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IL NEOREALISMO - Istituto Tecnico Commerciale Paritario Antonio ...

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A.S. 2008-2009<br />

dal PIANO OFFERTA FORMATIVA (P.O.F.)<br />

DELL'ISTITUTO TECNICO COMMERCIALE – I.G.E.A.<br />

<strong>Paritario</strong> (D.M.04-12-01)<br />

”A N T O N I O G R A M S C I”<br />

42° Distretto Scolastico<br />

RMTD00500C<br />

Sezione Cinema-Letteratura a Scuola<br />

<strong>IL</strong> <strong>NEOREALISMO</strong><br />

Per le classi quinte


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

In Italia manca un'identità di concezione del mondo tra "scrittori" e "popolo"; cioè i<br />

sentimenti popolari non sono vissuti come propri dagli scrittori, né gli scrittori hanno<br />

una funzione "educatrice nazionale", cioè non si sono posti e non si pongono il<br />

problema di elaborare i sentimenti popolari dopo averli rivissuti e fatti propri [...].<br />

In Italia, il termine "nazionale" ha un significato molto ristretto ideologicamente, e in<br />

ogni caso non coincide con "popolare", perché in Italia gli intellettuali sono lontani<br />

dal popolo, cioè dalla "nazione", e sono invece legati a una tradizione di casta, che<br />

non è mai stata rotta da un forte movimento politico popolare o nazionale dal basso:<br />

la tradizione è "libresca" e astratta, e l'intellettuale tipico moderno si sente più<br />

legato ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese o<br />

siciliano.<br />

<strong>Antonio</strong> Gramsci<br />

2


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

Indice<br />

Sezione 1 Gli scrittori del Neorealismo 4<br />

Corrado Alvaro 6<br />

Giorgio Bassani 9<br />

Carlo Bernari 13<br />

Vitaliano Brancati 17<br />

Italo Calvino 19<br />

Beppe Fenoglio 26<br />

Francesco Iovine 30<br />

Carlo Levi 32<br />

Primo Levi 36<br />

Giuseppe Marotta 39<br />

Alberto Moravia 40<br />

Cesare Pavese 46<br />

Vasco Pratolini 54<br />

Ignazio Silone 60<br />

Renata Viganò 64<br />

Elio Vittorini 65<br />

Sezione 2 La Cinematografia del<br />

Neorealismo<br />

71<br />

Visione films proposti 72<br />

Precursori del Neorealismo 73<br />

Sezione documentaria correlata 74<br />

Oltre il Neorealismo 74<br />

Il Neorealismo 75<br />

1 Caratteristiche, precursori,<br />

prodromi<br />

75<br />

2 L'influenza di Zavattini 75<br />

3 Le opere e gli autori 76<br />

4 Gli ultimi fuochi 76<br />

Ossessione 77<br />

I bambini ci guardano 78<br />

Roma Città Aperta 79<br />

3


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

Paisà 80<br />

Sciuscià 81<br />

Germania Anno Zero 82<br />

Onorevole Angelina 83<br />

Ladri di biciclette 84<br />

La terra trema 85<br />

Riso amaro 86<br />

Stromboli terra di Dio 87<br />

Miracolo a Milano 88<br />

Bellissima 89<br />

Umberto D 90<br />

Rocco e i suoi fratelli 91<br />

Il Gattopardo 92<br />

Sezione 3 I registi del Neorealismo 93<br />

Luchino Visconti 94<br />

Roberto Rossellini 96<br />

Vittorio De Sica 97<br />

Luigi Zampa 99<br />

Giuseppe De Santis 101<br />

4


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

GLI SCRITTORI<br />

DEL<br />

<strong>NEOREALISMO</strong><br />

5


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

CORRADO ALVARO<br />

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida<br />

Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag.<br />

747-752)<br />

LA VITA<br />

Nacque a San Luca di Calabria (prov. di Reggio) nel 1895. Studiò presso<br />

il collegio dei Gesuiti di Mondragone; frequentò l'ultimo anno del<br />

Ginnasio nel collegio di Aurelia (Roma). Conseguì la licenza liceale nel<br />

1913 a Catanzaro e nel 1919 la laurea in Lettere all'Università di Milano.<br />

Fondamentale tappa della sua formazione fu la sua partecipazione alla<br />

prima guerra mondiale, durante la quale fu ferito sul Carso.<br />

Scriveva i suoi primi libri, La siepe e l'orto e L'uomo nel labirinto e<br />

contemporaneamente, ultimava i suoi studi e lavorava come giornalista<br />

nella redazione del "Resto del Carlino", poi nel "Corriere della Sera" e<br />

infine nella "Stampa" di Torino. "Sono proprio questi anni della guerra e<br />

del dopoguerra, segnati apertamente dal contatto con un ambiente<br />

diverso da quello della sua infanzia, che danno le postille della sua<br />

formazione e che recano già impliciti i limiti e le aperture della sua<br />

mentalità e della sua umanità. Mentre gli si ingrandisce nella memoria il ricordo della sua terra calabra, gli<br />

si propongono con urgenza le dimensioni della cultura di quegli anni: il rapporto tra letteratura e vita gli è<br />

offerto nei modelli autorevoli di Verga da una parte e di D'Annunzio dall'altra, […] è opportuno qui<br />

riconoscere la sua volontà di afferrare pienamente quello che egli considera la sostanza della nostra età<br />

storica, caratterizzata dal sentimento di una necessità di sradicarsi dell'uomo da quello che è stato per<br />

secoli il suo mondo e la sua vita, verso approdi incerti di una realtà più vasta" (Scrivano).<br />

Nel 1921 divenne corrispondente da Parigi de Il Mondo di C. Amendola e l'anno dopo collaborò direttamente<br />

in Italia col giornale in chiave antifascista. Ma nel 1926 fu invitato a recarsi a Parigi, dopo che il giornale era<br />

stato soppresso dal regime. Egli rifiutò mettendosi in urto con le autorità. Intanto collaborava con diverse<br />

riviste letterarie e dopo il 1927 gli attacchi del regime lo indussero a recarsi a Berlino, dove continuò la sua<br />

attività di critico e di giornalista. Dalla Germania ritornava il 1930, anno in cui pubblicava il suo capolavoro<br />

Gente in Aspromonte, che suscitò subito giudizi assai positivi.<br />

Nel 1917 aveva scritto Poesie grigioverdi, nel 1920 La siepe e l'orto, nel 1926 L'uomo del labirinto; ma<br />

aveva richiamato l'attenzione su di sé con L'amata alla finestra nel 1929.<br />

Come corrispondente della Stampa intanto egli dovette recarsi in Russia, nel Medio Oriente, in Germania, in<br />

Turchia, in Svizzera, in Francia e in Grecia.<br />

Intanto non tralasciava la sua attività di narratore, pubblicando un libro interessante sull'uomo moderno<br />

vittima delle dittature, L'uomo è forte (1938), che venne in parte censurato. Nel 1940 gli venne conferito il<br />

Premio dell'Accademia d'Italia per la letteratura. Durante i quarantacinque giorni del governo Badoglio fu<br />

chiamato a dirigere Il Popolo di Roma, ma l'8 settembre dovette rifugiarsi a Chieti, dove assunse il nome di<br />

Guido Giorgi, per sfuggire alle persecuzioni nazi-fasciste. Dopo la liberazione di Roma fondò il Sindacato<br />

degli Scrittori con Libero Bigiaretti e Francesco Jovine e costituì qualche anno dopo la Cassa di Assistenza e<br />

Previdenza tra gli scrittori italiani di cui fu Segretario e Presidente. Nel 1946 pubblicò uno dei suoi libri<br />

migliori, L'età breve, che suscitò nuovi interessi nella critica italiana. Nel 1947 assunse la direzione del<br />

Risorgimento di Napoli; ma, poiché il suo atteggiamento di uomo di sinistra era incompatibile con<br />

l'ispirazione politica liberale del giornale, egli preferì dimettersi, riservandosi soltanto l'incarico di<br />

collaboratore del Corriere della Sera e, come critico teatrale, de Il Mondo.<br />

Nel 1951 ottenne il premio Strega per il suo libro Quasi una vita. Giornale di uno scrittore (1950). Nel 1952<br />

pubblicò Il nostro tempo e la speranza. Saggi di vita contemporanea; e nel 1955 Settantacinque racconti.<br />

Si preparava ad ultimare altri romanzi, quando fu colpito da un male inesorabile che lo stroncò l'11 giugno<br />

6


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

del 1956; su suo desiderio fu sepolto nel cimitero di Vallerano in provincia di Viterbo, quasi a confermare il<br />

suo bisogno di appartarsi dalla vita caotica della città. Furono pubblicati postumi: Belmoro (1957),<br />

Mastrangelina (1960), Tutto è accaduto (1961). Nel 1957 un gruppo di amici e di critici autorevoli gli<br />

dedicò una serie di saggi, con il titolo Omaggio a C. Alvaro: una sintesi di scritti di notevole valore per<br />

comprendere l'opera e la personalità del nostro poeta.<br />

LA POETICA<br />

Di qui i due poli della narrativa di Alvaro che solo in superficie sono la terra e la città, ma che, a guardar più<br />

a fondo, si rivelano come due modi di concepire la terra, il suo paese, la Calabria: l'uno reale, carne e sangue<br />

della sua esperienza storica, della sua generazione, l'altro mitico, collegato alle suggestioni culturali dei<br />

simboli decadenti. La città è solo il termine dialettico negativo: che deve sottolineare l'inutile tentativo di<br />

sottrarsi al proprio destino con una soluzione puramente individuale del giovane contadino che, a prezzo di<br />

sacrifici, vi va a studiare o a lavorare, […] Ricostruendo in tal modo la personalità di Alvaro si può vedere<br />

con chiarezza il nesso che lega i vari aspetti, anche contraddittori, della sua opera. Non ci si stupirà della<br />

faccia cosmopolita irriducibile, ma la si ritroverà, anche quando parla della sua terra, in certe compiacenze<br />

estetiche, in certe abbondanze di immagini e di colori: nelle scorie cioè di cui Alvaro non riesce a liberarsi<br />

neppure nelle pagine più riuscite e nel suo capolavoro Gente in Aspromonte. E si ritroverà il migliore Alvaro<br />

quando la sua Calabria cessa di essere un rifugio romantico e decadente, un'oasi di originaria innocenza, e<br />

diventa la Calabria reale con i suoi pastori e la loro vita di stenti e di miseria (Salinari).<br />

L'aspetto lirico dell'ispirazione di Alvaro narratore, si sostanzia di un senso epico-drammatico nella<br />

descrizione dell'ambiente; cova dentro di lui un insuperabile contrasto tra il mondo della memoria, puntualizzato<br />

nel paese della Calabria e nella povera gente che vive in drammi di miseria e disperato lavoro, e l'ansia<br />

di un mondo nuovo in cui sempre più s’avverte l'urgenza di una migliore giustizia, ma in cui non scompare<br />

il timore di una delusione disperata. In questo senso sono fondamentali due suoi volumi, L'età breve e Il<br />

nostro tempo e la speranza, in cui Alvaro suggerisce come rimedio supremo la solidarietà umana e la<br />

speranza.<br />

Due sono i punti fermi della sua formazione di scrittore: la lezione del Verga, rielaborata in una indagine<br />

interiore di sentimenti, di nostalgie e di memorie; e quel surrealismo che è conseguenza diretta della sua<br />

riflessione sulla civiltà moderna.<br />

LA TEMATICA<br />

Corrado Alvaro ci appare soprattutto come interprete della crisi generale della involuzione dell'eredità storica<br />

del nostro Risorgimento, nei cui ideali Alvaro ha creduto per tutta la sua vita, ma che vennero messi in crisi<br />

nell'urto delle nuove circostanze storiche. "Il primo scacco venne dal Fascismo, che calpestò quegli ideali,<br />

per il trionfo dei quali Alvaro e quelli della sua generazione credevano di aver combattuto nella Grande<br />

guerra. Si formò allora un senso di rivolta, che però non esplodeva, ma rimaneva amaro e soffocato, dando<br />

luogo ad uno stato di disagio, di stupore, di perplessità; e ne nacquero un assiduo ritrarsi dalla realtà<br />

storica, un rifugiarsi nel conforto della solitudine interiore, e una sempre frustrata ansia di uscire da<br />

quell'esilio verso nuove deludenti scoperte. L'opera di Alvaro, formatasi quasi tutta nel ventennio fascista, è<br />

nata sostanzialmente da questo stato d'animo. Di contro alla demagogia del regime, ecco il rifugio alla terra<br />

natia, nel contatto con gli umili, con le cose e con i sentimenti conservatisi nella loro naturale verginità e<br />

schiettezza, col mondo patriarcale dell'infanzia, e anche coi problemi di fondo, insoluti o ignorati, che di<br />

quella ricognizione lo scrittore veniva scoprendo" (Trombatore).<br />

Aver conosciuto da vicino la cultura , i regimi politici, i costumi liberali e dittatoriali, le crisi dell'uomo e<br />

delle metropoli industriali di quasi tutti i paesi europei fece di Alvaro uomo di cultura europea e attraverso<br />

questa esperienza colse il dramma più vasto dell'uomo contemporaneo, di cui quello della sua terra di<br />

Calabria non era che un aspetto, forse il più disperato.<br />

L'ansia di vivere nella babele cittadina e l'eterna nostalgia dell'idillio del paese lontano costituiscono<br />

l’insanabile dissidio interiore dei personaggi di Alvaro. Ma anche questo dissidio trova una giustificazione<br />

storico-politica: la prima guerra mondiale fu per lui un cataclisma in cui risultarono inutili i gesti nobili e i<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

sacrifici sublimi; la guerra gli si presenta come una specie di allargamento più spietato e crudele di quel<br />

lavoro bruto e avvilente dei suoi pastori e dei contadini della sua Calabria: Hanno inventata una guerra, alla<br />

fine, per i contadini e i montanari, per i fabbricatori di case, per i minatori, i facitori di argini, i costruttori<br />

di strade. La guerra è divenuta una quintessenza della fatica umana più primitiva.<br />

Dopo la guerra venne il Fascismo. Questo regime politico ai suoi occhi si presentò come il: "trionfo del ricco<br />

sul povero, del potente sul debole. della retorica sulla verità, della città sulla campagna, di un ordinamento<br />

militaresco sulla libertà individuale, della ipocrisia sulla schiettezza. V'è, quindi, un rapporto dialettico fra<br />

le vicende della nostra storia nei primi trent'anni del secolo e la formazione morale e culturale di Alvaro e<br />

direi di tutto un filone di intellettuali italiani" (Salinari).<br />

La sua formazione culturale fu individualistica, di tipo radicale, "di origine contadina e piccolo-borghese,<br />

con un atteggiamento di critica avanzata nei confronti delle strutture della società italiana, ma anche con<br />

l'incapacità d'individuare le forze reali che quelle strutture possono modificare" (Salinari). Il suo è un<br />

atteggiamento moralistico, che non riesce a superare un tono paternalistico e leggermente estetizzante. Non<br />

c'è da stupire che in questo atteggiamento s'innestino con facilità le suggestioni e i motivi del Decadentismo<br />

europeo. Perché da una parte c'è la realtà della sofferenza contadina, dell'arretratezza delle regioni<br />

meridionali, dall'altra c'è il vagheggiamento di un mondo bambino che richiama "l'innocenza dell'infanzia<br />

dello stato di natura che viene esaltato come porto tranquillo per l'ansia dell'uomo logorato nelle città.<br />

L'innesto è facile, ma è anche artificiale, perché quei miti del Decadentismo erano sorti sull'esperienza di<br />

società in cui la rivoluzione democratico-borghese era stata portata fino in fondo e in cui i fenomeni<br />

dell'industrialismo, del macchinismo, dell'urbanesimo, dell'alienazione moderna dell'uomo avevano assunto<br />

proporzioni mostruose. Ed erano perciò sproporzionati nella nostra Italia ancora semifeudale, in cui<br />

l'elemento storicamente più vero continuava ad essere quello della denunzia e della spinta per un ulteriore<br />

progresso". (Salinari).<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Poesie grigioverdi 1917<br />

La siepe e l'orto 1920<br />

L'uomo del labirinto 1926<br />

L'amata alla finestra 1929<br />

Vent'anni 1930<br />

Gente in Aspromonte 1930<br />

L'uomo è forte 1930<br />

Incontri d'amore 1940<br />

L'età breve 1946<br />

Lunga notte di Medea 1949<br />

Quasi una vita 1950<br />

Il nostro tempo e la speranza 1952<br />

Un fatto di cronaca 1955<br />

Corrado ALVARO Cod.<br />

8


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

GIORGIO BASSANI<br />

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida<br />

Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag.<br />

1067-1079)<br />

LA VITA<br />

LE OPERE<br />

Giorgio Bassani è nato a Bologna il 4 marzo 1916 da famiglia ferrarese e<br />

a Ferrara ha trascorso la giovinezza. Si è laureato con Roberto Longhi,<br />

nella facoltà di Lettere. Fino al 1943 è vissuto a Ferrara, alternando<br />

l'attività letteraria con l'azione politica clandestina. Nella primavera del<br />

'43 fu arrestato sotto l'accusa di antifascismo; e dopo l'armistizio<br />

partecipò attivamente alla Resistenza. Oggi è considerato tra gli scrittori<br />

di più viva partecipazione politica, anche se non può essere annoverato<br />

tra quelli politicamente impegnati è stato redattore di "Botteghe oscure"<br />

e di "Paragone" dal 1953. Nel 1956 ha vinto il premio Strega e nel 1962<br />

il premio Viareggio.<br />

La prima opera che ebbe veri consensi fu Una città di pianura, in cui Bassani si poneva, col suo stile<br />

discreto, sul piano di una letteratura di solitudine in contrapposizione alla letteratura del conformismo<br />

fascista.<br />

Quando Bassani pubblicò i tre lunghi racconti de La passeggiata prima di cena (1953), Pasolini mise in<br />

rilievo, in quel tipo di narrativa, una sorta di compromesso fra una misura memoriale-lirica e un modo di<br />

affrontare la realtà non insensibile alle istanze del Realismo postbellico, attraverso il moralismo di fondo,<br />

tipico dell'autore. Successivamente Bassani, in Cinque storie ferraresi (1955), riunendo insieme alcuni<br />

racconti tipici della comunità israelita ferrarese, abbandonava le formule esterne del suo impegno formale<br />

per penetrare più a fondo la sua materia, fino a trarne fuori liricamente il proprio sentimento del dolore e la<br />

elegiaca contemplazione della morte.<br />

Dopo queste Cinque storie, il primo libro che rivela la raggiunta maturità di Bassani è Gli occhiali d'oro<br />

(1958) che segna un duplice stacco qualitativo rispetto alla precedente produzione: da una parte per<br />

l’equilibrio dei temi e dei toni narrativi, e dall'altra per il passo avanti compiuto nello stile più abilmente<br />

costruttivo e incisivamente ironico nei rapporti funzionali della vicenda. Al fondo dell'anímo di Bassani c'è<br />

sempre la protesta morale contro la società fascista ipocrita, malata e conformista.<br />

Qui protagonista è un relitto umano, il dottor Fadigati, la cui condizione di omosessuale, viene in parte<br />

occultata dalla sua discrezione, dal suo voler salvare le apparenze, per cui la società borghese lo tollera<br />

attribuendogli soltanto il titolo di persona strana. Ma quando si innamora del giovane studente universitario<br />

ferrarese Deliliers, quella società borghese di provincia reagisce allo scandalo della pubblica relazione.<br />

"Dove i toni corali della narrativa di Bassani tentano misure nuove, è nella descrizione della vita nel luogo<br />

di villeggiatura, Riccione, dove scoppia lo scandalo di Fadigati: una descrizione per appunti tersi e precisi,<br />

per notazioni acute, dove la resa del dato realistico lascia sempre un'ingente parte all'incisivo intervento<br />

dell'ironia, come segno stilistico della presenza del giudizio morale, ma calato nella situazione, nella piega<br />

della parola" (Barberi Squarotti)<br />

Il giovane ebreo che racconta, diventa protagonista di una vicenda che man mano si complica fino a<br />

diventare drammatica, quanto più appare frivolo lo sfondo di quella vita balneare. Le conseguenze di quella<br />

villeggiatura-avventura saranno tragiche, perché il giovane ebreo sarà messo al bando anche in virtù delle<br />

leggi razziali; Fadigati, invece, subirà lo scandalo della sua relazione omosessuale con Deliliers, che<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

fuggendo lo avrà derubato e lo avrà lasciato sentimentalmente distrutto. A lui non resterà che il suicidio<br />

come protesta verso una società così ipocrita da bandirlo ai margini della vita sociale.<br />

Le pagine in cui Bassani esprime l'angoscia dei due perseguitati sono improntate alla suprema discrezione<br />

narrativa tipica del miglior suo stile e alla misura eccezionale della sua amara ispirazione morale.<br />

Questa lunga storia ferrarese veniva poi ripubblicata con le altre nel 1960 col titolo di Le torri ferraresi,<br />

come se Bassani volesse includere in un unico ciclo narrativo tutte le precedenti esperienze narrative di<br />

Cinque storie ferraresi.<br />

Da questo dissidio tra una matura coscienza storica e una irresistibile vocazione elegiaca e consolatoria nasce<br />

il capolavoro di Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini (1962). Con questo romanzo Bassani riequilibrava le<br />

sorti del romanzo italiano del Novecento, impostato sul piano di un Realismo tradizionale o sul piano di un<br />

nuovo Realismo sperimentale, offrendoci, polemicamente, un romanzo impostato sul cuore, sull'elegia,<br />

sull'idillio, redatto su una sorta di equilibrio tonale tra storia e invenzione.<br />

L’epigrafe manzoniana (Che sa il cuore?) introduce il tema di fondo che può riassumersi così: "il mescolarsi<br />

nella memoria dell'affettuoso e del solenne, di ciò che passò inavvertito e di ciò che la morte, fermandolo<br />

per sempre, ha reso sacro [...].<br />

Analoga funzione ha il bellissimo prologo, la visita alle millenarie tombe etrusche di Cerveteri. Quei luoghi<br />

di morte, solidi e massicci, ove si provvedeva a raccogliere gli oggetti e le immagini di ciò che rendeva bella<br />

e desiderabile la vita, gli suggeriscono l'immagine consolante di un'eternità [ ... ].<br />

Subito dopo, […], ecco il ritratto di Ferrara ebraica, con i ricchissimi Finzi-Contini, […]con la loro<br />

vocazione alla solitudine [ ...] e dall'altro lato la borghesia ebraica moderna, integrata nel mondo<br />

fascista,[…], in contrasto con il mondo chiuso, tradizionalista, fedele ai riti di cui era figlia" (Pampaloni).<br />

La vecchia famiglia dei Finzi-Contini vive completamente isolata. Ma le leggi antisemitiche del Fascismo in<br />

parte riescono a rompere questo isolamento, in quanto alcuni ragazzi ebrei, espulsi dal circolo del tennis,<br />

sono stati invitati a giocare nel campo privato dei Finzi-Contini. Il protagonista del romanzo può così<br />

conoscere di persona Micòl, il fratello Alberto, i loro genitori, il professore Ermanno, un amico di Alberto,<br />

MaInate ed altri giovani.<br />

Al centro delle attenzioni di tutti è la misteriosa Micòl, di cui il protagonista-narratore si innamora, e da cui<br />

viene respinto. Micòl appare inibita ad ogni azione, non ama, non vuol fidanzarsi, non sa entrare nel cerchio<br />

della vita normale, e, come la sua famiglia, non crede nel futuro, ma soltanto nel presente o nel passato. La<br />

sua amicizìa col protagonista non è fondata sulla prospettiva di un futuro felice, ma si regge soprattutto sulle<br />

evocazioni tenere ed elegiache del passato tanto che le profferte amorose altro non fanno che annoiarla. Ma<br />

agli inizi della guerra ella e l'intera famiglia, tranne il fratello che muore di malattia nel 1942, vengono<br />

deportati in Germania.<br />

"La vera dimensione del personaggio Micòl, […] è in realtà la morte. […]. Ella ha in sé tanta vitalità e<br />

tanto futuro perché in realtà ne è priva, e il capriccioso giuoco del suo vivere non lascia cenere…"<br />

(Pampaloni).<br />

Il tema di fondo rimane sempre quello della solitudine e della esclusione dalla vita; questa condizione<br />

esistenziale nel romanzo è rivissuta nella memoria e nel tenue delicato ricordo elegiaco che avvolge le cose e<br />

gli avvenimenti drammatici in un'aura di fiaba lontana e quasi irreale. Tutta quella lunga storia ferrarese<br />

rimane come un'idealizzazione di luogo di idillio e di pace, mentre fuori le mura urge già tragicamente la<br />

tragedia della storia più violenta e la mondo di sogno. La guerra ha distrutto tutto, anche l'unico rifugio di<br />

pace e di amore. E forse il romanzo tocca gli accenti struggenti dell'elegia in questo conflitto interiore che si<br />

svolge nell'animo dello scrittore tra il mito feroce e violento della storia e il rifiuto netto e deciso di essa, tra<br />

l'incapacità di bruciare il ricordo del passato nel fuoco di una matura coscienza storica e progressiva e il<br />

bisogno di consolazione evocativa. Di qui la natura intimista di questo bellissimo romanzo, che si pone tra i<br />

più significativi del rapporto tra narrativa e crisi della coscienza moderna.<br />

Il tema dell'isolamento e della solitudine, iniziato con Gli occhiali d'oro, continua su di un piano di<br />

sofferenza esistenziale nel romanzo Dietro la porta (1964). Il protagonista, giovane sedicenne di famiglia<br />

borghese benestante, ingenuo e sensibile, viene tradito dal suo migliore amico, il quale sparla di lui, e della<br />

sua famiglia; attraverso le sue parole, gli crolla il mito della sua famiglia, ed egli non può più guardare il<br />

padre e la madre con gli occhi di prima.<br />

Quel contatto rude lo ha messo dinanzi alla vita come è, dinanzi alla perfidia, al tradimento, alla corruzione e<br />

al peccato. Non riesce neanche a picchiare l’amico, perché comprende che il suo idillico mondo infantile è<br />

del tutto fittizio. Qui "la crudeltà non è nutrita di compiacenza, anzi è sostenuta dall'intelligenza, da una<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

strenua volontà di capire, per portare quel mondo di ricordi così labile e sfuggente, al livello della ragione e<br />

della storia" (Salinari).<br />

Nel complesso tutta la vicenda matura una specie di vocazione masochistica, attraverso una curiosità<br />

inappagata per il mondo misterioso del sesso, per cui si spiega nel protagonista quella sua predestinazione a<br />

sfuggire le responsabilità, restandosene a guardare "dietro la porta", mentre gli altri gli mostrano la realtà<br />

come vogliono.<br />

Il tema della solitudine e del suicidio, in una metafora secondo cui al di là della morte c'è la perfezione, trova<br />

una nuova dimensione letteraria ne L'airone (1968). Questa volta il protagonista è un ebreo agrario deluso e<br />

sconfitto, Edgardo Limentani, proprietario terriero della bassa padana ferrarese, di circa quarantacinque anni,<br />

il quale una domenica d'inverno vive la sua ultima parabola di vita fino al suicidio.<br />

Nel giro di un giorno Edgardo ripercorre tutto intero il ciclo cosmico dalla vita alla morte. Bassani ha<br />

analizzato e rappresentato minuziosamente tutte le azioni e le meditazioni del suo protagonista, per scoprire<br />

il senso dell’ineluttabilità deltempesta delle persecuzioni viene a distruggere questo estremo rifugio in un suo<br />

destino di morte.<br />

Edgardo si sveglia all'alba di una domenica per andare a caccia. Una breve visita alla stanza della moglie e<br />

un saluto alla figlioletta ancora addormentata, d'un tratto fu oppresso da un'angoscia indicibile, da una<br />

desolazione senza rimedio. Non sapeva perché. Era come se qualcuno, all'improvviso e in silenzio, gli si<br />

fosse buttato addosso. Come se fosse stato aggredito da una bestia.<br />

Discende in portineria, conversa col portinaio, poi va al caffè, accenna alle sue disgrazie familiari, poi la<br />

meditazione:<br />

Oh, se avesse potuto nonostante tutto restare là, al caldo della portineria, nascosto ai suoi di casa e a<br />

chiunque altro fino a sera! In cambio avrebbe dato qualunque cosa.<br />

La telefonata in casa del cugino Ulderico, permettendogli di scambiare alcune frasi con uno dei bambini, , gli<br />

dà tutta la misura della sua disperata sete affettiva. Così egli resta in uno stato di pigrizia mentale sino a<br />

quando il bracciante Gavino, che lo accompagna alla caccia, uccide un airone<br />

Davanti a quell'airone ferito a morte Edgardo comincia a riconoscere la condizione psicologica di se stesso.<br />

"…Ferito, […] destinato a morire, […], sembra ancora capace nella memoria di una libertà sconfinata,<br />

[…]. La sua povera fragilità, ossa e piume, si trasforma in una immagine del sacro, riscattata alla verità dal<br />

suo stesso essere vittima. C'è un al di là della storia ove i vinti sino in fondo, i perduti, trovano giustizia per<br />

il loro semplice "essere stati" […]. Nella morte è non soltanto la pace liberatrice dal fastidioso tedio del<br />

vivere, ma qualche cosa di più inebriante e risolutivo, la verità. La poesia dell'Airone trova il suo spazio nel<br />

cerchio di tale metafora" (Pampaloni).<br />

LA POETICA<br />

Il suo noviziato fu lungo e assai meditato, cadendo tra gli anni della seconda guerra mondiale, la Resistenza,<br />

la prigione, la tragica vicenda delle vittime del nazismo; poi ci fu il tirocinio poetico, che risalendo a Montale<br />

non poteva non cantare il male di vivere e la preghiera al Dio che governa le sorti della storia e lascia alle<br />

anime il loro destino di morte.<br />

Le sue prime poesie oscillano tra un'intonazione ermetica e una sensibilità crepuscolare. La sua ispirazione è<br />

nutrita di profonde esigenze morali, giustificate dalla sua condizione di antifascista e di israelita che ha tratto<br />

dalla realtà della sua esperienza un senso amaro della sconfitta e del dolore, pur senza rinunciare alla protesta<br />

dello spirito. Ovviamente questa esperienza, sofferta da lui nella carne e nello spirito, meditata attraverso un<br />

acuto senso critico, non venne trascritta nelle forme documentarie del Neorealismo, bensì filtrata attraverso<br />

una lunga meditazione culturale; per cui si può affermare che le prime prose e le poesie di Bassani, in un<br />

certo senso anticipano, anche sul piano cronologico, la tematica e la natura lirica dello stile delle sue opere<br />

narrative mature.<br />

LA TEMATICA<br />

Bassani, dopo un breve tirocinio lirico si è dato quasi interamente alla narrativa col proposito di ritrarre la<br />

realtà, ma attraverso il filtro della memoria, interpretando, fatti e figure reali di vita cittadina in funzione<br />

della propria storia interna, della sua solitudine elegiaca sullo sfondo di una documentata prospettiva di una<br />

società e di un costume borghese.<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

Ma la sua poetica lo tiene lontano tanto dal memorialismo quanto dal Realismo, poiché "quella memoria non<br />

si lascia mai, o quasi mai, andare al piacere dell'evocazione per l'evocazione, non è una memoria magica<br />

ma una memoria giudice, permeata di senso critico e di ironia, anche se la sua introspettività avvolge i fatti<br />

in una rete sottilissima di rifrazioni; e la cronaca, il documento, d'altro lato, sono volti a significare, la sua<br />

concezione della vita, pessimistica di un pessimismo che è in stretto rapporto con l'origine israelitica di<br />

Bassani, con quel senso di solitudine, di tristezza proprio della sua gente antica.<br />

Una concezione, che le persecuzioni razziali del Fascismo acuirono, portandolo ad una ribellione che, ancor<br />

prima di tradursi in azione partigiana, fu ideologica e morale: e ciò spiega come la sua narrativa, si<br />

riallaccia alla letteratura della Resistenza, con speciale riguardo, appunto, alla comunità ebraica ferrarese<br />

[...]. Narrativa nata con piena consapevolezza di ciò che si prefiggeva, senza incertezze e sprechi: sotto<br />

l'urgere di quelle drammatiche vicende la sua educazione letteraria fu tutta una cosa con la sua formazione<br />

morale; ed egli, pur rifuggendo da ogni abbandono sentimentale o sfogo polemico, e anzi proponendosi un<br />

classico rigore formale, è rimasto sensibile all'esigenza romantica di una letteratura come confessione e<br />

documento umano. Pertanto, se psicologismo e intimismo sono gli elementi principali della sua arte,<br />

l'oggettività, il distacco espressivo restano il suo fine: non per nulla gli scrittori della cui lezione più sembra<br />

essersi giovato, sono James da un lato e Flaubert dall'altro" (Bocelli).<br />

Tema centrale, ormai definitivamente assunto da lui, è il mondo ebraico di Ferrara durante il regime fascista;<br />

protagonisti sono quasi sempre vedove, perseguitati razziali, maestrine socialiste, cioè tutta gente dal cuore<br />

semplice, sopraffatta dalla vicenda storica e vinta ab aeterno, per un triste destino di razza.<br />

"La storia, la società dell'uomo, gli si configurano come un misterioso recinto che l'uomo può rifiutare di<br />

ritenere accettabile ma da cui non può uscire, alla cui costruzione può negare la sua collaborazione ma<br />

dalle cui mura non potrà seguitare a non essere costretto. Storia e coscienza individuale si pongono come<br />

mondi non comunicanti, luoghi della durezza del vero e dell'incanto del sogno, della permanenza nel<br />

dramma e della fuga nell'idillio" (Manacorda).<br />

In conclusione, possiamo dire che in Bassani - diversamente da Cassola, anche lui poeta della solitudine -<br />

sopravvivono molte suggestioni decadenti, non solo per la costante predilezione per i ceti borghesi e la sua<br />

difficoltà ad aderire al mondo proletario, ma soprattutto per la sua inquietudine religiosa, per il senso<br />

ossessivo della morte e della caducità delle cose, per il gusto della memoria che ricostruisce nell'elegiaca<br />

rievocazione del tempo passato la instabilità delle cose amate, e per il suo sempre presente autobiografismo<br />

inteso come coscienza drammatica e pessimistica della vita.<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Giorgio BASSANI Cod.<br />

Ciclo de “<strong>IL</strong> ROMANZO DI FERRARA”<br />

Cinque storie ferraresi 1956<br />

Gli occhiali d'oro 1958<br />

Il giardini dei Finzi Contini<br />

1962<br />

RP090<br />

ET047<br />

Dietro la porta 1964<br />

L'airone 1968<br />

L'odore del fieno 1972<br />

ALTRI TITOLI<br />

Storie dei poveri amanti e altri versi 1945<br />

La passeggiata prima di cena 1953<br />

Gli ultimi anni di Clelia Trotti 1955<br />

In gran segreto 1978<br />

In rima e senza 1982<br />

Di là dal cuore 1984<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

CARLO BERNARI<br />

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida<br />

Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag.<br />

949-958)<br />

LA VITA<br />

Carlo Bernari è nato a Napoli il 13 ottobre 1909 da famiglia di<br />

origine francese. Il padre dirigeva un'azienda per la lavorazione e la<br />

tintura dei tessuti; ed è assai probabile che i primi elementi della sua<br />

formazione di scrittore interessato ai problemi degli operai<br />

meridionali egli li abbia attinti in quella piccola fabbrica. A tredici<br />

anni Bernari si vide sbarrata la strada della scuola per un decreto di<br />

espulsione con la calunniosa accusa di aver sobillato i compagni di<br />

classe. Questa crisi scolastica ha fatto di lui sostanzialmente un<br />

autodidatta, ma un autodidatta che ebbe contatti diretti con gli<br />

intellettuali napoletani del tempo, fra cui B.Croce.<br />

Fra il 1930 e il 1932 Bernari fu in Francia, dove ebbe rapporti con i<br />

maggiori scrittori dell'avanguardia francese: Bréton, Aragon, Eluard.<br />

Questo soggiorno parigino ebbe una notevole importanza per la<br />

genesi della sua prima opera importante, Tre operai (1934): certa<br />

spavalderia sintattica appartiene indubbiamente a quel generale sentimento<br />

di spregio per le norme costituite, per le grammatiche<br />

chiuse; lo stesso per quanto attiene alle spericolatezze avanguardistiche<br />

che non arretravano davanti a qualsiasi contaminazione; e<br />

così pure per quel clima etico-politico che l'antifascismo in esilio restituiva all'Italia dalle rive della Senna.<br />

Dal 1934 Bernari fu schedatore di libri antichi e funzionario della Hoepli antiquaria e dal '39-'41 redattore<br />

capo con Grandi di “Circoli” e poi del settimanale di Mondadori Tempo.<br />

Alla fine della seconda guerra mondiale, Bernari riprese la sua attività di giornalista e di narratore, che<br />

culminò in un famoso viaggio in Cina nel 1955 per incarico de L’Europeo. Da allora i successi non gli sono<br />

mancati: infatti, Tre operai ebbe il riconoscimento di un premio dell'Accademia d'Italia; Tre casi sospetti il<br />

premio Brera del 1946; Speranzella il premio Viareggio del 1950; Vesuvio e pane il premio Salento del<br />

1952; Amore amaro il premio Borselli del 1960. Ha collaborato ancora a numerose riviste occupandosi<br />

anche di cinema come sceneggiatore e regista. E’ morto a Roma nel 1992.<br />

LE OPERE<br />

Come letterato Bernari è uno dei maggiori narratori meridionalisti; e, anche se è discutibile che egli sia uno<br />

dei precursori e maestri del nostro Neorealismo con Tre operai (1934), certamente rivela una singolare<br />

capacità di osservare uomini e cose alla luce di una sua personale visione delle vicende umane, non perdendo<br />

mai di vista il rapporto sociale dell'uomo tra gli uomini, dell'uomo alienato dalla fabbrica e dal lavoro.<br />

Si è detto da parte di certa critica che il mondo di Tre operai è di purissima marca crepuscolare ma<br />

sostanzialmente il romanzo di Bernari portava all'attenzione del pubblico la vita stentata del proletariato<br />

napoletano-italiano, anche se vagamente precisato nella geografia, ispirato dalla lettura intensa dei più<br />

importanti romanzi europei e americani di allora. Merito di Bernari fu di aver dato, con Tre operai, un<br />

contributo notevole ad ampliare gli orizzonti della nostra letteratura che pareva volersi ancorare nei limiti di<br />

un nazionalismo gretto, aiutandola ad aderire alle ragioni più vere del nostro tempo. Il dramma del<br />

dopoguerra gli appariva come dramma comune di tutti i popoli.<br />

Il secondo romanzo, Quasi un secolo (1940), racconta la storia di una famiglia inquadrata nelle vicende<br />

storiche dopo l'unità d'Italia. Qui l'autore rivela una notevole capacità di comporre in grandi architetture ben<br />

delineate, fatti, emozioni, immagini della fantasia, senza mai concedere nulla all'estro e all'improvvisazione,<br />

in una forma vigile e talvolta anche molto elaborata.<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

Questo romanzo racconta la storia di una famiglia che, attraverso tre generazioni, era stata protagonista<br />

diretta e indiretta di vicende drammatiche e cruente inquadrate nella vita del popolo italiano: sono gli anni in<br />

cui cade la Destra, si sgretolano i partiti che avevano fatto l'unità d'Italia, viene a mancare ogni ragione<br />

pubblica di coesione nella società italiana, mentre prevalgono sempre di più le ragioni private delle famiglie.<br />

La produzione narrativa di Bernari torna ad attirare interesse negli anni successivi alla seconda guerra<br />

mondiale con i seguenti libri: Tre casi sospetti (1946), Prologo alle tenebre (1947), Speranzella (1949),<br />

Vesuvio e pane (1952); nonché opere minori, come Napoli guerra e pace (1945) e Siamo tutti bambini<br />

(1951), che riprendeva vecchi suoi racconti.<br />

Tre casi sospetti, la cui prima stesura risale agli anni tra il 1939 e il '42, mette in rapporto tre personaggi<br />

tipici - un operaio, un muratore e un impiegato con la società borghese, attraverso una serie di storie allusive<br />

e vicende umane, in cui spesso realtà e favola sembrano confondersi.<br />

Il romanzo Prologo alle tenebre, composto tra il 1943 e il '46, fu pubblicato nel '47, ed è la storia di quel<br />

tempo favoloso in cui si cospirava per una libertà più pura. Si svolge a Napoli durante gli ultimi anni della<br />

guerra ed è imperniato sulle vicende di cinque personaggi che sono legati ad un segreto. Pur essendo un<br />

grande affresco della vita napoletana, rappresentata nei suoi aspetti più significativi ed essenziali, vi si sente<br />

lo scontro fra due culture, quella idealistica e quella del clandestino.<br />

Il romanzo Speranzella (1949) fu pubblicato nello stesso anno in cui ottenne il premio Viareggio (1950). E’<br />

la storia di Napoli in un momento particolare della sua vita millenaria, cioè la lotta politica per il referendum<br />

costituzionale del 1946.. Qui la Napoli con le sue tradizioni, col suo patrimonio tipico di arguta miseria,<br />

viene messa in netto contrasto col tempo reale in cui sorgono le esigenze di una nuova società. Bernari si è<br />

soffermato su una antica via di Napoli che si chiama Speranzella, traendone tutta una materia drammatica e<br />

disperata, tutto il tumulto di passioni, di sentimenti e di contraddizioni, tipici della Napoli del dopoguerra.<br />

Il grosso romanzo, Vesuvio e pane (1952) è diviso in cinque libri (Si vende Napoli per due soldi, Debito<br />

sopra debito, Vedi Napoli e poi muori, Il ventre della Vacca, Napoli è sempre Napoli).<br />

Diversamente dalla letteratura napoletana d'altri tempi che si risolveva tutta nel comico, questa di Bernari si<br />

esprime in una presa di coscienza dolorosa della realtà e della situazione di fatto in cui i personaggi<br />

napoletani vivono e soffrono, pur nella loro apparente ilarità, in una condizione grave di miseria. E l'intento<br />

dello scrittore è quello di percorrere il mondo napoletano in tutti i suoi aspetti mondani, non più con l'animo<br />

del bozzettista ottocentesco, ma con la mentalità razionale e politicamente critica. Con questo romanzo<br />

Bernari chiudeva la sua lunga stagione neorealista.<br />

I suoi due successivi romanzi, Domani e poi domani (1957) e Amore amaro (1958), escono dal mondo<br />

napoletano e si collocano in una dimensione più generale del problema meridionale. Infatti il primo è<br />

ambientato nelle Puglie nell'immediato dopoguerra, nel clima delle lotte monarchiche. Anche qui il narratore<br />

conduce il suo racconto su due dimensioni: quella privata e quella pubblica. La storia del vecchio Monaco,<br />

che si è innamorato di una giovane, da una parte è condotta come un soliloquio continuo dell'uomo con se<br />

stesso, sul destino che lo attende e sul senso degli anni che ancora dovrà vivere. Ed egli, per non restare<br />

vittima delle consuetudini meridionali, cede al fascino di un amore impossibile che, tuttavia, non gli consente<br />

di rivivere una nuova giovinezza. In tal modo Bernari ha saputo inserire nel racconto la parabola di tutta una<br />

vita di due generazioni di una società meridionale. Un romanzo, questo del Bernari, assai diverso dai<br />

precedenti, quasi tutto in chiave psicologica ed esistenziale.<br />

Del resto tale spirito di osservatore psicologico, oltre che sociale e politico, si è potuto notare anche nel suo<br />

libro di viaggio, Il gigante Cina (1957), il cui intento è stato quello di riportare “alla luce il senso di una<br />

dimenticata civiltà popolare, di un costume di vita sconosciuto, di un nuovo modo di concepire la vita<br />

sociale, di nuovi rapporti tra gli uomini” (VIRDIA).<br />

Il romanzo Amore amaro (1958) è la storia di una bellissima vedova, Renata, avanti negli anni, amata<br />

disperatamente da un giovane, sullo sfondo dì una Roma ambigua. Renata è ritratta con tutti i suoi pregiudizi<br />

borghesi in una continua lotta interiore tra amore e non amore a causa della differenza d'età e della consapevolezza<br />

della caducità dì quel sentimento; il giovane innamorato, Ugo, travolto dal suo amore va alla<br />

ricerca delle ragioni di quel sentimento singolare. Tra di loro si inserisce la figura del figlio della vedova,<br />

fisicamente e moralmente infelice, il quale si lega all'uomo della madre con un abbandono tra filiale e fraterno,<br />

quasi a far comprendere meglio il senso dell'amore che quello nutre per la madre e farne constatare l'amarezza.<br />

Sarà proprio Vittorio, il figlio della vedova, a convincere Ugo ad allontanarsi dalla vita di Renata.<br />

“Libro impegnativo sul piano psicologico, proprio laddove aveva dimostrato una certa carenza di<br />

approfondimento, a vantaggio dell'indagine storica: nel ricambio poi di crudeltà e pietà, e nel distendersi di<br />

questo rapporto, Bernari ha rivelato forti e coscienti doti di narratore: essendo riuscito a cogliere, nella<br />

caducità dei rapporti umani, il disperato contrasto della vita” (Mauro).<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

Il volume Bibbia napoletana (1960) rappresenta ancora la vita pulsante di Napoli, e le sue suggestioni, senza<br />

mai cadere in quella retorica dei luoghi comuni e tradizionali che ha tratto in inganno tanti scrittori<br />

meridionali. Bernari non è uno scrittore napoletano che se ne sta alla finestra a contemplare fino alla nausea i<br />

vicoli e i fondaci di Napoli, o scende in mezzo al popolo per confondersi con esso; è soprattutto una mente<br />

critica, pensosa di problemi umani e sociali, che ha trovato nella Napoli fascista e del dopoguerra il teatro<br />

onde presentare la sua umanità e la sua visione della vita. Anche il suo singolare e vivo linguaggio narrativo<br />

e parlato gli sale dalla sua città, ma egli lo ha così bene arricchito con la sua cultura letteraria, da farne un<br />

nuovo e originale linguaggio artistico, in cui lingua e dialetto si arricchiscono e si vivificano a vicenda.<br />

Infine ha pubblicato nel 1964, Era l'anno del sole questo; Un foro nel parabrezza (1971); Tanto la<br />

rivoluzione non scoppierà (1976), Napoli silenzio e grida (1977) e Il giorno degli assassini (1980).<br />

LA POETICA<br />

In Tre operai è presente l’influenza di autori americani e eurpoei :“Di Doeblin e Dos Passos erano certa<br />

crudezza di tono, il taglio quasi cinematografico del racconto, le condizioni di quegli operai, il clima che, in<br />

quegli scrittori, era il risultato più immediato della prima guerra mondiale che aveva visto, col crollo<br />

dell'Impero austriaco, il disagio e l'irrequietezza di una classe non ancora matura e organizzata” (Tanda)<br />

Il suo libro, era in realtà lo specchio di quel clima di generale incertezza che dava luogo a speculazioni di<br />

carattere esistenziale, sintomo non manifestamente politico quanto psicologico delle condizioni storiche di<br />

regimi i cui presupposti mettevano dichiaratamente in forse l'esistenza dell'uomo.<br />

L’importanza di Quasi un secolo probabilmente consiste nell'indicare la seconda direzione della sua vena<br />

narrativa; infatti, la prima, in Tre operai, si era dimostrata chiaramente impegnata nel presente, attenta a<br />

cogliere e a sperimentare nella fantasia la problematica e la mitografia del proprio tempo; la seconda, invece,<br />

è “impegnata in un paziente lavoro di scavo nel passato, nel tentativo di giungere ad una prospettiva più<br />

esatta, di seguire il cammino inverso, dalla storia alla cronaca, facendo rivivere fatti, vicende, sentimenti in<br />

una loro dimensione spaziale e temporale.” (Tanda)<br />

Notevole anche l'originalità del linguaggio narrativo di Bernari, non solo per quella carica di dialetto<br />

napoletano che si rileva anche nella sua sintassi italiana, ma soprattutto per una singolare scarnificazione e<br />

semplificazione della parola ridotta alla sua essenzialità oggettiva.<br />

Proprio per il problema del linguaggio la critica si è soffermata su Speranzella, caratterizzato da un continuo<br />

scambio tra forma letteraria e forma dialettale, tra lingua scritta e lingua parlata.<br />

LA TEMATICA<br />

Riuscirebbe riduttivo distinguere separatamente i motivi tematici della narrativa di Carlo Bernari, giacché<br />

tutti, lavoro, amore, fabbrica, storia, cronaca, meridione, sono strettamente collegati tra loro in una fittissima<br />

rete di rapporti che non è possibile smagliare se si vuole che il discorso abbia una sua validità e un suo<br />

equilibrio.<br />

Tema fondamentale di tutta l'opera di Bernari è indubbiamente il rapporto individuo/società, rappresentato in<br />

varie accezioni, ma sempre in una sua fase di tensione, solo dalla quale può sgorgare il giudizio morale.<br />

Data la visione chiaramente marxiana di Bernari, il rapporto tra individuo e "sistema" non costituisce<br />

l'accostamento di due entità metastoriche tra loro nettamente separate, ma uno scontro tra forze reali sempre<br />

ben identificato storicamente.<br />

Paura, segreto, incomunicabilità, disperazione connessa a fame fisica e morale sono singole manifestazioni<br />

di una aberrante situazione di tensione.<br />

Segreto e incomunicabilità troviamo in Tre operai, nell'incomprensione - o non volontà di comprensione -<br />

che governa le unioni dei personaggi; i soli momenti di "comunicazione" sono, o piuttosto potrebbero essere,<br />

quelli della rivoluzione - altro elemento tematico - e dell'amore. Paura, segreto, incomunicabilità dominano<br />

anche Tre casi sospetti e Prologo alle tenebre, dove è descritta la funzione disgregatrice che questi tre<br />

elementi operano sugli individui, e in Prologo costituiscono l'ossatura stessa del romanzo, nel quale<br />

l'elemento paura si articola nella sua connotazione storica e in quella metafisica, esistenziale.<br />

In Speranzella, il discorso di fondo non muta: la trama del romanzo è infatti tutta intessuta di paure, di<br />

segreti, di sconfitte.<br />

Una paura sottile è anche alla base di Amore amaro, al punto da prevaricare l'elemento dell’amore che<br />

dovrebbe a norma del titolo risultare il più appariscente.<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

Il fallimento è un elemento che torna puntualmente in ogni opera di Bernari, ma non si tratta di un nuovo,<br />

più ampio "ciclo dei vinti"; Bernari non carica cioè i suoi personaggi di una teoria precostituita non li forza<br />

negli schemi di un chiuso fatalismo. La sua è soprattutto un'indagine di verità, nel senso che la sua attenzione<br />

va alle forze che determinano il fallimento, non al fallimento di per sé.<br />

Nei personaggi di Bernari il fallimento rappresenta soltanto un punto di sutura tra un ciclo e l'altro, nel senso<br />

che a quel punto s'inizia o potrebbe comunque iniziare un'altra storia o un'altra fase della stessa storia, il cui<br />

andamento potrebbe anche essere diverso qualora ne siano mutate le condizioni storiche o qualora<br />

l'esperienza vissuta sia messa a frutto. E c'è sempre o quasi sempre il motivo della diaspora, dell'allontanamento<br />

verso un altro luogo, che solitamente è il Nord, dove è facile trovare lavoro; ma può essere<br />

occasionalmente anche il Sud mentre di solito è il luogo d'origine, cui il deluso torna come al grembo materno<br />

dopo la sconfitta anche nell'esperienza negativa le storie di Bernari non possono considerarsi pessimiste:<br />

c'è sempre un filo di speranza. A Bernari interessa, piú della conclusione, tutto quanto sta a monte e<br />

porta al fallimento, le cause collettive e individuali di esso. Un altro dei cardini dell'intera produzione letteraria<br />

di Bernari è il meridione e i suoi problemi. L'atteggiamento dello scrittore nei confronti della realtà, i<br />

suoi studi, le sue frequentazioni di meridionalista trovano spazio costante nella sua narrativa, ma anche in<br />

libri particolari dove il profilo saggistico o direttamente polemico è preminente, come Napoli pace e guerra,<br />

Bibbia napoletana, Non gettate via la scala, Napoli silenzio e grida. L’ultimo romanzo si configura come<br />

compendio di tutti i motivi bernariani; con in più una conclusione, stavolta, nuova ma terribile: la<br />

convinzione che ormai " per essa verità non vi è altro premio che la morte.<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO: NARRATIVA<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Tre operai 1934<br />

Quasi un secolo 1936<br />

Il pedaggio si paga all'altra sponda 1943<br />

Tre casi sospetti 1946<br />

Prologo alle tenebre 1947<br />

Speranzella 1949<br />

Siamo tutti bambini 1951<br />

Vesuvio e pane 1952<br />

Domani e poi domani 1952<br />

Amore amaro 1958<br />

Era l'anno del sole quieto 1964<br />

Per cause imprecisate 1965<br />

Le radiose giornate 1969<br />

Alberone eroe e altri racconti non<br />

1971<br />

esemplari<br />

Un foro nel parabrezza 1971<br />

Tanto la rivoluzione non scoppierà 1976<br />

26 cose in versi 1977 poesia<br />

Dall'Etna al Vesuvio 1978<br />

Il cronista giudizioso 1979<br />

Dal Tevere al Po 1980<br />

Il giorno degli assassinii 1980<br />

Il grande letto 1988<br />

L'ombra del suicidio (Lo strano Conserti) 1993<br />

Carlo BERNARI Cod.<br />

romanzo inedito del (1936)<br />

pubblicato postumo<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

VITALIANO BRANCATI<br />

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida<br />

Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag.<br />

757-758 764-766)<br />

LA VITA<br />

Vitaliano Brancati nacque a Pachino (Siracusa) nel 1907, ma trascorse<br />

gran parte della adolescenza e della giovinezza a Catania. Il padre era<br />

avvocato e scrittore di novelle e di articoli di varia letteratura; il nonno<br />

materno era autore di poesie in vernacolo. In quell'ambiente familiare<br />

borghese la sua prima adolescenza trascorse piuttosto nell'isolamento dai<br />

giovani e nella consuetudine con persone anziane. Il primo trauma della<br />

sua giovinezza è avvertito al primo sorgere dei moti fascisti che turbano<br />

la sua famiglia e al contatto con la cultura dell'ambiente catanese. Gli<br />

inizi della sua carriera di scrittore furono alquanto incerti e contraddittori:<br />

dapprima egli fu dominato dall'influenza di dottrine vitalistiche e<br />

nietzschiane, e le sue prime opere, il dramma Piave e il romanzo L'amico<br />

del vincitore, dimostrano molta simpatia per il regime fascista: cosa del<br />

resto attestata anche dal poema drammatico intitolato Fedor (1924). Nel<br />

1929 si laureò a Catania in Lettere con una tesi su De Roberto ottenendo<br />

il massimo dei voti e la lode. Si recò a Roma ed entrò nella redazione de<br />

"Il Tevere" e nelle grazie dei fascisti. Nel 1933 venne nominato<br />

professore di Italiano in un <strong>Istituto</strong> Magistrale di Roma. Intanto entrava in contatto con ambienti di cultura<br />

più aperti e progressivi di quelli della sua Catania e si svincolava gradatamente di certi complessi isolani.<br />

Nello stesso anno scriveva il romanzo Singolare avventura di viaggio, che, pubblicato nel 1934, veniva<br />

subito sequestrato dalla censura per immoralità. Anche una sua commedia, Don Giovanni involontario,<br />

veniva boicottata al Teatro delle Arti a Roma per le allusioni a un gerarca.<br />

Intanto si era trasferito a Caltanissetta e, tra il 1934 e il '36, scriveva il romanzo Gli anni perduti, in cui<br />

cominciava l'esame critico della noia della vita siciliana in provincia: nel frattempo, il contatto con i circoli<br />

liberali e crociani lo distaccava dalle posizioni politiche giovanili, infondendogli quella carica di moralismo<br />

che gli farà vedere in un'altra dimensione culturale la vita e i costumi della sua Catania. Dal 1937,<br />

allontanatosi ormai dal fascismo, intraprese l'insegnamento scolastico in istituti magistrali, a Caltanisetta e a<br />

Catania. Trasferitosi a Roma nel 1941, si dedicò anche alla stesura di testi drammatici: nel 1942 conobbe<br />

l'attrice Anna Proclemer che sposò nel 1946, quando, ala fine della guerra si stabilì definitivamente a Roma.<br />

Continuò a scrivere su per giornali e riviste, schierandosi su posizione di liberalismo radicale: dal 1948 iniziò<br />

a collaborare al Corriere della Sera e dal '49 a Il Mondo; lavorò ancora per il teatro e per il cinema e fu<br />

molto amareggiato dal caso sollevato dalla sua commedia La governante, scritta nel 1952 e bloccata dalla<br />

censura teatrale e che pubblicò facendola precedere da uno scritto polemico, Ritorno alla censura. Difficile<br />

diveniva anche la sua vita privata per la separazione dalla moglie e per il sopraggiungere di una grave<br />

malattia: la sua attività fu troncata dalla morte, avvenuta a Torino durante una operazione chirurgica, il 25<br />

settembre 1954.<br />

LA TEMATICA<br />

Se il meridionalismo di Alvaro è lirico e quello di Silone sociale, il meridionalismo di Brancati è ironico e<br />

moralistico. Egli rappresenta la vita pigra e sonnolenta della provincia siciliana, perlopiù concentrandosi<br />

nella rappresentazione del "gallismo" e dell'ossessione della donna e dell'eros. Il moralismo si stempera però<br />

in una caricatura in fondo non priva di qualche adesione e simpatia per i suoi eroi. Così, talora, la comicità si<br />

trasforma in amaro umorismo, lasciando intravedere una prospettiva esistenziale e psicologica e la lezione<br />

pirandelliana: in questi casi (per esempio nel Bell'<strong>Antonio</strong>) l'autore riesce a cogliere la scissione della<br />

personalità nella maschera, nella divaricazione fra realtà interiore, fatta di dubbi e di angosce, e la necessità<br />

di adeguarsi alle convenzioni piccolo borghesi.<br />

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Il primo libro della trilogia del “gallismo", che lo impose all'attenzione della critica e che dimostrò le sue<br />

positive qualità di narratore, fu il romanzo Don Giovanni in Sicilia (1941). Il distacco dal Fascismo era già<br />

avvenuto, ma, non avendo egli il coraggio del gesto clamoroso, preferì seguire le linee del suo romanzo<br />

precedente calando la vicenda nel vivo del mondo provinciale. Nel formulare la psicologia dei suoi<br />

personaggi, tutti antieroi e velleitari, egli esprimeva a modo suo un giudizio negativo sulla società fascista. In<br />

una presentazione beffarda e divertita della vita, delle abitudini e dei personaggi della Sicilia, egli ci presenta<br />

una società borghese estremamente lontana da quella voluta dalla ideologia fascista. "Lo stesso "gallismo"<br />

che è uno degli aspetti più importanti del racconto e dà il via alle variazioni su questo tema dei due romanzi<br />

successivi, ha il preciso significato di contrapporre al vitalismo politico del gerarca in orbace e camicia<br />

nera, la vitalità più umana di una sensualità che, però, per altra via, finisce col diventare un'ossessione"<br />

(LAURETTA).<br />

Nel Bell'Antonío (1949) il tema politico e il tema erotico, più congeniale alla poetica di Brancati, trovano<br />

modo di arricchirsi a vicenda, modificando e variando in un certo senso la consueta tematica dell'erotismo,<br />

del gallismo e dell'impotenza sessuale. Perché anche in questo ameno romanzo il tema del gallismo è ossessivo<br />

nel padre del Bell'<strong>Antonio</strong>, un tipo sanguigno, gallo per indole, se è vero che ha molti figli naturali in<br />

giro, che alla fine, durante un bombardamento, pur essendo vecchio settantenne, se ne va a morire in casa di<br />

una povera prostituta, affinché da morto salvi l'onore e la dignità erotica del suo nome. Ed è ossessivo anche<br />

in <strong>Antonio</strong>, in quanto genera la sua malinconia, dovuta all'ansia per una felicità sensuale di cui gli è negato<br />

godere.<br />

Che le tre matrici fondamentali della sua arte e a lui più congeniali, quella del gallismo, quella della politica<br />

e quella del moralismo, qui confluiscano in modo unitario dando alla narrazione una freschezza e una<br />

vivacità dialogica, ravvivata, peraltro da una sintassi ambivalente derivata dal dialetto e dalla cultura, è cosa<br />

già messa in luce dalla critica. Ma quel che qui conta, è soprattutto il fatto che il gallismo siciliano non è più<br />

visto fine a se stesso, bensì è l'equivalente sessuale del velleitarismo e del gallismo politico dei fascisti, di<br />

modo che giovinezza, capacità sessuale, vigore maschio, potenza politica risultano deliziosamente intrecciati<br />

in una satira divertita, ma anche controllata dalla moralità di Brancati, che ha conosciuto la vergogna e la<br />

nausea del regime fascista<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

L'amico del vincitore 1932<br />

Singolare avventura di viaggio 1932<br />

In cerca di un sì 1939<br />

Gli anni perduti 1941<br />

Vitaliano BRANCATI Cod.<br />

Don Giovanni in Sicilia 1941 RP068<br />

Il vecchio con gli stivali 1945 OJ010<br />

Il bell'<strong>Antonio</strong> 1949<br />

Paolo il caldo 1955<br />

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ITALO CALVINO<br />

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida<br />

Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag.<br />

1247-1271)<br />

LA VITA<br />

Italo Calvino è nato a Santiago di Las Vegas (Cuba), vicino all'Avana,<br />

nel 1923, ma la sua famiglia si trasferì a Sanremo quando lui aveva<br />

meno di due anni. I suoi genitori erano professori di botanica e il fatto<br />

di esser vissuto fino a vent'anni a Sanremo in un giardino pieno di<br />

piante rare ed esotiche e per i boschi delle Prealpi liguri andando a<br />

caccia col padre, ha avuto un significato notevole nella sua opera narrativa.<br />

La guerra lo colse ancora ragazzo, ma la giovane età non gli<br />

impedì di partecipare alla lotta partigiana entrando nelle Brigate<br />

Garibaldi.<br />

La Resistenza segna il momento della maturazione di Calvino e il suo<br />

scontro con la storia, come la sua prima adolescenza era stata caratterizzata<br />

dalla scoperta della natura.<br />

Nel 1947 si laureò in Lettere a Torino e subito dopo fu assunto dalla<br />

casa editrice Einaudi, dove conobbe Pavese. Il suo primo libro, Il<br />

sentiero dei nidi di ragno, nato dall'esperienza partigiana e scritto in<br />

pochi giorni nel 1946, veniva pubblicato nel 1947 da Einaudi, e col battesimo di Pavese apparve su L'Unità.<br />

Il successo gli aprì la stima e l'amicizia di Vittorini. Si formò così il triangolo culturale Pavese-Calvino-<br />

Vittorini ma l'iscrizione di Calvino al Partito Comunista complicò i rapporti con Vittorini, specie dopo la<br />

morte repentina di Pavese (1950).<br />

Nel 1949 Calvino pubblicò i racconti Ultimo viene il corvo, che per certi motivi continuava la narrativa<br />

resistenziale, ma per l'accento avventuroso-fiabesco se ne allontanava . Ne nacque una breve polemica circa<br />

l'appartenenza di Calvino al Neorealismo. Poi fu la volta dei racconti, L'entrata in guerra (1954) e della<br />

raccolta Fiabe italiane (1956). Nel suo saggio Il midollo del leone (1955) Calvino evidenziava la necessità<br />

del rifiuto del letterato di lasciarsi coinvolgere nella cronaca quotidiana; il vero intellettuale per conservare la<br />

propria libertà di giudizio non deve diventare parte integrante di un partito; l'eroe positivo è il prodotto<br />

demagogico di una determinata ideologia. Anche nel Visconte dimezzato Calvino ha voluto dimostrare che<br />

l'eroe positivo, idealizzato dal Realismo socialista potrà essere anche utile per un messaggio politico, ma<br />

manca di umanità. Infatti il visconte solo quando sarà ridiventato un tutto intero potrà comprendere la<br />

dialettica della vita.<br />

Nel 1957, dopo il XX Congresso del PCUS, Calvino abbandonò il Partito Comunista e da allora si è sempre<br />

più appartato, non rinunciando però a guardare in faccia la realtà sociale italiana e a criticarla dall'alto. Nel<br />

febbraio del 1964 sposa all'Avana l'argentina Esther Judìth Singer e si trasferisce a Parigi.<br />

Muore il 19 settembre 1985 a Siena, colpito da emorragia cerebrale.<br />

LE OPERE<br />

Il sentiero dei nidi di ragno (1947) è la prima opera di Calvino e nasce da una polemica protesta davanti alla<br />

riscossa della mentalità piccolo-borghese del dopoguerra. "La segreta aspirazione di Calvino, nello scrivere<br />

questo libro, è cancellare se stesso, non sovrapporre cioè il suo io lirico-intellettuale, con tutto il carico di<br />

cultura che questa definizione comporta, all'io collettivo. Insomma, per non cadere nell'autobiografismo<br />

patetico, né nel documento, Calvino si fa narratore anonimo. Il sentiero dei nidi di ragno ha, nonostante i<br />

fatti storici raccontati, il tono e la struttura di una favola. L'ideologia c'è, la volontà di comunicare la<br />

grande esperienza sulla guerra civile c'è, ma è come assorbita dall'impianto favolistico... E' il tributo che<br />

Calvino paga all'impegno civile […], ma al tempo stesso rimane saldo il suo principio di non mitizzare la<br />

Resistenza, di non idoleggiarla, di non strumentalizzarla. La Resistenza è stata fatta da autentici eroi, con<br />

tetragoni ideali marxisti, ma anche da gente che non aveva alcuna idea politica, se non quella che<br />

estrinsecava dalla necessità istintiva di sentirsi liberi... L'umanità non è fatta di buoni e di cattivi divisi da<br />

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uno steccato: questo concetto dà luogo al razzismo, o al razzismo dell'antirazzismo. L’umanità è un<br />

miscuglio di bene e di male... (Bonura)<br />

Nel 1949 Calvino raccoglieva i racconti, già scritti in precedenza, in un volume dal titolo Ultimo viene il<br />

corvo. Lo stile è ancora quello del primo libro. Alcuni argomenti sono ancora quelli della Resistenza, come<br />

in Andata al comando e lo stesso Ultimo viene il corvo.<br />

Anche in questi racconti protagonisti sono sempre dei ragazzi, forse perché Calvino considera l'infanzia e<br />

l'adolescenza come il momento migliore della vita umana che si integra meglio con la natura.<br />

Nel 1954 Calvino pubblicava L'entrata in guerra, tre racconti, che poi, nel 1958, entreranno a far parte del<br />

grosso volume I racconti.<br />

Si tratta di una specie di viaggio a ritroso sulla sua maturazione politica. Dimostra che egli del Fascismo e<br />

delle tristi conseguenze della guerra inizialmente non aveva capito molto. Solo gradualmente,dopo una serie<br />

di esperienze negative, egli capisce la crisi morale che maturava in se stesso. Così il romanzo della sua<br />

adolescenza, attraverso il ricordo delle tante adunate fasciste, delle tante occasioni drammatiche e comiche,<br />

finisce con l'essere una parodistica e umoristica ricerca morale della maturazione dell'uomo antifascista.<br />

Nel 1952 Calvino pubblicava Il visconte dimezzato, una specie di scherzo fiabesco, che in realtà era un libro<br />

moralmente impegnato. Il visconte Medardo di Terralba, nel corso di una guerra tra Austria e Turchia, viene<br />

colpito da una cannonata turca e torna a casa dimezzato.<br />

Il visconte, a causa di questa orrenda mutilazione, diventa un criminale, ma quando riappare l'altra metà del<br />

suo corpo, quella buona, e si rinsalda al corpo con la metà cattiva, Medardo ritorna uomo intero un miscuglio<br />

di cattiveria e di bontà, non dissimile da quello che era prima di essere dimezzato.<br />

Dal 1954 al 1956 Calvino portò a termine un grosso lavoro filologico e narrativo, una raccolta di fiabe<br />

popolari italiane prese da tutti i dialetti. col titolo Fiabe italiane. Non si trattava soltanto di un lavoro<br />

filologico, bensì di una versione moderna di tutte le antiche fiabe, una ricerca della sua poetica narrativa,<br />

come dimostra la sua introduzione.<br />

Il gusto fiabesco assumeva un impegno morale ben più drammatico nel racconto Il barone rampante (1957).<br />

Si tratta di un giovane barone, Cosimo Piovasco di Rondò, il quale, il 15 giugno 1767, mentre siede a tavola<br />

rifiuta un piatto di lumache, che gli era stato servito dalla sorella e imposto dal padre. Al rifiuto, esplode<br />

terribile l'ira del padre. Breve periodo di punizione, poi altra offerta di lumache, altro deciso rifiuto e fuga del<br />

giovane barone sugli alberi, dove egli si arrampica come uno scoiattolo.<br />

Da quel giorno la vita di Cosimo trascorre sempre sugli alberi, osservando dall'alto la vita dei contadini, dei<br />

ladri, dei contrabbandieri, dei banditi, della sua stessa famiglia, con cui teneva frequenti contatti attraverso il<br />

soccorso del fratello minore. La protesta iniziale di Cosimo diventa man mano ribelle emancipazione da ogni<br />

forma di vita sociale, per una convivenza tutta allo stato di natura. Cosimo, viene alla fine ad aggrapparsi ad<br />

una mongolfiera inglese di passaggio e scompare in mare.<br />

Nel 1959 Calvino pubblicava Il cavaliere inesistente (che l'anno dopo farà trilogia con Il barone rampante e<br />

Il visconte dimezzato nel nuovo volume I nostri antenati). La vicenda è ambientata ai tempi di Carlo Magno.<br />

L'imperatore, passa in rassegna i suoi paladini, chiedendo a ciascuno nome e cognome e i paladini<br />

rispondono attentamente alle sue domande. Si ferma davanti ad un paladino chiuso in un'armatura tutta<br />

bianca con una righina nera che correva torno torno ai bordi. L'ìmperatore, rimasto interdetto davanti a tale<br />

armatura, ne chiede il motivo. Il cavaliere, senza rispondere alla domanda, pronuncia il suo nome lungo e<br />

complicato. Carlo Magno, non soddisfatto, chiede al cavaliere perché mai non alza la celata e non mostra la<br />

sua faccia. Quello risponde che egli non esiste.<br />

Il cavaliere inesistente è il simbolo dell'uomo contemporaneo che si identifica con la sua funzione, con quello<br />

che fa nella società, come il cavaliere si identifica totalmente con la sua linda armatura.<br />

Nel 1957 Calvino pubblicava un altro libro impegnato, La speculazione edilizia, affrontando un problema<br />

scottante della nuova società del benessere economico. Il racconto è ambientato negli anni del cosiddetto<br />

miracolo economico italiano. L’Italia si avviava ormai a diventare un paese industrializzato, con conseguente<br />

abbandono della campagna da parte dei contadini. Ma quella grande esplosione industriale avveniva alle<br />

spalle dei contadini inurbati, che accettavano salari irrisori pur di uscire dalla miseria della campagna. A quel<br />

clima di speculazione edilizia partecipano anche gli intellettuali in cerca di guadagni e l'intellettuale<br />

comunista Quinto Anfossi, avendo intenzione di vendere un appezzamento di terreno adiacente alla sua villa<br />

si reca in città (Sanremo) per combinare l'affare. In Anfossi Calvino ha voluto certamente rappresentare il<br />

fallimento dell'intellettuale italiano contemporaneo, che si è lasciato irretire nelle maglie del neocapitalismo,<br />

ritardando l'ascesa della classe operaia.<br />

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Nel 1958 Calvino pubblicava sulla rivista Officina il racconto I giovani del Po, che aveva scritto alcuni anni<br />

prima, tra il 1950 e il 1951. Il tema è comune a tanta narrativa di quel tempo. Nino, un giovane cresciuto<br />

nella riviera ligure, si reca a Torino per lavorare in un'industria e per buttarsi nella lotta di classe,<br />

partecipando alla costruzione di quell'uomo nuovo che si era formato agli ideali della Resistenza. Giunto a<br />

Torino, conosce e frequenta una ragazza, Giovanna, e gli amici di lei che appartengono tutti alla ricca<br />

borghesia. Tuttavia, anche se è preso dall'amore della ragazza e dal fascino della grande città industriale,<br />

nonostante la morte di Giovanna durante una manifestazione, non subisce alcuna crisi politica. Rimane, anzi,<br />

fino alla conclusione del racconto, un eroe positivo del Comunismo.<br />

Nel 1958 Calvino pubblicava I racconti, in cui riuniva tutti quelli scritti fra il 1945 e il 1958. Il volume è<br />

ordinato in quattro sezioni: Gli idilli difficili, Le memorie difficili, Gli amori difficili, La vita difficile.<br />

Questo è uno dei libri più significativi della poetica e dell'arte di Calvino, perché ci offre il senso amaro della<br />

realtà della vita attraverso una immaginazione festosa e umoristica che tende alla fiaba.<br />

Ne La giornata di uno scrutatore (1963) Calvino, in netta opposizione alla Neoavanguardia, con cui fu in<br />

forte polemica, ritorna alla moda del romanzo naturalista e intimista della nostra tradizione. Calvino in<br />

questo romanzo "lancia la sfida al labirinto, vale a dire cerca di rappresentare le persuasioni, le incertezze,<br />

le contraddizioni, gli impulsi dell'intellettuale contemporaneo, descrivendoci il labirinto in cui egli si muove,<br />

il groviglio dei problemi a cui non sa dare una risposta sicura, ma anche la sua volontà di non adagiarsi nel<br />

labirinto, di continuare a pensare e a lottare per uscirne" (C. Salinari)<br />

Lo spunto del romanzo è stato offerto da un'esperienza che Calvino ha fatto come scrutatore durante le<br />

elezioni politiche del 1953 presso l'<strong>Istituto</strong> Cottolengo, di Torino. Per la prima volta gli si apriva un mondo<br />

sconosciuto, quello dei malati cronici, che le suore, in una disperata eroica lotta contro la natura, cercano di<br />

curare. Quell'esperienza lo turba a fondo, in quanto egli intuisce il senso dell'amore nella sua qualità più alta;<br />

e non solo l'amore di un povero contadino che ogni domenica viene al Cottolengo a trovare il proprio figlio<br />

per imboccarlo affettuosamente - un amore, quindi, senza scelta, e senza alcuna speranza - ma anche l'amore<br />

delle suore "che, in quanto liberamente scelto in nome di qualcosa che lo supera, non conosce la sofferenza<br />

del vero sacrificio... Calvino non vuole dare delle soluzioni, ma solo esprime un'angoscia, che è l'apertura di<br />

una nuova dimensione: la dimensione dei sentimenti, oltre che delle idee." (Pullini)<br />

Ancora nel 1963 Calvino pubblicava Marcovaldo, ovvero Le Stagioni in città. Il libro comprende venti<br />

novelle, che costituiscono una trama fiabesca attorno alle esperienze di Marcovaldo, un povero diavolo,<br />

esiliato in città con numerosa prole, sempre affamata. In mezzo alla città di cemento e di asfalto Marcovaldo<br />

va in cerca della Natura. Quella che egli trova è una natura compromessa con la vita artificiale; Marcovaldo è<br />

concepito come personaggio buffo e insieme malinconico, il quale, in una serie di avventure, a mo' di<br />

vignette illustrate, di stagione in stagione sente sempre più alienarsi in un mondo disumano e innaturale.<br />

L’ultimo racconto, Luna e Gnac conclude col constatare che non c'è più posto sulla terra per una felicità<br />

naturale, per una libera armonia tra l'uomo e la natura.<br />

Nel 1965 con Le cosmicomiche Calvino affrontava un tipo di racconto fantascientifico, come una storia a<br />

ritroso sull'origine del mondo con le successive catastrofi. Protagonista è un vecchio-saggio-giovane, il quale<br />

rappresenta l'uomo dell’origine del mondo e della sua fine, come vuole la teoria scientifica secondo cui la<br />

distruzione dell'universo avverrà con lo stesso processo biofisico con cui è nato.<br />

Influenzato dallo strutturalismo, Calvino, attraverso un meccanismo combinatorio, dà luogo a un vero e<br />

proprio gioco di possibilità narrative nelle sue opere Il castello dei destini incrociati e Le città invisibili.<br />

Italo Calvino pubblicò Il castello dei destini incrociati (Torino, Einaudi, 1973) nel 1969; il testo letterario<br />

faceva da contrappunto alla riproduzione delle miniature d'un mazzo di carte di tarocchi quattrocenteschi.<br />

L'origine era proprio nelle sollecitazioni fantastiche offerte dai simboli del gioco. Allineando una serie di<br />

carte, lo scrittore vi riconosceva una storia compiuta, di cui era possibile interpretare verbalmente il<br />

significato. Una di queste carte poteva poi costituire il punto di partenza per un'altra storia; una terza si<br />

aggiungeva, incrociandosi alle precedenti, e così via, sino all'esaurimento del mazzo, che tutto dispiegato,<br />

presentava un insieme di intrecci narrativi leggibili in modo diverso a seconda della carta d'avvio [...]<br />

Nell'altro romanzo, Le città invisibili (1972), Calvino immagina che l'imperatore dei Tartari, Kublai Kan,<br />

ascolti i resoconti di Marco Polo sulle città che egli visita attraverso l'immenso impero conquistato con le<br />

armi. Quelle città invisibili per lui diventano visibili attraverso le descrizioni che ne fa Marco Polo e sono in<br />

netta antitesi con le città visibili in cui siamo costretti ad abitare ed in cui ognuno vive per non ricordarsi di<br />

vivere. E Marco Polo dice, meditando su questo inferno quotidiano: Due modi ci sono per non soffrirne. Il<br />

primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo<br />

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è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo<br />

all'inferno, non è inferno, farlo durare e dargli spazio.<br />

Nel 1979 Calvino ha pubblicato un singolare romanzo, Se una notte d'inverno un viaggiatore, in cui un<br />

Lettore e una Lettrice cercano di fare un romanzo ma il loro proposito viene sempre frustrato.<br />

"Un romanzo implica innanzitutto una trascrizione della realtà: ma quale realtà? Se la realtà si trasforma in<br />

continuazione, ecco, di qui, la necessità che anche il libro si trasformi. Se la realtà è un "vuoto" di cose<br />

anche il libro sarà un vuoto di parole. Se la realtà è un meccanismo che si ripete inutilmente all'infinito,<br />

anche il libro diverrà un meccanismo che si ripete inutilmente all'infinito." (G. De Rienzo)<br />

Successivamente, la sfiducia in una conoscenza globale del mondo fu da lui espressa in Palomar (1983).<br />

Purtroppo neanche il signor Palomar con tutte le sue analisi, riesce a sistemare ordinatamente la realtà.<br />

Identica consapevolezza di una realtà inafferrabile era stata espressa nei saggi Collezione di sabbia (1984).<br />

"Italo Calvino chiudeva il pezzo da cui appunto il volume prende il titolo, con una espressione che<br />

all'indomani della sua scomparsa, assume improvvisamente spessore, in un clima, quasi, di bilancio umano e<br />

letterario, anche se il pezzo risale al 1974: "Così, decifrando il diario della melanconica (o felice?) collezionista<br />

di sabbia sono arrivato a interrogarmi su cosa c'è scritto in quella sabbia di parole scritte che ho<br />

messo in fila nella mia vita, quella sabbia che adesso mi appare tanto lontana dalle spiagge e dai deserti del<br />

vivere. Forse fissando la sabbia come sabbia, le parole come parole, potremo avvicinarci a capire come e in<br />

che misura il mondo triturato ed eroso possa ancora trovarvi fondamento e modello Un sapore di consuntivo,<br />

al termine di un itinerario volto, oltre "il vento confuso del vissuto" e oltre "il frastuono delle<br />

sensazioni deformanti e aggressive"... a captare la sostanza sabbiosa di tutte le cose, .........<br />

Sempre nel genere narrativo esce nel 1986 Sotto il sole giaguaro.<br />

Tre racconti: Il nome, il naso; Sotto il sole giaguaro, Un re in ascolto, compongono questo libretto<br />

postumo, e rappresentano parte di una più vasta opera, I cinque sensi, una specie di rassegna, sotto veste<br />

narrativa, del vastissimo, affascinante mondo dei nostri sensi. [...] L’ultimo Calvino ha forse voluto darci<br />

un'allegoria della condizione ossessionata nella quale finisce per trovarsi chi vive di soli sensi, senza il<br />

minimo riscatto dello spirito dalla materia? Può darsi. …(A. Mazza).<br />

L’ultimo lavoro di Calvino: Lezioni americane, scritte nel 1985 e pubblicate nel 1988, comprendono sei<br />

conferenze che egli avrebbe dovuto tenere all'Università di Harvard sulla letteratura, secondo le categorie<br />

estetiche da lui stesso indicate come poetica: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità; la<br />

sesta sulla Consistenza non fu scritta. Questo schema teorico gli faceva scrivere saggi interessanti su<br />

Cavalcanti, Galileo e altri.<br />

LA POETICA<br />

Il sentiero dei nidi di ragno è uno dei pochi libri di Calvino che possono essere ricollegati al neorealismo,<br />

anche per l’atteggiamento dello scrittore che aspira a far riecheggiare il racconto corale che si levava in<br />

Europa e in Italia dopo l’esperienza del fascismo, della guerra e della resistenza. L’io dello scrittore tende a<br />

scomparire, come nel cinema contemporaneo tendono a scomparire la mediazione del racconto e la<br />

mediazione letteraria. Si evidenzia tuttavia, già in questo primo racconto la struttura fiabesca tipica delle<br />

opere di Calvino.<br />

Nelle opere successive lo scrittore, pur avendo preso coscienza della nuova realtà sociale alienante, non<br />

riesce a mettere ordine nella sua mente, a sistemare i molteplici e contraddittori problemi della società<br />

tecnologica che ha modificato e modifica continuamente le dimensioni della vita e del mondo. Così, la più<br />

drammatica e attuale realtà sociologica fa da contenuto drammatico e grottesco della favola calviniana.<br />

Ne Il castello dei destini incrociati Calvino, influenzato dallo strutturalismo, davanti all'ambiguità delle<br />

vicende in cui i suoi personaggi incorrono, scopre che la casualità imprevedibile da cui sono sospinti non ha<br />

altro esito se non di distruzione, follia, morte. [...] Non per nulla Calvino ha preso ispirazione dal viluppo di<br />

imprese guerriere dell'Orlando furioso, poema troppo a lungo considerato un capolavoro di equilibrio<br />

sorridente, in realtà pervaso dalle inquietudini di una civiltà prossima al tramonto, in cui la fiducia nella<br />

ragione viene meno e la fortuna appare vera dominatrice delle cose umane. [...] Queste conclusioni desolate<br />

vengono ribadite con maggior forza ne La taverna dei destini incrociati, composto con lo stesso metodo del<br />

Castello. Il pessimismo cosmico vi assume coloritura religiosa: all'origine del tutto c'è il nulla ed ivi abita<br />

l'angelo del male.<br />

Si potrebbe pensare che Le Cosmicomiche vogliano essere una sorta di parodia della fantascienza, o siano<br />

ispirate da infatuazioni per le grandi scoperte della scienza, ma in realtà esse costituiscono un aspetto<br />

coerente della narrativa di Calvino, secondo cui vanno bene le storie dove c'è il non essere contrapposto a<br />

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quel che c'è, il vuoto contrapposto al pieno. Di nuovo c'è una sensibilità, un'angoscia cosmica, un<br />

pessimismo di tipo leopardiano, secondo cui tutto si trasforma nell'universo [...].<br />

Non c'era più modo di fissare un punto di riferimento: la Galassia continuava a dar volta ma io non riuscivo<br />

più a contare i giri, qualsiasi punto poteva essere quello di partenza, qualsiasi segno accavallato agli altri<br />

poteva essere il mio, ma lo scoprirlo non sarebbe servito a niente, tanto era chiaro che indipendentemente dai<br />

segni lo spazio non esisteva e forse non era mai esistito.<br />

La meditazione-contemplazione di Leopardi qui si è arricchita ancora di una più consapevole scettica<br />

vanificazione dell'io e del mondo. Pertanto anche il tema della solitudine di tipo romantico-leopardiana in<br />

Calvino è diventato dramma dell'incomunicabilità dell'uomo nelle sue esperienze più profonde.<br />

“Nelle lezioni americane cerca di indicare quale potrà essere domani la letteratura e su quali valori<br />

puntare. Nulla di precettistico, […] ma fiducia in un rapporto con il linguaggio che risiede in una<br />

constatazione di fatto: la letteratura si salverà se andrà in direzione opposta a quella imboccata dalla nostra<br />

società attuale con i suoi feticci moralistici e tecnologici. In altre parole, una letteratura libera e critica che<br />

si muova senza limiti nello spazio infinito dell'intelligenza e con la sconfinata ambizione che nessun obiettivo<br />

le è precluso; […] solo questa sfida assoluta al mondo potrà dare domani un senso all'esercizio dello<br />

scrivere ” (S. Pautasso ).<br />

LA TEMATICA<br />

Al fondo dell'apparente favola narrativa e del divertito tono ironico-fiabesco di Calvino c'è sempre una ben<br />

meditata e drammatica concezione della vita, alienata dai rapporti sociali, dalla tecnologia, dai pregiudizi,<br />

dalla moderna produzione industriale.<br />

Scrittore razionalista e illuminista per natura e vocazione, Calvino attaccava il mito e la leggenda della<br />

Resistenza, pur e rimanendo sempre fedele alla realtà di una esperienza vissuta nella carne e nello spirito e<br />

lanciando una sfida ai detrattori di essa. “La sfiducia nell'ideale socialista lo porta fuori e lontano dal<br />

movimento operaio, ma non può togliergli la nostalgia di quella fiducia, di quella forza, di quella purezza.<br />

L’ideale della società di benessere avanzato dalla nuova borghesia, gli si rivela falso, provvisorio,<br />

ripugnante, anche se gli dà il fascino di una vita febbrile e intensa” (Salinari).<br />

Egli avverte e soffre tutte le contraddizioni interiori dell'intellettuale italiano del dopoguerra, analizza e mette<br />

in evidenza la crisi della nuova società borghese, , ma trasferisce tutte le sue analisi sul piano della fiaba, col<br />

tono della fiaba, lasciando aperta la problematica. Per questo, egli rimane sempre oscillante tra fiaba e realtà,<br />

fra umorismo e razionalismo, in quanto il sorriso, il suo malinconico divertimento, mentre alleggerisce il<br />

dramma reale della vita, illumina la materia trattata e narrata di una risonanza morale imprevedibile e<br />

pensosa.<br />

Un esempio bellissimo egli lo diede nel delineare la figura del barone rampante che si rifiuta di scendere a<br />

terra denunziando, nella sua ostinata negazione dell'ordine esistente.<br />

“Davanti a una società corrotta […]Cosimo sceglie di stare al di fuori della mischia e al tempo stesso di<br />

misurarsi con essa e con la natura. […] L'uomo, da solo, deve superare un certo numero di prove, di<br />

pericoli per capire chi veramente è. E una volta capito chi è, cioè un contestatore "ante litteram", [...] il suo<br />

destino è compiuto. Invero non si tratta proprio di destino, ma di scelta. Qui è la morale (o la moralità) della<br />

sua follia. La vera vita, in definitiva, si può organizzare soltanto tra i rami degli alberi: questo è il<br />

messaggio di Cosimo… ” (Bonura)<br />

“La condizione umana di Cosimo Piovasco di Rondò è positiva: [...] si afferma nella natura accordando ad<br />

essa le sue esigenze, si afferma nella società dando agli altri le proprie idee, partecipe, interessato e al<br />

tempo stesso individualisticamente indipendente dalle […] istituzioni sociali. E' in questa trama di rapporti<br />

che si realizza la sua libertà morale, su un fondo di protestantesimo laico […] che ignora il pessimismo<br />

della colpa e della predestinazione, ma che, al contrario, si apre all'illuministica fiducia nella natura umana<br />

e nella ragione...” (Pescio Bottino).<br />

“... il ciclo di Marcovaldo sviluppa il tema del non inserimento dell'individuo indifeso nelle strutture sociali.<br />

Qui l'avventura è amara e quasi sempre porta il marchio della sconfitta. Il "clou" della figura è il dramma di<br />

chi, non più campagnolo e non inurbato, è stritolato dallo spietato ingranaggio della vita associata: la fame,<br />

la miseria, i figli numerosi, l'astio della moglie, ne sono conseguenze. […]. Saranno le sofferenze più<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

elementari della vita sua e dei figli a muovere la sua avventurosa ricerca della natura, alla quale la città<br />

oppone […] le sue innumerevoli capacità di frustrazioni. (Pescio Bottino)<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Italo CALVINO Cod.<br />

Il sentiero dei nidi di ragno 1947 OE006<br />

Ultimo viene il corvo 1949 OE006<br />

I giovani del Po 1951<br />

Taccuini di viaggio in URSS di Italo<br />

Calvino<br />

1951<br />

Il visconte dimezzato 1952 OE006<br />

L'entrata in guerra 1954 OE006<br />

Fiabe italiane 1956<br />

La gran bonaccia delle Antille 1957<br />

Il barone rampante 1957 OE006<br />

Racconti 1958<br />

Il cavaliere inesistente 1959 OE006<br />

I nostri antenati 1960<br />

Romanzi e racconti 3 OE017<br />

Marcovaldo ovvero Le stagioni in città 1963<br />

OM027<br />

OE006<br />

La giornata di uno scrutatore 1963 OE016<br />

La speculazione edilizia 1963 OE006<br />

Le cosmicomiche 1965 OE016<br />

La nuvola di smog 1965 OE006<br />

La formica argentina 1965 OE006<br />

Appunti sulla narrativa come processo<br />

combinatorio<br />

1967<br />

Ti con zero 1968 OE016<br />

La memoria del mondo e altre storie<br />

cosmicomiche<br />

1968<br />

Il castello dei destini incrociati 1969 OE016<br />

Gli amori difficili 1970 OE016<br />

Orlando furioso di Ludovico Ariosto<br />

raccontato da Italo Calvino<br />

1970<br />

Le città invisibili 1972 OE016<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

La taverna dei destini incrociati 1973<br />

Autobiografia di uno spettatore 1974<br />

Se una notte d’inverno un viaggiatore 1979<br />

Una pietra sopra. Discorsi di letteratura<br />

e società<br />

1980<br />

RP004<br />

OE016<br />

Plomar 1983 OE016<br />

Collezione di sabbia 1984<br />

Cosmicomiche vecchie e nuove 1984 OE016<br />

Sotto il sole giaguaro<br />

EDIZIONI POSTUME<br />

1988<br />

Lezioni americane. Sei proposte per<br />

1988<br />

il prossimo millennio<br />

Sulla fiaba 1988<br />

La strada di san Giovanni 1990<br />

Perché leggere i classici 1991<br />

Prima che tu dica "pronto" 1993<br />

Eremita a Parigi 1994<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

BEPPE FENOGLIO<br />

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida<br />

Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag.<br />

1017-1020 1028-1033)<br />

LA VITA<br />

Beppe Fenoglio nacque ad Alba il l marzo 1922 e durante<br />

l'ultima guerra fu soldato nell'esercito regio e poi partigiano<br />

attivo; dopo la guerra si impiegò presso una ditta enologica<br />

e coltivò la letteratura inglese, traducendo opere antiche e<br />

moderne, da Chaucer a Eliot. La sua vita trascorse tra il<br />

lavoro e gli affetti familiari; nel 1960 sposò Luciana<br />

Bombardi e nel 1961 gli nacque Margherita. Nel 1952<br />

pubblicò la sua prima opera, I ventitré giorni della città di<br />

Alba; nel 1954, il romanzo breve La malora; nel 1959,<br />

Primavera di bellezza, un romanzo che gli fece ottenere il<br />

premio Prato nel 1960; nel 1962 ottenne il premio Alpi<br />

Apuane per il racconto Ma il mio amore è Paco, incluso<br />

nella raccolta di racconti Un giorno di fuoco (1963). Nel<br />

1962 si ammalava di cancro ai bronchi e moriva nella notte tra il 17 e il 18 febbraio 1963. Pertanto uscirono<br />

postumi, per le cure degli amici e degli studiosi che cercarono tra i suoi manoscritti: Un giorno di fuoco<br />

(1963), che ottenne il premio Puccini-Senigallia; Il partigiano Johnny (1968), che ottenne il premio Prato; e<br />

La paga del sabato (1969).<br />

LE OPERE<br />

Fenoglio è considerato tra i massimi rappresentanti del Realismo. ma ebbe anche la sventura di non essere<br />

gradito ai critici marxisti, per quella particolare ironia e singolare distacco con cui rievocò la sua esperienza<br />

partigiana.<br />

Il suo primo volume, I ventitré giorni della città di Alba, contiene 12 racconti nati in gran parte dalla sua<br />

esperienza di partigiano, oltre che dalla sua attenzione ai problemi della vita contadina e alla situazione<br />

sociale, su cui la Resistenza era passata senza quasi nulla cambiare. La pagina in cui si descrive la prima<br />

sfilata dei partigiani entrati vincitori ad Alba potrebbe offendere un marxista per la sua dissacrazione della<br />

Resistenza:<br />

Fu la più selvaggia parata della storia moderna: solamente di divise ce n'era per cento carnevali. Fece<br />

un'impressione senza pari quel partigiano semplice che passò rivestito dell'uniforme di gala di colonnello<br />

d'artiglieria cogli alamari neri e la bande gialle e intorno alla vita il cinturone rossonero dei pompieri col<br />

grosso gancio... tutti, o quasi, portavano ricamato sul fazzoletto il nome di battaglia. La gente li leggeva<br />

come si leggono i numeri sulla schiena dei corridori ciclisti; lesse nomi romantici e formidabili, che<br />

andavano da Rolando a Dinamite. Cogli uomini sfilarono le partigiane, in abiti maschili, e qui qualcuno tra<br />

la gente cominciò a mormorare -Ahi povera Italia! -, perché queste ragazze avevano delle facce e<br />

un'andatura che i cittadini presero tutti a strizzar l'occhio. I comandanti che su questo punto non si facevano<br />

illusioni, alla vigilia della calata avevano dato ordine che le partigiane restassero assolutamente sulle<br />

colline, ma quelle li avevano mandati a farsi fottere e s'erano scaraventate in città.<br />

E’ proprio l’ ironia che sottolinea il distacco artistico di Fenoglio e che fa di un fatto di cronaca di guerra un<br />

racconto grottesco e drammatico insieme.<br />

Ovviamente il racconto si fa drammatico quando i partigiani sono costretti ad abbandonare la città di Alba e<br />

a ritirarsi sulle colline inseguiti dal numero stragrande di fascisti. Eppure anche in queste pagine Fenoglio<br />

non evita le sue punte umoristiche e grottesche, accanto a quelle pietose.<br />

Nell’opera si riflette la sua vicenda autobiografica, la sua esperienza di giovane intellettuale, che matura la<br />

decisione di farsi partigiano in un clima di sopraffazioni e di violenze; non si tratta soltanto di un racconto<br />

26


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

partigiano, bensì di una attenta analisi sulla maturazione in un giovane intellettuale della sua presa di<br />

coscienza della realtà politica e umana in circostanze drammatiche e paradossali.<br />

Nella raccolta, sei racconti narrano avvenimenti quotidiani, di città e di campagna. Sono questi che rivelano<br />

il timbro realistico della sua arte, esemplata quasi sul modello di Verga; e documentano anche la visione che<br />

Fenoglio ebbe della vita, intesa come una interminabile guerra, poiché, anche quando la guerra partigiana era<br />

finita, il tempo della pace era così tramato di crudeltà da far pensare a un'altra guerra, quella degli uomini per<br />

il lavoro. Così nei suoi racconti, sotto l'apparenza documentaria, la guerra, la Resistenza, l'amore, la<br />

giovinezza, gli affetti domestici, i temi stessi della vita in tempo di pace, sono assimilati tutti, riportati tutti<br />

sotto un segno di violenza.<br />

Il romanzo breve La malora (1954) tratta di una storia contadina. Il mondo rappresentato è ancora quello<br />

delle Langhe, che gravita attorno al suo centro ideale, la città di Alba, qui evidenziata come una specie di<br />

Mecca del benessere. sognata dai poveri contadini perseguitati dalla malasorte.<br />

Il romanzo è il racconto in prima persona del protagonista, Agostino, un contadino (rimasto orfano di padre)<br />

costretto ad andare a servizio da un avaro fattore-mezzadro, un certo Tobia, per mantenere se stesso e aiutare<br />

il fratello Emilio nei suoi studi da prete al seminario di Alba.<br />

Mai la narrativa aveva denunciato simili condizioni di vita contadina nell'industrioso Piemonte. Ora per l'arte<br />

di Fenoglio sappiamo che anche nelle vicinanze di Alba c'è tanta povera gente che vende ai mercati i figli<br />

contadini.<br />

Nel 1959 Fenoglio pubblicava il romanzo Primavera di bellezza e, quando la crisi del movimento realistico<br />

italiano era già in uno stadio avanzato, ebbe il coraggio di dire ancora la verità, riproponendo la tematica<br />

della crisi del Fascismo e della Resistenza.<br />

Lo sfacelo morale e materiale dell'esercito dopo l'8 settembre 1943, e la speranza di una nuova lotta con le<br />

formazioni dei primi nuclei partigiani costituiscono la materia del romanzo. Nel protagonista, un intellettuale<br />

antifascista, studioso di lingua inglese, capace di comprendere il grottesco e il criminale del regime fascista,<br />

si compendia tutto il mondo interiore culturale di Fenoglio, antifascista, cultore della lingua e della<br />

letteratura inglese fino al punto da ritenerla la sua lingua ideale .<br />

Questo giovane, sconsolato e deluso per lo sfacelo del nostro esercito, incapace di opporsi ai tedeschi ancora<br />

poco numerosi al momento dell'armistizio, cerca di rientrare in Piemonte, ma a pochi chilometri da casa si<br />

unisce a un gruppo di ribelli. Nel corso di un attacco, mentre sta per essere ucciso, sente arrivare la bomba a<br />

mano lanciata dai suoi amici, e riesce a sorridere nella speranza che quella bomba uccida i tedeschi.<br />

La raccolta di racconti Un giorno di fuoco fu pubblicata postuma nel 1963, e successivamente nel 1965 con<br />

l'aggiunta di un romanzo breve, Una questione privata. C'è un allargamento dei temi e dei problemi<br />

esistenziali di Fenoglio, che, pur rimanendo sempre nei limiti della violenza economica e della esperienza<br />

partigiana, non escludono affatto la polemica sociale. In Un giorno di fuoco la rassegnata umiltà dei<br />

protagonisti della Malora esplode in una forsennata strage di uomini su cui occorre indagare per capire<br />

l'analisi che egli fa alla società responsabile di traumi di violenza sociale ed economica, che si riflettono poi<br />

nel comportamento violento dei suoi figli. Accanto a questi temi di violenza ci sono quelli dell'amore, che<br />

però subisce anch’esso la terribile violenza economica della vita.<br />

Entrambi i temi della guerra e dell'amore si intrecciano mirabilmente in perfetta unità narrativa e drammatica<br />

nel romanzo breve Una questione privata. ambientato anch’esso nel clima della guerra partigiana. La<br />

bellezza e l'originalità di questo romanzo consiste nel fatto che "i due motivi - quello amoroso e quello della<br />

Resistenza - si sostengono e si illuminano a vicenda, in una fusione veramente rara a trovarsi in racconti di<br />

questo genere" (Salinari). Il romanzo propone chiaramente un problema esistenziale di drammatica<br />

ossessione. Il partigiano Milton, protagonista del romanzo, ha bisogno dell'amore di Fulvia per accettare la<br />

vita e per correre incontro alla morte. Il mondo e l'ambiente dei partigiani, con tutte le brutture che comporta<br />

gli appare come la rappresentazione oggettiva del marcio e del tradimento che la vita gli presenta nella sua<br />

vera realtà; soltanto la certezza del suo amore, la purezza dell'amore di Fulvia per lui rappresenterebbe<br />

l'unico valore della vita, l'unica ragione per cui vivere sarebbe preferibile al morire.<br />

Nel 1968 Lorenzo Mondo pubblicava dagli inediti di Fenoglio il romanzo Il partigiano Johnny, che doveva<br />

costituire parte integrante di Primavera di bellezza. Protagonista del romanzo è lo stesso Johnny di<br />

Primavera di bellezza, non morto, bensì imboscato in una villetta sulle colline vicine ad Alba.<br />

Nella ricostruzione di Lorenzo Mondo blocchi narrativi diversamente databili sono stati accostati in modo<br />

arbitrario, sicché non ci è possibile distinguere nel romanzo le parti scritte prima e quelle scritte dopo. Ma<br />

indubbiamente esso rimane un'opera di alto livello artistico e narrativo, una sorta di odissea disperata del<br />

partigiano superstite nelle alte colline.<br />

27


LA POETICA<br />

ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

Rimase sempre estraneo ai circoli e ai giochi letterari: la sua posizione è quella del realista puro, fino a<br />

rasentare il limite estremo del documento e della cronaca; del resto, per la sua stessa attività presso una ditta<br />

enologica, era rimasto assai legato alla sua condizione contadina e alla sua esperienza di uomo pratico. Ciò<br />

non comporta l’assenza in lui di espressioni sottili e di frasi interamente in lingua inglese che mirano a<br />

realizzare una maggiore efficacia stilistica, che può anche essere intesa come un aspetto decadente della sua<br />

cultura. Ma non può dirsi un decadente; anzi la lezione del Verga appare la più importante nei suoi racconti -<br />

specie in quelli che riguardano la sua infanzia contadina, come La malora. Certamente "quell'esperienza di<br />

vita partigiana (che fu al centro della sua breve esistenza) è rimasta […] al centro della narrativa di<br />

Fenoglio, in quanto lo portò a più stretto contatto con quel mondo contadino, e a cercare nella sua<br />

elementarità non tanto rifugio o evasione dai propri complessi di intellettuale, ma l'essenza, il segreto della<br />

vita e della propria vita" (Bocelli)<br />

Non fu mai un letterato di professione, bensì uno scrittore di istinto, che si era formato un gusto personale<br />

attraverso la lettura dei maggiori testi inglesi e italiani.<br />

Il suo attaccamento alla sua terra natia, fu. Lì c'erano i ricordi e le esperienze della prima infanzia contadina,<br />

i suoi studi liceali, il rifiuto netto e deciso alla faciloneria e alla retorica delle parate fasciste,. In quei luoghi<br />

egli trascorse i suoi lunghi giorni di lotta partigiana contro fascisti e tedeschi. Il sangue delle Langhe vive e<br />

palpita in Fenoglio, molto più che in Pavese, in cui la letteratura ha operato un vaccino simbolistico di tipo<br />

decadente.<br />

"Fenoglio soffrì nella carne e nello spirito la lotta partigiana e anti-fascista, Pavese soffri quella tragica<br />

esperienza in modo contemplativo e ideologico, fino a farne le ragioni di una sofferenza esistenziale da<br />

romanzo intimista. Fenoglio fu un estroverso come narratore, Pavese un introverso. In Fenoglio la cultura<br />

appare come un elemento, tra i tanti, che caratterizzano anche il suo umorismo, in Pavese la cultura ha un<br />

peso assai determinante, anche rispetto alla sua esperienza di vita. Entrambi, però, sono nel Realismo,<br />

anche se il loro realismo non fu una scuola, bensì una scoperta di una regione italiana, in gran parte ancora<br />

inedita in quella esperienza contadina e paesana"(Giacalone).<br />

Con Primavera di bellezza Fenoglio "ripropone il problema del romanzo corale, cento voci diverse e nessun<br />

mattatore: e lo risolve, pur senza rinunziare a delinearci il personaggio umanissimo di Johnny (uno dei<br />

pochissimi autentici e non retorici eroi positivi della nostra letteratura). Si rifà alla fonte stessa del recente<br />

Realismo italiano - la grande esperienza della guerra e della lotta antifascista - ma comprende che oggi lo<br />

scrittore non può fondarsi essenzialmente sulla forza documentaria della cronaca, quella forza che ha reso<br />

indimenticabili alcuni film o romanzi dell'immediato dopoguerra; comprende che per superare la barriera<br />

dell'attuale involuzione della nostra società e della inevitabile usura a cui sono stati sottoposti i valori della<br />

Resistenza, per ritrovare quei valori nella loro originale freschezza è necessaria un'opera di scavo che solo<br />

la ragione può compiere, che solo le idee possono sostenere" (Salinari).<br />

Anche se i temi dei primi racconti e della Malora nel complesso rimangono gli stessi, l'interesse dello<br />

scrittore sembra appuntarsi più sullo stile e sul linguaggio, equilibrando la violenza linguistica con la<br />

continuità del narrare. "Il fatto è che quella che nella Malora era violenza dialettale, colore del luogo e della<br />

parlata, qui assume una funzione esclusivamente stilistica, non tende più alla rappresentazione di un<br />

ambiente, di una società, ma entra in un gioco di comportamenti di linguaggio, e la forza espressionistica<br />

non nasce dalla ripetizione del dialetto, ma la memoria dialettale resta non più che un'ombra appena<br />

accennata su una parola che ricerca piuttosto natura e colore da un'origine dotta, quasi di vocabolario, la<br />

cui energia, di origine non popolaresca e volgare, riesce a fondersi più facilmente col ritmo serrato del<br />

romanzo" (Barberi Squarotti)<br />

Anche se è vero che il materiale de Il partigiano Johnny costituisce una redazione giovanile, che l'autore via<br />

via rielaborò per trarne i racconti pubblicati in seguito e quelli cui lavorava al momento della morte, questo<br />

romanzo rimane come il libro più complesso della nostra generazione uscita dalla guerra partigiana. C'è non<br />

solo una risonanza epico-tragica, ma anche una costante ricerca di catarsi morale; e c'è anche la ricerca di un<br />

nuovo linguaggio. "Risulta infatti evidente, nel tormentato impegno di neologismi, nella violenta torsione<br />

della lingua quasi sempre in senso sostantivante, la volontà di agire sul linguaggio contemporaneo con modi<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

anti impressionistici, di concentrazione espressiva, di robusto e quasi sprezzante intervento culturale; in una<br />

parola, in direzione di una nuova classicità" (Pampaloni). A ciò si aggiunga anche la presenza continua di<br />

espressioni inglesi collocate al momento giusto, quasi a integrazione di quella fermezza di segno e di<br />

spiccato rilievo che forse la lingua italiana non gli avrebbe potuto fornire.<br />

LA TEMATICA<br />

Dopo i poveri diavoli di Verga, ora conosciamo i piemontesi poveri di Fenoglio; e la malora delle Langhe<br />

può ben stare a confronto con la "Provvidenza", barca maledetta dei Malavoglia, o con la desolata e malarica<br />

sciara siciliana.<br />

Questi poveri sventurati delle Langhe, tuttavia, sono più vittime della società che del destino: in Fenoglio c'è<br />

più impegno sociale che in Verga. "C'è un solo modo di sottrarsi alla condanna del poco pane e del molto<br />

sudore: un mutamento economico, che conduca sui mercati, tra gli uomini che maneggiano quattrini e non<br />

la vanga. Oppure, per un periodo breve e che resta una vacanza favolosa, la chiamata di leva. Il fratello di<br />

Agostino, Stefano, si sottrae alla fatica così, per ventun mesi, e quando torna è cambiato, tace in casa,<br />

scontento e ostile, e parla solo all'osteria raccontando le cose godute. Ma ciascuno deve seguire il suo<br />

destino: come Emilio piega la testa alla decisione di entrare in seminario, così Ginotta, la figlia di Tobia, se<br />

ne va sposa dopo due senserie, la seconda delle quali l'aggiudica, a suon di marenghi laboriosamente<br />

contrattati, a un monferrino che, fidandosi del sensale, per veder Ginotta aspettava d'avercela accanto<br />

davanti al prete. Il pranzo di nozze è una delle pagine più intense di questa prima parte: visto con gli occhi<br />

di Agostino che tribola fino all'ultimo nel timore di non avere un posto a tavola, è una galleria di personaggi<br />

colti in un momento di verità" (Lagorio).<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

I ventitré giorni della città di Alba 1952 Einaudi, Torino<br />

Beppe FENOGLIO Cod.<br />

Malora 1954 Einaudi, Torino ET072<br />

Primavera di bellezza 1959 Einaudi, Torino<br />

EDIZIONI POSTUME<br />

Un giorno di fuoco 1963 Einaudi, Torino<br />

Una questione privata 1963 Einaudi, Torino<br />

Il partigiano Johnny 1968 Einaudi, Torino<br />

La paga del sabato 1969 Einaudi, Torino<br />

Appunti partigiani 1944-194<br />

a cura di L. Mondo<br />

1977 Einaudi, Torino<br />

L'affare dell'anima e altri racconti 1980 Einaudi, Torino<br />

La sposa bambina,<br />

tratto dalla raccolta "Un giorno di fuoco"<br />

1988 Einaudi, Torino<br />

ET045<br />

RP094<br />

L’imboscata 1992 Einaudi, Torino ET057<br />

Lettere 1940-1962,<br />

a cura di Luca Bufano<br />

Una crociera agli antipodi e altri<br />

racconti fantastici<br />

Epigrammi,<br />

a cura di Gabriele Pedullà<br />

2002 Einaudi, Torino<br />

2003 Einaudi, Torino<br />

2005 Einaudi, Torino<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

FRANCESCO JOVINE<br />

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida<br />

Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag.<br />

939-941)<br />

LA VITA<br />

Nacque a Guardialfiera, nel 1902, da famiglia povera e compì gli studi<br />

magistrali e poi universitari con molti sacrifici. Fu assistente di Giuseppe<br />

Lombardo-Radice e poi direttore didattico. Partecipò al dibattito culturale<br />

degli anni Trenta ma, essendo mal visto dalla cultura ufficiale, andò prima<br />

in Tunisia e poi in Egitto. Il suo primo romanzo, Un uomo provvisorio<br />

(1934) fu attaccato dalla critica fascista, perché non in linea col regime e<br />

ne fu proibita la seconda edizione.<br />

Il secondo libro, Ladro di galline (1940), è una raccolta di novelle scritte<br />

nel periodo dell'esilio in Tunisia e in Egitto. Lo stile prelude al Realismo,<br />

ma non ha abbandonato ancora certi modi decadenti.<br />

La Signora Ava (1943) risente pienamente della lezione del Verga: il<br />

racconto si svolge a Guardialfiera negli ultimi anni del regime borbonico;<br />

la Signora Ava non è un personaggio, ma un mito e un simbolo<br />

proverbiale, una specie di "musa anonima del romanzo", che vorrebbe<br />

essere romanzo storico di tipo verista. Comunque un romanzo storico-verista venuto fuori in ritardo di<br />

cinquant'anni, in quanto raccontato da un postero, non da un contemporaneo.<br />

L’opera è apparso frammentaria; ma negli episodi riusciti rivela un'arte ispirata non solo all'ironia ma anche<br />

alla pietà che l'autore ha verso alcune creature tipiche delle sue terre.<br />

Il pastore sepolto (1945) è la sua seconda raccolta di novelle, che si richiamano ancora ai temi molisani.<br />

Nel dopoguerra, quando le nuove poetiche predicavano la lotta contro il lirismo, l'autobiografismo e la prosa<br />

d'arte, per una letteratura realistica e più impegnata, per Jovine era sufficiente approfondire i temi già trattati<br />

e la tecnica realistica già iniziata. Infatti L'impero in provincia(1945), raccolta di racconti che è tra i libri più<br />

impegnati del dopoguerra e sottolinea nell'ironia e nella satira alla retorica fascista l’enorme contrasto tra i<br />

sogni imperialistici del regime e la miseria e l'abbandono dei nostri contadini meridionali, s'inserisce bene<br />

nel dibattito letterario del dopoguerra per la problematica civile e sociale e per l'impegno di scottante<br />

attualità.<br />

Tutti i miei peccati (1948) è un'altra serie di racconti a sfondo psicologico sociale. Intanto Jovine aderiva al<br />

marxismo come alla ideologia politica più congeniale al suo atteggiamento antifascista della giovinezza La<br />

conoscenza del pensiero e dei libri di Gramsci, inoltre, chiariva in lui le esplorazioni e le indagini personali<br />

che egli aveva fatte sulle condizioni arretrate del Meridione.<br />

Le terre del Sacramento (1950), sarà ispirato alla lotta sociale dei contadini meridionali disperati per la fame<br />

delle terre e per la miseria secolare.<br />

Jovine, scegliendo come argomento la situazione dei braccianti del Molise all'indomani della prima guerra<br />

mondiale, le ingiustizie di cui egli era stato spettatore, e limitando la sua narrazione a fatti storicamente<br />

vicini, poteva benissimo legare quei drammi alla situazione dei contadini nel secondo dopoguerra. Questo<br />

genere di denuncia era un elemento assai vicino alla poetica del Neorealismo.<br />

"Il vero fatto nuovo nella narrativa di Jovine si ha con Le terre del Sacramento […]uscito dopo la sua<br />

morte, che tutti unanimemente riconoscono come il frutto migliore della sua arte. Anche questo romanzo è<br />

ambientato nel Molise, anche in questo romanzo si ritrovano i 'galantuomini' oziosi, i contadini miseri e<br />

sfruttati, l'intellettuale povero che anela a una vita più ricca. Ma è sparita ogni intonazione favolistica, i<br />

tempi sono quelli, vissuti dall'autore, del primo dopoguerra e soprattutto la sua capacità d'interpretazione<br />

ideologica è assai più moderna. Allo scetticismo un po' aristocratico, che accompagnava nel Verga e nei<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

veristi l'esame obiettivo e comprensivo della realtà meridionale, al distacco, sia pure pieno di simpatia, con<br />

cui essi guardavano i loro personaggi, al pessimismo profondo che proviene dal considerare come<br />

immutabile quella società con tutte le sue contraddizioni, ingiustizie e miserie, Jovine, sostituisce la visione<br />

di una realtà in movimento, una considerazione meno dolorosa e pessimistica della situazione del<br />

Mezzogiorno.<br />

E’ vero che anche questo libro si chiude con la sconfitta dei contadini e con la morte di Luca per mano dei<br />

fascisti; ma la sconfitta avviene nel corso di una lotta ed è la premessa della vittoria di domani. Il romanzo è<br />

imperniato attorno a un personaggio fondamentale: Luca. Non si tratta di un eroe: Luca è figlio di contadini<br />

che lo fanno studiare per divenire prete, Quando egli decide di non andare avanti per quella strada, cerca di<br />

guadagnare qualcosa facendo lo scrivano e di proseguire in qualche modo gli studi. Egli diviene così il<br />

consigliere dei lavoratori, ma in fondo è solo per compiacere donna Laura Cannavale, la padrona, che egli<br />

persuade i contadini a dissodare le terre del Sacramento con la promessa che saranno in seguito loro<br />

concesse in enfiteusi. Laura non mantiene la parola e, quando le terre sono state lavorate, manda lo sfratto<br />

ai contadini. Luca, come quello che ha maggiori responsabilità, diviene naturalmente il loro capo: li guida<br />

all'occupazione delle terre e muore sotto il piombo dei carabinieri e delle camicie nere. Come si vede, lo<br />

sviluppo della personalità di Luca è sapientemente dosata nel corso del romanzo ed avviene sotto la spinta<br />

degli avvenimenti, in modo da non distaccare mai il personaggio dalla realtà riducendolo al manichino di<br />

un eroe perfetto" (C. Salinari)<br />

Jovine è morto nel 1950, prematuramente.<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Francesco JOVINE Cod.<br />

Un uomo provvisorio 1934 Guanda, Parma<br />

Ladro di galline 1940 Guanda, Parma<br />

Signora Ava 1943 Editore Tumminelli, Roma<br />

Il pastore sepolto 1945 Editore Tumminelli, Roma<br />

Tutti i miei peccati. 1948 Einaudi, Torino<br />

EDIZIONI POSTUME<br />

Le terre del Sacramento 1950 Einaudi, Torino<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

CARLO LEVI<br />

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida<br />

Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag.<br />

977- 981 986-988)<br />

LA VITA<br />

Carlo Levi è nato a Torino il 29 novembre 1902 da famiglia agiata;<br />

la madre, Annetta, era figlia di Claudio Treves. Si è laureato in<br />

Medicina, ma le sue condizioni agiate non lo hanno mai indotto ad<br />

esercitare la sua professione di medico. Sua professione preferita è<br />

stata, invece, la pittura, e sin dal 1923 ha avuto un notevole successo<br />

come pittore. Ma egli rivelava presto più larghi e vari interessi<br />

politico-culturali, facendo parte del gruppo di Piero Gobetti e di<br />

"Rivoluzione Liberale". Antifascista, fu amico di Carlo e Nello<br />

Rosselli e insieme a Carocci collaborò attivamente per la diffusione<br />

delle idee di "Giustizia e libertà” e a Torino animò il centro interno<br />

"C.L.". Con Nello Rosselli dirigeva un giornale clandestino "Lotta<br />

politica". Questa preparazione di base determinerà il suo<br />

orientamento culturale e le sue future scelte, e in un certo senso<br />

preparerà quella profonda etica politica e umana che è al fondo dei<br />

suoi libri migliori e più impegnati.<br />

Nel 1934 veniva arrestato e l'anno dopo mandato al confino in<br />

Lucania (di qui il suo libro di memorie Cristo si è fermato a Eboli).<br />

Nel 1936, nell'euforia fascista della conquista etiopica, veniva<br />

graziato. Ma subito riprendeva il lavoro politico ed emigrava in<br />

Francia, rimanendovi fino al 1942. Rientrava in Italia nel 1943, per prender parte alla Resistenza; qui fu<br />

arrestato una seconda volta. Nel 1944 condirigeva La Nazione del Popolo di Firenze, organo del C.T.L.N.;<br />

nel 1945 era a Roma come direttore del giornale del Partito d'Azione Italia libera. In seguito al successo<br />

vastissimo del suo Cristo si è fermato a Eboli, che fu tradotto subito in molte lingue straniere, e spinto dalla<br />

sua grande passione per i gravissimi e irrisolti problemi dell'Italia meridionale, Levi continuava attivamente e<br />

coraggiosamente la sua attività di giornalista, partecipando ad inchieste e polemiche politico-sociali sulla<br />

arretratezza del Sud e indagandone e denunziandone le cause economiche e culturali. Di qui la pubblicazione<br />

di altri notevoli volumi, tra cui Le parole sono pietre.<br />

Scrisse per molti anni su La Stampa di Torino, dimostrando la sua tendenza ad affrontare i problemi più<br />

scottanti del tempo stando al di sopra delle parti. Nel 1954 aderiva al gruppo neorealista alla Biennale di<br />

Venezia, offrendo notevoli quadri in chiave realistica come la sua narrativa. Nel 1963 e nel 1968 fu eletto al<br />

Senato come indipendente nelle liste comuniste. Il successo come pittore non è stato inferiore a quello dello<br />

scrittore e del saggista.<br />

E' morto nel gennaio 1975.<br />

LE OPERE<br />

La sua prima opera è stata Paura della libertà, scritta nel 1939 e pubblicata nel gennaio del 1946. Si tratta di<br />

una raccolta di saggi che nel complesso vogliono essere una descrizione generale della crisi contemporanea.<br />

La seconda opera di Levi, certamente la più nota è stata Cristo si è fermato a Eboli (1945), racconto<br />

memoriale e saggio sociologico insieme, in cui Levi, in una struttura narrativa di alto livello letterario e<br />

stilistico, riesamina la sua esperienza umana e sociale nel confino in Lucania, precisamente a Gagliano. Il<br />

titolo sottolinea la polemica di fondo che lo ispira, secondo cui si denunzia ad apertura di pagina l'abbandono<br />

in cui sono vissute e continuano a vivere le popolazioni contadine del Meridione, anzi della Basilicata.<br />

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Nel 1950 ha scritto L’orologio: Luigini e contadini, una distinzione socio culturale economica in cui la<br />

distinzione fra contadini e borghesi appare più chiara nella contrapposizione degli uomini in Luigini e<br />

contadini. I Luigini (dal nome del podestà di Cagliano di cui ha parlato in Cristo si è fermato a Eboli) sono la<br />

grande maggioranza della sterminata, informe, ameboide piccola borghesia, con tutte le sue specie,<br />

sottospecie e varianti, con tutte le sue miserie, i suoi complessi di inferiorità, i suoi moralismi e immoralismi,<br />

e ambizioni sbagliate, e idolatriche paure. Le parole sono pietre (1956), premio Viareggio, consta di tre<br />

saggi, scritti rispettivamente nel 1951, nel 1952 e nel 1955, in seguito a tre viaggi compiuti in Sicilia. Si<br />

tratta di saggi-inchiesta a carattere politico-sociale sulla situazione e sulla condizione dei contadini e degli<br />

operai siciliani, le cui aspirazioni vengono infrante dalla mafia, con la connivenza del potere politico. Nel<br />

1956 scrive Il futuro ha un cuore antico al ritorno del suo viaggio in Russia. Anche questo viaggio, come i<br />

precedenti, lo porta direttamente all'indagine della vita del popolo, al di là di quelle che possono essere le sue<br />

strutture politiche.<br />

La doppia notte dei tigli (1959) è il resoconto di un viaggio nella Germania Occidentale. Tutto il miele è<br />

finito (1960) è un libro nato da appunti sommari su di un viaggio in Sardegna compiuto dall'autore nel 1952,<br />

a cui si sono aggiunti o sovrapposti resoconti di altri viaggi effettuati successivamente nella stessa regione. Il<br />

titolo deriva da un canto funebre, in cui una madre allude alla morte del figlio, che per lei era il miele della<br />

casa.<br />

LA POETICA<br />

L'opera di Carlo Levi va intesa in questa duplice chiave: quella linguistica, tipica del letterato settentrionale<br />

che scopre innanzitutto un linguaggio del tutto inedito e sconosciuto alla civiltà, e di questo linguaggio<br />

sottolinea tutta la carica amara e ironica e talvolta grottesca e animalesca; e quella sociologico-politica,<br />

secondo cui si denunzia e si evidenzia, attraverso il realismo descrittivo e l'analisi oggettiva del racconto, la<br />

condizione di miseria e di disperazione in cui vivono in quelle terre abbandonate sia i galantuomini (cioè i<br />

possidenti) che i poveri.<br />

Lo stile pertanto riflette lo stato d'animo "di stupita, ferma, limpida scoperta di un mondo primitivo<br />

accompagnata da un sentimento di desolazione, e di qui nascono appunto i caratteri della sintassi, del<br />

lessico, della struttura stilistica: la forma semplice, spesso più propriamente dimessa, ma controllata e<br />

chiara. Chiarezza che è anche una caratteristica permanente del Levi scrittore per un preciso desiderio di<br />

essere inteso da molti [ ... ]. Controllo rigoroso proprio della serietà artistica del Levi, ma logicamente<br />

richiamato qui per il non facile compito tecnico di trasformare il saggio storico-sociale in libro artisticamente<br />

efficace. La sintassi è perciò semplificata, il periodo in grandissima prevalenza monoproposizionale.<br />

La proposizione non è soltanto breve, ma ha una costruzìone quasi sempre diretta. Rara la presenza<br />

dell'anacoluto che riecheggi quelli dei discorsi reali, rari anche gli andamenti dialettali" (Aurigemma).<br />

LA TEMATICA<br />

Parlando della paura della libertà, Aurigemma afferma che in esso Levi "affermava l'avversione allo stato<br />

astrattamente feroce, che fa degli uomini una unità materiale e indistinta, che può soltanto vivere riducendo<br />

gli individui in schiavitù, e insieme l'avversione alla religione che fa dei miti, riti; atteggiamenti in cui<br />

apparivano evidenti l'impressione suscitata nell'autore dalle dittature contemporanee e quel profondo<br />

rispetto per la libertà degli individui e dei piccoli gruppi che saranno costanti in tutte le sue opere"<br />

(Aurigemma).<br />

In effetti questi saggi costituiscono le premesse fondamentali per la comprensione delle sue opere perché<br />

indicano il duplice aspetto con cui egli si accostava al mondo contadino e meridionale: quello storico-politico<br />

e quello psicologico-sociale, motivi che costituiscono le caratteristiche di ogni suo saggio, che è sempre<br />

opera d'arte e di politica sociale.<br />

E così, sempre secondo Aurigemma "Il tema principale (di Cristo si è fermato ad Eboli) è costituito<br />

dall'affascinante scoperta dell'esistenza di una civiltà contadina essenzialmente autonoma, che vorrebbe e<br />

dovrebbe organizzarsi come tale, soffocata invece da una civiltà statolatrica e teocratica, forte di eserciti<br />

organizzati. Una civiltà ai contadini radicalmente nemica, sicché le sole guerre che tocchino il loro cuore<br />

sono le guerre che essi hanno combattuto per difendersi contro quella civiltà, contro la Storia, e gli Stati e la<br />

Teocrazia, le guerre combattute sotto i loro neri stendardi, senz'arte, senza speranza e destinate sempre ad<br />

essere perdute" (Aurigemma).<br />

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Nero è il senso della condizione dei contadini sempre legata alla sofferenza e alla chiusura spirituale, come<br />

neri sono i vestiti dei contadini, i loro capelli e i loro occhi pieni di una particolare gravità, come la morte del<br />

contadino che sottolinea il primo incontro di Levi con la povera gente di Cagliano. Essi sono neri, come sono<br />

anche chiusi in se stessi; persino i ragazzi sono chiusi, quei ragazzi che altrove sono sempre estroversi.<br />

La grande istanza di questo libro è appunto nella scoperta di una nuova dimensione dell'anima umana, quella,<br />

finora del tutto sconosciuta, del contadino meridionale chiuso irreparabilmente in un destino di miseria e in<br />

una dignità interiore.<br />

Nel rapporto che essi stabiliscono con il nuovo dottore, Levi nota comunque in loro la presenza di "una<br />

speranza, una fiducia assoluta".<br />

Questa speranza è il messaggio fondamentale dell'opera di Levi, questa fiducia che la sua denuncia possa<br />

contribuire a far sì che Cristo e la civiltà arrivino anche in Lucania, oltre Eboli, in mezzo a gente affamata e<br />

ammalata, disperata e chiusa nella dignità del suo dolore. Nessuno di noi può negare che egli abbia<br />

contribuito attivamente ad affrontare più decisamente la questione meridionale.<br />

Tema fondamentale dell'opera di Levi è quello dello statalismo e dell'antistatalismo dei contadini e della<br />

possibilità di fusione tra il loro mondo e quello della società borghese. Lo statalismo, infatti, sia fascista, sia<br />

democratico, sia paternalistico, è in netta antitesi con l'antistatalismo dei contadini. Sono due civiltà diverse e<br />

inassimilabili, contrapposte senza possibilità di fusione. Anche perché la borghesia è una classe degenerata,<br />

fisicamente e moralmente: incapace di adempiere la sua funzione e che solo vive di piccole rapine e della<br />

tradizione imbastardita di un diritto feudale. Finché questa classe non sarà soppressa e sostituita non si potrà<br />

pensare di risolvere il problema meridionale.<br />

Giustamente D. Fernandez ha affermato che "se Levi ha compreso il Sud contadino come nessun altro è stato<br />

capace di fare, lo si deve alla circostanza che egli ha saputo intuire la protesta implicita nel mondo arcaico<br />

e primitivo dei contadini contro l'uomo occidentale", cioè l'uomo civile e tecnologico.<br />

Il libro, cominciato in forma di confessione sommessa, man mano diventa un discorso-denuncia di fatti, di<br />

situazioni, di discorsi uditi, ma senza mai avere il tono del racconto immediato in senso assoluto, perché Levi<br />

seppe tenere una via mediana tra la tecnica del registrato e la struttura rielaborata del saggio criticosociologico.<br />

Del resto il libro era anche una conferma delle sue teorie politiche già esposte in Paura della<br />

libertà, per cui l’indagine condotta sulla condizione dei contadini della Lucania non è altro che un primo<br />

assaggio di quella realtà contadina universale che in lui assume quasi un valore di categoria morale oltre che<br />

sociale nella moderna civiltà tecnologica.<br />

Ne L’orologio: Luigini e contadini, una distinzione socio culturale economica, con questa distinzione socioculturale<br />

economica della società Levi intende sostituire gli schemi tradizionali delle opposte tendenze<br />

Comunismo-Vaticano, proletariato-borghesia; infatti conduce una serie di gravi obiezioni al marxismo:<br />

"Non avete mai pensato alla lentezza, alla pigrizia, alla incredibile immobilità di un pensiero che, dopo<br />

cent'anni, è rimasto quello che era? In qualunque altra epoca un secolo è sempre stato un tempo troppo<br />

lungo per conservare così fresca l'energia di un libro. Non si tratta del libro, ma di quelli che avrebbero<br />

dovuto leggerlo e della loro sordità e ottusità mentale. Di un secolo di pensiero che cosa è rimasto... in tutti<br />

coloro che pretendono di difendere queste idee, nei cosiddetti militanti, negli uomini politici? Alcune<br />

formulette catechistiche. Lotta di classe, sta bene: ma in loro è una nozione vaga, generica, vecchia come il<br />

mondo, una semplice frase del comune buon senso [ ... ] Dicono: borghesia e proletariato: una formuletta<br />

che forse, in altro tempo, era stata vera, e che oggi cos'è? Un luogo comune. Dove sono? Guardiamoci<br />

attorno: non li troviamo o li troviamo in mezzo a altre cose, sparse e come ramificate nella realtà. Sappiamo<br />

benissimo che dovremmo dire: non ci sono due forze, due poli, ma molti, moltissimi in una civiltà così<br />

differenziata".<br />

Sono critiche queste, che potrebbero sembrare qualunquiste - e forse tali sono apparse ai politici che le hanno<br />

rigettate - ma in realtà esse, con grande senso pratico, riflettevano e riflettono la crisi della classe politica<br />

italiana in questi ultimi quarant'anni. Del resto, questo che è il libro più politico di Levi fu scritto in<br />

occasione della caduta del governo Parri e di quella crisi che caratterizzò l'Italia quando venne meno il<br />

Partito d'Azione e fu messa in crisi la stessa Resistenza. Secondo Levi, la Resistenza si era scelto un<br />

presidente contadino, ma l'ha travestito da Luigino.<br />

La fine del governo Parri nel 1946 rappresentava per Levi l'inizio del processo involutivo della Resistenza e<br />

la crisi della libertà sognata dai partigiani italiani, le cui responsabilità pesano su tutti i Luigini di destra e di<br />

sinistra.<br />

L'opera di Levi resta estremamente coerente col suo ideale di solidarietà umana, con la sua ansia di<br />

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redenzione dei popoli ingiustamente oppressi; perciò egli è uno dei più autorevoli scrittori psicologicopolitici<br />

dei nostri tempi, in quanto ha esaltato sempre, in ogni occasione, l'autenticità dei valori del popolo<br />

dei contadini (intesi nella particolare accezione di produttori reali della società). In questa sua indagine egli<br />

ha portato la sua umanità di scrittore religioso e cantore di una speranza di rinnovamento morale del mondo.<br />

Qui è la forza del suo messaggio, qui è il coraggio con cui ha potuto attaccare la mafia e la prepotenza dei<br />

politici, qui è l'autenticità della sua parola poetica, la forza del suo stile semplice e penetrante di giornalistapoeta.<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Cristo si è fermato ad Eboli 1945 Einaudi, Torino<br />

Paura della libertà 1946 Einaudi, Torino<br />

L'orologio 1946 Einaudi, Torino<br />

Le parole sono pietre 1955 Einaudi, Torino<br />

Il futuro ha un cuore antico 1956 Einaudi, Torino<br />

La doppia notte dei tigli 1959 Einaudi, Torino<br />

Un volto che ci somiglia 1960 Einaudi, Torino<br />

Tutto il miele è finito 1964 Einaudi, Torino<br />

Coraggio dei miti. Scritti (1922-1974), a<br />

cura di G. De Donato<br />

1975<br />

Quaderno a cancelli, a cura di A.<br />

1979<br />

Einaudi, Torino<br />

Marcovecchio e L. Saba<br />

Carlo Levi inedito: con 40 disegni della<br />

cecità,<br />

a cura di Donato Sperduto<br />

Bosco di Eva (poesie inedite, 1931-1972)<br />

a cura di P. Penili<br />

2002<br />

EDIZIONI POSTUME<br />

1993<br />

Carlo LEVI Cod.<br />

Edizioni Spes, Milazzo<br />

ET007<br />

RP092<br />

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PRIMO LEVI<br />

(liberamente tratto da S. Guglielmino, Guida al Novecento<br />

Principato Editore 1998 Pag. 320-323)<br />

LA VITA<br />

Primo Levi nasce a Torino nel 1919 e ha una giovinezza<br />

di studi regolari e di vaste letture: Anche se appartiene ad<br />

una famiglia ebraica, le leggi razziali del 1938 lo<br />

colpiscono relativamente e può continuare gli studi. Si<br />

laurea in chimica e nel 1941, trova lavoro a Milano presso<br />

una fabbrica di medicinali. Prende contatto con esponenti<br />

dell'antifascismo, nel 1942 entra nel Partito d'Azione e<br />

dopo la caduta del fascismo fa il partigiano in Val d'Aosta,<br />

dove nel dicembre 1943 viene catturato e deportato nel<br />

campo di sterminio di Auschwitz, dove rimane dal<br />

febbraio 1944 al gennaio 1945.<br />

Rientrato a Torino dopo un viaggio di circa cinque mesi<br />

che descriverà ne La tregua, Levi trova lavoro presso una<br />

fabbrica di vernice e cerca di inserirsi nella vita normale,<br />

dopo la disumana esperienza del lager; intanto scrive e<br />

nasce così Se questo è un uomo (1947) che viene rifiutato<br />

dalla Einaudi e pubblicato all'editore De Silva di Torino. Il<br />

successo, scarso all'inizio, verrà nel 1958 quando il libro<br />

uscirà nella collana dei "Saggi" di Einaudi. Incoraggiato,<br />

riprende l'attività di scrittore, pubblica La tregua (1963),<br />

La Chiave a stella (1978), Se non ora quando (1982), I<br />

sommersi e i salvati (1986) e fa attività giornalistica,<br />

partecipando a incontri e convegni.<br />

Nelle sue opere ritornano le esperienze traumatiche del lager, cui non è forse arbitrario legare la sua tragica<br />

fine: muore suicida a Torino nel 1987.<br />

Lo stesso Levi ci ha fornito ampie indicazioni per comprendere la sua produzione: "Ricordo di aver vissuto il<br />

mio anno di Auschwitz in una condizione di spirito eccezionalmente viva. [...] di fatto, non ho mai smesso di<br />

registrare il mondo e gli uomini intorno a me, tanto da serbarne ancora oggi un'immagine incredibilmente<br />

dettagliata. Avevo un desiderio intenso di capire, ero costantemente invaso da una curiosità che ad alcuni è<br />

parsa addirittura cinica, quella del naturalista che si trova trasportato in un ambiente mostruoso ma nuovo,<br />

mostruosamente nuovo". Questa vocazione conoscitiva e questo habitus scientifico sono aspetti fondamentali<br />

di Se questo è un uomo: Levi cerca di leggere e scoprire le leggi dei comportamenti umani, i meccanismi<br />

attraverso i quali si manifesta la sopraffazione o l'abbrutimento, che non è solo fisico, ma anche interiore: "i<br />

personaggi di queste pagine non sono uomini, la loro umanità è sepolta, o essi stessi l'hanno sepolta sotto<br />

l'offesa subita o inflitta altrui". Ha scritto Cesare Cases: "... l'uomo soffre ingiustamente, ma si salva nel<br />

capire. Il capire è una dimensione essenziale nella chimica e nella filosofia di Levi".<br />

Ma c'è un'altra componente nel primo libro di Levi: l'impegno di testimonianza, con tutte le implicazioni che<br />

questo comporta: pietà per le vittime, ansioso ammonimento per il futuro, perché ciò che è successo una<br />

volta può succedere ancora ("Meditate che questo è stato / vi comando queste parole", si legge nell'epigrafe<br />

di Se questo è un uomo); e vent'anni dopo, a chi gli chiedeva a quali fattori attribuisse la sua sopravvivenza<br />

al lager rispondeva: "forse mi ha aiutato anche [...] la volontà non soltanto di sopravvivere (che era comune<br />

a molti), ma di sopravvivere allo scopo preciso di raccontare le cose a cui avevamo assistito e che avevamo<br />

sopportate".<br />

Alla luce di questi dati, Se questo è un uomo è da considerare, assieme al Diario di Anna Frank e a<br />

L'istruttoria di Peter Weiss, un testo fondamentale per capire e ricordare l'Olocausto.<br />

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Dopo Se questo è un uomo, che potrebbe definirsi come una sorta di discesa agli inferi, all'oscuro e<br />

primordiale fondo della vocazione di morte, La tregua (1963) appare come la riconquista, il recupero<br />

dell'individualità e della vita; al punto che s'illumina spesso di toni di colloquiale amabilità. E tuttavia nel<br />

Levi che rievoca questo ritorno alla vita c'è sempre un'ombra che impedisce la completa immedesimazione<br />

coi compagni e con le loro rinate speranze; c'è "la consapevolezza che si tratta appunto di una tregua e che<br />

la vergogna del passato era inestinguibile" (Cases); e c'è la spietata verità che un compagno, il Greco, gli<br />

ripete: "Guerra è sempre". Questi sono quindi i motivi che costituiscono la fisionomia de La tregua: il<br />

riconquistato senso e amore della vita e l'oscura consapevolezza che nulla potrà più essere integralmente<br />

vissuto, perché c'è stato di mezzo Auschwitz.<br />

Ma circoscrivere l'importanza di Primo Levi alla sua produzione memorialistica è errato. Ci sono almeno due<br />

testi di notevole interesse legati alla sua formazione scientifica e alla sua attività professionale nell'industria:<br />

Il sistema periodico (1975) e La chiave a stella (1978).<br />

La prima è un'opera composta di storie ispirate ciascuna a un elemento chimico - l'idrogeno, il carbonio ecc.<br />

-, ma è nel contempo, con un amalgama di temi e di toni di notevole originalità, la rievocazione, per rapidi<br />

accenni e inserti, di un passato nostalgicamente sentito: le comunità ebraiche del vecchio Piemonte, gli amici<br />

e compagni scomparsi. Ne consegue che Il sistema periodico traccia la storia di una generazione, o almeno di<br />

coloro che seppero negarsi alla retorica del fascismo, all'infamia delle leggi razziali, alla mortificazione della<br />

dignità dell'uomo.<br />

I racconti de La chiave a stella hanno come oggetto invece le concrete esperienze di un tecnico, le<br />

consuetudini, il linguaggio - e da ciò un accentuato sperimentalismo linguistico -, i riti del cantiere e della<br />

fabbrica.<br />

Dalla vocazione scientifica di questo scrittore, e dalla sua persistente volontà di capire bisogna partire per<br />

comprendere i saggi che compongono la sua ultima opera, I sommersi e i salvati (1986). Suggeriti, in parte,<br />

dalle tesi revisionistiche che a partire dagli anni Ottanta serpeggiano nella cultura tedesca, questi saggi<br />

gettano luce con inconsueta sincerità ancora un volta sull'esperienza del lager, sulla perdita di umanità degli<br />

oppressori e degli oppressi, sull'unicità di quella esperienza. Ma vanno oltre l'esperienza individuale,<br />

pongono problemi - etici, filosofici, storiografici - di valore perenne. Ha scritto con felice sintesi Mengaldo:<br />

"Levi restò sempre diviso tra due interpretazioni della follia nazista: come episodio orribile, sì, ma<br />

circoscritto e concluso, della storia moderna, o invece come risultato conseguente delle tendenze del mondo<br />

contemporaneo, tra sviluppo vertiginoso della tecnica e vocazione totalitaria del potere, e su questa forcella<br />

continuò a interrogarsi sino all'ultimo".<br />

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SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Se questo è un uomo 1947<br />

La tregua 1963<br />

Storie naturali<br />

racconti pubblicati nella prima ed. sotto<br />

lo pseudonimo di Damiano Malabaila<br />

1966<br />

Vizio di forma), racconti 1971<br />

Lilìt e altri racconti 1971<br />

Primo LEVI Cod.<br />

ET008<br />

RP009<br />

ET008<br />

Il sistema periodico 1975 ET017<br />

La chiave a stella 1978 ET009<br />

La ricerca delle radici,<br />

antologia personale<br />

1981<br />

Se non ora quando 1982 ET006<br />

Traduzione de Il processo di Franz<br />

Kafka<br />

1983<br />

Ad ora incerta 1984<br />

L'altrui mestiere 1985<br />

I sommersi e i salvati 1986 ET068<br />

EDIZIONI POSTUME<br />

Tutti i racconti 2005<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

GIUSEPPE MAROTTA<br />

Giuseppe Marotta (Napoli 1902-1963). Si trasferì a Milano nel 1925, dove<br />

si dedicò al giornalismo. E’ noto per i suoi racconti, specie d’ambiente<br />

napoletano, intessuti di umorismo, di fine osservazione dei fatti e dei<br />

caratteri, di un'abbondante ma non corriva vena sentimentale. Scrittore e<br />

giornalista, collaborò a diversi giornali (tra i quali il "Corriere della Sera"),<br />

compose varie sceneggiature, soggetti cinematografici e testi teatrali. Tra i<br />

suoi numerosi volumi ricordiamo: A Milano non fa freddo (1949), Gli<br />

alunni dei sole (1952), "Coraggio, guardiamo" (1953), Mai di galleria<br />

(1958). Gli alunni dei tempo (1960) e Le Milanesi, ripubblicato nella BUR<br />

(1986).<br />

Si ricordano L'oro di Napoli pubblicato per la prima volta nel 1947, da cui venne tratto l'omonimo film di<br />

De Sica. Delle sue commedie, scritte in collaborazione con B. Randone, la più nota è li califfo Esposito<br />

(1956).<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Divorziamo per piacere 1934 Ceschina<br />

Mezzo miliardo 1940 Garzanti<br />

La scure d'argento 1941 Ceschina<br />

Il leone sgombra (raccolta) 1944 Sagdos<br />

Nulla di serio (raccolta) 1946 Elmo<br />

L'oro di Napoli 1947<br />

Le avventure di Charlot (raccolta) 1948 Ceschina<br />

A Milano non fa freddo 1949<br />

Gli alunni del sole 1952<br />

Le madri 1952<br />

Coraggio, guardiamo 1953<br />

Mal di galleria 1958<br />

Gli alunni del tempo 1960<br />

Le milanesi 1962<br />

Giuseppe MAROTTA Cod.<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

ALBERTO MORAVIA<br />

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida<br />

Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag.<br />

858-899)<br />

LA VITA<br />

Alberto Moravia è nato a Roma il 28 novembre del 1907 da<br />

Carlo Pincherle architetto e pittore e da madre anconetana della<br />

famiglia De Marsanich. Fino all’età di 9 anni "la vita del piccolo<br />

Alberto si dipana in una duplice direzione: nella reale<br />

consistenza del mondo borghese in cui è nato, tra le cure<br />

affettuose delle sorelle Adriana ed Elena; e in quello ben più<br />

vero, ma crudo e disarmante, d'una Roma suburbana, con le sue<br />

miserie e le sue costrizioni esistenziali" (Pandini).<br />

A circa dieci anni, Moravia si ammalò di tubercolosi ossea secca<br />

e per questa ragione dovette interrompere gli studi ginnasiali e,<br />

costretto a stare a letto, si diede alle letture degli autori preferiti:<br />

Dostoevskji, Goldoni, Shakespeare, Baudelaire, Leopardi,<br />

Manzoni, il teatro classico, Eliot, Apollinaire. In questo clima<br />

nasce la sua vocazione di scrittore precoce. Dal 1923 al 1924 la<br />

malattia raggiunse punte assai gravi, ma le cure indovinate e<br />

precise del sanatorio lo portarono alla guarigione e nel 1925 poté trascorrere a Bressanone un periodo di<br />

convalescenza.<br />

Moravia intraprese a scrivere Gli indifferenti sin dal 1925, ma lo pubblicò nel 1929 a proprie spese, in<br />

quanto l’editore Alpes di Milano pretese cinquemila lire per la pubblicazione del suo romanzo.<br />

Il romanzo per il suo successo critico e per il suo spirito polemico-realistico mise in contrasto Moravia col<br />

regime fascista, tanto che preferì evadere dal clima oppressivo del regime recandosi a Londra nel 1931 e poi<br />

a Parigi. Quindi a New York nel 1934, chiamato da Prezzolini alla Columbia University, dove tenne<br />

conferenze su Manzoni, Verga, Fogazzaro, D'Annunzio. Nel 1935 ritorna in Italia e intanto finisce la guerra<br />

etiopica e Mussolini si avvicina alla Germania, dando luogo a una politica imperialistica culminante<br />

nell'Asse Roma-Berlino.<br />

Ricominciò di nuovo i viaggi, e gli anni tra il 1933 e il 1943 furono i peggiori della sua esistenza dal punto di<br />

vista della vita pubblica, per le persecuzioni naziste contro gli ebrei. Egli stesso dichiarava: Forse per questo<br />

facevo tanti viaggi, per sottrarmi ad un'atmosfera avvelenata dalla menzogna, dalla paura e dal<br />

conformismo.<br />

Avvenimenti importanti in questo periodo furono il matrimonio con Elsa Morante (1940) e, subito dopo un<br />

periodo di fuga e latitanza, in seguito al quale riuscì ad arrivare con la moglie a Fondi, dove trovò ospitalità<br />

presso la famiglia di un conoscente, il giudice Mosillo, che lo fece alloggiare in un cascinale; nel La<br />

Ciociara rivivranno molte delle esperienze di questo periodo. Nel 1945 fu premiato per il romanzo Agostino,<br />

scritto nel 1943. La fine della guerra dette la possibilità all’autore di riprendere la sua attività con la<br />

pubblicazione de La romana (1947), La disubbidienza (1948) e Il conformista (1951).<br />

Nel 1952 gli viene assegnato il premio Strega e i suoi libri, mentre da un lato venivano messi all’indice,<br />

erano tradotti in quasi tutte le lingue e alcuni utilizzati come argomenti di grandi films di successo in chiave<br />

neorealistica: La romana con la regia di Zampa, i Racconti romani con la regia di Franciolini, La ciociara<br />

con la regia di De Sica, Gli indifferenti con la regia di Maselli.<br />

La produzione moraviana, dal '47 al '59, cioè da La romana ai Nuovi racconti romani (1959) è stata infatti<br />

giudicata da certa critica come quella più aderente alla poetica del Neorealismo. "Ma a ben vedere Moravia,<br />

se si eccettua il linguaggio neorealistico dei bozzetti di tipo popolare, resta ancora fedele alla sua<br />

"indifferenza" di inizio, quale sostanza d'una pena esistenziale nei confronti della crisi sviluppatasi in seno<br />

all'umanesimo tradizionale" (Pandini).<br />

La classe dirigente italiana nell’immediato dopoguerra provocò una forte reazione al neorealismo, suscitando<br />

atteggiamenti polemici più impegnati sul fronte della neoavanguardia, e Moravia, intravedendo nella<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

polemica l’ipocrisia di una società rimasta conformista, riprese a lavorare nel teatro, nella speranza di avere<br />

la possibilità di un colloquio più diretto e di una denunzia più efficiente e costruttiva per il pubblico.<br />

Testimonianza di questa crisi sono i suoi numerosi viaggi all'estero e La noia (1960) in cui Moravia<br />

recuperava "il suo tema preferito, ricollegabile alle sorti di scacco e d'impotenza della indifferenza d'inizio,<br />

con abbondanza di tesi da dimostrare intorno al tema antico della sua atonia morale, che trova nel clima<br />

sociale e ideologico degli anni Sessanta una nuova significazione e una sempre maggiore evidenza nel senso<br />

di distacco da una realtà inautentica.<br />

L'inizio del nuovo decennio segna anche una svolta nella produzione e nell'impegno culturale di Moravia. Il<br />

romanzo, come forma espressiva tradizionale, è messo in crisi dal nascere delle neoavanguardie. Il Gruppo<br />

63, in un convegno tenutosi a Palermo, entra in polemica con Moravia [...] Moravia, molto sensibile a<br />

queste pressioni, rivede il suo lavoro e inizia la composizione di un nuovo romanzo, L'attenzione, che si<br />

configura come romanzo nel romanzo" (Pandini).<br />

Con Siciliano e Dacia Maraini (intanto si era separato da Elsa Morante) fonda una compagnia teatrale detta<br />

del Porcospino. Ma l'opera teatrale di Moravia, pur testimoniando la vivacità e la vitalità di uno scrittore di<br />

forte vena, non aggiunge nulla alla sua validità di artista narrativo; testimonia soltanto la minore fiducia del<br />

nostro autore nel romanzo, mentre lo fa rivolgere sempre più al saggio-racconto. Il segno della sua<br />

insoddisfazione traspare nel romanzo Io e lui (1971).<br />

Tra le altre opere si ricordano i romanzi: La vita ínteriore (1978); 1934 (1982); L'uomo che guarda 1985);<br />

Ritorno a Roma (1989) e, postumo, La donna leopardo; i volumi di racconti: La cosa (1983), La villa del<br />

Venerdì e altri racconti (1990).<br />

Muore per un malore improvviso a Roma il 26 settembre 1990.<br />

LE OPERE<br />

Gli indifferenti (1929) costituiscono un romanzo di rottura con ogni aspetto della cultura italiana del tempo,<br />

non solo per il fatto che nel contesto di una cultura surrealista e decadentista in crisi diede un primo esempio<br />

di realismo, ma anche per il fatto che egli immetteva nell'arte narrativa un mondo inconsueto. "La realtà che<br />

l'autore traduceva ne Gli indifferenti e i modi linguistici, di cui si valeva, accusavano una franchezza morale<br />

e una disinvoltura tecnica veramente singolari e, in gran parte, inedite nella nostra letteratura<br />

contemporanea. Quel che colpiva in questo suo primo romanzo era la convergenza d'un contenuto<br />

ostensivamente immorale e squallido con un'espressione secca e sbrigativa, anch'essa disadorna e<br />

impoetica. Il trattamento ch'egli riservava ai suoi attori era contrassegnato da un distacco intellettuale che<br />

gli permetteva di alienarli da se stesso e di atteggiarli in una parvenza di oggettività talmente fredda e<br />

scostante da poter sembrare quasi una diagnosi clinica" (Battaglia).<br />

L’autore, come si è detto, non aveva l’intenzione di porre sotto accusa diretta il fascismo, ma gli stessi modi<br />

realistici della narrazione costituivano già un segno di protesta e di rottura. Il romanzo infatti implicava una<br />

violenta accusa della struttura morale della famiglia borghese, e della società che aveva mistificato i valori<br />

dell'etica ufficiale piccolo-borghese del Fascismo.<br />

Agostino "non è soltanto, come parve ai più, la storia della scoperta del sesso, e non è nemmeno soltanto la<br />

storia di una iniziazione sessuale dolorosamente frustrata: è piuttosto, in tale veste di narrato, la storia […]<br />

di un ragazzo che si sforza, faticosamente, amaramente, di pervenire a vivere e a sentire come un uomo"<br />

(Sanguineti).<br />

Per questo Agostino costituisce un’evoluzione nella tematica di Moravia e porta in primo piano il problema,<br />

particolarmente sentito dall’autore, del passaggio dalla adolescenza alla virilità.<br />

Mentre Michele ne Gli indifferenti e Girolamo in Inverno di malato, cercano il loro modello in un amico a<br />

loro vicino agli occhi di Agostino, "chiuso nella fittizia innocenza-ignoranza dell'educazione e della<br />

situazione vitale borghesi, la realtà non è afferrabile e percepibile se non attraverso il mondo della banda,<br />

cioè attraverso il tipo di alienazione affatto diverso, anzi direttamente antitetico. Il mondo della banda,<br />

insomma, riflettendo la realtà in altra e proprio in contraria alienazione, è lo specchio unico e<br />

indispensabile in cui Agostino può vedere riflessa, sia pure confusamente, e comprendere più con il sangue<br />

che con il cervello, qualche realtà che ha vagamente intuito e mai riconosciuto, e che è, prima di tutto, la<br />

condizione effettiva del suo essere, la verità della sua esistenza alienata. in una formula schematica: il ricco<br />

non può conoscersi e intendersi nella sua essenza più profonda, che è quell'essere ricco che lo condiziona<br />

integralmente, se non attraverso l'immagine che il povero ne riflette, immagine non assoluta davvero, non<br />

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oggettiva, ma certo più vera e reale di quella che egli ha fabbricato, per sé, nella sua coscienza, immagine<br />

insomma non alienata dalla ricchezza" (Sanguineti).<br />

Nel romanzo La disubbidienza (1948) Luca, il protagonista, giunge alla conclusione che non esiste paese<br />

innocente nel mondo borghese e che solo la morte potrebbe permettere di raggiungere questa dimensione<br />

dell’innocenza. Ma alla fine cede all’impulso vitale e accetta il rapporto sessuale che si rivela come un<br />

ritorno al seno materno, alle sorgenti della vita; e il romanzo concluderà: Sì, concluse, la vita doveva proprio<br />

essere questo; non il cielo, la terra, il mare, gli uomini e le loro sistemazioni, bensì una caverna buia e<br />

stillante di carne materna e amorosa in cui egli entrava fiducioso, sicuro che vi sarebbe stato protetto come<br />

era stato protetto da sua madre finché ella l'aveva portato in seno.<br />

Nel romanzo La romana in un momento in cui il poliziotto fascista Astarita sta in ginocchio con la testa nel<br />

grembo di Adriana, lei osserva con una frase che molto somiglia alla finale de La disubbidienza:<br />

In quei momenti non mi pareva più un amante bensì un bambino che cercasse il buio e il caldo del grembo<br />

materno. E pensavo che molti uomini vorrebbero non esser mai nati; e che, in quel suo gesto, forse<br />

inconsapevolmente, si esprimeva il desiderio oscuro di essere di nuovo riassunto dentro le viscere tenebrose<br />

dalle quali con dolore era stato cacciato alla luce.<br />

Si tratta come si è detto di un pessimismo cosmico e materialistico, che molto da vicino ci richiama<br />

Lucrezio, il grande poeta latino che Moravia ha assimilato benissimo.<br />

Ma al di là del pessimismo, che nel romanzo è legato al personaggio di Mino, l’intellettuale che non crede ad<br />

un'alternativa storica al mondo borghese, non va dimenticata l'umana pietà che avvolge il personaggio della<br />

romana, della prostituta, così sollecita e devota nel sopportare la sua croce, così rassegnata e di cui Moravia<br />

ha fatto quasi un’eroina, vittima degli ideali della borghesia. Mino arriva al suicidio perché è incapace di<br />

liberarsi dal complesso della borghesia, pur negandone i valori; pertanto la rassegnazione di Adriana è l'unica<br />

via che rende possibile la speranza di una vita migliore. La vita, del resto, migliora soltanto vivendola fin<br />

nelle sue assurde contraddizioni esistenziali. Questo è il problema essenziale ed esistenziale del libro.<br />

Con La ciociara Moravia ha voluto pagare il suo tributo alla letteratura della Resistenza e dell'antifascismo;<br />

ma ha anche ripreso i grandi problemi esistenziali e ideologico-politici che animavano già i drammi di altri<br />

suoi personaggi. Ce lo indica Moravia stesso: Con La ciociara si chiude idealmente la mia fase di apertura e<br />

di fede senza incrinatura nei confronti del Comunismo. Si consumava dentro di me l'identi-ficazione tra<br />

comunista e intellettuale. In altri termini il personaggio di Michele de Gli indifferenti si conclude là, ne La<br />

ciociara. Non a caso, il protagonista maschile del romanzo l'ho chiamato appunto Michele.<br />

Ne La ciociara c’è il superamento dell’indifferenza di Michele che diviene responsabile e consapevole della<br />

lotta antifascista, e la sua elevazione ad esempio di eroe del sacrificio e dell'altruismo.<br />

Questo processo di purificazione e superamento appare tuttavia come problema esistenziale più che<br />

problema politico. Forse più che l'ideologia marxista, spingono Michele all'azione attiva e diretta contro i<br />

fascisti e i nazisti la situazione drammatica del mondo sconvolto e il buon senso di popolano. Anche qui,<br />

come sempre, l'intellettuale è il prodotto migliore che è venuto fuori dalla borghesia, e che ha saputo mettere<br />

in netta crisi quella stessa classe sociale.<br />

Indubbiamente ne La ciociara, che rimane un romanzo autobiografico, una specie di documentario delle<br />

esperienze che l'autore ha fatto nel suo rifugio a Fondi, Moravia ha voluto sottolineare precisamente la<br />

tragedia della guerra, queste nuove forme di alienazione degli uomini imbarbariti prima dal bisogno e dalla<br />

fame, e poi dal profitto e dalla violenza. La vita è questa triste esperienza, e non c'è alcun paese innocente<br />

che possa sfuggire alla realtà drammatica e alienante della guerra e della violenza. Questo è il tono<br />

drammatico de La ciociara, uno dei romanzi più autentici e veristici scritti su quest'ultima guerra, sofferta da<br />

Moravia nelle carni e nello spirito.<br />

Nel 1960 Moravia affronta nel personaggio di Dino, protagonista de La noia il tema della incomunicabilità,<br />

che è l’aspetto più desolato dell’alienazione. E se nel 1929 aveva scelto i personaggi e l'ambiente storicosociale<br />

della società borghese fascista, ora sposta la sua indagine sulla borghesia italiana neocapitalistica del<br />

secondo dopoguerra. Protagonista sarà la società industrializzata e alienata del dopoguerra, la borghesia<br />

fondata sul denaro. "Analizzando un Dino, come personaggio tipico della società borghese contemporanea,<br />

Moravia viene a suggerire e rappresentare che ciò che vi è di tipico in siffatta società, è il fenomeno per cui,<br />

mentre la società borghese classica poteva vantare una pienezza di rapporti con il reale prepotentemente<br />

assoluta e di grande ricchezza vitale almeno per la classe borghese, e anzi una pienezza di rapporti<br />

crescente, quanto più ci si poteva accostare al vertice di quella stessa classe sociale, riservando<br />

l'alienazione ai soli strati inferiori, o moravianamente, ai poveri, oggi l'alienazione investe, nel processo<br />

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fatale di corruzione di siffatta società, anche gli strati più alti, e raggiunge, nei termini di Moravia, anche i<br />

ricchi" (Sanguineti).<br />

Quello de La noia è quindi un dramma di ordine sociale, perché basato sull'analisi dei rapporti fra l'uomo e il<br />

sistema neocapitalistico del secondo dopoguerra.<br />

Il romanzo può apparire quasi pornografico, ma la prima impressione è smentita dal dramma umano ed<br />

esistenziale che matura attraverso il rapporto sessuale, sentito come unico mezzo disperato di comunicazione<br />

in una società alienata dal denaro e dal benessere. E questo è chiaramente detto da Dino: eravamo madre e<br />

figlio e il legame che ci univa non era l'amore bensì il denaro.<br />

Qui il denaro non è più psicologicamente nobilitato dalla verghiana religione della roba, unica realtà che<br />

possa dare l’eternità a Mastro don Gesualdo; è, invece, un potente mezzo che condiziona la solitudine e<br />

l'incomunicabilità umana nel mondo borghese. E quindi "se la sua efficacia di denaro viene meno, se la sua<br />

essenza di strumento per possedere la realtà è sconfitta, è la realtà stessa che è perduta e diviene<br />

assolutamente enigmatica. Perché il denaro, in sostanza, è lo strumento non soltanto dell'alienazione, ma<br />

della conoscenza stessa, nel mondo borghese; ciò che non si spiega in termini di denaro, non si spiega<br />

affatto. Il che chiarisce ancora meglio quanto si affermava più sopra: la realtà è tanto più amabile e<br />

desiderabile quanto più non è economicamente valutabile, cioè proprio in quanto si sottrae al possesso e<br />

rende vano quell'amore e quel desiderio" (Sanguineti).<br />

E Dino stesso lo confessa: Proprio perché Cecilia non si lasciava possedere attraverso il denaro, io mi<br />

sentivo, adesso, spinto, irresistibilmente, a dargliene; così come proprio perché non riuscivo a possederla<br />

attraverso l'atto sessuale, mi sentivo spinto a ripetere più e più volte l'atto medesimo. In realtà, così il<br />

denaro come l'atto sessuale mi davano per un istante l'illusione del possesso; e io non potevo più fare a<br />

meno, ormai, di quell'istante, benché sapessi che era sempre regolarmente seguito da un sentimento di<br />

profonda delusione.<br />

LA POETICA<br />

La critica successiva non ha modificato sensibilmente il giudizio dato dal Russo, secondo cui Moravia<br />

sarebbe uno scrittore privo di effettivo svolgimento, uno scrittore senza storia.<br />

L’equivoco da cui è nata questa valutazione deriva da un fatto di cui Moravia appare assai consapevole: c'è<br />

un tempo storico, in cui lo scrittore intraprende a scrivere una sua opera, ma c'è anche un tempo storicosociale<br />

che egli rappresenta e in cui inquadra le avventure dei suoi personaggi.<br />

Questo rapporto tra il tempo dello scrittore e quello dell'ambiente storico-sociale dei suoi romanzi, ha<br />

indubbiamente contribuito a creare l'equivoco di Moravia scrittore senza svolgimento. D'altra parte,<br />

nonostante la ripetitività di alcuni temi, bisogna tener conto che questi sono presentati sempre in una<br />

situazione psicologica e narrativa sempre variata e in costante evoluzione stilistica. Ancora, ha contribuito al<br />

mito di un Moravia astorico il fatto che, sin da Gli indifferenti, egli sia apparso già uno scrittore maturo. Ma<br />

è anche vero che La noia, che dopo trent'anni ripropone quasi i medesimi temi, indica un'evoluzione notevole<br />

anche se lo sfondo storico-sociale presenta ancora lo stesso clima alienante della incomunicabilità sociale<br />

proprio del periodo fascista.<br />

Vanno considerati quindi almeno quattro momenti nello svolgimento della sua opera: quello de Gli<br />

indifferenti e dei racconti che gravitano intorno ai suoi motivi esistenziali e autobiografici, come Inverno di<br />

malato e altri racconti; quello caratterizzato da Agostino e da La disubbidienza; quello indicato da Il<br />

disprezzo e da La noia e che comprende anche il periodo romano, da La romana a La ciociara e ai Racconti<br />

romani; e infine quello in cui il romanzo viene messo in crisi dallo scrittore e viene scoperta la vocazione del<br />

teatro e dei saggi-racconti.<br />

Già dal suo primo romanzo Moravia adotta la tecnica che sarebbe stata poi detta "deduttiva" e che consiste<br />

nel fatto che egli parte sempre da un’idea astratta da cui sviluppa poi personaggi ed intreccio.<br />

Per questo i personaggi non hanno svolgimento interiore e nel corso del romanzo non si hanno sorprese, per<br />

cui si è detto che la vita dei protagonisti cresce per accumulazione e non per evoluzione; in sostanza essi non<br />

hanno storia come sembra non averne il loro autore. Ma, come si è detto, questa caratteristica dei personaggi<br />

deriva da un procedimento tecnico voluto, in quanto lo scrittore parte sempre da una tesi da dimostrare, e i<br />

suoi personaggi sono soltanto mezzi.<br />

Del resto Moravia, fa un’attenta analisi dei personaggi e si interessa agli aspetti della vita e della società che<br />

rappresenta, ma non arriva mai ad approfondire le cause dei fenomeni. Rappresenta volti, gesti,<br />

comportamenti, restando sul piano dell’evidenza, senza fare opera di scavo morale. "Questa mancanza di<br />

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complicità sentimentale tra lo scrittore e l'umanità rappresentata, questo impegno senza adesione, la sua<br />

partecipazione senza simpatia e talvolta disgustata, se non addirittura neutrale, il suo stile stesso sgraziato e<br />

azzardato (ma sempre scorrevole), sono qualità che rimarranno elementi fondamentali della sua arte<br />

narrativa: per cui si può ben dire che già nel suo primo romanzo Moravia ha messo sul tappeto gli interessi<br />

contenutistici e formali della sua poetica, che poi si svilupperanno e si matureranno nelle opere posteriori in<br />

toni diversi." (Giacalone)<br />

LA TEMATICA<br />

L’analisi del tipo umano dell’inetto e l’interpretazione della crisi della coscienza moderna collegano l’opera<br />

di Moravia alla narrativa italiana che va da Svevo a Tozzi e a Borgese, anche se "ha sempre dichiarato di non<br />

voler esser stato mai uno scrittore politico impegnato deliberatamente in chiave polemica o scolastica, bensì<br />

uno che scopre le parole insieme con le cose e con i fatti; uno scrittore senza eccessiva preparazione politica,<br />

ma che sa scoprire le grandi crisi alienanti del mondo moderno, la cui analisi socio-psicologica investe anche<br />

profondamente la demolizione dei falsi valori della borghesia industriale (Giacalone) Marx, Freud,<br />

Dostoevskij e i tragediografi europei furono fondamentali per la sua formazione, anche se di Marx e Freud<br />

condivise l’aspetto critico e analitico ma non gli elementi propositivi.<br />

Un profonda esigenza moralistica, una ricerca di autenticità umana, di un paese innocente e puro, un'ansia di<br />

stabilire una comunicazione autentica con gli altri sono alla base della ricerca di Moravia. Ma la narrazione<br />

dei fatti da lui esaminati dimostra la vita come è, nella sua dura e crudele realtà alienante e nella sua<br />

disperata incomunicabilità. La crisi della società moderna viene svelata dalla relazione tra sesso e denaro,<br />

che a causa dell’avidità riduce i rapporti umani a quelli puramente sessuali. La prostituta un personaggiotipo,<br />

un esempio di umanità alienata, incapace di stabilire rapporti sociali, al di là di quelli sessuali; un<br />

esempio di persona sopraffatta dai valori mistificanti della società borghese; la scoperta e la rivelazione di<br />

una moderna solitudine che è espressione di una impossibilità a comunicare con gli altri. Tutti gli uomini, in<br />

fondo, hanno il destino della prostituta; rimangono schiavi dei falsi valori proposti dalla vita.<br />

Smarrita ogni traccia di valori metafisici, ridotti quelli materiali al sesso e al denaro, è impossibile ogni<br />

rapporto autentico tra gli uomini.<br />

Negli "infiniti intrighi sessuali dei personaggi di Moravia il possesso della donna e della ricchezza viene<br />

elevato a nume tutelare e univoco di una società borghese ormai in piena crisi di valori. E Moravia si fa<br />

interprete della crisi della borghesia moderna, alienata dalla ricchezza, dal denaro, dalla produzione, dalla<br />

tecnologia, dal lusso, il cui unico mezzo di comunicazione sembra essere il rapporto sessuale. Ma anche tale<br />

rapporto non è autentico, se è vero che difficilmente chi veramente ama riesce a possedere la persona amata<br />

- come accade per la Romana - in quanto gli uomini moderni hanno inquinato anche i rapporti stessi<br />

dell'amore, mistificandoli con quelli della loro ricchezza oppure delle loro manie ossessive" (Giacalone).<br />

In una situazione così alienata "il riconoscimento senza riserve del fattore sessuale allora è una via per il<br />

riscatto, la possibilità che si apre all'eroe moraviano per ricongiungersi alla realtà [...]. Siamo entrati nel<br />

vivo di una crisi di cui Moravia non ha saputo indicarci la soluzione in alcun modo: l'illusione oscillante<br />

della conquista del mondo che poteva esprimersi nel possesso fisico attraverso il sesso, l'esperienza che i<br />

suoi adolescenti prima, poi i giovani, e infine l'uomo adulto avevano tentato di portare in atto attraverso il<br />

rapporto sessuale, si è svelata alla fine come impossibilità di raggiungere un equilibrio psicologico: e ciò è<br />

più chiaro proprio nello stadio della malattia mortale, della noia, quando appunto l'uomo, malgrado<br />

l'esperienza conquistata attraverso la sessualità, dovrà ammettere che quello stesso rapporto nonché<br />

placare la diversità, la inasprisce ancor più" (Pandini).<br />

Dopo Gli indifferenti Moravia fa della realtà sessuale il solo movente possibile per l'azione. Giustamente<br />

osserva il Fernandez: "Il contrario dell'indifferenza non sarà mai, per gli eroi moraviani, una coscienza<br />

morale diritta e coerente; soltanto il riconoscimento senza riserva del fattore sensuale permetterà loro di<br />

riscattarsi dell'indifferenza e di aderire di nuovo con forza alla realtà [...]. Ma il riconoscimento senza<br />

riserva del fattore sessuale non poteva essere immediato; esso supponeva una inchiesta preliminare delle<br />

possibilità del cuore umano […] la verità è che un rapporto armonioso col mondo e con gli altri è<br />

impossibile per gli eroi di Moravia, ognuno è chiuso nel circolo velenoso della sua solitudine, il crollo dei<br />

valori morali ha trascinato con sé la rovina dei sentimenti" (Giacalone).<br />

E da qui deriva, probabilmente, la ragione interiore della sua vocazione narrativa che denunzia gli infiniti casi<br />

che la realtà ci presenta, attraverso quei personaggi che dal fallimento e dal dramma dell'esperienza approdano<br />

finalmente alla riva dell'arte che li rivela a tutti gli uomini. Ed ecco anche la ragione per cui il tema del<br />

sesso non è mai narrato con compiacimento sensuale, bensì con senso di disperazione e di amara solitudine.<br />

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In lui il contrasto tra ricco e povero, tra puri e corrotti non assume però una fisionomia ideologica o politicosociale,<br />

bensì è posto in un rapporto tutto esistenziale per cui soffrono sia ricchi che poveri, sia puri che<br />

corrotti, tutti presi da un delirio senza speranza Elemento fondamentale della tematica di Moravia è il<br />

pessimismo, un pessimismo cosmico e materialistico che ne La romana diventa quasi elegiaco, giacché tutta<br />

la concezione del personaggio è improntata alla nostalgia, al desiderio di un paese innocente, di un ideale,<br />

quello della famiglia a cui lei aspira con tutte le sue forze. "Moravia ha travasato in questo romanzo la<br />

concezione pessimistica che s'era andata accumulando nella sua narrazione per quasi vent'anni, senza<br />

divenire mai così esplicita, così elementare come in questa sua opera, anche se ancora una volta siamo di<br />

fronte a personaggi tarati o afflitti da quel male di vivere che si erano già riscontrati in altre opere,<br />

appesantiti da certe intellettualistiche velleità dimostrative" (Pandini)<br />

Con La ciociara Moravia ha comunque fornito un ulteriore elemento per superare il conflitto interiore che<br />

determina l'indifferenza. "Quasi tutti i personaggi moraviani sono consapevoli che la fine di un modo<br />

vecchio di vita e la metamorfosi salutare per attingere uno stato esistenziale diverso, coincidono con una<br />

violenza: Carla, Agostino, Luca, Michele, Giacomo, Cesira e Rosetta l'accettano come un tributo da pagare<br />

all'autenticità della vita. Il processo naturale di questa crisi è nell'impossibilità di definire l'identità dell'io<br />

alienato alla perdita della propria coscienza. Il tema dell'alienazione - nelle sue varie schematizzazioni di<br />

indifferenza, disubbidienza, conformismo, disprezzo, attenzione diverrà nel personaggio di Dino più<br />

scopertamente noia" (Pandini).<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Alberto MORAVIA Cod.<br />

Gli Indifferenti 1930 RP019<br />

Le ambizioni sbagliate 1935<br />

La bella vita 1935<br />

L'imbroglio 1937<br />

I sogni del pigro 1940<br />

La mascherata 1941<br />

La cetonia, 1943<br />

L'amante infelice 1943<br />

La speranza ovvero Cristianesimo e<br />

1943<br />

Comunismo<br />

Agostino 1944<br />

L'epidemia 1944<br />

Due cortigiane e serata di Don Giovanni 1944<br />

La romana 1947<br />

La disubbidienza 1947<br />

L'amore coniugale 1947<br />

Il conformista 1947<br />

I racconti 1952<br />

Racconti romani 1954<br />

Il disprezzo 1954<br />

La ciociara 1957<br />

Teatro 1958<br />

Un mese in URSS 1958<br />

Nuovi racconti romani 1959<br />

La noia 1960<br />

L'automa 1962<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

Un'idea dell'India 1962<br />

L'uomo come fine 1963<br />

L'attenzione 1965<br />

Cortigiana stanca 1965<br />

Le luci di Roma 1965<br />

Il mondo è quello che è 1966<br />

Una cosa è una cosa 1967<br />

Il dio Kurt 1968<br />

La rivoluzione culturale in Cina 1968<br />

La vita è gioco 1969<br />

Il paradiso 1970<br />

Io e lui 1971<br />

A quale tribù appartieni 1972<br />

Un'altra vita 1973<br />

Al cinema 1975<br />

Boh 1976<br />

La vita interiore 1978<br />

Un miliardo di anni fa 1979<br />

Impegno controvoglia 1980<br />

Lettere dal Sahara 1981<br />

1934 1982<br />

Storie della preistoria 1982<br />

La cosa e altri racconti 1983<br />

La Tempesta 1984 Pellicanolibri, Catania<br />

L'uomo che guarda 1985<br />

L'angelo dell'informazione e altri testi<br />

1986<br />

teatrali<br />

L'inverno nucleare 1986<br />

Passeggiate africane 1987<br />

Il viaggio a Roma 1988<br />

La villa del venerdì e altri racconti 1990<br />

EDIZIONI POSTUME<br />

La donna leopardo 1993<br />

I due amici 2007 Bompiani, Milano<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

CESARE PAVESE<br />

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida<br />

Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997<br />

Pag.814-830 839-844 854-856)<br />

LA VITA<br />

Cesare Pavese nacque a S. Stefano Belbo, un paese delle<br />

Langhe, nel 1908. Il padre, cancelliere al tribunale di Torino,<br />

aveva in quelle Langhe un podere, in cui Cesare da ragazzo<br />

trascorreva le vacanze estive. A quei luoghi dell'infanzia, mitizzati<br />

nei simboli di una memoria indelebile, egli rimase<br />

sempre legato anche negli anni della maturità; anzi essi<br />

avranno un valore determinante nella sua vita e nella sua poetica.<br />

Questa felicità del ragazzo dura fino al 1916; poi il podere<br />

e la casetta vennero venduti in seguito alla morte del padre.<br />

A Torino Cesare compì i primi studi ed ebbe come maestro<br />

Augusto Monti, che poi doveva essere un punto di riferimento<br />

dei giovani liberali torinesi e maestro eccezionale di<br />

tutta una generazione di patrioti.<br />

La sua vocazione letteraria si manifestò assai presto e con una<br />

serietà non comune in un giovane. Né va dimenticato che egli<br />

si forma in quella cultura piemontese che era all'avanguardia<br />

con Gobetti, Gramsci e poi Ginzburg. Il 20 giugno 1930 si<br />

laureò in Lettere discutendo con Ferdinando Neri una tesi Sulla interpretazione della poesia di Walt<br />

Whitman, che costituì l'avvio di una lunga attività di americanista e, anche il modello iniziale delle sue prove<br />

poetiche. Infatti egli inizia dal novembre di quello stesso anno la sua collaborazione alla Cultura, diretta<br />

allora da Cajumi, con un saggio critico su S. Lewis, a cui seguiranno altri su Anderson, Lee Masters,<br />

Melville, Dos Passos, G. Stein, Whitman, Faulkner. Questi saggi furono seguiti presto, da magistrali<br />

traduzioni dall'americano e dall'inglese.<br />

Negli scrittori americani egli cercava nuovi modelli realistici, che gli confermassero e chiarissero la sua<br />

insofferenza contro le forme estetiche allora dominanti in Italia, ermetiche e rondiste.. In un certo senso egli,<br />

scoprendo la nuova letteratura americana cercava di scoprire se stesso e iniziava una rottura profonda contro<br />

la cultura ufficiale italiana; così, anche senza volerlo, si schierava con quella cultura politica della Resistenza<br />

che sarà convogliata nel Partito Comunista.<br />

Ma a questo contribuiscono anche alcune vicende familiari; gli muore la madre nel 1931; ed egli continua a<br />

vivere con la famiglia della sorella Maria a Torino, ma chiudendosi sempre più in se stesso. Non essendo<br />

iscritto al partito fascista, si doveva adattare ad insegnare per poco in Istituti privati e serali. L'apertura della<br />

casa editrice Einaudi lo vede tra i primi collaboratori insieme a Monti, Ginzburg, Geymonat, Mila,<br />

Antonicelli, Cajumi e Levi. Nel 1934, essendo stato arrestato Ginzburg per motivi politici, lo sostituisce nella<br />

direzione della “Cultura”; di questo periodo è il suo amore per una professoressa di matematica, donna dura<br />

e volitiva, impegnata nel del Partito Comunista clandestino. Fu proprio a causa di questo amore che subì una<br />

delle più violente frustrazioni della sua vita. Egli aveva accettato di ricevere alcune lettere politiche, dirette<br />

alla sua donna; ma la polizia irruppe nella sua abitazione arrestandolo. Processato e condannato, fu inviato al<br />

confino a Brancaleone Calabro per tre anni nel 1935.<br />

La rivista veniva soppressa e l'allontanamento da Torino non contribuì certamente a migliorare la sua indole<br />

introversa e meditativa.<br />

Dopo un anno di confino, gli vennero condonati gli altri due e poté ritornare nella sua terra e nella sua città,<br />

ma la professoressa, da lui amata si era sposata già da un anno con un altro. Comincia di qui il suo trauma<br />

maggiore, la sua inadattabilità alla vita; si tratta di una grave crisi, che per anni lo terrà sospeso in una<br />

tormentosa ossessione di suicidio. Così si chiuse in un isolamento disperato, trovando rifugio soltanto nella<br />

letteratura e riprendendo a lavorare instancabilmente. Le testimonianze di questo travaglio interiore si<br />

trovano in un diario, Il mestiere di vivere, che sarà pubblicato nel 1952.<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

Nel 1936, al ritorno dal confino, pubblica la sua prima raccolta di poesie, Lavorare stanca per le edizioni di<br />

Solaria. Saranno pochi ad apprezzarlo, anche perché pochi lo capiranno, essendo la sua raccolta un libro del<br />

tutto nuovo, condotto con una tecnica prosastica sconosciuta in Italia. Intanto era ritornato presso la Casa<br />

Einaudi, dove riprende con lena e successo il lavoro di traduttore. Nel 1941 egli pubblicava il romanzo Paesi<br />

tuoi, scritto nel 1939, che ebbe un certo successo di critica.<br />

Nel 1940 comincia la guerra fascista; egli viene chiamato alle armi, ma per una grave forma di asma viene<br />

congedato. Nel 1942 pubblica La spiaggia, un romanzo di cui presto si vergognerà perché non impegnato.<br />

Nel 1943 è a Roma, dove la Casa Einaudi ha aperto una succursale; ma l'armistizio dell'8 settembre 1943 lo<br />

coglie a Torino. In seguito allo sbandamento dell'esercito e alla conquista dei tedeschi, egli si rifugiava con la<br />

famiglia della sorella a Serralunga di Crea nel Monferrato. Quelle colline, ricordandogli le sue Langhe, gli<br />

ripresentavano i miti della sua giovinezza.<br />

Il 1944 è per lui un anno di grazia e di riposo, dedicato alla meditazione, che neppure la presenza dei partigiani<br />

riesce a turbare. Insegna in un istituto di Padri Somaschi, a Casale, e li frequenta con assiduità discutendo<br />

con loro. Pare che sia alla soglia di una conversione religiosa. Ma dopo la Liberazione è di nuovo a<br />

Torino. che trova molto cambiata, si iscrive, senza convinzione, al Partito Comunista e collabora al giornale<br />

L'Unità. Intanto il romanzo Il compagno (1947) vince il premio Salerno consacrandolo come autore impegnato<br />

in un nuovo realismo letterario. Nel 1950 ottenne il premio Strega per il trittico de La bella estate. Conosce<br />

una giovane attrice americana, Constance Dawling, se ne innamora, scrive per lei soggetti cinematografici,<br />

le dedica l'ultimo suo romanzo La luna e i falò. Ma la bella attrice partirà per l'America, lasciandolo<br />

solo; il 27 giugno del 1950 Pavese si uccide in una stanza di un albergo di piazza Carlo Felice a Torino inghiottendo<br />

numerose cartine di sonnifero. Sul frontespizio di una sua opera posata sul tavolino da notte, si<br />

potevano leggere le sue ultime parole, le stesse di Majakovskij: Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va<br />

bene? Non fate molti pettegolezzi.<br />

LE OPERE<br />

In Lavorare stanca, c'è un gruppo di liriche impegnate, in cui il realismo pavesiano, pur partecipando alle<br />

istanze operaie e rievocando talora qualche martire della lotta sindacale, non riesce ad andare oltre la cornice<br />

e la tecnica.<br />

Gran parte delle liriche di Lavorare stanca non supera i termini di un serio esperimento neorealistico, di una<br />

serie di tecniche stilistiche , ma nonostante le intenzioni realistiche e le nuove tecniche, Pavese non è riuscito<br />

a creare un nuovo modo di far poesia e il suo posto come poeta è ben presto superato da quello del narratore.<br />

Pertanto Lavorare stanca finisce con l'avere un valore marginale rispetto alla sua arte narrativa.<br />

Tra il 1938 e il 1939 nasceva Il carcere, pubblicato poi assieme al romanzo La casa in collina nel 1949 nel<br />

volume Prima che il gallo canti. Il motivo del confino, rimbalzando dalla poesia ai racconti, ora finalmente<br />

trova piena attuazione artistica in questo romanzo, il cui titolo originario avrebbe dovuto essere ) Memorie di<br />

due stagioni, ma che poi prese il titolo Il carcere. La situazione morale di Stefano, protagonista del romanzo,<br />

altro non è che una ripresa e un approfondimento psicologico del tema di chi sta a guardare la vita dalla<br />

finestra senza riuscire ad avere o a stabilire un qualsiasi contatto con la realtà. Sia Il carcere che altri<br />

racconti rimasero a lungo inediti e valsero all'autore moltissimo come esperimenti e tirocinio per una nuova<br />

narrativa e una nuova tematica realistica, oltre che per la ricerca di uno stile neorealistico.<br />

Paesi tuoi, scritto nel 1939 e pubblicato nel 1941, è non solo il romanzo che rivelò alla critica Pavese narratore,<br />

ma fissa anche l'anno al quale si suol far risalire la nascita ufficiale del Neorealismo nella narrativa italiana.<br />

In quella occasione la critica ufficiale si affrettò a catalogare Pavese fra i neorealisti. Al di là di quelle<br />

polemiche (anche i critici fascisti non mancarono di sottolineare il nuovo stile derivato da Steinbeck). Il<br />

romanzo, mettendo in antitesi città e campagna, indicava sotto quel contrasto metaforico una sostanziale polemica<br />

contro i miti fascisti spostando il suo obiettivo non più su temi di evasione bensì su forti passioni, e su<br />

reali problemi.<br />

Nel 1940 Pavese scrive il romanzo La bella estate, che sarà pubblicato nel 1949 insieme a Il diavolo sulle<br />

colline e Tra donne sole. La bella estate si distingue non tanto per la povertà dei mezzi stilistici, ma anche<br />

per una particolare tecnica di montaggio delle varie sequenze narrative. strutturate in brevi capitoletti, che<br />

condensano in sé una vicenda autonomamente compiuta, quasi a mo' di diario obiettivamente redatto. La<br />

struttura dialogica è alla base di questo romanzo ed è, appunto, il dialogo e il monologo interiore che con<br />

maggiore evidenza fanno risaltare la dimensione umana dei personaggi. Nel 1941 scrisse La spiaggia: l’importanza<br />

di questo romanzo, che lo stesso Pavese avrebbe poi rinnegato perché "non impegnato", consiste<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

nella chiara presentazione del binomio città-campagna. Per la prima volta Pavese sposta il suo obiettivo di<br />

narratore dal mondo proletario e contadino al mondo dell'alta borghesia, mettendone in evidenza la crisi<br />

interna.<br />

Negli anni della guerra Pavese sistemerà la sua grande teoria del mito e approfondirà la sua poetica narrativa.<br />

Cercando di salvarsi dal Naturalismo attraverso la poetica delle immagini-racconto che egli ha già sostituito<br />

alla poesia-racconto. Gli allarmi aerei sulla sua città e i bombardamenti gli risvegliano un terrore atavico, una<br />

realtà primitiva, una percezione quasi animistica della natura. Il mito pavesiano nasce e vigoreggia in quel<br />

clima di scoperte simboliche dell'infanzia, in quel mondo istintivo-irrazionale che viene liberato proprio durante<br />

la guerra. La sola e vera ispirazione può nascere dai miti, quando questi siano creduti. “Non è a caso<br />

che molti artisti ricorrano all'infanzia e cerchino di risalire il fiume della memoria per accostarsi al mondo<br />

larvale e istintivo delle origini. Risalire il corso della memoria, sia pure affidandosi come Proust alla pura<br />

sensazione, sembra però a Pavese modo inadeguato: la sensazione è pur sempre ricordo e quindi soggetta<br />

alle coloriture di gusto. Occorre invece saper trascurare i ricordi gloriosi e confinarsi a scavare le zone<br />

monotone e neutre, rinunciare alla memoria per scavare nella realtà attuale e denudare la propria essenza.<br />

L’ispirazione è una vera e propria illuminazione, è estasi religiosa e di tale pienezza, che minaccia di travolgere<br />

l'artista” (Mondo). In questo clima egli scrive Feria d'agosto nel '41-'44 (pubblicandoli nel '46), una<br />

raccolta di racconti e di prose estetiche sul mito, il gruppo di liriche La terra e la morte 1945-'47) e i Dialoghi<br />

con Leucò 1945-'47), che costituiscono il suo libro più specifico di questa teoria del mito, e in cui conformava<br />

la sua concezione del mondo e dell'arte. Sarebbe utile leggere questi dialoghi per rendersi conto di<br />

quanto in questo libro Pavese si allontanasse dal Neorealismo, nonostante si ostinasse a sostenerlo nel 1946-<br />

'47 col romanzo Il compagno, con cui egli pagava il suo tributo all'impegno politico nel Partito Comunista.<br />

Pavese, nel 1945, aveva già scritto ne L'Unità l'articolo Ritorno all'uomo e su Rinascita Dialoghi col<br />

compagno, in cui giustificava la posizione e il significato che assumeva il letterato di Sinistra nel contesto<br />

politico di una società che era uscita dalla guerra e si era liberata dal Fascismo, dopo la lotta della Resistenza.<br />

Ovviamente si tratta di scritti elaborati e redatti nell'euforia della Liberazione e nell'attesa di un mondo<br />

nuovo e rinnovato, in cui, secondo Pavese, si doveva salvare l'apertura dell'uomo verso l'uomo. Ma l'impegno<br />

di Pavese avveniva dopo una lunga elaborazione di miti decadenti, travestiti di Realismo americano.<br />

La critica accolse assai favorevolmente Il compagno nell'immediato dopoguerra, allorché più viva si faceva<br />

la necessità di una letteratura politicamente impegnata. “ Ma non basta voler scrivere un romanzo impegnato<br />

per fare opera di poesia. Il fallimento è notevole agli occhi della critica, dopo qualche decennio dal suo<br />

successo.<br />

La casa in collina (1947-'48, ma pubblicato nel 1949) è, invece, un autentico romanzo della Resistenza,<br />

proprio perché ha come protagonista un intellettuale. E’ ovvio, anche in questo romanzo, il riferimento<br />

all'esperienza autobiografica di Pavese rifugiatosi nelle Langhe durante il periodo clandestino. Tutta la trama<br />

del racconto è intessuta, di senso tragico della vita, che ora in Pavese è assurto a pathos e angoscia che investe<br />

tutti gli uomini, vinti e vincitori, accomunati nel triste destino della vita che scompare irreparabilmente<br />

nel nulla. Il diavolo sulle colline, unitamente a La bella estate e Tra donne sole, ottenne nel '49 il premio. Il<br />

romanzo è un inno giovanile di scoperta della natura e della società: ai tre ragazzi, protagonisti del racconto,<br />

pare tutto bello, e soltanto a poco a poco prendono contatto ciascuno a suo modo con la sordidezza del<br />

mondo borghese che non fa nulla, che non crede a nulla. Nel romanzo Tra donne sole i personaggi ruotano<br />

entro una sfera di incomunicabilità e di egoismo che li rende privi di ogni moto di pietà o di umanità. Anche<br />

Clelia, il personaggio positivo, assiste impotente al dramma silenzioso che si agita attorno a lei; lei stessa è<br />

una déracinée che non può ormai più scegliere il proprio destino, anche se apparentemente la sua volitività<br />

sembra salvarla dalla sorte delle altre donne sole. In questa donna Pavese ha realizzato l'ultimo tentativo di<br />

credere ad una vita che possa essere il prodotto unico delle nostre capacità. E Clelia è una delle poche<br />

creature che si salvano, perché sa accettare la sua solitudine come il suo lavoro, anche rifiutando la<br />

consolazione dell'amore e del sesso.<br />

L’ultimo romanzo di Pavese, scritto nel 1949 e pubblicato nel 1950, La luna e i falò, svolge in più alta e<br />

compiuta elegia il tema del ritorno.<br />

Anguilla, protagonista del romanzo, è un tipico personaggio pavesiano, uno che ritorna e ripercorre in<br />

pellegrinaggio i luoghi mitici dell'infanzia, vagheggiati come l'unica via per attingere la pienezza del vivere e<br />

la consapevolezza del proprio destino. Ma la realtà sempre interviene a lacerare il velo della memoria, perché<br />

il passato è perduto per sempre.<br />

E’ per questo che si può ritenere La luna e i falò l'opera definitiva di Pavese: perché rappresenta il ritorno<br />

all'infanzia, ma […] per trovare in esso l'oblío, cioè la non-umanità, ma piuttosto come la revisione di un<br />

modulo interpretativo della realtà con cui il fanciullo aveva dato vita alle cose delle quali l'uomo scoprirà poi<br />

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la sostanziale inconsistenza morale. Il grande falò [...] ha appunto questo significato. Ritrovare se stesso<br />

irrimediabilmente diverso dal ragazzo di un tempo, e accettare la nuova realtà fatta di coscienza, rappresenta<br />

il superamento della ferinità, [...] e il dolente accoramento nel vedere quel paesaggio mitico dissolversi, è lo<br />

sforzo compiuto dall'uomo per salvarsi dal processo involutivo che lo condannerebbe alla perpetua inazione,<br />

cioè alla amoralità dell'isolamento” (Mollia).<br />

LA POETICA<br />

Emerge sempre in Pavese un contrasto interiore, un'antinomia di fondo, tra il suo innato gusto decadente e le<br />

sue ferme intenzioni di instaurare o sperimentare una nuova letteratura di tipo realistico anglo-americana, da<br />

Defoe a Dickens, da Melville a Joyce, da Lewis a Dos Passos e alla Stein, di cui egli forniva interpretazioni<br />

esemplari ed emblematiche.<br />

Infatti gli scrittori americani moderni (Dos Passos, Steinbeck, Faulkner) assimilati da lui tanto da dar luogo<br />

ad una originale forma di contaminatio tra le colline piemontesi e i paesaggi americani del Sud, tra le<br />

periferie subalpine e le megalopoli americane, diedero a Pavese uno stimolo e un mezzo di liberazione<br />

morale e ideologica, un'occasione di protesta e di ricerca in chiave realistica, durante un periodo della nostra<br />

cultura dominata dal disimpegno politico dei letterati e dall'Ermetismo; ma quella lezione neorealistica, era<br />

sin dall'inizio contaminata dalla cultura decadente europea e ricompariva sempre tra le righe e le buone<br />

intenzioni di rinnovamento.<br />

La vocazione neorealistica, la lezione vera di Realismo che era contenuta nell'opera del Verga, invece, fu<br />

sviluppata dai registi cinematografici, i quali, almeno nel primo momento, seppero offrirci un'autentica arte<br />

realistica.<br />

Non possiamo affermare che Pavese sta ai realisti americani, come Verga sta ai naturalisti francesi. Verga,<br />

infatti, componeva arte verista dopo che si era liberato definitivamente da tutti i residui romantici e<br />

sentimentali, mentre Pavese porta con sé nel mondo realistico dei suoi romanzi la sofferenza dei propri<br />

problemi esistenziali, l'angoscia della sua solitudine, la sua elegia tragica.<br />

Pertanto Pavese, in ogni sua opera, denuncia questo dissidio di fondo tra la sua autentica ispirazione liricoelegiaca<br />

e l'intenzione di piegare questa sua vocazione ad esigenze ideologiche, che possono essere prima<br />

quelle del Realismo americano, e poi quelle del marxismo, inteso come momento di rottura dell'incomunicabilità<br />

e inserimento nella socialità. Perciò egli rimane sempre un lirico, poiché in lui l'elegia tragica tornerà<br />

sempre ad addensarsi come sentimento della malinconia del vivere, anche quando crederà di aver risolto tale<br />

elegia in un racconto oggettivo e realistico, come avviene per La bella estate e La luna e i falò<br />

Si direbbe subito che Pavese, poiché subiva pienamente le insidiose suggestioni dell'irrazionalismo contemporaneo<br />

in tutte le sue più svariate manifestazioni psicologiche e sociologiche ed etnologiche, in quanto<br />

sentiva le insanabili contraddizioni dell'uomo moderno e della società alienata, cercava di farsi forte e difendersi<br />

con la sua cultura umanistica contro ogni dispersione irrazionale in sede artistica. Di qui la consapevolezza<br />

e la stringatezza del suo stile di contro alla irrazionalità dei sentimenti, la sanità della sua parola<br />

poetica di contro al costante "vizio assurdo" della solitudine e della morte.<br />

E indicava come prima realizzazione di queste sue velleità la poesia I mari del sud, in cui era passato da un<br />

lirismo di sfogo al tono di un pacato e chiaro racconto. E tale poesia-racconto, è una forma di poesia oggettiva<br />

sia nel linguaggio parlato sia nella forma del verso: un primo avvio della nuova poetica neorealistica.<br />

Tradurre, poi, questo mondo intenzionale in un mondo artistico realizzato, è stato per Pavese ben altra cosa,<br />

poste le premesse della sua fondamentale cultura decadente. Successivamente Pavese tenderà a superare la<br />

nuda e semplice registrazione psicologica e cronistica, il culto dell'immediata oggettività, temperando la<br />

tecnica e la poetica della poesia-racconto in quella dell'immagine-racconto, come nei Paesaggi.<br />

Indubbiamente Pavese avvertiva un grande disagio nella cultura italiana contemporanea; ma è molto<br />

probabile che egli trasferisse indiscriminatamente il disagio politico e la crisi della società e della coscienza<br />

moderna nel campo della poesia e dell'arte ermetica e rondista, e, quindi, vedesse in quell'arte l'aspetto<br />

essenziale di quella società in disgregazione morale. Ed egli lo dichiarava apertamente ne Il mestiere di<br />

poetasì in un'epoca di arte pura, di prosa d'arte, di poesia rarefatta, proprio quando la prosa italiana era un<br />

colloquio estenuato con se stessa e la poesia un sofferto silenzio, egli assumeva atteggiamenti antiermetici e<br />

antirondisti, scoprendo nel linguaggio vivo e realistico della letteratura americana temi e forme realistici che<br />

avevano una nuova prospettiva storica di vera avanguardia. E ciò perché il suo punto di partenza era una<br />

poesia oggettiva, realistica, una poesia-racconto.<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

Il mio gusto voleva un'espressione essenziale di fatti essenziali, ma non la solita astrazione introspettiva,<br />

espressa in quel linguaggio, perché libresco, allusivo. Il Realismo di Pavese è rimasto, quindi, un fatto<br />

meramente intenzionale, talvolta anche in contrasto con la sua autentica vocazione elegiaca; e a tale<br />

proposito è molto indicativo che proprio negli anni del trionfo del Neorealismo nella letteratura e nel cinema<br />

Pavese scriva i Dialoghi con Leucò “ove, all'opposto, la natura si rappresenterà intrisa di dubbio, di<br />

mistero, di angoscia … ” (Stella).<br />

Per il suo stile, però, il suo linguaggio e la sua funzione culturale egli fu un autentico maestro e divulgatore<br />

di letteratura realistica, al di là delle sue realizzazioni artistiche.<br />

Ci si è chiesto, in seguito a questo come mai Pavese possa esser stato considerato un maestro del Realismo,<br />

se la sua poetica è quanto di più decadentistico vi sia stato in Italia, e se è vero che il Realismo deve essere<br />

inteso come superamento di ogni forma di Decadentismo ed anche come affermazione dei valori positivi e<br />

progressivi della vita. Anzitutto va tenuto presente il temperamento introspettivo di Pavese, che in nessuna<br />

occasione seppe mai essere uomo d'azione e venire a contatto diretto con la realtà della vita sociale, neanche<br />

durante il periodo della lotta partigiana, che pur dovette ammirare e comprendere. Va tenuta presente, poi, la<br />

sua formazione culturale, che è di tipo decadente, ma arricchita da studi psicologici, etnologici e dalla<br />

letteratura americana così ricca di fermenti sociali. E va tenuta presente anche la condizione politica e sociale<br />

in cui visse; trovò sulla sua strada il nazionalismo, l'idealismo, il vecchio messaggio della nostra tradizione<br />

umanistica in crisi e visse l'intero arco della involuzione della vita civile del nostro Paese, caduto nella<br />

dittatura fascista e si trovò in polemica con la cultura ufficiale, anzi con quella che era la disgregazione<br />

culturale degli anni fascisti.<br />

LA TEMATICA<br />

Una delle tematiche fondamentali nell’opera di Pavese è la descrizione della situazione psicologica<br />

dell’uomo chiuso definitivamente in un carcere morale, in un’assoluta incomunicabilità, che dà tono unitario<br />

al romanzo redatto secondo la tecnica dell’immagine racconto e in forma di monologo interiorecon<br />

opportune interruzioni di parti dialogate protese verso il dialetto (Prima che il gallo canti) Paesi tuoi<br />

rappresenta il risultato di quell'operazione culturale di allargamento della cultura letteraria italiana di cui<br />

Pavese stesso, con Vittorini, fu uno dei maggiori protagonisti negli anni tra il 1930 e il '40, attraverso la<br />

introduzione in Italia della narrativa realistica anglo-americana. Come gli scrittori americani nelle loro<br />

province volevano scoprire il dramma dell'uomo, così Pavese voleva rivelare in Paesi tuoi le riserve di più<br />

schietta umanità custodite nella sua provincia, i fermenti nascosti e ignorati della vita dei campi, ravvivandoli<br />

con le esperienze e le tecniche narrative della nuova letteratura americana. Certamente l'attenzione<br />

dell'autore spostata su certi aspetti meno consolanti della realtà, più rudi, nonché l'uso dei modi elementari<br />

del linguaggio, dimostrano il permanere in Italia della grande lezione del Realismo ottocentesco di Verga e<br />

di Balzac, ma con l'aggiunta dell'esperienza decadente e neorealistica. Come lo scrittore nel naturalismo<br />

doveva scomparire di fronte alla realtà, ora deve scomparire anche davanti al personaggio (La bella estate).<br />

Con La spiaggia inizia uno dei temi ricorrenti in Pavese, che è quello della contrapposizione tra città, intesa<br />

come maturità e responsabilità, e campagna intesa come infanzia e contemplazione delle memorie giovanili.<br />

Questo tema verrà ripreso in altre opere come Il diavolo sulle colline in cui vengono messi a contatto diretto<br />

due mondi socialmente diversi, di cui sono rispettivamente esponenti da una parte i tre studenti figli di<br />

famiglie contadine o popolane, e dall'altra Poli, la moglie e i suoi amici milanesi. Tuttavia tra i vari<br />

protagonisti, nonostante le diversità dei ceti sociali, non c'è una rigida demarcazione, che possa legittimare la<br />

satira alla borghesia come unico tema, anche se almeno in apparenza, i termini antitetici città-campagna,<br />

infanzia-maturità, anche qui sembrano mettere in rilievo questa dualità di valori, con la preferenza morale<br />

per la sanità del mondo della campagna. Nei Dialoghi con Leucò Pavese reinterpreta le figure della mitologia<br />

greca alla luce della sua cultura moderna fondata sugli studi di etnologia, di Freud e dell'Esistenzialismo.<br />

Eroine ed eroi del mondo greco e mitologico diventano la proiezione dei miti della mente e del sentimento<br />

dell'autore, alla stessa guisa delle Operette morali per il Leopardi ”Le velleità ideologiche, anche generose,<br />

che furono il grande equivoco del periodo neorealista, non risparmiano nemmeno Pavese, almeno per quel<br />

che riguarda Il compagno, un romanzo scritto apparentemente per una doverosa ammissione di fede<br />

politica; […]. Il compagno vuole essere il recupero delle ragioni ideologiche della Resistenza attraverso la<br />

descrizione di un destino, quello di Pablo che dal buio della coscienza, giunge alla consapevolezza del<br />

perché si vive e si combatte” (Venturi). Ne La casa in collina, torna il tema del Carcere: l'impossibilità di<br />

partecipare alla storia senza compromessi; problema che in parte egli aveva narrato nel racconto La famiglia.<br />

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Il tema del ritorno, dell’infanzia della campagna viene ripreso da La luna e i falò. Al reduce che cercava nei<br />

luoghi della sua infanzia le tracce del suo passato non rimane che accettare la estraneità al suo paese e,<br />

partendo, constatare, ormai oppresso dal passato e dal presente, che crescere vuol dire andarsene,<br />

invecchiare, veder morire, ritrovare la Mora com'era adesso.<br />

Tutta la conclusione del romanzo è fondata sulla constatazione della legge della morte che è connaturata alle<br />

cose dell'uomo e della vita.<br />

“Ripeness is all (maturare è tutto): è la sentenza che, apposta nella dedica di quest'ultimo volume, Pavese<br />

aveva fatta sua nelle meditazioni del diario. Qui rappresenta lo sbocco di un processo interiore che porta<br />

Pavese a rivedere se stesso fanciullo nella riscoperta della vigna, della collina, che, fuori del tempo e dello<br />

spazio, riassumono la prospettiva di un'infanzia che non è nostalgia, o proustiana recherche du temps perdu,<br />

ma identificazione istintiva con un'attualità vissuta nella tragica consapevolezza di non poter mai essere se<br />

stessi se non quando il mito, divenendo coscienza, si dissolverà, e sarà sostituito dalla piena moralità umana,<br />

che è storia.<br />

“E’noto che all'origine della poetica pavesiana c'è la scoperta dell'infanzia come l'età in cui l'uomo compie<br />

le sue esperienze fondamentali. E' nell'infanzia che si ha il primo contatto con il mondo e che si creano i<br />

simboli, i miti, corrispondenti alle singole rivelazioni delle cose […]. Le successive esperienze non sono che<br />

un conoscere una seconda volta, un riscoprire e ridurre a chiarezza quei miti. […] Alla contrapposizione fra<br />

infanzia e maturità si affianca, come equivalente, quella tra campagna e città sul piano storico, quella fra<br />

l'età primitiva dell'uomo, titanica e selvaggia, e l'età civile e culta. Siamo arrivati [...] al vagheggiamento di<br />

un mondo mitico e irrazionale, punto di partenza di tutto il Decadentismo europeo [ ... ]” (Salinari).<br />

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SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Lavorare stanca (poesie) 1943 Einaudi, Torino<br />

Notte di festa (racconti) 1953<br />

Cesare PAVESE Cod.<br />

Il carcere 1949 Einaudi, Torino ET082<br />

Paesi tuoi 1941 Einaudi, Torino EI004<br />

La casa in collina 1949 Einaudi, Torino ET010<br />

La bella estate 1949 Einaudi, Torino OM26<br />

La spiaggia 1956 Einaudi, Torino<br />

ET078<br />

ET090<br />

Il Compagno 1947 Einaudi, Torino ET014<br />

Dialoghi con Leucò 1947 Einaudi, Torino ET039<br />

Il diavolo sulle colline 1949 Einaudi, Torino<br />

Tra donne sole 1949 Einaudi, Torino<br />

La luna e i falò 1959 Einaudi, Torino<br />

Racconti Einaudi, Torino<br />

ET066<br />

ET051<br />

ET080<br />

ET081<br />

RP007<br />

ET054<br />

ET025<br />

ET089<br />

Bell’Italia Einaudi, Torino ET042<br />

Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950 1952 Einaudi, Torino ET077<br />

Feria d’agosto 1946 Einaudi, Torino ET094<br />

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi 1962 Einaudi, Torino<br />

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VASCO PRATOLINI<br />

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida<br />

Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag.<br />

900-937)<br />

LA VITA<br />

Vasco Pratolini è nato a Firenze il 19 ottobre 1913 da un'umile<br />

famiglia fiorentina vissuta in un tipico quartiere cittadino, che spesso<br />

sarà protagonista dei suoi romanzi. La partenza del padre per la<br />

guerra e la morte della madre lo costrinsero a vivere da piccolo con i<br />

nonni e nonostante il ritorno del padre dopo la guerra, la famiglia non<br />

si ricompose perché il padre si sposò di nuovo e il giovane Vasco,<br />

non inserendosi nella nuova realtà familiare preferì vivere solo<br />

facendo l'operaio in una tipografia.<br />

Alternava però al lavoro lo studio di Dante, Dickens, Manzoni, sotto<br />

la guida di Ottone Rosai, di Bilenchi e di altri amici fiorentini. Si<br />

orientò in seguito verso Cardarelli e Campana e verso la prosa d'arte.<br />

Ma il troppo lavoro e la vita sregolata minarono la sua malferma<br />

salute; i medici diagnosticavano la sua malattia come tubercolosi<br />

polmonare e fu costretto a ricoverarsi (l’esperienza fatta nei<br />

conservatori si ritrova nel suo Taccuino da Convalescente). Dopo la<br />

guarigione, nel 1936, riprese il lavoro e la strada alla collaborazione di varie riviste gli fu aperta da Vittorini<br />

che lo stimolò ad un maggiore impegno politico.<br />

Nel 1941 pubblicava Il tappeto verde, e nel 1942 la seconda opera, Via de' Magazzini, in cui ottenne una più<br />

solida omogeneità narrativa.<br />

Dopo Amiche l’ideologia antifascista e la presa di coscienza nella lotta partigiana maturarono ne Il<br />

Quartiere: del resto la durezza della sua esperienza di vita contribuì alla formazione di scrittore popolare.<br />

Dalla pubblicazione di Cronache di poveri amanti e Cronaca familiare, due romanzi che lo imposero al<br />

pubblico e alla critica, si è sempre più affermato anche nei premi letterari, vincendo il Premio Viareggio, il<br />

premio Feltrinelli dell'Accademia d'Italia e il premio Marzotto. E tra gli scrittori italiani più tradotti all'estero.<br />

Si è spento a Roma nel 1991.<br />

LE OPERE<br />

A parte le opere giovanili Magazzini e Le amiche, raccolte nel 1956 nel Diario sentimentale, il libro che<br />

costituisce un momento fondamentale della sua carriera Il Quartiere (1944), considerato a buon diritto uno<br />

dei romanzi che hanno dato inizio al Realismo. L’esperienza drammatica della Resistenza, e il contatto con<br />

la realtà della guerra, della miseria e della fame davano un più pensoso senso della vita ai suoi ragazzi<br />

fiorentini, che nel romanzo vengono messi di fronte alla scelta del loro futuro. Negli anni in cui Pratolini<br />

scriveva questo suo primo romanzo, l'antifascismo e la lotta partigiana s’identificavano con il Comunismo,<br />

che continuava il nostro Risorgimento, combattendo contro tedeschi e fascisti. E Pratolini è cantore del<br />

vitalismo giovanile, più che del comunismo scientifico che gli voleva affidare un compito più forte delle sue<br />

possibilità. Il Quartiere fu il canto della nostra liberazione politica, il canto della presa di coscienza politica<br />

dei giovani dinanzi alle loro responsabilità.<br />

La coscienza politica e l'esigenza di una rivoluzione sociale nascono sulla base di una solidarietà collettiva,<br />

su un sentimento di amicizia e di fiducia dell'uomo sull'uomo. E il tema narrativo del passaggio dall'infanzia<br />

alla maturità è legato anche a quello della formazione di una coscienza politica e sociale in ognuno di loro,<br />

sia fascista come Carlo che antifascista come Giorgio. In questo senso Il Quartiere comincia a mettere a<br />

fuoco i problemi di fondo della Cronaca di poveri amanti e di Cronaca familiare (1947).<br />

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Nel verismo ottocentesco la descrizione della miseria portava alla disperazione e alla ribellione dei vinti,<br />

mentre nella letteratura di tipo deamicisiano la felicità si poteva raggiungere anche nello stato di miseria;<br />

Pratolini si differenzia da entrambi perché i suoi personaggi, anche nelle condizioni più terribili della povertà<br />

e dello sfruttamento, hanno la capacità di comprendere che nella solidarietà collettiva è il fondamento della<br />

loro speranza in una vita migliore. Dice Salinari che "L'ottimismo di Pratolini coincide con l'ottimismo del<br />

movimento popolare italiano dopo la sua liberazione: e confondere quest’ottimismo con l'idillio o<br />

l'aspirazione alla pace di classe, significa appunto non saperne valutare l'esatta genesi storica" (citazione<br />

tratta da Giacalone,ibidem,pag.905). Infatti il vitalismo eroico delle masse popolari in cui credeva Pratolini<br />

s’identificava allora, almeno dal 1944 al 1947, con il Partito Comunista.<br />

I personaggi di Cronache di poveri amanti sono del 1922, ma in realtà sentono e operano con la fiducia e nel<br />

trionfo operaio che Pratolini aveva nel 1946; sono reali nel senso pratoliniano della vita dopo la liberazione<br />

dal Fascismo, ma nel senso storico oggettivo sono creature irreali e fantastiche. Ed è proprio questo volersi<br />

tener fuori dalla realtà vera che ha permesso a Pratolini di mantenere intatta la carica vitale dei suoi popolani,<br />

di rappresentare i loro problemi umani, le loro confessioni, le loro necessità, le loro aspirazioni, di qui<br />

l'ottimismo che circola tra le pagine del romanzo.<br />

In Pratolini l’aspetto sociale non può essere scisso da quello elegiaco: infatti la Cronaca familiare è scritta<br />

contemporaneamente a Cronache di poveri amanti e le loro trame si intersecano e le basi sociali sono<br />

identiche, solo che nel primo prevale l'accento elegiaco. L’autore "riepiloga in un lungo dialogo con il<br />

fratello morto il senso doloroso della sua memoria, cerca nella sua storia familiare l'origine e la necessità<br />

del suo sentimento lirico" (Pampaloni,citazione tratta da Giacalone,ibidem,pag.913). Del resto la premessa<br />

di Pratolini è assai significativa: Questo libro non è un'opera di fantasia. E’ un colloquio dell'autore con suo<br />

fratello morto. L’autore, scrivendo, cercava consolazione, non altro. Egli ha il rimorso di avere appena<br />

intuita la spiritualità del fratello, e troppo tardi. Queste pagine si offrono quindi come una sterile espiazione.<br />

Ma capire la spiritualità del fratello morto comportava un'indagine anche di ordine sociale, comportava il<br />

ricordo della miseria in cui erano nati, la necessità di consegnare il più piccolo ad un signore borghese, che<br />

lo avrebbe reso estraneo al fratello e ai parenti.<br />

La composizione di Un eroe del nostro tempo risale al 1947, quando, cioè, Pratolini trovava attorno a sé una<br />

realtà politicamente più involuta di quanto non avesse potuto pensare durante la Resistenza ed era costretto a<br />

dare contenuti ideologici ai due termini, fascismo e antifascismo. Il fascismo fu sentito dalla borghesia come<br />

una malattia e di quella malattia Sandrino è il mostro.<br />

Sandrino, figlio di un'educazione sbagliata, ruba, mente, odia, uccide, tradisce anche l'amore conformemente<br />

alla natura rovesciata di tutti gli eroi pratoliniani,. Ferruccio alla fine è stato salvato dalla scoperta dell'amore,<br />

mentre Sandrino ha tradito l'amore e senza l'amore non potrà mai trovare un legame con la società; lo spiega<br />

chiaramente Pratolini per bocca dell'ex partigiano Faliero: Penso che non si possa volere interamente il bene<br />

dell'umanità, che non si possa lottare con tutta la scienza e la freddezza necessaria, se non si ama anche<br />

fisicamente qualcuno.<br />

Perciò Sandrino è il rovesciamento degli eroi pratoliniani; il suo fascismo si presenta come una malattia<br />

psicologica, come espressione disperata della sua irreparabile solitudine. Dei tanti ragazzi che Pratolini ha<br />

descritto così vivacemente, Sandrino per questa sua incapacità di tornare indietro non si salva; né è<br />

sufficiente a frenare la sua follia il sincero amore che lo lega alla madre Sandrino non può vivere in una<br />

società fondata sulla pace e sulla libertà; educato alla violenza e alla brutalità, è un malato mentale costretto a<br />

vivere in mezzo ai sani: l'opposto di Metello e di Maciste.<br />

Ne Le ragazze di San Frediano (1949) lo scrittore "ritorna al suo mondo fiorentino, non in chiave di<br />

rievocazione, ma sul piano sperimentale col tentativo di inserimento di una favola contemporanea sul filone<br />

realista che tra poco approderà al Metello. Quadretto di costume con l'aggiunta di qualche novità, nei<br />

confronti delle precedenti ambientazioni; la scelta di San Frediano, ad esempio: di un quartiere che esula<br />

dalla geografia dell'adolescenza pratoliniana, e che al tempo stesso si presenta nell'ambito della società<br />

fiorentina, come zona dall'autonoma e determinante fisionomia, ferma nella volontà salda di lottare. Da Via<br />

del Corno, quindi, la vena pratoliniana si trasferisce verso una realtà popolare più progredita, per lo meno<br />

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sul piano di un’ acquisizione di coscienza. Prende concretezza e dimensioni letterarie, in questo romanzo, e<br />

questo è il fatto più notevole che traspare dal libro, una figura di popolano, che prepara e anticipa quella di<br />

Metello, tipico personaggio del sottoproletariato fiorentino, ormai però lontano dal clima della lotta"<br />

(Mauro, citazione tratta da Giacalone,ibidem,pag.923/24).<br />

Metello è un personaggio positivo e il romanzo è la storia della sua maturazione in senso sociale: pur<br />

essendo semplice e privata riassume le esperienze di un’intera categoria e è inserita nel quadro di sviluppo di<br />

un’intera società.<br />

La polemica su Metello fu un segnale sicuro del successo del romanzo e può essere riassunta nelle posizioni<br />

di due critici Marxisti, Salinari e Muscetta.<br />

Muscetta osservava che Pratolini, scrivendo il suo romanzo nel 1952 sotto la pressione dell'imperialismo e in<br />

un periodo di stanchezza del movimento operaio e dalla lotta per la pace, ne avrebbe assimilato<br />

quell'aspirazione all'idillio che si era diffusa nell'aria in quegli anni di crisi della classe operaia. Mentre<br />

Salinari precisava che la situazione storica in cui Pratolini scriveva era "caratterizzata dalle tappe<br />

fondamentali di un periodo storico (nel caso di Pratolini la Resistenza, l'antifascismo e l'ingresso sulla<br />

scena della vita nazionale delle grandi masse popolari) e dalle esperienze che, in relazione ad esse, compie<br />

uno scrittore" (citazione tratta da Giacalone,ibidem,pag.925).<br />

Va quindi a Pratolini il merito di avere scritto un romanzo impegnato a sinistra, negli anni in cui cominciava<br />

di nuovo a prevalere la letteratura disimpegnata.<br />

Muscetta inoltre giudica Metello un personaggio che sta più in camera da letto che alla Camera del Lavoro<br />

mentre Salinari conclude il suo esame rivalutando il romanzo come la migliore espressione del Neorealismo,<br />

di cui, invece, secondo Muscetta il romanzo segnerebbe la crisi.<br />

Infatti così Salinari conclude: "Il Metello è forse il primo romanzo del dopoguerra in cui sono spariti<br />

definitivamente alcuni miti del Decadentismo: l'ossessione del sesso, l'esaltazione del primitivo, il richiamo<br />

della campagna, il mito dell'infanzia, il gusto del torbido e dello sporco, la seduzione del misticismo. Quei<br />

miti che nella letteratura neorealistica del dopoguerra trovavamo mescolati alle esigenze di esprimere le<br />

vicende e le esperienze della realtà nazionale. E’ per questo che noi abbiamo parlato e continueremo a<br />

parlare di realismo di Metello. Non per farne un capolavoro: si può avere, infatti, un romanzo realistico<br />

anche pieno di difetti. Ma perché segna una rottura con la tradizione decadente" (citazione tratta da<br />

Giacalone,ibidem,pag.926).<br />

Del resto l'amore tra Ersilia e Metello è una delle storie d'amore più oneste e pulite e smentisce la mania del<br />

sesso di cui parlava Muscetta,; le altre avventure amorose di Metello sono come elementi marginali della<br />

formazione morale del personaggio, che si costruisce anche attraverso errori e deviazioni psicologiche.<br />

Metello non deve essere considerato il santo nuovo della classe operaia; egli è un uomo sano e vigoroso, un<br />

operaio che ha compreso di essere sfruttato e vuole lottare contro chi lo sfrutta; l'amore ha potenziato in lui lo<br />

spirito di solidarietà verso i compagni, lo ha maturato, anche negli indugi con Idina, a combattere meglio la<br />

classe borghese e lo ha fatto vincere.<br />

Anche qui Pratolini preferisce descrivere creature giovani e forse questo è dovuto alla sua predilezione per<br />

quel vitalismo giovanile, per quel bisogno di speranza e di solidarietà, che nei giovani sono sempre qualità<br />

genuine e sincere, come l'amore, l'amicizia e il gioco.<br />

Lo Scialo (1960) vuole essere la continuazione della storia cominciata con Metello; infatti è il romanzo di<br />

quella piccola e media borghesia che caratterizzò i maggiori aspetti della vita italiana dal 1910 al 1930. Anzi<br />

si potrebbe meglio definire la storia del cedimento della piccola e media borghesia da un generico socialismo<br />

al vero e proprio compromesso col Fascismo. E quella resa politica "accettata in malafede, coincide con il<br />

crollo morale. E’ un libro di oltre 1.300 pagine, ove il Pratolini rompe ed esaspera le strutture del romanzo<br />

(un vai e vieni di cronaca e memoria, confessioni, soliloqui, diari, colpi di scena, lunghe sequenze<br />

crudamente visive e cinematografiche, […] punta sul tema erotico sino ai limiti del patologico (il diario di<br />

Ninì), e infine paga il suo tributo alla reviviscenza del dibattito lingua-dialetto riproposto in quegli anni e<br />

reintroduce il vernacolo in funzione non più coloristica ma realistico-drammatica. La differenza da Metello<br />

è molto netta. E non solo perché quello era il romanzo del bene e questo il romanzo del male" (Pampaloni,<br />

citazione tratta da Giacalone,ibidem,pag.933).<br />

Metello era stato il romanzo delle speranze operaie, Lo Scialo è il romanzo del disfacimento morale della<br />

borghesia italiana che cede al Fascismo e lo potenzia.<br />

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La classe operaia e contadina viene naturalmente coinvolta nella dissoluzione della vecchia borghesia<br />

liberale. Di qui il richiamo ai versi di Montale: La vita è questo scialo --di tristi fatti, vano --più che crudele.<br />

--E la vita è crudele più che vana.<br />

Indubbiamente il romanzo rispecchia la situazione in cui si era venuto a trovare l'autore, dopo aver visto<br />

svanire la speranza del Comunismo al potere.<br />

Il quadro della società italiana che egli traccia costituisce un'interpretazione morale delle condizioni politiche<br />

di quel tempo. Non è che Pratolini sia "arrivato a scrivere un romanzo apologetico del Fascismo; o meglio,<br />

abbia preso atto delle buone ragioni che lo hanno portato al potere, e ce le ha rappresentate in veste<br />

narrativa" come sostiene Manacorda. Piuttosto il mondo che interessa Pratolini è quello umano "inquadrato<br />

sì in un'epoca, ma sempre rappresentato nei suoi aspetti individualizzati, per cui è la persona che risulta<br />

sempre vittoriosa, nel bene o nel male, e, nel suo vario e sempre impreveduto atteggiarsi nella vita, si<br />

differenzia nella sua unicità. In questa direzione ci sembra che si orientino anche gli interessi sociali di<br />

Pratolini…" (Mollia, citazione tratta da Giacalone,ibidem,pag.933).<br />

Nel Metello era stato sufficiente un solo protagonista per ritrarre la fisionomia univoca della classe popolare<br />

in ascesa; ne Lo Scialo, per la varietà e il differenziarsi interno della società dal punto di vista ideologico e<br />

psicologico, i protagonisti veri e propri sono circa cinque, con un coro ben nutrito di personaggi minori, colti<br />

anche attraverso una battuta di dialogo o un cenno narrativo. Il quadro sociale è completo; ci sono, oltre ai<br />

personaggi principali della vicenda, i rappresentanti dell'aristocrazia, della borghesia e del proletariato<br />

operaio e contadino. Ci sono i fascisti manganellatori e violenti, ci sono i fascisti moderati della seconda ora,<br />

ci sono i fascisti pacificatori e poi una larga schiera di monelli, di sigaraie, di venditori di piazza, che servono<br />

ad animare l'azione del romanzo, i triti fatti di cui si compone la vita, lo scialo vano e crudele insieme.<br />

(Giacalone,ibidem,pag.934)<br />

Il realismo del romanzo certamente non ripete la tecnica e la poetica degli scrittori naturalisti dell'Otto-<br />

Novecento, perché ha fatta sua la psicanalisi e alcune istanze del Decadentismo. "Il linguaggio pratoliniano<br />

ne Lo Scialo si è fatto sensibile al variare degli umori dei personaggi, si è incarnato in essi fino a diventarne<br />

la sostanza. In Cronache di poveri amanti la lingua è ancora quella di una koiné letteraria; il vernacolo vi è<br />

appena accennato e come filtrato attraverso un genere di lingua illustre. Nel Metello si osserva un più<br />

puntuale contatto con la realtà popolare del linguaggio, e il racconto si avvicina anch'esso, nel suo contesto<br />

linguistico, ad una più coerente fusione con il dialogato, nel quale si enuclea anche il personaggio in tutta la<br />

sua semplicità realistica, e nella sua esperienza sociale. Lo Scialo rappresenta indubbiamente la ulteriore, e<br />

si potrebbe dire definitiva conquista di un linguaggio realistico, sia che si tratti del dialogo, o del monologo,<br />

che rivela il mondo vernacolo senza esserne la pura descrizione, sia che si tratti del racconto che fonde<br />

perfettamente gli elementi letterari con l'anima stessa degli avvenimenti, delle situazioni, dei personaggi"<br />

(Mollia, citazione tratta da Giacalone,ibidem,pag.935).<br />

Ma il Realismo dello scrittore si coglie anche nel rapporto che ciascun personaggio stabilisce tra la propria<br />

vita e la comune dimora. "Giovanni, Ninì, Nella sono aspetti diversi di un medesimo volto: che è poi la<br />

bancarotta di una società e di una stagione storica. Il Realismo, in effetti, non può che registrare il dramma<br />

della storia che precipita o della società che si consuma, o degli ideali che si vanificano.<br />

Prima di scrivere il terzo volume della Storia italiana, Pratolini pubblicò, nel 1963, La costanza della<br />

ragione. Nel 1966 completava il terzo momento della Storia italiana con Allegoria e derisione, con la quale<br />

giungeva agli anni del Fascismo, della guerra mondiale e della lotta partigiana.<br />

Il protagonista si trova di fronte alla prova decisiva della morte di una persona amata, dinanzi al senso del<br />

mistero. Bruno, dopo avventure con ragazze facili, finalmente si è innamorato. Ma Lori è destinata a rapida<br />

morte, e fa crollare tutte le costruzioni di Bruno e lo mette di fronte a una prova superiore ad ogni previsione<br />

della ragione. Ma egli resiste virilmente, non abbandonandosi mai al dolore; anche Lori, dal canto suo,<br />

resiste, affrontando coraggiosamente la morte, impedendo che Bruno o i suoi cari vedano le sue sofferenze.<br />

Allegoria e derisione (1966) è il romanzo che completa la terza parte della Storia italiana da lui promessa e<br />

iniziata con Metello. Argomento sono gli ultimi anni del Fascismo, la guerra mondiale, e la lotta partigiana.<br />

Una materia, quindi, contemporanea all'autore, la testimonianza di una crisi politica e storica, in cui egli è<br />

ancora dentro, ma da cui presume di esser fuori ideologicamente.<br />

Ultimo romanzo di Pratolini è La città dei miei trent'anni, Scheiwiller, Milano, 1967.<br />

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LA POETICA<br />

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Nelle Cronache di poveri amanti e nella Cronaca familiare la poesia più umana di Pratolini sta nel pianto dei<br />

poveri, nell’elegia al fratello perduto, e tutti i momenti della rievocazione ricostruiscono la personalità del<br />

fratello che la borghesia aveva allevato senza dargli gli strumenti necessari per affrontare le difficoltà della<br />

vita. E ne deriva la denuncia più severa della miseria della povera gente, ricattata anche negli affetti più puri,<br />

nonché l'accusa a una classe incapace di dare un'educazione positiva e vitale. "E’ nella Cronaca familiare<br />

che s'apre, nascosta dietro il velo del libro privato, la piccola valvola da cui affiorano e poi escono e<br />

tumultuano i temi non risolti di Pratolini, o da lui volutamente ignorati, tenuti a bada, che sono poi i temi<br />

non risolti della realtà italiana dei primi anni dopo la guerra. Nelle cento e ottanta pagine di quel libretto si<br />

svela tutta scoperta l'incrinatura fondamentale di Pratolini e di quegli anni [ ... ]. Spaccatura da cui appare<br />

la mancata fusione dei motivi intimi e privati coi motivi politici, il dissidio tra speranze individuali e<br />

speranze collettive, tra destino individuale e destino collettivo, e cioè alla fine la mancata elaborazione<br />

fruttificazione dei motivi sociali sul terreno personale. Qui i motivi esistenziali decadenti svelano il loro<br />

perdurare muto sotto l'empito dell'entusiasmo collettivo" (Longobardi,citazione tratta da Giacalone,<br />

ibidem,pag.914)<br />

Caratteristico dell’evoluzione artistica di Pratolini è il passaggio dalla cronaca alla storia e dall’autobiografia<br />

lirica al racconto. Egli, infatti, dopo la parentesi del Mestiere di vagabondo (1947), si accinge ad un'impresa<br />

narrativa di vaste proporzioni, che chiarifica e arricchisce l'esperienza del primo periodo, offrendoci una<br />

storia organica della situazione operaia in Italia e a Firenze, a cominciare da Un eroe del nostro tempo (1949)<br />

per concludere con Metello (1955) e Lo Scialo (1960). Il Neorealismo di Pratolini di solito si fa cominciare<br />

con Un eroe del nostro tempo. Scrive ASOR ROSA: "Non c'è dubbio che il Realismo costituisca appunto la<br />

sostanza più profonda delle ambizioni nuove di Pratolini: il "tipico" è un termine che lo affascina, che sente<br />

traguardo di tutta la sua storia di narratore, armonica conclusione degli sforzi iniziati vent'anni prima per<br />

liberarsi dalla formula memoriale, per raggiungere e conquistare il cuore degli uomini" (citazione tratta da<br />

Giacalone,ibidem,pag.922). Ovviamente questo passaggio al Realismo implica una attenta maturazione, un<br />

approfondimento morale e storico della materia trattata, mentre "tutti i pregi e i difetti del Neorealismo sono<br />

rintracciabili nel primo tentativo del nuovo Pratolini: da una parte certe compiacenze morbose e sessuali, la<br />

tesi scoperta e dichiarata senza offrirla all'intuito del lettore, ma d'altro canto anche tutta la<br />

spregiudicatezza di giudizio, tutto quel senso appassionato di rottura e quell'ansia di rinnovamento che<br />

furono i fatti più positivi della stagione neorealista." (Mauro, citazione tratta da Giacalone,ibidem,pag.922).<br />

Il quadro della società italiana che egli traccia ne Lo scialo costituisce un'interpretazione morale delle<br />

condizioni politiche di quel tempo. Non è che Pratolini sia "arrivato a scrivere un romanzo apologetico del<br />

Fascismo; o meglio, abbia preso atto delle buone ragioni che lo hanno portato al potere, e ce le abbia<br />

rappresentate in veste narrativa" come sostiene Manacorda. Piuttosto il mondo che interessa Pratolini è<br />

quello umano "inquadrato sì in un'epoca, ma sempre rappresentato nei suoi aspetti individualizzati, per cui<br />

è la persona che risulta sempre vittoriosa, nel bene o nel male, e, nel suo vario e sempre impreveduto<br />

atteggiarsi nella vita, si differenzia nella sua unicità. In questa direzione ci sembra che si orientino anche gli<br />

interessi sociali di Pratolini…" (Mollia, citazione tratta da Giacalone,ibidem,pag.933).<br />

Nel Metello era stato sufficiente un solo protagonista per ritrarre la fisionomia univoca della classe popolare<br />

in ascesa; ne Lo Scialo, per la varietà e il differenziarsi interno della società dal punto di vista ideologico e<br />

psicologico, i protagonisti veri e propri sono circa cinque, con un coro ben nutrito di personaggi minori, colti<br />

anche attraverso una battuta di dialogo o un cenno narrativo. Il quadro sociale è completo; ci sono, oltre ai<br />

personaggi principali della vicenda, i rappresentanti dell'aristocrazia, della borghesia e del proletariato<br />

operaio e contadino. Ci sono i fascisti manganellatori e violenti, ci sono i fascisti moderati della seconda ora,<br />

ci sono i fascisti pacificatori e poi una larga schiera di monelli, di sigaraie, di venditori di piazza, che servono<br />

ad animare l'azione del romanzo, i triti fatti di cui si compone la vita, lo scialo vano e crudele insieme.<br />

(Giacalone,ibidem,pag.934)<br />

Il realismo del romanzo certamente non ripete la tecnica e la poetica degli scrittori naturalisti dell'Otto-<br />

Novecento, perché l’autore ha fatta sua la psicanalisi e alcune istanze del Decadentismo. "Il linguaggio<br />

pratoliniano ne Lo Scialo si è fatto sensibile al variare degli umori dei personaggi, si è incarnato in essi fino<br />

a diventarne la sostanza. In Cronache di poveri amanti la lingua è ancora quella di una koiné letteraria; il<br />

vernacolo vi è appena accennato e come filtrato attraverso un genere di lingua illustre. Nel Metello si<br />

osserva un più puntuale contatto con la realtà popolare del linguaggio, e il racconto si avvicina anch'esso,<br />

nel suo contesto linguistico, ad una più coerente fusione con il dialogato, nel quale si enuclea anche il<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

personaggio in tutta la sua semplicità realistica, e nella sua esperienza sociale. Lo Scialo rappresenta<br />

indubbiamente la ulteriore, e si potrebbe dire definitiva conquista di un linguaggio realistico, sia che si tratti<br />

del dialogo, o del monologo, che rivela il mondo vernacolo senza esserne la pura descrizione, sia che si<br />

tratti del racconto che fonde perfettamente gli elementi letterari con l'anima stessa degli avvenimenti, delle<br />

situazioni, dei personaggi" (Mollia, citazione tratta da Giacalone,ibidem,pag.935).<br />

Ma il Realismo dello scrittore si coglie anche nel rapporto che ciascun personaggio stabilisce tra la propria<br />

vita e la comune dimora. "Giovanni, Ninì, Nella sono aspetti diversi di un medesimo volto: che è poi la<br />

bancarotta di una società e di una stagione storica. Il Realismo, in effetti, non può che registrare il dramma<br />

della storia che precipita o della società che si consuma, o degli ideali che si vanificano.<br />

LA TEMATICA<br />

Ampio è stato il dibattito su Pratolini che è stato considerato ora lo scrittore neorealista per eccellenza, ora<br />

l’autore che ha messo definitivamente in crisi il Neorealismo. E’ certo che ci si trova davanti ad uno dei più<br />

espressivi autori del periodo neorealista, il primo in cui siano scomparsi i miti borghesi del Decadentismo:<br />

l'ossessione del sesso, il gusto del torbido passionale, l'esaltazione del primitivo e della campagna e il mito<br />

dell'infanzia.<br />

Infatti, a differenza degli altri autori, in genere borghesi e formatisi con regolari studi, Pratolini è stato<br />

sostanzialmente autodidatta e ha avuto una dura esperienza di vita che lo ha messo a contatto con la povera<br />

gente, con gli operai, di cui ha interpretato l’ansia d’amicizia e di solidarietà, e la speranza di vincere e<br />

superare la barriera della miseria. In lui quindi i temi della solidarietà umana sono istintivi, e l'ideologia<br />

politica socialista che ne deriva è nelle cose stesse, nei sentimenti dei suoi personaggi.<br />

La protagonista dei suoi lavori è Firenze, non solo quella a lui contemporanea, ma anche una Firenze<br />

storicamente evocata tra la fine dell'Ottocento e il primo Novecento, che pone le premesse economiche delle<br />

condizioni di miseria della classe operaia e del popolo, prima e dopo il Fascismo. Anche la costante fedeltà<br />

alla sua città e alle sue esperienze, l'opera di questo scrittore appartiene nettamente alla poetica del<br />

Neorealismo.<br />

I personaggi di Pratolini non sono mai soli e per questo non sono dei vinti dalla vita, anzi avvertono un forte<br />

senso della solidarietà umana, una forza che li fa soffrire, li fa amare, li fa trionfare. Così egli ha superato sia<br />

la lezione pessimistica del Verga, che la concezione mitografica dei decadenti.<br />

I protagonisti delle opere di Pratolini appaiono quindi sempre positivi e ci offrono la visione di una società<br />

fiduciosa nella speranza di un domani più giusto, più consapevole della solidarietà umana.<br />

I critici-politici hanno accompagnato col loro dibattito sociologico-letterario la sua opera, e lo hanno<br />

considerato protagonista di una radicale trasformazione nella narrativa, facendogli assumere una<br />

responsabilità politico-culturale più forte delle sue stesse possibilità.<br />

"Insomma, anche al di là delle sue intenzioni che pur erano sinceramente decise a costruire un nuovo<br />

modello di romanzo - ma sempre con molta discrezione e senza gran chiasso di manifesti teorici - si è voluto<br />

caricare sulle spalle di Pratolini la responsabilità politica e letteraria di una nuova narrativa popolare di<br />

tipo realistico-socialista, quale la critica marxista dell'immediato dopoguerra ansiosamente auspicava e<br />

vagheggiava con grande speranza, senza aver fatto bene i conti con quella che era stata la genesi culturale e<br />

borghese dei cosiddetti neorealisti: Vittorini, Pavese, Pratolini, Moravia." (Giacalone,La pratica della<br />

letteratura:Novecento,II tomo, pag.901-Ed.Ferraro-Napoli)<br />

Anche Pratolini, è stato vittima dell’equivoco proprio della cultura italiana, grazie al quale molti nostri<br />

letterati si sono ritrovati nel fronte unico dell'antifascismo; il vitalismo eccezionale che li aveva distinti nella<br />

lotta partigiana, si spostava dal PCI quando, passato il momento eroico in cui quasi tutti si erano ritrovati<br />

accomunati, il Comunismo apertamente dichiarava la sua via democratica al potere. Dopo la crisi del<br />

Comunismo, estromesso dal potere da parte della borghesia, la nostra cultura rivelava la sua origine borghese<br />

e decadente; ma Pratolini si mantenne nel Neorealismo in modo determinato, anche se non sostenuto<br />

adeguatamente da una cultura marxista e socialista per adempiere alla funzione-guida che gli attribuivano i<br />

suoi critici di sinistra.<br />

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SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Il tappeto verde 1941<br />

Via de' magazzini 1941<br />

Le amiche 1943<br />

Il quartiere 1943<br />

Cronaca familiare 1947<br />

Cronaca di poveri amanti 1947<br />

Diario sentimentale 1947<br />

Un eroe del nostro tempo 1947<br />

Vasco<br />

PRATOLINI<br />

Cod.<br />

OO017<br />

OO017<br />

OM044<br />

Le ragazze di Sanfrediano 1949 OM043<br />

La domenica della povera gente 1952<br />

Lungo viaggio di natale 1954<br />

Metello 1955 OO018<br />

Lo scialo 1960<br />

La costanza della ragione 1963 OJ012<br />

La costanza della ragione 1963<br />

Allegoria e derisione 1966<br />

La mia città ha trent'anni 1967<br />

Il mantello di Natascia 1985<br />

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IGNAZIO S<strong>IL</strong>ONE<br />

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida<br />

Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag.<br />

963-977)<br />

LA VITA<br />

Ignazio Silone (pseudonimo di Secondo Tranquilli) è nato a Pescina<br />

dei Marsi (L’Aquila) il 1° maggio del 1900 da un piccolo proprietario<br />

terriero e da una tessitrice. Egli stesso in Uscita di sicurezza ricorda la<br />

vita trascorsa vicino alla madre che gli raccontava a mo' di storia<br />

episodi del Vangelo e delle Vite dei Santi, e rievoca la generosità del<br />

padre assai ospitale e caritatevole e la sua dirittura morale.<br />

Presto gli muore il padre e nel 1915, durante il terremoto della Marsica<br />

muore anche la madre; per questa ragione egli non solo dovette interrompere<br />

gli studi classici, ma venne presto a contatto con la dura realtà<br />

della vita e della guerra che in provincia faceva sentire i suoi riflessi<br />

sociali. Infatti sin dal 1917 Silone capeggiava già le prime leghe rosse<br />

dei contadini abruzzesi, mostrando di auspicare un punto d'incontro fra<br />

socialismo e cattolicesimo. Ma nel complesso la sua fu una contestazione<br />

globale della vecchia società abruzzese e delle sue istituzioni,<br />

come è testimonato da Uscita di sicurezza e da Fontamara.<br />

Nel 1917 fu direttore del settimanale socialista e pacifista Avanguardia;<br />

poi redattore del Lavoratore di Trieste. Al congresso di<br />

Livorno (1921) aderì al Partito Comunista e fu attivo dirigente della<br />

Federazione Giovanile. Dopo l'avvento del Fascismo fu accanto a Gramsci come attivista clandestino. Dopo<br />

l'arresto del fratello si rifugiò all'estero, dove proseguì la sua attività antifascista, incorrendo anche<br />

nell'espulsione da vari Paesi. Rappresentò parecchie volte il movimento comunista con Togliatti a Mosca.<br />

Nel 1930, durante le persecuzioni e le purghe staliniane, si staccò dal movimento comunista perché non<br />

condivideva il carattere tirannico dell'organizzazione internazionale comunista diretta da Stalin. Di quella<br />

profonda crisi, in cui emergevano anche i suoi giovanili entusiasmi libertari e cristiani, risentì tutta la sua<br />

produzione letteraria nonché il comportamento politico. Ma, pur lontano dal Partito Comunista, egli non<br />

cessò la sua attività di propagandista antifascista e socialista. Le stesse sue opere, pubblicate all'estero,<br />

Fontamara (1933 a Zurigo), Pane e vino (1936), La scuola dei dittatori (1938), Il seme sotto la neve<br />

(1941), l'opera teatrale Ed egli si nascose (1944), sono la dimostrazione della denuncia serrata, implacabile,<br />

costante, che egli faceva della violenza fascista e delle misere condizioni dei cafoni del suo paese. E i suoi<br />

libri, quasi sconosciuti in Italia, facevano il giro del mondo attraverso gli esuli antifascisti e i vari<br />

simpatizzanti stranieri, i quali vedevano in Silone uno dei più puri missionari della resistenza antifascista nel<br />

mondo. Egli operava in mezzo al pubblico straniero un ridimensionamento della realtà sociale italiana, in<br />

senso inverso, quindi veritiero, della propaganda fascista; lavorava, come un apostolo, per la libertà del<br />

popolo italiano, come Gramsci nel silenzio e nella solitudine del carcere.<br />

Di qui lo scarso contatto con le correnti ufficiali della letteratura italiana; ma di qui anche l'insegnamento e la<br />

guida spirituale che la sua opera offrì ai nuovi scrittori italiani del Neorealismo, al suo ritorno in Italia dopo<br />

la Liberazione, e alla sua entrata nel Partito Socialista, e alla direzione dell’Avanti!. Silone non trovò buona<br />

stampa presso i critici comunisti; ma la sua influenza sui più giovani scrittori fu enorme e imprevedibile:<br />

emanava infatti da quell'uomo - lo scrittore italiano più noto all'estero e tradotto in quasi tutte le lingue - il<br />

fascino di un apostolo della democrazia e della libertà. Dopo la scissione del Partito Socialista, Silone non<br />

seguì alcuno dei due partiti rivali, anche se ha sempre manifestato la sua solidarietà ad un socialismo<br />

democratico. Comunque, la sua attività principale è stata quella di scrittore.<br />

Le opere scritte dopo la Liberazione - Una manciata di more (1952), Il segreto di Luca (1956), La volpe e<br />

le camelie (1960), Uscita di sicurezza (1965), L'avventura d'un povero cristiano (1968), continuano i temi e<br />

sviluppano la testimonianza da lui iniziata nelle opere scritte all'estero. Pertanto egli è sempre rimasto un<br />

difensore della libertà e un credente nella liberazione della povera gente dalla miseria e dalle vessazioni dei<br />

potenti. Egli stesso precisava: Lo scrivere non è stato per me, salvo che in qualche raro momento di grazia,<br />

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un sereno godimento estetico, ma la penosa e solitaria continuazione di una lotta, dopo essermi separato dai<br />

miei compagni più cari.<br />

Silone si è spento in Svizzera nel 1978.<br />

LE OPERE<br />

Il suo primo romanzo, Fontamara, è una condanna del regime fascista e delle autorità, anche religiose che<br />

furono conniventi con esso, ma la vicenda umana e tragica che ispira i sentimenti di questi “cafoni”, assume<br />

nel corso del romanzo un tono di rilievo cosi drammatico da spiegare la fortuna che ha arriso al libro.<br />

Forse Vino e Pane è il libro del maggiore impegno politico-morale di Silone, quello che ne mette a nudo il<br />

temperamento anarchico e anticonformista, una sorta di analisi autobiografica e morale, sotto le apparenze di<br />

un romanzo avventuroso, in cui denuncia la retorica e la violenza fascista che appaiono in tutta la loro reale<br />

malvagità e brutalità.<br />

La tematica dell'opera di Silone si amplia col procedere degli anni e Il seme sotto la neve è già un romanzo in<br />

cui si confondono ambiente reale e atmosfera irreale e l'epilogo conferma la stranezza della storia di questo<br />

romanzo, che, pur essendo ambientato in una situazione storicamente e geograficamente reale, appare<br />

avvolta da un'atmosfera irreale. “Reale è il paese, veri sono i notabili con il loro conformismo, la loro<br />

avidità, i loro intrighi, i loro pettegolezzi. E veri sono anche gli oppositori: Simone, Pietro, la nonna,<br />

Faustina, Severino. Ma il paesaggio, i cafoni, i notabili, i vari personaggi sono come filtrati attraverso la<br />

memoria, quasi allontanati nel tempo e nello spazio. Tutto il racconto acquista un sapore di leggenda e di<br />

simbolo”.(Salinari)<br />

Ne Il segreto di Luca la nobiltà dei sentimenti del protagonista ha riscattato anche la dignità del cafone che<br />

non potrebbe, secondo l'opinione comune, avere simili sentimenti romantici. Il romanzo vuol essere la<br />

testimonianza di questo sentimento puro e nobile del cafone. In altri termini, Silone ha voluto darci un<br />

romanzo d'amore e di sacrificio, evidenziando il fatto che anche un cafone può essere un eroe-martire<br />

dell'amore e vittima dell'ingiusta giustizia degli uomini.<br />

L'avventura d'un povero cristiano, uscita nel 1968, presenta quasi in termini didattici la poetica e la<br />

tematica delle opere di Silone. Vi appare come motivo centrale l'anarchismo evangelico, l'utopia di un<br />

mondo retto dall'amicizia e dall'amore, quale poteva essere offerto dalle comunità monacali del Medioevo<br />

abruzzese, di cui Celestino V, frate Pietro da Morrone, fu un esempio mirabile. Silone stesso precisa l'ideale<br />

socialista di questi primitivi cristiani: Li univa, malgrado alcune divergenze, una comune fede nell'imminente<br />

Regno di Dio, quale era stato annunziato nel secolo precedente da Gioacchino da Fiore: l'attesa di una<br />

terza età del genere umano, l'età dello Spirito, senza Chiesa, senza Stato, senza coercizioni, in una società<br />

sobria, umile e benigna, affidata alla spontanea carità degli uomini<br />

LA POETICA<br />

Nel primo romanzo il racconto viene esposto per bocca di alcuni cafoni, Giuvà, Matalena e il loro giovane<br />

figlio, che ha condiviso con Berardo la tragica esperienza della rivolta dei cafoni. E come tale, esso non<br />

perde mai il tono popolare di una narrazione concepita a livello contadino. Anche i nomi, don Circostanza,<br />

don Abbacchio, don Carlo Magna, l'Impresario, indicano perfettamente il livello popolare con cui quelle<br />

figure vengono ridimensionate dal popolo secondo i soprannomi, che ne caratterizzano le funzioni e le<br />

personalità.<br />

Fontamara è davvero un romanzo nuovo nella nostra letteratura, un romanzo popolare, non solo per il suo<br />

contenuto di denuncia e di testimonianza politico sociale, bensì anche per il tono del racconto, per la sua<br />

lingua adeguata al modo di pensare dei cafoni e del popolo. Tutti i dialoghi sono concepiti allo stesso livello<br />

mentale con cui il popolo parla e discorre e comprende; la stessa ironia, che spesso arricchisce il romanzo, ha<br />

un valore psicologico, in quanto rivela l'anima di quella povera gente. Questa epopea degli umili, in un certo<br />

senso, è rimasta al di qua della nostra letteratura colta; ma essa ha cittadinanza legittima in quanto è opera<br />

d'arte a tutti i livelli.<br />

Giustamente il Russi scriveva nel 1944: “Fontamara è un romanzo di ambiente italiano, anzi di ambiente<br />

fascista, che apparve in Italia con più di dieci anni di ritardo dalla sua prima edizione. E' qualcosa che ci<br />

viene dall'esilio. All'estero ha avuto un grandissimo successo, specie in Inghilterra, ed è stato vastamente<br />

tradotto. Esso non assomiglia a nessun libro nostro. In tutti questi anni, com'è noto, noi abbiamo curato<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

molto lo stile. Qualcuno, anzi, ha curato soltanto lo stile. In definitiva, abbiamo prodotto una letteratura che<br />

a stento qualche migliaio di persone è in grado di gustare. Una letteratura per letterati. Silone è invece<br />

tutt'altro; i nostri contadini (i cafoni, come lui ama dire) potrebbero capirlo senza difficoltà. Sono loro i<br />

protagonisti del romanzo, con la loro miseria, la loro superstizione, la loro vivace prontezza psicologica, i<br />

loro soprannomi bizzarri. Abbiamo qui un esempio di quella letteratura popolare che si accentuerà forse<br />

dappertutto dopo questa guerra".<br />

Da non dimenticare è certamente la tecnica narrativa di Vino e Pane che amalgama in perfetta unità tonale<br />

passioni politiche e sentimenti d'amore, figure ridicole del regime e creature sofferenti, in un quadro<br />

realissimo della vita italiana e abruzzese degli anni intorno alla guerra etiopica, quando la retorica<br />

imperialistica portò gli animi degli italiani alla suprema alienazione politica.<br />

LA TEMATICA<br />

Temi fondamentali dell'opera di Silone sono ovviamente la denuncia e l'impegno politico cui però è<br />

costantemente legato un nuovo messaggio di solidarietà umana e cristiana; già nel primo romanzo,<br />

Fontamara, il protagonista Berardo comprendendo la ragione del suo sacrificio dice "Se io muoio? Sarò il<br />

primo cafone che non muore per sé, ma per gli altri".<br />

Lo stesso sentimento di solidarietà umana ispira la morte di Elvira: "lo ti chiedo - essa dice alla Madonna -<br />

una sola cosa: d'intercedere per la salvezza di Berardo. In cambio ti offro l'unica povera cosa che possiedo,<br />

la mia vita"<br />

Sul piano della tematica sociale a Silone rimane il merito di avere accompagnato e talvolta preceduto molti<br />

dei tentativi di romanzo sociale intrapresi da un vasto gruppo di scrittori anglosassoni; la differenza fra questi<br />

ultimi e lo scrittore di Pescina sta nel fatto che i primi descrivono le problematiche dell’ambiente operaio<br />

mentre egli si fa portavoce del mondo contadino. Sempre dal primo romanzo emerge un'immagine triste<br />

dell'Italia, per lo più stranamente dimenticata: la differenza fra cafoni e cittadini, la disperazione della povera<br />

gente dei paesi, la loro assoluta ignoranza della politica. Il libro oscilla tra la satira, la cronaca, ed il racconto<br />

abbandonato e sentito. La buona fede dei contadini è spesso esagerata. Anche la distanza tra cafoni e cittadini<br />

è accentuata più che vissuta e documentata artisticamente. Ma, pur con questi limiti, il romanzo è un esempio<br />

nuovo di una letteratura realistica che non è il prodotto di una poetica intenzionale, bensì una manifestazione<br />

naturale di documentazione e di denuncia sociale, che raggiunge le vette dell'arte.<br />

La politica di Stalin in Russia mise fortemente in crisi la fede politica di Silone che non accettò forme di<br />

compromesso con la dittatura in atto in Russia e, mantenendo sempre vivo il suo impegno di socialista e di<br />

antifascista, uscì dal PCI e assunse una posizione critica nei suoi confronti. Questo atteggiamento si<br />

ripercuote nella sua opera a partire dal secondo romanzo, in cui il protagonista, Pietro Spina, è il simbolo<br />

dell'intellettuale di sinistra che non sa rinunciare allo spirito critico e combatte contro il conformismo politico<br />

del suo stesso partito rivoluzionario, in cerca di un'etica autentica dell'azione rivoluzionaria, che è sempre<br />

ricerca di libertà e di solidarietà umana.<br />

Simbolo e utopia è il mondo a cui aspirano gli oppositori: un mondo che si sottrae alle dimensioni di una<br />

ideologia politica (sia pure socialista) e vuole invece misurarsi con il metro delle grandi verità eterne, la<br />

giustizia, la libertà, la nobiltà d'animo, l'amicizia, l'amore. E simbolo sono anche i personaggi del mondo<br />

ufficiale: simbolo di ciò che opprime l'uomo non solo in determinati periodi della storia, come quello<br />

fascista, ma da sempre, da quando esiste una società divisa in classi: il denaro, la ingordigia, l'invidia,<br />

l'avarizia, la sete di potere. La ribellione di Spina e dei suoi amici è appunto la riconquista dei valori<br />

elementari dell'uomo. Ed essi agiscono, si muovono, parlano come santi laici. Credo che l'efficacia di questo<br />

romanzo sia determinata appunto dal fatto che l'ideologia utopistica, anarchica, cristianeggiante di Silone ha<br />

potuto incontrarsi con una materia che permetteva di essere sottratta al tempo e allo spazio: il paesaggio<br />

abruzzese, nel periodo fascista, ancora ai margini della civiltà e del mondo ufficiale. E, in tal modo, sono<br />

diventati pregi anche quelli che, in altri romanzi, apparivano come difetti: il tono piatto e dimesso del<br />

racconto, quel suo procedere lento, analitico, estenuante, quel dialogo incantato e distante, quasi che ogni<br />

personaggio ascolti dentro di sé le risonanze delle sue stesse parole” (SALINARI). E questo spiega anche il<br />

giudizio favorevole della critica ufficiale italiana per questo romanzo, ritenuto tra i migliori di Silone e tra i<br />

più complessi dell'ultima letteratura.<br />

Il segreto di Luca, per una certa delicatezza di toni, sembra diverso dai consueti romanzi politici di Silone,<br />

ma sostanzialmente anche qui l'ansia della verità e l'amore della giustizia, assurti a valori supremi di lotta e<br />

di speranza, costituiscono un elemento essenziale alla spiritualità di Silone. Del resto tale delicatezza<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

sentimentale egli aveva esaltato già nell'amore di Pietro Spina e Cristina, anche lei morta per amore in mezzo<br />

alla bufera di neve in pasto ai lupi affamati.<br />

Ne L’avventura di un povero cristiano è espressa l'utopia politica, religiosa, sociale di Silone, quella che<br />

vive nella coscienza dell'uomo e si manifesta come inquietudine che nessuna riforma e nessun benessere<br />

materiale potranno mai placare, la storia di una sempre delusa speranza, ma di una speranza tenace.<br />

L'ideologia di Silone è tutta qui, in questo spirito di solidarietà e di fratellanza autentica, in cui il socialismo<br />

moderno rivela tutta la sua interiore carica cristiana, tanto che Silone può definirsi "un socialista senza<br />

partito e un cristiano senza chiesa".<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO: NARRATIVA<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Fontamara 1930<br />

Un viaggio a Parigi 1934<br />

Ignazio S<strong>IL</strong>ONE Cod.<br />

Roma, Faro 1945;<br />

Milano, Mondadori 1949<br />

Roma, Fondazione I. Silone<br />

1992<br />

Vino e Pane 1936 Milano, Mondadori 1955<br />

Il seme sotto la neve 1941<br />

Milano, Mondadori 1950, 1961<br />

(interamente riveduta)<br />

Una manciata di more 1952 Milano, Mondadori<br />

Il Segreto di Luca 1956<br />

La volpe e le camelie 1960 Milano, Mondadori<br />

L'avventura di un povero cristiano 1968 Milano, Mondadori<br />

Severina<br />

a cura e con testi di Darina Laracy<br />

1971 Milano, Mondadori<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO: SAGGISTICA<br />

OM.009<br />

OO.001<br />

OM.055<br />

NK.001<br />

OO.013<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Ignazio S<strong>IL</strong>ONE Cod.<br />

Il Fascismo. Origini e sviluppo 1934 Zurigo 1934<br />

La scuola dei dittatori 1938 Zurigo<br />

The living thoughts of Mazzini 1939<br />

Uscita di sicurezza 1965 Firenze, Vallecchi<br />

Memoriale dal carcere svizzero 1944<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO: TEATRO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Ed egli si nascose<br />

L'avventura di un povero cristiano<br />

1944<br />

(dall'omonima opera narrativa), in<br />

"Il Dramma", 12 settembre 1969<br />

1965<br />

Ignazio S<strong>IL</strong>ONE Cod.<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

RENATA VIGANO'<br />

Renata Viganò ha raggiunto la notorietà con L'Agnese va a<br />

morire da cui è stato tratto l'omonimo film di Giuliano<br />

Montaldo con Ingrid Thulin.<br />

Renata Viganò nacque a Bologna nel 1900 da una famiglia<br />

borghese. Ancora giovanissima pubblicò due raccolte di<br />

poesie, Ginestra in fiore (Beltranii, Belogna 1912) e Piccola<br />

fiamma (Alfieri e Lacroix, Milano 1915). Per aiutare i<br />

congiunti, dovette interrompere gli studi e lavorare come<br />

infermiera negli ospedali. Nel 1933 pubblicò il suo primo<br />

romanzo, Il lume spento (Quaderni di poesia, Milano).<br />

Durante la guerra prese parte attiva alla lotta clandestina per<br />

la Resistenza, e seguì col figlio il marito, comandante di<br />

formazioni garibaldine. Dirigente del servizio sanitario di<br />

una brigata operante nelle Valli di Comacchio, è riconosciuta<br />

partigiana col grado di tenente. L'esperienza della lotta<br />

partigiana, determinante nella sua vita, è al centro de<br />

L'Agnese va a morire, che vinse il Premio Viareggio 1949 e<br />

venne successivamente tradotto in tredici paesi.<br />

Scrisse inoltre i racconti di Arriva la cicogna (Cultura sociale, Roma 1954), i romanzi Una storia di ragazze<br />

(Del Duca, Milano 1962) e Matrimonio in brigata (Vangelista, Milano 1976), e le prose saggistiche di<br />

Mondine (Tipografia Modenese, Modena 1952), Donne della Resistenza (Steb, Bologna 1955), Ho<br />

conosciuto Ciro (Tecnografia emiliana, Bologna 1959).<br />

E’ scomparsa a Bologna nel 1976.<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Renata VIGANO’ Cod.<br />

L'Agnese va a morire 1949 Einaudi Torino ET.012<br />

Mondine 1952 Tipografia Modenese<br />

Arriva la cicogna 1954 Roma, Cultura sociale<br />

Donne della Resistenza 1955 Mursia<br />

Ho conosciuto Ciro 1959 Bologna, Tecnografia emiliana<br />

Una storia di ragazze 1962 Milano, Del Duca<br />

Matrimonio in brigata 1976 Vangelista<br />

65


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

ELIO VITTORINI<br />

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida<br />

Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag.<br />

777-786 796-799)<br />

La Vita<br />

Elio Vittorini nacque a Siracusa il 23 luglio 1908. Poiché il padre era<br />

ferroviere, egli trascorse la maggior parte della sua infanzia in piccoli<br />

paesi della Sicilia, che faranno da sfondo ai romanzi della maturità:<br />

sfondo di miseria e di solitudine, in una natura arida e malsana. Sin<br />

dall'adolescenza si dedica a letture che lo avvicineranno al mondo della<br />

narrativa e della poesia. Lo scrittore tenta di fuggire di casa per ben<br />

quattro volte; alla quarta non tornò più a casa. Si stabilì nel Friuli come<br />

impiegato in un'impresa edile.<br />

Negli stessi anni in cui lavora nel Friuli, comincia la sua carriera di<br />

scrittore. I suoi primi tentativi mostrano un'adesione alquanto ingenua<br />

al falso realismo strapaesano, come, per esempio, il Ritratto di Re<br />

Giampiero; mentre i racconti del suo primo volume, Piccola<br />

borghesia (1931), risentono dell'influsso degli scrittori che lavorano<br />

intorno alla rivista Solaria, i quali tentavano di rompere l'isolamento<br />

della nostra letteratura e di stabilire un contatto rinnovatore con le<br />

esperienze più avanzate della cultura europea ed extraeuropea.<br />

Gli amici di Solaria avevano portato all'attenzione dei nostri scrittori<br />

gli esempi dei narratori e dei poeti dell'avanguardia europea, da James<br />

Joyce a Marcel Proust, da Franz Kafka a Katherine Mansfield. Attiratovi dall'ambiente culturale di Solaria,<br />

Vittorini nel 1930 è a Firenze dove lavora come correttore di bozze in un quotidiano e impara l'inglese da un<br />

vecchio operaio della tipografia. Da allora comincia il suo interesse per la narrativa americana, a cui si dedica<br />

con molto entusiasmo, traducendo subito un romanzo di Lawrence e poi altri, dando luogo a sospetti presso<br />

i gerarchi del regime. Infatti, viene espulso dal partito fascista, di cui non aveva più da tempo rinnovato la<br />

tessera.<br />

Il distacco di Vittorini dal Fascismo è determinato più che da una precisa coscienza politica, da una reazione<br />

dell'intelligenza offesa: dinanzi all'oppressione fascista il sentimento di opposizione di Vittorini non poteva<br />

essere altro che una sorta di “astratti furori”, come scriverà in Conversazione in Sicilia.<br />

Con la guerra civile di Spagna, in cui fascisti e repubblicani vennero a conflitto aperto, egli poté vedere<br />

chiaramente la sostanziale differenza tra l'oppressione e la libertà. Quella guerra gli fa deporre la penna, e<br />

così interrompe la stesura di Erica.<br />

Si trasferisce a Milano, dove prosegue la sua attività di traduttore e di redattore di case editrici. Con la<br />

seconda guerra mondiale si chiarirà la sua ideologia politica e culturale.<br />

Nel '39 la prima edizione di Conversazione in Sicilia fu lasciata passare dalla censura fascista, ma, bene<br />

accolta dalla critica, suscitò subito il risentimento della stampa di regime che lo accusava di essere<br />

antinazionale e immorale. Nel 1941 la censura fascista vietava la pubblicazione della sua antologia,<br />

Americana; nel '43, dopo il 25 luglio, venne rinchiuso nel carcere di S. Vittore. Uscitone dopo l'8 settembre,<br />

partecipò attivamente alla Resistenza.<br />

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, partecipò a quel momento di entusiasmo e di ottimismo liberale,<br />

che portò al Neorealismo, come espressione di un nuovo clima culturale. La testimonianza più significativa<br />

di queste esigenze rinnovatrici si può rinvenire nella rivista Il Politecnico diretta da Vittorini e pubblicata a<br />

Milano dal 1945 al 1947.<br />

Nel dicembre 1947 il Politecnico, sconfessato dai comunisti, cessava le pubblicazioni; ma l'esigenza liberale<br />

di una nuova cultura che era al fondo delle istanze di Vittorini diede in quegli anni buone messi, se sorsero<br />

subito altre riviste e opere letterarie e scientifiche di grande rilievo.<br />

D'altra parte veniva scoperta l'opera segreta di alto livello culturale di Gramsci, e di lì tutto un patrimonio<br />

europeo di studi marxistici che hanno orientato la cultura italiana del dopoguerra.<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

Vittorini rimaneva pertanto il maestro iniziatore della corrente detta neorealistica, in cui l'impegno dell'artista<br />

non era quello politico-sociale di chi suona il piffero alla rivoluzione, ma consisteva nell’essere coerente col<br />

suo senso del reale.<br />

La funzione di Vittorini, maestro e guida del Neorealismo, non si esauriva, però, con il Politecnico, in quanto<br />

egli intraprendeva tutta una serie di traduzioni di romanzi americani, di pubblicazioni neorealistiche, che lo<br />

indicavano come uno dei massimi organizzatori di cultura del dopoguerra.<br />

Le elezioni politiche del 1948 imprimevano una svolta conservatrice alla politica italiana: la cultura si<br />

ritrovava di nuovo isolata ed era costretta a cercare nuove vie per adeguarsi alla realtà sociale del Paese. Di<br />

qui l'attività infaticabile di Vittorini, che con la collana I gettoni di Einaudi cercava di vedere attuata nei più<br />

giovani scrittori una letteratura attenta ai problemi sociali autentici della realtà contemporanea. Ed anche<br />

questa sua attività di organizzatore culturale e di critico ebbe notevole importanza perché venisse indicato<br />

come maestro di Neorealismo e di nuovi esperimenti letterari.<br />

Nel '51 ha inizio la pubblicazione dei Gettoni, con cui Vittorini apre ai giovani scrittori uno spazio<br />

sperimentale dedicato ai problemi e agli aspetti più vivi della realtà contemporanea. Fenoglio e Calvino<br />

vengono lanciati da questa sua iniziativa. Nel 1966, dopo avere avviato una lunga conversazione critica tra<br />

letteratura e industria nella rivista Menabò, muore per una grave malattia.<br />

LE OPERE<br />

Piccola borghesia (1931) riunisce in volume una serie di racconti scritti nel clima solariano, i cui personaggi<br />

sono tratti da ambienti piccolo-borghesi studiati nella loro realtà psicologica. Il linguaggio è ricco di<br />

immagini e di metafore.<br />

Il garofano rosso (1933-'34) uscì a puntate su Solaria, e in volume soltanto nel 1948, perché la<br />

pubblicazione fu interrotta dalla censura fascista, che accusò il testo di essere contrario alla morale e al buon<br />

costume.<br />

Ma prima di arrivare al suo capolavoro, Vittorini si impegna ancora in opere di alto tirocinio tecnicostilistico<br />

che, pubblicate in un volume nel 1936, testimoniano gli influssi del Surrealismo e dell'Ermetismo,<br />

nonché la lezione di Proust.<br />

Erica e i suoi fratelli fu cominciato e scritto in gran parte nel 1936, ma rimase interrotto perché l'autore fu<br />

distratto dalla guerra di Spagna. Fu poi pubblicato in rivista nel 1954 e in volume nel 1956 insieme con La<br />

Garibaldina, incompiuto così come era rimasto.<br />

Vittorini sospese il romanzo Erica e i suoi fratelli a causa dello scoppio della guerra civile in Spagna, ma<br />

quando riprese a scrivere, verso il settembre del 1938, non fu per continuare Erica, ma per mettere giù la<br />

prima pagina di Conversazione in Sicilia.<br />

Il romanzo Uomini e no, che Vittorini ha pubblicato nel 1945 dopo nove anni di silenzio, rappresenta il<br />

massimo sforzo dello scrittore per superare i residui di simbolismo espressi in Conversazione in Sicilia, e<br />

affrontare in pieno l'esigenza di Realismo e di impegno che dominava la cultura italiana degli anni<br />

dell'immediato dopoguerra. Qui mito e storia avrebbero dovuto fondersi in perfetta unità per la ragione stessa<br />

che lo scrittore lavorava a caldo. Scrive, infatti, la storia del partigiano Enne 2 che vive la resistenza a<br />

Milano nel 1944 e ricerca una sua autenticità di vita e di impegno nel mondo.<br />

L'altro romanzo, Il Sempione strizza l'occhio al Fréjus (1947) descrive la fame del dopoguerra. L'aggancio<br />

alla realtà di fatto, qui descritta dal narratore, era così perentorio che Vittorini in una nota finale registrava<br />

persino i prezzi del pane, delle acciughe e della cicoria, che nel 1947 erano i cibi preferiti dalla povera gente.<br />

Le donne di Messina (1949); (1964) vuole approfondire l'esperienza umana del lavoro contadino. Il romanzo<br />

racconta le vicende di un gruppo di sbandati di guerra che decidono di costruire insieme una nuova vita<br />

sociale in un villaggio abbandonato, ripercorrendo le tappe dell'evoluzione tecnica, ma arrestandosi alle<br />

soglie dell'età moderna. L'ex fascista Ventura e tutta la comunità di ex nomadi, che hanno ricostruito una<br />

nuova società, devono alla fine ammettere che il loro risultato è assai mediocre, nonostante tutti abbiano<br />

lavorato e seminato e raccolto.<br />

67


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

“La favola dell'età eroica è finita, bisogna prenderne atto e adeguarsi, bella o brutta che sia, ad una realtà<br />

diversa, industriale e tecnologica, con tutti i comodi – juke-box e luci al neon, birra gelata e acqua calda e<br />

fredda - e dove è ferrea logica che il contadino abbandoni la terra ” (MANACORDA).<br />

Con La Garibaldina (1950) Vittorini ritorna alla tecnica del romanzo breve e stilisticamente omogeneo.<br />

In una stazione affollata di gente affamata un soldato attende un treno che lo dovrebbe portare a Terranova, e<br />

sul treno conosce la Garibaldina, una vecchia baronessa autoritaria, ma capace di apertura sociale. Tra i due<br />

s'intreccia un fitto e interessante dialogo; quando arrivano a Terranova la Garibaldina cerca ospitalità nella<br />

casa di una donna di sua conoscenza, e all’alba il bersagliere la incontra mentre assolda mietitori a giornata<br />

che le si stringono attorno servilmente.<br />

L'ultimo romanzo di Vittorini, Le città del mondo, uscito postumo nel 1969, fu composto tra il 1952-'55 e<br />

lasciato incompiuto. Sul piano letterario esso segna una sorta di involuzione per la sua tecnica composita di<br />

piani e di linguaggi diversi, quello mistico e quello realistico<br />

Nella terza parte di Conversazione in Sicilia Concezione, la madre di Silvestro, inizia il giro delle iniezioni ai<br />

contadini ammalati; si ha subito l'impressione che quel paese sia un lazzaretto, un paese di dolore e di<br />

miseria, in cui chi è malato di tisi, chi di malaria. Qui è tutta la carica polemica con il regime fascista che<br />

osannava gli splendori imperiali, mentre nascondeva nel suo seno le tragedie più degradanti di un popolo che<br />

si ciba di una cipolla, di un uovo alla domenica, di un'arancia senza pane.<br />

Politecnico. Ciò che distingueva questa rivista nel panorama delle pubblicazioni del tempo era la vastità dei<br />

suoi interessi che dalla letteratura andavano alla politica, dalle inchieste sociali fino alla divulgazione dei<br />

poeti stranieri e fino ai problemi della scuola. In questo senso essa può essere accostata al Politecnico di<br />

Carlo Cattaneo o al Caffè dei fratelli Verri.<br />

Sin dal primo numero Vittorini dichiarava che la cultura italiana tradizionale (senza precisarne, però, la data<br />

di partenza) era stata una cultura che di fronte alla sofferenza dell'uomo nella società aveva ritenuto di<br />

assolvere al suo dovere soltanto consolandolo del suo soffrire; e per questo suo modo di consolatrice […]<br />

non ha potuto impedire gli orrori del Fascismo.<br />

Una cultura, quindi, che, non essendosi fatta essa stessa società, non ha avuto mai né potere né strumenti per<br />

proteggere l'uomo dalla sofferenza.<br />

LA POETICA<br />

Elio Vittorini è considerato uno degli interpreti maggiori della crisi del nostro tempo, e il suo nuovo<br />

umanesimo è fondato sull'allegoria del sentimento, sulla memoria del cuore e dell'infanzia, sul sentimento<br />

collettivo e anarchico della solidarietà umana. In questo senso il momento pseudomarxista del Politecnico<br />

indica soltanto il periodo occasionale di una solitaria protesta politico-letteraria, che intravedeva nel<br />

Neorealismo una letteratura di opposizione alla retorica del Fascismo, ma che non riusciva a fare di lui,<br />

scrittore libero e anarchico, un suonatore di piffero alla rivoluzione comunista. Perciò è giusto osservare che<br />

Vittorini non è tutto nel Politecnico, bensì, piuttosto, nella sua “capacità di rimettere tutto in questione, caso<br />

per caso e problema per problema” (come egli stesso scriveva in Diario in pubblico), che è l'unico modo e<br />

l'unica possibilità di uno scrittore di partecipare alla storia.<br />

“I tempi principali di Conversazione in Sicilia e dell’opera di Vittorini erano due: l'adagio e l'allegro.<br />

L'adagio è dato dai temi più semplici accennati sin qui, il tema dell'infanzia, il tema del padre poeta e<br />

pover'uomo, il tema del treno merci e della cantoniera, il tema della disperazione degli uomini, ognuno col<br />

suo proprio diavolo sotto il cielo delle solitudini, il tema del fratello morto come lo ricorda la madre, il tema<br />

di questa Sicilia di dopo il Verga, nella quale gli uomini non hanno più cronaca e non hanno più le loro<br />

povere storie ma hanno un'unica storia umana che è poi quella dello stesso scrittore e della quale hanno<br />

anche loro imparato il significato [ ...].<br />

L'allegro vive invece di temi molteplici, che si estendono su di una gamma assai vasta, dall'ironico al<br />

tragico, a cominciare dai colloqui di Coi Baffi e Senza Baffi, al lungo tema insistito delle visite in paese, al<br />

colloquio nel cimitero, alla danza dei coltelli, al coro finale del vino. […]. Quei due tempi fondamentali<br />

sopra accennati furono poi sviluppati ognuno in un libro a sé: Uomini e no, Milano, 1945 (libro tutto o quasi<br />

di "adagio"), il racconto della Resistenza, con i grandi motivi romantici dell'amore e della morte, che scopre<br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

meglio di ogni altro certe vene tenerissime del Vittorini, il dolce inverno di Milano, il grande suono quando<br />

appare l'amore; e che scopre meglio altre cose, il valore non narrativo ma meditativo, il valore di certi suoi<br />

lunghi dialoghi di brevi battute, l'ossessione della doppia realtà, segno così vistoso della sua crisi. E secondo,<br />

Il Sempione strizza l'occhio al Fréjus, Milano, 1947, letterariamente assai più bello, forse il più compiuto<br />

dello scrittore; e anzi così concluso e perfetto nel suo "allegro" da scoprirsi persino gratuito, astratto; e<br />

tuttavia pieno di così veri motivi, di così discreto eroismo” (Pampaloni).<br />

LA TEMATICA<br />

Per essere uomini veri, secondo Vittorini, bisogna avere coscienza delle offese del mondo, saper superare i<br />

propri dolori personali, saper piangere per i dolori di tutti, ed anche essere perseguitati ed essere dalla parte<br />

dei perseguitati. Questa figura di uomo forte e coraggioso, che pensa ad altri doveri, egli ha incarnato nel<br />

Gran Lombardo (Conversazione in Sicilia), simbolo dell'Uomo. Ed è significativo che proprio negli anni tra<br />

il 1937 e il 1940, cioè dal periodo della guerra di Spagna alla crisi politica che portò alla seconda guerra<br />

mondiale, quando sembrava che la violenza venisse premiata e il diritto venisse sopraffatto dalla forza, i<br />

termini Fascismo e antifascismo si ridimensionavano in Conversazione in Sicilia dal piano politico al piano<br />

morale, fino al punto che, secondo Vittorini, il mondo si divideva in uomini e non uomini, in perseguitati e<br />

oppressori; “ uomini ” erano, ovviamente, i perseguitati consapevoli dei doveri verso la società, e “ non<br />

uomini ”, coloro che rimanevano fermi ai loro interessi. Il Fascismo di Vittorini in questo senso potrebbe<br />

essere una categoria morale-politica, dato che egli non si preoccupa di definirne le basi oggettive che lo<br />

caratterizzano storicamente. L'ideologia politica di Vittorini non è pertanto l'antifascismo in senso oggettivo<br />

di condanna di un regime politico per l'esaltazione di un regime opposto, bensì una categoria morale di tipo<br />

anarchico e piccolo-borghese di tipo soggettivo. In questo senso invano cercheremmo in lui lo scrittore neorealista<br />

antifascista o socialista. Questa tesi di Salinari ha fatto scuola presso i critici nel proporre molte riserve<br />

circa il Neorealismo di Vittorini, che rimane ancora di tipo e di origine decadente, o, meglio, borghese.<br />

Il primo equivoco in cui Vittorini cadeva era quello di considerare la letteratura decadente come<br />

letteratura della borghesia solo nel senso che è autocritica della borghesia. I suoi motivi borghesi sono<br />

vergogna e disperazione d'esser borghesi. Dunque è rivoluzionaria malgrado i suoi vizi borghesi…<br />

Quindi i germi della nuova rivoluzione culturale erano da cogliere in quella interna inquietudine e in<br />

quell'ansia di superamento che sembrava avere la letteratura decadente. In questo modo Vittorini risolveva<br />

positivamente i rapporti con la cultura decadente, ma nello scegliere i nuovi compagni di strada e le nuove<br />

alleanze per realizzare la nuova cultura era costretto a fare i conti con la nuova realtà politica.<br />

Il più culturalmente agguerrito e preparato per un salto qualitativo della società italiana era il Partito<br />

Comunista, che già affrontava il problema di una politica culturale in chiave marxistica dibattendosi nel<br />

difficile conflitto fra l'autonomia dell'artista e la necessità di perseguire una determinata linea politica. Ma<br />

Vittorini, uomo di formazione solariana e, quindi, assai sensibile ai problemi della forma ' insisteva sul fatto<br />

che la politica non può subordinare a sé la cultura, tranne nel solo caso in cui la società attraversi un<br />

momento rivoluzionario.<br />

Indubbiamente il Politecnico assunse una funzione di guida culturale di sinistra, anche se col tempo si<br />

moltiplicano i punti di frizione fra le posizioni del settimanale e quelle del Partito Comunista; come i ripetuti<br />

atteggiamenti anticlericali di Vittorini, la pubblicazione di un passo di Sartre e di uno di Merleau-Ponty "un<br />

marxismo vivente dovrebbe salvare la ricerca esistenzialista invece di soffocarla”.<br />

Dalla discussione si arrivò presto allo scontro tra Vittorini e il Partito Comunista. La prima polemica avvenne<br />

con Alicata, la seconda con Togliatti. Il primo rimproverava a Vittorini di non aver saputo ristabilire un<br />

contatto produttivo tra la nostra cultura e i problemi concreti delle masse popolari italiane in modo da<br />

stabilire un ponte che potesse sanare la frattura tra i ceti medi e le masse lavoratrici.<br />

Togliatti, rimproverava a Vittorini l’affermazione della priorità della cultura sulla politica e poi il fatto che<br />

l'informazione enciclopedica, a cui il “Politecnico” tendeva, sopraffaceva il pensiero. Per questo il<br />

“Politecnico”, nato con l'intenzione di rinnovare la cultura, non aveva rinnovato e non rinnovava proprio<br />

niente. Ma Vittorini ribadiva le sue posizioni di fondo:<br />

1. difesa delle esigenze interne, segrete dello scrittore che è rivoluzionario al di sopra e al di là della<br />

politica, per le sollecitudini e le istanze che egli scopre e rileva di sua iniziativa e in piena libertà;<br />

2. se l'uomo di cultura si allinea senz'altro con le direttive del partito, sia pure partito rivoluzionario,<br />

non fa che suonare il piffero della rivoluzione: colui che fa questo non fa nulla di diverso dai poeti<br />

arcadi che suonavano il piffero alla reazione.<br />

69


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

Nel discorso tenuto a Ginevra nel 1948, “L'artiste doit-il s'engager?”, Vittorini confermava, ancora una volta,<br />

la libertà dell'artista dall'impegno politico, in quanto l'artista che vive la realtà del suo tempo è sempre<br />

impegnato nelle rivoluzioni che questa realtà comporta: se l'arte è stata più forte d'ogni ideologia sua<br />

contemporanea e d'ogni alienazione sua contemporanea lo è stata sempre nella misura in cui l'engagement<br />

naturale dell'artista ha avuto più forza dell'engagement velleitario che gli si chiedeva o gli si imponeva.<br />

In sostanza, per Vittorini l'impegno dell'artista non è mai esterno alla sua arte, ma intrinseco nel messaggio<br />

interiore della sua arte, in perfetta coerenza col mondo dell'artista, uomo reale e legato alla sua realtà storica.<br />

SEZIONE LIBRARIA PROPOSTA DI ISTITUTO<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

Scarico di coscienza 1929<br />

Scrittori nuovi (antologia) con E. Falqui 1930<br />

Piccola borghesia 1931<br />

Viaggio in Sardegna 1932<br />

Il garofano rosso 1933-34<br />

Nei morlacchi 1936<br />

Conversazione in Sicilia 1941<br />

Americana (antologia) 1941<br />

Uomini e no 1945<br />

Il Sempione strizza l'occhio al Frejus 1947<br />

Le donne di Messina 1949<br />

Sardegna come infanzia 1952<br />

Erica e i suoi fratelli 1956<br />

Diario in pubblico 1957<br />

Le due tensioni 1967<br />

Le città del mondo 1969<br />

Elio VITTORINI Cod.<br />

OM007<br />

RP056<br />

70


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

SEZIONE 2<br />

LA CINEMATOGRAFIA<br />

DEL<br />

<strong>NEOREALISMO</strong><br />

71


N° titolo<br />

ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

<strong>IL</strong> <strong>NEOREALISMO</strong> ITALIANO<br />

VISIONE F<strong>IL</strong>MS PROPOSTI<br />

Anno<br />

di<br />

prod.<br />

Tipo regista durata Cod.<br />

01 Ossessione 1943 Visconti Luchino 135 m<br />

I bambini ci guardano 1943 VHS De Sica Vittorio 90 m<br />

Roma Città Aperta 1945 VHS Rossellini Roberto 98 m H032<br />

Paisà 1946 VHS Rossellini Roberto 125 m K008<br />

Sciuscià 1946 VHS De Sica Vittorio 95 m ????<br />

Germania Anno Zero 1947 VHS Rossellini Roberto 75 m H027<br />

L’onorevole Angelina 1947 VHS Zampa Luigi 83 m ????<br />

Ladri di biciclette 1948 VHS De Sica Vittorio 92 m F007<br />

La terra trema 1948 VHS Visconti Luchino 160 m H038<br />

Riso amaro<br />

11 Stromboli, terra di Dio<br />

1949<br />

1950<br />

DVD De Santis Giuseppe<br />

Rossellini Roberto<br />

108 m<br />

107 m<br />

????<br />

Miracolo a Milano 1951 VHS De Sica Vittorio 97 m F006<br />

Bellissima 1951 VHS Visconti Luchino 113 m<br />

Umberto D.<br />

15 Rocco e i suoi fratelli<br />

1952<br />

1960<br />

DVD De Sica Vittorio<br />

Visconti Luchino<br />

89 m<br />

113 m<br />

????<br />

Il Gattopardo<br />

La storia, i film, i<br />

1963 VHS Visconti Luchino 205 m F003<br />

protagonisti: 1950-<br />

1954<br />

VHS Lizzani Carlo 60 m<br />

A DISPOSIZIONE<br />

72


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

PRECURSORI DEL <strong>NEOREALISMO</strong> (CINEMA)<br />

N° Titolo<br />

Anno di<br />

edizione<br />

01 Sperduti nel buio 1914 Martoglio Nino<br />

02 Assunta Spina 1915 Serena Gustavo<br />

03 Toni 1935 Renoir<br />

04 Madre terra 1931 Blasetti Alessandro<br />

05 1860 1934 Blasetti Alessandro<br />

06 Quattro passi fra le nuvole 1942 Blasetti Alessandro<br />

07 I bambini ci guardano 1943 De Sica Vittorio<br />

08 La porta del cielo 1946 De Sica Vittorio<br />

A DISPOSIZIONE<br />

N° Titolo<br />

SEZIONE DOCUMENTARIA CORRELATA<br />

Anno di<br />

prod.<br />

Regia Cod.<br />

Tipo COLLANA Durata Cod.<br />

Riso amaro VHS Cronache Z006<br />

La storia, i film, i<br />

protagonisti: 1950-1954<br />

A DISPOSIZIONE<br />

VHS Lizzani Carlo<br />

73


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

N° Titolo<br />

Il Gattopardo<br />

OLTRE <strong>IL</strong> <strong>NEOREALISMO</strong><br />

Anno di<br />

edizione<br />

Autore Cod.<br />

Tomasi di Lampedusa,<br />

Giuseppe<br />

La ragazza di Bube Cassola, Carlo<br />

74


Neorealismo<br />

ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

1. Caratteristiche, precursori, prodromi<br />

Il movimento noto come neorealismo fa la propria comparsa in Italia intorno alla seconda guerra<br />

mondiale: sua principale caratteristica è quella di rappresentare la quotidianità nel suo farsi, adottando un<br />

taglio tra il reale ed il documentario e servendosi sovente di individui presi dalla strada in luogo di attori<br />

professionisti. La scarsità di mezzi, la indisponibilità di teatri di posa dopo il 1944 figlia l'obbligo di girare<br />

nelle strade, di ambientare i lungometraggi nei luoghi autentici: ciò diviene una sorta di cifra stilistica del<br />

neorealismo, che attinge una inusitata misura di verità da codeste apparenti limitazioni. Altri tratti salienti<br />

sono rinvenibili in uno spostamento d'accento dal singolo alla collettività, nella palese predilezione per una<br />

narrazione di tipo corale; ultima, ma non per importanza, è la valenza di lucida analisi dei dolorosi scenari<br />

evocati, di aperta critica verso la crudeltà o l'indifferenza dell'autorità costituita.'accezione di "nuovo"<br />

realismo si origina dalla necessità di sottolineare il carattere invero inedito della corrente: ché mere<br />

connotazioni realistiche avevano già talune pellicole nostrane nel periodo del muto - "Sperduti nel buio"<br />

(1914) di Nino Martoglio e "Assunta Spina" (1915) di Gustavo Serena, per fare degli esempi - mentre certe<br />

opere di Blasetti (pensiamo soprattutto a "Terra madre" ed a "1860", rispettivamente del 1931 e del 1934)<br />

ambivano a dare del paese un'idea meno paludata ed astratta di quanto preteso dal regime. Se<br />

l'elaborazione teorica del movimento trova nelle riviste "Cinema" (nata nel'36, dal '38 diretta da Vittorio<br />

Mussolini) e "Bianco e nero" (apparsa nel '37, curata per quasi 15 anni da Luigi Chiarini) insperati luoghi<br />

d'elezione, i segnali d'un mutamento imminente si coagulano di contro in titoli quali "Quattro passi fra le<br />

nuvole" (1942) di Alessandro Blasetti e "I bambini ci guardano" (1943) di Vittorio De Sica. Una ragazza<br />

madre, una moglie adultera, un marito suicida ne sono protagonisti, dissolvendo la plumbea, forzosa<br />

cappa di decoro e di perbenismo propria della cinematografia del ventennio. A rompere ancor più<br />

recisamente gli indugi, ci pensa Luchino Visconti con "Ossessione" (1943), torrida trasposizione sulle<br />

rive del Po de "Il postino suona sempre due volte" di James M.Cain: irrompe qui, finalmente, sugli schermi,<br />

un'Italia vera, abitata dalla miseria e dalla disoccupazione, vessata da una polizia occhiuta e persecutoria.<br />

Passione, tradimento, morte scandiscono una storia raccontata senza infingimenti o timori: la censura<br />

s'impenna ancora una volta, ed il film conosce - segnatamente nell'Italia del nord - problemi di<br />

circolazione. Ma la strada per una svolta epocale, oramai, è stata aperta.<br />

2 L'influenza di Zavattini<br />

Prima di addentrarci ulteriormente nell’argomento di codesta trattazione, ci pare doveroso far cenno alla<br />

figura di Cesare Zavattini (Luzzara, RE, 1902 - Roma 1989), importante nella vicenda del cinema italiano<br />

in generale ed assolutamente fondamentale nell’avventura neorealistica. Se già nel 1935, sulle colonne<br />

della rivista "L’Italiano", Leo Longanesi aveva affermato: "bisogna scendere nelle strade, nelle caserme,<br />

nelle stazioni: solo così potrà nascere un cinema all’italiana", è però il Nostro ad inscrivere codesta<br />

intenzione in una sorta di manifesto teorico, via via precisatosi nel corso del tempo. La concezione del<br />

neorealismo trova infatti la propria ragion d’essere nella cosiddetta teoria zavattiniana del pedinamento,<br />

consistente nella registrazione del quotidiano al seguito di personaggi scelti fra la gente comune: la<br />

macchina da presa si pone al servizio del reale e lo filma, facendo sì che gli eventi giornalieri finiscano per<br />

trasformarsi in una storia. Detta attitudine s’appalesa già nella prima sceneggiatura di Zavattini, quella<br />

concepita per "Darò un milione" (1935) di Mario Camerini: pur all’interno di una struttura favolistica, infatti,<br />

l’attenzione all’universo degli umili ed all’autenticità dei sentimenti fan la differenza rispetto alle tematiche<br />

di regime. Successivamente, il discorso si precisa ulteriormente in diversi soggetti, da "Avanti c’è posto..."<br />

(1942) di Mario Bonnard a "Quattro passi fra le nuvole" (1943) di Alessandro Blasetti, da "I bambini ci<br />

guardano" (1943) a "La porta del cielo"(1946): diretti entrambi, questi ultimi, da quel Vittorio De Sica con il<br />

quale s’instaurerà una feconda collaborazione, pronuba di alcuni capi d’opera dei quali parleremo più<br />

avanti. Sovente autore dei film che sceneggiava assai più dei registi chiamati di volta in volta a dirigerli,<br />

Cesare Zavattini rimane personaggio unico ed irripetibile della nostra cinematografia: battagliero e<br />

generoso, egli s’impegnò costantemente in un lavoro di ricerca che produsse benefici effetti su autori e<br />

opere di tante generazioni e periodi. La sua sincerità dirompente, il suo coraggio intellettuale molto ci<br />

mancano ancor oggi, a quasi tre lustri dalla sua scomparsa.<br />

3. Le opere e gli autori<br />

L'atto di nascita ufficiale del neorealismo può dirsi costituito dall'uscita di "Roma città aperta", girato in<br />

condizioni di fortuna (ad esempio, servendosi di pellicola muta e sovente scaduta) tra il '44 e il '45 da<br />

Roberto Rossellini. L'esperienza dolorosa della guerra, il trauma dell'occupazione, l'afflato resistenziale<br />

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trovano qui efficace rappresentazione, pur se a volte in chiave populistico-melodrammatica: l'impatto è<br />

comunque enorme, e apre la strada a tutte le grandi opere del triennio successivo. In "Sciuscià" (1946),<br />

Vittorio De Sica indaga i disastri provocati dall'esperienza bellica nell'animo dei più deboli, i fanciulli del<br />

proletariato; in "Paisà" (1946), ancora Rossellini dà vita - in sei episodi di guerra e di resistenza - ad una<br />

sorta di affresco stilisticamente nervoso e frammentato sull'Italia sconvolta del '44; mentre in "Caccia<br />

tragica" (1947) Giuseppe De Santis si serve di moduli spettacolari e romanzeschi per ambientare nella<br />

bassa padana una movimentata vicenda di banditi e contadini, attraversata da un soffio epicohollywoodiano.<br />

Dipoi, mentre Rossellini esce dai confini patri per raccontare in "Germania anno zero" (1947) la deriva<br />

morale di un paese che si esplicita nel suicidio di un bimbo, De Sica offre con "Ladri di biciclette" (1948) -<br />

attraverso le peripezie d'un uomo qualunque, che non si rassegna alla disoccupazione forzosa -<br />

l'attendibile ritratto d'una nazione sospesa fra speranze e frustrazioni; laddove Visconti rilegge con<br />

maestria ed aggiorna in chiave marxista "I Malavoglia" del Verga nel mirabile "La terra trema" (1948) e<br />

De Santis persegue con il celeberrimo "Riso amaro" (1949) una sua personale via al cinema popolarrealistico,<br />

portando alle conseguenze ultime certe intuizioni gramsciane nel mescolare valenze sociali e<br />

gusto del melò, istanze progressiste ed esplosiva carnalità. Frattanto, la Storia fa il suo corso: le elezioni<br />

del '48 segnano la netta sconfitta delle sinistre, ricacciate all'opposizione dopo la parentesi postresistenziale.<br />

Il clima culturale, di conserva, prende a mutare: inizia così il lento, ma inesorabile declino<br />

dell'esperienza neorealistica, che produrrà ancora un'estrema fioritura prima di avvizzire.<br />

4. Gli ultimi fuochi<br />

Instauratosi un governo moderato di impronta filostatunitense, la rottura della solidarietà postbellica diviene<br />

definitiva: mentre il grande capitale torna ad affermarsi, venti di conservazione spirano vigorosi sul paese. La<br />

politica culturale tende verso un ottimismo di facciata, l'esposizione dei dolori e delle miserie d'un popolo<br />

vinto inizia ad esser vista con fastidio dal potere.<br />

Lo scopre a suo spese Vittorio De Sica che - già al centro di polemiche per le sue opere - viene attaccato<br />

per il magnifico "Umberto D." (1952), lucida e rigorosa descrizione della miserrima solitudine d'un<br />

pensionato: l'accusa è quella di presentare un quadro troppo impietoso della vita quotidiana, s'invoca a gran<br />

voce un raggio di sole da parte di giovani politici democristiani destinati a fare carriera. Esortazioni superflue,<br />

ché già i cineasti avvertono la struttura neorealistica come una camicia di Nesso e s'indirizzano ad altre<br />

esperienze: il citato De Sica, ad esempio, principia una carriera internazionale fortunata negli esiti<br />

commerciali e discontinua in quelli artistici, in ogni caso inferiori a quelli d'un tempo. Più complesso il<br />

percorso seguito da Luchino Visconti: dopo "Bellissima" (1951), epitome del neorealismo e nel contempo<br />

suo superamento critico, in "Senso" (1954) egli s'avvia verso un realismo borghese detto nei toni del<br />

melodramma, firmando un lavoro magistrale ma ormai lontano dai moduli espressivi della precedente<br />

trilogia. Quanto a Rossellini, il suo tragitto è il meno facilmente classificabile: con "Stromboli terra di Dio"<br />

(1951), "Europa '51"(1952), "Viaggio in Italia" (1954) egli pare spostarsi nel terreno d'un fideismo<br />

pessimistico, assai lontano dalla fiducia nella Storia o da istanze progressiste; mentre Giuseppe De Santis<br />

sigla con "Roma, ore 11" (1951) la sua migliore riuscita, con un ritratto corale al femminile di forte risalto<br />

sociale e politico. A questo punto, il neorealismo può dirsi esaurito: la sua lezione si rivelerà preziosa pel<br />

nostro cinema, che raramente - forse solo nei primi anni '60 - riuscirà di nuovo a creare una simile<br />

rispondenza con le trasformazioni sociali in atto.<br />

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01 – Ossessione<br />

ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

Gino Costa è un giovane disoccupato. Un giorno, vagabondando,<br />

capita in un casolare abitato dal vecchio Giuseppe Bardana e dalla<br />

sua giovane moglie Giovanna. Infatuatasi del bel giovane, Giovanna<br />

convince il marito ad assumerlo nel loro spaccio. I due divengono<br />

amanti. All'insaputa del marito, Gino tenta di organizzare una fuga<br />

con Giovanna, che rifiuta pur consumata dal dubbio. Deluso, Gino<br />

scappa verso Ancona e incontra lungo la strada un viaggiatore<br />

spagnolo, che gli propone di unirsi a lui. Trascorrono i giorni; l'amore<br />

per il canto spinge Giuseppe ad Ancona, accompagnato dalla moglie<br />

per partecipare ad un concorso lirico. Qui, i tre si ricongiungono e tra<br />

i due amanti torna ad ardere la fiamma della passione. Nonostante<br />

l'ingenua benevolenza di Giuseppe, che invita Gino a riprendere il<br />

lavoro con lui, il ragazzo e Giovanna comprendono che l'unica<br />

speranza di vivere il loro amore risiede nella scomparsa del vecchio<br />

Bardana. Organizzano a questo scopo un finto incidente stradale, nel<br />

quale Giuseppe perde la vita. Ma la coppia di amanti, divorata dai<br />

sensi di colpa, si sgretola; trasferitosi a Ferrara, Gino abbandonerà<br />

Giovanna per una modesta ballerina, Anita, convinto che la donna<br />

abbia soltanto voluto sfruttarlo per impadronirsi dell'assicurazione<br />

del marito. Giovanna, sola ed avvilita, rivela a Gino di essere incinta,<br />

obbligandolo a tornare da lei. Braccati dalla polizia per l'assassinio, i<br />

due complici tentano un'ultima e disperata fuga in macchina, ma il<br />

loro mezzo finisce fuori strada. Nell'incidente Giovanna perde la vita,<br />

mentre Gino viene raggiunto dalle forze dell'ordine.<br />

REGIA Luchino Visconti<br />

SCENEGGIATURA Luchino Visconti, Mario Alicata, Giuseppe De Santis<br />

SOGGETTO James M. Cain (non accreditato)<br />

FOTOGRAFIA Aldo Tonti, Domenico Scala<br />

MUSICA Giuseppe Rosati<br />

MONTAGGIO Mario Serandrei<br />

PRODOTTO DA<br />

I.C.I.<br />

Italia 1943<br />

DURATA 135<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Giovanna Bragagna Clara Calamai<br />

Gino Costa Massimo Girotti<br />

Giuseppe Bragagna Juan De Landa<br />

Anita Dhia Cristiani<br />

Lo Spagnolo Elio Marcuzzo<br />

L'agente di polizia Vittorio Duse<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

77


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

02 – I bambini ci guardano<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

Pricò è un bambino di sette anni che vive con occhi lucidi e disperati<br />

le vicende della vita coniugale dei propri genitori. Un giorno, mentre<br />

è ai giardinetti a giocare con il monopattino, nota la mamma, Nina,<br />

che parla con un uomo. Quando la madre lo riporta a casa, si fa<br />

promettere che l'indomani torneranno assieme ai giardinetti. Al<br />

mattino invece a svegliarlo è il padre Andrea, insieme alla domestica<br />

Agnese. La mamma, è partita gli dicono. Mentre le donne spettegolano<br />

sul pianerottolo, la domestica porta il piccolo dalla zia, sorella<br />

di Nina, che ha un laboratorio di sartoria. Fra busti e mezze gambe<br />

di legno, le ragazze si confidano gli amori e la zia riceve un «commendatore».<br />

Irrompe Andrea e si riporta via Pricò, ammutolito e turbato.<br />

Il piccolo va ad abitare dalla nonna paterna che vive in campagna<br />

con la servetta Paolina. Anche qui piccoli gesti, mezze parole,<br />

arie misteriose che incuriosiscono Pricò. Una notte, per vedere Paolina<br />

recarsi furtivamente ad incontrare il suo amante, si appoggia al<br />

parapetto e fa cadere una vaso di fiori. La nonna ne deduce che è<br />

stato educato male dalla madre. Tornato a casa dal padre, riceve un<br />

giorno la visita della madre e la prega di restare. Per amore del figlio<br />

Nina e Andrea riprendono a vivere insieme e si riconciliano. Ma<br />

quando la donna, assieme al figlio, va al mare, ad Alassio ricompare<br />

Roberto, il suo amante, e tra i due si riaccende l'antica fiamma. Il<br />

bambino, accortosene, tenta di fuggire per tornare dal papà, ma i<br />

carabinieri lo riportano a casa, e, a Roma, la mamma lo lascia al<br />

portone e prosegue in taxi. Dopo la seconda fuga di Nina, Andrea<br />

affida Pricò ad un collegio di preti e si suicida.<br />

REGIA De Sica Vittorio<br />

SCENEGGIATURA De Sica, Viola, Zavattini, Ghepardi, Maglione, Franci<br />

SOGGETTO Dal romanzo “Pricò” di Cesare Giulio Viola<br />

FOTOGRAFIA Giuseppe Caracciolo<br />

MUSICA Renzo Rossellini<br />

MONTAGGIO Mario Bonotti<br />

PRODOTTO DA<br />

Scalera Film-Invicta<br />

Italia 1943<br />

DURATA 90<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Claudio Ernesto Calindri<br />

Pricò Luciano De Ambrosis<br />

la nonna Jone Frigerio<br />

la madre Isa Paola<br />

l'amante Adriano Rimoldi<br />

il padre Emilio Cigoli<br />

Agnese Giovanna Cigoli<br />

la vicina di casa Tecla Scarano - Dina Perbellini<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

NO<br />

78


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

03 – Roma Città Aperta<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

Primo episodio della trilogia neorealista di Rossellini, "Roma città<br />

aperta" è universalmente riconosciuto come un capolavoro, una sorta di<br />

film-simbolo del Neorealismo. Accolto freddamente in Italia, il film<br />

ebbe immediato successo all'estero vincendo il Festival di Cannes nel<br />

1946; ancora oggi, la scena della morte di Pina-Anna Magnani rimane<br />

nell'immaginario collettivo. Sceneggiato da Rossellini, Sergio Amidei,<br />

Federico Fellini e Celeste Negarville, il film si ispira alla storia vera di<br />

don Luigi Morosini, torturato e ucciso dai nazisti perché colluso con la<br />

Resistenza. Nella Roma del '43 e '44, si intrecciano le vicende di alcune<br />

persone, coinvolte nella Resistenza antinazista. Durante l'occupazione,<br />

don Pietro protegge i partigiani e, tra gli altri, offre asilo ad un ingegnere<br />

comunista: Manfredi. Nel frattempo, la popolana Pina, fidanzata<br />

con un tipografo impegnato nella Resistenza, viene uccisa a colpi di<br />

mitra sotto gli occhi del figlioletto mentre tenta d'impedire l'arresto del<br />

suo uomo, trascinato via su un camion. Poco più tardi, anche don Pietro<br />

e l'ingegnere - tradito quest'ultimo dalla propria ex-amante tossicodipendente<br />

- vengono arrestati. Manfredi muore sotto le atroci torture<br />

inflittegli dai tedeschi per ottenere i nomi dei suoi compagni della Resistenza.<br />

La sorte di Don Pietro è la stessa: il sacerdote viene fucilato davanti<br />

ai bambini della propria parrocchia, tra i quali il figlio ormai<br />

orfano di Pina.<br />

REGIA Roberto Rossellini<br />

SCENEGGIATURA<br />

SOGGETTO<br />

Celeste Negarville, Sergio Amidei, Federico Fellini, Roberto<br />

Rossellini<br />

FOTOGRAFIA Ubaldo Arata<br />

MUSICA Renzo Rossellini<br />

MONTAGGIO Eraldo Da Roma<br />

PRODOTTO DA<br />

Roberto Rossellini, Ferruccio De Martino<br />

Italia 1945<br />

DURATA 98<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Don Pietro Aldo Fabrizi<br />

Pina Anna Magnani<br />

Ing. Manfredi Marcello Pagliero<br />

Akos Tolnay<br />

Alberto Gavazzi<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

H032 006 040 VHS<br />

79


04 – Paisà<br />

ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

Vincitore di un cospicuo numero di premi cinematografici, tra i quali la<br />

coppa Anica alla XI Mostra di Venezia del 1946, "Paisà" è il secondo<br />

episodio della trilogia sulla guerra realizzata da Roberto Rossellini.<br />

Diviso in sei episodi, distinti sotto il profilo narrativo, il film rievoca<br />

l'avanzata delle truppe alleate nella Penisola durante la seconda guerra<br />

mondiale. Nel primo episodio, ambientato in Sicilia, un gruppo di soldati<br />

americani sbarcano in un piccolo paese dal quale i nazisti si stanno<br />

ritirando. Una giovane del luogo, Carmela, li accompagna tra i campi<br />

che i tedeschi hanno minato. Mentre il manipolo avanza, Carmela si<br />

trattiene con un soldato di guardia; il giovane viene ucciso da una fucilata<br />

tedesca ed anche Carmela trova la morte precipitando dagli scogli.<br />

Nel secondo episodio, ambientato a Napoli, un soldato americano insegue<br />

per le strade della città un piccolo sciuscià che gli ha rubato le<br />

scarpe. Trovato il ragazzino, il milite - commosso dalla miseria che<br />

spinge il bambino a rubare - lo lascia andare. Roma è la città dove si<br />

svolge il terzo episodio: qui una prostituta riconosce, in un soldato americano<br />

ubriaco, l'uomo che l'aveva messa incinta poco tempo prima, ma<br />

costui il giorno dopo riparte senza volerla rivedere. Nel quarto episodio<br />

un'infermiera inglese, arrivata a Firenze con l'esercito alleato, cerca<br />

disperatamente l'uomo che ama, capo dei partigiani. Ma la battaglia infuria<br />

e il giovane perde la vita in combattimento. Sull'Appennino Emiliano,<br />

nel quinto episodio, tre cappellani militari, uno cattolico e due di<br />

confessioni diverse, vengono ospitati in un convento; durante la permanenza<br />

dei religiosi, i frati francescani digiunano per convertire i due<br />

eretici. Nel sesto ed ultimo episodio, paracadutisti e partigiani sul delta<br />

del Po combattono strenuamente contro i nemici, ma i nazisti hanno la<br />

meglio ed in molti vengono ferocemente massacrati.<br />

REGIA Roberto Rossellini<br />

SCENEGGIATURA<br />

SOGGETTO<br />

Alfred Hayes, Annalena Limentani, Sergio Amidei, Vasco Pratolini,<br />

Federico Fellini, Marcello Pagliero, Roberto Rossellini<br />

FOTOGRAFIA Otello Martelli<br />

MUSICA Renzo Rossellini<br />

MONTAGGIO Eraldo Da Roma<br />

PRODOTTO DA<br />

Roberto Rossellini<br />

Italia 1946<br />

DURATA 125<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Cigolani Cigolani<br />

Scugnizzo Alfonsino Pasca<br />

Prete Bill Tubbs<br />

Carmela Carmela Sazio<br />

Dale Dale Edmonds<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

K008 005 034 VHS<br />

80


05 – Sciuscià<br />

ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

Terzo capolavoro del Neorealismo, dopo le opere di Roberto Rossellini<br />

"Roma città aperta" e "Paisà", "Sciuscià" affronta il delicato<br />

tema del disagio sociale in una Napoli sconvolta dalla guerra e dall'occupazione<br />

americana. La narrazione si avvicina allo stile documentaristico,<br />

utilizzando attori presi dalla strada e location reali, senza<br />

alcuna ricostruzione fittizia. La pellicola - premiata con un Oscar<br />

nel 1947 - poggia su una solida sceneggiatura firmata da Cesare<br />

Zavattini e Sergio Amidei. Pasquale e Giuseppe sono amici per la<br />

pelle ed in un certo senso "colleghi di lavoro"; per racimolare soldi,<br />

infatti, lavorano come sciuscià - contrazione dell'inglese shoe shine,<br />

vale a dire lustrascarpe - a Napoli. Pasquale è il più grande dei due, è<br />

orfano e vive con i genitori di Giuseppe, i quali a loro volta campano<br />

con i soldi fatti dai ragazzini. I due sventurati sono legati da un intenso<br />

affetto e condividono un sogno: comprare un cavallo bianco<br />

tutto loro. Con un "lavoretto" da poco, che consiste nel consegnare<br />

una partita di coperte ad una veggente, il desiderio si avvera: Pasquale<br />

e Giuseppe comprano il cavallo e si presentano agli altri sciuscià,<br />

nello stupore generale. Purtroppo, la soddisfazione dei due ragazzi<br />

dura poco: una segnalazione della veggente, derubata delle coperte,<br />

porta la polizia ad arrestarli. Ignari d'essere stati coinvolti in un<br />

furto, Pasquale e Giuseppe finiscono davanti al giudice che li invia al<br />

riformatorio. Qui, in attesa di giudizio, entrano in contatto con altri<br />

ragazzi, delinquenti e sbandati. Maltrattati ed incompresi, subiscono<br />

un'esperienza dolorosa che li cambierà, guastando persino la loro<br />

amicizia; la fuga si rivelerà più drammatica della detenzione e sfocerà<br />

infine in tragedia<br />

REGIA Vittorio De Sica<br />

SCENEGGIATURA<br />

SOGGETTO<br />

Adolfo Franci, Cesare Giulio Viola, Sergio Amidei, Cesare<br />

Zavattini<br />

FOTOGRAFIA Anchise Brizzi<br />

MUSICA Alessandro Cicognini<br />

MONTAGGIO Niccolò Lazzari<br />

PRODOTTO DA Paolo W. Tamburella<br />

Italia 1946<br />

DURATA 95<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Giuseppe Rinaldo Smordoni<br />

Pasquale Franco Interlenghi<br />

Raffaele Aniello Mele<br />

Arcangeli Bruno Ortensi<br />

Staffera Emilio Cigoli<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

VHS<br />

81


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

06 - Germania anno zero<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

Vincitore al Festival di Locarno del 1948, "Germania anno zero" fu<br />

dedicato da Rossellini al figlio Romano, morto nell'agosto del 1946.<br />

Ancora una volta Rossellini punta l'attenzione sulla sofferenza umana<br />

e sui perdenti, sconfitti da una vita che li costringe a scontare colpe<br />

altrui; con un finale disperato ed una visione della vita tragica e priva<br />

di speranza, il regista chiude idealmente la trilogia iniziata con<br />

"Roma città aperta" e proseguita con "Paisà". Ambientato a Berlino,<br />

città fantasma, subito dopo la caduta del Terzo Reich, il film narra la<br />

storia di Edmund Koeler, ragazzino di appena tredici anni, che vive<br />

di espedienti. Come molti altri abitanti della città, ridotta ad un<br />

silenzioso cumulo di macerie, Edmund si aggira per i palazzi distrutti<br />

in cerca di cibo per sostentare la famiglia, ammassata in una sola<br />

stanza, di proprietà altrui. Il padre di Edmund è costretto a letto da<br />

una grave invalidità, il fratello ha disertato durante la guerra ed ora è<br />

ricercato come ex nazista, non possiede la tessera alimentare e grava<br />

interamente su Edmund; non potendosi mostrare in giro, sua sorella<br />

invece si guadagna favori e regali prostituendosi con i soldati delle<br />

truppe alleate. Giorno dopo giorno la vita sembra sempre più inutile e<br />

triste, finché Edmund ritrova un suo vecchio maestro di scuola: un<br />

uomo ambiguo e cinico, che gli instilla un'insana teoria secondo la<br />

quale i deboli sono costretti a soccombere per far posto ai più forti.<br />

Edmund, ispirato dalle parole dell'uomo, avvelena il padre. Dopo il<br />

gesto disperato, il maestro si rifiuta di alleviare la sua pena con qualche<br />

parola di conforto; distrutto dal senso di colpa, Edmund vaga per<br />

Berlino, entra in una chiesa, sale sul campanile e - dopo aver visto il<br />

carro funebre che porta il corpo del padre - si getta nel vuoto<br />

REGIA Roberto Rossellini<br />

SCENEGGIATURA<br />

SOGGETTO<br />

Roberto Rossellini, Carlo Lizzani, Max Coplet<br />

FOTOGRAFIA Robert Juillard<br />

MUSICA Renzo Rossellini<br />

MONTAGGIO Eraldo Da Roma<br />

PRODOTTO DA<br />

Salvo D'Angelo, Roberto Rossellini<br />

Francia/Germania/Italia 1947<br />

DURATA 75<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Edmund Koeler Edmund Moeschke<br />

Eva Koeler Ingetraud Hinze<br />

Karl-Heinz Koeler Franz-Otto Krüger<br />

Father Koeleri Ernst Pittschau<br />

Herr Enning Erich Gühne<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

H027 006 040 VHS<br />

82


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

07 – L’onorevole Angelina<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

Moglie di un vicebrigadiere (N. Bruno) e madre di cinque figli,<br />

Angelina (A. Magnani) guida le donne della borgata romana di<br />

Pietralata all'assalto dei magazzini di pasta di un borsanerista e, dopo<br />

l'alluvione, a occupare gli alloggi vuoti di uno speculatore edilizio.<br />

Diventata famosa, è tentata dalla politica, ma, ribellatasi alla forza<br />

pubblica, è arrestata. Esce dal carcere vittoriosa, ma decide di tornare<br />

a fare la casalinga. Scritta con Piero Tellini e Suso Cecchi d'Amico, è<br />

una commedia sagace nel mescolare la gravità dei temi e la comicità<br />

del trattamento cronaca e spettacolo pur con scivolate nella retorica<br />

del patetico e una sottesa ideologia della riconciliazione delle classi<br />

all'insegna dei valori familiari e dei buoni sentimenti. Magnani<br />

strepitosa nelle "baccagliate", premiata con il Nastro d'argento della<br />

migliore attrice del 1947-48. 4 incasso tra i film italiani della stagione<br />

e successo internazionale.<br />

REGIA Zampa Luigi<br />

SCENEGGIATURA Suso Checchi D’amico<br />

SOGGETTO Suso Checchi D’amico, Pietro Tellini, Luigi Zampa<br />

FOTOGRAFIA Mario Craveri<br />

MUSICA Enzo Masetti<br />

MONTAGGIO Eraldo Da Roma<br />

PRODOTTO DA<br />

Lux Film<br />

Italia 1947<br />

DURATA 83<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Angelina Anna Magnani<br />

Carmeja Ave Ninchi<br />

Pasquale Nando Bruno<br />

Callisto Carrone Armando Migliari<br />

Filippo Carrone Franco Zeffirelli<br />

Luigi Ernesto Almirante<br />

Annetta Maria Grazia Francia<br />

Cesira Agnese Dubbini<br />

Signora Carrone Maria Donati<br />

Roberto Vittorio Mottini<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

F.017 006 038 VHS<br />

83


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

08 - Ladri di biciclette<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

Considerato il capolavoro assoluto di De Sica e tratto dal libro omonimo<br />

di Luigi Bartolini, il film fu sceneggiato da Cesare Zavattini. La<br />

Roma del 1948, non mero sfondo della vicenda bensì protagonista<br />

insieme ai personaggi principali, è una città devastata dalla guerra<br />

che ha iniziato appena il lento cammino verso la ricostruzione. Siamo<br />

a Val Melaina, estrema periferia, dove i nuovi fabbricati ospitano<br />

famiglie povere, sulle quali la ferita sociale della guerra si ripercuote<br />

in modo più forte. <strong>Antonio</strong> Ricci, operaio, padre di famiglia, dopo un<br />

lungo periodo di disoccupazione, ottiene finalmente un lavoro come<br />

attacchino municipale. Il lavoro richiede però l'uso della bicicletta<br />

che <strong>Antonio</strong> ha impegnato al Monte di pietà. Riscattata la bicicletta a<br />

prezzo delle lenzuola di casa, dalle quali la moglie Maria si separa<br />

sperando nello stipendio futuro del marito, <strong>Antonio</strong> fa appena in tempo<br />

ad attaccare il manifesto cinematografico di Rita Hayworth allorché<br />

due balordi gli rubano la bicicletta. Inizia così un mesto pellegrinaggio<br />

per Roma, in compagnia del figlioletto Bruno. <strong>Antonio</strong> s' imbatte<br />

nell'indifferenza generale, dapprima al commissariato dove gli<br />

agenti hanno tutt' altri problemi che ritrovare la bicicletta di un poveraccio,<br />

poi a Piazza Vittorio e a Porta Portese, mercati della povera<br />

gente, dove ognuno fa quel che può per arrangiarsi. La ricerca prosegue<br />

per le vie di una città affollata e noncurante, <strong>Antonio</strong> insegue in<br />

chiesa un povero vecchio nella speranza di avere informazioni sulla<br />

sua bicicletta, durante la messa una signora con cappellino bianco e<br />

veletta distribuisce con aria di sufficienza dei buoni per mangiare. Il<br />

girovagare sommesso diventa disperato; <strong>Antonio</strong>, davanti allo stadio,<br />

decide di rubare una bicicletta, ma viene inseguito e catturato dalla<br />

folla. Solo le lacrime di Bruno gli evitano il carcere. <strong>Antonio</strong> e Bruno<br />

si avviano verso la strada della disperazione, la città si fa buia e ostile<br />

REGIA Vittorio De Sica<br />

SCENEGGIATURA<br />

SOGGETTO<br />

Adolfo Franci, Gerardo Guerrieri, Oreste Biancoli, Cesare Zavattini,<br />

Suso Cecchi D'Amico, Vittorio De Sica<br />

FOTOGRAFIA Carlo Montuori<br />

MUSICA Alessandro Cicognini<br />

MONTAGGIO Eraldo Da Roma<br />

PRODOTTO DA<br />

Vittorio De Sica<br />

Italia 1948<br />

DURATA 92<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Bruno Ricci Enzo Statola<br />

<strong>Antonio</strong> Ricci Lamberto Maggiorani<br />

Maria Ricci Pianella Carell<br />

Mendicante Carlo Jachino<br />

Attacchino Giulio Chiari<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

F007 006 038 VHS<br />

84


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

09 - La terra trema<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

REGIA Luchino Visconti<br />

SCENEGGIATURA<br />

SOGGETTO<br />

Luchino Visconti<br />

FOTOGRAFIA G. R. Aldo<br />

MUSICA Luchino Visconti, Willy Ferrero<br />

MONTAGGIO Mario Serandrei<br />

PRODOTTO DA<br />

Salvo D'Angelo<br />

Italia 1948<br />

DURATA 160<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

Un giovane pescatore di Aci Trezza, 'Ntoni Velastro, lavora ogni<br />

giorno per alcuni grossisti che gestiscono con prepotenza l'attività<br />

della manodopera. Vessato dalle loro ingiustizie, 'Ntoni insorge<br />

insieme ad altri pescatori, con i quali viene arrestato dopo aver provocato<br />

dei disordini. Ma sono gli stessi grossisti, costretti dalla mancanza<br />

di personale con cui sostituire i rivoltosi, ad occuparsi del loro<br />

immediato rilascio. Tuttavia 'Ntoni, che non è disposto a fare passi<br />

indietro, convince la famiglia ad ipotecare la casa per mettersi in<br />

proprio. Aiutati da una propizia pesca di acciughe, i Velastro vedono<br />

spalancarsi le porte di un radioso futuro, fino al giorno in cui perdono<br />

la barca durante una tempesta. Da quel momento, il loro destino<br />

viene travolto da un'inarrestabile catena di disgrazie, cui si accompagna<br />

la perdita della casa per il mancato pagamento dell'ipoteca. La<br />

famiglia, lasciata a se stessa, si avvia ad un repentino declino: 'Ntoni,<br />

abbandonato dalla sua ragazza, cerca sollievo nelle osterie; il nonno<br />

muore; il fratello diventa contrabbandiere; delle due sorelle, la maggiore<br />

vede finire il proprio matrimonio e la minore viene compromessa<br />

dalle fastidiose attenzioni di un maresciallo della finanza. Rassegnato<br />

ed incapace di trovare una via d'uscita, il giovane pescatore è<br />

costretto a tornare dai grossisti, accettando di lavorare alle loro inique<br />

condizioni. Tuttavia, egli ha la consapevolezza che quel gesto di ribellione<br />

è destinato a sopravvivere sempre, nella sua coscienza ed in<br />

quella dei compagni.<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

‘Ntoni <strong>Antonio</strong> Arcidiacono<br />

Cola Giuseppe Arcidiacono<br />

Il nonno Giovanni Greco<br />

Mara Nelluccia Giammona<br />

Lucia Agnese Giammona<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

H038 006 041 VHS<br />

85


10 - Riso amaro<br />

ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

In una affollata stazione, da cui partono i treni che portano le mondine alle<br />

risaie, Walter Granata tenta di sfuggire alla polizia. Alcuni agenti in<br />

borghese gli danno la caccia per il furto di una preziosa collana, del valore<br />

di cinque milioni di lire. Walter, giunto in stazione per incontrare Francesca,<br />

la sua ragazza, decide di sviare le ricerche, affidandole la collana e<br />

rinviando il loro incontro. Francesca avrà il compito di confondersi tra le<br />

mondine, mentre Walter rimarrà nascosto per incontrarla più tardi e darsi<br />

insieme alla fuga. Silvana, una delle mondine con sui Francesca condivide<br />

il viaggio, ha notato Walter per il suo fascino, ma ha pure il sospetto che i<br />

due stiano nascondendo qualcosa. Incuriosita dalla situazione e allettata<br />

all'idea di conoscere Walter, Silvana cerca di conquistare la fiducia di Francesca<br />

e la presenta ad un "caporale" come "clandestina". Nelle risaie, le ragazze<br />

clandestine sono lavoratrici prive di contratto, che arrivano senza ingaggio<br />

sperando comunque di trovare un posto e ottenere un salario. Sembra,<br />

però, che per Francesca sia difficile ottenere un lavoro; la stessa Silvana,<br />

che possiede un regolare ingaggio, la addita come crumira di fronte<br />

alle compagne per tenerla occupata e rubarle la collana. Quando Francesca<br />

scopre il furto, è disperata. Nel frattempo le mondine si schierano insieme<br />

alle crumire di fronte ai padroni per chiedere a gran voce di assumere tutte<br />

le ragazze, che hanno bisogno di un lavoro. Silvana decide, intanto, di restituire<br />

il gioiello a Francesca, e lo fa sotto gli occhi di Marco, militare in<br />

servizio nella zona.<br />

Le due donne si rappacificano e Francesca racconta la sua storia a Silvana. Quest'ultima rimane sempre più affascinata da<br />

Walter. Quando l'uomo arriva alle risaie per incontrare Francesca, nota subito Silvana. Si scontra con Marco che la<br />

corteggia senza alcun risultato, ne fa la sua amante e complice, mentre progetta con alcuni "caporali" di impadronirsi del<br />

riso rinchiuso nel magazzino. Walter pensa di approfittare dell'ultimo giorno di lavoro e della confusione generata dalla<br />

fe-sta di saluto. Il piano sembra funzionare; Walter, inoltre, provoca l'allagamento della risaia per accrescere la confusione,<br />

ma alla notizia che l'acqua sta distruggendo il riso, tutti corrono per salvarlo. Walter tenta la fuga, ma Marco lo<br />

ferma. I due si battono; al loro fianco, Francesca e Silvana partecipano alla colluttazione. Silvana, delusa dal comportamento<br />

di Walter, di cui è innamorata, lo uccide. Poco dopo, ella sale su un'alta impalcatura e si getta nel vuoto.<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

REGIA De Santis Giuseppe<br />

SCENEGGIATURA Carlo Lizzani, Carlo Musso, Ivo Perilli, Gianni Puccini<br />

SOGGETTO Corrado Alvaro, Giuseppe De Santis<br />

FOTOGRAFIA Otello Martelli<br />

MUSICA Goffredo Petrassi<br />

MONTAGGIO Gabriele Varriale<br />

PRODOTTO DA<br />

Dino de Laurentis<br />

Italia 1949<br />

DURATA 108<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Walter Granata Vittorio Gasmann<br />

Francesca Doris Dowling<br />

Silvana Melega Silvana Mangano<br />

Marco Galli Raf Vallone<br />

Checco Rissone Aristide<br />

Giulia Maria Capuzzo<br />

Beppe Nico Pepe<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

----- 001 006 DVD<br />

86


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

11 – Stromboli, terra di Dio<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

Karin, giovane lituana, che la guerra ha sbalestrato lungi dal suo<br />

paese, mentre si trova in un campo di concentramento italiano,<br />

conosce <strong>Antonio</strong>, pescatore dell'isola di Stromboli. <strong>Antonio</strong> s'innamora<br />

pazzamente della bella straniera, la quale per sottrarsi alla<br />

prigionia, acconsente a sposarlo. Ma a Stromboli Karin non trova il<br />

paradiso descrittole da <strong>Antonio</strong>: l'isola è un ammasso di pietre vulcaniche,<br />

gli abitanti sono primitivi, il loro nido è una bicocca desolata<br />

e spoglia. Alla ribellione dei primi giorni subentra uno stato d'animo<br />

più equilibrato: Karin cerca d'avvicinarsi maggiormente al marito,<br />

collabora con lui nel riassettare la casa, cerca di far amicizia con gli<br />

isolani, ma trova incomprensione ed ostilità. Mentre la sua vita<br />

trascorre agitata tra delusioni e speranze si manifestano in lei i segni<br />

premonitori della non lontana maternità. A questo punto il vulcano<br />

entra in una fase d'attività, cagionando distruzioni e spavento. Karin<br />

decide di fuggire dal marito e dall'isola, passando attraverso il<br />

vulcano; ma, sopraffatta dalla stanchezza e soffocata dalle esalazioni<br />

sulfuree, dopo una crisi di disperazione, s'addormenta. Al suo<br />

risveglio, il pensiero della vita, che porta in grembo, la spinge a<br />

rivolgersi al Dio misericordioso, ch'ella invoca piangendo.<br />

REGIA Roberto Rossellini<br />

SCENEGGIATURA<br />

Sergio Amidei, Giampaolo Callegari, Renzo Cesana, Art Cohn,<br />

Roberto Rossellini<br />

SOGGETTO Roberto Rossellini<br />

FOTOGRAFIA Otello Martelli<br />

MUSICA Renzo Rossellini<br />

MONTAGGIO Roland Gross<br />

PRODOTTO DA<br />

Berit (Bergman-Rossellini Italia), R.K.O. (Usa)<br />

Italia 1950<br />

DURATA 107<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Ingrid Bergman<br />

Karin Bjorsen<br />

Il parroco Renzo Cesana<br />

Roberto Onorati<br />

Guardiano del faro Mario Sponza<br />

Mario Vitale<br />

<strong>Antonio</strong> Mastrostefano<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

NO<br />

87


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

12 - Miracolo a Milano<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

REGIA Vittorio De Sica<br />

SCENEGGIATURA Cesare Zavattini<br />

SOGGETTO<br />

FOTOGRAFIA<br />

MUSICA<br />

MONTAGGIO<br />

PRODOTTO DA<br />

Italia - 1951<br />

DURATA 97<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

Ispirato a Totò il buono (1940) di Cesare Zavattini, è una favola<br />

sociale sugli "angeli matti e poveri" delle baracche ai margini di<br />

Milano che, minacciati di sfratto da un avido industriale, organizzano<br />

un'azione di resistenza, animata dall'orfano Totò, che solo un miracolo<br />

fa trionfare. Tentativo, parzialmente riuscito, di uscire dalla cronaca<br />

neorealistica per la via di un surrealismo grottesco e di una tenera<br />

buffoneria, minacciati da un poeticismo fumoso. Palma d'oro al<br />

Festival di Cannes<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Lolotta Emma Gramatica<br />

Toto Francesco Golisano<br />

Rappi Paolo Stoppa<br />

Il ricco Guglielmo Barnabò<br />

Edvige Brunella Bovo<br />

Signora Marta Altezzosa Anna Carena<br />

Alfredo Arturo Bragaglia<br />

Gaetano Erminio Spalla<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

F006 006 038 VHS<br />

88


13 – Bellissima<br />

ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

Negli studi di Cinecittà, il regista Alessandro Blasetti sta facendo<br />

dei provini allo scopo di selezionare una bambina per il suo nuovo<br />

film. Tra la moltitudine di madri che accorrono con le piccole figlie<br />

c'è anche Maddalena Cecconi, una popolana di Roma che sogna di<br />

vedere la sua bimba, Maria, accolta nell'olimpo delle grandi stelle.<br />

Contro la volontà del marito Spartaco, Maddalena sfrutta ogni<br />

opportunità per realizzare dette aspirazioni: iscrive Maria ad un corso<br />

di ballo e recitazione, le paga fotografo e parrucchiere, le fa<br />

realizzare vestitini su misura. Nella sua smania, inoltre, la donna si<br />

affida incautamente ad uno speculatore senza scrupoli, Alberto<br />

Annovazzi, che le assicura di avere le conoscenze necessarie per far<br />

ammettere Maria ai provini. Maddalena sceglie di fidarsi,<br />

consegnando al manigoldo ogni centesimo dei suoi risparmi; questi<br />

mostrerà ben presto il suo vero volto, ma troppo tardi perché<br />

Maddalena possa recuperare il proprio denaro. Eppure, nonostante la<br />

truffa, Maria viene ammessa al provino e Maddalena, per assistere<br />

all'esibizione della sua bambina, accede di nascosto alla sala di<br />

proiezione. Ma lo spettacolo straziante della figlia in lacrime,<br />

impaurita mentre la giuria ride di lei, le apre gli occhi. Alla fine, pur<br />

se la bambina viene accettata, Maddalena ritrova il proprio orgoglio e<br />

rinuncia a consegnare l'innocenza di Maria ad un mondo che non<br />

conosce codici morali; indignata, rifiuta di firmare il contratto, con il<br />

solo desiderio di tornare a casa e riconciliarsi con il marito.<br />

REGIA Luchino Visconti<br />

SCENEGGIATURA Suso Cecchi d'Amico, Francesco Rosi, Luchino Visconti<br />

SOGGETTO Cesare Zavattini<br />

FOTOGRAFIA Piero Portalupi, Paul Ronald<br />

MUSICA Franco Mannino<br />

MONTAGGIO Mario Serandrei<br />

PRODOTTO DA<br />

Salvo D'Angelo<br />

Italia 1951<br />

DURATA 113<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Maddalena Cecconi Anna Magnani<br />

Alberto Annovazzi Walter Chiari<br />

Maria Cecconi Tina Apicella<br />

Spartaco Cecconi Gastone Renzelli<br />

Alessandro Blasetti<br />

Tecla Scarano<br />

Lola Braccini<br />

Arturo Bragaglia<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

K.038 005 035 VHS<br />

89


14 - Umberto D.<br />

ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

Sceneggiato da De Sica e Zavattini e prodotto da un riluttante Angelo<br />

Rizzoli, che avrebbe preferito realizzare "Don Camillo", "Umberto<br />

D". è un progetto nel quale Vittorio De Sica credette molto,<br />

nonostante le numerose critiche - che videro coinvolto anche l'allora<br />

sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giulio Andreotti - alle<br />

quali andò incontro all'uscita della pellicola. Vi si narra la storia di un<br />

pensionato ministeriale, che vive in una camera d'affitto ed ha come<br />

unico amico il cane Flik. Solo con le sue difficoltà economiche,<br />

Umberto Domenico Ferrari è un uomo dal carattere schivo che non<br />

rinuncia alla propria dignità. Sempre più isolato, Umberto si ritrae in<br />

se stesso, confidandosi e raccogliendo le confidenze della servetta<br />

Maria. Nell'impossibilità di far fronte alle spese per vivere, Umberto<br />

si fa ricoverare in ospedale per avere un letto ed un pasto; lo sfratto<br />

ricevuto dalla sua padrona di casa lo getta nello sconforto assoluto.<br />

Non vedendo alcuna altra soluzione, Umberto decide di suicidarsi<br />

gettandosi sotto un treno; ma Flik si divincola e scappa. Senza il suo<br />

unico affetto Umberto non può morire, così insegue il cane. Lo<br />

ritroverà, compagno di sventura, per portarlo con sé nel difficile<br />

tentativo di sopravvivere.<br />

REGIA Vittorio De Sica<br />

SCENEGGIATURA Cesare Zavattini<br />

SOGGETTO Cesare Zavattini<br />

FOTOGRAFIA Aldo Graziati<br />

MUSICA Alessandro Cicognini<br />

MONTAGGIO Eraldo Da Roma<br />

PRODOTTO DA<br />

Giuseppe Amato, Vittorio De Sica, Angelo Rizzoli<br />

Italia 1952<br />

DURATA 89’<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Umberto Domenico Ferrari Carlo Battisti<br />

Maria Maria-Pia Casilio<br />

Padrona di casa Lina Gennari<br />

Ileana Simova<br />

Elena Rea<br />

Memmo Carotenuto<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

---- 001 006 DVD<br />

90


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

15 - Rocco e i suoi fratelli<br />

Rosaria Parondi è vedova e proviene dalla Lucania. Uno dei suoi cinque<br />

figli, Vincenzo, vive a Milano, una città che sembra offrire opportunità<br />

di lavoro ed il miraggio di una nuova vita. Vincenzo ha un impiego<br />

temporaneo, eppure Rosaria è persuasa che il trasferimento nella<br />

metropoli lombarda possa garantire un'esistenza migliore a tutta la famiglia.<br />

Giunti in città, l'unica sistemazione possibile è nella squallida<br />

e povera zona di Lambrate, dove Rosaria prende in affitto un seminterrato.<br />

I ragazzi cercano tutti un'occupazione e conoscono Nadia, una<br />

prostituta. Rocco lavora in una lavanderia, Ciro fa l'operaio specializzato,<br />

Luca, il più piccolo, trova lavoretti saltuari, mentre Simone, il<br />

maggiore dei cinque, pensa di fare una brillante carriera come pugile.<br />

E' Nadia che lo ha convinto a farsi allenare da un ex campione di pugilato,<br />

col miraggio d'una brillante carriera dai facili e cospicui guadagni.<br />

Tra i due nasce una relazione. La vita a Milano si dimostra più<br />

dura del previsto. Vincenzo ha una storia d'amore con una ragazza del<br />

posto e intende sposarsi, ma la madre Rosaria pregiudica il suo matrimonio,<br />

costringendolo ad occuparsi della sua famiglia. Nel frattempo<br />

Nadia lascia Vincenzo e, poco dopo, viene arrestata. L'uomo sta prendendo<br />

una brutta strada, il brillante inizio della sua carriera di pugile<br />

sfuma in breve tempo ed egli entra in un giro di piccola delinquenza.<br />

Rocco, il più ingenuo della famiglia, sempre pronto a tenere uniti i fratelli<br />

e la madre, parte per il servizio militare in una piccola città di provincia.<br />

Qui incontra Nadia: i due iniziano a frequentarsi e tra loro nasce l'amore. Rientrati a Milano, entrambi vogliono<br />

iniziare una nuova vita insieme, ma Simone, roso dalla gelosia, picchia il fratello e violenta Nadia. Rocco, sentendosi<br />

in colpa verso il fratello, rompe con Nadia e fa in modo che si rimettano insieme. Gli imbrogli di Simone hanno<br />

mandato in rovina la famiglia, l'uomo ha derubato il suo procuratore sportivo, il quale in cambio vuole che Rocco firmi<br />

un contratto e diventi pugile per lui. Rocco, per il bene della famiglia, accetta, pur odiando la boxe. I fratelli<br />

continuano la loro misera vita milanese, Luca è l'unico che ancora spera in un ritorno al paese. Nadia è tornata con<br />

Simone, ma l'uomo è violento e, in una lite, la uccide. Simone confessa l'omicidio ai fratelli. Ciro vuole denunciarlo,<br />

ma Rocco e gli altri sono decisi a proteggerlo: tutto è ormai inutile, alla fine la polizia lo arresta.<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

REGIA Luchino Visconti<br />

SCENEGGIATURA<br />

Suso Cecchi d'Amico, Pasquale Festa Campoanile, Massi-mo<br />

Franciosa, Enrico Medioli, Vasco Pratolini, Luchino Visconti<br />

SOGGETTO Giovanni Testori<br />

FOTOGRAFIA Giuseppe Rotunno<br />

MUSICA Nino Rota<br />

MONTAGGIO Mario Serandrei<br />

PRODOTTO DA<br />

Titanus, Les Films Marceau<br />

Francia/Italia 1960<br />

DURATA 113<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Rocco Parondi Alain Delon<br />

Simone Parondi Renato Salvatori<br />

Nadia Annie Girardot<br />

Rosaria Parondi Katina Panixou<br />

Vincenzo Parondi Spiros Focas<br />

Ivo Corrado Pani<br />

Ginetta Giannelli Claudia Cardinale<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

----- NO<br />

91


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

16 - Il Gattopardo<br />

E' il 1860, nella casa del principe don Fabrizio Salina si sta recitando<br />

il rosario. La notizia dello sbarco dei garibaldini a Marsala irrompe<br />

nella villa. Appena saputo l'accaduto, Tancredi, nipote del principe,<br />

decide di arruolarsi tra i volontari in rivolta, con lo scopo di controllare<br />

la situazione. Don Fabrizio condivide l'idea del nipote. Egli<br />

crede che in questo modo la situazione politica e la posizione della<br />

sua famiglia rimarrà stabile. Padre Pirrone, un prete gesuita, molto<br />

vicino alla famiglia Salina, sconsiglia il giovane e lo mette in allarme<br />

sui pericoli di una simile scelta. Nel frattempo don Fabrizio, deciso a<br />

continuare normalmente la vita della sua famiglia, si reca, come ogni<br />

anno, in villeggiatura nel feudo di Donnafugata. Qui si sta svolgendo<br />

il plebiscito per l'annessione allo stato Sabaudo. Don Fabrizio si<br />

schiera a favore di quest'annessione e lo fa apertamente. La votazione<br />

sembra favorire il nuovo corso politico, all'interno del quale ha un<br />

ruolo importante il rozzo Calogero Sedara, sindaco arricchitosi con<br />

traffici poco chiari. Mentre Padre Pirrone confida a don Fabrizio che<br />

sua figlia Concetta è innamorata di Tancredi, il principe preferisce<br />

assecondare l'unione tra suo nipote ed Angelica, figlia di Sedara.<br />

Tancredi, dal canto suo, si è subito innamorato della bella e sensuale<br />

ragazza, intervenuta ad un banchetto nel quale era ospite della<br />

famiglia Salina con il padre. Il giovane è, in fondo, uno spiantato, e<br />

questo matrimonio fa di lui un aristocratico con possibilità d'una<br />

carriera politica nel nuovo assetto dello stato. Sia Tancredi sia Sedara<br />

sono convinti che l'ascesa della nuova borghesia costituisca un fatto positivo e che i cambiamenti per la Sicilia avranno<br />

effetti non dannosi. L'esercito regolare ha, inoltre, giustiziato i garibaldini ribelli,dando speranze per il preservamento<br />

dell'annessione allo stato sabaudo. Don Fabrizio non è così fiducioso nel futuro. Il funzionario piemontese<br />

Chevalley gli propone un seggio da senatore, ma egli declina l'offerta. Durante un ballo a Palermo, don Fabrizio sente<br />

che la sua morte è vicina, così come la fine del suo mondo<br />

CAST TECNICO ARTISTICO<br />

REGIA Luchino Visconti<br />

SCENEGGIATURA<br />

Suso Cecchi d'Amico, Pasquale Festa Campoanile, Massi-mo<br />

Franciosa, Enrico Medioli, Enrico Medioli, Luchino Visconti<br />

SOGGETTO Giuseppe Tomasi di Lampedusa<br />

FOTOGRAFIA Giuseppe Rotunno<br />

MUSICA Nino Rota<br />

MONTAGGIO Mario Serandrei<br />

PRODOTTO DA<br />

Titanus, S.N. Pathé Cinema, S.C.G<br />

Francia/Italia 1963<br />

DURATA 205<br />

PERSONAGGI E INTERPRETI<br />

PERSONAGGI INTERPRETI<br />

Don Fabrizio, Principe di Salina Burt Lancaster<br />

Tancredi, nipote del Principe Alain Delon<br />

Angelica Sedara Claudia Cardinale<br />

Maria Stella, moglie del Principe Rina Morelli<br />

Don Calogero Sedara Paolo Stoppa<br />

Padre Pirrone Romolo Valli<br />

VIDEOTECA<br />

codice vetrina scaffale formato a disposizione note<br />

F003 006 038 VHS<br />

92


ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

I REGISTI<br />

DEL<br />

<strong>NEOREALISMO</strong><br />

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ISTITUTO TECNICO COMM. IGEA – “<strong>Antonio</strong> GRAMSCI” – Albano Laziale (RM)<br />

01 LUCHINO VISCONTI<br />

BIOGRAFIA Luchino Visconti nasce a Milano nel 1906. Da bambino frequenta il palco della<br />

Scala di cui i suoi avi sono stati soci fondatori e dai genitori eredita la passione<br />

per la musica, il teatro e la letteratura.<br />

Da ragazzo legge assiduamente i classici del romanzo europeo e studia il<br />

violoncello.<br />

Nel 1926 si arruola come soldato semplice e negli anni successivi viaggia<br />

spesso. A Parigi conosce Kurt Weill, Jean Cocteau, Coco Chanel, è assistente<br />

e costumista di Jean Renoir nel film Une partie de campagne. A contatto con<br />

gli ambienti francesi vicini al Fronte Popolare e al Partito comunista Visconti<br />

compie delle scelte ideologiche fondamentali. Dopo la morte della madre,<br />

avvenuta nel 1939, abbandona Milano e si trasferisce a Roma. Comincia a<br />

frequentare i giovani artisti della capitale, che si raccolgono intorno alla rivista<br />

Cinema, la quale nel 1941 pubblica il suo primo celebre articolo intitolato<br />

"Cadaveri". Collabora alla realizzazione di diversi prodotti cinematografici e<br />

finalmente, tra il 1942 e il 1943 gira Ossessione, uno dei primissimi esempi del<br />

nascente neorealismo, tratto dal racconto di James Mallahan Cain "Il postino<br />

suona sempre due volte". Partecipa attivamente alla resistenza nei gruppi<br />

comunisti e per questo sarà arrestato e torturato. Dopo la liberazione di Roma,<br />

costretto ad archiviare per ragioni economiche alcuni progetti cinematografici si<br />

dedica alla regia teatrale, rinnovando completamente la scelta dei repertori e i<br />

criteri di regia. Sono diverse le rappresentazioni teatrali da lui dirette in questo<br />

periodo.<br />

Nel 1947 si reca in Sicilia per la realizzazione di un documentario sui pescatori<br />

di Aci Trezza. Nasce "La terra trema" liberamente ispirato ai Malavoglia di<br />

Verga, girato con pochissimi mezzi tecnici e senza sceneggiatura prestabilita.<br />

Nell'autunno 1948, viene presentato senza successo a Venezia suscitando<br />

critiche contrastanti.<br />

Fra il 1948 e il 1951 si dedica ancora al teatro con capolavori come "Un tram<br />

che si chiama desiderio", "Oreste", "Morte di un commesso viaggiatore", "Il<br />

seduttore" e gira Bellissima con Anna Magnani.<br />

Nel 1954 è la volta di un altro capolavoro, Senso, omaggio a Verdi e revisione<br />

critica del Risorgimento. Il film suscitò critiche anche dagli abituali estimatori e<br />

polemiche per il mancato Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia.<br />

Nel dicembre del 1954, ha luogo la prima de La Vestale, con Maria Callas.<br />

Seguiranno La Sonnambula, la Traviata, Anna Bolena e Ifigenia in Tauride. Il<br />

sodalizio con la Callas sarà tra i momenti più memorabili e geniali che Visconti<br />

donerà al teatro lirico.<br />

Nel 1957 gira Le notti bianche vincendo il Leone d'argento, nel 1960 Rocco e<br />

i suoi fratelli che fu censurato, Visconti accusato di oscenità. Gira l'episodio Il<br />

lavoro di Boccaccio '70 e nel 1963 Il gattopardo (Palma d'Oro a Cannes).<br />

Seguono Vaghe stelle dell'Orsa, un episodio di Le streghe, Lo straniero.<br />

Tra il 1969 e 1973 realizza il progetto di una trilogia germanica con La caduta<br />

degli dei, Morte a Venezia e Ludwig che oltre a ribadire il suo interesse per<br />

l'Ottocento, costituisce una specie di testamento spirituale. Durante la<br />

lavorazione di Ludwig, il regista viene colto da ictus. Rimane paralizzato alla<br />

gamba e al braccio sinistri. Gruppo di famiglia in un interno del 1974 e<br />

L'innocente del 1976 saranno i suoi ultimi lavori.<br />

Muore il 17 marzo del 1976<br />

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OPERE CINEMATOGRAFICHE:<br />

N° titolo<br />

Anno<br />

di<br />

prod.<br />

Tipo regista durata Cod.<br />

01 Ossessione 1943 135 m<br />

02 Giorni di gloria 1945<br />

03 La terra trema 1948 VHS 160 m H038<br />

04 Bellissima 1951 VHS 113 m<br />

05 Un fatto di cronaca 1951<br />

06 Anna Magnani 1953<br />

07 Senso 1954<br />

08 Le notti bianche 1957<br />

09 Rocco e i suoi fratelli 1960 113 m<br />

10 Il lavoro 1962<br />

11 Il Gattopardo 1963 VHS 205 m F003<br />

12 Vaghe stelle dell’Orsa 1965<br />

13 La strega bruciata viva 1967<br />

14 Lo straniero 1967<br />

15 La caduta degli dei 1969<br />

16 Alla ricerca di Tadzio 1970<br />

17 Morte a Venezia 1971<br />

18 Ludwig 1973<br />

Gruppo di famiglia in<br />

19<br />

un interno<br />

1974<br />

20 L’innocente 1976<br />

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02 ROBERTO ROSSELLINI<br />

BIOGRAFIA<br />

Nato a Roma nel 1906, egli si avvicina al cinema verso la metà degli<br />

anni '30, realizzando sia come montatore che come regista alcuni<br />

cortometraggi per l'<strong>Istituto</strong> Luce, da "Daphne" (1936) a "Fantasia<br />

sottomarina" (1939) sino a "Il ruscello di Ripasottile" (1941).<br />

Nel '38 collabora alla sceneggiatura di "Luciano Serra pilota" di<br />

Goffredo Alessandrini e nel '41 esordisce dietro la macchina da<br />

presa con "La nave bianca", segmento iniziale di una "trilogia della<br />

guerra" più tardi completata da "Un pilota ritorna" (1942) e da<br />

"L'uomo dalla croce" (1943).<br />

Il 1945 è l'anno di "Roma città aperta", capo d'opera ed apripista<br />

del neorealismo italiano, seguito da altri due film d'eccezione quali<br />

"Paisà" (1946) e "Germania anno zero" (1947).<br />

Dipoi, con "Stromboli terra di Dio" (1949) egli dà il via al suo<br />

sodalizio artistico con Ingrid Bergman, segnato da tematiche legate<br />

alla solitudine dell'individuo e da un linguaggio cinematografico<br />

innovatore e seminale; "Europa '51" (1951) e "Viaggio in Italia"<br />

(1954) saranno - successivamente allo splendido interludio di<br />

"Francesco, giullare di Dio" (1950) - le tappe successive di questo<br />

periglioso, affascinante percorso.<br />

Dopo un periodo di crisi artistica e personale, caratterizzato da un<br />

lungo viaggio in India destinato a produrre materiale per l'omonimo<br />

film documentario del '58, egli dirigerà opere formalmente<br />

impeccabili ma non più che corrette quali "Il generale Della Rovere"<br />

(1959), "Era notte a Roma" (1960) e "Viva l'Italia" (1961), prima di<br />

dedicarsi interamente alla regia di lavori a carattere divulgativo e<br />

didattico pensati per la televisione: da "Età del ferro" (1964) agli<br />

"Atti degli Apostoli" (1968) fino a "Socrate" (1970), i prodotti di<br />

questa fase risultano però tutti di modesto interesse artistico, con<br />

l'eccezione de "La presa del potere di Luigi XIV" (1967), realizzato<br />

per la TV francese ed all'altezza delle cose sue migliori.<br />

Tornato alfine al cinema, licenzia con "Anno uno" (1974) ed "Il<br />

Messia" (1976) due pellicole che affrontano tematiche già visitate in<br />

passato con ben altra forza e convinzione: poco dopo, il 3 giugno<br />

1977, egli si spegne a Roma.<br />

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OPERE CINEMATOGRAFICHE<br />

N° titolo<br />

Anno<br />

di<br />

prod.<br />

Tipo regista durata Cod.<br />

01 Un pilota ritorna 1942<br />

02 Desiderio 1943<br />

03 Roma Città Aperta 1945 VHS 98 m H032<br />

04 Paisà 1946 VHS 125 m K008<br />

05 Germania Anno Zero 1947 VHS 75 m H027<br />

06 L’amore 1948<br />

07 Stromboli, terra di Dio 1949 107 m<br />

Francesco, Giullare di<br />

08 1950<br />

Dio<br />

09 L’invidia 1952<br />

10 Europa ‘51 1952<br />

11 Viaggio in Italia 1953<br />

12 Ingrid Bergman 1953 Epis. Da “siamo donne”<br />

Giovanna d’Arco al<br />

13 1954<br />

rogo<br />

14 La paura 1954<br />

15 L’India vista da R.R. 1958<br />

16 Era notte a Roma 1960<br />

La prise de pouvoir par<br />

17 1966<br />

Louis XIV<br />

18 Gli Atti degli apostoli 1961<br />

19 Socrate 1970<br />

20 Pascal 1971<br />

21 Agostino di Ippona 1972<br />

22 L’età di Cosimo 1973<br />

23 Cartesius 1974<br />

24 Anno uno 1974<br />

25 Messia 1975<br />

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03 VITTORIO DE SICA<br />

BIOGRAFIA<br />

Data e luogo di nascita: 7 Luglio 1901, Sora, Frosinone, Italia<br />

Data e luogo di morte: 13 Novembre 1974, Ile-de-France, Francia<br />

La vicenda cinematografica di De Sica si intreccia strettamente con<br />

quella dello scrittore e sceneggiatore Cesare Zavattini, con il quale il regista<br />

ha firmato dei grandi capolavori. De Sica iniziò la sua carriera cinematografica<br />

come attore, divenendo uno dei volti principali della stagione<br />

dei La vicenda cinematografica di De Sica si intreccia strettamente<br />

con quella dello scrittore e “telefoni bianchi” e della commedia<br />

sentimentale. La coppia De Sica-Zavattini si incontra nel 1943 per<br />

realizzare I bambini ci guardano, che narra il dramma di un bambino<br />

all'interno di una famiglia piccolo-borghese divisa, e che in parte già anticipa<br />

alcune tematiche del Neorealismo. Appena tre anni più tardi,<br />

infatti, Sciuscià (1946) ritorna nell'universo infantile ma stavolta il<br />

dramma psicologico ha trovato un contesto sociale, l'indagine interiore<br />

ha assunto i toni del-la denuncia civile, la piccola borghesia degli anni<br />

fascisti mostra i tratti della disperazione dell'immediato dopoguerra.<br />

Attraverso gli occhi di due piccoli lustrascarpe che la miseria e la guerra<br />

hanno costretto ad affrontare il problema della sopravvivenza, De Sica<br />

entra all'interno di un istituto di pena minorile, per mostrare con realismo<br />

e distacco le condizioni disumane in cui vengono tenuti i piccoli inquisiti,<br />

e mettere a nudo le dubbie funzioni rieducative di tutta l'istituzione<br />

carceraria. Dietro l'epilogo tragico però, inserisce un elemento di<br />

speranza. Ladri di biciclette (1948), il maggiore dei film di questa<br />

stagione, scendeva talmen-te a fondo nella denuncia della situazione<br />

sociale da sollevare non po-che polemiche, soprattutto in ambienti<br />

governativi, sull'opportunità di mostrare all'estero l'immagine dei<br />

problemi e delle difficoltà italiane. Forse per evitare tali polemiche<br />

Miracolo a Milano (1951) adotta uno stile favolistico, pur non<br />

rinunciando alla denuncia della povertà e dell'ingiustizia sociale nella<br />

città più avanzata d'Italia. Ma il piglio neo-realistico di De Sica e<br />

Zavattini tornerà di nuovo e con maggior rigore in Umberto D. (1952).<br />

Questo film, infatti, presenta una narrazione ele-mentare, costruita<br />

attraverso l'osservazione delle persone nei momenti di vita quotidiana<br />

che meglio esprimono la miseria. E attraverso questo procedimento, la<br />

coppia riesce a concretizzare la teoria del “pedina-mento zavattiniano”,<br />

che attraverso l'osservazione di persone comuni mirava alla scoperta di<br />

una realtà che fosse degna di essere rappre-sentata, in quanto<br />

sintomatica di problematiche generali. Ecco allora un pensionato, con le<br />

difficoltà che incontra ogni giorno per cercare di vi-vere con poche<br />

migliaia di lire al mese, e con le umiliazioni che la sua situazione<br />

comporta. L'emarginazione e la solitudine in cui egli viene lentamente<br />

sospinto sono un dato che colpisce un'intera categoria sociale. Il film<br />

raggiunge una essenzialità che in futuro - anche a causa del suo<br />

insuccesso economico - De Sica e Zavattini non sapranno più<br />

raggiungere. La loro storia successiva è, per lo più, storia di<br />

compromessi: prima con le esigenze di spettacolarità che richiedeva la<br />

produzione americana (Stazione Termini, 1953), poi con la riproposizione<br />

stanca di contenuti neorealisti in forme incapaci di contenerli (Il<br />

tetto, 1956, Il giudizio universale, 1961), infine con il richiamo del<br />

successo commerciale (I sequestrati di Altona, 1962, Il boom, 1963,<br />

Ieri, oggi, domani, 1963, Matrimonio all'italiana, 1964, Un mondo<br />

nuovo, 1965, Caccia alla volpe, 1966, I girasoli, 1970). Le uniche<br />

eccezioni, tra loro lontane, sono costituite da due trasposizioni sullo<br />

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OPERE CINEMATOGRAFICHE<br />

N° titolo<br />

schermo di testi letterari: L'oro di Napoli (1954), dove l'ironia di Giuseppe<br />

Marotta serve per disegnare tanti piccoli e vivaci bozzetti che<br />

esprimono compiutamente la cultura e la saggezza della città parteneopea,<br />

e Il giardino dei Finzi Contini (1970) che è una diligente e sentita,anche<br />

se a tratti manierata, rilettura del romanzo di Giorgio Bassani.<br />

Anno<br />

di<br />

prod.<br />

Tipo NOTE durata Cod.<br />

01 Maddalena zero in condotta 1940<br />

02 Teresa Venerdì 1941<br />

03 Un garibaldino al convento 1942<br />

04 I bambini ci guardano 1943 VHS 90 m<br />

05 La porta del cielo 1943<br />

06 Sciuscià 1946 VHS 95 m RUB<br />

07 Ladri di biciclette 1948 VHS 92 m F007<br />

08 Miracolo a Milano 1951 VHS<br />

Palma d'oro al Festival di<br />

F006<br />

Cannes<br />

09 Umberto D. 1952 DVD 89 m<br />

10 Stazione Termini 1953<br />

11 L’oro di Napoli 1954<br />

12 Il tetto 1956<br />

13 La ciociara 1960 DVD Oscar<br />

14 Il giudizio universale 1961<br />

15 Boccaccio ‘70 1961<br />

16 Il boom 1963<br />

17 Ieri, oggi e domani 1963<br />

18 Matrimonio all’italiana 1964<br />

19 Caccia alla volpe 1964<br />

20 Un mondo nuovo 1966<br />

21 Le streghe 1967 Un episodio<br />

22 7 volte donna 1967<br />

23 I sequestrati di Altona 1968<br />

24 I girasoli 1969<br />

25 Le coppie 1970 Un episodio<br />

26 Il giardino dei Finzi Contini 1970<br />

27 Lo chiameremo Andrea 1972<br />

28 Una breve vacanza 1973<br />

29 Il viaggio 1974<br />

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03 LUIGI ZAMPA<br />

BIOGRAFIA<br />

OPERE CINEMATOGRAFICHE<br />

N° titolo<br />

Data e luogo di nascita: 2 Gennaio 1905, Roma, Italia.<br />

Data e luogo di morte: 16 Agosto 1991, Roma, Italia<br />

Figlio di un operaio, dopo aver frequentato la scuola di recitazione di<br />

Santa Cecilia, Luigi Zampa si iscrive al Centro sperimentale di cinematografia<br />

e nel 1941 debutta dietro la macchina da presa col film L’attore<br />

scomparso. Nel dopoguerra ottiene un enorme successo internazionale<br />

con Vivere in pace (1947), un film sospeso a metà tra la commedia di<br />

costume e il melodramma, che riesce a raccontare con onestà e partecipazione<br />

emotiva il dramma di tutto un popolo, coinvolto in una guerra<br />

di cui non condivide le ragioni ma di cui paga le conseguenze. Il film, che<br />

ottiene a New York il premio della critica come miglior film straniero, insieme<br />

a Sciuscià di Vittorio De Sica (Oscar speciale 1947), fa apprezzare<br />

il neorealismo dai cineasti e dal mercato americano. La vena migliore di<br />

Zampa è però l’osservazione divertita e satirica della realtà, la corrosiva<br />

critica di costume, che danno i primi frutti con L’onorevole Angelina<br />

(1947), interpretato dall’inarrivabile Anna Magnani. La sua sarcastica<br />

denuncia contro corruzioni e maneggi di ieri (Processo alla città, 1952)<br />

e di oggi (Il medico della mutua, 1968) si fa vigorosa attraverso la collaborazione<br />

con lo scrittore Vitaliano Brancati (Anni difficili, 1948; Anni<br />

facili, 1952; L’arte di arrangiarsi, 1954) e con Alberto Sordi, che ha<br />

diretto in molti film (Ladro lui, ladra lei, 1957; Il vigile, 1960).<br />

Anno<br />

di<br />

prod.<br />

Tipo NOTE durata Cod.<br />

01 Fra’ Diavolo 1941<br />

02 L’attore scomparso 1941<br />

03 Un americano in vacanza 1946<br />

04 L’onorevole Angelina 1947 VHS 83 m<br />

05 Vivere in pace 1947<br />

06 Anni difficili 1947<br />

07 Campane a martello 1949<br />

08<br />

E’ più facile che un<br />

1950<br />

cammello…<br />

09 Processo alla città 1953<br />

10 Anni facili 1953<br />

11 L’arte di arrangiarsi 1954<br />

12 La romana 1954<br />

13 Il vigile 1960<br />

14 Anni ruggenti 1962<br />

15 Il medico della mutua 1967<br />

16 Bello, onesto, emigrato in… 1971<br />

17 Bisturi, la mafia bianca 1973<br />

18 Il mostro 1977<br />

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05 GIUSEPPE DE SANTIS<br />

BIOGRAFIA<br />

(Fondi, LT, 1917 - Roma, 1997)<br />

Dopo gli studi di lettere e filosofia all’Università di Roma, si iscrive al<br />

CSC e si dedica con grande passione alla critica cinematografica,<br />

frequentando il gruppo della rivista “Cinema” assieme a giovani del<br />

valore di <strong>Antonio</strong>ni, Lizzani, Puccini. Sceneggiatore ed aiuto regista di<br />

Visconti per “Ossessione”, contribuisce alla realizzazione del<br />

documentario “Giorni di gloria” (1945) ed esordisce nel lungometraggio<br />

con “Caccia tragica” (1947), ch’è un autentico manifesto della sua<br />

poetica. Muovendosi secondo la “logica di un cinema di intervento<br />

politico diretto e immediato sulla realtà nazionale”, egli cala la lezione<br />

dei sovietici (in testa, Pudovkin e Donskoj) dentro lo scenario<br />

dell’universo contadino padano devastato dalla guerra, con esiti di<br />

sorprendente efficacia. Il successivo “Riso amaro” (1949) precisa<br />

vieppiù i contorni d’un cinema senza eguali in Italia: geniale mélo che<br />

ibrida - a partire da certe intuizioni gramsciane - l’estetica del fumetto<br />

coi dettami del neorealismo, esso è una sorta di western ambientato<br />

nel vercellese in tutto degno degli affreschi epici statunitensi, un<br />

capolavoro che resiste a meraviglia all’usura del tempo. Il successivo<br />

“Non c’è pace tra gli ulivi” (1950) segna pel Nostro il passaggio ad una<br />

messinscena di sapore brechtiano, che tuttavia non depriva questo<br />

dramma di pastori ciociari della propria carica emotiva. “Roma ore 11”<br />

(1952), la pellicola sua maggiormente debitrice della lezione<br />

neorealista, offre - prendendo le mosse da un tragico fatto di cronaca, il<br />

crollo di una scala dove si accalcava un gran numero di disoccupate -<br />

una ricchissima galleria di personaggi femminili d’ogni ceto sociale,<br />

resa con impareggiabile sensibilità ed autentico slancio ideale. Il mutar<br />

del clima culturale costringerà pian piano al silenzio uno dei nostri più<br />

dotati cineasti: delle cose sue seguenti meritano, ancora, menzione il<br />

dolente ritratto di donna di “Un marito per Anna Zaccheo” (1953), il<br />

robusto film d’azione “Uomini e lupi” (1956) e l’ambizioso “Italiani<br />

brava gente” (1964), acre rappresentazione della disfatta nostrana<br />

nella campagna di Russia<br />

OPERE CINEMATOGRAFICHE<br />

Anno<br />

N° titolo<br />

di<br />

prod.<br />

Tipo NOTE durata Cod.<br />

01 Giorni di gloria 1945<br />

02 Riso amaro 1949 DVD 108<br />

03 Non c’è pace tra gli ulivi 1950<br />

04 Roma ore 11 1952<br />

05 Un marito per Anna Zaccheo 1953<br />

06 Giorni d’amore 1954<br />

07 Uomini e lupi 1956<br />

08 Italiani brava gente 1964<br />

09<br />

Un apprezzato professionista<br />

di sicuro avvenire<br />

1972<br />

10 Oggi è un altro giorno 1995<br />

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