Copia di De Pirro.vp - Conservatorio di Musica “Francesco Venezze”
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L’ORECCHIO MOBILE<br />
(“Mir, arte nello spazio”, 1999, pp.62-63)<br />
Partiamo da una convenzione estetica che non ha eguali nella altre arti. Sia in<br />
una opera in contrappunto sia nell’affermarsi della macchinaorchestra, con il suo sovrapporsi<br />
<strong>di</strong> strati significanti in primo piano o sfondo, l’ascoltatore non percepisce<br />
razionalmente tutto ciò che accade pur cosciente che il suo sguardo u<strong>di</strong>tivo è <strong>di</strong>latato<br />
in più <strong>di</strong>mensioni. Il nostro orecchio agisce come l’obiettivo <strong>di</strong> una telecamera sensibile<br />
che, <strong>di</strong> fronte ad un impasto <strong>di</strong> oggetti e passioni, seleziona i puliti focali con cui<br />
stabilire una vibrazione empatica. Nel fare questo movimento nello spazio sonoro<br />
noi percepiamo simultaneamente in modo conscio e subliminale. E così la polifonia<br />
regala l’illusione <strong>di</strong> trovarsi <strong>di</strong> fronte ad uno spazio a più <strong>di</strong>mensioni in cui poter<br />
orientare l’attenzione sia verso le figure principali che verso la lontananza che lo<br />
supporta. La polifonia è quin<strong>di</strong> la conquista - l’illusione - della profon<strong>di</strong>tà.<br />
In uno snodo fondamentale della cultura sonora occidentale (che prima si è<br />
evoluta in complessità <strong>di</strong> strati verticali - polifonia - poi in complessità <strong>di</strong> relazioni<br />
orizzontali scoprendo la funzione <strong>di</strong> trasformazione del tempo) questa prospettiva<br />
iniziò ad assumerla l’armonia nei confronti della melo<strong>di</strong>a. Allo stesso modo che un<br />
aggettivo (proviamo ad immaginare iridescente o burrascoso) mo<strong>di</strong>fica un sostantivo<br />
(cielo) anche le mutazioni d’armonia durante il <strong>di</strong>agramma melo<strong>di</strong>co ne muta il<br />
senso tramite varianti <strong>di</strong> tensione. Ulteriore sfumatura dell’idea <strong>di</strong> primo piano-sfondo.<br />
Con la capacità <strong>di</strong> quest’ultimo <strong>di</strong> completare il senso del personaggio-melo<strong>di</strong>a.<br />
L’idea <strong>di</strong> contrappunto è quella del gioco <strong>di</strong> specchi. Si getta un motto<br />
melo<strong>di</strong>co dentro il caleidoscopio del tempo e lo si riascolta in molteplici sovrapposizioni.<br />
Quando dall’assemblare segni sonor <strong>di</strong> natura omogenea si iniziò a sovrapporre<br />
masse in continua metamorfosi si determinò una polifonia <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ci simultanei.<br />
Polifonia che trova nella macchinaorchestra il suo trionfo. È qui che vanno in scena<br />
nuovi tipi <strong>di</strong> figure retoriche.<br />
Quando il gruppo dei legni assume autonomia spettrale nell’orchestra del classicismo<br />
viennese il loro alternarsi alla massa degli archi simula un improvviso sfondamento<br />
prospettico. Così come l’improvviso emergere <strong>di</strong> un solo dal tutti (celebre<br />
l’esempio dell’oboe nell’Allegro con brio - batt. 268 - della Quinta Sinfonia <strong>di</strong> Beethoven)<br />
proietta il nostro orecchio da una percezione collettiva ad una in<strong>di</strong>viduale.<br />
Orecchio mobile che possiamo ritrovare nel movimento finale “La grande porta <strong>di</strong><br />
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