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Copia di De Pirro.vp - Conservatorio di Musica “Francesco Venezze”

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pubblicamente da isterica, secondo un modello riconosciuto da tutti, allo scopo <strong>di</strong> liberarla<br />

dalla propria sofferenza interiore”. A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> altre arti fissate o riprodotte<br />

(un libro, un quadro, un film) il testo musicale vive della sua contina riproduzione.<br />

Ecco perché, in ambito colto, il perfezionamento degli strumenti, come il <strong>di</strong>sklavier,<br />

o la musica sintetica, non ha mai potuto sostituire la sua funzione rituale. Quello che<br />

si va ad ascoltare non è solo l’atto estetico, ma il suo ricrearsi magico e vivo, celebrato<br />

dalla figura demiurgica dell’interprete. È attraverso la sua me<strong>di</strong>azione che il fluido<br />

sonoro penetra nell’animo dell’ascoltatore. “Nulla è mai sì refrattario duro e furibondo<br />

che la musica non ne muti fluendo, la natura” scrive Shakespeare ne Il Mercante<br />

<strong>di</strong> Venezia (Atto V, scena 1), e se vogliamo un cinico esempio <strong>di</strong> autosuggestione, ricor<strong>di</strong>amoci<br />

del “Canta che ti passa” come recitava un volantino <strong>di</strong>stribuito tra le trincee<br />

italiane nella Prima guerra mon<strong>di</strong>ale. Quello della guarigione attraverso il suono<br />

è capitolo ampio che non si limita alla guarigione psichica. Scrive Omero nella O<strong>di</strong>ssea<br />

(libro XIX, 457): “Subito i figli d’Autolico curavano O<strong>di</strong>sseo, la piaga d’O<strong>di</strong>sseo<br />

glorioso, <strong>di</strong>vino, fasciarono sapientemente, col canto magico il sangue nero fermarono”.<br />

Alle funzioni emostatiche si possono far risalire le formule magiche, e questo<br />

può rendere vario l’intervento del sacerdote. “In molti riti me<strong>di</strong>cinali basta gridare<br />

più forte dello spirito malvagio per annientarlo” ricorda Marius Schneider ne Il significato<br />

della musica, mentre un verso dell' Acarniesi <strong>di</strong> Aristofane, a proposito del<br />

modo atletico orthios, “così chiamato perché violento e molto acuto” ricorda che vi<br />

era un metodo preciso (attribuzione a certi strumenti, frequenza più o meno acuta)<br />

per potenziare le caratteristiche attribuite ad ogni modo. Questa forma <strong>di</strong> comunicazione<br />

può applicarsi anche alle regole della retorica. Ed infatti, secondo Cicerone<br />

(<strong>De</strong> Oratore, III) ogni tono corrisponde ad una passione: quello della collera è “acuto,<br />

rapido, spezzato”, quello del timore “<strong>di</strong>messo, esitante, basso”, quello della violenza<br />

“elevato e veemente”. Le origini comuni del cantare e dell’incantare stanno anche<br />

nell’etimologia latina <strong>di</strong> carmen, che ha la duplice valenza <strong>di</strong> canto e formula<br />

magica. Non a caso si parla <strong>di</strong> Voxsineverbis, o <strong>di</strong> “cantare non con la voce ma con il<br />

cuore” (Non voce sed corde canere, nelle parole <strong>di</strong> San Gerolamo). D’altronde, anche<br />

qui si può attualizzare la pratica pensando a filastrocche e scioglilingua come residuo<br />

<strong>di</strong> un comunicare animistico per assonanza (allitterazione), aggirando il controllo<br />

razionale sui significati per esaltare le vibrazioni fra fonemi <strong>di</strong>fferenti. Freud<br />

stesso parlando <strong>di</strong> giochi <strong>di</strong> parole ne Il motto <strong>di</strong> spirito e la sua relazione con l’inconscio,<br />

afferma che questa tecnica consiste “nel far emergere la rappresentazione<br />

(acustica) della parola anziché il significato fornito dai nessi con la rappresentazione<br />

delle cose”. Il bambino che manipola il linguaggio “usa il gioco per sottrarsi alla<br />

pressione esercitata dalla ragione critica”. Anche qui un poco <strong>di</strong> etimologia non fa<br />

male: lallare in latino significa “cantare la ninna nanna”. La componenente ripetitiva<br />

(mama, dada, tata), del cosiddetto baby talk, riflette la ripetitività delle formule magiche,<br />

ma può essere applicato anche ad una narrazione metaforica: ne Il flauto <strong>di</strong><br />

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