualità di cui sopra e tutte<br />

contemporaneamente presenti. Per capirci, un segugio potrà avere più fiuto di un lupo, ma sarà<br />

meno forte e veloce, un levriero sarà più veloce, ma avrà meno fiuto e così via.<br />

C’è però un’altra considerazione da farsi, in virtù di ulteriori dati sull’autopsia fatta sulla Bestia e<br />

comunicati in una lettera inviata da Langeac il 6 luglio 1767<br />

“… la testa era mostruosa, di una forma quadrata, molto più larga e più lunga di quella di un lupo<br />

ordinario, il muso era un poco ottuso, gli orecchi diritti e larghi alla loro base, gli occhi neri e<br />

caratterizzati da una membrana molto singolare. Era un prolungamento dei muscoli inferiori<br />

dell'occhio. Queste membrane servivano a ricoprire a sua volontà le due orbite, rialzandosi e<br />

infilandosi sotto le palpebre.<br />

L'apertura della bocca era molto grande, i denti incisivi simili a queste di un cane, i grossi denti<br />

stretti ed impari, il collo molto largo e forte, ricoperto di un pelo rude, estremamente lungo e folto,<br />

con una banda trasversale nera discendente fino alle spalle, il treno posteriore abbastanza<br />

somigliante a quello di un lupo, eccetto l'enorme grossezza, le gambe davanti più corte di quelle di<br />

dietro, più snelle che quelle di un lupo ordinario, così come il davanti della testa era coperta di un<br />

pelo feroce, raso e liscio, precisamente del colore di quello di un capriolo, il pelo del corpo molto<br />

spesso e lungo, di un colore grigiastro macchiato di nero. L'animale aveva sul petto una grande<br />

36


macchia a forma di cuore (…). Prendemmo la decisione di scarnirla per conservare il suo<br />

scheletro. (...). Ciò che notammo, con stupore, fu la testa. Dopo averla aperta e avere sollevato i<br />

tegumenti comuni, vedemmo una cresta ossea che cominciava dall'occipitale. Aveva circa 15 linee<br />

di altezza e si concludeva sul frontale, sempre diminuendo. Togliemmo una massa di carne<br />

muscolosa che pesava più di 6 libbre che ricopriva i parietali. Questi muscoli finivano i loro<br />

legamenti alla mascella inferiore ed agli occhi. Allor quando tutte queste parti carnose furono<br />

tolte, questa testa, così mostruosa nello stato naturale, offrì solamente una scatola ossea un poco<br />

più grossa del pugno”.<br />

Da questa lettera possiamo desumere vari particolari importanti, ossia:<br />

1) Non viene mai messo in discussione che la Bestia sia un lupo, ma si sottolinea che è diverso<br />

dai normali lupi, come nei passaggi, “più lunga di quella di un lupo ordinario”, “il treno<br />

posteriore abbastanza somigliante a quello di un lupo, eccetto l'enorme grossezza”, “più<br />

snelle che quelle di un lupo ordinario”.<br />

2) La Bestia ha soprattutto una testa abnorme, così come tutto l’avantreno molto robusto. E in<br />

particolare ha una cresta sagittale sul cranio, che molti animali hanno, inclusi cani e lupi, e<br />

che serve da ancoraggio ai muscoli che azionano la mandibola. Questa cresta nel caso della<br />

Bestia nel punto più alto raggiunge le 15 linee d’altezza, pari a oltre 3,3 cm. Notevole, anche<br />

se in linea con le proporzioni di un animale che da vivo superava il mezzo <strong>qui</strong>ntale.<br />

La cresta sagittale dello stesso lupo vista da dietro.<br />

3) Ecco il dato più strano. I chirurghi asportano una massa di carne muscolosa, ossia i muscoli<br />

masseteri e i temporali, di oltre 6 libbre e cioè almeno tre chilogrammi! Ciò significa che i<br />

muscoli masseteri, uno per lato della testa, e i muscoli temporali, anche loro uno per lato,<br />

rappresentavano circa il 5,5% del peso totale dell’animale.<br />

Non avendo dati specifici, ho allora chiesto aiuto al dottor Federico Fracassi, del Dipartimento<br />

Clinico Veterinario dell’Università degli Studi di Bologna, il quale mi ha confermato che non ci<br />

sono dati attinenti il peso di questi muscoli nei canidi. Ma il dottor Fracassi, che fra l’altro ha svolto<br />

particolari studi proprio sull’acromegalia dei canidi, ha a sua volta chiesto lumi alla sezione di<br />

Anatomia della sua facoltà, la quale dovendo già fare l’autopsia a un cane ha proceduto a questa<br />

37


misurazione. L’esemplare esaminato era un cane maschio adulto di razza bulldog, di 22<br />

chilogrammi e deceduto in buono stato di nutrizione. Ebbene, il peso di ogni massetere era di 70g,<br />

<strong>qui</strong>ndi i due masseteri pesavano un totale di 140 g, Se si considera che i due muscoli temporali,<br />

sebbene di forma diversa, hanno all’incirca lo stesso peso, se ne desume che questo cane fra<br />

masseteri e temporali arrivava a meno di 300 grammi, meno dell’1,3% del peso corporeo!<br />

Da notare che il bulldog è un cane molossoide universalmente famoso per la sua terribile forza delle<br />

mascelle, in grado di esercitare una pressione di circa 130 chilogrammi. So che il calcolo è empirico<br />

ma se anche si considerasse che la Bestia pesava oltre il doppio di questo bulldog, anche<br />

raddoppiando, e aggiungendo ancora qualcosa, il peso del bulldog, non si arriverebbe ai 700<br />

grammi (continua)<br />

Ora, matematicamente la Bestia, con muscoli di tal tipo tre volte più grandi, avrebbe potuto forse,<br />

pur teoricamente, sviluppare una forza di oltre 700 chilogrammi, <strong>qui</strong>ndi pari o superiore a quella<br />

sviluppata da una iena maculata. Due cose balzano subito all’occhio: muscoli di tale tipo e peso si<br />

possono trovare solo nei grandi esemplari di orso bruno o tigre siberiana. E secondo, visto che il<br />

cranio della Bestia, una volta scarnificato, risultò essere non dico piccolo ma normale, questo<br />

significa che la belva era mostruosamente deforme ma che aveva una testa perfettamente<br />

funzionante e terribilmente letale. Tuttavia questa caratteristica non avrebbe ancora potuto darle la<br />

capacità di decapitare le vittime con un sol morso per il semplice motivo che la forza delle mascelle<br />

si esprime soprattutto sui denti ferini, <strong>qui</strong>ndi in fondo alla bocca, che non era abbastanza grande per<br />

azzannare un collo umano e potersi poi richiudere. Insomma, non poteva per semplici motivi di<br />

capienza. Ma senza dubbio quando la bocca, azionata da quegli enormi muscoli, si chiudeva con<br />

quei micidiali denti e subiva una trazione spropositata grazie al potente e muscoloso collo, tutto ciò<br />

che di carneo veniva azzannato era destinato ad essere tranciato di netto.<br />

A proposito del cranio, descritto come normale (e piccolo se confrontato alla testa della Bestia<br />

prima di essere scarnificata) nell’autopsia appena descritta, rammento che già il cranio di un<br />

normale lupo, a parità di grandezza, è notevolmente più grande di quello di un cane, inclusi i<br />

molossoidi. (continua)<br />

Novità agosto 2007<br />

La Bestia del Gévaudan<br />

Quando il serial killer è un animale<br />

di Giovanni Todaro, formato cm 21 x 29, pagg. 278, con 105 illustrazioni<br />

Prezzo € 19,90 più spese di spedizione postale<br />

Il libro, per scelta dell’autore, non è attualmente reperibile nelle librerie.<br />

Chi volesse ac<strong>qui</strong>starlo, potrà richiederlo inviando l’ordine alla casa editrice internazionale<br />

www.lulu.com oppure andare direttamente al sito del libro www.lulu.com/content/1133522<br />

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